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Castello di Maccastorna

Coordinate: 45°08′46.52″N 9°51′07.27″E
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Castello di Maccastorna
Ubicazione
Stato attualeItalia (bandiera) Italia
RegioneLombardia
CittàMaccastorna
IndirizzoVia Roma, 2
Coordinate45°08′46.52″N 9°51′07.27″E
Mappa di localizzazione: Nord Italia
Castello di Maccastorna
Informazioni generali
TipoCastello medievale
Inizio costruzioneXIII secolo
MaterialeCiottoli, malta, laterizio
voci di architetture militari presenti su Wikipedia

Il castello di Maccastorna (o Belpavone) è una struttura militare sorta nel XIII secolo nell'omonima località, in provincia di Lodi.

Fu edificato a pianta quadrangolare ma irregolare nel XIII secolo dai ghibellini cacciati da Cremona[1] in prossimità della riva destra dell'Adda.

Insieme a Basiasco, Corno Giovine, Cornovecchio, Pizzighettone e Male, Maccastorna costituì il territorio su cui la famiglia Vincemala (Vismara) esercitò il Mero e Misto Impero dal 1272 al 1381.

Nel 1371 venne acquisito dalla nobile famiglia Vismara da Gian Galeazzo Visconti signore di Milano che nel 1385 lo regalò, assieme al feudo, a Guglielmo Bevilacqua in segno di riconoscimento dell'aiuto per essersi sbarazzato di Bernabò Visconti.

Nel XV secolo[1] la struttura, assieme al feudo di Maccastorna, passò nelle mani di Cabrino Fondulo, condottiero al servizio dei cremonesi Cavalcabò, signori di Cremona. Costui si stabilì nel maniero ed apportò importanti modifiche[1]: edificò le mura di cinta, il fossato con il suo ponte levatoio e le prigioni. Il 24 luglio 1406 diede ospitalità nel castello a Carlo Cavalcabò, cugino di Ugolino Cavalcabò e signore di Cremona, e al suo seguito di ritorno da Milano dopo una visita ai Visconti.[2] Cabrino Fondulo, aiutato dai suoi sgherri, dopo la cena sgozzò gli ospiti e ne buttò i corpi nel pozzo delle taglie. Da allora si narra che nelle sale del castello riecheggino ancora le grida dei morti.[3] Dopo poco si autoproclamò signore di Cremona.

Il castello è rimasto, sino al 1901, in proprietà alla famiglia veronese dei Bevilacqua.

Della struttura originaria sopravvive una porzione delle mura di cinta.[1]

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