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Marco Cima

    Marco Cima

    Indagine sul sistema produttivo canavesano redatta sulla base della relazione ordinata dall'intendente di Finanza Rezia di Mombello e delle evidenze archeologiche rilevate sul terreno.
    Il volume accompagna la mostra omonima realizzata per documentare un patrimonio culturale che giorno dopo giorno si va perdendo. Si tratta dell’immenso complesso dei sistemi edilizi pre-industriali abbandonati nel vorticoso sviluppo... more
    Il volume accompagna la mostra omonima realizzata per documentare un patrimonio culturale che giorno dopo giorno si va perdendo. Si tratta dell’immenso complesso dei sistemi edilizi pre-industriali abbandonati nel vorticoso sviluppo economico della seconda metà del XX secolo, che sono passati in pochi lustri all’uso funzionale all’archeologia, dando luogo a un immenso patrimonio di beni demo-etno antropologici che oggi giace in uno stato di estrema precarietà.
    Il lavoro intende sensibilizzare il largo pubblico sull’importanza di salvare un complesso di sistemi che potrà arricchire il patrimonio culturale e le conoscenze storiche delle future generazioni.
    Non sfugge il fatto che i temi trattati riguardino patrimoni complessi, il cui recupero e salvaguardia richiede risorse che gli enti locali potrebbero avere difficoltà a reperire, ma la situazione sul terreno richiede interventi urgenti. Non si può infatti sottacere che un pezzo della nostra storia si stia inesorabilmente perdendo senza che la gente ne abbia compiuta percezione.
    Un volume, agile e ben documentato, che analizza il territorio campione delle Valli Orco e Soana acquisite come case study, rappresenta il primo passo per una possibile azione tendente a porre sotto controllo l’ampio complesso di beni presenti su un territorio ricco e articolato come quello del nostro paese.
    Il volume è corredato da circa 120 fotografie scattate in quarant’anni di attività sul terreno, molte delle quali irripetibili e si conclude con una rassegna di miti anch’essi raccolti intervistando gli ultimi esponenti di una cultura preindustriale alpina ormai estinta per sempre.
    Il lavoro riguarda un'approfondita ricerca storico-archeologica sul territorio ristretto del comune di San Colombano Belmonte, dove gli autori hanno sperimentato l'applicazione sul campo della ricerca storica integrata dallo strumento... more
    Il lavoro riguarda un'approfondita ricerca storico-archeologica sul territorio ristretto del comune di San Colombano Belmonte, dove gli autori hanno sperimentato l'applicazione sul campo della ricerca storica integrata dallo strumento archeologico d'indagine in campo.
    La storia è stata dipanata seguendo un lungo filo che parte dall'Alto Medioevo e giunge fino ai giorni nostri passando attraverso le vicende storiche che hanno interessato il territorio e coinvolto la comunità. Questo singolare itinerario è stato reso possibile grazie all'archivio storico comunale, all'archivio parrocchiale e a diversi piccoli archivi privati.
    L'indagine sul terreno che diviene storia della comunità è organizzata in quattro lunghi capitoli caratterizzati dalla scansione temporale. Il lavoro è corredato da un ricco apparato iconografico di oltre 260 illustrazioni. La ricerca ha ricostruito la secolare vertenza tra la comunità e un rapace signore discendente da un grande casato feudale che nel Seicento vince una causa avanti il senato torinese e riesce a ottenere rimborsi da capogiro che peseranno ancora sui conti nel terzo decennio dell’Ottocento. Sotto forma di appendice è riportata una complicata vicenda giudiziaria ottocentesca tra gli amministratori e il parroco che ebbe un esito nefasto per il secondo il quale incorse nella condanna penale a tre anni di reclusione
    Grazie ad un’attenta rilettura degli scavi archeologici del passato, compiuta anche con metodi e tecnologie innovative ed attraverso la messa a sistema e la rigorosa interpretazione dei moltissimi dati derivati dalle indagini più... more
    Grazie ad un’attenta rilettura degli scavi archeologici  del passato, compiuta anche con metodi e tecnologie innovative ed attraverso la messa a sistema e la rigorosa interpretazione dei moltissimi dati derivati dalle indagini più recenti, i saggi del volume restituiscono una descrizione viva e originale della nascita e della vita quotidiana degli insediamenti d’altura di Belmonte.
    Luogo di grande suggestione, Belmonte si alza all’imbocco della Valle dell’Orco presentandosi oggi come un imponente rilievo boscato coronato dalle maestose strutture del Santuario, a comporre un paesaggio speciale, dove all’elevato valore della scena naturale, dominata dalle vette che si alzano in lontananza, si sovrappongono i valori immateriali legati alla presenza ed alla memoria della Via Crucis e dell’edificio sacro dedicato alla Vergine, oggetto da secoli di una sentita devozione popolare. Tali valori hanno portato nel 2003 all’iscrizione del Sacro Monte di Belmonte, tra gli altri siti del Piemonte e della Lombardia, nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco.
    Con la profondità di visione propria di chi indaga i territori con gli strumenti e le competenze dell’archeologo, i testi raccolti nel volume ricostruiscono le vicende insediative del sito a partire dalle prime e più antiche tracce delle età del Bronzo e del Ferro, alle testimonianze dell’uso in età romana – quando Belmonte si affacciava su una pianura fertile, centuriata e densamente abitata – fino al periodo ancora ombroso delle invasioni, quando l’altura venne fortificata ed occupata da popolazioni longobarde in ragione della sua posizione strategica, della morfologia e presumibilmente anche della sua marginalità rispetto agli insediamenti preesistenti.
    I nuovi studi non solo consentono di rivalutare le epoche di edificazione e di vita dell’insediamento e  la precisa origine dei suoi abitanti, ma delineano un quadro vivo della loro quotidianità, descrivendoci una comunità attenta alle esigenze difensive e guarnita di un drappello di armati, ma anche esperta nelle pratiche agricole e nella tessitura, oltre che versata in modo particolare nella metallurgia. Il forte legame con la tradizione delle popolazioni del nord trova conferma anche nel confronto con due diversi siti, l’uno ligure e l’altro padano, i cui ritrovamenti presentano forti attinenze con quelli del sito di Belmonte, ora custoditi in prevalenza al Museo di Antichità di Torino.
    La lettura e interpretazione delle tracce più antiche dell’uso di culto, costituite in prevalenza da lacerti di materiali scultorei di pregio, offre elementi per comprendere la continuità di ruolo e di significato del sito nel contesto territoriale, completando una rassegna che potrà rivelarsi preziosa non solo per arricchire il quadro delle conoscenze storiche e scientifiche delle comunità del passato, ma anche per rafforzare i valori identitari e il senso di appartenenza delle comunità che ancora oggi vivono e lavorano all’ombra dell’altura di Belmonte.
    Studiare un’opera controversa come la Madonna del Gatto non è un’impresa semplice né scontata, perché intorno al dipinto si sono spuntate penne per dire tutto e il suo esatto contrario. Di conseguenza occorre essere consapevoli che ci si... more
    Studiare un’opera controversa come la Madonna del Gatto non è un’impresa semplice né scontata, perché intorno al dipinto si sono spuntate penne per dire tutto e il suo esatto contrario. Di conseguenza occorre essere consapevoli che ci si muove in un ginepraio, dove notizie vere, quasi vere e palesemente false si mescolano in un caleidoscopio talora tossico, rappresentando un vero enigma per chi intenda fare chiarezza una volta per tutte, rispondendo a quesiti fondamentali come quello riguardante l’origine del dipinto e le vicende che l’hanno condotto nel Laboratorio del Polo Museale del Canavese per essere studiato.
    Anzitutto è stato sgombrato il campo dall’interesse per una qualsiasi soluzione specifica da parte dei responsabili e dei ricercatori. Nessun interesse lega coloro che hanno condotto gli studi rispetto a una soluzione piuttosto che un’altra e ciò ha consentito di lavorare in serenità con l’unico obiettivo di salvaguardare il prestigio e la competenza professionale, senza propensioni di sorta, se non quella di condurre gli studi sul piano più rigoroso possibile, ben sapendo che le metodiche applicabili alle opere d’arte, in ogni caso, non possono che dare risultati probanti e che non sarà possibile giungere a certezze in grado di rispondere a tutti gli interrogativi che il dipinto ha posto e pone.
    Assodati questi principi, sin dall’avvio degli studi si sapeva che con difficoltà si sarebbe pervenuti a stabilire l’autore dell’opera ma si sperava di riuscire quantomeno a rispondere ad alcuni quesiti e in particolare a sciogliere l’interrogativo se la notevole composizione pittorica fosse o no un falso prodotto nei primi tre decenni del XX secolo. In subordine, scaturiva una serie di altri interrogativi legati, sia alle tecniche pittoriche impiegate, sia all’età del supporto, fino all’identificazione con precisione accettabile degli interventi di restauro che pure si sapeva essere stati attuati sul dipinto.
    Tra indagini analitiche, studio dei confronti e periodi di pausa per consolidare i risultati, compreso qualche scoraggiamento, sono trascorsi molti mesi ma si è raggiunta la convinzione di aver raccolto elementi sufficienti per proporre conclusioni finalmente basate su osservazioni scientifiche, dopo tanti scritti che per circa ottant’anni a più riprese si sono inseguiti intorno a quest’opera, basandosi unicamente su impressioni e superficiali convinzioni alimentate dai giornali.
    In questo studio ho percorso una strada non ben tracciata e talora mi sono smarrito ma in ultimo credo di essere giunto alla meta proponendo la ricostruzione della storia del dipinto, almeno nei suoi tratti essenziali. L’ho fatto grazie alla generosità di specialisti di altissimo livello come Jacques Franck e Martin Kemp che con grande disponibilità e generosità mi hanno consigliato consentendomi di giungere a un’ipotesi fondata di attribuzione.
    Il Museo Archeologico del Canavese ha festeggiato il suo trentacinquesimo anno di attività e Marco Cima, a rimarcare l’impegno di ricerca e di studio sul territorio, ha presentato il libro “Preistoria e Protostoria del Canavese”,... more
    Il Museo Archeologico del Canavese ha festeggiato il suo trentacinquesimo anno di attività e Marco Cima, a rimarcare l’impegno di ricerca e di studio sul territorio, ha presentato il libro “Preistoria e Protostoria del Canavese”, contenente una sintesi che abbraccia l’immenso periodo formativo della storia di questa terra emersa in oltre cinquant’anni di attività sul campo. Si tratta di un grande complesso di siti archeologici scoperti e pubblicati, taluni nelle più prestigiose riviste del settore.
    Il volume conduce il lettore su un itinerario lungo molti millenni letti e attraverso le testimonianze materiali derivate dalla terra, ove emerge la storia di un territorio cerniera tra l’ambiente del Po e quello dell’alto corso del Rodano. L’opera parte dall’epopea dei cacciatori della fine del Paleolitico, quando ancora i ghiacciai dell’ultima glaciazione occupavano le vallate interne, per avvicinarsi ai primi contadini giunti seguendo il corso dei fiumi e stanziati all’imbocco delle valli, a cui succedettero le bellicose comunità dell’età del Rame e del Bronzo. Durante questa fase si affermarono le prime esperienza di dominazione territoriale con l’aggregazione di nuclei di guerrieri intorno a uomini forti che inaugurarono la stagione del potere delle armi con gruppi spesso in guerra tar loro. A rimarcare le caste dominanti sorsero i grandi complessi sepolcrali megalitici come quello scoperto a Tina di Vestignè.
    Diversi secoli più tardi, in conseguenza di consistenti variazioni climatiche in senso freddo e arido le comunità si avvicinarono ai corsi d’acqua e ai laghi creando insediamenti palafitticoli come quello del lago di Viverone e di San Giovanni dei Boschi. Successivamente l’aumento della bellicosità dei gruppi umani condusse agli arroccamenti sulle alture con gli insediamenti di Belmonte e Santa Maria di Pont, di San Martino Canavese o del monte Appareglio presso Ivrea. In questi ambienti, oltre alle tracce della vita quotidiana sono emerse le necropoli che raccontano di complessi riti di accompagnamento dei defunti nell’Aldilà. In ultimo, l’ archeologia attesta la calata dei Celti dai valichi alpini e successivamente l’arrivo delle legioni romane che sbaragliarono i Salassi conquistando le terre dell’anfiteatro morenico di Ivrea e creando le premesse per la fondazione della città di Eporedia nel 100 a.C.  con la relativa deduzione coloniaria del territorio.
    Il volume è corredato da un suggestivo complesso di illustrazioni dei siti e dei reperti e da numerose ambientazioni realizzate con sistemi di computer grafica e disegno archeologico al fine di offrire al lettore un documento utile alla conoscenza della preistoria e della protostoria del Canavese.
    Sono trascorsi oltre trent’anni dalla pubblicazione del fortunato volume dedicato all’Archeologia del ferro, coraggioso quanto inusuale sforzo - già peraltro rilevato da Riccardo Francovich nella Presentazione del 1991 - di affrontare... more
    Sono trascorsi oltre trent’anni dalla pubblicazione del fortunato volume dedicato all’Archeologia del ferro, coraggioso quanto inusuale sforzo - già peraltro rilevato da Riccardo Francovich nella Presentazione  del 1991 - di affrontare una  tematica complessa, che solo da poco tempo aveva ridestato l’interesse degli archeologi italiani, e di estenderla lungo un amplissimo arco cronologico (“Dalle origini alla Rivoluzione Industriale” recita infatti il sottotitolo), con uno sguardo sull’intera area mediterranea. Oggi Marco Cima ripropone il suo lavoro, con minime modifiche nella scansione del Sommario, ma con numerosi aggiornamenti bibliografici e riferimenti puntuali a nuovi  contesti di scavo.
    Le motivazioni alla base della riedizione del volume sono molteplici: il formato solo digitale curato dal Museo Archeologico del Canavese, che nel tempo ha puntato molto sull’attività didattica ad ampio raggio, rendendo accessibile lo studio a un pubblico non di soli specialisti; il taglio volutamente manualistico, che mantiene intatto il  valore della pubblicazione in un panorama intanto  arricchitosi di altri importanti contributi, da quelli  ormai “storici” nel campo dell’archeologia medievale, ma non solo, per cui è d’obbligo il riferimento a R. Francovich e T. Mannoni, sino a quelli più recenti di E. Giannichedda, V. La Salvia e altri. Da ultimo l’attualità di un’impostazione, diffusasi solo recentemente ma inconsueta nei primi anni Novanta del secolo scorso, che prende avvio dall’esame del processo produttivo, studiato non a partire dal manufatto e quindi dalla prospettiva del consumo, bensì dal giacimento di provenienza.
    In assenza di ampi lavori di sintesi, non è casuale che Archeologia del Ferro sia ancora oggi costantemente citato nelle bibliografie archeologiche, sia in quelle “essenziali” del Dizionario di Archeologia (2000) curato da R. Francovich e D. Manacorda, sia in contributi puntuali, ed è quindi comprensibile che l’Autore, avendo negli anni continuato ad occuparsi attivamente di ricerche e approfondimenti nel campo dell’intero ciclo del ferro, si senta ora in dovere di rendere conto di nuovi dati e di fornire ulteriori precisazioni su quanto già illustrato,che viene riesaminato tenendo conto di nuovi apporti scientifici e/o di analisi archeometriche. Il volume si sofferma in particolare su alcuni contesti del territorio subalpino (Scarmagno, Strambinello, Ceresole Reale), riproponendo sinteticamente per il castrum altomedievale di Belmonte i risultati degli studi preparatori per la recente (2019) mostra promossa dal Museo Archeologico del Canavese, con il riesame della fucina di età longobarda e dei numerosi utensili in ferro, che ha restituito correttamente sia gli aspetti tecnici della produzione metallurgica, sia l’ambiente e la realtà sociale nel quale detta fucina si inseriva.
    Al già ricco apparato illustrativo del volume originario, la nuova edizione aggiunge documentazione grafica e fotografica, oltre a riferimenti a fonti d’archivio, nella convinzione - oggi come allora - che solo l’ampiezza dello sguardo a comprendere fonti diverse sia di aiuto a restituire la complessità dell’archeologia della produzione, caratterizzata dalla lunga durata delle tecniche e quindi da difficoltà nelle datazioni puntuali.
    Molto opportunamente viene allora ampliato il capitolo delle Conclusioni, inserendo una sorta di vademecum utile all’archeologo in fase di scavo, per aiutarlo nel non semplice riconoscimento delle diverse tipologie di scorie ferrose e nella corretta attribuzione a specifici momenti del ciclo produttivo.
    Vorrei infine evidenziare il significato del volume quale testimonianza di resti materiali che troppo rapidamente vanno scomparendo, con l’auspicio che le politiche di tutela ai diversi livelli, con il coinvolgimento delle comunità locali, ne vengano stimolate e possano intraprendere azioni programmate di conservazione e valorizzazione.
       
    Egle Micheletto
    (già soprintendente per l’Archeologia del Piemonte)
    Maggio 2024
    Questo lavoro a carattere archeologico e storico presenta le vicende delle comunità umane che dal Paleolitico finale si sono succedute nell’ambiente alpino del massiccio del Gran Paradiso fino ai primi decenni del secolo XX quando viene... more
    Questo lavoro a carattere archeologico e storico presenta le vicende delle comunità umane che dal Paleolitico finale si sono succedute nell’ambiente alpino del massiccio del Gran Paradiso fino ai primi decenni del secolo XX quando viene fondato l’omonimo Parco Nazionale. L’obiettivo che si prefigge è quello di divulgare la storia del territorio dell’area protetta. Consci - come siamo - che il passato di una comunità e di un territorio, anche quello che risale alle origini del popolamento, sia solidamente sedimentato nel presente, al punto da caratterizzarlo in maniera determinante, questa sintesi, almeno in una certa misura, può spiegare le differenze e le affinità che caratterizzano i diversi ambienti di questo tratto della catena alpina. Si tratta di un ambiente montano particolarmente ricco di naturalità e di biodiversità dove l’azione umana, durata all’incirca 120 secoli, non è stata irrilevante. Vallate che afferiscono a bacini fluviali divergenti, unite dalla contiguità delle testate, sono caratterizzate da una cultura alpina che le omologa. Si tratta di territori oggi considerati lontani, poiché passare dall’uno all’altro attraverso le strade di fondovalle richiede molte ore di viaggio su autoveicoli, ma in passato, grazie al fitto sistema di comunicazioni ancora custodito nella marginalità della montagna, quegli stessi luoghi erano contigui e condividevano gli accadimenti che il clima e le vicende storiche imponevano. Questa unitarietà è stata essenziale per forgiare quella cultura alpina che accomuna tutti gli ambiti vallivi di questo complesso sistema, siano essi collocati in Piemonte, in valle d’Aosta o nelle francesi valli dell’Arc e dell’Isère.
    Se per ogni disciplina scientifica la divulgazione costituisce un passaggio fondamentale, per l’archeologia è elemento vitale. Lo studio del passato attraverso la ricerca e la sperimentazione archeologica, infatti, consente di far... more
    Se per ogni disciplina scientifica la divulgazione costituisce un passaggio fondamentale, per l’archeologia è elemento vitale. Lo studio del passato attraverso la ricerca e la sperimentazione archeologica, infatti, consente di far rivivere i gesti, le capacità ed i saperi delle generazioni che ci hanno preceduto, lasciandoci in eredità il risultato delle loro azioni e la costituzione biologica, cui dobbiamo la nostra stessa esistenza. 
    Per comprendere chi siamo, diventa perciò necessario che ciascuno di noi condivida con studiosi ed esperti i risultati raggiunti nella ricostruzione del nostro passato più remoto.
    Questo volume è il catalogo della mostra su Pompei organizzata al Museo Archeologico del Canavese. I fatti drammatici del 24 e 25 agosto del 79 d.C. hanno sigillato in una morsa mortale un’intera comunità, con le sue città, le sue vie di... more
    Questo volume è il catalogo della mostra su Pompei organizzata al Museo Archeologico del Canavese.
    I fatti drammatici del 24 e 25 agosto del 79 d.C. hanno sigillato in una morsa mortale un’intera comunità, con le sue città, le sue vie di comunicazione e tutto il corredo materiale che accompagna la vita, dalle sontuose dimore, fino alle più minuscole evidenze, talora rappresentate da pochi chicchi di grano carbonizzati, dimenticati accanto al focolare della cucina. Tutto concorre a costruire un quadro estremamente preciso della società e a dimostrare come la cultura, la qualità della vita e le tecnologie disponibili fossero talmente avanzate e sofisticate da restare ineguagliate, talora per un millennio.
    La drammatica fine di quelle fiorenti città e l’attualità della loro storia sono fortemente radicate nell’immaginario collettivo e la suggestione aumenta quando ci si sofferma sulla drammatica espressione dei cadaveri delle vittime immortalate dalla ricaduta dei lapilli e fissati per sempre nei loro gesti disperati dalle colate di gesso degli archeologi.
    L’Art Nouveau da cui l’italiano Stile Liberty deriva è un movimento di rottura che guarda al rinnovamento estetico, in linea con un’epoca nella quale si affermano definitivamente i commerci internazionali e l’industria multinazionale,... more
    L’Art Nouveau da cui l’italiano Stile Liberty deriva è un movimento di rottura che guarda al rinnovamento estetico, in linea con un’epoca nella quale si affermano definitivamente i commerci internazionali e l’industria multinazionale, principali motori della società contem-poranea.
    Tra le numerose rotture rispetto al passato e le palesi contraddizioni che questo complesso fenomeno artistico comporta vi è il primo passo, timido ma risoluto, verso l’emancipazione della donna per il rag-giungimento delle pari opportunità.
    Il Liberty affonda le radici nel grande crogiolo culturale europeo dell’Ottocento, quando la qualità della vita e le abitudini quotidiane generano una classe agiata dedita al godimento delle opere d’arte per il semplice piacere di gustarle in un circuito privato fatto di amicizie, sentimenti comuni ed esclusività. I membri di questa élite agiscono in maniera del tutto simile ai collezionisti dell’Antichità che, arricchiti dal latifondo o dalla mercatura, acquisivano o commissionavano opere d’arte per il gusto di possederle ed esporle nelle loro abitazioni, magari costruite secondo i modelli delle residenze dei sovrani ellenici.
    Per enfatizzare questo collegamento ideale tra realtà sociali distanti venti secoli, la mostra organizzata dal Museo Archeologico del Canavese indaga a fondo il parallelismo culturale che accomuna le due esperienze.
    La mostra propone un percorso che parte da una sezione espositiva atta a documentare il collezionismo antico e prosegue con un percorso sviluppato all’interno degli aspetti più significativi del Liberty internazionale, ove sono esposte opere d’arte provenienti da quasi tutti i paesi d’Europa e d’America, proposte al pubblico in una suggestiva aggregazione.
    Il Liberty coincide con la nascita del cinema e in un apposito spazio all’interno della mostra è presentata una rassegna di grandi film dei primi del Novecento con le grandi dive italiane Eleonora Duse e Pina Menichelli.