Eredità platonica e, a maggior ragione, pitagorica, è quella che impone nella tarda antichità latina una concezione cosmologica che inquadra l’universo come una divina dispositio. Le testimonianze più importanti in tal senso sono quelle -...
moreEredità platonica e, a maggior ragione, pitagorica, è quella che impone nella tarda antichità latina una concezione cosmologica che inquadra l’universo come una divina dispositio. Le testimonianze più importanti in tal senso sono quelle - ben conosciute - del Commento al Timeo di Calcidio, del Commento al Sogno di Scipione di - rispettivamente - Macrobio e Favonio Eulogio, delle Nozze di Filologia e Mercurio di Marziano Capella, i quali nei passi più specificamente dedicati all’analisi delle proprietà del numero e delle sue proporzioni - aritmetiche, geometriche, armoniche - trasmettono all’occidente altomedievale, sia pur in forma necessariamente compendiaria, quanto era stato prodotto nei secoli passati in ambiente ellenico ed ellenistico, nel solco della speculazione pitagorico/platonica, fermo restando il poderoso ascendente del Sogno di Scipione ciceroniano, anch’esso d’altronde debitore in certo senso dei trattatisti greci. Fino, naturalmente, ai neoplatonici, da Plotino (fondamentale il suo Sui numeri, Enneade VI, 6), a Porfirio (il suo Commento al Timeo perduto), a Giamblico (essenziale la sua Teologia aritmetica), a Proclo (sopra ogni altro trattato esegetico, l’esaustivo Commento al Timeo).
In questa “metafisica dell’ordine” tutt’altro che irrilevanti appaiono le implicazioni “antropologiche” della componente numerica: l’asserzione senocratea dell’anima come numero automoventesi è in tal senso un caposaldo concettuale, e verrà esplicitamente ripresa da Macrobio sia pur in coabitazione con la teoria platonica dell’anima come principio di movimento. Calcidio affermerà che ai numeri convengono le leggi di armonia, di aritmetica e di geometria che l'anima, in una somiglianza strutturale, riproduce nel corpo del mondo.
Si giunge a dire come i numeri compongano “ontologicamente” la stessa anima. Gioca un ruolo fondamentale, in un contesto di antropologia numerica, il sette, il numero proprio al movimento, specificamente sublunare, e all’uomo, com’è esplicitamente dibattuto da Macrobio, Calcidio, Marziano, Favonio Eulogio. I quattro tardolatini, basandosi su fondamentali concetti pitagorici e postillando quanto le fonti greche a loro conosciute avevano dibattuto, sviluppano una dottrina della nascita e della crescita dell’uomo basandosi su relazioni puramente aritmologiche, in cui la vita umana stessa risulta scandita attraverso settenari.
Senza dubbio stimolante risulterebbe comprendere la peculiarità, le motivazioni e le finalità che questi autori latini della tarda antichità - rispetto ai loro antecedenti e coevi greci - si proponevano nell'esporre tali interconnessioni tra cosmologia e antropologia aritmologicamente sostanziate.