Nei decenni iniziali del Cinquecento, prima nella poesia latina e poi in quella volgare, il "lusus pastoralis" si afferma configurandosi come un genere libero da obblighi allegorici, quindi volutamente semplice, ma carico di potenziali...
moreNei decenni iniziali del Cinquecento, prima nella poesia latina e poi in quella volgare, il "lusus pastoralis" si afferma configurandosi come un genere libero da obblighi allegorici, quindi volutamente semplice, ma carico di potenziali valenze metapoetiche: ibrido originato dall’intersezione tra ecloga ed epigramma, esso dà luogo a un punto di contatto fra la tradizione poetica greco-latina e quella volgare che non sarà privo di risvolti polemici. Come per il genere cui appartiene, quello polimorfo della pastorale, da cui trae gli essenziali elementi figurativi e finzionali, l’impiego o il rifiuto del lusus rivelano una presa di posizione sul valore e sulle finalità della poesia e del poeta, sul rapporto che sussiste fra "res" e "verba", fra letteratura e verità. A tale presa di posizione se ne affiancano, soprattutto nell’ambito della lirica volgare, altre di ordine storico-letterario – l’esigenza di rinnovamento del modello petrarchesco – e retorico – l’opposizione stilistica fra gravitas e suavitas – che segnano confini precisi all’interno dei territori, spesso indistinti, della lirica cinquecentesca. Tramite trattazioni monografiche e analisi per lo più in ottica macrotestuale, mettendo in dialogo teoria e prassi, il libro cerca quindi di comprendere il significato del lusus nell’opera degli autori presi in esame e la funzione che, nel rapporto fra le parti e il tutto, singoli testi o più estese sequenze pastorali svolgono in alcune sillogi della prima metà del Cinquecento.