La guerra dell’Asse, combattuta dall’Italia fascista a fianco della Germania di Hitler, è per lungo tempo rimasta ai margini della ricerca accademica italiana ed internazionale. Negli ultimi venti anni, tuttavia, lo stato degli studi è...
moreLa guerra dell’Asse, combattuta dall’Italia fascista a fianco della Germania di Hitler, è per lungo tempo rimasta ai margini della ricerca accademica italiana ed internazionale. Negli ultimi venti anni, tuttavia, lo stato degli studi è profondamente cambiato ed una nuova generazione di storici ha mostrato un rinnovato interesse in questa fase della seconda guerra mondiale, pubblicando numerose opere sulle occupazioni italiane in Grecia, nei Balcani e nell’Unione Sovietica (Rodogno 2003; Gobetti 2007; Schlemmer 2009; Giusti 2016). Rispetto all’approfondirsi della comprensione storica, lo studio della produzione culturale legata alla guerra dell’Asse resta ancora parziale e limitato, concentrato più su una serie di casi specifici che su di una visione di insieme. Questo articolo vuole offrire una mappatura della rappresentazione cinematografica italiana della guerra dell’Asse nel corso del novecento, ricostruendo le fasi salienti del complicato rapporto che il cinema italiano ha instaurato con il difficile lascito della guerra fascista.
Partendo dalle numerose pellicole prodotte nel dopoguerra, già oggetto di recenti indagini scientifiche (Fantoni 2018), l’articolo mostra che a questa iniziale, acritica, ma ampia produzione, incentrata sui valori del nazionalismo cattolico, che recuperava stilemi del tardo cinema di guerra fascista (Ben Ghiat 2015; Zambenedetti 2017), è seguita una fase di progressiva estromissione della guerra dell’Asse dal panorama cinematografico italiano. Per illustrare tale processo l’articolo prende in esame una serie di film progettati negli anni 50 e 60 che, a seguito di meccanismi censorii diretti ed indiretti, non furono mai realizzati, come le sceneggiature sull’occupazione italiana in Grecia di Ugo Pirro e Renzo Renzi e gli adattamenti dei testi letterari di Renzo Biasion e Mario Rigoni Stern, che avevano attratto l’attenzione di registi del calibro di Roberto Rossellini ed Ermanno Olmi. Anche in conseguenza del fallimento di tali progetti, nei decenni successivi solo un numero esiguo di film ha trattato in modo specifico la guerra dell’Asse, dandone una rappresentazione edulcorata e auto-assolutoria, tutta incentrata sul mito identitario degli Italiani brava gente. L’articolo analizza questa costruzione discorsiva, che si è progressivamente affermata come perno centrale della memoria italiana della seconda guerra mondiale (Focardi 2013), concentrandosi su due film, I due colonnelli di Steno e Italiani Brava Gente di Giuseppe De Santis, mostrando il ruolo fondamentale della rielaborazione cinematografica nella trasmissione della memoria pubblica del passato (Erll 2011).
I due filoni principali della rappresentazione italiana della guerra dell’Asse indagati da questo articolo, ossia quello acritico nazionalista, dominante nel dopoguerra, e quello successivo, più rado, ma costante, incentrato sull’idea autoassolutoria degli italiani buoni ed innocui, hanno mascherato il ruolo di aggressore dell’esercito italiano sotto il fascismo, impedendo che il cinema potesse fungere da piattaforma per una riflessione sulle colpe e responsabilità degli italiani in relazione alla seconda guerra mondiale. L’articolo si chiude sondando se una rappresentazione diversa della guerra dell’Asse, che consentisse una riflessione critica sul passato, sia mai stata tentata dal cinema italiano, offrendone esempi tratti dai film Le soldatesse di Valerio Zurlini e Il generale dell'armata morta di Luciano Tovoli.