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SOGLIE Letterature, arte e comunicazione n. 2 collana diretta da Mauro Ponzi (Roma “La Sapienza”) Comitato scientifico: Elena Agazzi (Letteratura tedesca – Bergamo), Vittoria Borsò (Romanistik – Heinrich Heine Universität – Düsseldorf), Roberto Campari (Storia del cinema – Parma), Lidia De Michelis (Letteratura inglese – Milano), Felix Duque (Universidad Autonoma de Madrid), Ettore Finazzi Agrò (Letteratura portoghese e brasiliana – Roma “La Sapienza”), Michel Jennings (Modern Languages and German – Princeton), Luigi Marinelli (Lingua e letteratura polacca – Roma “La Sapienza”), Jolanda Nigro Covre (Storia dell’arte contemporanea – Roma “La Sapienza”), Alexis Nuselovici / Nouss (Cardiff School of European Studies), Isabella Pezzini (Semiotica – Roma “La Sapienza”), Lucia Re (Italianistica – UCLA, Los Angeles-Santa Barbara), Annamaria Scaiola (Letteratura francese – Roma “La Sapienza”), Aldo Venturelli (Letteratura tedesca – Urbino), Bernd Witte (Germanistik – Heinrich Heine Universität – Düsseldorf) SOGLIE Per una nuova teoria dello spazio a cura di Mauro Ponzi e Dario Gentili MIMESIS Soglie © 2012 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) Collana: Soglie, n. 2 www.mimesisedizioni. it / www.mimesisbookshop.com Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono +39 02 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935 Via Chiamparis, 94 – 33013 Gemona del Friuli (UD) E-mail: mimesis@mimesisedizioni.it INDICE INTRODUZIONE di Mauro Ponzi e Dario Gentili p. 7 SOGLIE DI ESTRANEITÀ di Bernhard Waldenfels p. 15 SULLA SOGLIA TRA VISIBILITÀ E DICIBILITÀ: L’EVENTO DELLA VISIONE NEL MATERIALE DELL’IMMAGINE di Vittoria Borsò p. 31 GEOGRAFIE DELLA SOGLIA di Paolo Giaccaria e Claudio Minca p. 47 IL CANTO DELLE SIRENE di Massimo Donà p. 61 L’EUROPA, DI SOGLIA IN SOGLIA di Alexis Nuselovici/Nouss p. 95 LA MEMBRANA EUROPEA di Félix Duque p. 107 SOGLIE SPAZI INTERMEDI NAPOLI COME TOPOGRAFIA DEGLI SPAZI INTERMEDI: LA SOGLIA TRA IL VECCHIO E IL NUOVO di Mauro Ponzi p. 131 SENTIRSI IN DEBITO. ETICA ED ESTETICA DEGLI SPAZI INTERMEDI di Pietro Montani p. 151 LA METAFORA BIBLICA DELLA SOGLIA IN ROSENZWEIG E IN KAFKA di Irene Kajon p. 159 TEMPO-SOGLIA. MOSÈ E OMERO COME FIGURE 1770-1800 di Bernd Witte p. 173 LA SOGLIA APERTA TRA HEIDEGGER E LÉVINAS di Carmelo Meazza p. 187 TRA LE DUE MORTI: SOGLIA COME LUOGO DEL REALE di Fabio Vighi p. 199 TOPOGRAFIE DEL CAPITALISMO NELLA PARIGI METROPOLI XIX SECOLO di Dario Gentili p. 213 DOMINANTI DELLA SVOLTA CULTURALE DEL ETEROTOPIE AL SECONDO SGUARDO. SCRITTURA A PALINSESTO E CARATTERE BENJAMIN di Michael Jennings p. 229 “IN PRIMO PIANO, I DIOSCURI”. TOPOGRAFIE BENJAMINIANE TRA LABIRINTO E TEMPIO di Gabriele Guerra p. 245 L’ISTANTE E L’ESTASI. PSICOLOGIA, FILOSOFIA E MISTICA MAUTHNER E BUBER di Stefano Poggi p. 259 D’IMMAGINE NELLA PROSA DELL’ULTIMO TRA LA SFINGE QUALE CREATURA DELLA SOGLIA O DEL CONFINE TRA I SESSI di Wolfgang Müller-Funk p. 271 LIMES/LIMEN. IL BRASILE “TERZO” SÉRGIO BUARQUE DE HOLANDA di Ettore Finazzi Agrò p. 291 TRAUERSPIEL E OPERA IN WALTER BENJAMIN di Elio Matassi p. 305 DI 47 PAOLO GIACCARIA E CLAUDIO MINCA GEOGRAFIE DELLA SOGLIA «Non l’atto di tracciare i confini ma la loro cancellazione o negazione […] è l’atto costitutivo della città»1 afferma Giorgio Agamben nell’aprire i cantieri della sua teoria dello spazio politico moderno. Questa affermazione, da sola, basterebbe a dare il senso della sfida implicita che il pensiero di Agamben rappresenta per la geografia umana contemporanea. Agamben annuncia infatti che «[è] venuto [...] il momento di rileggere da capo tutto il mito di fondazione della città moderna, da Hobbes a Rousseau».2 Riscrivere il mito fondatore della città significa anche, in un certo senso, riscrivere le fondamenta della geografia come “scrittura della terra”.3 In questo senso, il “cantiere” agambeniano consiste dunque non solo nel tentativo di costruire una teoria unitaria del potere, ma anche nella produzione di una specifica teoria spaziale del potere: una teoria in grado di investigare la costituzione del potere sovrano a partire da un’esplorazione dello stato di eccezione e delle sue localizzazioni fondamentali, il campo e il bando.4 Si spiega così, almeno in parte, la fortuna dell’opera di Agamben presso la koiné della geografia anglo-americana – oltre che ovviamente della filosofia politica – una fortuna associata alla traduzione quasi integrale delle sue opere negli ultimi due decenni. In particolare, la trilogia che compone il progetto Homo Sacer (Homo Sacer, Quel che resta di Auschwitz e Stato di eccezione) è stata letta dai geografi come una proposta di rilettura critica dell’ontologia spaziale alla base dell’arcanum imperii del potere sovrano nel moderno, un disegno che mostra come ogni stato di eccezione si traduca necessariamente anche in uno spazio di eccezione.5 Tra le varie metafore 1 2 3 4 5 Giorgio Agamben, Homo Sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995, p. 95. Ivi, p. 121. Cfr. Giuseppe Dematteis, Le metafore della terra, Feltrinelli, Milano 1985. Cfr. Claudio Minca, Agamben’s geography of modernity, “Political Geography”, 26, 2007, pp. 78-97. Cfr. Claudio Minca, The return of the camp, “Progress in Human Geography”, 29, 4, 2005, 405-412. Id., Giorgio Agamben and the new biopolitical Nomos, “Geografiska Annaler B”, 88, 4, pp. 387-403. 48 Soglie spaziali proposte da Agamben nella sua opera, il campo, inteso come nomos biopolitico e come spazio di eccezione, è quella che ha maggiormente colpito l’immaginario geografico, producendo una vivace letteratura incentrata soprattutto sulla natura biopolitica dello spazio-campo contemporaneo associato alla cosiddetta guerra al terrore,6 ma anche, più recentemente, sulla topografia del campo nazista inteso come spazio-soglia.7 Non è questa la sede per una ricostruzione genealogica della recente popolarità di una certa letteratura filosofica italiana nella geografia di lingua inglese o, più in generale, nell’accademia anglo-americana. Ciò che intendiamo fare in questo breve intervento è piuttosto proporre una rilettura in chiave geografica della metafora della soglia, così come essa è stata utilizzata da Giorgio Agamben e, prima di lui, da Walter Benjamin. In particolare, focalizzeremo la nostra attenzione su un’apparente aporia presente in questa specifica lettura della soglia. Da un lato, l’immagine benjaminiana-agambeniana della soglia sembra fondere e confondere lo spazio metaforico e lo spazio, per così dire, “concreto”, il “palcoscenico” materiale della nostra esistenza. La soglia dei Passagenwerk e di Homo Sacer rimanda infatti a uno spazio ideale, metaforico, astratto, concepito però sempre in relazione indissolubile a uno spazio materiale, concreto (il passaggio, il campo). Si tratta, quindi, di una tipica questione geografica. Dall’altro lato, curiosamente, la portata “geografica” della metafora della soglia non sembra esser stata colta appieno dai geografi (e men che meno dai filosofi della politica) anglo-americani, che tanto interesse hanno mostrato invece per la teoria del campo. Questa assenza di interesse colpisce ancor di più se consideriamo che essa investe in egual misura sia l’esegesi agambeniana operata recentemente dalle scienze sociali sia la più consolidata ermeneutica dell’opera di Benjamin.8 A partire da questo cortocircuito si apre perciò la nostra riflessione sulla natura geografica della soglia, che punta ad avanzare, provocatoriamente, l’ipotesi che il sapere geografico tout court possa essere pensato anche come “teoria della soglia”. Se è vero che la storia della geografia è per certi versi la storia dell’affermazione dell’ordinamento e del controllo cartografico sul mondo, come vuole Franco Farinelli,9 al contempo, nella sua storia, 6 7 8 9 Si veda l’intero numero monografico di “Geografiska Annaler B”, 88, 4, 2006. Cfr. Paolo Giaccaria e Claudio Minca, Topographies/topologies of the camp: Auschwitz as a spatial threshold, “Political Geography”, 30, 2011, pp. 3-12. Si vedano, per esempio: Susan Buck-Morss, The dialectics of seeing, MIT Press, Harvard 1991; Beatrice Hanssen (a cura di), Walter Benjamin and the Arcades Project, Continuum International, New York 2006. Cfr. Franco Farinelli, Geografia, Einaudi, Torino 2003; Id., La crisi della ragione cartografica, Einaudi, Torino 2009. Si veda anche Gunnar Olsson, Abysmal. A P. Giaccaria e C. Minca - Geografie della soglia 49 la geografia ha conosciuto spunti e momenti in cui ha, per così dire, “frequentato” la soglia – prima di sprofondare nelle sabbie mobili della sua immaginazione cartografica, da cui pare essere riemersa solo recentemente. Genealogie della soglia: da Benjamin ad Agamben La riflessione di Agamben sull’eccezione sovrana è segnata da una “spazializzazione” dello stato di eccezione, da un tentativo cioè di afferrare e ritorcere contro se stessa la dimensione spaziale dell’ontologia politica costruita da Carl Schmitt. Agamben fa infatti ricorso continuo a metafore spaziali per penetrare la natura profonda dello stato di eccezione, inteso come «luogo in cui l’opposizione fra la norma e la sua attuazione raggiunge la massima intensità. Esso è un campo di tensioni giuridiche, in cui un minimo di vigenza formale coincide con un massimo di applicazione reale e viceversa. Ma anche in questa zona estrema e, anzi, proprio in virtù di essa, i due elementi del diritto mostrano la loro intima coesione».10 Questa opposizione/tensione è, secondo Agamben, la radice profonda della struttura giuridica occidentale. È qui che abita “il fondamento della città” ed è a partire da qui che bisogna indagare il funzionamento della «spazializzazione originaria»,11 il gesto ontologico schmittiano fondamentale, se il lettore ci passa il termine, che regola il nesso tra ordinamento (Ordnung) e localizzazione (Ortung). Lo stato/spazio di eccezione «è il dispositivo che deve [...] articolare e tenere insieme i due aspetti della macchina giuridico-politica, istituendo una soglia di indecidibilità tra anomia e nomos, tra vita e diritto, tra auctoritas e potestas».12 Finché i due elementi rimangono correlati, insiste Agamben, ma concettualmente, temporalmente e spazialmente distinti, la loro dialettica – ancorché fondata su una finzione – può in qualche modo funzionare. Ma «quando lo stato di eccezione, in cui essi si legano e si indeterminano, diventa la regola, allora il sistema giuridico-politico si trasforma in una macchina letale».13 10 11 12 13 critique of cartographic reason, Chicago University Press, Chicago 2007. Sulla nozione di razionalità calcolatrice in ambito geografico si veda: Stuart Elden, Speaking against number: Heidegger, language and the politics of calculation, Edinburgh University Press, Edimburgo 2006. Giorgio Agamben, Stato di eccezione, Bollati Boringhieri, Torino 2003, p. 49, corsivo aggiunto. Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., p. 123. Giorgio Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 110. Ibidem. 50 Soglie L’ontologia spaziale della lettura agambeniana di Schmitt non si limita tuttavia alla dimensione metaforica, ma procede a una seconda e più radicale spazializzazione, alla definizione cioè concomitante e simultanea di uno spazio metaforico, ma anche, come si diceva poco sopra, materiale, concreto, duro – di una dimensione perciò genuinamente geografica. L’eccezione fattasi regola, che Agamben identifica come condizione tardo moderna in cui sono sprofondate le democrazie occidentali, necessita infatti di un dove, di una localizzazione materiale in cui l’attualizzazione del potere sovrano tradotta in gesto eccezionale ha effettivamente “luogo”. Questa concreta localizzazione rende infatti possibile la convergenza tra norma e trasgressione della stessa, collocandole in una zona di indistinzione dove l’eccezione riceve forma, significato e legittimazione. È in questo spazio-soglia che abitano sia il sovrano sia l’homo sacer14 – ed è tra le pieghe di questo campo di tensioni che si insinuano le odierne geografie dell’eccezione, che rischiano di trasformare il “politico” in una mera geo-biopolitica. In questo spazio-soglia le categorie dentro/fuori, inclusione/esclusione, concepite come antinomiche dalla “ragione cartografica”, dopo aver segnato lungo tutto il Novecento le rappresentazioni geografiche, vengono ripensate e articolate in una relazione topologica: «[e]ssere-fuori e, tuttavia, appartenere: questa è la struttura topologica dello stato di eccezione»,15 che «non è […] tanto una sospensione spazio-temporale, quanto una figura topologica complessa, in cui non solo l’eccezione e la regola, ma anche lo stato di natura e il diritto, il fuori e il dentro transitano l’uno nell’altro».16 La soglia diventa, in questa prospettiva, il locus in cui la spazializzazione agambeniana trova la sua formulazione più compiuta e radicale: […] lo stato di eccezione non è né esterno né interno all’ordinamento giuridico e il problema della sua definizione concerne appunto una soglia, o una zona di indifferenza, in cui dentro e fuori non si escludono, ma s’indeterminano. La sospensione della norma non significa la sua abolizione e la zona di anomia che essa instaura non è […] senza relazione con l’ordine giuridico. Di qui l’interesse di quelle teorie che, come quella di Schmitt, complicano l’opposizione topografica in una più complessa relazione topologica, in cui è in questione il limite stesso dell’ordinamento giuridico. In ogni caso, la comprensione del problema dello spazio di eccezione presuppone una corretta determinazione della sua localizzazione (o illocalizzazione). […] il conflitto sullo stato di eccezione si presenta essenzialmente come una disputa sul locus che gli compete.17 14 15 16 17 Cfr. Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., pp. 90-96. Giorgio Agamben, Stato di eccezione, cit., p. 48. Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., p. 44. Giorgio Agamben, Stato di eccezione, cit., pp. 33-34, enfasi aggiunta. P. Giaccaria e C. Minca - Geografie della soglia 51 Pur mancando al proposito un riferimento diretto da parte di Agamben, questa concettualizzazione della soglia pare fortemente tributaria nei confronti del Benjamin del Passagenwerk, di cui il filosofo italiano ha curato la prima edizione italiana nel 1986. Sebbene per certi versi il Passagenwerk nel suo complesso possa esser letto come una teoria della soglia in nuce,18 vale la pena qui di soffermarsi sulla celebre definizione che Benjamin offre di questo concetto nelle pagine dedicate a prostituzione e gioco: Rites de passage – così sono dette nel folclore le cerimonie connesse alla morte, alla nascita, al matrimonio, a diventare adulti, ecc. Nella vita moderna questi passaggi sono divenuti sempre più irriconoscibili e impercettibili. Siamo diventati molto poveri di esperienze della soglia. […] Le soglie, da cui agli amanti e agli amici piace attingere le forze, non sono solo quelle che appartengono a queste porte fantastiche, ma le soglie in quanto tali. Tuttavia le puttane amano le soglie di queste porte del sogno. La soglia deve essere distinta molto nettamente dal confine. La soglia [Schwelle] è una zona. La parola «schwellen» [gonfiarsi] racchiude i significati di mutamento, passaggio, straripamento, significati che l’etimologia non deve lasciarsi sfuggire. D’altronde è necessario attenersi fermamente al contesto tettonico e cerimoniale che ha portato la parola al suo significato.19 La soglia è qui non solo metafora spaziale, in relazione alle “porte fantastiche”, ma anche concreto spazio materiale, “in quanto tale”. La materialità, la fisicità della porta è ancorata qui all’indugiare delle prostitute sulla soglia che, in qualche maniera, si riconnette all’apertura sui riti di passaggio, al vincolo che lega soglia, passaggio e trasformazione. La dimensione spaziale della soglia diventa poi ancora più esplicita con la distinzione tra “soglia” e “confine” e la sua definizione come zona di “mutamento, passaggio, straripamento”. La soglia è perciò da intendersi non come confine netto – calcolabile, cartografico – che separa inequivocabilmente un dentro da un fuori, ma piuttosto come una frontiera, una zona grigia, una topologia complessa cui rimanda, sempre nel Passagenwerk, la riflessione, per esempio, sul panorama20 e sugli specchi.21 I passaggi-soglia benjaminiani celano dunque una complessa spazialità topologica in cui dentro e fuori diventano 18 19 20 21 Cfr. Dario Gentili, Topografie politiche. Spazio urbano, cittadinanza, confini in Walter Benjamin e Jacques Derrida, Quodlibet, Macerata 2009, in particolare pp. 45-56. Walter Benjamin, I “passages” di Parigi, Einaudi, Torino 2000, p. 555. Cfr. ivi, p. 595. Cfr. ivi, pp. 600, 605. 52 Soglie indistinguibili, si includono reciprocamente escludendosi, una lezione che ritroviamo quasi identica, ancorché implicita, nell’opera di Agamben. Sia per Benjamin sia per Agamben, infatti, la soglia è uno spazio di indistinzione e di indecidibilità tra interno e esterno. Soprattutto, l’esegesi benjaminiana della violenza rivoluzionaria e del carattere distruttivo verte proprio sulla necessità di lasciare questa soglia messianicamente libera:22 Il carattere distruttivo non ha immaginazione. Ha poche esigenze, e la minima è: sapere che cosa subentra a ciò che è distrutto. In un primo momento, per un attimo almeno, lo spazio vuoto: il posto dove era la cosa, dove era vissuto l’uomo. Si troverà poi prima o poi qualcuno che ne ha bisogno senza occuparlo.23 All’orizzonte di Benjamin non è dato vedere un sovrano in grado di occupare questa soglia e di riformulare e dare nuova legittimazione a uno spazio politico di ordine cartografico, dove interno ed esterno, incluso ed escluso, amico e nemico siano riconoscibili e separabili da un confine stabile e visibile, un confine metaforico e al contempo materiale. Per Benjamin quella soglia è invece un’immagine dialettica,24 che non può e non deve essere “occupata”, in cui non è data sintesi hegeliana o spirito della storia che trascendano la tensione, immanente nella soglia, tra interno ed esterno. Come i passages parigini, quella soglia può essere solo attraversata-e-abitata, ma mai occupata e, quindi, cartografata. Trasformare la soglia in un confine equivale a immaginare e produrre un terzo termine, una sintesi dialettica che restituisca “interno” ed “esterno” come due spazi distinti, calcolabili, cartografabili appunto. La soglia di Benjamin, invece, resiste alla ragione cartografica e alla sua logica calcolatrice. Piuttosto, come nota Agamben a proposito del rapporto tra natura e umanità, «secondo il modello benjaminiano di una “dialettica in stato di arresto”, decisivo è qui soltanto il “tra”, l’intervallo e quasi il gioco fra i due termini, la loro costellazione immediata in una non-coincidenza».25 La posta in gioco della biopolitica – e come vedremo della geografia – moderna è quindi proprio l’occupazione di quella soglia, che per Benjamin dovrebbe rimanere libera, mai sigillata da un confine cartografico, restare 22 23 24 25 Cfr. Dario Gentili, Topografie politiche, cit., pp. 79-93. Walter Benjamin, Il carattere distruttivo, in Id., Opere Complete IV: Scritti 19301931, Einaudi, Torino 2001, p. 521. Cfr. Maria Teresa Costa, Il carattere distruttivo. Walter Benjamin e il pensiero della soglia, Quodlibet, Macerata 2008, pp. 87-105. Giorgio Agamben, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino 1995, p. 85. P. Giaccaria e C. Minca - Geografie della soglia 53 disponibile, “aperta”, «uno spazio liberato dal potere e dalla topografia del confine».26 Questa l’aporia dell’eccezione sovrana: da un lato, lo “spazio di eccezione” viene per così dire occupato attraverso il dispositivo della decisione sovrana, che Agamben presenta come un processo di “inclusione esclusiva” e, al contempo, “esclusione inclusiva”; dall’altro, esso è attraversato da una tensione associata al tentativo di occultare la soglia stessa presentandola come fosse un confine, uno spazio cartografabile. Questa operazione non consiste in altro che in un tentativo di stabilizzare, attraverso un dispositivo spaziale, la soglia, ovverosia, in altre parole, nel localizzare l’illocalizzabile; e, come ricorda Agamben, «[q]uando il nostro tempo ha cercato di dare una localizzazione visibile permanente a questo illocalizzabile, il risultato è stato il campo di concentramento».27 Geopolitica e biopolitica dello Stato-nazione28 Da un punto di vista politico, questa soglia rappresenta non solo il punto cardinale di ogni possibile geografia dell’eccezione, ma anche un passaggio fondamentale nella produzione del corpo della nazione e della sua territorializzazione, un destino storico il cui fallimento, come ben sappiamo, era gia inscritto nel suo concepimento.29 Agamben, come è noto, propone di partire dal gesto originario che sta all’origine dello Stato nazione moderno: l’inclusione della nuda vita come fondamento della sua legittimità e del suo principio di sovranità. Con la nascita delle democrazie occidentali ogni individuo diventa soggetto sovrano di diritto e il suo corpo viene progressivamente concepito come parte di un “tutto” organico più grande. Lo Stato nazione borghese dall’Ottocento in poi pensa il “popolo” appunto come corpo, la nazione come la sua spazializzazione. I cittadini diventano membri di questo corpo-nazione da gestire, organizzare, contenere, geografare e “identificare” – sia nel senso di individuare il principio che li rende “identici”, sia nel senso di ridurre la loro soggettività a una unità di 26 27 28 29 Dario Gentili, Destruzione. Demolizione, vetro, deserto, spazzatura: Walter Benjamin e l’architettura, in AA.VV., Le vie della distruzione. A partire da Il carattere distruttivo di Walter Benjamin, Macerata, Quodlibet, 2010, p. 89. Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., p. 24. Questa sezione riprende un argomento già sviluppato in questi termini in Claudio Minca, Agamben’s geography, in particolare pp. 78-80. Cfr. Roberto Esposito, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 2006. 54 Soglie misura. Il popolo si trasformerà così, di lì a poco, in “popolazione”, cioè in puro concetto politico-spaziale.30 Non solo dalla nascita ognuno diventa parte della nazione, ma il legame con lo ius soli si impone come l’elemento originario di produzione della cittadinanza e la definizione dell’appartenenza (anche biologica) alla nazione come una questione politica fondamentale. Proprio per l’ambiguità che questa finzione porta in seno, dove il diritto non saprà arrivare arriverà invece la geografia, con la sua incessante opera di traduzione della soglia in confine cartografico, contribuendo così a riprodurre la mimesi della coincidenza tra nascita, nazione e territorio – quella che Agamben definisce come la trinità della politica moderna. La protezione e la cura del corpus della nazione diventa così il mandato supremo della politica, e la medicina e la geografia sono i due terreni in cui questo compito sembra dispiegarsi in una maniera tanto evidente, quanto mimetica. Il potere sovrano si esercita quindi nella perpetua tutela dei confini di questo “corpo”, spostandoli, definendo, attraverso un processo di inclusione esclusiva che non può mai cessare, l’uccidibilità di chi su questo confine mobile è abbandonato dalla norma. È da questa inclusione esclusiva, che passa necessariamente attraverso una spazializzazione infinita del principio originario della nazione, che ha origine il principio stesso di cittadinanza e appartenenza, genuina espressione spaziale della struttura del bando. Quando gli stati nazione cominceranno a separare sistematicamente vita autentica e vita nuda, priva di valore politico (cioè esaustivamente politica), la cittadinanza si potrà dire soltanto in termini geografici, mentre la nuda vita si tradurrà inevitabilmente in pura biopolitica.31 La soglia tra le due vite – la sua “scomparsa dalla vista”, il tentativo di convertirla in confine cartografico attraverso continue cesure – diventa così il vero terreno della politica contemporanea e proprio la sua necessaria mobilità, il suo bisogno di essere incessantemente prodotto attraverso una serie di pratiche spaziali, rende tutti i cittadini potenzialmente degli homines sacri. Con la dissoluzione definitiva del nomos della terra che aveva consentito, secondo Schmitt, allo ius publicum europeo di esportare in uno spazio esterno le tensioni prodotte da questa ambiguità originaria – dissoluzione che sia Schmitt sia Agamben fanno coincidere con la Prima Guerra Mondiale – l’arcano segreto di questa struttura del potere verrà tragicamente alla luce e 30 31 Cfr. Andrea Cavalletti, La città biopolitica. Mitologie della sicurezza, Bruno Mondadori, Milano 2005. Cfr. Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., pp. 146-147. P. Giaccaria e C. Minca - Geografie della soglia 55 mostrerà la faccia violenta della finzione che ha fatto a lungo credere nella coincidenza ineluttabile tra nascita e nazione. Avendo raggiunto il limite incompiuto (e forse incompibile) del suo destino storico, lo Stato nazione finirà per scambiare un effetto speciale – cioè il compromesso tra physis e nomos, tra nascita e nazione, su cui si fonda il progetto borghese di Stato – nel proprio compito essenziale. Privato di una grande teoria spaziale capace di dare senso alla sua effettiva conquista del mondo – il nomos della terra – lo Stato nazione spezza definitivamente il rapporto tra ordinamento e territorio, e rivela il suo fondamento nascosto.32 I confini spazio-temporali dello spazio giuridicamente vuoto – che Schmitt individua, con un certo essenzialismo, nello spazio non-europeo e nel regime dell’eccezione che a lungo governa i mari – sono così infranti e finiscono per confondersi e coincidere con l’ordinamento normale. In questo spazio vuoto, penetrato nel cuore della stessa Europa che l’ha originariamente prodotto, tutto diventa veramente possibile. Con il crollo del vecchio nomos della terra, sottolinea dunque Agamben, lo scarto rimosso tra nascita e nazione viene messo in luce e perde la sua capacità di autoregolazione;33 si apre così la porta a fascismo e nazismo, regimi biopolitici per eccellenza che traducono il ruolo della nuda vita nella struttura dello Stato in compito politico supremo, in destino storico.34 È qui che la geopolitica si trasgredisce in biopolitica, rappresentando il ritorno violento al fondamento costitutivo del potere sovrano, alla soglia di indistinzione tra bios e zoë: la nuda vita abita così «nella terra di nessuno tra la casa e la città»,35 tra biografia e geografia, tra vissuto e mappa. In un corpo nazionale che deve essere infinitamente purificato, la traduzione cartografica della nazione diventa un altro modo di dire un progetto spaziale che punta per definizione a questa purificazione, come se fosse un’espressione ideale e da raggiungere, ma mai raggiungibile, di forma politica territoriale, di nomos della terra. La geografia qui si avvicina sinistramente alla biografia e contribuisce, con la finzione cartografica, a tenere in vita il nesso micidiale tra nascita e nazione, destinato a quel punto a percorrere una via senza ritorno che lo porterà alle sue estreme conseguenze. Per questo, secondo Agamben, «la vita sacra non può in nessun caso abitare nella città degli uomini»,36 perché la biopolitica moderna ha la «necessità di ridefinire continuamente nella vita la soglia che articola e separa ciò che e dentro da 32 33 34 35 36 Cfr. Giorgio Agamben, Homo sacer, cit., pp. 42-44. Cfr. ivi, pp. 145-146. Cfr. ivi, pp. 150-159. Ivi, p. 101. Ivi, p. 112. 56 Soglie ciò che e fuori».37 La scrittura e la significazione di questa soglia è quindi un’operazione decisiva. La geografia come teoria della soglia Tradizionalmente collocatasi all’intersezione tra nomos e physis, la geografia non solo segna, racconta, riconosce questo limes, ma esiste in quanto teoria (spesso implicita) della soglia. Le rappresentazioni geografiche, insegna Dematteis, sono metafore che si collocano tra l’esistente e ciò che potrebbe esistere, mostrano cioè connessioni tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Per questa ragione si candidano da sempre alla mappatura del dentro e del fuori e di ciò che lo determina e/o lo potrebbe determinare. Se scambiamo, come abbiamo fatto troppo a lungo, queste metafore per spazio geografico (id est geometrico), dimenticando che altro non sono se non misure “aperte” del possibile, rischiamo di produrre un vero e proprio mostro, il cartografo sovrano (o il sovrano cartografo) che, abitando uno spazio indistinto, non si situa né dentro né fuori dalla metafora, ma si esclude dal mondo che esso descrive per deciderne, di volta in volta, il principio di inclusiva esclusione. Pensare la geografia come una teoria della soglia equivale a riconoscere che il cartografo sovrano esercita la sua sovranità nella decisione sull’apertura e chiusura di quella soglia tra la carta e la terra, dove opera la trasformazione della terra in mondo – e in ultima analisi dell’animale in uomo.38 Terminata la sua opera demiurgica, al geografo/cartografo sono date due possibilità: egli può svelare la soglia, lasciarla vuota e libera, abitarla senza occuparla, affinché chi ne ha bisogno possa produrre nuovi mondi, oppure può decidere di sigillarla tracciando un confine, di nasconderla, di velarla con sapienza da illusionista, con l’inganno dello spazio cartografico, calcolabile, ordinabile, che separa, con confini che si vorrebbero certi e immutabili, interno ed esterno. Il primo gesto che sembra supportare questa chiave di lettura è l’invenzione del paesaggio “scientifico” da parte di Alexander von Humboldt.39 Affidandoci all’interpretazione che della sua opera offre Franco Farinelli,40 è importante sottolineare come, nel tradurre il concetto estetico di pae37 38 39 40 Ivi, pp. 144-145. Cfr. Giorgio Agamben, L’aperto, cit., pp. 75-77. Cfr. Alexander von Humboldt, I quadri della natura, La Nuova Italia, Firenze 1998 (ed. originale 1808). Cfr. Franco Farinelli, I segni del mondo, La Nuova Italia, Firenze 1992. P. Giaccaria e C. Minca - Geografie della soglia 57 saggio in uno strumento scientifico di accesso al mondo, Humboldt giochi abilmente su una serie di soglie strategiche, intese come luogo in cui esperienza e comprensione del mondo si toccano e diventano progetto.41 Vincenzo Guarrasi ha perciò ragione quando suggerisce che il paesaggio si può intendere come soglia;42 e ha particolare ragione se si pensa al modo in cui Humboldt traghetta il paesaggio all’interno del pensiero politico-scientifico dell’Europa borghese a cui era diretta la sua opera. Per Humboldt, infatti, il paesaggio è innanzi tutto una soglia politica; è, implicitamente, lo spazio nel quale la cultura estetica del suo tempo s’incontra con il grande progetto borghese di conquista scientifica del mondo. Ma è anche il sito in cui le sue inclinazioni romantiche si fondono con i principi illuministi che guidano le sue esplorazioni e la sua teoria del viaggio, in una prospettiva sullo spazio caratterizzata dall’assenza di un confine preciso, senza limite, ma non per questo meno utile come strumento di conoscenza del mondo. Il paesaggio per Humboldt è esattamente una soglia di accesso alla realtà, una porta sempre aperta, uno spazio della conoscenza genuinamente moderno, e pertanto gravido di tutta l’ambiguità del caso. Il paesaggio domina la teoria della conoscenza di Humboldt proprio perché si fa veicolo che traduce la geografia in teoria della soglia; una soglia che definisce il confine mobile tra lo spazio conchiuso della misura scientifica e l’impressione della natura, tra geografia scientifica e la nostra esperienza quotidiana del mondo. Il paesaggio-soglia humboldtiano spiega, include, definisce, concretizza entrambe queste dimensioni, e in questo senso rappresenta una prospettiva sinceramente moderna del sapere geografico. Peccato che la geografia, che si fa nei decenni successivi scienza di Stato, finirà per dimenticare la preziosa funzione di soglia cognitiva e politica che il progetto dell’Erdkunde le assegna. È interamente merito di Franco Farinelli se oggi possiamo rileggere con nuovo interesse la natura più autentica di quel progetto. Un secondo gesto a cui si può fare riferimento per comprendere la geografia come possibile teoria della soglia (ma molti altri sono immaginabili) è il progetto della Geographie Humane partorito da Paul Vidal de la Blache a cavallo tra Ottocento e Novecento e, in particolare, la teoria regionale implicita che gli sta dietro, imbevuta di storicismo positivista e 41 42 Cfr. Claudio Minca, Humboldt’s compromise, or the forgotten geographies of landscape, “Progress in Human Geography”, 31, 2, 2007, pp. 179-193. Cfr. Vincenzo Guarrasi, Paradoxes of Modern and Postmodern Geography, in C. Minca (a cura di), Postmodern Geographies, Blackwell, London 2001, pp. 226237. 58 Soglie spesso presentata come genuino prodotto dell’umanesimo europeo.43 Per Vidal la geografia è “la scienza dei luoghi”. Una scienza di sintesi, uno strano compromesso tra aspetti idiografici ed elementi classificatori, tra dati e osservazione diretta, tra capacità descrittiva del geografo e realtà del territorio. Questa almeno la lettura storica ufficiale che è stata tramandata ormai per un secolo attraverso le diverse tradizioni geografiche nazionali, europee e non. A ben guardare, tuttavia, la geografia regionale francese – che verrà poi chiamata “possibilista” – si fonda su una sorta di storicizzazione del rapporto tra comunità e ambiente, sull’analisi della sedimentazione, in un determinato luogo, del lavorio umano sul territorio. L’esito di questa sedimentazione è l’unicità di ogni prodotto territoriale spontaneo, come la regione: un corpo “organico” che rappresenta la più genuina manifestazione del rapporto biunivoco tra l’umano e il naturale. Pure in questo caso si tratta di una teoria della soglia, anche se del tutto implicita o, meglio, nascosta, occultata. La prima soglia cruciale è quella che definisce, a priori, ma in realtà come atto politico-scientifico fondamentale, il confine tra il naturale e l’umano. Anzi, lo scopo della geografia possibilista, la sua sopravvivenza, si fonda proprio sull’analisi di questo confine, inteso tuttavia come soglia vera e propria, come spazio in cui i due elementi che fanno la vita di una comunità (cultura e natura) si penetrano reciprocamente, si influenzano, si fondono determinando quelli che, con una prospettiva necessariamente “verticale”, diventano il luogo e la regione vidaliani. La stessa soglia, teorizzata nel lavoro empirico, sul terrain, ma poi nascosta nella sua testualizzazione, è quella che ospita il geografo, curioso osservatore diretto di una serie di aspetti visibili e materiali dell’oggetto territoriale studiato, ma poi oggettivo, nascosto formulatore di teorie sullo stesso. Il geografo vidaliano vive e viaggia sempre sulla/nella soglia, l’unica vera condizione che gli viene concessa, l’unico spazio reale e metaforico che gli consente di scrivere le geografie del rapporto tra comunità e ambiente e di fatto di decidere del confine tra le due. Per certi versi si tratta, come nel caso dell’esperimento humboldtiano, di “impressioni”, ma questa volta non più presentate come tali, perché contrabbandate per scienza e conoscenza dirette della realtà del territorio. La soglia, spazio decisivo per la produzione del sapere geografico vidaliano, scompare così dalla vista e la zona grigia tra comunità e ambiente diventa – con mossa epistemologica tutta politica – un dato di fatto, una configurazione ovvia che il geografo non deve far altro che riconoscere e testualizzare. La soglia che ospita il geografo, interprete 43 Cfr. Paul Vidal de la Blache, Principes de géographie humaine, Colin, Paris 1922. P. Giaccaria e C. Minca - Geografie della soglia 59 e decisore, come in buona parte della geografia moderna dominata dalla logica cartografica, diventa così uno spazio invisibile, ma non per questo meno effettivo ed efficace. “Chiudendo” la soglia tra comunità e ambiente i due termini finiscono col coincidere: all’orizzonte mobile humboldtiano si sostituisce la certezza dei confini e delle partizioni del territorio, al paesaggio si sostituisce il pays, la regione reificata, il genre de vie, il genius loci, ovverosia il terzo termine, la sintesi dialettica che chiude la soglia, la vela, rendendola inaccessibile ai bisogni dei geografi che verranno. Il ritorno della/sulla soglia Se accettiamo queste considerazioni, possiamo cominciare a guardare il rapporto tra geografia e potere attraverso le lenti della soglia in modo diverso e potenzialmente innovativo. Di particolare interesse a questo proposito è il rapporto che il “soggetto della geografia” instaura con la soglia. Il soggetto della geografia moderna è infatti l’abitante naturale della soglia, un abitante che a un certo momento della storia della disciplina decide di nascondersi dalla vista, di sparire, e che, attraverso le lenti della ragione cartografica comincia a giocare – di nuovo, senza esser visto – tra rappresentazione e territorio, teoria e pratica, spostando liberamente il confine tra le due grazie allo spazio grigio e immateriale che lo ospita e maschera il potere di cui è intrisa la sua azione. La posta in palio era particolarmente alta: si trattava di far sparire, con la soglia, il processo di produzione del confine tra descrizione e prescrizione, tra linguaggio e potere. Le geografie regionali insegnate lungo tutto il Novecento sui banchi di scuola in Europa e, sempre di più, nel resto del mondo, non erano infatti altro che l’esplicitazione banale di una relazione politica necessaria (e perciò nascosta per apparire innocente) tra bios e zoë, natura e cultura, selva e città. Tutta la geografia positivista, cioè sostanzialmente tutta la geografia di Stato novecentesca, secondo Farinelli, è consistita in uno sforzo per dire questa zona di indistinzione senza nominarla mai, e renderla insieme costitutiva dello Stato nazione (che deve appunto riscrivere continuamente i suoi confini interni facendoli apparire come ovvi ed eterni) e invisibile. Questo strano punto di coincidenza tra cultura e natura su cui gran parte della geografia umana d’impronta vidaliana – ma anche quella neo-positivista – sopravvive, è lo stesso che segna quella soglia tra la vita della città, del luogo e il rigor mortis della carta (del soggetto che guarda, immobile, il paesaggio, la comunità, ecc.), una soglia che ha progressivamente colonizzato le nostre categorie del possibile. 60 Soglie Per certi versi, tutta l’architettura gnoseologica della geografia positivista (il che significa di buona parte della geografia del Novecento) si fonda su questo trucco, un trucco che consente non solo di nascondere il potere (sovrano?) di chi pensa e decide geograficamente il destino e lo spazio degli altri, ma soprattutto consente di far sparire la soglia stessa – quello spazio nel quale invece dovremmo immergere a fondo le mani per comprendere la natura ambivalente del soggetto moderno della geografia e la teoria della soglia che sorregge il suo edificio concettuale. Una geografia della soglia – o, meglio, un’analisi della geografia come teoria della soglia – deve quindi essere ancora scritta. Ma si tratta di un compito oltremodo urgente se accettiamo che interrogarsi sulla concettualizzazione agambeniana della soglia come spazio di eccezione possa essere adottata all’interno di un discorso emancipatorio sui limiti della razionalità calcolatrice e cartografica. Del resto, quale altra disciplina ha fatto del proprio compito supremo quello di pensare insieme due mondi – quello umano e quello naturale – contribuendo pur tuttavia a tenerli rigorosamente separati? Quale altra disciplina si e dedicata con tanta passione all’esplorazione della città, cioè alla definizione dei rapporti eminenti tra nomos e physis? È possibile che, come sembra suggerire Giuseppe Dematteis nel suo influente Le Metafore della Terra, proprio per questa sua genesi compromissoria con il potere, la geografia possa offrire una teoria della soglia in grado di scardinare la struttura sovrana dell’eccezione sulla quale ha costruito in passato la sua fortuna? Saprà la geografia, proprio in virtù di questo suo ruolo storico – del resto riconosciuto dallo stesso Agamben – fornire un linguaggio, una teoria spaziale in grado di immaginare una teoria della politica esente dal mitologema relazionale della città e da tutti i suoi derivati concettuali – come il principio di “appartenenza” e “identità” territoriale? Sapremo, in altre parole, pensare una nuova città in grado di scardinare la violenza sovrana prodotta dalle geografie permanenti dell’eccezione?