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ORAZIO CONDORELLI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note Estratto da Diritto e Religioni Semestrale Anno IX - N. 2-2014 Gruppo Periodici Pellegrini Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note1 ORAZIO CONDORELLI 1. La Legazia Apostolica nel quadro delle istituzioni ecclesiastiche siciliane Nel secolo XVI le istituzioni ecclesiastiche del Regnum Siciliae ruotavano attorno al privilegio della Legazia Apostolica o Regia Monarchia. La polizia ecclesiastica del Regno si caratterizzava, inoltre, per il diritto di regia placitazione (placet o exequatur) e per la nomina regia dei vescovi, dovuta al fatto che le sedi episcopali siciliane erano di regio patronato, poiché erano state rifondate e dotate dai Normanni, che nel secolo XI avevano riconquistato l’Isola dopo tre secoli di dominio arabo. La Legazia Apostolica era il privilegio in base al quale il Re di Sicilia si considerava legato nato del Papa, avendo così titolo per esercitare una serie di poteri giurisdizionali circa sacra. Era detto anche Regia Monarchia, a significare che in Sicilia non operava la consueta diarchia tra Re e Sommo Pontefice nella distinzione della giurisdizione civile ed ecclesiastica, perché anche i poteri ecclesiastici erano concentrati nelle mani del Re quale legato del Papa. Negli anni Ottanta del secolo XVI l’istituto della Legazia aveva assunto il suo assetto sostanzialmente definitivo. Nel suo nucleo essenziale, esso comportava che le cause ecclesiastiche non potevano essere tratte fuori dal Regno: in luogo del Papa, la giurisdizione ecclesiastica era esercitata dal Re attraverso il Tribunale della Regia Monarchia. Esso era la magistratura suprema di appello nelle cause celebrate presso i tribunali vescovili o arcivescovili. Il Tribunale aveva anche il diritto di avocare, omisso medio, le cause ecclesiastiche pendenti in grado inferiore, e il potere di cassare, su istanza degli interessati, 1 Queste pagine sono dedicate a Mario Tedeschi nell’occasione del suo settantesimo compleanno. Relazione presentata alla Tagung della Althusius Gesellschaft svoltasi a Rotterdam, 15-18 maggio 2013, sul tema Confessional Paradigms for European Politics and Jurisprudence in the 17th Century? Una versione ridotta in lingua inglese sarà pubblicata negli Atti dell’Incontro. Ricerca condotta nel quadro del progetto «Dinamiche delle relazioni tra pluralismo, religione e diritto. Percorsi storici e problemi attuali nel processo di integrazione europea», finanziato con fondi Fir 2014 dell'Università degli Studi di Catania. PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 441 Orazio Condorelli qualsiasi provvedimento dell’autorità ecclesiastica, anche extragiudiziale, nel quale una parte avesse lamentato la violazione dei suoi diritti. Il privilegio della Legazia risaliva a una concessione elargita da Urbano II al Conte Ruggero il Normanno, probabilmente 1098. Su questa concessione, nel corso dei secoli, i Re di Sicilia avevano fondato una serie di potestà in materia ecclesiastica decisamente esorbitanti rispetto ai limitati contenuti della bolla di Urbano II. Il consolidamento di tali poteri è evidente già in età aragonese. Come aveva affermato nel 1433 il canonista Nicolò Tedeschi, la potestà del Re di Sicilia di giudicare le cause ecclesiastiche «loco Romane curie» derivava «ex privilegiis Summorum Pontificum et ex antiquissima consuetudine»2. Della bolla urbaniana, tuttavia, si era persa la memoria, fino a quando, nel 1508, essa fu ritrovata e pubblicata da Giovan Luca Barberi nel Capibrevium de Regia Monarchia, commissionato da Ferdinando II di Castiglia. La riscoperta del documento diede vigore alla politica dei ministri regi, ma dall’altro lato alimentò l’azione della Santa Sede diretta a contrastare le tanto ampie e profonde prerogative del Re di Sicilia circa sacra. La reazione romana percorse due vie. In primo luogo fu negata l’autenticità della bolla di Urbano II. In secondo luogo, e subordinatamente, si contestò che le limitate concessioni contenute nel provvedimento potessero comunque giustificare l’amplissimo fascio di competenze giurisdizionali che i Re di Sicilia esercitavano, fondandole sul privilegio papale. Questa fu, appunto, la tesi sostenuta da Cesare Baronio nella dissertazione sulla «male instituta» Legazia sicula inserita nel tomo XI degli Annales Ecclesiastici, pubblicato nel 16053. 2. Conflitti giurisdizionali e consolidamento della Regia Monarchia nel secolo XVI. Il «Tractatus de Regia Monarchia» di Antonio Scibecca nel contesto di un dibattito europeo I conflitti giurisdizionali, apertisi nel secolo XVI tra la monarchia spagnola (nei cui domini rientrava il Regnum Siciliae) e la Santa Sede, caratterizzano Sentenza di Nicolò Tedeschi quale iudex deputatus da Alfonso il Magnanimo: può leggersi parzialmente nel Discorso istorico-apologetico della Monarchia di Sicilia composto da GIAMBATTISTA CARUSO d’ordine di Vittorio Amedeo per la prima volta pubblicato ed annotato per GIOVANNI MARIA MIRA, Palermo, Stamperia di G.B. Gaudiano, 1863, pp. 61 s. L’edizione integrale è data da ANDREA ROMANO, Tribunali, giudici e sentenze nel «Regnum Siciliae» (1130-1516), in Judicial Records, Law Reports, and the Growth of Case Law, ed. JOHN H. BAKER, Berlin, Dunckler und Humblot, 1989, pp. 211-301 (289 s.). 3 Annales ecclesiastici, XI, Romae, Ex Typographia Vaticana, 1605, pp. 677-710, nn. 18-44. 2 442 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note gli ultimi quattro secoli di storia della Legazia Apostolica. Si può dire che tra i secoli XVI e XIX le vicende della Legazia Apostolica mostrano un conflitto permanente tra i Re di Sicilia e la Santa Sede, che si esaurì solo quando il Regno d’Italia rinunciò al privilegio della Legazia con la legge 214 del 1871 (nota come Legge delle Guarentigie Pontificie). Tale conflitto diede origine a un’ampia elaborazione dottrinale che si pone, in gran parte, sul piano della letteratura polemica o apologetica di stampo curialista o regalista. In questo panorama non mancano opere di carattere propriamente scientifico, dirette a trattare le problematiche di carattere giuridico e teologico ruotanti attorno all’istituto della Legazia. Dopo il dibattito sulla Legazia svoltosi nel Concilio di Trento, le intense trattative diplomatiche intercorse tra Spagna e Santa Sede tra il 1578 e il 1581 si risolsero in un nulla di fatto. Proprio in questa fase storica la Legazia Apostolica consolidò le sue strutture. Nel 1579 il Tribunale della Regia Monarchia divenne una magistratura stabile, alla quale era preposto una persona ecclesiastica di rango episcopale. Fra il 1580 e il 1582 il viceré Marco Antonio Colonna promulgò una serie di Ordinazioni che definivano le linee essenziali delle competenze del Tribunale della Regia Monarchia e della procedura da seguire nei giudizi di fronte ad esso4. A questa stabilizzazione delle competenze e delle procedure si collega il Tractatus de Regia Monarchia di Antonio Scibecca, giurista siciliano che ricoprì diverse funzioni nelle più alte magistraure del Regno. L’opera (composta tra il 1578 e il 1583) è la prima trattazione che analizza, sotto il profilo giuridico, i fondamenti e le prerogative della Regia Monarchia5. Secondo l’argomento tipico dei sostenitori della legittimità dell’istituto, la Legazia si basava sul duplice fondamento del privilegio papale e della consuetudine immemorabile. Il privilegio di Urbano, inoltre, era remuneratorio, perché era stato concesso in compenso dei meriti acquisiti dai Normanni nella liberazione dell’Isola dalla dominazione musulmana. Per tale ragione il privilegio aveva acquisito forza di contratto, e non poteva essere revocato senza il consenso del beneficiario. La potestà regia, derivante dalla delega papale, poteva essere delegata dal Re al suo vicario (il Viceré), e da questi ai magistrati del regno. Ferme restando le peculiarità della situazione siciliana, nel trattato di Scibecca i diversi poteri connessi alla Possono leggersi in CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., pp. 313-316. L’opera, conservata manoscritta, è stata trasmessa anche con altri titoli, fra i quali De preheminentiis ecclesiasticis Catholici regis Philippi in Regno Siciliae. Il trattato è stato recentemente studiato da MARIA TERESA NAPOLI, La Regia Monarchia di Sicilia. «Ponere falcem in messem alienam» (Pubblicazioni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Roma «La Sapienza», 57), Napoli, Jovene, 2012, pp. 340-393, opera sulla quale mi sono basato per quanto brevemente scrivo in queste pagine. 4 5 PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 443 Orazio Condorelli Legazia Apostolica sono sostenuti dal copioso ricorso alla dottrina giuridica francese e ispanica: in particolare a quegli autori che avevano elaborato e giustificato le prassi regalistiche invalse nei Regni di Francia e di Spagna (Jean Ferrault, Étienne Aufreri, Charles de Grassaille, Arnoul Ruzé, Martín de Azpilcueta, Diego de Covarrubias fra i tanti). Attraverso questi autori fa ingresso nel discorso di Scibecca anche il tema di quelle prerogative che il re avrebbe potuto esercitare «citra rationem legationis ex regio munere»6, cioè per un potere originario connesso con la funzione regale. È il caso, ad esempio, della giurisdizione regia diretta a reprimere e cassare gli abusi commessi dalle autorità ecclesiastiche attraverso censure o provvedimenti extragiudiziali violenti o ingiusti. Su questo tema aveva scritto delle pagine esemplari Diego de Covarrubias nel cap. 35 delle Practicae Quaestiones, là dove tratta «delle cause e degli affari ecclesiastici che sono soliti essere frequentemente esaminati dai tribunali di questo Regno di Castiglia»7. In generale, Covarrubias afferma che tale competenza dei tribunali regi ha il fine di garantire l’utilità e la quiete della Respublica8. Questo argomento è poi applicato al caso degli interventi regi nelle cause in cui una persona lamenti di essere stata ingiustamente oppressa da un provvedimento ingiusto o violento dell’autorità ecclesiastica. La protezione regia, in tale ipotesi, costituisce un efficace rimedio contro gli abusi della giurisdizione ecclesiastica che potrebbero trovare occasione nella lontananza della Spagna dalla Curia Romana9. Questa opinione, inoltre, gode del suffragio dell’autorità canonica: Covarrubias menziona tre canoni grazianei – frequentemente invocati 6 ANTONIO SCIBECCA, Tractatus de Regia Monarchia, citato da NAPOLI, La Regia Monarchia, cit., p. 375 nota 131. 7 DIEGO DE COVARRUBIAS, Practicarum Quaestionum liber unus, caput XXXV, De rebus et negotiis ecclesiasticis, que solent apud huius Castellani Regni pretoria frequenter examinari (Didaci Covarruvias a Leyva Toletani, Episcopi Segobiensis, Philippi II Hispaniarum Regis Summo Praefecti Praetorio, ac Iuris Interpretis acutissimi Operum, Tomus Secundus, Lugduni, Sumptibus Horatii Boissat et Georgii Remeus, 1661, pp. 501b-505a). 8 COVARRUBIAS, Practicarum Quaestionum liber unus, caput XXXV (ed. cit., p. 502a): «Plerumque fit, ut pro maxima Reipublice utilitate, et quiete, cause quedam ecclesiastice ad Castellani Regni suprema auditoria deferantur multis sane de causis, que solent in disputationem adduci, ne ulla ex parte distinctis iurisdictionibus, et tribunalibus, lesio fiat». 9 COVARRUBIAS, Practicarum Quaestionum liber unus, caput XXXV (ed. cit., p. 503a-b): «Ceterum in hac Regia et Castellana Republica illud observatissimum est, et diu obtinuit a tempore, quod memoria hominum excedit, posse ab his, qui a iudicibus ecclesiasticis vi et censuris opprimuntur, regios auditores et consiliarios, qui apud regia suprema pretoria iura litigantibus reddunt, omnino adiri, ut vim auferant, et compellant iudices ecclesiasticos ab ea inferenda cessare… Hic autem forensis usus et praxis, qua Regii Consiliarii utuntur, multis rationibus iustificari potest, et primo propter maximam eius utilitatem, que reipublice accedit: cum alioqui nisi remedium hoc, et auxilium adversus iudices ecclesiasticos adhiberetur, gravissime opprimerentur innocentes a iudicibus ecclesiasticis, qui procul a Romana curia passim iurisdictione et potestate ecclesiastica abuterentur». 444 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note dai giuristi che trattavano questo tema – nei quali si faceva carico ai Re della tutela della disciplina ecclesiastica e della protezione degli oppressi10. A suggello del discorso Covarrubias conclude che la giustizia di tale prassi può infine dedursi dal fatto che essa è seguita da quasi tutti i principi secolari del mondo cristiano (in particolar modo nei Regni di Francia e di Castiglia), che esercitano tali poteri sia per l’utilità della Respublica che a garanzia del retto ed equilibrato esercizio della giurisdizione spirituale e temporale11. 3. Il «Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis» di Baldassarre Abruzzo e i problemi emergenti dalla bolla «In coena Domini». Cenni su un dibattito europeo Se questi argomenti, diretti a ricondurre alcune potestà dei sovrani circa sacra nell’alveo della regalità di diritto divino, fanno apparizione nella dottrina giuridica siciliana, questa rimarrà saldamente legata alla orgogliosa difesa del privilegio papale quale fonte primaria dei poteri ecclesiastici del Re di Sicilia. Alcuni decenni dopo Scibecca, il privilegio papale, irrevocabiGRAZIANO, Decretum, C.16 q.7 c.31 (Concilio di Toledo IX, anno 655, c.1): «Filiis, vel nepotibus, ac honestioribus propinquis eius, qui construxit vel ditavit ecclesiam, licitum sit hanc habere sollertiam, ut, si sacerdotem aliquid ex collatis rebus defraudare previderint, aut honesta conventione conpescant, aut episcopo uel iudici corrigenda denuncient. Quod si talia episcopus agere temptet, metropolitano eius hec insinuare procurent. Si autem metropolitanus talia gerat, regis hec auribus intimare non differant»; C.23 q.5 c.20: «Item Ysidorus. [lib. III. Sent. de summo bono, c. 53.]: Principes seculi nonnumquam intra ecclesiam potestatis adeptae culmina tenent, ut per eandem potestatem disciplinam ecclesiasticam muniant. Ceterum intra ecclesiam potestates necessariae non essent, nisi ut quod non prevalent sacerdotes efficere per doctrinae sermonem potestas hoc inperet per disciplinae terrorem…»; C.23 q.5 c.23: «Item Ieronimus super Hieremiam. [ad c. 22.3]: Regum est proprium, facere iudicium atque iusticiam, et liberare de manu calumpniantium vi obpressos…» (le citazioni sono tratte dall’edizione di AEMILIUS FRIEDBERG, Corpus Iuris Canonici, I, Leipzig, Tauchniz, 1879). 11 COVARRUBIAS, Practicarum Quaestionum liber unus, caput XXXV (ed. cit., pp. 503b-504a): «Quinto, iustitia huius praxis ex eo deduci videtur, quod cum omnes fere Christiani orbis principes seculares hac utantur, et tot annis fuerint usi potestate, consilio prudentissimorum virorum qui iustitie zelo et christiana pietate id ipsis persuaserint, credendum omnino est hoc in maximam fieri Reipublice utilitatem, commodum et ad rectum utriusque spiritualis et temporalis, iurisdictionis usum et compendium. Quod si quis contendat a principibus secularibus hanc tollere potestatem, statim, non quidem sero comperiet experimento manifestissimo, quantum calamitatis Reipublice invexerit. Hic vero forensis usus non tantum in his Castellanis Regis Hispaniarum ditionibus et principatibus, sed et apud Gallos, aliosque Christiane Reipublice seculares principes est equidem receptissimus, ut commemorant omnium, quos ego legerim, diligentissime Martinus Azpilcueta in c. Cum contingat de rescriptis remedio 1 pag. 146, Carolus de Grassalia lib. 2 Regalium Francie, iure 7; Stephanus Aufrerius in Clem. de officio ordin. reg. 2 fallentia 30». In questo contesto Covarrubias approva anche l’uso dell’exequatur regio, come esso era praticato, oltre che in Spagna, anche nel Regno di Francia e in Fiandra. 10 PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 445 Orazio Condorelli le perché ha acquisito forza di contratto, e la consuetudine immemorabile continuano a essere i fondamentali argomenti posti a sostegno della Legazia Apostolica nel Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis di Baldassarre Abruzzo (1644): la condizione di legatus a latere del Sommo Pontefice è considerata la pietra angolare («lapis angularis») di tutta la sua trattazione, perché la concessione papale rimane il fondamento precipuo sul quale si reggono le prerogative regie in materia ecclesiastica12. Fra i problemi trattati nell’opera, che richiedevano valutazioni sia giuridiche che morali dei fatti in questione, vi era quello se la bolla In coena Domini derogasse alle prerogative del Tribunale della Regia Monarchia. Come è noto tale bolla, che i Pontefici solevano pubblicare ogni anno il giovedì Santo, conteneva una serie di provvedimenti contro i violatori delle immunità ecclesiastiche, i quali erano puniti con la scomunica la cui assoluzione era riservata alla Sede Apostolica. Nel testo della bolla pubblicato da Pio V a partire dal 1568 vi erano diversi punti che toccavano direttamente, sia pure in termini astratti, le prerogative della Regia Monarchia13. Era vietato al clero il ricorso alla giustizia civile sul pretesto del gravame inflitto da un atto della potestà ecclesiastica; si proibiva ai magistrati regi di ostacolare l’esecuzione di provvedimenti papali e, più, in generale, di impedire o ostacolare la giurisdizione ecclesiastica; era condannata la promulgazione di leggi che in qualunque modo violassero la libertà della Chiesa. L’incidenza di siffatte prescrizioni sull’istituto della Legazia Apostolica era profonda, perché, alla base, esse si rivolgevano alla coscienza di ciascun fedele e toccavano la delicatissima questione della duplice obbedienza, a Dio (e al suo vicario in terra) e a Cesare. Per le premesse sopra accennate, Baldassarre Abruzzo ritiene che i provvedimenti della bolla non intendessero derogare al privilegio della Regia Monarchia. A questa conclusione il giurista aggiunge che, nella peculiare situazione del Regno di Sicilia, la bolla non obbliga in coscienza. La ragione di questa conclusione si fonda su una intepretazione di un famoso dictum di Graziano: «Le leggi sono istituite quando sono promulgate, sono 12 L’opera è rimasta inedita fino alla recentissima edizione di MARIA TERESA NAPOLI, Censura e giurisdizione. Il «Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis» di Baldassarre Abruzzo (1601-1665) (Storia del diritto e delle istituzioni, Fonti 2), Roma, Aracne, 2012. Sul punto trattato nel testo v. il Singulare primum, an Tribunal regie Monarchie Sicilie regni sit legatus natus Pape cum potestate de latere, pp. 89 e 95: «… si concessio legatie a Papa Rogerio Comiti facta eiusque successoribus seu heredibus pro tot servitiis Catholice Ecclesie prestitis vera esse<t> sequeretur quod transisset in vim contractus fuissetque irrevocabilis etiam de plenitudine potestatis, Summus enim Presul tenetur servare ius nature et consequenter conventiones…». 13 Ho potuto consultare la bolla pubblicata nel 1572, che ripropone le clausole presenti nel 1568: Bulla S.D.N.D. Pii divina Providentia Papae V lecta in die coenae Domini anno M.D.LXX.II, Romae, Apud haeredes Antonii Bladii Impressores Camerales. 446 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note confermate quando sono approvate dai comportamenti degli utenti»14. La bolla non obbliga in coscienza perché, appunto, non è stata recepita nel Regno e perché, secondo un argomento ricorrente in dottrina, la legge papale è promulgata con la tacita condizione che possa obbligare solo in quanto sia stata recepita dal popolo15. A suffragio di questa conclusione Abruzzo allega l’autorità di alcuni moralisti, fra i quali Juan de Valero. Il Certosino spagnolo aveva sostenuto questa tesi trattando la questione se in una causa avente materia ecclesiastica fosse legittimo il ricorso alla giurisdizione secolare contro gli atti ingiusti o violenti. Valero aveva dato una risposta affermativa non solo sulla scia di quella che egli riteneva essere la dottrina comune, ma anche sulla base di una pratica comunemente osservata «sine ullo scrupulo» nei Regni di Spagna, Portogallo, Francia e Napoli16. GRAZIANO, Decretum, dictum post D.4 c.3: «Leges instituuntur, cum promulgantur, firmantur, cum moribus utentium approbantur. Sicut enim moribus utentium in contrarium nonnullae leges hodie abrogatae sunt, ita moribus utentium ipsae leges confirmantur». 15 ABRUZZO, Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis, Singulare sedecimum, An ius Tribunalis R.M. derogetur a bulla Cene Domini (ed. cit., p. 282): «Quinto probatur quia dato non concesso quod Bulla Cene Domini abrogaret iuribus R.M., ex quo non est usu recepta in hoc Sicilie regno non obligaret in conscientia, Putean. in 2 parte Div. Tom. quest. 11 art. 4 dub. 2, Filiuc. tom. 1 tract. 11 cap. 5 n. 11, Ioan. Valer. in different. utriusque fori verb. peccatum differen. 30 n. 20, Beian. p. 2 tract. 3 cap. 6 quest. 8 n. 4, lex enim pontificia habet tacitam conditionem ut obliget si a populo acceptetur. Prelati enim receperunt potestatem a Christo Domino ad edificationem non ad destructionem, D. Paul. 2 ad Corinth. cap. 13, nec minus obstat quod Bulla Cene quot annis a Summo Presule publicetur, nam quot annis non acceptatur». 16 Differentiae inter utrumque forum iudiciale videlicet, et conscientiae… auctore IOANNE VALERO Valentino Segobrigen. Decretorum D. Priore domus Carthusiae Maioricen. Iesu Nazareni, Venetiis, apud Paulum Balleonium, 1645, v. Peccatum, differentia trigesima, pp. 326b-328a: «Clericus spoliatus de facto sua possessione beneficii, vel timens ab ea sine cause cognitione spoliari, vel appellans legitime ab excommunicatione comminata, si nihilominus excommunicetur et denuncietur, potest in foro exteriori adire iudicem secularem supremum, ut eum defendat, et vim repellat. Ita quotidie practicatur in Regnis Hispaniae, Lusitanie, Gallie, Neapolis et aliis…» (pp. 326b-327a). Valero cita quindi un copioso numero di auctoritates favorevoli a questa opinione. Secondo altri, come per esempio Azorius, ciò non sarebbe lecito «in foro conscientiae»; ma «contrarium tenent communiter Doctores, et observat communis practica in prefatis regnis sine ullo scrupulo» (p. 327a). L’intepretazione della bolla In coena Domini deve dunque tener conto di una implicita condizione: «Merito doctores tenentes hanc partem limitant bullam Cene Domini, dicto cap. 14 alias 15, ex tacita mente Summi Pontificis, nempe non loqui de casu predicto violentie et defensione extraordinaria…» (p. 327b). Se anche si volesse negare questa intepretazione, la bolla non obbligherebbe in coscienza nella misura in cui non sia stata recepita nei determinari regni dove si osserva una pratica contraria: «respondeo… hoc esse probabile, nimirum excusari a pena dicto c. 15 illum qui adit tribunal Regis occasione dicte violentie et oppressionis si ad idem tribunal accedunt alii in similibus causis, licet erronee. Quia in nulla culpa est faciens quod communiter alii faciunt, licet sit erroneum. Ipsi autem iudices videant si secura conscientia id facere possint. Preterea etiam excusantur partes litigantes, si de consilio advocatorum suorum id faciant. Denique cum predicta communis practica sit a tempore immemoriali usu recepta, et habeat graves doctores pro se, hoc sufficit ad excusandum quem a culpa, maxime quia numquam fuit receptum prefatum cap. 15 quoad casum violentie et oppressionis per viam defensionis extraordinarie…» (p. 327b). 14 PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 447 Orazio Condorelli 4. La Regia Monarchia nel quadro delle immunità ecclesiastiche. Temi temi teologico-giuridici nelle «Resolutiones morales» di Antonino Diana. La reazione di un giurista: Mario Cutelli Nella citata sezione del trattato Baldassarre Abruzzo aveva esordito – con tono che rasentava lo scherno – ricordando che la questione del rapporto tra bolla In coena Domini e Tribunale della Regia Monarchia era stata affrontata, «con timore e tremore», dal padre Antonino Diana, il quale, secondo il suo costume, si era limitato a recitare le opinioni altrui17. Fa qui la sua apparizione il celebre teologo palermitano, autore delle Resolutiones morales, opera la cui amplissima diffusione europea fu proporzionale alla fama e all’autorevolezza rapidamente acquisite dall’autore. Attorno a Diana coagulavano le forze del partito favorevole alla posizione romana e critico nei confronti di una politica governativa gelosamente attaccata alla difesa di prerogative giurisdizionali circa sacra ripetutamente condannate dalla Santa Sede. La lettura della risoluzione citata da Abruzzo si rivela, in effetti, deludente per chi pensi trovarvi un’aperta presa di posizione di Diana nei confronti del privilegio della Regia Monarchia18. Nondimeno, vi sono parecchi luoghi delle Resolutiones morales nei quali sono trattate questioni riguardanti i rapporti tra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione secolare, nei quali il riferimento alle peculiarità della Legazia Apostolica traspare sotto la veste di questioni astrattamente poste. Trattando delle immunità ecclesiastiche, in particolare del problema se i chierici siano esenti dalla giurisdizione secolare, Diana si chiede se tale immunità possa essere revocata in forza di una consuetudine imme- 17 ABRUZZO, Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis, Singulare sedecimum, An ius Tribunalis R.M. derogetur a bulla Cene Domini (ed. cit., p. 278): «Presentem dubitationem discutiendam proposuit Pater Antoninus Diana p. 2 tract. 1 resol. 74 et cum timore et tremore nihil determinat sed solum adducit contra Tribunal… in favorem vero Tribunalis R.M. … Protestatur ulterius nihil de suo in hoc dicere tanquam si in rei veritate plura in aliis resolutionisbus de suo dixisset…». 18 Ho utilizzato la seguente edizione: R.P.D. ANTONINI DIANA Panormitani clerici regularis et Sancti Officii Regni Siciliae consultoris, Resolutiones morales in tres partes distributae, in quibus selectiores casus conscientiae breviter, dilucide, et ut plurimum benigne cum variis Tractatibus explicantur, editio tertia…, Montibus, Typis Francisci Waudraei Typographi jurati, sub Bibliis, 1636. Sul tema in oggetto v. Pars III, Tractatus I, de immunitate ecclesiastica, resolutio LXXIV, An Bulla Cene tollat casus Regni Galliarum, quas privilegiatos appellant, et quid de privilegio Monarchie Regni Sicilie? (ed. cit., p. 314a-b): «Ego vero circa resolutionem huius casus de meo nihil dicam, et nihil ponam, solum referre volui quos alii dixerunt». Coerentemente con questo principio, Diana non fa che allegare una serie di autori che contestano «acriter» la giurisdizione del Tribunale della Regia Monarchia (fra i quali Cesare Baronio), e un’altra serie di autori (fra i quali Antonio Scibetta) che invece difendono il privilegio. 448 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note morabile19. Sebbene alcuni autori, come Covarrubias, abbiano dato una risposta affermativa allegando la prassi corrente in diversi Regni europei, sulla questione Diana mantiene l’opinione negativa, che con decisione era stata sostenuta da Francisco Suárez20. Nemmeno la tolleranza del Sommo Pontefice può avere la forza di legittimare tali prassi, perché la tolleranza non rappresenta un’implicita approvazione delle stesse prassi, ma è solo diretta a evitare mali maggiori. A suo dire, tuttavia, non può escludersi a priori che su talune questioni toccate nella bolla In coena Domini possa eventualmente ravvisarsi un «consensus tacitus et approbativus» del Papa riguardo a determinate prassi che derogano alla bolla stessa. Ciò premesso, DIANA, Resolutiones morales, Pars I, Tractatus II, de immunitate ecclesiastica, resolutio IV, An per consuetudinem, maxime si sit immemorabilis, dicta immunitas revocari possit (ed. cit., p. 14a-b). Qui Diana invita il lettore a usare molta cautela nell’attribuire autorità a Covarrubias in una materia, come questa delle relazioni tra giurisdizione ecclesiastica e civile, nella quale il giurista spagnolo sarebbe stato troppo parziale, secondo un’opinione del cardinale Bellarmino. Diana fa anche un interessante riferimento all’opinione di JUAN DE MADARIAGA, citato per il Tractatus de senatu pubblicato anonimo col titolo: Govierno de Principes y de sus Consejos para el bien de la Republica. Con un tratado de los Pontifices, y Prelados de España, y de los Grandes, y Titulos, y linages Nobles della. Compuesto per un devoto religioso que por su humilidad no se nombra. Corregido y emendado en esta ultima impresion, por el P. Maestro Fray Vicente Gomez Prior del Real Convento de Predicadores de Valencia, Valencia, por Juan Bautista Marçal, 1626. Nel Cap. 39, Del respeto con que se han de tratar en el Senado las cosas de Dios, y de la Iglesia: tratase en particular del culto divino, y de las rentas ecclesiasticas, y el punto de las fuerças, Madariaga prende le mosse dall’opinione di Covarrubias (Practicarum Quaestionum liber unus, caput XXXV) relativamente a una materia (recurso de fuerza e pratica dell’exequatur) che giudica essere una vera «pietra dello scandalo»: «Hay en Espana una piedra de escandalo en que tropieçan todos los modernos que escriven, assi teologos como juristas. Los unos la dan por bien asentada, los otros no» (p. 456). Madariaga ritiene (pp. 457 s.) che tali pratiche possano comunque essere esercitate dalle magistrature regie secondo la forma prevista dal c. Si quando, de rescriptis (Decretales Gregorii IX, 1.3.5), norma che dai giuristi veniva posta a fondamento di quella supplicatio dei vescovi al Sommo Pontefice che in seguito sarebbe stata qualificata come ius remonstrandi. Tale modello di azione, secondo Madariaga, si sarebbe dovuto applicare anche nei rapporti tra giurisdizione secolare e Sede Apostolica. In sostanza, l’azione dei magistrati laici avrebbe dovuto assumere la forma di una supplica rivolta alla Sede Apostolica affinché questa rivedesse il provvedimento ritenuto lesivo dei diritti di singoli o di prerogative della Monarchia. A proposito dell’opinione di Covarrubias, comunemente citata al riguardo, conclude: «Que cierto por mas que diga Covarruvias, quando escrivio siendo Oydor de Granada, y por ventura lo quisiera borrar siendo Obispo, hay mucha razon de temer y dudar deste uso tantas vezes reprobados» (p. 458). 20 Diana si riferisce a FRANCISCO SUÁREZ, Contra Regem Angliae (= Defensio fidei Catholicae contra anglicanae sectae errores), liber IV, caput XXXII, Quibus modis possit immunitas ecclesiastica violari, n. 21 (R.P. FRANCISCI SUAREZ e Societate Jesu Opera omnia, editio nova, a CAROLO BERTON… innumeris veterum editionum mendis expurgata, adnotationibusque in ultimum tomum relegatis illustrata…, t. XXIV, Parisiis, Apud Ludovicum Vivès, Bibliopolam Editorem, 1859, p. 511): «Ex dictis ergo satis constat, nullam consuetudinem, etiam si immemorialis sit, ullo modo contra immunitatem ecclesiasticam prevalere posse… Solum obiici solent quedam peculiares consuetudines aliquorum regnorum, que, licet sint contra immunitatem ecclesiasticam, sine scrupulo a magistratibus laicis observantur. Ad illas vero possemus uno verbo respondere, illas consuetudines non ad ius, sed ad facta hominum pertinere, propter que veritatem negare non possumus, neque illorum rationem aut excusationem dare tenemur, sed ad illos hoc spectat, qui consuetudines illas observant…». 19 PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 449 Orazio Condorelli Diana ritiene che la materia sia «multum dubia et periculosa». Al teologo, pertanto, non spetta se non individuare le coordinate del problema: la questione è rimessa alla responsabilità e al discernimento dei principi e dei ministri laici21. Occorre quindi indagare se possano esservi deroghe alla libertà ecclesiastica fondate su privilegi eventualmente esistenti in qualche Regno. Diana ricorda che taluni autori avevano risposto affermativamente quanto ai privilegi del Re di Spagna relativi al tribunale «de la fuerza», o ai privilegi del re di Francia in materia beneficiale, o ai privilegi della Repubblica veneziana in materia di giurisdizione sul clero. Qui Diana tace – probabilmente per prudenza – della peculiare situazione siciliana. La risoluzione del problema richiede che l’esistenza di eventuali privilegi sia di volta in volta accertata; poi, occorre chiedersi se i privilegi effettivamente esistenti siano stati abrogati dalla bolla In coena Domini. Come di consueto, Diana pone a confronto opinioni favorevoli e contrarie, e fa una significativa precisazione circa il privilegio remuneratorio (tale era comunemente ritenuto quello della Legazia Apostolica), che secondo alcuni autori non potrebbe essere unilateralmente revocato dal Pontefice. Anche in questo caso Diana non fa che prendere atto della divaricazione di opinioni, entrambe sostenute dall’autorità di «uomini dottissimi»22. Ulteriore questione è quella se i magistrati secolari possano giudicare le cause ecclesiastiche «per viam violentiae», cioè nel caso della appellatio a gravamine. I giuristi sono soliti rispondere affermativamente – primo ad essere ricordato è Francisco Salgado de Somoza col suo Tractatus de regia protectione23 –. Tra i teologi, alcuni non contestano tale opinione24, affermando che in questo caso l’intervento del giudice è compiuto non «per viam iurisdictionis, sed per viam iuste defensionis». L’opinione comune dei teologi è però negativa, poiché essi ritengono che ogni provvedimento ecclesiastico debba essere impugnato secondo gli ordinari rimedi previsti dal diritto ca21 DIANA, Resolutiones morales, Pars I, Tractatus II, de immunitate ecclesiastica, resolutio V, An adsit tolerantia, et consensus tacitus Summi Pontificis cum dicta consuetudine; ita ut principes aliquid licite efficiant adversus libertatem ecclesiasticam? (ed. cit., pp. 14b-15a): «Sed quia res est multum dubia et periculosa, videant principes et ministri laicalis iurisdictionis, quid faciant» (p. 15a). 22 DIANA, Resolutiones morales, Pars I, Tractatus II, de immunitate ecclesiastica, resolutio VI, An per aliquod privilegium sit in aliquibus Regnis supradicta ecclesiastica libertati derogatum? (ed. cit., p. 15ab). Conclude: «Tuentur igitur utramque sententiam doctissimi viri, sed ad alia procedamus» (p. 15b). 23 Pubblicato la prima volta nel 1626: D. FRANCISCI SALGADO DE SOMOZA, iuris utriusque antecessoris et in Amplissimo Regioque Senatu Galleciae Advocati, Tractatus de regia protectione vi oppressorum appellantium a causis et iudicibus ecclesiasticis. Utrique Reipublicae, tam Ecclesiasticae, quam temporali, valde utilis: necnon supremis regalibus Praetoriis, cunctisque Tribunalibus Ecclesiasticis omnino necessarius…, Lugduni, Sumptibus Laurentii Anisson, et Soc., 1647. 24 Anche sul fondamento dei canoni grazianei solitamente allegati nella questione: cfr. sopra, nota 10. 450 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note nonico. In tanto grave materia Diana ritiene di dovere attenersi alla comune opinione negativa dei teologi, ma non disconosce validità – sia pure «speculative loquendo» – all’osservazione di taluni autori, secondo i quali sarebbe possibile adire la giurisdizione laica nel caso in cui il giudice ecclesiastico fosse assente o non volesse reprimere un abuso25. Un’altra questione nella quale Diana dà atto del consueto contrasto di opinioni è quella se le autorità civili possano trattenere i provvedimenti papali in cancelleria per esaminarli e mandarli ad esecuzione. Anche qui la comune opinione dei giuristi, tra i quali è ricordato il Covarrubias delle Practicae quaestiones, è che tale azione dei magistrati laici sia legittima. Secondo i giuristi il controllo delle bolle pontificie è finalizzato a verificare se le lettere siano state ottenute dolosamente attraverso una falsa rappresentazione dei fatti, e se per questa ragione esse ledano i privilegi del Regno o altre situazioni giuridiche legittime. In definitiva, si tratterebbe di un controllo svolto a vantaggio della stessa Sede Apostolica. All’opposto, i teologi ritengono che un controllo di tal genere dovrebbe comunque essere svolto da prelati ecclesiastici o dai nunzi apostolici26. In un’altra risoluzione Diana si chiede se il privilegio di conoscere le cause ecclesiastiche, concesso a un principe laico, possa essere revocato27. Sotto la veste di un astratto interrogativo trapela con evidenza la realtà storica della Legazia Apostolica di Sicilia. L’autore ritiene che il privilegio possa essere revocato, anche se esso sia rafforzato da una consuetudine immemorabile 25 DIANA, Resolutiones morales, Pars I, Tractatus II, de immunitate ecclesiastica, resolutio XIII, An ministri regii possint cognoscere causas ecclesiasticas per viam violentiae, ut vulgo dicitur (ed. cit., p. 18a-b): «Sed ego in controversia tam gravi, puto non esse recedendum ab hac sententia negativa theologorum, quamvis speculative loquendo, non videatur spernenda aliquorum observatio, qui putant tunc aliquem, cui violentia infertur, posse adire iudicem laicum, quando ad talem vim reprimendam iudex ecclesiasticus non adesset, seu si adesset, nollet reprimere» (p. 18b). La medesima questione è trattata anche in Pars III, Tractatus I, de immunitate ecclesiastica, resolutio LIII, An sit licitum pro vi tollenda recurrere ad Regios tribunales (ed. cit., p. 309a-310a). Anche qui Diana propende per la soluzione negativa. Sull’argomento Diana torna ulteriormente in Resolutiones morales, pars V, de immunitate ecclesiastica, resolutio XII, An sit licitum iudicibus secularibus per viam violentie cognoscere causas ecclesiasticas? (per la pars V ho utilizzato: R.P.D. DIANA Panormitani clerici regularis, et Sancti Officii Regni Siciliae Consultoris, Resolutionum Moralium pars quinta, Venetiis, apud Franciscum Baba, 1640, pp. 15b-17a). 26 DIANA, Resolutiones morales, Pars I, Tractatus II, de immunitate ecclesiastica, resolutio XII, An ministri regii possint detinere in cancellariis bullas apostolicas ad examinandum, et executioni mandandum (ed. cit., pp. 17b-18a). Nel passo si cita il cap. 35 delle Practicae quaestiones di COVARRUBIAS, sul quale mi sono soffermato sopra, nota 7. Sul tema Diana ritorna in Resolutiones morales, Pars V, de immunitate ecclesiastica, resolutio XII, An sit contra immunitatem ecclesiasticam recognoscere et detinere bullas pontificias in regiis cancellariis? (v. sotto, Orientamenti bibliografici e postille, § 4). 27 DIANA, Resolutiones morales, Pars III, Tractatus I, de immunitate ecclesiastica, resolutio LVII, An privilegium cognoscendi causas ecclesiasticas concessum principi laico, revocari possit (ed. cit., p. 310b). PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 451 Orazio Condorelli (privilegium observatum «per consuetudinem immemorabilem tali privilegio innixam»), in quanto sia lesivo della libertà ecclesiastica. E aggiunge un dato rivelatore del reale obiettivo del suo discorso: «adde quod hec censenda est iurisdictio delegata, que revocari potest». E tuttavia la nettezza della conclusione viene temperata da una precisazione riguardante i privilegi concessi in remunerationem, come era comunemente considerato quello della Legazia: essi possono essere revocati solo per giusta causa, per esempio a fronte di una compensazione. Gli effetti delle prescrizioni pontificie che infirmavano l’istituto della Legazia (in primo luogo quelle contenute nella bolla In coena Domini) sono discussi da Diana con riferimento al quesito se le leggi umane, civili o ecclesiastiche, obblighino solo in quanto abbiano ricevuto il consenso e l’accettazione del popolo28. Taluni teologi rispondevano negativamente, perché tra il legislatore e il popolo vi è un necessario rapporto di superiorità e inferiorità che esige l’obbedienza del suddito al sovrano29. Fra l’altro, se il dissenso alla legge fosse libero, si creerebbe una situazione di permanente «bellum iustum» tra legislatore e sudditi, causato da un insanabile conflitto tra la giusta richiesta di obbedienza e la giusta resistenza del popolo30. La soluzione opposta, tuttavia, è sostenuta da «non ignobiles authores» (Azpilcueta, Figliuc28 Diana, Resolutiones morales, Pars I, Tractatus X, De legibus, resolutio I, An, ut leges humane tam civiles, quam pontificie obligent, et requiratur consensus, et acceptatio populi? (ed. cit., p. 146a-b). 29 Fra i teologi citati vi è Francisco Suárez, con due noti capitoli del De legibus ac Deo legislatore: Liber III, caput XIX, utrum acceptatio populi sit necessaria in lege civili ut perfecte constituatur et vim habeat obligandi; Liber IV, caput XVI, utrum lex canonica obliget fideles priusquam ab eis acceptetur (R.P. FRANCISCI SUAREZ e Societate Jesu Opera omnia, editio nova a CAROLO BERTON… accurate recognita, t. V, Parisiis, apud Ludovicum Vivès, Bibliopolam Editorem 1856, rispettivamente pp. 249-253 e 395-399). 30 Sul punto Diana si affida all’opinione di PEDRO DE LORCA. «… Lorca in p. 2 tr. de legib. disp. 20 fol. mihi 445, ubi ita ait: ‘Hec sententia evidens est, nec opposita percipi potest, nam legislatores leges imponunt iure prefecture, et dominii, quod in subditos habent, et obligatio legis oritur ex subiectione, qua subditi prelatis subsunt, et obedientia, quam illis prestare tenentur: obedientie autem vis non oritur a subditi acceptatione; et si liberum esset populo dissentire, et leges respuere, non essent subditi; nam voluntate, et non necessitate parerent, et fieret quasi conventio quedam, et pactum inter subditos et prelatum de observanda lege, nec ullum esset obedientie vinculum. Confirmatur, quia nisi lex cogeret subditos et obligationem induceret absque dependentia ab eorum approbatione, subditique possent dissentire, esset bellum (velum Lorca) utrimque iustum; nam legislator iuste exigit obedientiam et observationem legis, et subditus iuste resistit, cum acceptatio legis eius arbitrio commissa sit. Confirmatur preterea, quia preceptum actuale obligat nullo expectato assensu eius, cui imponitur, nec aliquis oppositum umquam mente concepit: ergo et lex; maior enim, et non minor est legis, quam simplici precepti vis’: ita ille, satis quidem probabiliter» (ed. cit., p. 146a). La citazione di Diana è fedelmente tratta da Commentariorum, et disputationum in primam secundae Sancti Thomae magistri fratris PETRI DE LORCA, Monachi Cisterciensis, ex observantia Hispaniae, et theologi Complutensis, tomus alter, complectens tres sectiones, de vitiis et peccatis, de legibus, et de gratia, Compluti, Ex officina Ioannis Gratiani, apud Viduam, 1609: De legibus, Disputatio XX, utrum, ut lex humana obliget, requiratur populi consensus, pp. 445-446 (p. 446 per la citazione). 452 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note ci, Lessius, etc.), sulla base dell’idea che la legge è promulgata sotto la tacita condizione che essa non debba obbligare se non sia accettata dai suoi destinatari. Nel discorso è ricordato il tradizionale argomento tratto dalla seconda Lettera di Paolo ai Corinzi, secondo il quale la potestà che Cristo ha dato alla Chiesa deve essere usata «non in destructionem, sed in edificationem»31. Su queste premesse, non potrebbe pensarsi che il legislatore voglia usare della sua potestà contro il consenso del popolo, perché ciò significherebbe, appunto, agire in destructionem e non in aedificationem32. Per questa ragione vi sono autori (fra cui il Juan de Valero più sopra citato) i quali ritengono che anche la bolla In coena Domini non obblighi in coscienza dove non sia stata ricevuta, sebbene altri sostengano il contrario «magis probabiliter». E tuttavia, la prima opinione non è da considerare improbabile33. Tutto ciò considerato, Diana aderisce all’opinione negativa: in particolare, per quanto riguarda le leggi papali, tale soluzione discende dal fatto che il Sommo Pontefice riceve la potestà di governo immediatamente da Dio e non dal popolo. Comunque Diana ammette che la legge possa perdere la sua obbligatorietà per il non uso, quando questo provochi un effetto abrogativo. In ogni caso, poiché la bolla In coena Domini è pubblicata ogni anno, non vi sono elementi per sostenere che essa sia abrogata da una consuetudine contraria34. Per i medesimi argomenti Diana risponde negativamente alla questione se il giudice laico possa non incorrere nella scomunica comminata dalla bolla In coena Domini contro i suoi trasgressori, quando essa non sia stata accettata «in sua Provincia»35. II Corinzi 13.10: «Ideo haec absens scribo, ut non praesens durius agam secundum potestatem, quam Dominus dedit mihi in aedificationem et non in destructionem». 32 «Et ratio est, quia leges promulgantur sub tacita conditione, si a populo acceptentur, hoc enim videtur conforme benigne principum et legislatorum voluntati, ne nimis onerosi videantur…» La volontà del legislatore «interpretatur, ut quamdiu lex ipsius non est a populo recepta, velit obligationem eius suspendi, ne detur peccati occasio. Et confirmatur ex verbis D. Pauli 2 ad Cor. 13, ubi asserit Christum dedisset hanc potestatem prelatis Ecclesie non in destructionem, sed in edificationem, ergo presumendum est prelatos non velle uti sua potestate contra communem populorum consensum, hoc enim esset uti in destructionem, non edificationem. Quando autem lex non dicatur usu recepta: respondeo, quando maior pars populi prosequitur facere, quod facere consueverat ante legis promulgationem…» (ed. cit., p. 146a-b). 33 «…non est tamen altera opinio improbabilis, ut minus recte aliqui his diebus dixerunt» (ed. cit., p. 146b). 34 «Sed his non obstantibus quoad leges pontificias, credo non esse recedendum a prima sententia, cum Pontifex iurisdictionem accipiat immediate a Deo, et non a populo, et ideo eius lex non pendet quoad eius obligationem a populi acceptatione, et per hoc peccant illam non acceptando, quamvis per non usum, si est abrogata, non obligat amplius; cumque Bulla Cene quotannis publicetur, non potest per non usum tolli» (ed. cit., p. 146b). 35 DIANA, Resolutiones morales, Pars III, Tractatus I, de immunitate ecclesiastica, resolutio LIV, An iudex laicus excusetur ab excommunicatione Bullae Cene contra ipsius transgressores lata, pretextu 31 PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 453 Orazio Condorelli Sebbene Diana dichiari di seguire l’opinione maggioritaria dei teologi, e mostri una tendenziale adesione ai principî sostenuti dalla Sede Romana, emerge con chiarezza un atteggiamento estremamente cauto, ma non per questo opportunistico, nelle questioni che riguardano direttamente o indirettamente la Regia Monarchia. Su questi temi, la realtà viva e operante della Regia Monarchia, il consolidato assetto di poteri che essa comportava, la duplice obbedienza a Dio e a Cesare a cui è tenuto ciascun fedele, e che può provocare dilemmi insolubili in chi sia gravato da responsabilità politiche o ecclesiastiche, imponevano (non solo all’autore) un equilibrio tra l’esigenza di propugnare il valore della libertà ecclesiastica e quella di rispettare le prerogative regie circa sacra. La posizione di Diana non può essere collocata nelle strettoie di una netta alternativa tra schieramento regalista e schieramento curialista. Il fondamento privilegiario della Legazia Apostolica e il carattere remuneratorio di tale privilegio – elementi comunemente asseriti dalla dottrina giuridica siciliana – ponevano dei problemi che, nei termini del discorso giuridico e teologico, anche per uno strenuo difensore delle immunità ecclesiastiche non potevano essere semplicemente risolti nel senso della prevalenza del nuovo diritto pontificio sui consolidati istituti del diritto ecclesiastico siciliano. La materia rimaneva per un verso soggetta ai conflitti politici, per l’altro affidata alle controversie dei dotti, come mostra con evidenza un’opera di Mario Cutelli concepita quale contrappunto critico alle tesi di Diana in materia di immunità ecclesiastica36. La critica di Cutelli a Diana non sembra fondarsi su una semplice adesione ai postulati della concezione regalista. Ragioni più profonde emergono dalla lettera dedicatoria indirizzata al Pontefice Innocenzo X. Secondo Cutelli, la libertas sentiendi nelle questioni che non attengono alla fede è stata sempre permessa sin dai primordi della Chiesa. Nel campo delle iurisdictionales controversiae, però, tale libertà è ora minacciata da taluni scrittori di cose morali, i quali tentano di rafforzare le proprie opinioni e attribuire maggiore autorità ai loro scritti attraverso il timore della conscienza e della religione, affermando che quanti non la quod non sit in sua Provincia acceptata? (ed. cit., p. 310a). Nella risposta Diana riferisce di avere udito da «viri fide digni» che alcuni Pontefici, interrogati sulla questione, avevano risposto che doveva essere rigettata la tesi che la legge richiede l’accettazione del popolo: «ergo bulla Coenae independenter ab acceptatione obligat». 36 De prisca et recenti immunitate Ecclesiae ac ecclesiasticorum libertate generales controversiae in duos libros distinctae, in quibus admodum Rev. P.D. Antonini Dianae Resolutiones in controversiam vocantur, et excutiuntur, auctore MARIO CURTELLI Villaerosatae Comite, Catinensi Patritio, Regis Consiliario, Matriti, ex typographia regia, 1647, in particolare Liber II, questio VI, An per aliquod privilegium sit aliquibus Regnis supradictis ecclesiastice libertati derogatum, pp. 203a-207a. 454 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note pensano come loro sono irretiti dalle censure ecclesiastiche37. Questo è il quadro entro il quale Cutelli analizza, a largo raggio, le molteplici tematiche connesse con le immunità ecclesiastiche trattate da Diana. Quanto al tema della peculiare situazione del Regno di Sicilia, in Cutelli, non a caso, ricompare l’argomento, consueto nella giurisprudenza siciliana, secondo il quale le prerogative della Regia Monarchia discendono da un privilegio remuneratorio38, confermato da un uso continuo, ininterrotto e non contraddetto39, che in mancanza di una clausola derogatoria espressa non può dirsi revocato dalla bolla In coena Domini40. Inoltre, il privilegio della Legazia Apostolica, 37 CUTELLI, De prisca et recenti immunitate, Lettera dedicatoria a Innocenzo X: «Libertas sentiendi P.S. a priscis usque Ecclesie seculis, in his, que ad fidem non pertinent, nec speciali, et aperta Ecclesie, ac Predecessorum tuorum sanctione stabilita sunt, unicuique, ac semper permissa fuit ex Apostoli scito: ‘Omnia probanda, et quod bonum est, tenendum’ (cfr. Paolo, I Lett. ai Tessalonicesi 5.21). Inde varie disputationes per plura secula sine ullo conscientie periculo hinc inde agitate, ac ad libitum amplexe. Inter has, iurisdictionales controversias contineri non ambigitur: quod tamen hoc novissimo seculo nonnullorum Moralium Scriptorum opera inversum conspicimus, qui cum alios sue schole viros dissentire comperiissent, et Canonistarum, Cesareumque Interpretum veteri more inter se pugnare; quo maior suis scriptis auctoritas accederet, conscientie, religionisque metu suas opinationes firmare conati sunt, oppositorum Sectatores censuris irretiri affirmantes…». 38 CUTELLI, De prisca et recenti immunitate, Liber II, questio VI, n. 2 (ed. cit., p. 203b): «… in tantorum erga Ecclesiam beneficiorum remunerationem». Secondo i canoni, «qui re vera in iuridica hac materia iurisdictionum attendendi sunt», l’esistenza del privilegio può essere provata «ex diuturno, nonve interrupto, nec contradicto usu» (ed. cit., p. 204b, n. 9). 39 A proposito dell’uso pacifico e non contraddetto della Legazia si veda quanto scrive MARIO MUTA, il quale ricorda una vicenda del 1544 nella quale Paolo III emanò un breve col quale rimetteva al Giudice della Monarchia una causa che era stata indebitamente portata al giudizio del Pontefice. Cfr. Capitulorum Regni Siciliae Constitutionum, et Pragmaticarum munificentissimorum Regum Martini, et Ferdinandi I compositionum (sic) Tomus Tertius… authore U.I.D. MARIO MUTA, Panormi, Apud Ioannem Antonium de Franciscis, 1614, sul cap. 35 di re Martino, in particolare n. 10 p. 163a-b: «Et in hoc regno a Magno Comite Rogerio hucusque semper absque aliqua contradictione usus et observantia fuit, Legatum natum habere talem iurisdictionem (cioè spiritualem). Immo legimus et videmus actum Paulum III. Pont. Max. quandoque caussas ad Regiam Monarchiam remisisse sicut demonstratur in causa cuiusdam canonicatus maioris ecclesie nostre Panormitane, que cum in Regia ipsa Monarchia fuisset ventilata, in qua don Paulus de Sorio obtinuisset, ad instantiam clerici Antonii Cardella adversarii, non facta mentione status cause a S. Pontif. commissionem obtinuit, quod sentiens Sorius ipsi S. Pontifici rei veritatem exposuit causamque per eandem Regiam Monarchiam decisam ac terminatam fuisse asseruit. Summusque Pontifex de veritate cause informatus causam iudicibus regie Monarchie remisit, ut constant hec omnia ex brevi Rome obtempto ad petitionem dicti don Pauli sub anulo Piscatoris, die 18 aprilis 1544, executoriato in hoc regno 17 iulii eodem anno, et sic, cum in ista sint possessione Reges Sicilie, in eadem sunt conservandi, ita Aufrerius… quem refert et sequitur Xibecca…». Ciò è possibile, secondo Muta, perché il Papa può delegare la sua potestas iurisdictionis anche a un laico. Nell’esercizio della giurisdizione delegata, tuttavia, il Re e il suo alter ego, il Viceré, si avvalgono di persone ecclesiastiche (p. 165a n. 20): «Tanto magis quia Rex noster constituit proreges ad nominandum personas ecclesiasticas, de quibis confidit… et eisdem caussas similiter ecclesiasticas delegandi potestatem, que persone ecclesiastice cum consilio seu voto M.R.C. vel Consistorii S.R.C aut aliorum consiliariorum possunt iudicare et sententiam proferre…». 40 CUTELLI, De prisca et recenti immunitate, Liber II, questio VI, n. 15 (ed. cit., p. 205b): «At si omissis scribentium numero et auctoritate (que pro me nec deficiunt) veritas sectanda est, nullibi PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 455 Orazio Condorelli come altri similari, è perfettamente aderente alle funzioni spettanti al principe cattolico, al «Princeps intus Ecclesiam existens»: lungi dal ledere la libertà ecclesiastica rettamente intesa, la protegge di fronte ai tentativi di parte del clero di intendere tale libertà come licenza di violare i doveri relativi alla propria condizione41. 5. La «controversia liparitana» (1711-1728). Dalla Sicilia alla Francia: da Giovan Battista Caruso a Louis-Ellies Du Pin, per concludere con Voltaire Pur con tutte le sue peculiarità, fondate sul privilegio della Legazia Apostolica, il sistema dei rapporti tra Stato e Chiesa nel Regno di Sicilia era improntato a quei principî regalisti che lo rendevano assimilabile ai sistemi vigenti negli altri altri Stati cattolici d’Europa. Un riflesso di questa situazione è visibile nel fatto che i problemi trattati nel dibattito giuridico e teologico, e le soluzioni di volta in volta proposte, sono il frutto di riflessioni che si alimentano delle esperienze vissute nel contesto di ordinamenti politici sì diversi, ma accomunati dalla presenza di problemi nascenti dall’incrocio tra le prerogative dei sovrani circa sacra e la resistenza di Roma di fronte a prassi considerate come indebite ingerenze nell’amministrazione della Chiesa. Questo fenomeno di mediazione culturale dei conflitti politico-ecclesiastici si manifesta chiaramente durante la «controversia liparitana» (17111728). Scatenatasi da un evento accaduto nell’isola di Lipari, essa impegnò per quasi due decenni il Regno e la Santa Sede, coinvolgendo le grandi potenze europee (Spagna, Francia, Austria) non solo per gli interessi politici in gioco, ma anche per le questioni di principio che essa implicava. Scoppiata sotto Filippo V nel 1711, proseguita sotto Vittorio Amedeo II di Savoia (al quale la Sicilia era stata ceduta col trattato di Utrecht, 1713), la controversia si concluse nel 1728 sotto Carlo VI d’Austria, a cui l’Isola per Bullam illam concessa iam a Pontificibus privilegia, vel usu probata, ac iam seculis tot firmata revocari video, qui scio huiusmodi expressam, ac nominatam derogationem desiderare, tam si ius, quam si morem Pontificum in similibus spectare velimus». 41 CUTELLI, De prisca et recenti immunitate, Liber II, questio VI, n. 4 (ed. cit., p. 204a): «Per hec minime ecclesiastice libertati detractum videri debet, quoniam ob publicum totius Ecclesie corporis bonum, eiusque membrorum uni, vel alteri principi intus Ecclesiam existenti negotiis super secularibus, ac profanis clericorum tribuitur, libertatem (si regulata illa non sit) non imminuit, immo conservat, ac sepius adauget. Libertas enim, qua ecclesiastici aliqui, ut libitum vivere (sui ordinis regulis, ac moderatione spreta) posse putant, dissolutio est, corruptio morum, ordinis dedecus (cita la prima lettera di Pietro, 2.13)… Datur enim libertas nomine, que re vera libertas non est, qua forte docentur fideles, clerici nempe et laici, vel potestates spernere, vel legibus non parere, disciplinam omnem abiicere, omnia conturbare…». 456 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note era pervenuta nel 1720. Un susseguirsi si interdetti e scomuniche, decreti del Tribunale diretti ad annullare tali atti, espulsione di vescovi, imprigionamento di ecclesiastici, una pressante propaganda curialista ed anticurialista, tutto ciò disorientava le coscienze e creava problemi per l’ordine pubblico. Pur con significative eccezioni, il clero siciliano rimase fedele alla Corona e favorevole al mantenimento dei privilegi della regia Monarchia, ma senza disconoscere, al fondo, le ragioni della Curia Romana42. Nel 1715 Clemente XI pubblicava la bolla Romanus Pontifex, con la quale aboliva la Legazia Apostolica e il Tribunale della Regia Monarchia43. Ma il provvedimento rimase privo di effetti. La controversia si concluse il 30 agosto 1728, quando Benedetto XIII emanò la bolla Fideli ac prudenti dispensatori, nota come Concordia benedettina. Essa riconosceva, sia pure con qualche limitazione, la Legazia Apostolica, ma nel Regno le fu attribuito un valore meramente ricognitivo della preesistente situazione, e fu eseguita con la clausola «iuribus fisci semper salvis»44. Nel 1714, quindi nel fervore della «controversia liparitana», lo storico siciliano Giovan Battista Caruso compose, per incarico di Vittorio Amedeo II di Savoia, il Discorso istorico-apologetico della Monarchia di Sicilia45. L’intento dell’opera è reso evidente dal titolo: l’indagine sui fondamenti del privilegio siciliano è funzionale alla giustificazione dell’istituto della Legazia nell’assetto che aveva a quel tempo acquisito. Nondimeno, l’opera presenta interessanti prospettive di analisi che toccano, più in generale, il tema delle prerogative dei sovrani secolari in materia ecclesiastica. L’intento di Caruso è dimostrare che, sebbene le peculiari prerogative del Re di Sicilia discendano dalla concessione di Urbano, tutte o la gran parte di esse il Re potrebbe Esemplare una lettera di Mons. Gasch, arcivescovo di Palermo (1717): «non credo che il Papa né il Re presumono cose ingiuste, almeno circa al punto principale dei loro litigi: e perciò bisogna che m’incarichi della giustizia dell’uno e dell’altro, perché la stessa legge evangelica che mi obbliga di obbedire al Papa, mi obbliga a rispettare il Re. I sacri canoni non vietano che il vescovo sostenga gli ordini del Papa per rappresentargli ciò che il Papa non vede, e faccia uso delle necessarie dispense ove si temano maggiori disordini… molto più trattandosi di dispareri tra la Chiesa e lo Stato»: in Antonino Mongitore, Vita di Monsignor Fr. D. Giuseppe Gasch dell’Ordine de’ Minimi di San Francesco di Paola Arcivescovo della Metropolitana Chiesa di Palermo, Palermo, Agostino Epiro, 1729, p. 56, che cito da GAETANO CATALANO, Studi sulla Legazia Apostolica di Sicilia (Historica 4), Reggio Calabria, Parallelo 38, 1973, pp. 103 s. 43 Può leggersi in CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., pp. 335-345. Fu emanata il 14 febbraio 1714, ma pubblicata un anno dopo. 44 Prammatica del 15 febbraio 1729, che al suo interno riproduce il testo della Concordia: edizione in AGOSTINO FORNO, Storia della Apostolica legazione annessa alla corona di Sicilia, a cura di GIUSEPPE MARIA MIRA (Collezione di opere inedite o rare riguardanti la Sicilia 2), Palermo, Stamperia G.B. Gaudiano, 1869, pp. 381-429. 45 Discorso istorico-apologetico della Monarchia di Sicilia, citato per esteso sopra, nota 2. 42 PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 457 Orazio Condorelli comunque esercitare in forza di un diritto proprio connesso con la funzione regale. Per provare questa tesi l’autore risale alla disciplina della Chiesa antica, in particolare dei primi tre secoli, nella quale le Chiese locali godevano di una spiccata autonomia, dipendendo da Roma solo nella misura in cui ciò fosse necessario per mantenere l’unità della fede46. Secondo Caruso i principi secolari non sono delle mere persone laiche, anzi sono persone sacre, come attesta il rito della consacrazione e dell’unzione regia. Secondo il diritto divino, e per diritto inseparabile dalla loro sovranità, i Re sono protettori della fede, della Chiesa e della disciplina ecclesiastica. Quindi non potrebbe stimarsi cosa impropria che i re di Sicilia abbiano ricevuto per delegazione una serie di poteri che, per diritto canonico, spettano al Romano Pontefice47. Per queste ragioni le potestà circa sacra esercitate dal Re di Sicilia quale legato del Papa corrispondono, all’ingrosso, ai poteri che comunque spetterebbero al Re per diritto proprio48. A questo proposito Caruso distingue le materie dogmatiche e spirituali49, nelle quali la 46 CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., p. 1 s. (proemio): «Fia di uopo togliere ad alcuni, per così dire, la benda dagli occhi, e riandare agli antichi secoli, acciocchè si conosca, che sotto diversa forma, ma con disciplina uniforme presso tutte le nazioni, godetterro sin da’ primi secoli i siciliani, quella prerogativa, o per meglio dire, quella lodevolissima consuetudine, che con tanto strepito oggi loro si contende». E poco dopo (p. 3): «Della disciplina, con la quale da’ primi secoli governossi la Chiesa siciliana, insieme con le altre tutte della cristianità. Non conobbero i cristiani ne’ primi tre secoli della Chiesa, e sul principio ancora del quarto, altra dipendenza dal Romano Pontefice, che quella la quale era indispensabile, e dovuta al capo della unione de’ cattolici: cioè a dire, la obbligazione di uniformarsi nella credenza alla fede professata dai successori di s. Pietro; la cui cattedra venne sempre riguardata come quella ‘unde veritas sacerdotalis exorta est’ (S. Cipr. epist. 55)». 47 CARUSO, Discorso istorico-apologetico, pp. 50 s.: «Ma nè pur laico assolutamente può dirsi un principe sovrano, nè aliena dall’intutto da’ principi laici è gran parte dell’autorità conferita a Rugiero nella bolla di Urbano: mentre i principi cristiani essendo per disposizione divina, per diritto proprio, e della loro sovranità inseparabile, i protettori della fede, e de’ fedeli nelle provincie di lor dominio…, ed essendo la potestà regia, come asserisce s. Leone non solum ad mundi regimen, sed ad Ecclesiae praesidium collata (ep. 75); non è ragionevole che siino compresi fra la turba de’ semplici laici; e specialmente i re di Sicilia, i quali si consacrano, ed ungono con solenne rito, e con le cerimonie della Chiesa: laonde non solo sono dette sacre le loro persone, ma è detto sacro anche il loro palazzo. E potrà dopo ciò stimarsi impropria affatto a tali re la delegazione di quella autorità, che compete ai Pontefici per dritto canonico? essendo per altro i principi iure proprio i difensori, et i protettori della Chiesa e de’ canoni? Potrà dirsi che torni in isvantaggio dei Papi che si preggino (sic) i principi latini della Sicilia, di esercitare la vicaria potestà di legato apostolico nel regno ove comandano, quando per altro i greci imperatori signori ancora della Sicilia sempre godettero somma autorità nelle cose ecclesiastiche?». 48 CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., p. 92: «Egli è vero però, che senza anche un vero titolo, e la più che vera concessione di Urbano, sarebbe stato lecito, anzi dovuto a’ re di Sicilia l’esercitare o tutto o la più gran parte almeno di quello, che si accostuma con l’autorità di legato nel tribunale della regia Monarchia, e per provarlo altro non mi bisogna, che esaminare brevemente quale sia il dritto, che compete privativamente ai Pontefici, e quale sia quello, che hanno con essi comunemente anche i principi nelle cose ecclesiasiche sopra i loro vassalli». 49 CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., p. 92: «decisioni dommatiche, e tutta la sacra dottrina 458 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note competenza della Chiesa è esclusiva, dalla «polizia e disciplina esterna delle cose ecclesiastiche e la forma esteriore de’ giudizi contenziosi»50, nelle quali sussiste la competenza dei sovrani temporali, poiché si tratta di materie che riguardano l’ordine e la tranquillità pubblica51. L’argomento è rafforzato col ricordo delle comuni esperienze dell’Europa del tempo (Francia, Spagna e Stati italiani), a proposito delle quali Caruso afferma che, «per confermare con nuove prove la giusdizione dei principi secolari su l’esterior disciplina degli ecclesiastici», basterebbe ricorrere alla lettura di autori quali Pietro de Marca52, Charles Fevret, Louis Thomassin per la Francia, o Solórzano y Pereira, Salgado de Somoza e Covarrubias per la Spagna. I gallicani di Francia e i regalisti spagnoli vengono dunque in soccorso della Sicilia. Ricordando le decisioni dei Parlamenti di Francia in casi di appello per abuso; il “Tribunal della Fuerza” in Spagna, le prassi giurisdizionalistiche veneziane, Caruso invita i lettori a notare quanto più moderata sia, nel confronto, l’azione del Tribunale della regia Monarchia. In ogni caso, la Sede Apostolica dovrebbe preferire che le prerogative giurisdizionali dei sovrani siano esercitate per delega del Papa, come nel caso della Sicilia, piuttosto che per il «ius commune a tutti i principi»53. L’argomento dell’esistenza di un diritto comune a tutti i principi quale fondamento della giurisdizione regia circa sacra non era inedito. Un secolo prima tale argomento era stato sostenuto, sia in generale che con riferimento alla Monarchia sicula, da Marco Antonio de Dominis, in una lunga digressione del trattato De republica ecclesiastica diretta a confutare le tesi di Cesare Baronio sulla non autenticità della bolla di Urbano II. Proprio de Domiche spetta al credere, ed all’operare per ottenere l’eterna salute, e l’interior disciplina, che riguarda la retta amministrazione de’ sacramenti». 50 Ibidem. 51 CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., p. 93: materie che riguardano «la pubblica tranquillità, la retta amministrazione della giustizia, la cura de’ popoli e de’ sudditi, che tali anche sono gli ecclesiastici, come membri dello stato da Dio a’ principi secolari commesso. Laonde possono eglino sopra di ciò legitimamente (sic) fare e pubblicar quelle leggi, ordini, e statuti, che sembrano loro convenienti». 52 Il De concordia sacerdotii et Imperii, seu de libertatibus Ecclesiae gallicanae di PIETRO DE MARCA è uno dei testi più frequentemente citati nel Discorso di Caruso. 53 CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., p. 94: «Mettansi in confronto i registri de’ parlamenti, e de’ tribunali suddetti, con quelli della Monarchia siciliana, e scorgerassi quanto sia più grande la moderazione usata in Sicilia, circa il dar regola agli eccessi degli ecclesiastici nelle seconde istanze, che altrove anche nelle prime; e quanto sii più decoroso alla Sede Apostolica il titolo di legato assunto da’ principi siciliani, per decidere le cause spettanti all’esterior disciplina della Chiesa, che il fondare come altrove vien fatta la giustizia di simili giudicature sopra il solo ius commune a tutti i principi, come protettori delle Chiese di lor dominio e come sovrani, senza eccezione di laico o di ecclesiastico a tutti coloro che vivono dentro i loro stati». PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 459 Orazio Condorelli nis aveva affermato, infatti, che i poteri spettanti al Re di Sicilia in virtù della concessione papale spetterebbero a lui comunque «per la potestà ordinaria e naturale» che compete ai principi cristiani54. Caruso non menziona de Dominis tra i suoi autori, e non è chiaro se non lo abbia conosciuto, oppure abbia volontariamente taciuto l’ispirazione tratta da un libro condannato da Roma. Comunque, nel Discorso di Caruso l’argomento che poggia sulla inseparabile connessione tra sovranità regia e potestà circa sacra è secondario e collaterale rispetto all’argomento principale: il quale, secondo la tradizione della giurisprudenza siciliana, rimaneva connesso alla difesa dell’autenticità del privilegio e delle prerogative da questo derivanti. Il Discorso di Caruso passò alle stampe solo nel 1863, ma ebbe una vasta diffusione manoscritta nel secolo precedente. Vittorio Amedeo II lo inviò a Luis-Ellies Du Pin, della cui consulenza il sovrano piemontese si serviva nel corso della «controversia liparitana». Il teologo parigino utilizzò il Discorso per la redazione della sua Défense de la Monarchia de Sicile contre les enterprises de la Cour de Rome, pubblicata nel 171655. Il conflitto tra Sicilia e Santa Sede riguardava alcune questioni di principio relative alle immunità ecclesiastiche e all’uso del regio exequatur che non potevano lasciare insensibili la Francia con il suo modello gallicano di relazioni tra Stato e Chiesa. Nel 1716, per esempio, il Parlamento di Parigi approvò una mozione con la quale vietava la pubblicazione e ordinava la distruzione di alcuni documenti della Santa Sede riguardanti la controversia siciliana, perché i principî che essi contenevano, soprattutto in materia di exequatur, attaccavano apertamente «i diritti di tutti i sovrani e le massime più inviolabili della Francia»56. De republica ecclesiastica, pars secunda… auctore MARCO ANTONIO DE DOMINIS Archiepiscopo Spalatensi, Francofurti ad Moenum, Sumptibus Rulandiorum, Typis Ioan. Friderici Weiss, Anno 1620, Liber VI, caput XII, p. 238b ss.: Monarchiam Siculam a Baronio male et immerito oppugnari. Cfr., in particolare, n. 26 (p. 245a): «Quid possint per suam Monarchiam Reges Siculi in Sicilia, non est amplius ex Urbani privilegio petendum, neque ex legati seu vice-legati apostolici auctoritate… sed ex ipsa supremorum Principum Christianorum ordinaria et naturali potestate: ex qua habent, ut possint iudicare et punire quoscunque ecclesiasticos (de laicis non est dubium) etiam episcopos, et archiepiscopos, et multo magis cardinales… si tamen crimen seu delictum commiserint in rerum ordine temporali, etsi pro ecclesiastico etiam crimine sint temporali poena puniendi…»; e ancora, n. 97 (p. 261b): «Cum enim, ut ostensum est, et sufficienter probatum, ipsa Sicilia insula sit libera et pleno iure suis subiecta regibus. Quicquid possunt omnes reges et principes absoluti et supremi in suis regnis hoc profecto ex seipso et naturaliter potest etiam rex Siciliae. Posse vero reges omnes circa Ecclesias et res ecclesiasticas, iure regio omnia illa quae in Monarchia continentur sicula, est a me cumulatissime in praecedentibus huius libris capitibus comprobatum». 55 [LOUIS ELLIES DU PIN], Défense de la Monarchie de Sicile contre les enterprises de la Cour de Rome, senza indicazione di luogo né di editore, 1716. 56 Sebbene i documenti riguardino una vertenza in corso nel Regno di Sicilia, «les principes qu’ils 54 460 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note Lo spirito con il quale gli autori gallicani si accostano alle vicende siciliane si manifesta apertamente nella Défense di Du Pin. Il titolo del cap. XIII è eloquente: «Tutti i Sovrani sono interessati nella causa del Re di Sicilia, e obbligati a unirsi a lui per mantenere i loro diritti contro le azioni della Corte di Roma»57. La soppressione della Legazia da parte di Clemente XI nel 1715 – per la verità rimasta priva di effetti – è un fatto che tocca tutti i sovrani, mettendo in pericolo i loro diritti e la loro autorità. È, infatti, essenziale alla loro sovranità che nessuno possa esercitare una giurisdizione nei loro Stati senza il loro consenso. È loro interesse che nessun suddito, laico o ecclesiastico, possa essere sottoposto al giudizio di un tribunale straniero senza il consenso dei sovrani stessi. Essi hanno il diritto di convocare i concili della Nazione, nel caso che gli affari ecclesiasici dei loro Stati lo richiedano. Hanno il diritto di vietare che rescritti o atti pontifici siano eseguiti nei loro Stati senza loro ordine o permesso. Nel caso in cui qualcuno leda la loro giurisdizione, hanno il diritto di reagire a tali lesioni. Se a torto i loro sudditi sono scomunicati, ed essi vogliano difendersi, è d’uso che siano assolti da tale scomunica affinché possano agire in giudizio. Non riconoscono alcun superiore nella sfera temporale, e hanno il diritto che nessun sovrano straniero o il Papa stabilisca alcunché nelle materie temporali o beneficiali dei loro Stati. Conformemente all’approccio tipico del gallicanesimo al tema del primato papale, a dire di Du Pin i sovrani «ritengono che l’autorità del Papa nello spirituale non è assoluta e illimitata, ma limitata dai canoni»58. La conclusione del discorso connette le vicende della Legazia Apostolica con le radici stesse della sovranità politica dei Re cattolici: «Tutte queste massime fondamentali della Sovranità, fondate sul Diritto divino, sul Diritto Naturale, e sul Diritto delle genti, sono violate dalla revoca che il Papa ha appena fatto della Monarchia di Sicilia»59. ont trouvé dans cet Imprimé leur ont paru attaquer si ouvertement les droits de tous les Souverains, et les maximes les plus inviolables de la France; qu’ils croiroient manquer à ce qu’ils doivent au Roi, et au Public, et à ce qu’ils se doivent à eux-meme, s’ils ne proposoient pas à la Cour de prévenir par sa sagesse, les suites dangereuses que cet Ecrit pourroit avoir, s’il se répandoit dans le Royaume». L’arresto del Parlamento di Parigi si può leggere in CARUSO, Discorso istorico-apologetico, cit., pp. 376-384; DU PIN, Défense, cit., pp. 396-412; FORNO, Storia della Apostolica legazione, cit., pp. 374-380. 57 DU PIN, Défense, chapitre XIII, Que tous les Souverains sont intéressez dans la cause di Roy de Sicile, et obligez de se joindre à lui pour maintenir ses droits contre les enterprises de la Cour de Rome (ed. cit., pp. 164-169). 58 DU PIN, Défense, cit., p. 168: «Ils tiennent que l’autorité du Pape dans le spirituel n’est pas absolue et illimitée, mais bornée par les Canons». 59 DU PIN, Défense, cit., p. 168: «Tout ces maximes fondamentales de la Souveraineté, fondées sur le Droit divin, sur le Droit naturel, et sur le Droit des gens, sont violées par la révocation que le Pape d’à présent a faite de la Monarchie de Sicile». PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 461 Orazio Condorelli I medesimi principî sono applicati da Du Pin alla spinosissima questione dell’exequatur, fondamentale arma della giurisdizione regia di fronte alle asserite ingerenze della Corte di Roma e, sul versante opposto, strumento ritenuto lesivo della libertà ecclesiastica60. La difesa dell’exequatur è rafforzata, nell’argomentazione di Du Pin, dalla constatazione che esso è di uso costante nei Regni cristiani d’Europa, connesso com’è con la sovranità dei Principi61. Vista dalla prospettiva europea, la Regia Monarchia di Sicilia, con il fascio di poteri che essa racchiudeva, assumeva una veste paradigmatica. Sebbene formalmente ancorata, nelle sue origini, a una concessione della Sede Apostolica, su più vasta scala la regia Monarchia era considerata un modello di azione politica idoneo a inquadrare le pretese degli Stati cattolici di considerare la disciplina del fenomeno religioso come una prerogativa attinente alla loro sovranità. Alla metà del secolo XVIII questo dato appare in tutta evidenza nell’Essai sur les moeurs di Voltaire (1756). In un capitolo dedicato alla Sicilia, Voltaire si sofferma in particolare sul diritto di legazione spettante ai suoi sovrani, raccontandone le origini, le vidende essenziali, i ripetuti tentativi di abolizione esercitati dai Pontefici Romani. Voltaire ritiene che le prerogative connesse con la Regia Monarchia, in quanto riguardanti la disciplina esterna della Chiesa, siano perfettamente coerenti con i dogmi della religione. Se così non fosse, Urbano II non avrebbe potuto concedere tale privilegio al conte Ruggero. Ma se tali prerogative sono compatibili con la religione, ciò implica che ogni Regno avrebbe il «diritto» di attribuirle a se stesso62. In questa prospettiva è lo Stato a divenire protagonista e arbitro della propria sovranità. Sfrondato dalle peculiarità che ne hanno caratterizzato la storia, per Voltaire «questo privilegio, in fondo, non è che il diritto di Costantino e di tutti gli imperatori di presiedere a tutta la polizia dei loro Stati; tuttavia in tutta l’Europa cattolica non vi è stato se non un gentiluomo normanno che abbia saputo darsi questa prerogativa alle porte di Roma»63. DU PIN, Défense, chapitre XIV, Que le droit de n’executer les Rescripts, Brefs et Bulles de Rome sans l’autorité di Roi de Sicile, est un droit commun et qui appartient à tous le Souverains, et que c’est une Loi établie dans le Royaume de Sicile (ed. cit., pp. 170-175). 61 DU PIN, Défense, cit., p. 171: «… usage constant dans tous les Royaumes d’Europe… C’est une chose de droit commun, annexée à la Souveraineté des Princes tels qu’ils soient». 62 VOLTAIRE, Essai sur les moeurs, in Oeuvres complètes de Voltaire, Paris, Furne et C., LibrairesÉditeurs, Perrotin, Éditeur, 1846, Chapitre XLI, De la Sicilie en particulier, et du droit de légation dans cette île, p. 466: «C’est là ce fameux droit qu’on appelle la monarchie de Sicile, droit que, depuis, les papes ont voulu anéantir, et que les rois de Sicile ont maintenu. Si cette prérogative est incompatible avec la hiérarchie chrétienne, il est évident qu’Urbain ne put pas la donner; si c’est un objet de discipline que la religion ne réprouve pas, il est aussi évident que chaque royaume est en droit de se l’attribuer». 63 Ibidem: «Ce privilége, au fond, n’est que le droit de Constantin et de tous les empereurs de 60 462 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note 6. Conclusioni Nell’itinerario sin qui percorso ho inteso proporre solo alcuni frammenti di una storia ricchissima e ben studiata, ma ancora in parte inesplorata in parecchie sue pieghe. Le voci prescelte – poche fra le tantissime che potrebbero ascoltarsi – sono tuttavia esemplificative di un dibattito culturale che ha percorso i secoli dal XVI al XVIII. La storia delle istituzioni ecclesiastiche siciliane di Antico Regime, indissolubilmente legata al privilegio della Legazia Apostolica, si colloca al crocevia di esperienze comuni agli Stati confessionali d’Europa (con le loro proiezioni nel Nuovo Mondo iberico). Il dibattito sulla Legazia, per limitarci ai profili giuridici e teologici, ha un respiro propriamente europeo. Da un lato esso è alimentato da motivi ricorrenti in una letteratura giuridica e teologica attraverso la quale è filtrato il processo di ridefinizione dei confini tra competenze statali ed ecclesiatiche. Nella direzione inversa, il dibattito sulla Legazia nutre, con il richiamo alle peculiarità proprie dell’esperienza siciliana, il processo di consolidamento della sovranità dello Stato moderno che rimane, tuttavia, ancora indissolubilmente legato alla sua identità confessionale. Orientamenti bibliografici e postille § 1.. La storia della Legazia Apostolica di Sicilia è stata studiata approfonditamente negli ultimi decenni. I miei richiami bibliografici, pertanto, si limiteranno alla citazione di alcuni studi principali e più recenti, attraverso i quali sarà possibile risalire alla letteratura anteriore. Sono fondamentali gli studi di GAETANO CATALANO, Le ultime vicende della Legazia Apostolica di Sicilia. Dalla controversia liparitana alla legge delle Guarentigie (1711-1871) (Collana di Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania 13), Catania, Presso la Facoltà Giuridica, 1950, poi rifluito in ID., Studi sulla Legazia Apostolica di Sicilia (Historica 4), Reggio Calabria, Parallelo 38, 1973; ID., Controversie giurisdizionali tra Chiesa e Stato nell’età di Gregorio XIII e Filippo II, Palermo, Accademia di Scienze Lettere e Arti, 1955; ID., La «Regia Monarchia» di Sicilia, in Archivio Storico Siciliano, 17, 1968, pp. 1-20, ora in ID., Scritti minori. I. Scritti storici, a cura di MARIO TEDESCHI, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 395-414; ID., Osservazioni sulle origini della Legazia Apostolica in Sicilia, in Il Diritto Ecclesiastico, 1968.1, pp. 205-225, ora in ID., Scritti minori, cit., I, pp. 415-438; ID., Il cardinale Cesare Baronio e la «Regia Monarchia Sicula», in Raccolta di scritti in onore di Arturo Carlo Jemolo, I.1., Milano, Giuffrè, 1962, pp. 167-183, ora in ID., Scritti minori, cit., I, pp. 257-276. présider à toute la police de leurs états; cependant il n’y a eu dans toute l’Europe catholique qu’un gentilhomme normand qui ait su se donner cette prérogative aux portes de Rome». PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 463 Orazio Condorelli Le origini della Legazia nella storia dei rapporti tra Papato e Normanni sono state approfondite da JOSEF DEÉR, Der Anspruch der Herrscher des 12. Jahrhunderts auf die apostolische Legation, in Archivum Historiae Pontificiae, 2, 1964, pp. 117186; ID., Papsttum und Normannen. Untersuchungen zu ihren lehnsrechtlichen und kirchenpolitischen Beziehungen, Köln – Wien, Böhlau, 1972. Alla storia della Legazia ha dedicato vari studi SALVATORE FODALE, «Comes et legatus Siciliae». Sul privilegio di Urbano II e la pretesa Apostolica Legazia dei Normanni di Sicilia (Università di Palermo, Istituto di Storia Medievale, Studi 2), Palermo, Manfredi, 1970; ID., Stato e Chiesa dal privilegio di Urbano II a Giovan Luca Barberi, in Storia della Sicilia, III, Napoli, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, 1980, pp. 575-600; ID., L’Apostolica Legazia e altri studi su Stato e Chiesa, Messina, Sicania, 1991; ID., Stato e Chiesa in Sicilia. Tra Stato della Chiesa et Chiesa di Stato, in Genèse de l’État moderne en Méditerranée. Approches historique et anthropologique des pratiques et des représentations. Actes des tables rondes internationales tenues à Paris, 24-26 septembre 1987 et 18-19 mars 1988 (Publications de l’École française de Rome 168), Rome, École Française de Rome, 1993, pp. 229-242. Le vicende della Legazia nei suoi otto secoli di storia sono state tracciate nel volume collettaneo su La Legazia Apostolica. Chiesa, potere e società in età medievale e moderna, a cura di SALVATORE VACCA, presentazione di CATALDO NARO, Caltanissetta-Roma, Sciascia Editore, 2000. Fra i contributi ivi raccolti ricordo quelli più direttamente legati ai temi trattati in queste pagine: SALVATORE FODALE, La Legazia Apostolica nella Storia della Sicilia (pp. 11-22); SALVATORE VACCA, La Legazia Apostolica nel contesto della «societas christiana» (pp. 23-67); GAETANO ZITO, La Legazia Apostolica nel Cinquecento: avvio delle controversie e delle polemiche (pp. 115-166); ADOLFO LONGHITANO, Il tribunale della regia Monarchia: governo della Chiesa e controversie giurisdizionaliste nel Settecento (pp. 167-200); RINO LA DELFA, Influssi francesi nella riflessione ecclesiologica siciliana al termine dell’età moderna (pp. 201-226). Di GAETANO ZITO si veda anche Monarchia di Sicilia e istituzione dell’Archivio Vaticano. L’opera di Michele Lonigo (1609), in «Panta rei». Studi dedicati a Manlio Bellomo, a cura di ORAZIO CONDORELLI, V, Roma, In Cigno Galileo Galilei, 2004, pp. 497-509. Cfr. anche NICOLETTA BAZZANO, La Legazia Apostolica di Sicilia: nuove prospettive di ricerca, in Gli archivi della Santa Sede e il mondo asburgico nella prima età moderna, a cura di MATTEO SANFILIPPO ALESSANDRO KOLLER - GIOVANNI PIZZORUSSO, Viterbo, Sette Città, 2004, pp. 59-72; EAD., Monarchia sicula, in Dizionario storico dell’inquisizione, a cura di ADRIANO PROSPERI, con la collaborazione di VINCENZO LAVENIA - JOHN TEDESCHI, Pisa, Edizioni della Normale, 2010, p. 1065. Lo studio più recente – nel quale sono approfondite, con l’ausilio di amplissima documentazione in buona parte inedita, specialmente le vicende del secolo XVI e del primo Seicento – si deve a MARIA TERESA NAPOLI, La Regia Monarchia di Sicilia. «Ponere falcem in messem alienam» (Pubblicazioni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università degli Studi di Roma «La Sapienza», 57), Napoli, Jovene, 2012; La stessa AUTRICE è tornata sul tema in Censura e giurisdizione. Il «Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis» di Baldassarre Abruzzo (1601-1665) (Storia del diritto e delle istituzioni, Fonti 2), Roma, Aracne, 2012. 464 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note Questi due recenti studi apportano un significativo avanzamento delle nostre conoscenze sull’istituzione della Regia Monarchia. In generale, sulle istituzioni ecclesiastiche nel Regno di Sicilia, dalle origini fino al secolo XIX, è necessario ricorrere a FRANCESCO SCADUTO, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie dai Normanni ai nostri giorni (sec. XI-XIX), Palermo, Amenta, 1887; ristampa, con Introduzione di ARTURO CARLO JEMOLO, Palermo, Edizioni della Regione Siciliana, 1967; un prospetto di sintesi si legge in MARIO TEDESCHI, Strutture ecclesiastiche e vita religiosa, in Storia della Sicilia, VII,, Napoli, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, 1978, pp 55-71, ora anche in ID., Saggi di diritto ecclesiastico, Torino, Giappichelli, 1987, pp. 309-333. Un cenno merita la bolla Quia propter prudentiam tuam di Urbano II, che sta alla radice del ius legationis dei sovrani siciliani [PHILIPPUS JAFFÉ, Regesta Pontificum romanorum, editionem secundam curaverunt FERDINAND KALTENBRUNNER (JK: an. ?-590), PAUL EWALD (JE: 590-882), SAMUEL LOEWENFELD (JL: 882-1198), Leipzig, Veit, 1885; rist. anast. Graz, Akademische Druck- u. Verlagsanstalt, 1956, JL 5706]. Nella letteratura precedentemente citata (CATALANO, DEÉR, FODALE etc.) sono discusse le questioni della autenticità (non più messa in dubbio) e della datazione (1098) della bolla, della sua tradizione testuale indiretta, dei suoi contenuti. Come si è detto nel testo, la bolla urbaniana era inidonea a fondare il complesso di prerogative racchiuse nell’istituto della Regia Monarchia come consolidatosi nel secolo XVI. Essa era concepita come un privilegio personale, attribuito al Conte Ruggero e al suo figlio Simone o ad altro legittimo successore. Urbano si impegnava a non nominare legati nelle terre sotto la giurisdizione del Conte senza la voluntas o il consilium del Conte stesso; attribuiva a Ruggero il diritto di agire quale legato in seguito a uno speciale incarico dato dal papa (non in linea generale, dunque), e il diritto di stabilire quali vescovi o abati potessero assentarsi dalla contea per partecipare a un concilio convocato dal papa. L’edizione critica della bolla è stata data da ERICH CASPAR, Die Legatengewalt der normannisch-sicilischen Herrscher im 12. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken, 7, 1904, pp. 189-218 (218 s.). § 2. Su Antonio Scibecca († 1584) e il Tractatus de Regia Monarchia, ancora inedito, v. NAPOLI, La Regia Monarchia, cit., pp. 340-393: EAD., Censura e giurisdizione, cit., pp. 28-36. Su Diego de Covarrubias (1512-1577) rinvio al mio contributo su Norma giuridica e norma morale, giustizia e salus animarum secondo Diego de Covarrubias. Riflessioni a margine della Relectio super regula «Peccatum», in Rivista Internazionale di Diritto Comune, 19, 2008, pp. 163-202, con la letteratura ivi citata. Le sue posizioni sul tema oggetto di questa pagine sono studiate da PIER GIOVANNI CARON, L’appello per abuso, Milano, Giuffrè, 1954, pp. 309-315; NAPOLI, La Regia Monarchia, cit., in particolare pp. 468-470. § 3. Su Balsassarre Abruzzo (1601-1665) e il Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis v. il citato volume di NAPOLI, Censura e giurisdizione, che contiene anche l’edizione integrale del trattato, finora inedito. PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 465 Orazio Condorelli Sulla bolla In coena Domini v. F. CLAEYS BOUUAERT, Bulle in Coena Domini, in Dictionnaire de Droit Canonique, II, Paris, Letouzey et Ané, 1937, col. 1132-1136; CATALANO, Controversie giurisdizionali, cit., pp. 27-34; CARON, L’appello per abuso, cit., pp. 190-197; ALBERTO DE LA HERA, La bula «In Coena Domini». El derecho penal canónico en España y las Indias, in Dogmatismo e intolerancia, coord. por ENRIQUE MARTÍNEZ RUIZ - MAGDALENA DE PAZZIS PI CORRALES, Madrid, Editorial Actas 1997, pp. 71-88, studio che l’AUTORE ha successivamente riproposto con titolo parzialmente diverso: La bula «In coena domini», in Estudios jurídicos en homenaje al profesor Vidal Guitarte, I, Diputació de Castelló, Castelló 1999, pp. 431-442; MASSIMO CARLO GIANNINI, Tra politica, fiscalità e religione: Filippo II di Spagna e la pubblicazione della Bolla «In Coena Domini», in Annali dell’Istituto Storico Italo Germanico in Trento, 23, 1997, pp. 83-157; FRANCESCO AIMERITO, Aspetti del sistema di imposizione fiscale all’epoca della bolla «In coena Domini»: il caso degli Stati sabaudi, in Le carte del diritto e della fede. Atti del convegno di studi, Alessandria, 16-17 giugno 2006, a cura di ELISA MONGIANO e GIAN MARIA PANIZZA, Alessandria, Società di Storia Arte e Archeologia-Accademia degli Immobili, 2008, pp. 75-92. Sul problema della connessione tra obbligatorieta della legge e recezione popolare rimane fondamentale lo studio di LUIGI DE LUCA, L’accettazione popolare della legge canonica nel pensiero di Graziano e i suoi interpreti, in Studia Gratiana, 3, 1955, pp. 193-276, ora in ID., Scritti vari di diritto ecclesiastico e canonico, II (Università degli Studi di Roma «La Sapienza», Pubblicazioni dell’Istituto di Diritto Pubblico della Facoltà di Giurisprudenza, serie III, 79), Padova, Cedam, 1997, pp. 271-356. Del tema mi sono occupato in Ragione, autorità, consenso: costanti e varianti nella dottrina canonistica della norma giuridica (spigolature storiche), in Processi di formazione del consenso. Atti del Convegno di Studio organizzato dallo Studio Teologico San Paolo di Catania e dal Dipartimento Seminario Giuridico dell’Università degli Studi di Catania, Catania, 18-19 aprile 2013, a cura di NUNZIO CAPIZZI e ORAZIO CONDORELLI (Quaderni di Synaxis 31), Troina, Grafiser, 2013, pp. 101-133, nonché in Glossae. European Journal of Legal History, 10, 2013,pp. 160-185. Su Juan de Valero (1550-1625) cenni in WIM DECOCK, Jesuit Freedom of Contract, in Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis, 77, 2009, pp. 423-458 (432-435, 437). § 4. Su Antonino Diana (1585-1663) v. PAOLO PORTONE, Diana Antonino, in Dizionario Biografico degli Italiani, 39, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1991, pp. 645-647; SANTO BURGIO, Teologia barocca. Il probabilismo in Sicilia nell’epoca di Filippo IV (Biblioteca della Società di Storia Patria, Monografie storiche), Catania, Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, 1998, in particolare pp. 7-102; ID., Antonino Diana ideologo «romano». La simbologia mistica e politica del «Tractatus de adoratione», in Roma Moderna e Contemporanea, 18, 2010, pp. 213-230; PAOLO PRODI, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 366; NAPOLI, La Regia Monarchia di Sicilia, cit., p. 508; EAD., Censura e giurisdizione, cit., pp. 55 s. Una vivace rappresentazione del ruolo avuto da Diana quale aggregatore delle forze antiregaliste è data da ROSARIO GREGORIO (1753-1809), Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni sino ai presenti, libro VII, cap. VII, n. 230, in Opere scelte del can. ROSARIO GREGO466 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note RIO, Palermo, Tip. di Pietro Pensante, 1853, pp. 586-588. Nella rapresentazione di Gregorio vi sono certo delle forzature, che da un lato rispecchiano le intepretazioni degli antagonisti di Diana, dall’altro esprimono la personalità di uno storico ancora immerso in un contesto di relazioni politico-ecclesiastiche nel quale i conflitti di cui riferisce non si erano ancora sopiti. Nondimeno, le sue pagine sono di vivo interesse perché colgono in pieno il senso di novità introdotto dall’approccio teologico-morale alle questioni giuridiche e politiche, del quale Antonino Diana era stato protagonista non solo in Sicilia. Vale la pena riportare qualche stralcio delle pagine di Gregorio. La pubblicazione della bolla In Coena Domini, sebbene vietata dal governo di Sicilia, era di fatto avvenuta attraverso vescovi e parroci: «imponendola a’ fedeli come regola certa e suprema di morale e di dritto, aggiungendovi insieme la gravissima autorità de’ decreti tridentini, venivasi quindi a stabilire e ad accreditare una pubblica istruzione di opinioni religiose contrarie ai dritti e alle intenzioni del governo. Egli era naturale che gli ecclesiastici ne’ libri, nelle scuole, nel regolare le coscienze non adottassero altre massime: e si aggiunse allora, a fortificarle e dilatarle, una scuola teologica di dottrine morali formata in quel tempo in Palermo e sparsasi per tutta la Sicilia, fondata dal P. Diana… uomo di severo costume, di studio indefesso, e d’ingegno adatto e pronto a specificare e suddividere per tutti i casi possibili le umane azioni, e a qualificarne la moralità in ordine e a norma delle leggi, ch’egli di ordinario ripetea dalle decretali, dalle bolle e specialmente da quella In coena Domini. Ebbe questa scuola principalmente disegno di stabilire al senso di essa bolla un sistema di dottrine, per cui lo stato ecclesiastico era assolutamente separato e tratto fuori dallo stato civile, come un corpo e una società distinta in tutto e indipendente; così che tutti gli ecclesiastici e i laici stessi, che agli ecclesiastici appartenevano, non dovevano riconoscere la suprema autorità della potenza civile. Di più questa scuola si diresse apertamente a sottoporre alla estimazione morale ed alla imputabilità teologica, fondate sul diritto novello, i più grandi oggetti della costituzione politica siciliana, trattando della potestà legislativa de’ sovrani di Sicilia, delle facoltà de’ nostri parlamenti, de’ nostri donativi e delle imposizioni pubbliche, e ne trattava non già come di cose di cui doveva giudicarsi a norma delle leggi politiche, ma come di casi morali e di coscienza, soggetti alle decisioni delle bolle e delle decretali. Fu quindi composto ed insegnato un corpo di teologia, diretto apertamente ad attaccare alla scoverta le leggi e gli statuti del dritto siciliano… Queste dottrine imposte ed autorizzate dal terrore delle scomuniche e censure, erano insieme accreditate dal pregio e dalla stima in cui i grandi magistrati e gli stessi vicerè teneano il Padre Diana, il cui consiglio e parere nelle più gravi occorrenze adoperavano; ed egli, il Diana e i suoi seguaci, pieni di fidanza e sicuri, affrontavano i giureconsulti siciliani più famosi di quel tempo». Sulla posizione degli ordini religiosi (in particolare domenicani e gesuiti all’epoca del Concilio di Trento) v. NAPOLI, La Regia Monarchia di Sicilia, pp. 190 s., 217-222. Sulla materia della retentio bullarum e dell’exequatur Antonino Diana fu coinvolto in una polemica con Francisco Salgado de Somoza. Gli strali dei giurista spagnolo si appuntano, in particolare, su quanto Diana, tornando sul tema, aveva scritto nelle Resolutiones morales, Pars V, de immunitate ecclesiastica, resolutio XII, An sit contra immunitatem ecclesiasticam recognoscere et detinere bullas pontificias PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 467 Orazio Condorelli in regiis cancellariis? (R.P.D. ANTONINI DIANA Panormitani clerici regularis, et Sancti Officii Regni Siciliae Consultoris, Resolutionum Moralium pars quinta, Venetiis, apud Franciscum Baba, 1640, pP. 14b-15b). Si veda il Tractatus de supplicatione ad Sanctissimum a litteris et bullis apostol. nequam, et importune impetratis in perniciem Reipublicae, Regni, aut Regis, aut iuris tertii praeiudicium. Et de earum retentione interim in Senatu… authore D. Don FRANCISCO SALGADO DE SOMOZA iuris utriusque professore, Senatore quondam electo Regii Senatus Canariensis, et similiter postmodum Vicario Generali Archiepiscopatu Toletani pro serenissimo Infante Cardinali. Nunc vero a Philippo IIII. Hispaniarum Rege Augusto semper invicto, Iudice Regiae Monarchiae Regni Siciliae laudabiliter creato, Matriti, Apud Mariam de Quiñones, 1639, Pars I, caput II, Retentio bullarum ex vera violentiae causa, an in Bulla Coenae Domini expresse prohibeatur, vel expresse, aut virtualiter, (supplicatione premissa) permittatur, in particolare n. 40, fol. 25vb: «Hinc Hinc non est audiendus modernus Diana resolution. moral. in tractatu de immunitat. ecclesiastica, resolut. 12 per totum, qui (immemor tantorum piorum doctorum utriusque iuris, et theologice professionis, hanc retentions praxim, et universalem consuetudinem omnium fere Christiane religionis Regnorum comprobantium) noviter adversus eandem resolvit nullo probabili fundamento nixus, utilissimasque utrique Reipublice perpendens, nec gravitatem negotii considerans facile labitur, et in suam opinionem temere involbitur [sic] in damnum miserabilium oppressorum (qui alio remedio humano sunt destituti) necnon Reipublice, non tantum temporalis, verum ipsius Ecclesiastice et spiritualis…». La menzione del teologo palermitano e delle peculiarità della situazione siciliana offre a Salgado l’occasione di aprire una digressione sulla Regia Monarchia di Sicilia (aperta perché «dulce impulsu Monarchie ductus», fol. 26vb), della quale ricorda di essere stato nominato giudice nel 1636, anche se in effetti non prese mai possesso dell’ufficio per essere stato nominato uditore della Audiencia di Valladolid. Della Regia Monarchia espone i fondamenti storici (la concessione di Urbano II al conte Ruggero) e le competenze essenziali (fol. 26ra-vb, n. 32-49). In virtù della concessione il re di Sicilia «cognoscit de omnibus causis ecclesiasticis et spiritualibus tangentibus ad forum ecclesiasticum, atque de causis exemptorum, tanquam legatus a latere Sedis Apostolice, cuius in hac parte iurisdictionem exercet ex dicto privilegio, et tam per viam appellationis ab omnibus ordinariis, et iudicibus exemptorum ante diffinitivam emissae; verum etiam in prima instantia per viam simplicis gravaminis, seu recursus absque appellatione, imo gravaminis aditu mediante solet impune Iudex Illustrissimus Monarchiae retinere totam causam in suo tribunali, iuxta praxim retro vetustissimam et immemorialem, continuatam etiam post Concilium Tridentinun, sess. 24 de reformatione, capit. 20, preservans alias primam ordinariorum instantiam, ita ut in illo Tribunali Monarchie, et Regno Sicilie, hec constitutio conciliaris non fuit recepta…». Secondo l’interpretazione di Salgado, infatti, il Concilio tridentino non intendeva derogare alle prerogative del Re di Sicilia, in quanto fondate sul privilegio. Al trattato di Salgado Diana rispose con la Apologetica Disceptatio adversus Franciscum Salgadum, de illicita Bullarum Apostolicarum per regios Magistratos examinatione (rimasta inedita e conservata nei fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. lat. 1329): sull’argomento v. BURGIO, Teologia barocca, cit., pp. 54-69. 468 DIRITTO E RELIGIONI Istituzioni ecclesiastiche e cultura giuridica nella Sicilia di Antico Regime. Brevi note Fra coloro che avevano scritto sulla Regia Monarchia Salgado ricorda il proprio maestro Juan de Solórzano y Pereira: il suo De Indiarum iure contiene, infatti,una digressione sulla Monarchia di Sicilia inserita nel contesto di discussione riguardante il problema della eventuale soggezione feudale dei domini del Nuovo Mondo al Papa. Solórzano ricorda, fra l’altro, che il tomo XI degli Annales di Baronio era stato bandito dai domini della Corona di Spagna, con cedola spedita anche nel Regno del Perù, alla cui esecuzione lo stesso Solórzano era stato deputato. Utile precisare che, a fronte delle tesi di Baronio, Solórzano sottolinea che «plures plures docti vires peculiares apologias scripserunt»: D.D. IOANNIS DE SOLORZANO PEREIRA… De Indiarum iure. Sive de iusta Indiarum Occidentalium inquisitione, acquisitione, et retentione, Tomus primus, Lugduni, Sumptibus Laurentii Anisson, 1627, Liber III, caput I, de iustitia retentionis Novi Orbis, et an verum sit, quod Bodinus tradit catholicos scilicet Hispanie reges ob illius concessione, effectos fuisse Sancte Romane Sedis vassallos, et feudatarios? et obiter nonnulla de feudis Ecclesie, n. 71-78, pp. 374a-375a. Può essere interessante notare che l’autorità di Solórzano è allegata, sia pure indirettamente, da BALDASSARRE ABRUZZO nel «Tractatus de nonnullis Regiae Monarchiae ultra Pharum preheminentiis», Singulare primum, an Tribunal regie Monarchie Sicilie regni sit legatus natus Pape cum potestate de latere (ed. cit., p. 91). Su Mario Cutelli (1589-1654) e lo scritto De prisca et recenti immunitate Ecclesiae ac ecclesiasticorum libertate (citato alle note 36 e ss.) v. VITTORIO SCIUTI RUSSI, Cutelli Mario, in Dizionario Biografico degli Italiani, 31, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1985, pp. 529-533; ID., Mario Cutelli. Una utopia di governo, Catania, Bonanno, 1994, p. 43; BURGIO, Teologia barocca, cit., pp. 68 s. In generale, sulle relazioni tra Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori politici italiani nei secoli XVII e XVIII v. ARTURO CARLO JEMOLO, Stato e Chiesa negli scrittori politici italiani del ’600 e del ’700, risalente al 1914, che ora si legge nella II edizione a cura di FRANCESCO MARGIOTTA BROGLIO, Napoli, Morano, 1972; il CURATORE ha corredato il volume di una corposa Nota alla seconda edizione, pp. 331-420. § 5. Su Giovan Battista Caruso (1673-1724), le sue relazioni con la cultura francese del suo tempo (Jean Mabillon), il suo orientamento gallicano-giansenista, i rapporti tra il Discorso istorico-apologetico e la Défense di Du Pin, v. MARIO CONDORELLI, Note su Stato e Chiesa nel pensiero degli scrittori giansenisti siciliani del sec. XVIII, in Il diritto ecclesiastico, 68, 1957, pp 305-385, ora in ID., Scritti di storia e di diritto (Università di Catania, Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza 147), Milano, Giuffrè, 1996, pp. 1-83 (14-17, 19-26, 29-34); ID., Giovan Battista Caruso e la cultura del suo tempo, in Archivio storico per la Sicilia Orientale, 70, 1974, pp. 343-356, ora in ID., Scritti, cit., pp. 337-356; ID., Caruso Giovan Battista, in Dizionario Biografico degli Italiani, 21, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1978, pp. 10-15; GIUSEPPE GIARRIZZO, Illuminismo, in Storia della Sicilia, IV, Palermo, Società Editrice Storia di Napoli e della Sicilia, 1980, pp. 711-815 (718-724). Su Louis-Ellies Du Pin (1657-1719) v. JACQUES M. GRÈS-GAYER, Un théologien gallican, témoin de son temps: Louis-Ellies Du Pin (1657-1719), in Revue d’Histoire de l’Église de France, 72, 1986, pp. 67-121; ID., Le Gallicanism de Louis-Ellis Du Pin (1657-1719), in Lias, 18, 1991, pp. 37-82; CARLO FANTAPPIÈ, Le dottrine teologiche PARTE I - Storia delle istituzioni religiose 469 viri 1672 Orazio Condorelli e canonistiche sulla costituzione e sulla riforma della Chiesa nel Settecento, in Il Diritto Ecclesiastico, 102, 2001, 795-834. Du Pin fu consulente di Vittorio Amedeo II durante la «controversia liparitana»: Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia nell’Isola di Sicilia dall’anno MDCCXIII al MDCCXIX. Documenti raccolti e stampati per ordine della Maestà del Re d’Italia Vittorio Emanuele II, vol. II, a cura di VITTORIO EMANUELE STELLARDI, Torino, Dalla Tipografia degli Eredi Botta, 1863, pp. 359-381 (consulenza di Du Pin a Vittorio Amedeo II, 1716, relativamente a un progetto di conciliazione con la Santa Sede). Le dottrine gallicane sui rapporti fra Stato e Chiesa si collegano con le concezioni ecclesiologiche sulle quali si può rinviare al recente studio di JEAN-LOUIS GAZZANIGA, L’ecclésiologie des juristes gallicans (XVII-XVIIIe siècles), in Les clercs et les princes. Doctrines et pratiques de l’autorité ecclésiastique à l’époque moderne. Études réunies par PATRICK ARABEYRE et BRIGITTE BASDEVANTGAUDEMET (Éudes et Rencontres de l’École de Chartes 41), Paris, École Nationale de Chartes, 2013, pp. 373- 388, con la letteratura ivi citata; e a BRIGITTE BASDEVANTGAUDEMET, Histoire du droit canonique et des institutions de l’Église latine. XVe-XXe siècle, Paris, Economica, 2014, pp. 493-523, con la letteratura ivi citata. Sul tema del controllo regio sulla legislazione ecclesiastica è specifico il saggio di JEAN GAUDEMET, A propos du contrôle de la legislation ecclésiastique par le pouvoir séculier dans l’ancien régime, in Justice et justiciables. Mélanges Henri Vidal (Recueil de Mémoires et Travaux publié par la Societé d’Histoire du Droit et des Institutions des Anciens Pays de Droit Écrit 16), Montpellier, Faculté de Droit, d’Économie et de Gestion, 1994, pp. 201-211. Il pensiero di Marco Antonio de Dominis sulla Legazia Apostolica è stato ricordato da CARMELO CARISTIA, Pietro Giannone «giureconsulto» e «politico». Contributo alla storia del giurisdizionalismo italiano (Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza dellUniversità di Catania 10), Milano, Giuffrè, 1947, pp. 100, 111-114. Caristia ritiene che Pietro Giannone abbia tratto ispirazione da de Dominis, sebbene non lo menzioni direttamente, nel Trattato de’ veri e legittimi titoli delle regali preminenze che i Re di Sicilia hanno sempre conservato ed esercitato per mezzo del tribunale della Monarchia. L’opera, composta nel 1727, è edita in PIETRO GIANNONE, Il Tribunale della Monarchia di Sicilia. Opera postuma pubblicata con prefazione dal Professore AUGUSTO PIERANTONI, Roma, Loescher, 1892. La tesi fondamentale dello scritto giannoniano è che, quanto ai poteri circa sacra, Ruggero «li esercitò proprio iure, siccome l’esercitavano tutti gli altri Principi che seppero far valere nei loro Stati la ragione dell’Imperio, ancor che non avessero Legazione alcuna» (ed. cit., p. 42). 470 DIRITTO E RELIGIONI Stampato da Pellegrini editore - Cosenza