L’HÉRITAGE BYZANTIN EN ITALIE
(VIIIe-XIIe SIÈCLE)
II
LES CADRES JURIDIQUES ET SOCIAUX
ET LES INSTITUTIONS PUBLIQUES
COLLECTION
DE
L’ÉCOLE
FRANÇAISE
DE
ROME
461
L’HÉRITAGE BYZANTIN EN ITALIE
(VIIIe-XIIe SIÈCLE)
II
LES CADRES JURIDIQUES ET SOCIAUX
ET LES INSTITUTIONS PUBLIQUES
Études réunies par Jean-Marie MARTIN, Annick PETERS-CUSTOT
et Vivien PRIGENT
ÉCOLE FRANÇAISE DE ROME
2012
Cet ouvrage recueille les actes des tables rondes tenues à Rome
les 4 et 5 mai 2009 et les 26 et 27 février 2010.
Ce volume est réalisé grâce à une contribution du Newton International Fellowship.
Les cinq tables rondes sur «L’héritage byzantin en Italie (VIIIeXIIe siècle)», dont les actes sont publiés dans la Collection de l’École française de Rome et dans les Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge, sont
les suivants :
1. La fabrique documentaire : Rome, Istituto storico italiano per il Medio
Evo, table ronde organisée les 12 et 13 juin 2008.
2. Les cadres juridiques et sociaux : Rome, École française de Rome, table
ronde organisée les 4 et 5 mai 2009.
3. Les institutions publiques : Rome, École française de Rome, table ronde
organisée les 26 et 27 février 2010.
4. Les caractères originaux de l’espace rural : Rome, École française de
Rome, table ronde organisée les 17 et 18 décembre 2010.
5. La mosaïque culturelle : Rome, École française de Rome, table ronde
organisée les 25 et 26 novembre 2011.
- École française de Rome - 2012
ISSN 0223-5099
ISBN 978-2-7283-0941-2
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
LA MILITIA A ROMA
IL FORMARSI DI UNA NUOVA ARISTOCRAZIA (SECOLI VII-VIII)
Nel 968, il vescovo Liutprando di Cremona, inviato in legazione a
Costantinopoli, ricevette dall’eunuco Cristoforo, dignitario del palazzo
imperiale, una dichiarazione altezzosa che avrebbe fatto scandalizzare un
cittadino romano :
Audi ergo, sed papa fatuus, insulsus ignorat Constantinum sanctum
imperialia sceptra huc transvexisse, senatum omnem cunctamque Romanam
militiam, Romae vero vilia mancipia, piscatores scilicet, cupedinarios,
aucupes, nothos, plebeios, servos tantummodo dimisisse1.
L’eunuco aveva ragione e torto. Aveva ragione in quanto la fiera
aristocrazia romana del suo tempo, che si riteneva discendere senza soluzione di continuità dagli antichi senatori, aveva in realtà un’origine diversa,
poiché davvero il ceto senatorio era scomparso dall’Italia (non nel IV, bensì
nel VI secolo). Aveva anche torto, poiché l’aristocrazia romana del suo
tempo aveva, in realtà, un’origine simile alla sua, in quanto discendeva
almeno in parte dai capi militari di origine orientale inviati a governare la
città tra il VI e l’VIII secolo. Aveva, una volta di più, ragione, avendo contestato la presenza di uno iato fortissimo nella storia di Roma, che i Romani
non conoscevano o che rifiutavano di accettare (il papa, infatti, è chiamato
fatuus e ignora[ns]), ma che la storiografia contemporanea ha confermato 2.
Il tema della militia ovvero exercitus – il ceto militare della popolazione
romana che si sviluppò dalla fusione di elementi autoctoni con elementi
allogeni provenienti dai quadri di comando e dalle guarnigioni bizantine, e
che tra VII e VIII secolo diede vita, al suo interno, a una «nuova aristocrazia», quella degli iudices o optimates de militia – è ritenuto, con ragione,
1
Liudprandus, Relatio de Legatione Constantinopolitana, in Liudprandi Cremonensis Opera
omnia, ed. P. Chiesa, Turnhout, 1998, cap. 51, p. 209. Cfr. F. Burgarella, Il Senato, in Roma
nell’alto medioevo. Atti delle Settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo,
XLVIII, Spoleto 27 aprile – 1 maggio 2000, Spoleto, 2001, p. 121-175 : p. 173. Ringrazio Lidia
Capo per avere letto questo mio lavoro e per le sue utili considerazioni.
2
G. Arnaldi, Rinascita, fine, reincarnazione e successive metamorfosi del Senato romano
(secoli V-XII), in Archivio della Società romana di storia patria, 105, 1982, p. 5-56; Id., Il Senato
in Roma altomedievale (secoli VI, fine XI), in Il Senato nella storia. Il Senato nel medioevo e nella
prima età moderna, Roma, 1997, p. 95-172; F. Burgarella, Il Senato... cit., p. 170.
560
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
uno dei cardini della storia altomedievale di Roma 3. Al rilievo che riveste
non è finora corrisposta, però, la possibilità di comprendere questo tema in
modo del tutto persuasivo. Né questa è l’occasione, purtroppo, di proporre
spiegazioni che siano in alcun modo risolutive, ma semmai di far emergere
con qualche dettaglio quella che è la griglia interpretativa maggiormente
condivisa dalla storiografia contemporanea, nonché di far venire al pettine i
numerosi nodi dai quali, forse, continueremo nostro malgrado a essere
avviluppati ancora per lungo tempo.
La militia romana è oggi conoscibile solamente attraverso le poche
tracce archeologiche che ha lasciato e attraverso un pugno di testi scritti 4.
3
Problematica già delineata in F. Gregorovius, Storia della città di Roma nel medioevo,
nuova edizione integrale a cura di L. Trompeo, rist. anast., Roma, 1988, II, p. 479-486,
ripresa con chiarezza da O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna,
1941, p. 318-322, 369, 376, e da G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro, in Storia
d’Italia, VII, Comuni e signorie nell’Italia nordorientale e centrale : Lazio, Umbria e Marche,
Lucca, Torino, 1987, p. 3-151 : p. 56-57, 98 s. Più di recente : P. Toubert, «Scrinium» et
«Palatium» : la formation de la bureaucratie romano-pontificale aux VIIIe-IXe siècles, in Roma
nell’alto medioevo... cit., p. 57-117 : p. 81-87; F. Marazzi, Aristocrazia e società (secoli VI-XI), in
A. Vauchez (a cura di), Roma medievale, Roma-Bari, 2001, p. 41-69 : p. 41-51; L. Capo, Il
Liber pontificalis, i Longobardi e la nascita del dominio territoriale della Chiesa romana, Spoleto,
2009, p. 120, 169-196. Si considerino come particolarmente significative le seguenti affermazioni. Gregorovius, Storia della città di Roma... cit., II, p. 481-482 : «Su questo exercitus
Romanus il papa, nella prima metà del VII secolo, non esercitava ancora influenza [...]. Per
la prima volta, al tempo di Martino I, l’esercito mostra sentimenti nazionali, e gli esarchi
cominciano allora ad avere riguardo alla sua adesione. Dopo di allora l’indole puramente
municipale della milizia si afferma più evidentemente; è essa che rappresenta i diritti politici di Roma [...]. Questa milizia romana ora accoglieva in sé le classi dei cittadini forniti di
beni, ed escludeva solo il ceto degli operai e della plebaglia. I suoi capitani (dopo la metà
dell’ottavo secolo duci greci non ebbero più il comando) erano Romani importanti, che
continuavano ad avere titolo di duci e di tribuni, e cominciavano presto a tramandarlo in
eredità alle loro famiglie». O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi... cit.,
p. 321-322 : «La nuova aristocrazia si distingueva dall’antica anche per il fatto che alle
grandi famiglie senatorie del passato, estinte o prossime ad estinguersi, si andavano man
mano sostituendo le famiglie degli alti funzionari ed ufficiali bizantini che, stabilitisi nella
città e nel territorio intorno, erano divenuti ricchi proprietari terrieri; e per il fatto che la
sua sfera d’interessi patrimoniali, anziché estendersi anche alle province dell’Italia meridionale ed alla Sicilia, era ristretta a Roma ed alle zone limitrofe. Ma anche la nuova
aristocrazia, non appena assimilata dagli elementi etnici locali, sarebbe stata gelosa tutrice
delle tradizioni romane in confronto così dei Longobardi come di Bisanzio. I suoi componenti ed i primates Ecclesiae avrebbero costituito le classi dirigenti dell’Urbe, le quali avrebbero esercitato sulle sue vicende un’azione sempre più ampia e profonda». G. Arnaldi, Le
origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 56-57 (= G. Arnaldi, Rinascita, fine, reincarnazione... cit., p. 38) : «Il processo per cui un certo numero di questi forestieri mise col
tempo radici in Italia, in particolare a Roma e nel Ducato romano, e si mescolò con ciò che
ancora rimaneva sul posto di antica aristocrazia senatoria e, soprattutto, con le confuse e
inquiete forze emergenti sviluppatesi all’ombra dell’episcopio Lateranense o cresciute ai
margini, e magari a spese dei patrimoni fondiari della Chiesa romana, dando così vita al
nuovo ceto dominante locale, è, dal nostro particolare punto di vista, il fenomeno
centrale, anche se più intuibile che documentabile, del secolo e mezzo circa, che va dal
pontificato di Gregorio Magno a quelli, altrettanto datanti, di Zaccaria (741-752) e di
Stefano II (752-757)».
4
F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 60 s.; A. Augenti, I ceti dirigenti romani nelle
LA MILITIA A ROMA
561
Questi consistono in alcune brevi notazioni, contenute soprattutto nel Liber
pontificalis, oltre che nel Liber diurnus Romanorum pontificum e in alcuni
ordines relativi alla liturgia romana 5. Inoltre, disponiamo di un limitato
numero di epigrafi e di regesti di documenti pontifici 6. A parte le fonti
archeologiche e quelle epigrafiche, risalta dunque il fatto che le fonti scritte
di cui disponiamo non sono state prodotte dall’ambiente politico-sociale
che ci accingiamo ad analizzare, bensì da un «milieu» distinto da esso,
essendo esse tutte di matrice ecclesiastica. La militia romana è avvicinabile
solo per speculum, attraverso un filtro che impone prospettive proprie, le
quali possono arrivare a configurarsi, per quanto possiamo sospettare,
come vere e proprie distorsioni 7. Ciò che riusciamo a cogliere dai nostri
testi, dunque, non è tanto la natura e le funzioni della militia, bensì la sua
rappresentazione dal punto di vista del clero romano. Una tale limitazione,
benché sia comune per l’alto medioevo, va tenuta presente, sia perché
condiziona, che lo si voglia o no, anche la nostra interpretazione, sia perché
la cognizione dell’esistenza di tale velo può portarci a congetturare – non
possiamo fare molto di più – che sia esistita anche una rappresentazione
prodotta dall’ambiente laico; che cioè sia esistito un modo differente di
pensare se stessi, lo spazio e i rapporti socio-politici rispetto a quello ecclesiastico : un tema, questo, particolarmente interessante quando si tenti di
affrontare l’annoso problema della ripartizione territoriale della città, con le
sue ben testimoniate regioni ecclesiastiche, ma anche, forse, con le sue non
più documentate, fino al basso medioevo, regioni civili 8. Viceversa, la
militia stessa non ha lasciato traccia scritta di sé. Ciò significa che manca
non solo un’auto-rappresentazione di questo gruppo sociale, ma che, cosa
fonti archeologiche (secoli VIII-XII), in S. Carocci (a cura di), La nobiltà romana nel medioevo.
Atti del Convegno internazionale Roma 20-22 novembre 2003, Roma, 2006 (Collection de l’École
française de Rome, 359), p. 71-96; P. Delogu, Le origini del medioevo. Studi nel settimo secolo,
Roma, 2011, p. 229.
5
Le Liber pontificalis, Texte, introduction et commentaire, ed. L. Duchesne, Parigi, 18861892, 2 vol.; III, Additions et corrections de Mgr L. Duchesne, ed. C. Vogel, Parigi, 1957 (rist.
anast. Parigi 1981; d’ora in poi : LP); Liber diurnus Romanorum pontificum ex unico codice Vaticano, denuo edidit Th. E. ab Sickel, Vienna, 1889; M. Andrieu (a cura di), Les Ordines
Romani du haut Moyen Âge, Lovanio, 1937-1961 (soprattutto gli ordines I e XXXVI).
6
Per le epigrafi romane in relazione con i ceti dirigenti : D. De Francesco, La proprietà
fondiaria nel Lazio, secoli IV-VIII, Roma, 2004, p. 136-205; L. Cardin, Scrivere per apparire :
tentativi di autorappresentazione nell’epigrafia delle élites a Roma tra VI e IX secolo, in
F. Bougard, R. Le Jan e R. McKitterick (a cura di), La Culture du haut Moyen Âge : une
question d’élites?, Turnhout, 2009, p. 101-124. I regesti di documenti pontifici dei secoli VII
e VIII sono stati trasmessi attraverso la Collectio canonum del card. Deusdedit (fine sec. XI) :
Die Kanonessammlung des Kardinals Deusdedit, a cura di V. Wolf von Glanvell, Paderborn,
1905 (anast. Aalen, 1967), lib. III, cap. CXXXVIII-CCLVIII.
7
F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 42, 47; K. Cooper, J. Hillner, Introduction, in
K. Cooper e J. Hillner (a cura di), Religion, Dynasty, and Patronage in Early Christian Rome,
300-900, Cambridge, 2007, p. 3-18 : p. 7. Il «punto di vista» degli autori del Liber pontificalis costituisce uno fra i temi principali del libro di L. Capo, Il Liber pontificalis... cit.
8
T. di Carpegna Falconieri, Circoscrizioni ecclesiastiche nel medioevo alto e centrale. Il territorio tra organizzazione e rappresentazione, in M. Royo, É. Hubert e A. Bérenger (a cura di),
«Rome des quartiers» : des vici aux rioni. Cadres institutionnels, pratiques sociales et requalifications entre Antiquité et époque moderne, Parigi, 2008, p. 77-88. Cfr. infra.
562
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
altrettanto e forse ancora più problematica, mancano anche quelle altre
fonti di cui, in altri contesti, possiamo servirci per analizzare le aristocrazie
laiche. Difatti non abbiamo, salvo che per alcuni brevi regesti, atti privati
relativi a Roma e al suo circondario datati ai secoli VII e VIII. Fino al
IX secolo (e per arrivare agli originali, fino al secolo successivo), ci manca
quasi completamente proprio il tipo di documentazione indispensabile per
analizzare la base economica del ceto che proviamo a studiare : una lacuna,
questa, che, ad avviso di chi scrive, ci obbliga a considerare come irrisolta e
forse irrisolvibile tutta una serie di questioni 9.
La principale fra tutte le questioni va individuata nell’incertezza con la
quale avviciniamo l’istituzione territoriale, militare e amministrativa chiamata Ducato romano, che è proprio l’organismo pubblico che avrebbe
inquadrato i contingenti armati chiamati con i nomi di exercitus Romanus e
di militia, i cui vertici si svilupparono in una aristocrazia locale. Del Ducato
romano, che rimase in essere fino alla fine dell’Esarcato, dunque fino agli
anni centrali del secolo VIII, è stata a suo tempo messa in dubbio l’esistenza
(Tomassetti); in seguito, dimostrata la sua effettiva realtà, il periodo della
prima istituzione è stato datato con oscillazioni dell’arco di un secolo : alla
seconda metà del VII secolo (Bertolini), alla fine del VI secolo (Bavant),
alla fine del VII secolo (Delogu)10. In assenza di attestazioni probanti e
considerando l’assoluta carenza di fonti, ognuna di queste datazioni
mantiene ancora oggi una propria ragionevolezza11. Ma datare in maniera
differente il periodo di vita del Ducato romano produce effetti a cascata
sulla nostra concezione della milizia e, da lì, dell’aristocrazia laica romana,
perché ci pone di fronte al problema delle relazioni intessute tra questo
gruppo politico-sociale e, rispettivamente, il pontefice romano e l’esarca.
Infatti, noi non siamo in grado di figurarci compiutamente la natura e le
9
Si veda in proposito C. Carbonetti Vendittelli, Il sistema documentario romano tra VII e
XI secolo : prassi, forme, tipologia della documentazione privata, in L’héritage byzantin en Italie
(VIIIe-XIIe siècle). I. La fabrique documentaire, Roma, 2011 (Collection de l’École française de
Rome, 449), p. 87-115.
10
G. Tomassetti, La campagna antica, medioevale e moderna, Roma, 1910, p. 119 s.;
O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi... cit., p. 369-371; B. Bavant, Le duché
byzantin de Rome. Origine, durée et extension géographique, in Mélanges de l’École française de
Rome, Moyen Âge, 91, 1979, p. 41-88; P. Delogu, Il passaggio dall’antichità al medioevo, in
Roma medievale... cit., p. 3-40 : p. 20-21; Id., Le origini del medioevo... cit., p. 220-222; cfr.
anche L. Duchesne, I primi tempi dello Stato pontificio, Torino, 1947 (rist. anast. Spoleto,
2010), p. 13-18; G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 26 s.;
T. S. Brown, Gentlemen and officers. Imperial administration and aristocratic power in Byzantine
Italy A. D. 554-800, Roma, 1984, p. 55; P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 72-76;
L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 174-175.
11
Il dubbio resta in piedi in quanto fino all’VIII secolo non abbiamo fonti che attestino esplicitamente l’esistenza di un ducato e di un duca di Roma : la prima volta che nel
Liber pontificalis vengono nominati un duca (Pietro) e il Ducatus Romae corrisponde alla vita
di papa Costantino (708-715 : LP I, p. 392). L’ipotesi di Bertolini e Bavant (ripresa anche
da Arnaldi e derivante da una proposta congetturale di Duchesne : LP, I, p. 395) deriva dal
fatto che già nella prima metà del secolo VII sono presenti a Roma dignitari imperiali di
grado molto elevato, che da questi autori vengono di fatto equiparati ai duchi; secondo
Delogu, il ducato è un’istituzione imperiale frutto della pacificazione religiosa posteriore al
680.
LA MILITIA A ROMA
563
funzioni del Ducato romano a causa della compresenza dell’istituzione
pontificia. Quel che crea le maggiori difficoltà è tentare di comprendere le
modalità della condivisione e della contrapposizione del potere pubblico tra
gli emissari dell’imperatore e il pontefice, e di conseguenza collocare con
maggiore precisione la posizione dei quadri dirigenti12. In definitiva, noi
abbiamo memoria di comandanti militari e di un exercitus, ma non abbiamo
una chiara nozione delle strutture istituzionali entro le quali costoro si
mossero.
UNA
PROPOSTA DI CRONOLOGIA
Nonostante le incertezze di fondo alle quali si è accennato, l’ininterrotto lavoro di analisi storiografica che parte dal secondo Ottocento e
raggiunge i giorni nostri, ci permette oggi di proporre il tema della militia
attraverso una cronologia dei fatti sulla quale esiste un accordo di
massima13. Questa cronologia, che deriva essenzialmente da notizie contenute nel registro di Gregorio Magno, nel Liber pontificalis, nel Liber diurnus e
nella Collectio canonum del cardinale Deusdedit, ci pare riducibile nelle
cinque fasi di seguito descritte.
1. Negli ultimi decenni del VI secolo si verificò a Roma la definitiva
scomparsa dell’ordo senatorio, decimato, epurato, consumato e migrato a
Costantinopoli. L’ultimo caput Senatus a noi noto fu Decio (584) e uno degli
ultimi detentori della prefettura urbana fu Gregorio, poi divenuto papa
(590-604). Al 603 risale l’ultima attestazione della presenza dei senatori in
una cerimonia pubblica. Il celebre lamento di Gregorio Magno in una delle
sue Omelie su Ezechiele è il grande testimone degli eventi :
Ubi enim senatus? Ubi iam populus? Contabuerunt ossa, consumptae
sunt carnes, omnis in ea saecularium dignitatum ordo exstinctus est [...].
Quia enim senatus deest, populus interiit, et tamen in paucis qui sunt dolores
et gemitus cotidie multiplicantur, iam vacua ardet Roma14.
Si può ormai affermare che dalla fine del VI secolo in poi, i quadri di
comando presenti a Roma non avevano più una relazione istituzionale, e
forse (ma questo è molto incerto) neppure biologica, con il ceto che per
tanti secoli aveva retto l’Impero : nel corso del secolo VII il Senato non
esisteva più e la stessa sua sede, la Curia, fu consacrata come chiesa, con la
Cfr. L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 175.
Si veda spec. ibid., p. 169-178.
14
Sancti Gregorii Magni Homiliae in Hiezechihelem Prophetam, a cura di M. Adriaen,
Turnhout, 1971, lib. II, Hom. VI, 22-24, p. 311-312. Cfr. E. Stein, La disparition du Sénat de
Rome à la fin du VIIe siècle, in Bulletin de la Classe des Lettres de l’Académie de Belgique, 25,
1939, p. 308-322; G. Arnaldi, Rinascita, fine, reincarnazione... cit., p. 6-8, 34-37; G. Arnaldi,
Il Senato in Roma altomedievale... cit., p. 95-102; F. Burgarella, Il Senato... cit., p. 147-172;
F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 42; B. Judic, Grégoire le Grand et la crise des élites, in
F. Bougard, L. Feller e R. Le Jan (a cura di), Les élites au haut Moyen Âge. Crises et renouvellements, Turnhout, 2006, p. 23-43 : p. 29-30.
12
13
564
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
dedicazione a S. Adriano, al tempo di Onorio I (625-638). La definitiva
scomparsa dell’antico ordo senatorio non comportò, peraltro, una condizione di non-governo della città. Oltre all’organizzazione sempre più articolata dell’episcopio Lateranense e dell’amministrazione ecclesiastica urbana,
argomento che esula da questo contributo, è testimoniata la presenza di
capi militari dell’Impero. Tra la fine del VI secolo e il 640 circa, Roma è
difesa da milizie agli ordini di capi bizantini che portano, quando sono i
comandanti in capo, i titoli di magister militum o carthularius o la qualifica di
gloriosus, oppure il titolo di tribunus, quest’ultimo riferibile al comandante
di un numerus, cioè di un reparto15. Questo non significa, sia detto per
inciso, che si possa già parlare senza esitazioni dell’esistenza di un Ducato
romano, poiché questo termine non compare nelle fonti, ma che certamente Roma era integrata nell’Esarcato ed era governata da comandanti di
grado elevato. Le truppe di stanza in città, suddivise in numeri, ricevevano il
soldo, benché irregolarmente16. Si trattava dunque di reparti militari i quali
non erano ancora propriamente «territorializzati», soprattutto in quanto
non erano ancora pagati con la concessione di terre, come, con ogni verosimiglianza, accadrà poco dopo17. Se i comandanti potevano provenire dalle
più lontane propaggini dell’Impero, gli stessi numeri, almeno fino al principio del VII secolo, appaiono compagini militari il cui reclutamento avveniva lontano da Roma : abbiamo il ricordo del numerus Theodosiacus, che
certamente era di stanza a Roma nel 592, e di appartenenti ai numeri
Devotus, Sermisianus, Dacorum18. Ma di tanti soldati che affollarono questa
città ormai di guarnigione, le testimonianze sono ridotte a nulla.
15
Magistri militum : Castus (587-595); Donus (642-643). Carthularii : Mauricius (640642); Thomatus (642-649 : LP I, p. 331); Gloriosi : Iohannes (m. ante 598); Eupraxius
(649). Tribuni : Iohannes (589-594); Flavius Anastasius, inizio sec. VII; Flavius, a. 603 :
cfr. S. Cosentino, Prosopografia dell’Italia bizantina (493-804), Bologna, 1996-2000, [lettere
A-O]. Indici relativi a Roma : I, p. 576-580 (A-F), II, p. 510-515 (G-O). Si vedano anche
B. Bavant, Le duché byzantin... cit., p. 70; É. Patlagean, Les armes et la cité de Rome du VIIe au
IXe siècle et le modèle européen des trois fonctions sociales, in Mélanges de l’École française de Rome,
Moyen Âge, 86, 1, 1974, p. 25-62 : p. 34; G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro...
cit., p. 56-57. Sul numerus, reparto di uomini oscillante fra le 200 e le 400 unità :
A. Guillou, Régionalisme et indépendance dans l’Empire byzantin au VIIe siècle. L’exemple de
l’Exarchat et de la Pentapole d’Italie, Roma, 1969, p. 149; É. Patlagean, Les armes... cit., p. 44;
T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 56-58, 84, 90; G. Ravegnani, Le unità dell’esercito bizantino nel VI secolo tra continuità e innovazione, in S. Gasparri (a cura di), Alto
medioevo mediterraneo, Firenze, 2005, p. 185-202 : p. 186-188.
16
S. Gregorii Magni Registrum epistolarum, ed. D. Norberg, Turnhout, 1982, a. II, n. 38
(a. 592), p. 123 : «Theodosiaci vero qui hic remanserunt, rogam non accipientes, vix ad
murorum quidem custodiam se accomodant»; ibid., a. V, n. 30 (a. 595), p. 297 : «Rogae
quoque militum ita per praedictum confamulum meum scribonem, praesente quoque
glorioso Casto magistro militum, factae sunt». Cfr. T. S. Brown, Gentlemen and Officers...
cit., p. 87; P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 84 e nota 70.
17
L’argomento è approfondito infra.
18
«Theodosiaci [milites]» : S. Gregorii Magni Registrum epistolarum... cit. a. II, n. 38
(a. 592), p. 123; «Theodatus, adorator numeri Theodosiac(i)» : Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens aus der Zeit 445-700, von J. O. Tjäder, Lund, 1955, n. 17 (sec. VII in.?),
p. 334; Totila, «milix de numero Devoto» (561 ca) : Corpus Inscriptionum Latinarum, VI,
Inscriptiones urbis Romae latinae, 2, Berlino, 1882, n. 32967; «Georgius, opt(io) num(eri)
LA MILITIA A ROMA
565
2. Dopo il principio del VII secolo abbiamo un vuoto documentario che
viene colmato, negli anni Quaranta, dalla narrazione del Liber pontificalis.
Nella vita di papa Severino (640) compare per la prima volta la menzione
dell’exercitus Romanus. Non appena il pontefice era stato eletto e prima che
fosse ordinato – narra il biografo pontificio – «fu devastato l’episcopio Lateranense da Maurizio cartulario e da Isacco patrizio ed esarca d’Italia»19.
L’occasione del saccheggio – così viene presentato dalla fonte papale –
scaturì dalla sedizione che era stata provocata dal cartulario Maurizio, il
quale, insieme con alcuni uomini perversi, aveva sobillato l’esercito affermando :
Quid prodest quod tantae pecuniae congregatae sunt in episcopio Lateranense ab Honorio papa [625-638], et milex iste nihil exinde subventum
habent? Dum quando et rogas vestras quas domnus imperator vobis per
vices mandavit, ibi sunt a suprascripto viro reconditas 20.
La contrapposizione è forte : da una parte il biografo pontificio afferma
che il cartulario Maurizio e l’esarca Isacco avevano depredato il sacro tesoro
della Chiesa, cioè il vestiarium contenente i doni offerti a san Pietro dai
cristianissimi imperatori, patrizi e consoli; dall’altra parte, invece, si affermava che i papi avevano accumulato un tesoro in moneta senza che i
milites ne traessero alcun giovamento e che, per di più, conservavano nel
Laterano le rogae, cioè gli stipendi dei soldati, senza distribuirle.
Sia che si trattasse di un atto sacrilego, sia che si trattasse invece di un
episodio che «mostra solo la irrequietudine dell’esercito, che di fronte alle
carenze economiche connesse con la propria azione militare, ritiene inutili
gli ammassi di metalli preziosi nei tesori delle chiese e ne richiede la circolazione per sostenere la guerra» 21, il fatto del 640 è per noi illuminante. Esso
ci testimonia, infatti, dell’esistenza di un «esercito romano» costituito come
tale; ci rende noto inoltre che l’esercito obbediva al cartulario, ma che il
pontefice aveva titolo per distribuire le paghe ai soldati, come delegato dell’imperatore. Esercito ed Ecclesia Dei appaiono, in questa fonte, decisamente
contrapposti 22 ; ma anche strettamente collegati.
Simili considerazioni si possono fare a proposito delle altre due testimonianze relative agli anni Quaranta del secolo VII, contenute nel Liber
mil(itum) Sermisiani» (sec. VII in.?) : Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens... cit.,
n. 17, p. 334; «Dominic[i]s, [v(ir)] c(larissimus), [o]ptio numer(i) [Ser]rm[isi(ani)]»;
«Ioannes, dom(esticus) num(eri) Dac(orum)» (sec. VII in.?) : ibid., n. 18-19, p. 342 e 340;
(cfr. S. Cosentino, Prosopografia dell’Italia bizantina... cit., ad indicem); si vedano in proposito LP I., p. 329 nota di Duchesne; A. Guillou, Régionalisme et indépendance... cit., p. 156;
É. Patlagean, Les armes... cit., p. 44; T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 59, 90-91;
G. Ravegnani, Le unità dell’esercito bizantino... cit. p. 191, 199, 201-202.
19
LP I, p. 328 : «Huius temporibus devastatus est episcopius Lateranensis a Mauricio
cartulario et Isacio patricio et exarcho Italiae, dum adhuc electus esset domnus Severinus».
20
Ibid.
21
A. Carile, Roma vista da Costantinopoli, in Roma fra Oriente e Occidente. Settimane di
studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo, XLIX, Spoleto 19-24 aprile 2001, Spoleto
2002, p. 49-99 : p. 79.
22
Cfr. LP I, p. 329, nota di Duchesne.
566
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
pontificalis. Nel 642, l’exercitus Romanus fece atto di obbedienza all’esarca,
riallineandosi al magister militum e sacellarius Dono contro il cartulario
Maurizio, che si era ribellato e al quale i Romani avevano in precedenza
prestato giuramenti 23.
Nel periodo 649-653, l’esercito è ancora a disposizione dell’imperatore,
ma esso è mostrato come diviso al suo interno. Infatti, l’imperatore,
volendo far arrestare papa Martino, diede disposizioni affinché l’esercito
romano venisse persuaso a lasciar agire indisturbato l’esarca, senza peraltro
considerare automatico il suo assenso e considerando anzi l’eventualità che
l’esercito ostacolasse il compito dell’esarca e difendesse il papa : nel qual
caso, sarebbe occorso esercitare pressioni sui singoli 24. Alla fine, agli occhi
del biografo papale questo esercito si mostra compatto nella sua colpevolezza, ricevendo per questo la giusta punizione divina 25.
La fase corrispondente alla metà del secolo VII – che può estendersi
nella durata ad alcuni decenni prima e ad alcuni decenni dopo i fatti
descritti, in quanto noi abbiamo a disposizione solamente queste magre
sequenze narrative sulle quali condurre l’analisi – si mostra dunque caratterizzata dalla persistenza di un esercito inteso ancora essenzialmente come
un corpo militare, e che tuttavia è ormai «romano», cioè della città (o del
ducato) di Roma. Della sua ripartizione interna e composizione sociale non
abbiamo informazioni, ma comprendiamo di essere di fronte a uno snodo.
Questo corrisponde alla possibilità che membri dell’esercito svolgano una
politica cittadina e, soprattutto, al fatto che il pontefice è in grado di esercitare alcune forme di controllo su di esso, poiché può pagare le truppe 26.
3. Segue un ulteriore salto cronologico, poiché la successiva fonte per
noi rilevante ci porta in avanti di un quarantennio. Nel 684-685, abbiamo,
per la prima volta, il ricordo della formula ternaria clerus, exercitus, populus,
ricordo contenuto in una iussio imperiale relativa alla ratifica dell’elezione
papale che, sebbene non si sia conservata, è tramandata nel Liber pontificalis 27. Le medesime tre categorie sociali nelle quali è ripartita la cittadinanza romana, si ritrovano menzionate come corpo elettorale di papa
Conone (686-687) e di papa Sergio (687-701); si ritrovano poi in alcune
23
LP I, p. 331, Teodoro (642-649) : «Omnes iudices seu exercitus Romanus qui prius
se cum Mauricio sacramenta constrinxerant, timore ducti, demittentes Mauricium cartularium, omnes se cum Dono fecerunt». Il titolo di sacellarius (ufficiale pagatore) accanto a
quello di magister militum, fa pensare che Dono fosse giunto anche nella veste di pagatore
delle rogae.
24
Ibid., I, p. 337 : «Si autem inveniritis contrarium in tali causa exercitum».
25
Ibid., p. 338 : «Et peccato faciente maior interitus in exercitu Romano provenit».
26
Cfr. É. Patlagean, Les armes... cit., p. 44.
27
LP I, p. 363, Benedetto II (684-685) : «Hic suscepit divales iussiones clementissimi
Constantini magni principis ad venerabilem clerum et populum atque felicissumum exercitum Romane civitatis, per quas concessit ut persona qui electus fuerit in sedem apostolicam e vestigio absque tarditate pontifex ordinetur. Hic una cum clero et exercitu suscepit
mallones capillorum domni Iustiniani et Heraclii filiorum clementissimi principis, simul et
iussionem per quam significat eosdem capillos direxisse». Cfr. O. Bertolini, Roma di fronte a
Bisanzio e ai Longobardi... cit., p. 394; G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit.,
p. 69 ss.; L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 170-171.
LA MILITIA A ROMA
567
formule del Liber diurnus, solo di poco successive, e relativamente spesso
nelle biografie papali dei due secoli seguenti 28. Inoltre, proprio a partire dal
pontificato di Sergio, il ceto militare della città viene chiamato per la prima
volta militia, nella locuzione «exercitus Romane militie». Da allora in poi,
per tutto l’VIII secolo, lo stesso termine militia, usato da solo o in locuzioni,
tende ad affiancarsi e anche a sostituirsi al precedente termine exercitus. Si
tratta di una distinzione che, pur correndo forse il rischio di forzare un po’
troppo le fonti, sembrerebbe corrispondere a una differenza di significato :
da una parte il ceto militare (militia), dall’altra la totalità dell’armata effettivamente mobilitata (exercitus) 29.
La menzione costante del felicissimus exercitus Romanae civitatis ovvero
della Romanae urbis militia 30, terzo partecipante, con il clero e il popolo,
all’elettorato del pontefice, indica che l’esercito si è ormai integrato alla
cittadinanza. Come scriveva nel 1974 una persona che ricordo con affetto,
Évelyne Patlagean, «l’intégration de l’exercitus à la cité romaine était dès
lors chose faite» 31. La territorializzazione delle truppe di stanza a Roma, il
loro inserimento nel tessuto sociale e il loro trasformarsi in un vero e
proprio corpo organico alla città, sarebbe pertanto un processo compiutosi
all’incirca tra il 640 e il 684 e proseguito durante tutto il secolo VIII 32. Tale
28
LP I, p. 367, Conone; LP I, p. 371, Sergio; Liber diurnus... cit. form. 60, p. 50-54,
«De electione pontificis ad exarchum» : «Presbiteri, diaconi et familiaris universus clerus,
axiomatici etiam seu exercitus et populus huius Romane urbis supplices»; ibid., form. 61,
p. 55-57, «Ad archiepiscopum Ravenne» : «Sacerdotibus et reliquo omni clero, eminentissimis consulibus et gloriosis ducibus ac universitate civium ac florentis Romani exercitus»; ibid., form. 63, p. 58-59, «Ad apochrisarium Ravenne» : «Clero, axiomaticis etiam
et generalis militia ac civium universitate»; ibid., form. 82, p. 87-90 [a. 715 ca : cfr.
L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 103 n.], «Decretum pontificis» : «Cuncti sacerdotes ac
proceres ecclesiae et universus clerus atque optimates et universa militaris presentia, seu
cives honesti et cuncta generalitas populi istius a Deo servate Romane urbis, si dici licitum
est a parvo usque ad magnum». Il documento di elezione viene sottoscritto da un prete e
da un diacono, indi «similiter totus clerus cum optimatibus et militibus seu civitonicis
subscripserunt». Cfr. Patlagean, Les armes... cit., passim.
29
Secondo Lidia Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 177, «i termini exercitus e militia
[sono] usati in pratica come equivalenti» e «convivono in sostanziale sinonimia». A mio
avviso, è invece ravvisabile una differenza, per il fatto che il termine militia compare più
tardi rispetto a quello di exercitus, nel periodo in cui si forma il vero e proprio ceto sociale.
Mentre nell’VIII secolo exercitus e militia sono effettivamente termini sinonimici che designano i cittadini armati (pur con una evidente propensione per il primo termine rispetto al
secondo), non esiste, a quanto mi consta, l’uso del termine militia per indicare le truppe
combattenti, per le quali viene invece usato il termine exercitus, il quale può anche essere
un plurale. Si vedano per es. LP I, p. 408 (Gregorio II, 715-731); LP I, p. 421, Gregorio III
(731-741); LP I., p. 426-427 (Zaccaria, 741-752) : in quest’ultimo caso di ritrova anche
l’espressione «exercitus ducati Romani»; LP I, p. 455 (Stefano II, 752-757); LP I, p. 472
(Stefano III, 768-772). Cfr. anche É. Patlagean, Les armes... cit., p. 33.
30
Per es. LP I, p. 363 e LP I, p. 470.
31
É. Patlagean, Les armes... cit., p. 45.
32
Sul tema della «territorializzazione» delle truppe bizantine in Italia : A. Guillou,
Régionalisme et indépendance... cit., p. 158; P. Delogu, Il passaggio dall’antichità al medioevo...
cit., p. 19; e spec. T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 87-108. Per il Lazio :
P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 86; per il caso romano : LP I, p. 329, nota di
Duchesne; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi... cit., p. 318-322; É. Patla-
568
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
processo era percepito tanto nell’ambiente imperiale (Iussio) quanto
nell’ambiente ecclesiastico romano (Liber pontificalis e Liber diurnus).
4. La quarta fase della storia della militia romana corrisponde alla
prima metà del secolo VIII, fino alla fine dell’Esarcato (754). Essa consiste,
stando soprattutto alle fonti di provenienza pontificia, alla sempre più
marcata adesione del ceto militare cittadino agli indirizzi politici del papa, il
quale è ormai in grado di dirigere l’esercito in operazioni di guerra. Così,
Gregorio II (715-731), intenzionato ad aiutare l’esarca contro il pretendente all’Impero Tiberio Petasio, spedisce l’esercito ad affrontarlo; mentre il
suo successore Gregorio III (731-741) ordina all’esercito romano di espugnare il castello di Gallese 33. L’esortazione a intraprendere una campagna
militare viene data anche da Zaccaria (741-752) 34.
Benché tale limpida obbedienza al pontefice sia tramandata solamente
nel Liber pontificalis, che tende in questo caso a minimizzare la turbolenza
politica interna alla città e le frizioni esistenti tra ceto militare e clero 35, è
tuttavia possibile attribuire una certa credibilità a questi racconti che riferiscono della sempre più marcata assunzione di poteri pubblici da parte del
pontefice e della sempre maggiore capacità di controllo della città e del
territorio di Roma attraverso il concorso degli armati. Quest’analisi viene,
infatti, confortata non solo dal nesso con i fatti politici generali (le rivolte
anti-imperiali, i rapporti con il re dei Longobardi e con il duca di Spoleto),
ma anche dalle testimonianze di ordine sociale, politico ed economico che
riguardano Roma e il suo circondario. Sono, infatti, degli anni di
Gregorio II e di Zaccaria alcuni regesti (tramandati nella Collectio canonum di
Deusdedit) che dimostrano come la Chiesa romana, ormai proprietaria di
gran parte dei beni fondiari del territorio romano e in una fase di complessa
strutturazione del proprio patrimonio 36, stipulasse contratti di enfiteusi con
esponenti dell’esercito : con alcuni milites, comites, tribuni, consules e con un
ex-consul 37. Con questi personaggi, detentori di ampi possedimenti e certa-
gean, Les armes... cit., p. 31; F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 44; P. Delogu, Le
origini del medioevo... cit., p. 242-243; spec. L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 172-177.
33
LP I, p. 408 e 421; cfr. G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 83;
F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 47.
34
LP I, p. 426-427.
35
G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 141 s.; Ph. Daileader, One
will, one voice and equal love : Papal elections and the Liber Pontificalis in the Early Middle Ages,
in Archivum Historiae Pontificiae, 31, 1993, p. 11-32 : p. 25-26.
36
F. Marazzi, I «Patrimonia Sanctae Romanae Ecclesiae» nel Lazio (secoli IV-X) : struttura
amministrativa e prassi gestionali, Roma, 1998; D. De Francesco, La proprietà fondiaria nel
Lazio... cit., spec. il cap. VII.
37
Collectio canonum... cit., lib. III, n. CCXIV (Anatholio tribuno); CCXXIII (Gennadio
tribuno et Lucie∞ ); CCXXVII (Gemulo militi); CCXXX (Iohanni consuli); CCXXXII (Petro
magnifico tribuno); CCXXXVIII (Anastasio comiti, ma a Gaeta); CCXL e CCXLI (Theodoro
consuli, ma presso Napoli); CCXLIX (Anualdo tribuno); CCLI (Stefano exconsuli); CCLII
(Leontio militi); CCLIII (Philicario comiti); CCLV (Alfio militi). Si trova anche menzionata
una tribunessa, la figlia o la vedova (risposata) di un tribuno : CCXXIV (Stodiose∞ tribune∞
seu Petro iugalibus). Cfr. in generale D. De Francesco, La proprietà fondiaria nel Lazio... cit.,
spec. p. 206-243.
LA MILITIA A ROMA
569
mente radicati nel tessuto sociale in posizione rilevante, la Chiesa istituiva
dunque tenaci vincoli di tipo patrimoniale e, pertanto, politico. Cento anni
prima, Onorio I (625-638), lo stesso papa che era stato accusato di non
corrispondere le paghe all’esercito, non si comportava allo stesso modo :
per quanto possiamo ristabilire dagli scarni ricordi del suo registro, i
contratti riguardano quasi soltanto chierici 38.
Allo stesso periodo della prima metà del secolo VIII corrisponde il
processo di integrazione tra l’aristocrazia laica (cioè militare) e l’aristocrazia
ecclesiastica, il quale porta, nella durata, al formarsi di un ceto dominante
che, pur mantenendo distinte le specifiche funzioni laiche ed ecclesiastiche,
appare coeso nella comunità di interessi e nel suo articolarsi intorno alle
istituzioni del patriarchio, dando origine a gruppi parentali che annoverano
individui i quali portano titoli caratteristici dell’amministrazione civile e
militare (consoli, duchi) e titoli dell’amministrazione ecclesiastica (diaconi,
presbiteri, dispensatori, in seguito anche giudici ordinari, ecc.) 39. Tale
combinazione di interessi e tale costruzione di un ceto che si avvia a divenire organico – il ceto degli optimates – appaiono evidenti in alcuni casi
tanto specifici quanto significativi. Platone, che deteneva la cura palatii urbis
Romae, cioè la gestione del palazzo imperiale, e che certamente non era
Romano, bensì Greco, è padre del pontefice Giovanni VII (705-707) 40.
Teodoto, dux e poi consul et dux, forse (secondo Bernard Bavant), duca di
Roma tra il 728 e 739, primicerio dei difensori, poi dei notai, committente
di una cappella privata a S. Maria Antiqua al tempo di Zaccaria (741-752),
della quale è dispensator e nella quale si fa rappresentare insieme alla famiglia, nel 755 è primicerio della Sede apostolica e pater della diaconia di
S. Paolo (S. Angelo in Pescheria). Egli è zio del futuro papa Adriano I (772795) e provvede alla sua educazione 41. Eustazio, forse l’ultimo dux del
Ducato romano, nel 756 è dispensator della diaconia di S. Maria in
Cosmedin (ovvero in Schola Graeca). Alla scomparsa dell’Esarcato, viene
inviato da Stefano II a Ravenna 42.
38
Collectio canonum... cit., lib. III, n. CXXXVIII, CXXXIX, CCVIII-CCXIII. Cfr.
T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 63.
39
É. Patlagean, Les armes... cit., p. 38; T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit.,
p. 175 s.; P. Delogu, Il passaggio dall’antichità al medioevo... cit., p. 20; P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 73-75; L. Cardin, Scrivere per apparire... cit., p. 109.
40
LP I, p. 385 e 386 nota di Duchesne; J. Nordhagen, Constantinople on the Tiber : the
Byzantines in Rome and the iconography of their images, in J. M. H. Smith (a cura di), Early
Medieval Rome and the Christian West. Essays in Honour of Donald A. Bullough, Leida-BostonColonia, 2000, p. 113-134 : p. 127.
41
LP I, p. 486; p. 514 nota 2 di Duchesne; B. Bavant, Le duché byzantin... cit.,
p. 76-77; N. Teterianikov, For whom is Theodotus praying? An interpretation of the program of
the private chapel in S. Maria Antiqua, in Cahiers archéologiques, 41, 1993, p. 37-46 : p. 40-41,
45; P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 73; P. Delogu, Le origini del medioevo... cit.,
p. 221.
42
Codex Carolinus, ed. W. Gundlach, in M.G.H., Epp., III, Epistolae Merowingici et Karolini aevi, Berlino, 1892, p. 469-657, n. 49; A. Silvagni, Monumenta epigraphica cristiana
saeculo XIII antiquiora, Città del Vaticano, 1943, p. 37, n. 4; B. Bavant, Le duché byzantin...
cit., p. 86; S. Cosentino, Prosopografia dell’Italia bizantina... cit., I, p. 422; P. Toubert, «Scri-
570
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
5. Il pieno radicamento di questo ceto, composto già di governanti
militari anche provenienti da ambiti extracittadini, costituisce, in questa
sommaria ricostruzione, l’ultima fase del processo di formazione della
nuova aristocrazia laica romana. Durante la seconda metà dell’VIII secolo e
per tutto il secolo seguente (fino a quando ci conforta la redazione del Liber
pontificalis), è ampiamente testimoniata la presenza, a Roma, degli iudices
oppure optimates de militia, che, chiamati anche, ma meno di frequente, con
altre espressioni 43, rappresentano la controparte istituzionale rispetto agli
iudices de clero, detti anche proceres 44, ma che di fatto sono esponenti delle
medesime famiglie, si riconoscono nella comune appartenenza alla città e
alla chiesa e gravitano anch’essi intorno alle strutture del palazzo Lateranense, ricevendo onori e beni patrimoniali 45. Scomparendo prima l’Esarcato e poi ogni vincolo di subordinazione con Bisanzio, questi personaggi,
che pur non di rado dovevano avere avuto un’origine orientale, sviluppano
la propria autorappresentazione riducendo sempre di più (ma il processo è
lentissimo) i contatti con la cultura ellenofona e recuperando i motivi iden-
nium» et «Palatium»... cit., p. 74; D. De Francesco, La proprietà fondiaria nel Lazio... cit.,
p. 197-202.
43
Iudices : LP I, p. 331 (Teodoro, 642-649) : «Omnes iudices seu exercitus
Romanus»; p. 368 (Conone, 686-687) : «omnes iudices una cum primatibus exercitus»;
anche l’esarca ha, a Roma, suoi propri «iudices»; p. 371 (Sergio I, 678-701) : «consilio
primati iudicum et exercitus Romane militie vel cleri»; p. 470 (Stefano III, 768-772) :
«Romanae Urbis militiae iudices»; p. 490 (Adriano I, 772-794) : «Universi primati
ecclesie ac iudices militie»; p. 497 : «Univers(i) iudices»; p. 498, «[Adriano] cum suis
iudicibus tam cleri quam militiae»; Collectio canonum, lib. I, cap. CCCXXV (Constitutio
romana, 824) : «cuncti duces et iudices»; LP II, p. 88, Sergio III (844-847) : «universos
iudices». L’altro termine che individua molto spesso l’aristocrazia laica è quello di optimates/obtimates, che solitamente è riservato solamente a loro : LP I, p. 406 (Gregorio II,
715-731); Liber diurnus... cit., form. 82 (715 ca); LP I, p. 415 (Gregorio III, 731-741); p. 445
(Stefano II, 752-757); p. 471 (Stefano III 768-772); G. D. Mansi, Sacrorum concilium nova et
amplissima collectio. Tomus duodecimus. Ab anno DCLXXXVII usque ad annum DCCLXXXVII
incl., Firenze, 1766, col. 701-722 (concilio romano del 769) : col. 715; LP II, p. 6 e 7
(Leone III, 795-816); p. 52 (Pasquale I, 817-824); p. 86, 87, 89, 97 (Sergio II, 844-847);
p. 126 (Leone IV, 847-855); p. 148 (Benedetto III, 855-858); p. 152, 157 (Nicola I, 858867); Les Ordines romani,... cit., IV, Lovanis, 1956 (anast. 1965), ordo XXXVI (sec. IX ex.),
p. 205, n. 56. Il termine proceres si ritrova dal pontificato di Gregorio II (715-731) : LP I,
p. 408), inizialmente riferito ai prelati della Chiesa (come il termine primates), ma in
seguito anche all’aristocrazia laica (per es. LP II, p. 72, Valentino, 827), oppure l’aristocrazia senza ulteriori distinzioni : per es. ivi, p. 73, oppure LP II, p. 174 (elezione di
Adriano II, 867-872). Altre forme con le quali viene individuata l’aristocrazia laica (meno
frequenti) : Liber diurnus,... cit., form. 60, 63, e LP II, p. 174 : «axiomatici»; LP I, p. 368,
371, LP II, p. 90 : «primati/primates»; LP I, p. 87 : «Quiritum principes», «Romane Urbis
principes»; p. 89 : «Romanorum nobiles et preclari»; p. 90 : «primates Romani», «nobilitas Romanorum»; p. 152 : «nobilissimorum coet(us)»; LP II, p. 174 : «primores». Per
l’espressione Senatus cfr. infra, nota 46. Si vedano anche É. Patlagean, Les armes... cit.,
p. 46-52; T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 127-130, con la tabella a p. 129.
44
Sui quali : P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium... cit., p. 87 ss.; T. di Carpegna Falconieri, Il clero di Roma nel medioevo. Istituzioni e politica cittadina (secoli VIII-XIII), Roma, 2002,
p. 37 ss., 141 ss.
45
Cfr. F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 48-51; P. Delogu, Il passaggio dall’antichità al medioevo... cit., p. 24 : «sincretismo istituzionale».
LA MILITIA A ROMA
571
titari propri dell’antica aristocrazia romana. Ed ecco che per i discendenti
dei capi bizantini, che poco o nulla avevano a che vedere con gli antichi
senatori, ma che sono ormai radicati nell’Urbe, nelle fonti pontificie e poi
in quelle franche si comincia nuovamente a fare uso del termine Senatus,
che individua il ceto nella sua interezza 46. Non diversamente, peraltro,
faranno i membri del clero romano verso se stessi, dichiarando, nella loro
Donazione di Costantino, di avere il diritto di portare vesti di «candidissimo
colore» 47.
La convergenza verso il palazzo Lateranense degli interessi dell’aristocrazia laica e di quella ecclesiastica (cioè le due facies di una stessa
aristocrazia locale), benché sia una convergenza imperfetta e abbia
condotto in varie occasioni a gravi contrasti 48, fu di lunga durata, non
venendo meno prima della metà dell’XI secolo, e a causa di fattori esterni
alla città.
APPROFONDIMENTI
Dopo avere presentato la sequenza cronologica che porta al costituirsi
della «nuova aristocrazia laica» nella Roma dell’VIII secolo, appare utile
soffermarsi su alcune problematiche collaterali e nondimeno cospicue,
affrontando la problematica connessa con questo ampio tema anche da altri
punti di vista.
Una militarizzazione parziale della società
L’aristocrazia che si va formando nell’alto medioevo romano è molto
diversa rispetto a quella più antica. Essa infatti non solo è formata da individui che non hanno collegamenti diretti con il ceto senatorio, ma fonda il
proprio potere sull’esercizio delle attività militari anziché sull’esercizio delle
funzioni civili di governo. Si tratta dunque di un’aristocrazia guerriera, in
questo senso simile alle altre e contemporanee aristocrazie franche, longobarde e bizantine. La «militarizzazione» della società romana, che si può
pensare come un vero passaggio simbolico dall’antichità al medioevo, costituisce un concetto storiografico di lunga e salda durata, che parte da Gregorovius e raggiunge gli storici più vicini 49.
46
Per es. LP II, p. 6 (Leone III, 795-816); Collectio canonum... cit., lib. I, cap. CCCXXII
(Constitutio Romana di Lotario, a. 824); LP II, p. 91 (Sergio II, 844-847); 152 (Nicola I, 858867). Cfr. G. Arnaldi, Rinascita, fine, reincarnazione... cit., p. 45-47; Id., Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 144-147; F. Burgarella, Il Senato... cit., p. 172.
47
Das Constitutum Constantini (Konstantinische Schenkung), ed. H. Fuhrmann, in M.G.H.,
Font. iur. Germ., X, Hannover, 1984, n. 14-15. G. Arnaldi, Rinascita, fine, reincarnazione... cit.,
p. 40-44; Id., Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 141 ss.
48
G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 144. Invece O. Bertolini,
Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi... cit., p. 611 ss., riteneva tali contrasti la traccia
dell’esistenza di due distinte aristocrazie, quella laica e quella ecclesiastica in lotta fra loro,
riconoscendo in essi le prime opposizioni del laicato contro la Chiesa.
49
Gregorovius, Storia della città di Roma... cit., II, p. 481; É. Patlagean, Les armes... cit.,
p. 34, 53; soprattutto T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 46-48, 93, e L. Capo, Il
Liber pontificalis... cit., p. 172-173, 177-178.
572
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
Tuttavia, a parziale rettifica di questa differenziazione, che riteniamo
troppo drastica, tra l’aristocrazia di tradizione antica e quella tipicamente
medievale, occorre considerare due elementi di continuità e contiguità. Il
primo di essi, che è comune a ogni luogo, è dato dal perdurare della
proprietà terriera come base economica del ceto dirigente; il secondo, che
invece è tipico di una città di notevole consistenza demica, quale rimase
Roma in paragone con altri centri urbani, è dato invece dalla complessità
della sua struttura sociale, nella quale fu presente anche, in posizione
subordinata ma non irrilevante, il populus dei cittadini senz’armi, i viri
honesti 50. È senz’altro vero che l’aristocrazia laica romana divenne un’aristocrazia militare, ma è altrettanto vero che proprio nel periodo in cui i capi
dell’esercito andarono costituendosi in questo nuovo gruppo dirigente, essi
presero a muoversi in comunione di interessi con l’aristocrazia che chiameremo ecclesiastica, che era formata da membri del clero i quali, come è
noto, ricoprivano nell’alto medioevo non solo funzioni cultuali e di cura
d’anime, bensì tutte le funzioni dell’amministrazione civile, in continuità
con il significato della cosa pubblica del periodo tardoantico. Questi due
gruppi del clero e del laicato furono certamente contrapposti, tanto che per
esempio il Concilio romano del 769 – che prevedeva che solo i chierici
potessero eleggere il pontefice – va letto come l’esito di un aspro
contrasto 51; ma tuttavia i membri di questi due gruppi appartenevano allo
stesso ambito sociale. Se solleviamo lo sguardo fino a considerare tutto
l’insieme, quella che appare come un’aristocrazia fieramente marziale – e
che tale è davvero, perché questa è in effetti la sua genesi – si connota per
essere anche un’aristocrazia delle magistrature civili, che esprime questa
sua attitudine attraverso il reclutamento di suoi esponenti nei ranghi del
clero : in una medesima famiglia, un individuo può essere un diacono o un
giudice ordinario, un altro stretto congiunto può essere un capo militare.
L’aristocrazia, dunque, possiede due distinte disposizioni al governo, una
militare e l’altra civile, ma essa resta, di fatto, una sola. E ciò è particolarmente evidente nel Liber pontificalis dell’VIII e del IX secolo, dove solitamente gli iudices de clero e gli iudices de militia sono ricordati appaiati e
concordi.
Pensare dunque all’aristocrazia romana nei termini di un gruppo
sociale che si riconosce solamente nel valore delle armi e che governa in
quanto detiene il potere militare, come se anche l’amministrazione civile
dipendesse esclusivamente da questo ambito, non rende chiaro in modo
sufficiente il grado di osmosi tra l’elemento laico e l’elemento ecclesiastico
del ceto dirigente romano inteso nella sua unitarietà, né il grado di
complessità delle strutture socio-politiche della città di Roma, inducendoci
forse a immaginare una società più semplificata di quanto essa non fosse,
riflesso interpretativo di una situazione che invece è caratteristica di altri
50
Sulla consistenza demografica della città : P. Delogu, Il passaggio dall’antichità al
medioevo... cit., p. 14; Ch. Wickham, Nobiltà romana e nobiltà italiana prima del mille. Parallelismi e contrasti, in La nobiltà romana nel medioevo... cit., p. 5-14 : 11-12. Sul populus :
É. Patlagean, Les armes... cit., passim.
51
G. D. Mansi, Sacrorum concilium... cit. XII, col. 701-722; Collectio canonum... cit.,
lib. I, n. CIL, CCLV, CCLXI, CCXLII.
LA MILITIA A ROMA
573
contesti, come il Regno longobardo, quello franco o altri territori bizantini,
organizzati però in agglomerati urbani incomparabilmente più piccoli. Al
contrario, si consideri per Roma la ricchezza della struttura del governo
civile (cioè ecclesiastico) ben testimoniata durante tutto l’alto medioevo.
Infatti, i fontes honorum disponibili e le possibilità di costruire fortune
economiche nella Roma altomedievale sono più numerosi e cospicui
rispetto a qualsiasi altra città 52. È necessario valutare il fatto che a Roma,
durante tutto l’alto medioevo, i chierici che ottenevano la tonsura semplice
o che accedevano agli ordini minori erano nettamente distinti rispetto ai
chierici che invece accedevano agli ordini maggiori. In genere, i semplici
tonsurati e i chierici degli ordini minori non venivano consacrati diaconi o
presbiteri, ma era loro demandato il governo, anche temporale, della città.
Essi appartenevano dunque, senza dubbio, al clero, ma principalmente per
il fatto che non venivano più affidate mansioni amministrative a persone
che non avessero ricevuto almeno la tonsura simplex 53. Si osservi dunque la
quantità di dignità e funzioni che non hanno collegamento con l’esercito
(come i giudici ordinari, ma anche i notarii, i defensores, ecc., tutti semplici
tonsurati o chierici degli ordini minori), e si rilevi il fatto che lo stile di vita
di questi membri del clero era molto simile a quello dei laici per quanto
concerneva il matrimonio, la gestione delle proprietà e l’ereditarietà delle
funzioni, rappresentando davvero un ponte tra lo status dei laici e quello
dei sacerdotes 54. Più che parlare di un’aristocrazia militare, in definitiva,
sarebbe forse opportuno parlare di un ceto dirigente dalla struttura articolata, in cui le funzioni propriamente militari erano attribuite ai proceres de
militia, ma nel quale le funzioni civili di amministrazione erano assegnate ai
chierici in quanto quello spazio era ormai divenuto di competenza esclusiva del clero.
La gerarchia sociale
Per semplificare l’esposizione, abbiamo fin’ora considerato la militia
come un corpo compatto di uomini armati che, con il passare del tempo, si
integra alla popolazione urbana, senza considerare le ulteriori suddivisioni
che esistevano al suo interno. Quando però limitiamo l’indagine alla sola
«aristocrazia», dobbiamo fare un passo ulteriore, considerando che non
tutta la militia romana può essere ritenuta come partecipante in eguale
misura al governo della città. Senza dubbio gli uomini armati godevano di
privilegi rispetto al resto della cittadinanza laica, il populus, ma solo i loro
quadri di comando concorsero a formare il ceto dirigente cittadino 55. Si
Cfr. Ch. Wickham, Nobiltà romana e nobiltà italiana... cit., p. 12-13.
Cfr. per es. Liber diurnus... cit., form. 70 : «Preceptum quando laicus tonsuratur et
fit regionarius»; cfr. M. Andrieu, Les ordres mineurs dans l’ancien rit romain, in Revue des
sciences religieuses, 5, 1925, p. 232-274; T. di Carpegna Falconieri, Il clero di Roma... cit.,
p. 137-143.
54
G. Arnaldi, Le origini del Patrimonio di San Pietro... cit., p. 109; T. di Carpegna Falconieri, Il matrimonio e il concubinato presso il clero romano (secoli VIII-XII), in Studi storici. Rivista
trimestrale dell’Istituto Gramsci, 41, 2000, 4, p. 943-971.
55
Ciononostante, è da escludere l’idea dell’esistenza di una milizia propriamente
popolare e separata da quella aristocratica, teoria che nasce dalla lettura di Duchesne di un
52
53
574
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
tratta degli iudices, optimates o primates, i quali compaiono nel Liber pontificalis dalla fine del VII secolo, cioè proprio nel periodo in cui cominciamo a
riconoscere il formarsi della «nuova aristocrazia». In particolare, la differenza di status e funzioni tra questi comandanti che stanno costituendo il
nuovo ceto dirigente e la rimanente popolazione armata, si evince con
chiarezza nel racconto dell’elezione di Conone (686) 56. In quella occasione,
il clero romano propose un candidato e l’esercito ne propose un altro. Non
riuscendo ad arrivare a un accordo, i chierici romani si decisero per una
terza persona, alla cui scelta accondiscesero «omnes iudices una cum
primatibus exercitus». Pochi giorni dopo, l’intero esercito si piegò al volere
dei suoi capi. L’anno dopo, le cose andarono più speditamente : alla morte
di Conone, il popolo romano si divise in due fazioni e propose due candidati. Non riuscendo a superare l’«impasse», anche questa volta si giunse a
eleggere un terzo candidato, che però fu scelto avendo radunato il «consilio
primati iudicum et exercitus Romane militie vel cleri» 57. Gli ottimati della
milizia e del clero, superando le divisioni interne, agirono dunque congiuntamente, rivelando chi, davvero, aveva in mano il potere decisionale.
Successivamente, tanto le formule del Liber diurnus, quanto alcuni
passi del Liber pontificalis mostrano con relativa chiarezza quella che fu la
suddivisione sociale degli abitanti di Roma nei secoli VIII e IX. Non si trattava di una struttura semplicemente binaria, clero ed esercito 58, ma di una
struttura ternaria, clero, esercito e popolo (come la pensarono Ferdinand
Gregorovius e, cento anni dopo, Évelyne Patlagean, che volle riconoscere
in Roma il modello delle tre funzioni sociali indoeuropee), la quale fu
spesso percepita e rappresentata dai contemporanei proprio in questo
modo 59. A sua volta, questa tripartizione si articolava in una struttura
ancora più complessa, composta di cinque elementi : capi del clero, capi
militari, universo clero, milizia, infine popolo senz’armi. Queste componenti della società romana, spesso nominate tutte insieme, sono presentate
nelle fonti secondo due possibilità di blocchi concettuali : o ponendo
l’accento sul differente rango sociale – nel qual caso troviamo nominati
insieme gli iudices de clero con quelli de militia, e a seguire gli altri tre gruppi
«non aristocratici» – oppure ponendo l’accento sulla differenza tra persone
consacrate e non consacrate – nel qual caso troviamo nominati prima i
membri del clero e poi gli appartenenti al laicato 60.
passo del LP II, p. 252 (Giovanni XII, 965-972), nel quale è raccontato che Ottone I
impiccò dodici «de vulgi populo, qui vocantur decarcones» (cfr. ibid., p. 254, nota 7) e che
fu ripresa in senso nazionalistico (milizia locale come diversa dall’esercito dell’imperatore
«greco») da B. Paradisi e P. Rasi : cfr. in proposito T. S. Brown, Gentlemen and Officers...
cit., p. 95; P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 84-85.
56
LP I, p. 368.
57
LP I, p. 371.
58
Gregorovius, Storia della città di Roma... cit., II, p. 481.
59
Gregorovius, Storia della città di Roma... cit., II, p. 479; É. Patlagean, Les armes... cit.
ed Ead., Variations impériales sur le thème romain, in Roma fra Oriente e Occidente... cit.,
p. 1-47 : p. 7. Suo è il merito di aver portato l’attenzione sul populus, sulla cittadinanza
non armata, che, sebbene poco presente nella documentazione (e di certo non assente),
non per questo fu poco presente nella vita cittadina.
60
Cfr. per es. LP II, p. 86 e Liber diurnus... cit., form. 82, p. 87.
LA MILITIA A ROMA
575
La dislocazione territoriale della militia e la capacità giuridica dei reparti di possedere beni immobili
Come si è accennato in precedenza, benché la documentazione sia
oltremodo carente, è tuttavia ipotizzabile che l’esercito romano avesse in
qualche modo articolato topograficamente la propria presenza all’interno
della città, secondo una suddivisione dello spazio differente da quella del
clero (la diocesi, le regioni ecclesiastiche, le circoscrizioni battesimali) 61. Il
silenzio delle fonti e l’effettiva impossibilità di considerare metodologicamente corretta la sovrapposizione di magre testimonianze distanziate nei
secoli 62, non debbono indurci a eludere il problema, che è tanto di carattere
culturale (una differente rappresentazione dello spazio a seconda della
differente collocazione sociale), quanto pratico (la necessità di organizzare
in modo per quanto possibile efficace la gestione di uno spazio urbano di
dimensioni gigantesche, esattamente come faceva il clero con le regioni
ecclesiastiche).
Stabilito peraltro che il problema resta in piedi, dobbiamo al momento
rassegnarci a constatare di non poterlo risolvere in altro modo che ricorrendo a ipotesi fondate sulle due testimonianze certe del secolo VIII : la
menzione degli ufficiali portabandiera – i milites draconarii – nell’Ordo
Romanus I, e la menzione delle scholae militiae nella vita di Adriano I (772795) 63. Le due testimonianze – confermate anche da fonti successive – ci
permettono di stabilire che all’interno dell’esercito esistevano distinti
reparti militari. Da lì, si può congetturare (ma ci troviamo in un campo di
nebbia) che queste unità avessero una propria collocazione fissa sul territorio, che potrebbe essere stata di tipo distrettuale (come le regioni ecclesiastiche e, nel basso medioevo, i rioni cittadini) o che invece si fondava sul
collegamento con un edificio – una porta, una fortificazione, una chiesa –
come accade di osservare per le altre scholae (quelle dei pellegrini transalpini e quella dei Greci) attestate a Roma nell’alto medioevo. Questa
seconda opzione è forse da preferire, sia valutando la effettiva distribuzione
sparsa dell’abitato, sia considerando la sopravvivenza di una testimo-
T. di Carpegna Falconieri, Circoscrizioni ecclesiastiche... cit.
Cfr. P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 70 e 83-85. Per esempio, tanto
Louis Duchesne quanto Ottorino Bertolini, asserendo che già nell’alto medioevo esistessero dodici regioni militari – antesignane dei rioni bassomedievali – errano non nel merito
(questa possibilità esiste), ma nel metodo, poiché accostano tra loro testimonianze troppo
distanziate nel tempo : L. Duchesne, Les régions de Rome au moyen-âge, in Mélanges de l’École
française de Rome, 10, 1890, p. 91-114 ora in Id., Scripta minora. Études de topographie romaine
et de géographie ecclésiastique, Roma, 1973, p. 126-149; Id., LP II, p. 253-254, nota 7;
O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi... cit., p. 619.
63
Ordo Romanus I, in Les Ordines Romani... cit., II, Lovanio, 1961, p. 108, n. 126 :
«deinde milites draconarii, id est qui signa portant», i quali ricevono la benedizione del
papa dopo la messa; per la datazione dell’ordo (tra la fine del sec. VII e la prima metà del
sec. successivo) : ivi, p. 38-51, spec. p. 50-51. LP I, p. 497 : nel 774 il papa manda incontro
a Carlomagno, a un miglio da Roma, «universas scolas militiae una cum patronis
simulque et pueris qui ad didicendas litteras peragebant». Anche in LP II, p. 88 (Sergio III,
844-847). Sui draconarii, alfieri di fanteria : T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 59;
G. Ravegnani, Le unità dell’esercito bizantino... cit., p. 188.
61
62
576
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
nianza : il ricordo di un «tribunus basilicae Sancti Petri» al principio del
VII secolo, che potrebbe rinviare a un reparto (un numerus, comandato
proprio da un tribuno) incaricato della difesa della basilica 64.
I numeri del VI e del VII secolo, forse non direttamente, forse proprio
in seguito alla loro «territorializzazione», dunque al loro radicamento in
città, potrebbero aver preso il nome di scholae (termine che, in effetti,
assume anche il significato di unità militare, ma che non ha questo valore
esclusivo) 65. Si noterà, infatti, che il termine numerus è assente dal vocabolario del Liber pontificalis, che invece conosce la voce schola e la distingue
dalla voce bandus, al plurale bandi o bandora 66. Se a questa parola attribuiamo, come crediamo sia giusto, anche il significato di «reparto di cavalleria» oltre a quello usuale di «bandiera» (simile in questo al termine
italiano drappello, da drappo), possiamo congetturare che il termine schola,
in sostituzione del termine numerus, significasse invece «reparto di
fanteria» 67. Sarebbero dunque esistite scholae, cioè unità, forse appiedate,
della militia, così come esistevano scholae, cioè gruppi organizzati, di pellegrini, di Greci e, testimoniati in fonti più tarde, gruppi di persone unite
dall’esercizio dello stesso mestiere 68. Appare in questo senso interessante
un passo del Liber pontificalis della metà del IX secolo, nel quale viene
nominata la militia degli «ecdoctissimos Grecos», cioè, presumibilmente, la
Schola Graeca, che aveva sede in S. Maria in Cosmedin : quasi che, in
questo caso, le espressioni militia e schola fossero equivalenti 69. Scomparso,
a Roma, il titolo di tribuno (che invece sopravvive nel circondario 70), i capi
64
Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens... cit., n. 17, p. 334 : «Fl(avius)
Anastasius trib(unus) b(asilicae) s(an)c(t)i Petri» è il primo sottoscrittore della donazione
di Flavia Xantippe a favore dei mansionari di S. Maria ad Praesepem (Maggiore). Cfr. anche
D. De Francesco, La proprietà fondiaria nel Lazio... cit., p. 142.
65
Gregorovius, Storia della città di Roma... cit., II, p. 483-484; Duchesne, I primi tempi
dello Stato pontificio... cit., p. 44-45; T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 98;
P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 84. Sul significato del termine schola come
reparto : G. Ravegnani, Le unità dell’esercito bizantino... cit., p. 197-198. Sul suo significato
non strettamente militare : É. Patlagean, Les armes... cit., p. 33.
66
LP I, p. 497.
67
Cfr. G. Ravegnani, Le unità dell’esercito bizantino... cit., p. 186 e cfr. infra, nota 73. In
particolare, nella cerimonia dell’accoglienza riservata a Carlomagno nel 774, gli iudices
attesero il sovrano a 30 miglia dalla città, «cum bandora», mentre le «univers(ae) scol(ae)
militiae», guidate dai patroni, lo attesero a un miglio dalla città. Si può forse riprendere
l’ipotesi di L. Duchesne, Les régions de Rome au Moyen Âge... cit., p. 131, che si trattasse
proprio, nel primo caso, di truppe montate (e dunque anche in grado di andare lontano),
nel secondo caso di truppe a piedi, benché lo stesso autore non avesse poi mantenuto tale
spiegazione nel commento al Liber pontificalis (I, nota 29), dove considera i bandora come
degli stendardi. T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 98, pensa alle scholae come
distinte dalle truppe regolari e con «a more restricted obligation to fight only defensive
actions in the vicinity of the city»; cfr. ibid. p. 92-93, a proposito dell’importanza degli
stendardi nelle cerimonie pubbliche. Cfr. Anche L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 177,
nota 215.
68
L. Moscati, Alle origini del comune romano. Economia società istituzioni, Napoli, 1980,
p. 51-65.
69
LP II, p. 88 (Sergio III, 844-847).
70
I tribuni miliciae (di Roma) sono ricordati ancora nella form. 60 del Liber diurnus...
LA MILITIA A ROMA
577
di queste scholae militari, oltre a essere, ovviamente, individuabili nel
termine generico di iudices/optimates de militia, potrebbero avere avuto la
qualifica di patroni (attestata nel Liber pontificalis, nell’Ordo Romanus XXXVI
e, in relazione alle scholae di mestiere, in alcuni documenti per noi molto
tardi) 71 e soprattutto il titolo, frequentemente testimoniato, di consul et dux.
In questa locuzione, il termine dux ha valore marcatamente militare,
mentre quello di consul, oltre ad avere un valore romanamente identitario,
si contraddistingue per essere anche portato dai capi delle associazioni di
mestiere : di essere cioè riferibile anch’esso al contesto di una schola 72.
La domanda che occorre porsi a questo punto, è se i reparti militari –
numeri, scholae, bandi – avessero conservato o meno una loro personalità
giuridica e se fossero in grado di possedere e gestire beni in comune. Difatti,
in alcune formule di defensio di atti romani dei secoli VIII-IX troviamo esplicitato il divieto di alienare il bene ottenuto in enfiteusi a luoghi pii o
pubblici, nonché alle unità militari : «excepto piis locis vel publicis numero
militum seu bando» 73. Affinché la formula mantenga un senso, bisogna
pensare che come le chiese, così anche i numeri militum seu bandi (cioè i
reparti di fanteria e di cavalleria : non si tratta di un’endiadi) dovessero
avere avuto, in un certo periodo, il diritto di ricevere beni in possesso. Tale
periodo va individuato, crediamo, soprattutto nel VII secolo, poiché la
cit., tra i latori della lettera che veniva inviata all’esarca per comunicare l’avvenuta
elezione del pontefice. Sui tribuni nelle città laziali : P. Toubert, Les structures du Latium
médiéval. Le Latium méridional et la Sabine du IXe siècle à la fin du XIIe siècle, Roma, 1973
(BEFAR, 221), p. 979; Id., «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 76-79, 86. Numerosi tribuni e
milites tiburtini sono elencati in un breve recordationis del vescovato di Tivoli edito da
A. Vasina e risalente al 945, che comprende la registrazione di contratti riferenti a più
generazioni di concessionari : Inventari di terre coloni e redditi, a cura di A. Castagnetti et alii,
Roma, 1979, p. 249-275.
71
LP I, p. 496-497; II, p. 88. Nell’ordo XXXVI (sec. IX ex.), in Les Ordines Romani... cit.,
IV, p. 204, n. 49 e 54, sono ricordati i patroni regionum, che elevano lodi al papa neoeletto
insieme alla Schola cantorum e che poi nuovamente cantano quando il pontefice sta per
montare a cavallo dopo la consacrazione a San Pietro : «Et accedunt patroni regionum;
uno incipiente, ceteris respondentibus, in hunc modum canunt ei laudem : Domnus Leo
papa, quem sanctus Petrus elegit in sua sede multis anni sedere». Cfr. E. H. Kantorowicz, Laudes
Regiae. A study in liturgical acclamations and Medieval ruler worship, Berkeley-Los Angeles,
1946, p. 130; M. Andrieu, Le rituel de l’ordo XXXVI, in Les Ordines Romani... cit., IV, p. 121191 : p. 162 (per i patroni) e 190-191 (per la datazione); P. Toubert, «Scrinium» et «Palatiurm»... cit., p. 84. Per la presenza di patroni in fonti del XII secolo : Moscati, Alle origini
del comune romano... cit., p. 54-57.
72
Cfr. T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 98-99; P. Toubert, «Scrinium» et
«Palatium»... cit., p. 66, 76-77.
73
Il regesto sublacense dell’XI secolo, ed. L. Allodi e G. Levi, Roma, 1885, n. 111 (a. 758);
55 (a. 821); 60 (a. 837); 31 (a. 850); 83 (a. 866); I papiri diplomatici raccolti ed illustrati, ed.
G. Marini, Roma, 1805, n. 136 (a. 879); Regesto sublacense, n. 116 (a. 897); 29 (sec. IX) :
cfr. F. Marazzi, I «Patrimonia Sanctae Romanae Ecclesiae» nel Lazio... cit., p. 278 e nota 333.
Cfr. inoltre Gregorovius, Storia della città di Roma... cit., II, p. 484; Duchesne, nota 7, in LP
II, p. 253-254; T. S. Brown, Gentlemen and Officers... cit., p. 99 : «The persistence of the old
army institutions in Rome is shown by ninth century reference to the role of numeri as
moral bodies with their own legal identity, analogous to the survival of the terms numerus
et bandus in Ravenna».
578
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
cessione di proprietà pubbliche a favore di reparti dell’esercito potrebbe
essere stato proprio il modo di continuare a pagare le rogae ai soldati in una
fase di carenza di disponibilità monetaria 74. Proprio così facendo, peraltro,
si sarebbe innescato il processo di «territorializzazione» dell’esercito, non
più composto di stipendiati, ma di detentori di beni fondiari. Tuttavia,
eccettuato il ricordo che abbiamo in queste clausole – che è un ricordo in
negativo, cioè un divieto di cedere il possesso della terra a chi sarebbe stato
in grado di opporre un rifiuto alla sua restituzione una volta trascorse le
generazioni pattuite – noi non conserviamo neppure un atto nel quale un
qualsiasi gruppo di soldati, sia esso chiamato numerus, bandus o schola, abbia
mai ricevuto effettivamente il possesso di un bene patrimoniale. È possibile, naturalmente, che ciò si fosse, in effetti, verificato anche in età successive (nei secoli VIII e IX), e che la documentazione sia semplicemente
perduta. Ma è altresì possibile, e forse più probabile, che questa prassi di
concedere beni fondiari a unità dell’esercito sia invece venuta meno con il
trascorrere del tempo, e che la menzione dei numeri nelle clausole di atti
tardi sia da ascriversi, come ha sostenuto Cristina Carbonetti, alla rigidità e
al conservatorismo del formulario 75. Difatti, occorre considerare la
questione da un punto di vista giuridico e, contemporaneamente, politico,
considerando chi, in effetti, andava acquisendo il controllo dei beni
pubblici nel territorio romano, cioè la Sede apostolica. Se aveva senza
dubbio senso che un magistrato imperiale pagasse le truppe concedendo
loro delle terre, e se è pure possibile che il pontefice si servisse, nel
VII secolo, di questo medesimo espediente, in quanto delegato dall’imperatore a pagare le rogae, è invece ipotizzabile che il papa, dal terzo decennio
del secolo successivo, non avesse convenienza a mantenere in piedi questo
sistema, che avrebbe potuto ingenerare un conflitto di interessi e uno stato
di indeterminatezza della proprietà eminente, e che avrebbe mantenuto in
piedi il complesso dello ius publicum imperiale 76. Invece, benché attraverso
un processo che ancora ci sfugge in parte, è certo che il pontefice riuscì a
ottenere la proprietà eminente di gran parte del territorio romano, agendo
in una prospettiva di costruzione del potere pubblico e dello ius beati Petri
che, come ha mostrato Federico Marazzi, fu sostanzialmente di tipo patrimoniale 77. Accanto al papa, gli enti ecclesiastici divennero quasi gli unici
proprietari in tutta l’area romana, tanto che, come ha scritto di recente
Chris Wickham, fino all’XI secolo non è dato quasi di trovare vere
proprietà in mano ai laici, ma esclusivamente titoli di possesso elargiti dagli
stessi detentori, sempre ecclesiastici, del dominio eminente 78. Se dunque il
dominio di tutta la terra romana passò in mano ecclesiastica, dobbiamo
74
Cfr. Ch. Wickham, Iuris cui existens, in Archivio della Società romana di Storia patria,
131, 2008, p. 5-38 : p. 8, 11; P. Delogu, Le origini del medioevo... cit., p. 239, 241 s., 247-252.
75
C. Carbonetti Vendittelli, Il sistema documentario romano tra VII e XI secolo... cit.
76
F. Marazzi, I «Patrimonia Sanctae Romanae Ecclesiae» nel Lazio... cit., p. 274-280.
77
Ibid., passim; Id., Aristocrazia e società... cit., p. 50-51; cfr. anche D. De Francesco, La
proprietà fondiaria nel Lazio... cit., p. 188 s.
78
Ch. Wickham, Iuris cui existens... cit., spec. p. 23-24; Id., La struttura della proprietà
fondiaria nell’agro romano, 900-1150, in Archivio della Società romana di storia patria, 132,
2009, p. 181-238, spec p. 184-185, 222, 233-234.
LA MILITIA A ROMA
579
credere che anche le ipotetiche enfiteusi concesse anticamente ai numeri e
ai bandi siano rientrate, con il passare del tempo, sotto questo loro dominio,
per esempio attraverso pie donazioni. Queste avrebbero forse avuto, come
contropartita, la restituzione del bene, sotto forma di enfiteusi, ai comandanti di turno, i quali erano membri – ricordiamolo sempre – di quella
stessa aristocrazia che forniva anche il personale del patriarchio e delle
chiese romane. Nel secolo VIII, il rapporto del papa con la militia, ormai
stabilizzata e territorializzata, non si configurava come la necessità di
stipendiare i soldati, che erano ormai cittadini, bensì con la necessità di
instaurare legami diretti, in posizione di autorità, con i membri dell’aristocrazia militare. Ed ecco che infatti, come si è detto, nelle tenui tracce
documentarie che si conservano per i pontificati di Gregorio II e di
Zaccaria, sono piuttosto frequenti le concessioni di enfiteusi di beni della
Chiesa a singoli esponenti dell’aristocrazia militare romana e del territorio
circostante 79. D’altra parte, il papa contava presumibilmente anche su
milizie a sua diretta disposizione : forse nelle domuscultae situate nel territorio romano 80, e con maggiore sicurezza nella sua residenza romana, dove,
dalla fine del secolo VIII, compare il superista, comunemente considerato
dalla storiografia il capo militare del palazzo Lateranense 81.
79
Cfr. supra, nota 37. Cfr. anche P. S. Leicht, Lineamenti del diritto a Roma dal IX al
XII secolo, in appendice a P. Brezzi, Roma e l’Impero medioevale (774-1252), Bologna, 1947,
p. 561-592 : p. 583, il quale osserva : «Più tardi la clausola si trova ancora nelle concessioni enfiteutiche, ma il divieto vien dato di “alienare piis locis, militibus forensibus vel
Romanis ” ». Leicht rimanda come esempio a tre documenti, già pubblicati da
Franco Bartoloni, ora editi in Le più antiche carte del convento di San Sisto in Roma (905-1300),
a cura di C. Carbonetti Vendittelli, Roma, 1987, n. 166, 167, 168 (tutti del 1277). La clausola si ritrova in parecchi altri documenti di questo ente, a cominciare dal 1218 (n. 38 : si
veda l’indice, alle voci forensis e miles). Dunque questa clausola (che va ancora studiata
nelle forme intermedie), pur persistendo, si abbandonò il riferimento alle unità militari e si
introdusse il riferimento ai singoli milites. Per un confronto con l’area esarcale si veda
A. Carile, Terre militari, funzioni e titoli bizantini nel «Breviarium», in A. Vasina et alii (a cura
di), Ricerche e studi sul «Breviarium Ecclesiae Ravennantis» (Codice Baravao), Roma, 1985,
p. 81-94 : 89-92.
80
F. Marazzi, Aristocrazia e società... cit., p. 49; P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»...
cit., p. 86.
81
LP I, p. 487-489 e 515 nota 9 (Paolo, durante il pontificato di Adriano I, 772-795);
II, p. 134 e 139 nota 66 (Graziano, durante il pontificato di Leone IV, 847-855); 225 nota 2
(Gregorio, durante il pontificato di Adriano III, 884-885. È ricordata anche Maria superistana). L’ultimo superista conosciuto è Giovanni, nel 942; cfr. Bertolini, Roma di fronte a
Bisanzio e ai Longobardi... cit., p. 667; Les Ordines Romani... cit., introduzione di Andrieu
all’ordo XXXVI, vol. IV, p. 124; P. Toubert, Les structures du Latium médiéval... cit., p. 964
nota 2; Id., «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 97. Come si è detto, la basilica di S. Pietro
potrebbe avere avuto anch’essa un reparto di uomini che la difendevano (cfr. supra, nota
64). P. Savignoni, Exercitus populi Romanae Urbis, in Archivio della Società romana di storia
patria, 18, 1895, p. 217-227 : p. 222, pensava a un esercito papale corrispondente alla
Schola dei mansionari di S. Pietro, ma in realtà si riferisce a un passo degli Annales Bertiniani nel quale si racconta che nell’864 i custodes della basilica difesero il corpo del Santo
armati di fruste : Annales Bertiniani, ed. G. Waitz, in M.G.H., Script. rer. Germ., Hannover,
1883, p. 70.
580
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
Di conseguenza, siamo propensi a escludere che le unità della militia
avessero mantenuto, nel pieno secolo VIII e durante il secolo successivo,
quella personalità giuridica che è ipotizzabile nel VII secolo e forse ancora
nei primi decenni dell’VIII secolo, che cioè potessero ancora possedere beni
in comune, e che dunque esistessero ancora nelle forme tardo antiche dei
numeri e bandi : lo stesso ipotizzato scivolamento nel termine scholae militiae, che pare avere un significato meno collegato al publicum e più vicino a
quello delle altre scholae attestate a Roma, potrebbe essere sintomatico di
questo stato di cose. Chi davvero possedeva i beni – almeno teoricamente
per conto della Chiesa e delle chiese – erano i loro capi, gli iudices/optimates
de militia. Questo sistema, ben bilanciato in quanto consociativo per tutta
l’aristocrazia, si sarebbe mantenuto molto a lungo. Il ritorno della piena
proprietà in mano laica nella seconda metà del secolo XI, ottenuto anche a
scapito delle proprietà ecclesiastiche, potrebbe leggersi come un’ulteriore
traccia della crisi che investì i rapporti tra la Chiesa romana e l’aristocrazia
cittadina al tempo della Riforma 82.
Militia, etnicità e cultura bizantina
Gli ultimi temi sui quali si vuole qui riflettere sono quello delle origini
etniche della militia romana e quello del rapporto che la «nuova aristocrazia»
intrattenne con la cultura latu sensu bizantina. Potrebbe, infatti, apparire –
ma sarebbe una prospettiva fuorviante – che la presa bizantina sulle persone
e le istituzioni romane dei secoli VII-VIII fosse stata tutto sommato limitata.
Pierre Toubert ha posto l’interrogativo di quale fosse il peso di questo «héritage institutionnel», rispondendo che esso fu tutt’altro che superficiale,
poiché diede alla città «un rôle notable dans la formation d’une entité territoriale dotée d’une indiscutable conscience de son identité» 83.
Ci si può dunque domandare quanto questo exercitus fosse composto,
almeno in origine, da truppe etnicamente non italiche, e quanto alto fosse
stato il livello di osmosi tra questi soldati e il resto della popolazione, con la
quale essi finirono in ogni caso con il fondersi dando vita a un gruppo
sociale omogeneo. La domanda, legittima, rischia però di rimanere senza
risposta, sia perché Roma è sempre stata un calderone ribollente di genti,
tanto che una «etnicità romana», anche riferita alla sola città, sembra un
concetto avulso dalla realtà, sia perché non abbiamo (a mia conoscenza)
reperti, per esempio resti umani chiaramente identificabili come di persone
appartenenti all’esercito, da studiare dal punto di vista genetico. La portata
dello scambio interetnico resta dunque sospettabile come significativo, ma
comunque non commensurabile. Più evidente, però, è il fatto che i capi
militari – in parte ancora durante l’VIII secolo – potessero avere un’origine
non italica bensì orientale, perché per alcuni di essi abbiamo succinte informazioni biografiche. Inoltre, è ben noto che a Roma fu fiorente una colonia
82
Ch. Wickham, La struttura della proprietà fondiaria... cit., p. 185; cfr. P. Brezzi, Roma e
l’Impero medioevale... cit., p. 223-224; T. di Carpegna Falconieri, Il clero di Roma... cit.,
p. 93-97.
83
P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 77.
LA MILITIA A ROMA
581
ellenofona, stabilita sulla Ripa Graeca e facente capo alle chiese di
S. Anastasia, S. Teodoro, S. Giorgio al Velabro e S. Maria in Schola Graeca
(in Cosmedin) 84.
Soprattutto, la portata dell’afflusso di persone provenienti dall’Oriente
nei ranghi superiori della popolazione (e quindi, per congettura analogica,
anche nei ranghi dei quadri di comando dell’esercito) è dimostrata da
trasferimenti di tutt’altro tipo, quelli degli ecclesiastici. Vale la pena di ricordare che nella Roma dei secoli VII e VIII vi fu una consistente immigrazione dall’Oriente, soprattutto di chierici e monaci, fuggiti davanti alle
invasioni arabe, ai contrasti per il monofisismo e l’iconoclastia, i quali
trovavano a Roma un baluardo dell’ortodossia 85. Tra il 678 e il 752, undici
papi su quindici furono di origine orientale, greca o siriaca.
In ogni caso, il tema dell’appartenenza etnica, oltre a essere quasi irrisolvibile, non è il principale, e certamente non è (più) quello sul quale
dibatte la storiografia. L’intero processo di revisione dell’analisi delle identità proprie delle popolazioni un tempo dette barbariche o, peggio, genericamente germaniche – che costituisce forse l’apporto più significativo della
medievistica contemporanea – deve portarci a ragionare anche sulla cosiddetta identità romana o bizantina, concentrando la nostra attenzione non
sul dato falsamente oggettivo di «etnicità», ma su quello molto più mobile
e indefinito, e tuttavia storicamente molto più aderente ai fatti, di
«cultura» 86. Assumendo questo metro di analisi, allora davvero le interconnessioni tra la cultura locale e quella orientale appaiono notevoli.
Dal punto di vista delle istituzioni ecclesiastiche, la genesi delle
diaconie romane, alla fine del VII secolo, viene fatta risalire a modelli
costantinopolitani 87, né sarebbe erroneo considerare l’assetto del palazzo
Lateranense a imitazione del palazzo imperiale, nella seconda metà del
secolo successivo, anche come conseguenza di questo atteggiamento culturale. Dal punto di vista storico-artistico, la «bizantinizzazione» di Roma
durante il VII e in parte l’VIII secolo, fu talmente ampia da rendere impossibile distinguere i modelli originari, costantinopolitani, dalle loro riprese
nell’Urbe. Già molti anni fa, nel 1965, Guglielmo Matthiæ scriveva :
Che lo sviluppo storico della pittura in Roma subisca nel secolo VII una
brusca svolta per l’azione di un fattore culturale estraneo all’ambiente che in
esso viene ad inserirsi, è un fatto quasi universalmente accettato dagli storici 88.
84
L. Reekmans, L’implantation monumentale chrétienne dans le paysage urbain de Rome
de 300 à 850, in Actes du XIe congrès international d’archéologie chrétienne, Lyon, Vienne,
Grenoble, Genève et Aoste, 21-28 septembre 1986, Roma, 1989, p. 861-915 : p. 879; T. di
Carpegna Falconieri, Il clero di Roma... cit., p. 300, con bibl.
85
J.-M. Sansterre, Les moines grecs et orientaux à Rome aux époques byzantine et carolingienne (milieu du VIe s., fin du XIe s.), Bruxelles, 1983; Delogu, Il passaggio dall’antichità al
medioevo... cit., p. 16-17.
86
S. Gasparri, Le élites romane di fronte ai Longobardi, in Les élites au haut Moyen Âge...
cit., p. 143-166 : p. 160-162.
87
H.-I. Marrou, L’origine orientale des diaconies romaines, in Mélanges de l’École française
de Rome, 57, 1940, p. 95-142; T. di Carpegna Falconieri, Il clero di Roma... cit., p. 149-150,
con bibl.
88
G. Matthiæ, Pittura romana del medioevo. Secoli IV-X. Aggiornamento scientifico di
Maria Andaloro, Roma, 1987, p. 128 (ed. or. Roma, 1965).
582
TOMMASO DI CARPEGNA FALCONIERI
Di recente, Jonas Nordhagen è tornato sul tema con un saggio evocativo fin nel titolo : Constantinople on the Tiber 89. Se fondiamo queste informazioni con quanto abbiamo finora verificato a proposito della
componente laica della popolazione romana, se a ciò aggiungiamo le
notizie che abbiamo sulle qualifiche di rango, sull’onomastica in uso in città
e sui sistemi familiari 90, e se infine consideriamo anche le recenti scoperte
archeologiche, tra le quali il rinvenimento, nei depositi della Crypta Balbi, di
sigilli risalenti al principio del secolo VIII, che portano titolature greche 91,
l’impressione generale di una solida appartenenza al mondo culturale
bizantino – anche dopo la fine dei rapporti diretti con l’Esarcato e con
Bisanzio – esce rafforzata.
Roma, che vi fosse stato o meno uno scambio etnico, fu nel VII e
nell’VIII secolo una città profondamente pervasa di cultura bizantina, cioè
(si perdoni il bisticcio), «romana», nel modo in cui si pensava allora a
Roma e al suo Impero 92.
E tuttavia le stesse fonti archeologiche che in parte, come si è detto,
hanno confermato il quadro di questa «appartenenza culturale», per un
altro verso lo hanno sensibilmente complicato. Infatti, nella Crypta Balbi
sono stati rinvenuti gli scarti di un’officina : fibulae, elementi di cintura,
armi, che furono fabbricati per committenti esterni e forse soprattutto per
la milizia romana. Questi oggetti, unica traccia materiale di una altrimenti
«invisibile e inafferrabile» nobiltà romana del VII secolo, testimoniano dell’appartenenza della militia a quella «vera e propria koinè della cultura
materiale che si viene a creare tra il VI e il VII secolo e che accoglie al suo
interno elementi di origine mediterranea, germanica e bizantina» 93. Una
situazione, questa, che si protrae nel tempo, come si ricava dalla tipologia
delle fibulae. Dunque a Roma è stata osservata una «comunanza culturale»
con il resto dell’Europa. A Roma si trovano anelli di tradizione bizantinomediterranea e anelli di tradizione nordica, sono attestate iconograficamente fibulae «cloisonnées» (a S. Maria Antiqua, in un affresco del tempo
di Adriano I) ed è stata ritrovata una matrice in ardesia per fondere questo
89
J. Nordhagen, Constantinople on the Tiber... cit. Cfr. per es. p. 126 : «By the irony of
history, it is from images found at the banks of the Tiber that we get the best look into the
world of the eastern image makers in the period in which Byzantine art was shaping».
90
P. Toubert, «Scrinium» et «Palatium»... cit., p. 63-67; T. di Carpegna Falconieri, Le
trasformazioni onomastiche e antroponimiche dei ceti dominanti a Roma nei secoli X-XII, in
Mélanges de l’École française de Rome, Moyen Âge-Temps Modernes, 106, 1994, 2, p. 595-640 :
p. 604-610; Id., La società romana nei secoli IX-XII e i rapporti patrimoniali fra coniugi : alla
ricerca di un retaggio bizantino, in questo volume p. 75-100.
91
F. Marazzi, Sigilli dai depositi di VII e VIII secolo dell’esedra della Crypta Balbi, in
P. Delogu et al. (a cura di), Roma dall’Antichità al Medioevo. Archeologia e storia nel Museo
nazionale romano – Crypta Balbi, Roma, 2001, p. 257-265; Id. Aristocrazia e societa... cit.,
p. 45-46. Si vedano anche V. Laurent, Les sceaux byzantins du médaillier vatican, présentés,
décrits et commentés, Citta del Vaticano, 1962; S. Cosentino, Storia dell’Italia bizantina (VIXI secolo). Da Giustiniano ai Normanni, Bologna, 2008, p. 359-360.
92
É. Patlagean, Variations imperiales sur le thème romain... cit., p. 2, 6.
93
A. Augenti, I ceti dirigenti romani nelle fonti archeologiche... cit., p. 85.
583
LA MILITIA A ROMA
tipo di oggetti. Che dire di un miles romano che odiava il suo vicino longobardo, che si considerava ben diverso da lui, che magari conosceva il greco
e che pregava davanti a icone uguali a quelle di Bisanzio, ma che poi si
armava come un arimanno? Su entrambi i fronti, gli uomini di guerra
probabilmente si somigliavano più di quanto essi stessi non volessero
ammettere 94.
Tommaso
94
DI
Cfr. L. Capo, Il Liber pontificalis... cit., p. 176-177.
CARPEGNA FALCONIERI