Linguaggi Grafici
MAPPE
a cura di
Enrico Cicalò, Valeria Menchetelli, Michele Valentino
ISBN: 978·88·99586·20·1
COMITATO SCIENTIFICO
Marcello Balbo
Dino Borri
Enrico Cicalò
Enrico Corti
Nicola Di Battista
Carolina Di Biase
Michele Di Sivo
Domenico D’Orsogna
Maria Linda Falcidieno
Francesca Fatta
Paolo Giandebiaggi
Elisabetta Gola
Riccardo Gulli
Emiliano Ilardi
Francesco Indovina
Elena Ippoliti
Giuseppe Las Casas
Mario Losasso
Giovanni Maciocco
Vincenzo Melluso
Benedetto Meloni
Domenico Moccia
Giulio Mondini
Renato Morganti
Stefano Moroni
Stefano Musso
Zaida Muxi
Oriol Nel.lo
João Nunes
Gian Giacomo Ortu
Rossella Salerno
Enzo Scandurra
Silvano Tagliagambe
Linguaggi Grafici
La serie Linguaggi Grafici propone l’esplorazione dei diversi
ambiti delle Scienze Grafiche e l’approfondimento di campi
specifici capaci di far emergere nuove prospettive di ricerca.
La serie indaga le molteplici declinazioni delle forme di
rappresentazione grafica e di comunicazione visiva, proponendo
una riflessione collettiva, aperta, interdisciplinare e trasversale
capace di stimolare nuovi sguardi e nuovi filoni di indagine.
Ciascun volume della serie è identificato da un lemma, che
definisce al contempo una categoria di artefatti visivi e un campo
di indagine, che si configura come chiave interpretativa per la
raccolta di contributi provenienti da ambiti culturali, disciplinari
e metodologici differenti, che tuttavia riconoscono nei linguaggi
grafici un territorio di azione e di ricerca comune.
COMITATO EDITORIALE
Enrico Cicalò
Valeria Menchetelli
Marta Pileri
Andrea Ruggieri
Francesca Savini
Ilaria Trizio
Michele Valentino
Tutti i testi di PUBLICA sono sottoposti a double peer review
Quis sum ego?
Le mappe geografiche antropomorfe
di Opicino de Canistris
tra spiritualità e schizofrenia
Quis sum ego?
The Anthropomorphic Geographic Maps
of Opicino de Canistris
between Spirituality and Schizophrenia
Paolo Belardi
Università degli Studi di Perugia
Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale
paolo.belardi@unipg.it
Opicino de Canistris
mappe antropomorfe
disegno
spiritualità
schizofrenia
Opicino de Canistris
anthropomorphic maps
drawing
spirituality
schizophrenia
Il saggio è volto a lumeggiare la figura di Opicino
de Canistris: uno scriptor mediaevalis penalizzato
da una scarsa fortuna critica, perché misconosciuto
dai contemporanei e dimenticato dai posteri, fino
a quando, ai primi del Novecento, i padri della
psichiatria dinamica (in particolare Aby Warburg
e Carl Gustav Jung) hanno rivisto il giudizio
sulle sue opere grafiche, soprattutto quello
relativo alle mappe geografiche antropomorfe,
interpretandone la bizzarria come sintomo di
un’irrefrenabile schizofrenia latente, e hanno
stimolato l’interesse del mondo della letteratura
e del mondo dell’architettura: dalla recensione
pionieristica di Italo Calvino della mostra Cartes
et figures de la terre, allestita nel 1980 a Parigi
negli spazi del Centre Pompidou, in cui viene
esposta in pubblico per la prima volta una mappa
geografica antropomorfa di Opicino all’elogio
encomiastico di Aldo Rossi che, in un passaggio
cruciale dell’Autobiografia scientifica (1999),
associando le mappe geografiche antropomorfe
di Opicino ai disegni scritti di Juan de la Cruz,
confessa la propria ammirazione per l’atipicità di
un corpo di disegni in cui “si confondono figure
umane e animali, congiunzioni sessuali, ricordi
con gli elementi topografici del rilievo” e che
arriva a considerare “una direzione diversa che
l’arte e la scienza in alcuni momenti potevano
prendere” (Rossi, 1999, p. 116). In effetti, a ben
guardare, l’originalità sovrastorica delle mappe
geografiche di Opicino non sta tanto nel ricorso
al carattere antropomorfo delle rappresentazioni,
quanto piuttosto nella capacità di praticare i
margini tra scienza e follia, che gli consente di
sovrapporre al layer della precisione topografica,
ereditata dalla familiarità con i portolani redatti
dai cartografi frequentati in occasione del lungo
The essay aims to shed light on the figure of
Opicino de Canistris: a scriptor mediaevalis
penalised by a poor critical fortune, because he
was misunderstood by his contemporaries and
forgotten by posterity, until, at the beginning
of the twentieth century, the fathers of dynamic
psychiatry (in particular, Aby Warburg and Carl
Gustav Jung) revised their judgement on his
graphic works, especially those relating to the
anthropomorphic geographical maps, interpreting
their bizarreness as a symptom of a latent
schizophrenia and stimulating the interest of the
world of literature and the world of architecture.
From Italo Calvino’s pioneering review of the
exhibition Cartes et figures de la terre, staged in 1980
in Paris in the spaces of the Centre Pompidou, in
which an anthropomorphic geographic map by
Opicino was exhibited in public for the first time, to
Aldo Rossi’s encomiastic praise which, in a crucial
passage of A Scientific Autobiography, associating
Opicino’s anthropomorphic geographical maps
with Juan de la Cruz’s written drawings, confesses
his admiration for the atypical nature of a body of
drawings in which “human and animal figures,
sexual unions, and memories are confounded
with the topographical elements of the relief”,
prefiguring “the different directions which art
and science take at times” (Rossi, 1999, p. 116).
In fact, on closer inspection, the supra-historical
originality of Opicino’s geographical maps does not
lie so much in the recourse to the anthropomorphic
character of the representations, but rather in his
ability to practice the margins between science
and madness, which allows him to superimpose
on the layer of topographical precision, inherited
from his familiarity with the portolans drawn
up by the cartographers he met during his long
1110
soggiorno genovese, il layer dell’imprecisione
visionaria, attribuita da una mitologia personale
volta a contaminare liberamente incubi religiosi
e sogni erotici, anticipando di quasi cinquecento
anni la “Mad” Art di Josef Heinrich Grebing,
Hyacinth Freiherr von Wieser e Théophile Leroy.
stay in Genoa, the layer of visionary inaccuracy,
attributed to a personal mythology that freely
contaminated religious nightmares and erotic
dreams, anticipating by almost five hundred years
the “Mad” Art of Josef Heinrich Grebing, Hyacinth
Freiherr von Wieser and Théophile Leroy.
1111
Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo, trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di
dimore, di strumenti, di astri, di cavalli, e di persone. Poco
prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee
traccia l’immagine del suo volto. (Borges, 1999, p. 195)
Storico ed ecclesiastico, ma anche calligrafo e miniaturista al
servizio della corte pontificia avignonese, Opicino de Canistris è
stato uno scriptor mediaevalis penalizzato da una scarsa fortuna
critica, perché misconosciuto dai contemporanei e dimenticato
dai posteri. Fino a quando ai primi del Novecento, sulla scia
della scoperta dell’inconscio, i padri della psichiatria dinamica
hanno rivisto il giudizio sulle sue opere grafiche, soprattutto
quello relativo alle mappe geografiche antropomorfe, interpretandone la bizzarria come sintomo di un’irrefrenabile schizofrenia latente: in particolare Aby Warburg e Carl Gustav Jung, protagonista nel 1943, nell’ambito delle Eranos Tagungen, di un
seminario estemporaneo titolato The Solar Myths and Opicinus
de Canistris (Quaglino et al., 2010; Kluger, 2013; Quaglino et
al., 2013; Bernardini et al., 2014). Non appare quindi sorprendente che l’interesse per il ciclo di disegni più famoso tra quelli
eseguiti da Opicino abbia coinvolto prima il mondo della psicoanalisi e solo successivamente il mondo della letteratura e dell’architettura: dalla recensione pionieristica di Italo Calvino della
mostra Cartes et figures de la terre, allestita nel 1980 a Parigi negli
spazi del Centre Pompidou, in cui viene esposta in pubblico per
la prima volta una mappa geografica antropomorfa di Opicino
(Calvino, 1994, p. 27) all’elogio encomiastico di Aldo Rossi che,
in un passaggio cruciale dell’Autobiografia scientifica, associando
le mappe geografiche antropomorfe di Opicino ai disegni scritti
di Juan de la Cruz, confessa la propria ammirazione per l’atipicità di un corpo di disegni in cui “si confondono figure umane e
animali, congiunzioni sessuali, ricordi con gli elementi topografici del rilievo” e che arriva a considerare “una direzione diversa
che l’arte e la scienza in alcuni momenti potevano prendere”
(Rossi, 1999, p. 116). D’altra parte, così come recita un celebre
aforisma di Stanislaw Jerzy Lec, “nella storia – in generale e nella
storia del disegno in particolare – contano anche i fatti non avvenuti” (1984, p. 76). E, con essi, contano anche le vie rimaste
inesplorate.
1112
Fig. 1
Opicino de Canistris,
Palatinus latinus
1993, 1337-1341,
foglio 11r. 78,5
x 49 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
Fig. 2
Opicino de Canistris,
Palatinus latinus
1993, 1337-1341,
foglio 24v. 87,5
x 53 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
1113
Opicino de Canistris (1296-1352)
La vita di Opicino de Canistris, non meno misteriosa delle
sue opere, si svolge “negli anni complessi e terribili de Il nome
della rosa” (Fumagalli Beonio Brocchieri, 2016, p. 33) ed è nota
attraverso la sua autobiografia figurale (de Canistris, Palatinus
latinus 1993, foglio 11r; Feo, 2003): un sorprendente virtuosismo grafico in cui l’autore “confessa i suoi pensieri, timori e ricordi” (Fumagalli Beonio Brocchieri, 2016, p. 33), rappresentando, sotto l’egida di un Cristo a braccia aperte e con al centro
una Madonna con bambino fluttuante nel cielo, un canestro
(una figura ricorrente, laddove “l’assonanza con il proprio cognome, de Canistris, è uno dei giochi etimologici con cui si
esprime la fantasia incontenibile di Opicino”) (Limonta, 2016,
p. 58) composto da 35 cerchi concentrici, circondati da figure
che evocano la nascita dei quattro evangelisti (un bimbo in fasce
per Matteo, un vitello che succhia il latte da una mammella per
Luca, un cucciolo di leone per Marco, la testa di un aquilotto che
esce dall’uovo per Giovanni) e ordinati da linee radiali, che li
suddividono nei dodici mesi dell’anno per fissare cronologicamente gli avvenimenti più significativi verificatisi nell’intervallo
temporale che va dal 1296 al 1336: quarant’anni che tradiscono
la tensione spirituale dell’autore nel “lasciarsi alle spalle il mondo
delle ‘bestie selvagge’ per avvicinarsi alla ‘monarchia’ divina” (Piron, 2019, p. 80). Sappiamo così con certezza che Opicino nasce
il 24 dicembre 1296 a Lomello (“Sono stato concepito nell’iniquità, in un matrimonio legittimo”), dove viene battezzato nel
1297 (“Sono circonciso e, strappato al peccato, divento cristiano”), e che nel 1303 viene mandato a scuola, ma con scarso profitto (“Contro la mia volontà vengo mandato a scuola ma non
apprendo nulla”). Né avrebbe potuto essere diversamente, visto
che Opicino, durante i suoi continui trasferimenti (Pavia, Bassignana, Genova, Milano, Piacenza e ancora Pavia) è annoiato da
tutti gli insegnamenti che via via gli vengono impartiti (grammatica, logica, musica, medicina), mentre è appassionato dalla scrittura, che pratica con continuità (“Inizio a scrivere un libro metrico sulle parabole di Cristo”), e soprattutto dalla miniatura, che
elegge a viatico della propria vocazione (“Mentre disegno di tanto in tanto getto un’occhiata al testo dei libri teologici che ho
ricevuto da miniare. Poco a poco raccolgo lo spirito necessario
per apprendere le parole divine”). Ricevuti gli ordini sacerdotali,
1114
Fig. 3
Opicino de Canistris,
Vaticanus latinus
6435, 1337-1341,
foglio 53v. 21,5 x
31,5 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
1115
Opicino celebra la sua prima messa nel 1320 (“A Pasqua canto la
mia prima messa nella chiesa di Pavia. Inizio a battezzare”) e, nel
1323, viene destinato alla piccola parrocchia pavese di Santa Maria Cappella, dove incontra non poche difficoltà relazionali (“Lì
trovo diversi oppositori e per causa loro, senza averne coscienza,
a volte con violenza a volte per paura ho agito contro la mia coscienza”). Il che lo spinge a lunghe peregrinazioni (“Abbandono
Pavia; mi reco a Tortona, poi a Valenza e Alessandria”), che si
concludono solo nel 1329 con l’arrivo ad Avignone, che da quel
momento in poi diventa la sua seconda patria in virtù della fortuna riscontrata presso la corte pontificia di Giovanni XXII
(“Sono ricevuto dal papa che mi mostra grande benevolenza”).
Tuttavia, nonostante il conseguimento della sicurezza economica, la vita di Opicino è travagliata da due avvenimenti drammatici, che compromettono il suo equilibrio psichico: dapprima
subisce un lungo processo per cripto-eresia che lo vede assolto,
ma solo dopo grandi sofferenze (“Finalmente, dopo aver superato queste difficoltà ricevo l’assoluzione [dai peccati] dal camerlengo del papa”) oltre che con pesanti ricadute finanziarie (“Al di
là di un vitto e di un abbigliamento decente, spendo in questo
genere di processi tutto ciò che avevo risparmiato”), quindi è afflitto da una gravissima malattia (presumibilmente un ictus), che
lo porta alle soglie della morte (“Ricevuti tutti i sacramenti previsti, per un terzo del mese [di aprile] sono come morto”) e i cui
postumi gli impediscono di continuare a lavorare presso la penitenzieria apostolica (“In seguito a quella infermità, rimango
muto e debole nella mano destra e, con stupore, perdo molta
parte della memoria delle parole”).
Tra spiritualità e schizofrenia
Scosso nel profondo del proprio intimo e affrancato da incombenze professionali pressanti, giorno dopo giorno Opicino comincia a vergare febbrilmente un foglio dopo l’altro, occupando integralmente sia il retto che il verso con un mix solo apparentemente
caotico di scritture, disegni, mappe, simboli e diagrammi.
Per tre anni ho riempito di continuo, con un gran numero di
scritture dal valore di testimonianza, molti e quasi innumerevoli fogli di carta, sia grandi sia piccoli pezzi di formato più
1116
Fig. 4
Opicino de Canistris,
Vaticanus latinus
6435, 1337-1341,
foglio 71v. 21,5 x
31,5 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
1117
piccolo, con varie immagini e ruote di diverso genere, e che
riguardavano la descrizione delle terre del mondo e di altre figure del mistero, in una tale varietà di tentativi che nessun lavoro tra questi assomiglia all’altro. (Limonta, 2016, p. 76)
Poi li raccoglie in due manoscritti rimasti obliati nei fondi
della Biblioteca Apostolica Vaticana fino ai primi del Novecento.
Di questi il primo manoscritto (de Canistris, Palatinus latinus
1993), scoperto nel 1913 da Richard Salomon che ne ha curato
la pubblicazione promossa nel 1936 dal Warburg Institute di
Londra (Salomon, 1986), non costituisce un vero e proprio
codice e consiste in una raccolta di 27 grandi fogli di pergamena
grezza di diversa grandezza (le più grandi misurano 95 centimetri
in altezza, le più piccole circa 70 centimetri, mentre la larghezza
è compresa tra 45 e 60 centimetri), riempiti su entrambe le facce
con 52 diagrammi di forma oblunga, per lo più inscritti
all’interno di una figura geometrica e quasi sempre costruiti
intorno a circoli, che, al di là delle molte notazioni astrologiche
e teologiche, tradiscono uno spiccato interesse per l’orientamento
geografico (Tozzi, 1996), testimoniata dalla ricorrenza del
vocabolo oriens impresso in corrispondenza del collo del
manoscritto per rimarcare l’orientamento verso est di tutte
tavole. Mentre il secondo manoscritto (de Canistris, Vaticanus
latinus 6435), scoperto nel 1915 da Roberto Almagià che lo ha
pubblicato nel 1944 nell’ambito del primo volume dei
Monumenta Cartographica Vaticana (Laharie, 2008), è un vero e
proprio codice redatto in forma di diario, che consiste in un
registro cartaceo di media grandezza (215 x 315 millimetri),
composto da 23 quaderni e compilato con una scrittura
calligrafica minuscola, propria dell’attività di cancelleria,
scombinata da ripetute cancellature e chiosata da numerose
aggiunte in cui i disegni, inizialmente relegati nel margine
inferiore del testo, prendono progressivamente il sopravvento.
Tanto che “il rapporto tra testo e immagine si inverte: le figure si
trovano inquadrate da testi disposti in senso orizzontale o
verticale, quasi come se fossero attratti dall’immagine” (Piron,
2019, p. 126). Si tratta di disegni che, al di là di rare eccezioni
(tra cui il foglio 71v dove la rappresentazione allegorica della
filosofia, chiosata a tutto campo da citazioni tratte dal De
consolatione philosophiae di Severino Boezio, “presenta una
struttura a immagini rovesciate e speculari che lo rende simile a
1118
Fig. 5
Opicino de Canistris,
Vaticanus latinus 6435,
1337-1341, foglio
84v. 21,5 x 31,5 cm.
© 2021 Biblioteca
Apostolica Vaticana.
1119
una carta da gioco”) (Limonta, 2016, p. 62), sono caratterizzati
dall’onnipresenza della mappa geografica antropomorfa del mare
Mediterraneo, che Opicino disegna con ritualità quasi ossessiva,
sovrapponendovi il disegno della stessa carta orientato diversamente, e inseriti in questi tracciati geografici fa apparire figure
umane e animali, personaggi della sua vita e allegorie teologiche,
compenetrazioni sessuali e apparizioni angeliche, affiancandoli
con un fitto commento scritto sulla storia delle sue sventure e
vaticini sul destino del mondo. (Calvino, 1994, p. 27)
Il tutto con una forte propensione per la discontinuità rappresentativa: tanto che Opicino ritrae l’Europa sia come donna casta
(allegoria della Chiesa virtuosa), intenta a pregare in atteggiamento pio, sia come donna viziosa (allegoria della Chiesa dissoluta), in
procinto di accoppiarsi con il mare Mediterraneo, ritratto a sua
volta come un satiro libidinoso che ostenta senza pudore i propri
attributi sessuali. Ma anche con una forte propensione per l’ibridazione simbolica: tanto che, nel foglio 68v e nel foglio 84v, Opicino identifica la Tiara Pontificia con l’Arca di Noè, dimostrando
una creatività colta che affonda solide radici nella tradizione ecclesiologica ereditata dal papato di Bonifacio VIII.
Quis sum ego?
Posto che le mappe geografiche contenute nel Vaticanus latinus
6435 costituiscono un campione esemplare di matematizzazione
dello spazio, l’originalità sovrastorica di Opicino non sta nel ricorso al carattere antropomorfo delle rappresentazioni. Lo spazio immaginario dei cartografi premoderni, infatti, era già tendenzialmente antropomorfo, perché volto a tradurre le forme ignote in
forme note: basti pensare alla Europa Prima Pars Terrae in Forma
Virginis, eseguita nel 1548 da Heinrich Bunting. Così come le
strade dell’arte e della cartografia si sono incrociate continuamente nel corso del Novecento, producendo ibridazioni figurative sorprendenti: da El Lissitzky a Marcel Duchamp, da Paul Klee a Salvador Dalì, da Gerhard Richter ad Anish Kapoor. Piuttosto
l’originalità sovrastorica di Opicino sta nella capacità di praticare
i margini tra scienza e follia, che gli consente di sovrapporre al
layer della precisione topografica, ereditata dalla familiarità con i
1120
Fig. 6
Opicino de Canistris,
Vaticanus latinus
6435, 1337-1341,
foglio 85v. 21,5 x
31,5 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
1121
portolani redatti dai cartografi frequentati in occasione del lungo
soggiorno genovese, il layer dell’imprecisione visionaria, attribuita
da una mitologia personale volta a contaminare liberamente incubi religiosi e sogni erotici, anticipando di quasi cinquecento anni
la “‘Mad’ Art” di Josef Heinrich Grebing, Hyacinth Freiherr von
Wieser e Théophile Leroy (Uebel, 2019). Il tutto nel segno
dell’ambiguità percettiva prodotta dall’inversione figura/sfondo
per cui
la linea di contorno è al contempo rivolta all’interno e all’esterno, semplice diaframma tra figurazioni che insistono sulla stessa linea quasi a sfruttarne tutte le potenzialità. Da una figura se
ne genera un’altra e un’altra e un’altra ancora, in un’infinita
germinazione di immagini che si richiamano l’una all’altra per
analogia. (Limonta, 2016, p. 78)
Non a caso, ruotando le mappe geografiche disegnate
maniacalmente da Opicino, compaiono ulteriori figure
antropomorfe. Così come avviene nel foglio 87r in cui il golfo
della Biscaglia, a seconda di come lo si guarda, diventa la schiena
di una donna o le fauci del mostro della tarasca. E così come
avviene nel foglio 53v in cui risaltano quattro personaggi:
l’Europa (ritratta come una donna nuda con gli stivali), l’Africa
(ritratta come un chierico barbuto), un mostro che morde
l’Europa (presumibilmente una tarasca) e il demone Mediterraneo
(di cui si scorge solo la parte inferiore, ma le cui fattezze
rimandano ad altre mappe laddove il mare Mediterraneo
orientale incarna il volto incorniciato dal mare Egeo in guisa di
barba). In questa mappa, che forse costituisce l’opera più
intrigante di Opicino, “le linee secanti determinano una
melotesia oceanica e una continentale, e definiscono un itinerario
iniziatico di pentimento e penitenza, che ha natura personale ma
che passa attraverso la conversione spirituale dell’intera Europa
intesa come Cristianità” (Calvino, 1994, p. 27). Ciò che ne
risulta è una climax allucinata, amplificata dall’intreccio caotico
di simboli misteriosi, di giochi di parole e di rimembranze
autobiografiche che invadono l’intera composizione e che sono
suggellate da una domanda inquietante (“Quis sum ego?/Chi
sono io?”) cui Opicino nello specifico fornisce una risposta
ambigua, perché pregna di risvolti simbolici (“Tu es Egoceros/ Tu
sei l’Egoceros”), che spazia “dall’evocazione delle circostanze
1122
Fig. 7
Opicino de Canistris,
Vaticanus latinus
6435, 1337-1341,
foglio 87r. 21,5 x
31,5 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
Fig. 8
Opicino de Canistris,
Vaticanus latinus
6435, foglio 87v. 21,5
x 31,5 cm. © 2021
Biblioteca Apostolica
Vaticana.
1123
della sua nascita alla sua identificazione con il mostruoso capro
libidinoso sullo sfondo dello spazio mediterraneo” (Piron, 2019,
p. 175), ma che soprattutto tradisce tutto il travaglio psichico
dell’autore (Laharie & Roux, 1997), travolto da un’irrefrenabile
scissione della propria personalità, in equilibrio instabile tra
spiritualità e schizofrenia (Harding, 1998), che contrappone il
soggetto singolare al soggetto plurale (Maizels, 2012): “Io non
sono una cosa, e noi ne siamo un’altra. Io non sono niente, ma
noi siamo qualche cosa. La mia anima è presa in odio, ma la
nostra anima è amata da tutte”. La porta della follia mistica è
ormai spalancata definitivamente.
Nota
Le traduzioni dei testi di Opicino de Canistris sono tratte da Fumagalli Beonio
Brocchieri & Limonta, 2016.
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