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Linguaggi Grafici MAPPE a cura di Enrico Cicalò, Valeria Menchetelli, Michele Valentino ISBN: 978·88·99586·20·1 COMITATO SCIENTIFICO Marcello Balbo Dino Borri Enrico Cicalò Enrico Corti Nicola Di Battista Carolina Di Biase Michele Di Sivo Domenico D’Orsogna Maria Linda Falcidieno Francesca Fatta Paolo Giandebiaggi Elisabetta Gola Riccardo Gulli Emiliano Ilardi Francesco Indovina Elena Ippoliti Giuseppe Las Casas Mario Losasso Giovanni Maciocco Vincenzo Melluso Benedetto Meloni Domenico Moccia Giulio Mondini Renato Morganti Stefano Moroni Stefano Musso Zaida Muxi Oriol Nel.lo João Nunes Gian Giacomo Ortu Rossella Salerno Enzo Scandurra Silvano Tagliagambe Linguaggi Grafici La serie Linguaggi Grafici propone l’esplorazione dei diversi ambiti delle Scienze Grafiche e l’approfondimento di campi specifici capaci di far emergere nuove prospettive di ricerca. La serie indaga le molteplici declinazioni delle forme di rappresentazione grafica e di comunicazione visiva, proponendo una riflessione collettiva, aperta, interdisciplinare e trasversale capace di stimolare nuovi sguardi e nuovi filoni di indagine. Ciascun volume della serie è identificato da un lemma, che definisce al contempo una categoria di artefatti visivi e un campo di indagine, che si configura come chiave interpretativa per la raccolta di contributi provenienti da ambiti culturali, disciplinari e metodologici differenti, che tuttavia riconoscono nei linguaggi grafici un territorio di azione e di ricerca comune. COMITATO EDITORIALE Enrico Cicalò Valeria Menchetelli Marta Pileri Andrea Ruggieri Francesca Savini Ilaria Trizio Michele Valentino Tutti i testi di PUBLICA sono sottoposti a double peer review Quis sum ego? Le mappe geografiche antropomorfe di Opicino de Canistris tra spiritualità e schizofrenia Quis sum ego? The Anthropomorphic Geographic Maps of Opicino de Canistris between Spirituality and Schizophrenia Paolo Belardi Università degli Studi di Perugia Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale paolo.belardi@unipg.it Opicino de Canistris mappe antropomorfe disegno spiritualità schizofrenia Opicino de Canistris anthropomorphic maps drawing spirituality schizophrenia Il saggio è volto a lumeggiare la figura di Opicino de Canistris: uno scriptor mediaevalis penalizzato da una scarsa fortuna critica, perché misconosciuto dai contemporanei e dimenticato dai posteri, fino a quando, ai primi del Novecento, i padri della psichiatria dinamica (in particolare Aby Warburg e Carl Gustav Jung) hanno rivisto il giudizio sulle sue opere grafiche, soprattutto quello relativo alle mappe geografiche antropomorfe, interpretandone la bizzarria come sintomo di un’irrefrenabile schizofrenia latente, e hanno stimolato l’interesse del mondo della letteratura e del mondo dell’architettura: dalla recensione pionieristica di Italo Calvino della mostra Cartes et figures de la terre, allestita nel 1980 a Parigi negli spazi del Centre Pompidou, in cui viene esposta in pubblico per la prima volta una mappa geografica antropomorfa di Opicino all’elogio encomiastico di Aldo Rossi che, in un passaggio cruciale dell’Autobiografia scientifica (1999), associando le mappe geografiche antropomorfe di Opicino ai disegni scritti di Juan de la Cruz, confessa la propria ammirazione per l’atipicità di un corpo di disegni in cui “si confondono figure umane e animali, congiunzioni sessuali, ricordi con gli elementi topografici del rilievo” e che arriva a considerare “una direzione diversa che l’arte e la scienza in alcuni momenti potevano prendere” (Rossi, 1999, p. 116). In effetti, a ben guardare, l’originalità sovrastorica delle mappe geografiche di Opicino non sta tanto nel ricorso al carattere antropomorfo delle rappresentazioni, quanto piuttosto nella capacità di praticare i margini tra scienza e follia, che gli consente di sovrapporre al layer della precisione topografica, ereditata dalla familiarità con i portolani redatti dai cartografi frequentati in occasione del lungo The essay aims to shed light on the figure of Opicino de Canistris: a scriptor mediaevalis penalised by a poor critical fortune, because he was misunderstood by his contemporaries and forgotten by posterity, until, at the beginning of the twentieth century, the fathers of dynamic psychiatry (in particular, Aby Warburg and Carl Gustav Jung) revised their judgement on his graphic works, especially those relating to the anthropomorphic geographical maps, interpreting their bizarreness as a symptom of a latent schizophrenia and stimulating the interest of the world of literature and the world of architecture. From Italo Calvino’s pioneering review of the exhibition Cartes et figures de la terre, staged in 1980 in Paris in the spaces of the Centre Pompidou, in which an anthropomorphic geographic map by Opicino was exhibited in public for the first time, to Aldo Rossi’s encomiastic praise which, in a crucial passage of A Scientific Autobiography, associating Opicino’s anthropomorphic geographical maps with Juan de la Cruz’s written drawings, confesses his admiration for the atypical nature of a body of drawings in which “human and animal figures, sexual unions, and memories are confounded with the topographical elements of the relief”, prefiguring “the different directions which art and science take at times” (Rossi, 1999, p. 116). In fact, on closer inspection, the supra-historical originality of Opicino’s geographical maps does not lie so much in the recourse to the anthropomorphic character of the representations, but rather in his ability to practice the margins between science and madness, which allows him to superimpose on the layer of topographical precision, inherited from his familiarity with the portolans drawn up by the cartographers he met during his long 1110 soggiorno genovese, il layer dell’imprecisione visionaria, attribuita da una mitologia personale volta a contaminare liberamente incubi religiosi e sogni erotici, anticipando di quasi cinquecento anni la “Mad” Art di Josef Heinrich Grebing, Hyacinth Freiherr von Wieser e Théophile Leroy. stay in Genoa, the layer of visionary inaccuracy, attributed to a personal mythology that freely contaminated religious nightmares and erotic dreams, anticipating by almost five hundred years the “Mad” Art of Josef Heinrich Grebing, Hyacinth Freiherr von Wieser and Théophile Leroy. 1111 Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo, trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d’isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli, e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto. (Borges, 1999, p. 195) Storico ed ecclesiastico, ma anche calligrafo e miniaturista al servizio della corte pontificia avignonese, Opicino de Canistris è stato uno scriptor mediaevalis penalizzato da una scarsa fortuna critica, perché misconosciuto dai contemporanei e dimenticato dai posteri. Fino a quando ai primi del Novecento, sulla scia della scoperta dell’inconscio, i padri della psichiatria dinamica hanno rivisto il giudizio sulle sue opere grafiche, soprattutto quello relativo alle mappe geografiche antropomorfe, interpretandone la bizzarria come sintomo di un’irrefrenabile schizofrenia latente: in particolare Aby Warburg e Carl Gustav Jung, protagonista nel 1943, nell’ambito delle Eranos Tagungen, di un seminario estemporaneo titolato The Solar Myths and Opicinus de Canistris (Quaglino et al., 2010; Kluger, 2013; Quaglino et al., 2013; Bernardini et al., 2014). Non appare quindi sorprendente che l’interesse per il ciclo di disegni più famoso tra quelli eseguiti da Opicino abbia coinvolto prima il mondo della psicoanalisi e solo successivamente il mondo della letteratura e dell’architettura: dalla recensione pionieristica di Italo Calvino della mostra Cartes et figures de la terre, allestita nel 1980 a Parigi negli spazi del Centre Pompidou, in cui viene esposta in pubblico per la prima volta una mappa geografica antropomorfa di Opicino (Calvino, 1994, p. 27) all’elogio encomiastico di Aldo Rossi che, in un passaggio cruciale dell’Autobiografia scientifica, associando le mappe geografiche antropomorfe di Opicino ai disegni scritti di Juan de la Cruz, confessa la propria ammirazione per l’atipicità di un corpo di disegni in cui “si confondono figure umane e animali, congiunzioni sessuali, ricordi con gli elementi topografici del rilievo” e che arriva a considerare “una direzione diversa che l’arte e la scienza in alcuni momenti potevano prendere” (Rossi, 1999, p. 116). D’altra parte, così come recita un celebre aforisma di Stanislaw Jerzy Lec, “nella storia – in generale e nella storia del disegno in particolare – contano anche i fatti non avvenuti” (1984, p. 76). E, con essi, contano anche le vie rimaste inesplorate. 1112 Fig. 1 Opicino de Canistris, Palatinus latinus 1993, 1337-1341, foglio 11r. 78,5 x 49 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. Fig. 2 Opicino de Canistris, Palatinus latinus 1993, 1337-1341, foglio 24v. 87,5 x 53 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. 1113 Opicino de Canistris (1296-1352) La vita di Opicino de Canistris, non meno misteriosa delle sue opere, si svolge “negli anni complessi e terribili de Il nome della rosa” (Fumagalli Beonio Brocchieri, 2016, p. 33) ed è nota attraverso la sua autobiografia figurale (de Canistris, Palatinus latinus 1993, foglio 11r; Feo, 2003): un sorprendente virtuosismo grafico in cui l’autore “confessa i suoi pensieri, timori e ricordi” (Fumagalli Beonio Brocchieri, 2016, p. 33), rappresentando, sotto l’egida di un Cristo a braccia aperte e con al centro una Madonna con bambino fluttuante nel cielo, un canestro (una figura ricorrente, laddove “l’assonanza con il proprio cognome, de Canistris, è uno dei giochi etimologici con cui si esprime la fantasia incontenibile di Opicino”) (Limonta, 2016, p. 58) composto da 35 cerchi concentrici, circondati da figure che evocano la nascita dei quattro evangelisti (un bimbo in fasce per Matteo, un vitello che succhia il latte da una mammella per Luca, un cucciolo di leone per Marco, la testa di un aquilotto che esce dall’uovo per Giovanni) e ordinati da linee radiali, che li suddividono nei dodici mesi dell’anno per fissare cronologicamente gli avvenimenti più significativi verificatisi nell’intervallo temporale che va dal 1296 al 1336: quarant’anni che tradiscono la tensione spirituale dell’autore nel “lasciarsi alle spalle il mondo delle ‘bestie selvagge’ per avvicinarsi alla ‘monarchia’ divina” (Piron, 2019, p. 80). Sappiamo così con certezza che Opicino nasce il 24 dicembre 1296 a Lomello (“Sono stato concepito nell’iniquità, in un matrimonio legittimo”), dove viene battezzato nel 1297 (“Sono circonciso e, strappato al peccato, divento cristiano”), e che nel 1303 viene mandato a scuola, ma con scarso profitto (“Contro la mia volontà vengo mandato a scuola ma non apprendo nulla”). Né avrebbe potuto essere diversamente, visto che Opicino, durante i suoi continui trasferimenti (Pavia, Bassignana, Genova, Milano, Piacenza e ancora Pavia) è annoiato da tutti gli insegnamenti che via via gli vengono impartiti (grammatica, logica, musica, medicina), mentre è appassionato dalla scrittura, che pratica con continuità (“Inizio a scrivere un libro metrico sulle parabole di Cristo”), e soprattutto dalla miniatura, che elegge a viatico della propria vocazione (“Mentre disegno di tanto in tanto getto un’occhiata al testo dei libri teologici che ho ricevuto da miniare. Poco a poco raccolgo lo spirito necessario per apprendere le parole divine”). Ricevuti gli ordini sacerdotali, 1114 Fig. 3 Opicino de Canistris, Vaticanus latinus 6435, 1337-1341, foglio 53v. 21,5 x 31,5 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. 1115 Opicino celebra la sua prima messa nel 1320 (“A Pasqua canto la mia prima messa nella chiesa di Pavia. Inizio a battezzare”) e, nel 1323, viene destinato alla piccola parrocchia pavese di Santa Maria Cappella, dove incontra non poche difficoltà relazionali (“Lì trovo diversi oppositori e per causa loro, senza averne coscienza, a volte con violenza a volte per paura ho agito contro la mia coscienza”). Il che lo spinge a lunghe peregrinazioni (“Abbandono Pavia; mi reco a Tortona, poi a Valenza e Alessandria”), che si concludono solo nel 1329 con l’arrivo ad Avignone, che da quel momento in poi diventa la sua seconda patria in virtù della fortuna riscontrata presso la corte pontificia di Giovanni XXII (“Sono ricevuto dal papa che mi mostra grande benevolenza”). Tuttavia, nonostante il conseguimento della sicurezza economica, la vita di Opicino è travagliata da due avvenimenti drammatici, che compromettono il suo equilibrio psichico: dapprima subisce un lungo processo per cripto-eresia che lo vede assolto, ma solo dopo grandi sofferenze (“Finalmente, dopo aver superato queste difficoltà ricevo l’assoluzione [dai peccati] dal camerlengo del papa”) oltre che con pesanti ricadute finanziarie (“Al di là di un vitto e di un abbigliamento decente, spendo in questo genere di processi tutto ciò che avevo risparmiato”), quindi è afflitto da una gravissima malattia (presumibilmente un ictus), che lo porta alle soglie della morte (“Ricevuti tutti i sacramenti previsti, per un terzo del mese [di aprile] sono come morto”) e i cui postumi gli impediscono di continuare a lavorare presso la penitenzieria apostolica (“In seguito a quella infermità, rimango muto e debole nella mano destra e, con stupore, perdo molta parte della memoria delle parole”). Tra spiritualità e schizofrenia Scosso nel profondo del proprio intimo e affrancato da incombenze professionali pressanti, giorno dopo giorno Opicino comincia a vergare febbrilmente un foglio dopo l’altro, occupando integralmente sia il retto che il verso con un mix solo apparentemente caotico di scritture, disegni, mappe, simboli e diagrammi. Per tre anni ho riempito di continuo, con un gran numero di scritture dal valore di testimonianza, molti e quasi innumerevoli fogli di carta, sia grandi sia piccoli pezzi di formato più 1116 Fig. 4 Opicino de Canistris, Vaticanus latinus 6435, 1337-1341, foglio 71v. 21,5 x 31,5 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. 1117 piccolo, con varie immagini e ruote di diverso genere, e che riguardavano la descrizione delle terre del mondo e di altre figure del mistero, in una tale varietà di tentativi che nessun lavoro tra questi assomiglia all’altro. (Limonta, 2016, p. 76) Poi li raccoglie in due manoscritti rimasti obliati nei fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana fino ai primi del Novecento. Di questi il primo manoscritto (de Canistris, Palatinus latinus 1993), scoperto nel 1913 da Richard Salomon che ne ha curato la pubblicazione promossa nel 1936 dal Warburg Institute di Londra (Salomon, 1986), non costituisce un vero e proprio codice e consiste in una raccolta di 27 grandi fogli di pergamena grezza di diversa grandezza (le più grandi misurano 95 centimetri in altezza, le più piccole circa 70 centimetri, mentre la larghezza è compresa tra 45 e 60 centimetri), riempiti su entrambe le facce con 52 diagrammi di forma oblunga, per lo più inscritti all’interno di una figura geometrica e quasi sempre costruiti intorno a circoli, che, al di là delle molte notazioni astrologiche e teologiche, tradiscono uno spiccato interesse per l’orientamento geografico (Tozzi, 1996), testimoniata dalla ricorrenza del vocabolo oriens impresso in corrispondenza del collo del manoscritto per rimarcare l’orientamento verso est di tutte tavole. Mentre il secondo manoscritto (de Canistris, Vaticanus latinus 6435), scoperto nel 1915 da Roberto Almagià che lo ha pubblicato nel 1944 nell’ambito del primo volume dei Monumenta Cartographica Vaticana (Laharie, 2008), è un vero e proprio codice redatto in forma di diario, che consiste in un registro cartaceo di media grandezza (215 x 315 millimetri), composto da 23 quaderni e compilato con una scrittura calligrafica minuscola, propria dell’attività di cancelleria, scombinata da ripetute cancellature e chiosata da numerose aggiunte in cui i disegni, inizialmente relegati nel margine inferiore del testo, prendono progressivamente il sopravvento. Tanto che “il rapporto tra testo e immagine si inverte: le figure si trovano inquadrate da testi disposti in senso orizzontale o verticale, quasi come se fossero attratti dall’immagine” (Piron, 2019, p. 126). Si tratta di disegni che, al di là di rare eccezioni (tra cui il foglio 71v dove la rappresentazione allegorica della filosofia, chiosata a tutto campo da citazioni tratte dal De consolatione philosophiae di Severino Boezio, “presenta una struttura a immagini rovesciate e speculari che lo rende simile a 1118 Fig. 5 Opicino de Canistris, Vaticanus latinus 6435, 1337-1341, foglio 84v. 21,5 x 31,5 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. 1119 una carta da gioco”) (Limonta, 2016, p. 62), sono caratterizzati dall’onnipresenza della mappa geografica antropomorfa del mare Mediterraneo, che Opicino disegna con ritualità quasi ossessiva, sovrapponendovi il disegno della stessa carta orientato diversamente, e inseriti in questi tracciati geografici fa apparire figure umane e animali, personaggi della sua vita e allegorie teologiche, compenetrazioni sessuali e apparizioni angeliche, affiancandoli con un fitto commento scritto sulla storia delle sue sventure e vaticini sul destino del mondo. (Calvino, 1994, p. 27) Il tutto con una forte propensione per la discontinuità rappresentativa: tanto che Opicino ritrae l’Europa sia come donna casta (allegoria della Chiesa virtuosa), intenta a pregare in atteggiamento pio, sia come donna viziosa (allegoria della Chiesa dissoluta), in procinto di accoppiarsi con il mare Mediterraneo, ritratto a sua volta come un satiro libidinoso che ostenta senza pudore i propri attributi sessuali. Ma anche con una forte propensione per l’ibridazione simbolica: tanto che, nel foglio 68v e nel foglio 84v, Opicino identifica la Tiara Pontificia con l’Arca di Noè, dimostrando una creatività colta che affonda solide radici nella tradizione ecclesiologica ereditata dal papato di Bonifacio VIII. Quis sum ego? Posto che le mappe geografiche contenute nel Vaticanus latinus 6435 costituiscono un campione esemplare di matematizzazione dello spazio, l’originalità sovrastorica di Opicino non sta nel ricorso al carattere antropomorfo delle rappresentazioni. Lo spazio immaginario dei cartografi premoderni, infatti, era già tendenzialmente antropomorfo, perché volto a tradurre le forme ignote in forme note: basti pensare alla Europa Prima Pars Terrae in Forma Virginis, eseguita nel 1548 da Heinrich Bunting. Così come le strade dell’arte e della cartografia si sono incrociate continuamente nel corso del Novecento, producendo ibridazioni figurative sorprendenti: da El Lissitzky a Marcel Duchamp, da Paul Klee a Salvador Dalì, da Gerhard Richter ad Anish Kapoor. Piuttosto l’originalità sovrastorica di Opicino sta nella capacità di praticare i margini tra scienza e follia, che gli consente di sovrapporre al layer della precisione topografica, ereditata dalla familiarità con i 1120 Fig. 6 Opicino de Canistris, Vaticanus latinus 6435, 1337-1341, foglio 85v. 21,5 x 31,5 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. 1121 portolani redatti dai cartografi frequentati in occasione del lungo soggiorno genovese, il layer dell’imprecisione visionaria, attribuita da una mitologia personale volta a contaminare liberamente incubi religiosi e sogni erotici, anticipando di quasi cinquecento anni la “‘Mad’ Art” di Josef Heinrich Grebing, Hyacinth Freiherr von Wieser e Théophile Leroy (Uebel, 2019). Il tutto nel segno dell’ambiguità percettiva prodotta dall’inversione figura/sfondo per cui la linea di contorno è al contempo rivolta all’interno e all’esterno, semplice diaframma tra figurazioni che insistono sulla stessa linea quasi a sfruttarne tutte le potenzialità. Da una figura se ne genera un’altra e un’altra e un’altra ancora, in un’infinita germinazione di immagini che si richiamano l’una all’altra per analogia. (Limonta, 2016, p. 78) Non a caso, ruotando le mappe geografiche disegnate maniacalmente da Opicino, compaiono ulteriori figure antropomorfe. Così come avviene nel foglio 87r in cui il golfo della Biscaglia, a seconda di come lo si guarda, diventa la schiena di una donna o le fauci del mostro della tarasca. E così come avviene nel foglio 53v in cui risaltano quattro personaggi: l’Europa (ritratta come una donna nuda con gli stivali), l’Africa (ritratta come un chierico barbuto), un mostro che morde l’Europa (presumibilmente una tarasca) e il demone Mediterraneo (di cui si scorge solo la parte inferiore, ma le cui fattezze rimandano ad altre mappe laddove il mare Mediterraneo orientale incarna il volto incorniciato dal mare Egeo in guisa di barba). In questa mappa, che forse costituisce l’opera più intrigante di Opicino, “le linee secanti determinano una melotesia oceanica e una continentale, e definiscono un itinerario iniziatico di pentimento e penitenza, che ha natura personale ma che passa attraverso la conversione spirituale dell’intera Europa intesa come Cristianità” (Calvino, 1994, p. 27). Ciò che ne risulta è una climax allucinata, amplificata dall’intreccio caotico di simboli misteriosi, di giochi di parole e di rimembranze autobiografiche che invadono l’intera composizione e che sono suggellate da una domanda inquietante (“Quis sum ego?/Chi sono io?”) cui Opicino nello specifico fornisce una risposta ambigua, perché pregna di risvolti simbolici (“Tu es Egoceros/ Tu sei l’Egoceros”), che spazia “dall’evocazione delle circostanze 1122 Fig. 7 Opicino de Canistris, Vaticanus latinus 6435, 1337-1341, foglio 87r. 21,5 x 31,5 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. Fig. 8 Opicino de Canistris, Vaticanus latinus 6435, foglio 87v. 21,5 x 31,5 cm. © 2021 Biblioteca Apostolica Vaticana. 1123 della sua nascita alla sua identificazione con il mostruoso capro libidinoso sullo sfondo dello spazio mediterraneo” (Piron, 2019, p. 175), ma che soprattutto tradisce tutto il travaglio psichico dell’autore (Laharie & Roux, 1997), travolto da un’irrefrenabile scissione della propria personalità, in equilibrio instabile tra spiritualità e schizofrenia (Harding, 1998), che contrappone il soggetto singolare al soggetto plurale (Maizels, 2012): “Io non sono una cosa, e noi ne siamo un’altra. Io non sono niente, ma noi siamo qualche cosa. La mia anima è presa in odio, ma la nostra anima è amata da tutte”. La porta della follia mistica è ormai spalancata definitivamente. Nota Le traduzioni dei testi di Opicino de Canistris sono tratte da Fumagalli Beonio Brocchieri & Limonta, 2016. Bibliografia Bernardini, R., Quaglino, G.P., & Romano, A. (Eds.) (2014). Carl Gustav Jung. I miti solari e Opicino de Canistris. Appunti del Seminario tenuto a Eranos nel 1943. Moretti e Vitali. Borges, J.L. (1999). L’artefice. Adelphi (edizione originale: Borges, J.L. (1960). El hacedor. Emecé Editores). Calvino, I. (1994). Collezione di sabbia. Arnoldo Mondadori Editore. de Canistris, O., Biblioteca Apostolica Vaticana, Palatinus latinus 1993. de Canistris, O., Biblioteca Apostolica Vaticana, Vaticanus latinus 6435. Feo, M. (2003). La vita come vaso. L’autobiografia figurale di Opizzino de Canistris. In F. Bruni (Ed.), In quella parte del libro della mia memoria. Verità e finzioni dell’«io» autobiografico, (pp. 69-101). Marsilio. Fumagalli Beonio Brocchieri, M., & Limonta, R. (2016). Volando sul mondo. Opicino de Canistris (1296-1352). Archinto. Fumagalli Beonio Brocchieri, M. (2016). Il mondo di Opicino. In M. Fumagalli Beonio Brocchieri, & R. Limonta (Eds.). Volando sul mondo. Opicino de Canistris (1296-1352) (pp. 33-56). Archinto. Harding, C.D. 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In Southeastern College Art Conference Review (Vol. 16, No. 2, pp. 113-124). Southeastern College Art Conference Review. Piron, S. (2019). Dialettica del mostro. Indagine su Opicino de Canistris. Adelphi (edizione originale: Piron, S. (2015). Dialectique du monstre. Enquéte sur Opicino de Canistris. Éditions Zones Sensibles). Quaglino, G.P., Romano, A., & Bernardini, R. (2010). Opicinus de Canistris: Some Notes from Jung’s Unpublished Eranos Seminar on Opicinus de Canistris. The Journal of Analytical Psycology, 55(3), 398-423. Quaglino, G.P., Romano, A., & Bernardini, R. (2013). Further Studies on Jung’s Eranos Seminar on the Medieval Codex Palatinus latinus 1993. The Journal of Analytical Psycology, 58(2), 184-199. https://doi.org/10.1111/1468-5922. 12003 Rossi, A. (1999). Autobiografia scientifica. Nuova Pratiche Editrice (edizione originale: Rossi, A. (1981). A Scientific Autobiography. The MIT Press). Salomon, R.G. (1986). Opicinus de Canistris. Weltbild und Bekenntnisse eines avignonesischen Klerikers des 14. Jahrhunderts. Warburg Institute. Tozzi, P. (1996). La città e il mondo in Opicino de Canistris. Edizioni Guardamagna. Uebel, M. (2019). The “Mad” Art of Opicinus de Canistris: Modern Topographies of the Soul. ResearchGate. https://doi.org/10.13140/RG.2.2.14132.50569 1125