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Appunti sulla teoria del segno in Destutt de Tracy

Appunti sulla teoria del segno in Destutt de Tracy 0. Premessa 0.1. Premessa Questa è una relazione su Antoine Louis Claude Destutt de Tracy e in particolare della sua opera più importante, gli élémens d’idéologie (Elementi di ideologia). Faccio alcune premesse. 0.2. Premessa (a): sul segno linguistico in rapporto agli altri segni Sappiamo che Saussure, nel Corso di linguistica generale, pone l’esigenza teorica di una nuova scienza, la semiologia, di cui la linguistica ne sarebbe una parte. La semiologia è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. La linguistica è una parte della semiologia, la più importante. La scienza del linguaggio si compie, il problema linguistico può essere adeguatamente affrontato, cioè è possibile studiare la vera natura della lingua, solo ponendo la linguistica in rapporto con la semiologia, solo ponendo il sistema linguistico in rapporto con tutti gli altri sistemi di segni. Al contrario di Saussure, Antoine Louis Claude Destutt de Tracy propone una Grammatica generale come scienza delle espressione delle idee, o anche come scienza dei segni. Di tutti i sistemi di segni. Ma, ed è facile intuirlo, la Grammatica generale non si occupa di tutti i sistemi di segni, ma solo del segno linguistico, del segno verbale. Ciò perché il segno linguistico, che è la parola in quanto catena di suoni, ovvero la catena di suoni, dal singolo suono (l’interiezione) a una catena lunga di suoni, è il più adoperato dagli uomini. Pur affermando che la teoria del segno è teoria valida per tutti i segni e non solo per il segno linguistico, tuttavia l’analisi del segno è solo analisi del segno linguistico. La prima questione che affronteremo è il concetto di analisi, e della lingua come metodo d’analisi. Vedremo come l’analisi implica il sistema e presuppone l’osservazione. Questi sono i criteri epistemologici e metodologici del pensiero degli idéologues (Sergio Moravia). Questo punto è importante per comprendere il passaggio successivo. 0.3. Premessa (b): sulla teoria del segno in Destutt de Tracy La teoria del segno in Destutt de Tracy è la scienza del segno che va sotto il nome di Grammatica generale. Nell’opera sistematica, nella sistemazione che è l’opera del Tracy (i suoi Elementi di Ideologia), la Grammatica generale occupa un posto preciso. Ciò su cui mi interessa riflettere è il ruolo della Grammatica generale nel progetto scientifico di Destutt de Tracy. La teoria del segno, infatti, non viaggia da sola. Essa è innanzitutto (a) una teoria che si deve sviluppare solo dopo aver sviluppato una teoria delle idee. In secondo luogo (b) la teoria del segno non è isolata, ma è inquadrata in una scienza del discorso. La scienza del discorso è la Logica in quanto Filosofia prima, cioè il tessuto che tiene insieme tutto il progetto scientifico dell’Ideologia. Questo punto è importante per capire la teoria del segno. Infatti il segno non si rapporta solo alla idea, ma anche a se stesso: ovvero alla sua forma grammaticale, che è l’insieme delle funzioni grazie alle quali il segno occupa una posizione precisa nella proposizione, mediante le quali è possibile articolare il segno e combinarlo con altri segni nell’ordine lineare e di successione proprio della proposizione. Il segno, infatti, non è semplicemente la parola, ma la parola in quanto sostantivo, attributo, pronome, avverbio, congiunzione ecc. La proposizione è ciò che fa da collegamento tra il segno e il ragionamento, tra la Grammatica generale e la Logica: la proposizione è un enunciato di giudizio, ovvero un concatenamento di segni-idee; il ragionamento è un concatenamento di enunciati di giudizio. Poi vedremo questo punto. Questi due punti di cui ho appena detto sono le due facce del problema che intendo affrontare parlando della teoria del segno in Destutt de Tracy: la teoria del segno entro il progetto scientifico dell’Ideologia, considerata in rapporto alla teoria delle idee e in rapporto allo studio del concatenamento di segni-idee nello spazio di rappresentazione del discorso; o anche, il ruolo della Grammatica generale in rapporto all’Ideologia propriamente detta e alla Logica, nel quadro di una generale scienza del discorso, che è anche una teoria della conoscenza. 0.4. Premessa (c): sul carattere teorico e pratico dell’opera di Destutt de Tracy Questo che ho ora detto possiamo chiamarlo il progetto teorico dell’Ideologia, l’impianto degli élémens d’idéologie. Tuttavia questo piano teorico è, in Destutt de Tracy, collegato a un progetto pratico. Le due casi sono intimamente legate. Si tratta di considerare il ruolo di intellettuale di Destutt de Tracy nel periodo seguente la Rivoluzione Francese, che va dal 1789 alla conquista del potere assoluto di Napoleone, grande nemico degli idéologues, dove il momento storico più importante è l’età del Direttorio, che va dal 1795 al 1799, dalla fine dell’età del terrore, ovvero della dittatura di Robespierre, al colpo di stato di Napoleone (Napoleone e i napoleonici compivano campagne denigratorie, un po’ come spesso fanno Libero e Il giornale, fino ad agire, con provvedimenti ad hoc e con la censura, sulle istituzioni e sulle riviste create dagli idéologues). Il carattere rivoluzionario, engagé, di Destutt de Tracy può essere ben esemplificato da una frase della Logica di Condillac che il Tracy pone all’inizio della sua Logica: “Una buona logica produrrebbe negli spiriti una rivoluzione lentissima, e il tempo solo potrebbe un giorno farne conoscere l’utilità”. Gli élémens d’idéologie sono un’opera oltremodo sistematica e piena di ripetizioni, di ragionamenti legnosi e pesanti, con estratti ragionati alla fine di ogni singolo volume che riassumono gli argomenti trattati capitolo per capitolo. Eppure, paradossalmente, sono un’opera che vuole essere rivoluzionaria, che guarda oltre, all’orizzonte, verso ciò che Destutt de Tracy, in un impeto di ragionevole immaginazione, nell’Introduzione alla Grammatica generale, chiama era francese. Ci è difficile comprendere questo carattere rivoluzionario. Ma dobbiamo tenere conto: (a) della frase di Condillac sopra riportata; (b) del ruolo degli idéologues nella Rivoluzione Francese (di cui Moravia ha trattato ne Il tramonto dell’Illuminismo). L’era francese auspicata da Destutt de Tracy non è altro che il compimento dei valori idéologiques della Rivoluzione Francese, frutto della rivoluzione culturale illuminista, in una società democratica in cui tra il popolo possano diffondersi le conoscenze illuminate, in cui, grazie alla diffusione e alla comunicazione delle idee, al commercio delle idee (e l’omologia tra comunicazione e commercio, tra comunicazione tra gli uomini e società degli scambi, non è cosa da poco), tutta la società possa vivere un’epoca di continuo, incessante, positivo progresso. Ma come si realizza una simile società? Il Tracy chiaramente non lo dice, se non in un’espressione che è illuminante. Troviamo tale espressione nel V cap. della Grammatica generale, capitolo dedicato alla scrittura, ovvero alla proprietà fondamentale del segno verbale di poter dare vita al segno permanente. La scrittura di cui parla il Tracy è la scrittura alfabetica. Nessun individuo, dice il Tracy, grazie alla semplicità e rapidità della scrittura alfabetica, soprattutto con un’ortografia regolarizzata, nessun individuo resterà indietro, nessun individuo sarà escluso dai vantaggi sociali di una conoscenza illuminata e diffusa, in una buona organizzazione sociale (bonne organisation sociale) e in una nation policée: in una nazione, quindi, civilizzata, ma civilizzata nel senso di essere ordinata, disciplinata. La rivoluzione degli idéologues è una rivoluzione disciplinare, contro la sovranità di un’élite che possiede tutte le conoscenze, di una società estremamente divisa in cui i saggi, affiliati al potere assoluto, tengono sotto scacco il popolo ignorante (questo quadro è proprio delle nazioni che adottano la scrittura geroglifica). Una società disciplinare è una società che non lascia solo l’individuo, che lo coinvolge e lo attiva nelle funzioni che può e deve esercitare a seconda della posizione che viene via via ad occupare. Lo spazio di una società disciplinare è uno spazio quadrettato (bisognerebbe considerare da questa prospettiva l’opera di Condorcet, la sua matematica sociale – l’applicazione del calcolo della probabilità a questioni sociali, come il sistema delle votazioni in assemblea). In che modo questo problema della disciplina è presente negli élémens d’idéologie? Lo è nel senso in cui la Logica che sottende il progetto scientifico dell’Ideologia è la scienza della quadrettatura del discorso, la scienza generale dell’ordine (di cui parla Foucault ne Le parole e le cose), nella quale la Grammaticale generale è scienza dell’ordine del segno, e quindi non solo dell’ordine del linguaggio, ma anche dell’ordine delle idee. E vedremo che ciò si dà proprio per l’orientamento verso la Logica, terza parte dell’Ideologia generale, che è lo spazio “vuoto” nel quale tutto ritorna, nel quale tutto deve arrivare, con le loro funzioni e le loro possibilità combinatorie, spazio “vuoto” da disciplinare, da quadrettare. Ciò non è solo ricostruibile mediante un percorso archeologico, ma va anche inquadrato nell’attività del Direttorio. Altrimenti non capiremmo che ci fanno, nel IV volume degli élémens d’idéologie, le pièces justificatives, le circolari che Destutt de Tracy compilava in qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione. Qui è il progetto pratico di una riforma dell’istruzione, da considerarsi sotto gli aspetti di (a) una riforma della scuola (allo stesso modo in cui Cabanis auspicava una riforma dell’ospedale) e di (b) una riforma del metodo d’insegnamento. Quest’ultima riforma non può che darsi a partire da una nuova impostazione metodologica, che è quella che Destutt de Tracy elabora scrivendo gli élémens d’idéologie, opera rivolta soprattutto ai giovani (come Condillac sperava che la sua logica potesse essere letta dagli ignoranti piuttosto che da tronfi sapienti, perché è la “mente vuota” che bisogna quadrettare), ad uso delle scuole. 0.5. Premessa (d): ripetizioni, il concetto di ideologia Ultima premessa: quando userò espressioni come “ideologico” farò riferimento sempre all’ideologia nel senso di Destutt de Tracy. Inoltre userò le espressioni “Ideologia generale” o “progetto generale dell’Ideologia” per fare riferimento al progetto scientifico dell’opera del Tracy, mentre con “Ideologia propriamente detta” è espressione che il Tracy usa per la scienza della formazione delle idee, I vol. dell’opera. Infine userò le due espressioni “Logica come Filosofia prima” per riferirmi all’impianto epistemologico dell’opera e “Logica” per riferirmi al III vol. dell’opera, ovvero alla scienza della combinazione e della deduzione delle idee. 0.6. Organizzazione dei tempi Vorrei dividere in due tempi questo intervento. Nel primo tempo desidero affrontare i primi due punti, l’analisi e il progetto scientifico dell’Ideologia. Discuterò di questi due punti in modo introduttivo, per delineare il quadro metodologico ed epistemologico degli Elementi di ideologia. Nel secondo tempo vorrei in primo luogo presentare la teoria del segno (gli ultimi due capitoli del I vol. e i primi quattro del II vol.) nel quadro epistemologico e metodologico delineato nella prima parte, considerando le tre funzioni del segno (pensiero, comunicazione, memoria) e concludere affrontando il terzo punto, che potremmo chiamare il progetto disciplinare dell’Ideologia. Quest’ultimo punto abbraccia i due ultimi capitoli del II vol. che discuterò in ordine inverso: prima l’ultimo, sulle lingue perfette, infine il quinto, sulla scrittura. PRIMO TEMPO Biografia e Opera 1.1. Biografia Chi era Antoine Louis Claude Destutt de Tracy. Espongo in due parole la sua breve biografia, che è comunque importante per contestualizzare l’opera nella sua attività intellettuale e la sua attività intellettuale nel periodo agitato della storia della Francia che va dalla Rivoluzione Francese alla presa del potere di Napoleone. Destutt de Tracy nasce a Parigi nel 1754, rampollo di una famiglia aristocratica. Cresce educato alla caccia e all’equitazione, tant’è che avrà spesso da lamentarsi del sistema educativo della Francia pre-rivoluzionaria. Destutt de Tracy partecipa alla Rivoluzione Francese è eletto negli Stati Generali come rappresentante della nobiltà e del clero del Borbonese, provincia nel cuore della Francia. Nel 1793, quando Robespierre prende il potere, Destutt de Tracy, come accadde alla maggior parte dei filosofi e degli intellettuali che erano scesi in politica, fu arrestato e detenuto in carcere per undici mesi. Non furono undici mesi persi, perché è proprio sfruttando quest’occasione di riposo forzato che il Tracy legge Locke e Condillac, venendo fulminato sulla via della filosofia. Dopo la fine del periodo del Terrore fu nominato senatore in un periodo molto importante per gli intellettuali francesi. Tale periodo va dal 1795 al 1799. Si tratta del periodo del Direttorio. Destutt de Tracy, oltre che senatore, si dedica alla riforma del sistema educativo francese e scrive numerose lettere in qualità di funzionario del Ministro dell’Istruzione, lettere pubblicate nel quarto volume degli Elementi di Ideologia. In questo periodo viene ricostituita la Società d’Auteuil, che era la società dei filosofi della generazione dopo gli illuministi (i philosophes), ovvero gli idéologues. Destutt de Tracy è tra i protagonisti della Società, insieme al suo amico e compagno di studi, il fisiologo Cabanis (questa amicizia è importante per considerare il giusto orientamento degli Elementi di Ideologia). La Società d’Auteuil nacque nel 1771 per opera di Madame Helvétius e prende il nome dalla residenza di Auteuil, dove si tenevano le riunioni. Nella villa risiederanno molti idéologues, tra i quali Cabanis e Destutt de Tracy, quest’ultimo dopo il 1789. Destutt de Tracy è anche esponente dell’Institut, una delle più importanti istituzioni accademiche nella Francia dell’epoca, lavora nella seconda classe, delle “Scienze morali e politiche”, sezione “Analisi delle sensazioni e delle idee”, che sarebbe la sezione di filosofia, o di metafisica. Diversamente dalla “filosofia”, l’analisi delle sensazioni e delle idee intende ricondurre l’analisi delle facoltà intellettuali allo studio dell’organisation materiale, ovvero partire dal dato fisico per giungere al dato psichico, senza staccare quest’ultimo dal primo, senza ridurre lo psichico al fisico. Questa importante stagione si interrompe nel 1799 con la presa del potere da parte di Napoleone (il colpo di stato del 18 brumaio). Napoleone e i suoi seguaci cominciano una campagna feroce e denigratoria contro gli idéologues che non farebbe invidia al Giornale e a Libero. Tracy, che ha lasciato il posto di senatore, è sempre più sfiduciato dal corso della politica nazionale. Ma la sua opera principale, gli Elementi di Ideologia, comincia a essere pubblicata proprio in questo periodo, cioè quando l’avventura degli idéologues, del gruppo della Società d’Auteuil, è ormai alla fine. Dirò dopo le date di uscita dei volumi quando dirò in breve che cosa contengono e cosa ci interessa. Proseguendo nella biografia del personaggio, Tracy, sfiduciato, vive ad Auteuil, lontano dal centro parigino. Non fa uscire subito il quinto volume degli Elementi, che contiene le sue idee sull’economia considerate dal punto di vista delle azioni degli uomini, proprio perché teme ritorsioni da parte dei napoleonici. È comunque tra coloro i quali nel 1814 chiedono la destituzione di Napoleone. Lo rincontriamo nel 1820, vecchio e malfermo, farsi portare presso le barricate durante i moti rivoluzionari per incitare gli insorti. Muore nel 1834. 1.2. Opera Gli Elementi di Ideologia escono in cinque volumi. Il primo volume, Ideologia propriamente detta, esce nel 1801. Nel 1803 esce il secondo volume, la Grammatica. Nel 1804 appare la seconda edizione rivista del primo volume. Nel 1805 la Logica. Nel 1815 appare finalmente il quarto volume, Sulla volontà e i suoi effetti, che nella seconda riedizione complessiva (1826-1827) diventerà il quinto volume, perché si aggiungerà un quarto volume in cui sono raccolti un’appendice della Logica (con sommario ragionato dell’Instauratio magna di Bacone e la traduzione della logica di Hobbes contenuta nel De corpore), i Principi logici o fatti relativi all’intelligenza umana, che il Tracy aveva scritto in altra occasione come summa del suo lavoro sull’ideologia, e le lettere indirizzate in qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione sul sistema educativo. 1.3. Piano dell’opera Il piano dell’opera ci aiuta a capire cosa contengono i volumi (I vol., p. 14). Il primo volume tratta dell’ideologia propriamente detta, ovvero della scienza della formazione delle idee. Il secondo volume tratta della grammatica generale, ovvero della scienza dell’espressione delle idee. Il terzo e il quarto volume trattano della logica, ovvero della scienza della combinazione o deduzione delle idee. Il quinto volume ricopre solo la prima voce della seconda sezione, ovvero dell’economia considerata (in modo diverso da come si analizzava la ricchezza delle nazioni) a partire dalla volontà e dai suoi effetti, laddove ciò comporta uno studio con gli strumenti del conoscere individuali. Manca buona parte della seconda sezione e l’intera terza sezione. Quindi il contenuto principale dell’opera è la prima sezione, la “storia dei mezzi con cui conosciamo” o “storia delle facoltà intellettuali”. 1.4. Destinatari dell’opera Gli Elementi hanno due destinatari, due tipi di lettori. Il primo è lo studioso, il secondo è lo studente. Per i primi l’opera è una memoria da consultare, per i secondi – per le giovani generazioni (jeunes gens) alle quali più volte nel corso dell’opera l’autore si rivolge – l’opera è un piano di studio, strumento da studiare per poter proseguire negli studi. A entrambi i tipi di lettore gli Elementi offrono un quadro ordinato e rigoroso di una materia di studio, le facoltà intellettuali, che (a detta del Tracy) solo con John Locke comincia a essere indagata secondo la via giusta, partendo dalle sensazioni. (Si può ricordare a tal proposito ciò che scrive Condillac nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane, quando distingue tra una metafisica che vuole penetrare tutti i misteri e una metafisica come ricerca sullo spirito umano, quella di John Locke). Analisi 2.1. Introduzione Destutt de Tracy evoca il nome di Locke e soprattutto quello di Condillac, le cui riflessioni spesso discute e critica. Ciò che si può innanzitutto dire è che Destutt de Tracy marca la propria differenza da Locke e da Condillac per il rigore e per l’ordine con il quale organizza il proprio studio. Per comprendere questo punto conviene vedere su quali basi epistemologiche e metodologiche si dà questa differenza del Tracy rispetto a Locke e a Condillac, ovvero quali sono i confini epistemologici dell’ideologia. Il punto di partenza dello studio delle facoltà intellettuali è l’osservazione, indispensabile per raccogliere i fatti. Il materiale raccolto dall’osservazione deve essere analizzato e sistematizzato. Analisi e sistemazione (analyser e système) sono i due strumenti principali dello studio delle facoltà intellettuali. Sergio Moravia, in uno dei saggi raccolti in Filosofia e scienza nell’età dei Lumi, considera “osservazione”, “analisi” e “sistema” tre importanti criteri epistemologici nel pensiero degli idéologues. 2.2. Analisi e sistema Gli Elementi del Tracy sono opera di analisi e di sistema piuttosto che di osservazione anche per la natura dell’oggetto di studio. Così nella Prefazione all’opera e al I volume (Vol. I, p. 47 ): “Lo spirito umano avanza a brevi passi; i suoi progressi sono graduali; ne segue che nessuna verità è più difficile da comprendere di un’altra, quando si conosce bene tutto ciò che viene prima”. E ancora: “La serie dei nostri giudizi è una lunga catena di cui tutti gli anelli sono uguali. Non c’è dunque una scienza che sia di per se stessa più oscura di un’altra: tutto dipende dall’ordine che uno vi pone per evitare di fare passi troppo grandi, se posso esprimermi in questo modo: trovare quest’ordine, quando non è ancora conosciuto, è ciò che è proprio di un talento, ed è questo talento che scopre nuove verità”. Tuttavia ciò non significa che bisogna fornire le regole per ragionare correttamente. Questa attività è ciò che Destutt de Tracy chiama arte. Negli Elementi è riportata la distinzione tra scienza e arte nell’introduzione alla grammatica generale (II vol.) e nel discorso preliminare alla logica (III vol.). Un’arte – afferma il Tracy nel discorso preliminare alla logica – dipende sempre da una scienza. Coloro che considerano la logica l’arte di ragionare, prescrivono regole per il ragionamento senza indagare i principi stessi del ragionare. Questo è tipico della tradizione logica: la logica sillogistica di Aristotele, per es., è un’arte e non una scienza, e ,proprio perché non si basa su una scienza corretta, ovvero su principi veri, genera errori. Una scienza, invece, non consiste nel prescrivere delle regole ma nell’indagare delle verità movendo dall’esame corretto dell’oggetto. Non è possibile scienza se non per mezzo dell’analisi. 2.3. Analisi: scomposizione e ricomposizione Nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane Condillac discute dell’analisi come operazione scientifica per ricostruire la genesi delle idee (I parte, II sezione, VII capitolo). Condillac chiama “analizzare” l’operazione che consiste nel risalire all’origine delle nostre idee, fino alle sensazioni semplici, per poi seguire la generazione delle idee e confrontare le idee sotto tutti i rapporti possibili: operazione di scomposizione (décomposer è il termine che usa spesso Destutt de Tracy) delle idee. La riduzione delle idee a idee minime, a idee elementari, è operazione preliminare alla ricomposizione (recomposer) delle nostre idee, per rendere evidenti e ordinati i nostri ragionamenti, per elaborare correttamente i giudizi (il ragionamento non è altro che un concatenamento di giudizi). L’analisi – scrive Condillac – permette di fare confronti tra le idee, di scoprire i loro rapporti reciproci e le nuove idee che possono produrre. È il solo metodo per la ricerca della verità. Come tale si oppone al criterio delle definizioni, buone soprattutto a generare dispute filosofiche. L’analisi, come operazione duplice e correlata di scomposizione e di ricomposizione. Di ciò Condillac parla anche nella Logica. Tuttavia non si capirebbe in che senso l’analisi si oppone al criterio delle definizioni (o, più in generale, dei principi: enunciare definizioni, assiomi, teoremi, ecc.) se non tenessimo conto del mezzo con cui si fa analisi, ovvero del metodo di analisi. Il metodo di analisi è la lingua. Che vuol dire? Il criterio dei principi consiste nell’elaborare proposizioni generali “che nessuno può mettere in dubbio” (Condillac), principi assoluti e innati il cui abuso “appare soprattutto nella sintesi”, poiché affermano verità in sé, astratte, che nascondono la strada, il metodo, che conduce alle scoperte: pretendono l’esistenza di idee innate. Al contrario, la lingua è ciò che fa vedere il processo di analisi. La lingua non nasconde nulla: perciò va interrogata per il suo funzionamento, per il funzionamento degli elementi che la compongono. Bisogna discendere verso gli elementi che compongono le nostre conoscenze per ricomporre queste ordinatamente. Tale ordine è ciò che si dà per mezzo della lingua: è ciò che è visibile con la lingua come metodo d’analisi. Tale ordine è l’ordine dell’espressione. In Destutt de Tracy non è lo stesso che in Condillac (nel primo è di contenimento, nel secondo è d’identità – ma Maine de Biran ha affermato che si tratta dello stesso ordine). Di tale ordine si occupa la Grammatica generale, cioè la scienza dell’espressione delle idee orientata verso la Logica. La lingua è metodo d’analisi, operazione di scomposizione e di ricomposizione. L’analisi, quindi, è una duplice operazione di scomposizione delle idee nelle loro componenti minime e di composizione delle idee in concatenamenti. È ciò che afferma Destutt de Tracy nell’introduzione alla grammatica generale (II vol.) (vol. II, p. 30 ): “Dal momento che noi esistiamo, noi abbiamo fatto una infinità di esperienze e di osservazioni senza progetto: noi abbiamo formato una folla davvero prodigiosa di idee, senza sapere come. È in questo caos che abbiamo cominciato a fare un po’ di luce. Noi abbiamo cercato di scoprirne [delle idee che abbiamo] la composizione e di riconoscerne [delle idee che abbiamo] gli elementi primari. Una volta trovati questi, abbiamo rifatto con facilità ciò che abbiamo scomposto (décomposé) con esattezza; e siamo pervenuti senza problemi alla più semplice percezione, alla più pura sensazione spogliata di tutti i giudizi, fino alle idee più astratte, ai giudizi più estesi, ai desideri più complicati”. Sull’analisi dei segni (vol. II, p. 31 ): [Bisogna fare come con l’analisi delle idee]: “Cominciamo con l’esaminare il discorso in generale; cerchiamone i veri elementi: e quando li abbiamo trovati, ricomponiamo (recomposerons) il discorso con questi elementi che abbiamo scoperto”. E quindi analizzare (vol. II, p. 32 ): [non vuol dire solo scomporre]: “un’analisi non è completa se non quando si sono svolte con successo entrambe le operazioni [analisi come azione di scomporre (décomposer) e sintesi come azione di ricomporre (recomposer)], di cui l’una [quella di scomporre] serve da base e l’altra [quella di ricomporre] serve da prova”. Pertanto l’analisi in quanto azione di scomporre di per sé non basta se non è comprovata dall’azione di ricomporre: deve essere provata dall’esattezza del concatenamento delle idee. Ma l’analisi vale anche per le idee. Come si fa analisi delle idee? Come si può usare la lingua come metodo d’analisi delle idee? Bisogna ridiscendere alle idee elementari, alle idee prime, delle quali sono fatte le idee composte. Noi, infatti, possediamo quasi solo idee composte. Questa operazione comporta chiaramente il problema di costituire, per il mondo delle idee, come per il mondo dei segni, un sistema. Nel mondo delle idee, il sistema coincide con l’origine, con la genesi delle idee. Le idee semplici sono sensazioni elementari. Lo studio di come noi riceviamo sensazioni elementari spetta alla fisiologia, non è compito dell’ideologia. Nell’ideologia si parte dall’assunto che noi abbiamo sensazioni elementari. Ciò deve essere evidente, deve avere un carattere di evidenza. Le sensazioni elementari sono la base del nostro essere nel mondo, della nostra esistenza e della nostra conoscenza. Le sensazioni elementari sono il limite al di sotto del quale non scende l’ideologia, limite al quale si ferma l’analisi. Per Destutt de Tracy ciò che importa è che il sistema delle sensazioni elementari sia il più semplice possibile, che sia ridotto al minor numero di facoltà intellettuali. E che quindi, in questo senso, sia evidente. (Destutt de Tracy dice che le sensazioni elementari sono dei segni non equivoci: il sistema delle idee sarebbe una specie di lingua prima. Tuttavia questo sembra essere un modo per rendere più agevole la comprensione piuttosto che l’identificazione dell’idea con il segno, cosa che non è accettabile per il Tracy). In questo modo la lingua, come metodo d’analisi, nel mondo delle idee, opera per scomposizione delle idee composte in (un sistema di) idee semplici e per ricomposizione delle idee composte: addensamento di idee, simultanea presenza di più idee. Ciò è dovuto proprio al fatto che la lingua, come metodo di analisi, fa vedere l’analisi. Un’idea composta è una con-fusione di idee semplici. Per analizzarla è già necessario metterla in ordine: l’analisi della formazione delle idee composte (cap. VI del I vol.) fa già uso delle nozioni di sostantivo e di attributo. È già un ordine grammaticale, ma lo è perché non può che essere in una forma grammaticale. La lingua penetra nel mondo delle idee quale metodo di analisi delle idee composte per rendere visibile il processo di formazione delle idee composte. E rende visibile dando ordine: facendo vedere in ordine le parti che compongono una totalità. Poiché è possibile comprendere una totalità solo dal momento che la si scompone, la si fraziona, se ne considerano le singole parti. (Il nome effettua il taglio nel mondo delle idee: il nome dell’idea composta, per es., ma già il termine dato alla sensazione ricevuta – si tratta di un aggettivo: quindi è segno perché rappresenta l’idea rappresentando il rapporto del soggetto con l’idea: il segno è “inventato” dall’emittente). È ciò che può fare solo la lingua: senza la lingua come metodo di analisi, rimarrebbero idee simultaneamente compresenti. Di fatti non può darsi composizione di idee composte senza segni: il processo di formazione delle idee composte necessita dei segni, non può fare a meno dei segni. Non può fare a meno dei segni la rappresentazione delle idee composte. Così, se partiamo dal punto in cui tutti ci troviamo, e non da un uomo che riceve le prime impressioni (come l’uomo-statua), non è possibile non operare in questo modo: noi abbiamo già idee composte che dobbiamo scomporre. La lingua è strumento indispensabile nel lavoro di scomposizione e poi in quello di ricomposizione. Se, al contrario, partiamo da un uomo che riceve le prime sensazioni, cominciamo dalle sensazioni elementari, poi osserviamo la composizione dell’idea composta come somma di sensazioni elementari, infine osserviamo l’attribuzione di nomi alle idee ricevute e all’idea composta. Ma ciò non rende adeguatamente chiaro il processo di formazione delle idee composte (perché non è chiaro il ruolo del segno in tale processo: sarebbe un segno troppo arbitrario). 2.4. Analisi come storia e come sistema L’analisi dei segni si articola come storia e sistema dei segni. L’analisi dei segni si articola in storia. All’origine vi è il linguaggio delle azioni (come anche in Condillac). Gli uomini originariamente comunicavano “malgrado loro”: il linguaggio delle azioni è linguaggio naturale, è un effetto necessario della natura umana. Il linguaggio delle azioni è il linguaggio primario e ha tre tipi di segni naturali: grida, gesti, attouchemens (tocchi). Questi segni passano per tre canali sensoriali: vista (gesti), tatto (tocchi), udito (grida). Dal linguaggio naturale si sviluppano i linguaggi artificiali. Tutti i linguaggi artificiali derivano dal linguaggio naturale. Ma i linguaggi artificiali non si sviluppano tutti allo stesso modo. Dipende dalle possibilità di sviluppo dei segni. I tocchi si sviluppano meno di tutti; le grida sono quelle in grado di svilupparsi più degli altri. Il suono, ciò di cui sono fatte le grida, si sviluppano dando vita alle lingue articolate. Perciò il segno verbale è il più importante fra i segni. Si potrebbe seguire anche la storia del segno verbale. Il primo grado è l’interiezione – urla e grida – dal quale si sviluppano prima i nomi, ovvero i segni che rappresentano le idee che contengono l’idea di esistenza in sé, delle cose che esistono di per sé; poi i verbi, ossia l’espressione dei modi di essere dell’idea rappresentata dal nome. Ma in cosa consiste questa “possibilità di sviluppo”? Considerando la storia del segno verbale: la possibilità di sviluppare più funzioni, di ricoprire più posizioni; le possibilità, quindi, di articolazione e di combinazione; potremmo dire, anche, la possibilità di analisi. In questo senso la storia è finalizzata all’individuazione degli effetti. La storia ridiscende all’origine dei segni per risalire scoprendone tutte le possibilità di sviluppo. La storia dei linguaggi ridiscende all’origine di tutti i linguaggi artificiali, il linguaggio delle azioni, per risalire mostrando tutte le possibilità di sviluppo, in particolare le differenti possibilità di sviluppo tra i tre tipi di segni naturali, e soprattutto le possibilità di sviluppo del suono, le forme grammaticali. La storia della lingua ridiscende all’origine, l’interiezione, per risalire mostrando tutte le possibilità di sviluppo, le funzioni e le posizioni possibili degli elementi della lingua. Ciò vale anche per la storia della scrittura: Destutt de Tracy non crede che sia possibile passare facilmente dalla scrittura geroglifica alla scrittura alfabetica; la storia ridiscende all’origine, mostrando la radicale diversità dei due sistemi di scrittura (in rapporto al mondo delle idee e passando per la lingua parlata), per risalire mostrando le differenti possibilità di sviluppo – le conseguenze negative della scrittura geroglifica e il grado di perfezione cui può tendere la scrittura alfabetica. L’analisi dei segni si articola in sistema. Se, come storia, l’analisi ridiscende all’origine per risalire mostrando tutte le possibilità di sviluppo, ed è quindi analisi della derivazione e dell’evoluzione degli elementi; come sistema, l’analisi scompone e ricompone la proposizione, la forma del linguaggio in cui si danno i giudizi, di cui sono fatte le conoscenze, per dare la tavola degli elementi del discorso e di tutte le loro possibilità di sviluppo, di tutte le articolazioni e combinazioni possibili dei segni. Il sistema della lingua muove dall’interiezione come parola ellittica in grado di rimpiazzare un’intera proposizione, elemento della proposizione che contiene sostantivo e attributo, ai segni che marcano le relazioni tra i segni, come la congiunzione, che ha la funzione di legare due proposizioni, o come i congiuntivi (i pronomi relativi), che svolgono la funzione di congiungere un antecedente, un nome sostantivo espresso o sottinteso, e un conseguente, una proposizione incidentale relativa al nome. È mediante l’analisi come sistema che, nel V cap. del II vol., Destutt de Tracy studia il suono per individuare le possibili combinatorie dei suoni e associare a ciascuno di questi un diverso carattere. L’analisi del sistema è strettamente connessa all’analisi della storia. Per es., l’elemento linguistico più complesso, i congiuntivi, sono quelli di ultima invenzione; l’analisi sistemica del suono è a sua volta coadiuvata dall’analisi storica del suono, ridiscendendo all’origine della musica per risalire alla parola, cercando di comprendere le imperfezioni degli alfabeti in uso a partire da questo passaggio: si pongono da qui le condizioni per costruire un sistema ortografico perfetto. Un simile tentativo non ha valore se non si allinea con la derivazione naturale del suono. 2.5. Sistema delle idee semplici Sul sistema delle idee semplici. Il capitolo XI dell’Ideologia propriamente detta è dedicato a una riflessione sull’analisi delle idee di Condillac. Il Tracy elogia Condillac per aver mostrato che pensare è sentire, che le idee sono sensazioni e che le nostre facoltà intellettuali dipendono dalla facoltà di sentire. Ma lo critica per non aver diviso in modo adeguato il pensiero. Secondo Tracy il pensiero si divide in quattro modi, cioè l’uomo ha quattro modi di pensare: (a) sentire una sensazione, propria della facoltà della sensibilità; (b) sentire un ricordo, proprio della facoltà della memoria; (c) sentire un rapporto proprio della facoltà del giudizio; (d) sentire un desiderio proprio della facoltà della volontà. Queste sono le quattro sensazioni semplici o idee semplici. Tutte le idee composte, o sensazioni composte, sono combinazioni di queste quattro sensazioni semplici. [La sensazione propriamente detta consiste nel sentire piacere o dolore. Il ricordo consiste nel sentire l’impressione di un’idea passata (il ricordo è la sensazione presente che contiene una sensazione passata, e tale sensazione può essere una sensazione propriamente detta, un giudizio, un desiderio). Il giudizio consiste nel sentire un rapporto di concordanza o di discordanza tra due idee. Il desiderio consiste nel sentire una sensazione conseguente a una sensazione (che può essere un ricordo, un giudizio, una sensazione propriamente detta) ed è legato alla facoltà di agire (di questo il Tracy si occupa nel quinto volume degli Elementi).] Questo è il nucleo del sistema dell’ideologia, il risultato dell’osservazione delle facoltà intellettuali, cioè dell’introspezione. Tale sistema è l’insieme degli elementi primi che, per combinazione, formano tutti gli altri elementi. 2.6. Soglia inferiore dell’Ideologia Abbiamo visto quindi che vi è innanzitutto una soglia inferiore dell’ideologia: la fisiologia. Nell’ultimo capitolo (il XVII) del I volume, Destutt de Tracy lamenta di non essere riuscito a legare più intimamente ideologia e fisiologia. Sempre nel I volume, il capitolo VII si intitola De l’existence: qui Destutt de Tracy si pone le domande fondamentali “come sappiamo che le sensazioni che proviamo sono provocate da un qualche oggetto?” e “come possiamo conoscere l’esistenza dei corpi?”; nel capitolo VIII, intitolato Comment nos facultés intellectuelles commencent-elles à agir?, Destutt de Tracy prosegue l’analisi dell’esistenza del Me, del mio corpo. Non entrerò nel merito di questi capitoli. Ma sono importanti per comprendere il legame stretto tra fisiologia e ideologia. Proprio nella dedica a Cabanis che apre il III volume degli Elementi, il primo dei due dedicati alla logica, Destutt de Tracy afferma che: (a) gli Elementi di ideologia seguono i Rapports du phisique e du moral de l’homme di Cabanis, e quindi che l’ideologia segue la fisiologia; (b) i principi dell’ideologia sono corollari dei principi della fisiologia; (c) l’ideologia è una storia dettagliata dell’intelligenza umana come una parte del phisyque humaine. [Dunque le osservazioni, le analisi e le sistemazioni dell’ideologia seguono le osservazioni, le analisi e le sistemazioni che si fanno in fisiologia, fanno tesoro delle scoperte in campo fisiologico, per una psicologia unita alla fisiologia.] In uno dei Mémoire de la faculté de penser Destutt de Tracy distingue un’ideologia fisiologica da un’ideologia razionale: quest’ultima – che è quella di cui lui si occupa – ha un raggio di studio inferiore della prima e studia le facoltà intellettuali in quanto poggianti sull’organisation corporea dell’uomo. 2.7. Soglia superiore dell’Ideologia Individuata la soglia inferiore, resta da vedere fin dove può spingersi l’ideologia. In primo luogo, l’ideologia è una scienza, e non un’arte: indaga la natura degli elementi dell’intelletto, del discorso e del ragionamento e non fornisce regole per pensare correttamente, per parlare correttamente, per ragionare correttamente. In secondo luogo, il soggetto dell’ideologia è l’individuo che vive in società ma non è la società. Per es., nel V volume degli Elementi, vi è contenuto il Trattato sull’azione e sugli effetti della volontà: non è un vero e proprio trattato di economia politica perché studia l’azione umana in relazione alla facoltà della volontà e, per es., la proprietà privata come idea che deriva dall’idea di personalità, come effetto della facoltà di volere, come ciò che nasce dall’idea di “me” (io esisto) e degli “altri da me”. Oppure il problema del valore è analizzato a partire dal desiderio che consiste nel voler aumentare le gioie e diminuire le sofferenze. Tuttavia l’ideologia è in qualche modo propedeutica a tutte queste discipline: è necessario infatti conoscere l’intelletto umano per poter costruire ragionamenti corretti sull’uomo e sulla società. Tale conoscenza avviene mediante introspezione, ovvero per osservazione e analisi dell’intelletto: non stabilendo delle regole per pensare correttamente, ma indagando il naturale movimento del pensiero. Così Destutt de Tracy nell’introduzione all’Ideologia propriamente detta (vol. I, p. 39 ): “È per preservare voi [giovani generazioni] da entrambe le cose [da idee false e da una errata combinazione di idee] che io voglio, in questo scritto, non tanto insegnare, ma farvi osservare tutto ciò che passa in voi quando voi pensate, parlate, ragionate”, per cui le tre scienze dell’ideologia sono l’ideologia propriamente detta, la grammatica e la logica; “Avere delle idee, – prosegue il Tracy – esprimerle, combinarle, sono tre passaggi differenti, ma intimamente legati tra loro”. 2.8. Funzione pedagogica dell’Ideologia Pertanto gli Elementi di ideologia contengono osservazioni, analisi, sistemazioni del movimento del pensiero (il che è importante per comprendere la struttura dell’opera). È nella natura dell’intelletto umano elaborare idee determinate. Bisogna studiare l’intelletto per far emergere tale natura. Destutt de Tracy si propone non come insegnante – nel senso di fornitore di regole e di nozioni – né come filosofo – ovvero non si presenta come elaboratore di un sistema filosofico – ma come guida per le giovani generazioni, non tanto perché ha pensato più di loro – cosa che, di per sé, non lo renderebbe affatto immune da errori – ma perché ha osservato con attenzione come “si pensa”. L’ideologia ha valore pedagogico insostituibile. Ed ha valore pedagogico insostituibile l’analisi. L’Ideologia studia il movimento del pensiero, e quindi è condizione necessaria per pensare idee vere, per ragionare in modo corretto. In questo senso gli Elementi di ideologia si rivolgono alle giovani generazioni e allo studio nelle scuole e negli istituti. Ma vediamo cosa vuol dire ideologia. Ciò ci permette di passare dalla questione dell’analisi alla seconda questione: il posto della teoria del segno nel progetto generale dell’Ideologia. Ideologia 3.1. Ideologia Destutt de Tracy chiama ideologia il progetto di una “scienza generale delle idee” che comprende anche grammatica e logica: ovvero di una scienza che studia la formazione, l’espressione, la combinazione delle idee. Nell’introduzione al I vol., in una nota, Destutt de Tracy scrive che la scienza che studia l’intelletto può essere chiamata Ideologia se si fa attenzione al soggetto (ovvero allo studio della natura dell’intelletto e delle idee); oppure può essere chiamata Grammatica generale se si pone l’accento sugli strumenti con i quali opera l’intelletto e con i quali si pensano, si comunicano, si combinano le idee (tali strumenti sono, è chiaro, i segni); oppure può essere chiamata Logica se si bada soprattutto allo scopo, ovvero stabilire i criteri di validità per definire certe le conoscenze, far fronte agli errori nei ragionamenti, stabilire le condizioni per produrre ragionamenti corretti. Tuttavia ciascuna dei tre nominativi implica gli altri due. Ma è Ideologia il termine generico che si può attribuire a tale scienza, giacché la scienza delle idee, della formazione delle idee, implica, secondo l’ordine proprio alla natura dell’intelletto, l’espressione delle idee e la deduzione o combinazione delle idee. Il primo passo di tale scienza è l’ideologia propriamente detta, ovvero lo studio della formazione delle sole idee. Consultiamo l’indice del I vol. Il volume affronta i seguenti argomenti: (a) studio delle facoltà intellettuali: sistema delle sensazioni semplici, formazione delle idee composte, riflessione sull’agire, critica del sistema di Condillac; (b) studio sull’esistenza dei corpi e sulle proprietà dei corpi (capitoli VII, IX, X); (c) studio del pensiero nel contesto dell’organisation: facoltà di sentire, facoltà di muoversi, influenza dell’abitudine, origine ed effetti dei segni (dal capitolo XII al XVII). Destutt de Tracy utilizza per la prima volta il termine idéologie nei Mémoires sur la faculté de penser: parla di ideologia come scienza delle idee, in particolare come scienza che risulta dall’analisi delle sensazioni, considerando chiaro a tutti il senso che ha la parola “idea” in francese: “Preferirei che si adottasse il nome di ideologia [invece che quello di psicologia, termine che designa lo studio delle facoltà dell’intelletto del tutto scisso dalla fisiologia], o scienza delle idee. È la cosa migliore, perché non presuppone nulla che sia dubbio o ignoto; non richiama allo spirito nessuna idea di causa. Il suo senso è così chiaro a tutti, se si considera il senso che ha la parola francese idea; poiché ciascuno sa cosa si intende per un’idea, sebbene in pochi sappiano bene cosa sia [e ciò perché abbiamo l’intuizione dell’idea ma non possiamo dare la definizione di idea]”. Qui l’ideologia è intesa soprattutto come analisi delle sensazioni, analisi della percezione in generale. A tale proposito Destutt de Tracy richiama l’etimologia greca della parola idea (eido), che significa “io voglio”, “io percepisco”, “io percepisco per mezzo della vista”, “io so”, “io conosco”. Ma gli elementi di ideologia del titolo non si limitano a solo ciò che deriva dall’analisi delle sensazioni, che è lo stadio iniziale, ma soprattutto propongono di studiare l’intelletto umano “nel suo stato attuale”: non come l’uomo-statua di Condillac a cominciare dalle prime impressioni che riceve, ma come uomo che vive nella società attuale. Il ruolo della teoria del segno 4.1. Posto della Logica, della Grammatica, dell’Ideologia propriamente detta È ciò che Destutt de Tracy afferma nell’introduzione alla sua Grammatica generale – questo passo è immediatamente precedente quello che ho citato prima sull’attività dell’analisi come scomposizione e ricomposizione (vol. II, p. 30 ): “Noi non siamo risaliti allo stato di un uomo che ha ricevuto le prime impressioni, e che con ciò ha posto le prime basi del sistema del suo pensiero [se avessimo proceduto in questo modo, non avremmo compreso l’analisi dell’idea, il processo di formazione dell’idea composta]; inoltre non abbiamo intrapreso la costruzione in modo a priori di un simile edificio. Noi siamo partiti dal punto in cui tutti noi ci troviamo, tenuto conto delle differenze [delle differenze che sussistono, per ciascuno, nel rapporto tra il segno e l’idea]. Dal momento che noi esistiamo, noi abbiamo fatto una moltitudine innumerevole di esperienze e di osservazioni senza progetto (senza ordine): con ciò abbiamo formato una folla veramente incredibile di idee, senza sapere come”. Rispetto all’uomo-statua, con il quale si comincia dalle sensazioni elementari, l’uomo che vive nella società attuale possiede soprattutto, e quasi del tutto, idee complesse, frutto di molteplici esperienze. Tali esperienze formano una “folla” di idee. Sul piano delle idee, astrazion fatta dai segni, non abbiamo un ordine, ma una simultaneità confusa di idee, contemporaneamente compresenti. Una totalità – direbbe Condillac – che dobbiamo dividere, cioè analizzare, per poterla ordinare e rappresentare. Non è possibile fare analisi delle idee facendo astrazione dei segni. Senza segni è impossibile rappresentazione. La lingua, come metodo di analisi, mette ordine nel mondo delle idee. Mette ordine nella simultaneità e compresenza delle idee. Ne Le parole e le cose, Foucault scrive (p. 98): [che la lingua si oppone al pensiero non come l’esterno all’interno, ma]: “come il successivo al contemporaneo (…): sostituisce al confronto simultaneo delle parti (o delle grandezze) un ordine i cui gradi devono essere percorsi gli uni dopo gli altri. È in questo senso rigoroso che il linguaggio è analisi del pensiero: non già semplice sezionamento, ma instaurazione profonda dell’ordine nello spazio”. È qui che si situa – prosegue Foucault – la grammatica generale: “la grammatica generale è lo studio dell’ordine verbale nel suo rapporto alla simultaneità che essa ha il compito di rappresentare”. Il progetto scientifico dell’Ideologia non consiste nello studio dell’associazione del segno all’idea, ma nello studio del movimento del pensiero. Dunque delle conoscenze partendo da un rigoroso metodo per conoscere, per analizzare e costruire conoscenze. L’ordine del movimento del pensiero è l’ordine della successione. È l’ordine che la lingua, in quanto metodo di analisi, instaura per il movimento del pensiero: l’ordine dell’espressione delle idee, la forma grammaticale del segno. Dunque l’ordine delle conoscenze è l’ordine della successione, del concatenamento: le conoscenze sono ragionamenti, i ragionamenti sono concatenamenti di proposizioni, le proposizioni sono enunciati di giudizio, ovvero concatenamenti di segni-idee. La grammatica generale ha il compito di rappresentare il mondo delle idee, ma non lo può fare che istituendo un ordine dello spazio al di fuori del proprio ambito. Non può farlo nel proprio ambito. Se lo facesse, si limiterebbe ad associare dei segni a delle idee, senza fornire i segni di un ordine, cioè senza analizzare gli effetti del rapporto tra segni e idee, senza poter stabilire i criteri di validità delle conoscenze. E la teoria della conoscenza è un tutt’uno con la dottrina generale dei segni. Nel progetto generale dell’Ideologia, inoltre, la scienza si dà per effetti, ovvero si devono studiare gli effetti, mai le cause. Quindi bisogna guardare agli elementi che si studiano in rapporto ai loro effetti. Gli effetti del rapporto tra segni e idee sono effetti logici: combinazione di segni e di idee. Lo spazio in cui si può instaurare tale ordine è lo spazio della Logica, scienza della combinazione e della deduzione delle idee. 4.2. La Logica come Filosofia prima Di questo Destutt de Tracy parla nel III volume degli Elementi, quello dedicato alla logica. Nell’introduzione al III volume Destutt de Tracy parla della logica come metafisica, intendendo la logica separata dalla metafisica comunemente intesa, come l’astronomia si differenzia dall’astrologia o come la chimica si distingue dall’alchimia. Nella Dedica a Cabanis, scrive che la logica, in quanto conoscenza dei nostri stessi mezzi per conoscere, è la vera filosofia prima, la vera scienza prima; ed è una cosa sola con l’ideologia, con la scienza delle nostre percezioni (o sensazioni): (III vol., p. 13 ): “perché non ci è possibile pervenire alla conoscenza esatta dei nostri mezzi di conoscere, se non grazie all’osservazione attenta degli effetti di questi mezzi, e della maniera in cui noi formiamo, esprimiamo e combiniamo le nostre idee; così queste tre scienze, Filosofia prima, Ideologia e Logica sono una sola e medesima cosa”. Che cos’è la Filosofia prima? Non la Logica in quanto scienza della combinazione e della deduzione delle idee. Bensì l’impianto che regge il progetto generale dell’Ideologia: ciò che tiene insieme le scienze dell’Ideologia generale, e cioè l’insieme degli effetti che connettono una scienza con la successiva, gli elementi di una scienza con gli elementi che seguono, secondo un processo che non è di semplice consecuzione, ma di contenimento – procedendo, da una scienza all’altra, per composizione e non per scomposizione. Dunque è lo scienza del discorso come scienza generale della rappresentazione. 4.3. La forma grammaticale del segno L’elemento principale di tale scienza è il segno. Consideriamo la forma grammaticale del segno. Il segno rappresenta l’idea, il segno esprime l’idea. L’idea è l’idea composta. L’idea composta è fatta di fasci simultanei di idee semplici che confusamente compongono l’idea composta. Poiché ciascuno può “riempire” l’idea composta di idee semplici diverse, i segni non rappresentano per tutti la stessa idea: il segno rappresenta l’idea rappresentando il rapporto del soggetto con l’idea. Il dolore non è segno che rappresenta il fuoco, ma segno che rappresenta il rapporto tra la mia mano e il fuoco. Il segno è fatto di un contenuto ideologico e di una forma grammaticale. La forma grammaticale instaura l’ordine di successione grazie al quale possiamo scomporre e ricomporre il pensiero. Il capitolo dedicato alla formazione delle idee composte è scritto già secondo questo ordine, secondo i suoi effetti. Quali sono tali effetti? Una forma grammaticale non si limita a dare ordine al contenuto ideologico, ma instaura l’ordine anche per il segno. Di tale ordine si occupa la Grammatica generale. Studiando la parola, la Grammatica generale distingue diversi tipi di parole a seconda delle funzioni della parola. Tali funzioni sono ciò che costituisce la forma grammaticale della parola. In base alle funzioni, la Grammatica generale individua le articolazioni delle parole (per es. cosa distingue il verbo dall’aggettivo o quando un sostantivo funge da complemento) e le combinazioni delle parole (per es. la posizione del verbo nella proposizione in rapporto alla posizione del sostantivo o dell’aggettivo). Le funzioni non possono essere studiate che in termini di articolazione e di combinazione. I due aspetti non sono separabili: il segno occupa sempre una determinata posizione in base alle funzioni attualizzate in rapporto alle altre parole (articolazione), in rapporto alla proposizione (combinazione). L’articolazione permette di risalire al contenuto ideologico che il segno rappresenta; la combinazione permette di proseguire lungo il concatenamento di parole, lungo la proposizione. La Grammatica generale è scienza dell’espressione delle idee (della messa in ordine delle idee); lo è in quanto è già proiettata verso la Logica, scienza della combinazione delle idee. Il segno è l’elemento principale del discorso. Insieme all’idea, il segno si proietta verso uno spazio di rappresentazione che è lo spazio della Logica. 4.4. La Logica come spazio “vuoto” di rappresentazione Il segno è dotato di una forma grammaticale e di un contenuto ideologico; ricopre funzioni specifiche, che sono date nella sua forma grammaticale. La natura del segno, che consiste nelle funzioni del segno, è grammaticale. Il suo impiego è logico. La Logica si occupa della combinazione delle idee. Tale combinazione non può che essere combinazione di segni. Infatti, se le idee non sono espresse da segni, è impossibile combinare le idee. Dunque è impossibile concatenare idee. La forma della combinazione delle idee, e la forma della combinazione dei segni, è la forma grammaticale. La forma grammaticale è rigorosamente determinata dalle sue funzioni e dalle sue regole, dall’ordine di successione nel quale si delinea nella proposizione. È ciò che dà ordine al movimento del pensiero, cioè alla composizione delle idee composte. Qual è dunque il ruolo della Logica, così stretta e dipendente da scienza delle idee e scienza dei segni, dal contenuto ideologico e dalla forma grammaticale dei segni? La Logica assume una funzione critica: il Discorso preliminare e i capitoli del III volume sviluppano la critica della logica sillogistica e la critica della tesi “riduzionista” di Condillac secondo la quale ragionare è calcolare: logica sillogistica e tesi “riduzionista” non poggiano su un’adeguata analisi delle idee – questo è il leit motiv degli Elementi di ideologia (nella Grammatica generale Destutt de Tracy afferma che le grammatiche precedenti non sono corrette perché non sono precedute da una corretta analisi delle idee). Quindi per fare una buona Logica bisogna aver fatto una buona analisi delle idee, al punto che la Logica stessa non fa altro che rinviare all’analisi delle idee e ai segni – alla loro analisi grammaticale. La Logica, in quanto scienza, è del tutto ancillare all’Ideologia propriamente detta e alla Grammatica generale; in quanto spazio di combinazione delle idee e dei segni, è ciò alla quale sono orientate l’analisi delle idee e l’analisi dei segni. Si tratta dello spazio di proiezione dell’analisi delle idee e dell’analisi dei segni. In questo senso la Logica è indispensabile all’Ideologia propriamente detta e alla Grammatica generale: senza Logica, senza lo spazio di combinazione di idee e di segni, non si potrebbe dimostrare come la certezza delle conoscenze dipenda dal concatenamento di ideesegni: tale certezza potrebbe essere delegata ancora una volta all’arte del sillogismo, o al calcolo algebrico: in entrambi i casi si traccerebbero delle figure nello spazio di combinazione, e i concatenamenti di idee-segni dovrebbero essere conformi a tali figure. La Logica risulterebbe autonoma dalla scienza delle idee e dalla scienza dei segni. Al contrario, la Logica è uno spazio “vuoto” di proiezione dell’analisi delle idee e dell’analisi dei segni, puro spazio di rappresentazione. Teniamo conto di questo importante passo che troviamo in una lunga nota in cui Destutt de Tracy analizza le differenze tra lingua dell’algebra e lingue volgari. Torneremo su questo problema. Si tratta di una nota pressoché alla fine del XVI cap. del I vol. Il capitolo è il primo dei due del I vol. dedicato ai segni (I vol., p. 294 ): “La verità è che, in tutti i nostri ragionamenti, non si tratta mai che di idee rivestite di segni; così non è possibile avere altri principi della logica che non siano la conoscenza di queste idee e dei loro segni, ovvero l’ideologia e la grammatica, o, se si preferisce, la conoscenza del valore di questi segni isolati e il valore del modo del loro legame, ovvero il Vocabolario e la Sintassi di cui ci si serve. La logica propriamente detta è un puro niente, un’idea radicalmente falsa, una vera chimera, come spero di far vedere a suo tempo”. La Logica è in un certo senso la pragmatica; la Grammatica generale è la sintassi; l’Ideologia propriamente detta è il Vocabolario, cioè la semantica. Queste sono le tre scienze che compongono la scienza generale dell’Ideologia. O, anche, nell’introduzione alla Logica (III vol., p. 142 ): “Nei due volumi precedenti, ho esposto come io concepisco l’azione delle nostre facoltà intellettuali, la formazione delle nostre idee, l’origine e gli effetti dei loro segni. Ora mi rimane da esplicare in cosa consiste la combinazione e la deduzione di queste stesse idee, e come si formano tutte le nostre conoscenze. È quest’ultima parte della scienza che merita più specialmente il nome di logica; ma si è visto che è assolutamente illusoria, se non segue rigorosamente le altre due”. 4.5. Funzione pedagogica della Grammatica generale La teoria del segno, quindi, ricopre un ruolo intermedio tra l’Ideologia propriamente detta e la Logica. È il posto che occupa la Grammatica generale che, come scrive Destutt de Tracy nell’introduzione al II volume, è la scienza dei segni in quanto continuazione della scienza delle idee – e in quanto precede la scienza della combinazione delle idee e della conoscenza. Ciò conferma la funzione pedagogica della Grammatica generale, che troviamo espressa: (a) nel Mémoire sur la faculté de penser prima citato, dove Tracy scrive che lo studio della conoscenza dell’uomo e dei suoi mezzi per conoscere si fa analizzando le facoltà intellettuali sotto il punto di vista logico e fisiologico, al quale tuttavia è necessario aggiungere il punto di vista grammaticale; e pertanto è necessario che nella sezione di “Analisi delle sensazioni e delle idee” dell’Institut ci siano anche i grammatici; (b) in una circolare inviata in qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione ai professori di Grammatica generale della Scuola centrale, Destutt de Tracy si lamenta di non aver ricevuto dai professori i quaderni sui quali fanno i loro corsi, richiesta sollecitata dal Ministero per valutare la qualità del metodo didattico. Afferma che, a suo avviso, molti professori non comprendono adeguatamente l’estensione del loro insegnamento, ovvero il ruolo che ha la Grammatica generale nello studio delle facoltà umane e nell’educazione delle giovani generazioni. Un corso di grammatica generale non deve limitarsi alla grammatica ma deve comprendere – scrive il Tracy: “l’Ideologia, la Grammatica generale, la Grammatica francese, la Logica”. Non è possibile entrare nel merito di questo problema. Ma il ruolo di intercessore della Grammatica generale tra l’Ideologia propriamente detta e la Logica ha anche una funzione pedagogica; [funzione pedagogica che fa sì che la Grammatica generale sia il completamento e il coronamento del corso di lingue antiche, l’introduzione al corso di belle lettere, di storia e di legislazione. Ovvero, attenendosi al metodo che consiste nell’andare dal conosciuto allo sconosciuto, la Grammatica generale funge da cerniera epistemologica delle scienze dell’uomo:] i corsi di Grammatica generale devono fornire conoscenze più approfondite di ideologia e di grammatica, applicare queste conoscenze alla grammatica francese, apprendere le regole dell’arte di ragionare: (IV vol., p. 291 ): “poiché è questo il filo conduttore che deve aiutare le giovani generazioni a valutare [giudicare] gli uomini e le cose, i fatti e le istituzioni, nel corso di storia e di legislazione e di guidarle nel resto della loro vita”. E, ancora, proseguendo sul terreno della Logica: “Non ho bisogno di dirvi che per arte di ragionare, non intendo la vana ricerca di tutte le differenti forme di ragionamento, ma lo studio solido di ciò in cui consiste la certezza delle nostre conoscenze, e la verità delle nostre proposizioni, e la giustezza delle nostre deduzioni; in una parola le fondamenta [le fond] del nostro ragionamento”. Ma dal modo in cui Destutt de Tracy parla della Grammatica generale, in particolare il fatto che sia insieme di conoscenze da verificarsi nell’applicazione alla grammatica francese, che segua lo studio delle lingue antiche, si evince come il progetto di Grammatica generale riguardi la grammatica generale delle lingue parlate, quindi non lo studio generale dei segni ma lo studio del segno linguistico. È ciò che dicevo all’inizio, e che è chiaro soprattutto considerando la funzione pedagogica della Grammatica generale: per quanto sia generale, ci si occupa del segno linguistico, supponendo in modo arbitrario e senza fondamento che ciò che si dice del segno linguistico valga per qualsiasi segno, valga per ogni altro sistema di segni. SECONDO TEMPO La teoria del segno 5.1. Presentazione Negli Elementi di ideologia si parla di segni: (a) nei capitoli XVI e XVII dell’Ideologia propriamente detta; (b) nel secondo volume dedicato alla Grammatica generale. I capitoli XVI e XVII del primo volume (I vol., p. 371 ) sono dedicati ai segni delle nostre idee e ai loro effetti principali. Quindi vi si tratta del segno: (a) dei sistemi segnici; (b) della funzione del segno nel processo di formazione delle idee complesse. Ma non si può non considerare anche il capitolo VI del I volume, ove si tratta della formazione delle idee composte. Gli argomenti trattati nel secondo volume (II vol., p. 352) possono essere così suddivisi considerando i sei capitoli: (a) scomposizione del discorso (I cap.) dove si tratta soprattutto della distinzione tra il discorso composto di enunciati di giudizio (proposizioni) e discorso composto di idee isolate, non in relazione fra loro; (b) scomposizione della proposizione nel discorso (II cap.) dove si approfondisce la struttura del giudizio, del nome come segno che esprime un’idea che esiste per se stessa (che contiene già in sé l’idea di esistenza), del verbo perché è dalla forma del verbo che dipende la relazione tra le idee nel giudizio; (c) scomposizione della proposizione nella lingua parlata (III cap.) dove sono analizzati gli elementi della proposizione in base alla funzione che ricoprono nella proposizione, distinguendo tra due tipi di funzioni generali: i segni necessari alla proposizione (interiezioni, nomi, verbi) e i segni ausiliari, utili alla proposizione (aggettivi, preposizioni, avverbi, congiunzioni, congiuntivi – ovvero i pronomi relativi); (d) la sintassi (IV cap.), ovvero lo studio del concatenamento dei segni nel discorso, che comprende tre voci: studio della costruzione, ovvero del posto del segno nel discorso; studio delle declinazioni, ovvero delle alterazioni che i segni subiscono nel discorso; studio dei segni la cui funzione consiste nel marcare la relazione tra segni (preposizioni, congiunzioni, segni di pausa); (e) segni permanenti delle idee (V cap.): analisi dei tipi di scrittura, suddivisa in: scrittura geroglifica e scrittura alfabetica con argomenti critici sulla distinzione ulteriore tra scrittura alfabetica e scrittura sillabica e sull’origine della scrittura; analisi della sillaba e tavola delle qualità dei suoni; auspici per una scrittura filosofica sulla base dell’analisi della parola svolta nella grammatica; (f) sesto e ultimo argomento è la riflessione sui progetti di lingua perfetta e confronto con le lingue volgari (VI cap.). 5.2. Funzioni del segno Il segno ha tre funzioni: (a) è strumento indispensabile per pensare; (b) è strumento indispensabile per registrare e memorizzare (tale è, per es., la funzione principale del segno permanente, ovvero del segno scritto); (c) è strumento indispensabile per comunicare. Proseguirò discutendo nell’ordine delle tre funzioni. Parlando della terza, giungerò al terzo punto della relazione: il progetto generale dell’Ideologia. La prima funzione è la più importante, ed è quella che prenderemo subito in considerazione. Così scrive Destutt de Tracy nel XVI cap. del I vol. (I vol, pp. 277-278 ): “La prova generale che, senza segni, noi non possiamo pressoché mai rammentare le nostre idee né combinarle, sta nel fatto che ciascuno di noi prova (sente) che, quando riflette su una cosa qualsiasi, non è direttamente sulle idee che medita, ma sulle parole”. 5.3. Il segno come strumento di pensiero Senza segni ci è impossibile pensare. Nel cap. XVI del I vol. Destutt de Tracy considera tale funzione quella principale del segno. Lo fa citando Condillac (I vol., p. 276): “Condillac – credo – è stato il primo che ha osservato e dimostrato che senza segni noi non potremmo in alcun modo comparare le nostre idee semplici, né analizzare le nostre idee composte; che le lingue sono necessarie tanto per pensare quanto per parlare, tanto per avere delle idee quanto per esprimerle, e che senza le lingue non avremmo che poche nozioni, confuse e incomplete (…)” – il passo prosegue considerando la riflessione di Condillac sulla lingua come metodo analitico. Nel cap. XVII e nel cap. V del II vol. Destutt de Tracy afferma che non possiamo pensare senza segni artificiali. Sebbene pensare sia sentire, sebbene sentire le sensazioni semplici non richiede uso di segni, tuttavia senza segni non sarebbe possibile combinare le idee, elaborare idee composte, far crescere le nostre conoscenze. Prendiamo il caso della parola. La parola è segno dell’idea, ovvero espressione dell’idea. Ora – scrive Destutt de Tracy nel VI cap. del I vol. – non esiste lingua tanto ricca da avere una parola per ciascuna idea. Non esiste lingua tanto ricca da avere una corrispondenza uno a uno parola – idea. Ciò sarebbe controproducente rispetto alle funzioni generali esercitate dal segno (pensare, memorizzare, comunicare). Per es. (I vol., p. 114): osservando il colore di una fragola, chiamo “rosso” tale colore. Tale aggettivo esprime il modo di essere della fragola in particolare, della fragola in generale, e poi anche della ciliegia. “Rosso” è espressione comune a tutti gli oggetti dotati di tale maniera d’essere. Lo stesso vale per la qualità osservata che chiamo “buono”: “A ogni grado di generalizzazione si trascurano certe differenze; la parola cambia realmente di significato. Ciò è tanto vero, che è chiaro che la bontà di un uomo, di un frutto, di un cavallo, la bontà in generale non sono la stessa cosa. In questi quattro casi, le parole “buono” e “bontà” sono applicate a tre idee individuali differenti e a un’idea generale. Le idee cambiano, e a rigor di logica anche le parole dovrebbero cambiare, come le parole “verde”, “giallo”, “rosso” e “colore”; ma nessuna lingua è così ricca, perché gli inconvenienti di un tale eccesso di parole sorpasserebbero di gran lunga i vantaggi”. Nel processo di formazione delle idee, il segno, in quanto strumento di pensiero, è indispensabile. 5.4. Le idee composte I segni sono espressioni di idee composte. Le idee composte possono essere particolari o generali. Il processo di formazione delle idee composte è affrontato nel VI cap. del I vol. Le idee composte non sono il risultato di una esperienza, ma di più esperienze. Esse sono il risultato della riflessione che l’uomo esercita sulle sensazioni che riceve dagli oggetti esterni. La riflessione è lo stato dell’uomo che desidera percepire uno o più rapporti, avere (formarsi) dei giudizi. Nel mondo non esistono che cose particolari (è ciò che è affermato già in Locke e in Condillac). Dalle cose esterne l’uomo non può che ricevere idee particolari. L’uomo riceve le sensazioni dall’esterno. La sensazione, in Destutt de Tracy, è delegata agli organi federati dell’organisation physique: è ricevuta dall’esterno e passa attraverso il sistema nervoso. Questo modo di trattare il problema delle sensazioni – che non intendo approfondire – deriva dalla fisiologia di Cabanis e rappresenta un importante punto di distacco da Condillac, il quale, nella Logica – opera in cui il problema delle sensazioni è affrontato “nello stato attuale dell’uomo” e non più a partire dalle prime impressioni di un uomo-statua –scrive: “i sensi sono soltanto la causa occasionale delle impressioni che gli oggetti fanno su di noi. È l’anima che sente, ad essa sola appartengono le sensazioni, è sentire e la prima facoltà che osserviamo in essa”. Sergio Moravia ha insistito molto sul distacco da Condillac, specie riguardo ad argomenti “fisiologici”. Le operazioni per mezzo delle quali si formano le idee composte sono due: (a) astrazione: astrarre significa sottrarre, ovvero esprimere le qualità in maniera autonoma, senza riferirle a un qualche oggetto. L’operazione di astrazione è l’operazione con cui si formano idee astratte o idee generali. Es. riguardante le qualità: astrarre la qualità “buono” per formare l’idea generale di “bontà”. Ma tale operazione vale anche per gli oggetti esistenti in natura: es.: è astrazione formare l’idea generale di “pesca” quale immagine o modello delle idee particolari delle pesche. L’operazione di astrazione è molto importante perché ci permette (.) di distinguere due oggetti senza dover esaminare tutti gli individui particolari – es. distinguere una pesca da un’albicocca; (.) di classificare in generi e specie gli oggetti. (b) La seconda operazione è escogitata dal Tracy stesso che la chiama concraire: operazione per cui una qualità è espressa unita a un oggetto. In una prospettiva genetica – ovvero considerando il modo in cui si formano le idee – non si tratta di ridiscendere dalle idee generali alle idee particolari, ma di un’operazione che serve a formare le idee delle cose esistenti, o meglio a riunire più idee particolari per formare una sola idea particolare. Piuttosto che un’operazione opposta a quella di astrarre, sembrerebbe un’operazione che necessariamente la precede: es.: (.) sento una sensazione di “rosso”: è un’idea semplice; se a questa sensazione aggiungo la sensazione particolare del rapporto tra la cosa che sento e me che sento, l’idea di “rosso” è composta da un giudizio – ovvero da un rapporto; (.) sento una sensazione di “sapore” e poi una sensazione di “odore”; (.) chiamo questa cosa che mi ha causato queste tre sensazioni “fragola”. Si tratta di un’idea particolare composta. Non conosco, infatti, questa “fragola” che per questi tre effetti, che per queste tre sensazioni che ricevo. Dopo che ho percepito questa fragola, percepisco altre fragole e, esaminandole, vi riconosco delle qualità comuni e costanti, procedo per somiglianza e facendo astrazione delle differenze; così posso formare un’idea composta generale di “fragola”. Destutt de Tracy, così sulle due operazioni (I vol., p. 101): “L’operazione di astrarre e quella di concraire, sono di frequente uso: noi dobbiamo a queste operazioni tutte le nostre idee composte; ma bisogna sottolineare la differenza degli effetti che le due operazioni determinano. L’operazione di concraire ci serve per formare le idee delle cose esistenti, mentre l’operazione di astrarre ci serve per comporre gruppi di idee di cui il modello non esiste in natura, e che tuttavia ci sono molto comodi per fare delle nuove comparazioni e per percepire dei nuovi rapporti tra i risultati dei rapporti che noi già conosciamo”. Destutt de Tracy, così sull’operazione di concraire (I vol., p. 102): “In effetti, una tale pesca esiste realmente, come esistono realmente questa e quest’altra; è grazie all’operazione di concraire le sensazioni che queste pesche ci hanno dato, che noi abbiamo formato l’idea [particolare composta] di ciascuna di loro”. Destutt de Tracy, così sull’operazione di astrarre (I vol., p. 102): “Ma una pesca in generale, astrazion fatta delle circostanze particolari ciascuna di queste pesche individuali, una tale pesca non esiste che nel nostro spirito, ed è grazie all’operazione di astrarre che noi ne abbiamo formata l’idea: tuttavia questa idea mi sarà molto utile se io voglio, per esempio, stabilire la differenza tra le pesche e le albicocche (…)”, perché in questo modo non debbo considerare tutte le pesche e tutte le albicocche esistenti, ecc. L’operazione di concraire forma idee particolari composte, l’operazione di astrarre forma idee generali composte. Le prime sono espresse da termini concreti: termini concreti sono gli aggettivi che esprimono una qualità considerata come unita al suo soggetto; le seconde sono espresse da termini astratti: sostantivi che esprimono qualità separate dall’oggetto. Ciò vale per distinguere le qualità: ma la “pesca” è termine concreto o termine astratto? (I vol., p. 103): “Parlando rigorosamente, tutti i nomi sono generalizzati, ogni idea di una cosa esistente estesa a più individui simili è già una parola astratta; poiché, nell’uso che se ne fa, si hanno già delle particolarità degli elementi che vengono cancellate, altre particolarità che vengono separate, tirate fuori, per così dire, ovvero astratte”. Ma, allora, anche l’attributo è un termine astratto, dal momento che non distinguo nominalmente il rosso della fragola e il rosso della ciliegia. Ne consegue che l’operazione di concraire sembrerebbe un’operazione preliminare dell’operazione di abstraire, le due dovendosi considerare sempre insieme e mai separatamente: l’una (concraire) consistente nel formare l’idea particolare composta; l’altra (abstraire) consistente nel formare l’idea generale composta. Se vi è una differenza sul piano delle operazioni sulle idee, è dubbio che si possa individuare anche una differenza sul piano della nominazione: la parola è sempre astratta. Un bambino che vede per la prima volta una pesca, quando gli si dice che quella che vede è una pesca, utilizza un termine astratto, pur formandosi un’idea particolare di quella pesca che vede. La prima operazione farebbe dunque riferimento alle idee particolari che ciascuno di noi possiede di una cosa esistente e terrebbe conto del fatto che ciascuno di noi ha idee particolari differenti di una stessa cosa (principio importante degli idéologues: non vediamo tutti la realtà allo stesso modo; la realtà è una ma ognuno ne vede particolari differenti: letteralmente: “non abbiamo la stessa idea della medesima cosa”). Ne consegue che il contenuto ideologico del segno non è lo stesso per tutti: ciò non dipende dal fatto che vi è un unico contenuto vero al quale pochi attingono; è invece conseguenza del fatto che non tutti percepiamo né tutte le qualità né le stesse qualità di un medesimo oggetto. Per es. posso conoscere della “fragola” il “colore”, il “sapore” e lo “odore”: queste tre idee particolari formano, per concraire, l’idea particolare che io posseggo di “fragola”; un altro possiede anche l’idea particolare di “forma conica”, oltre alle tre di cui sopra: nessuna delle due idee particolari di “fragola” è errata, semplicemente si percepiscono qualità differenti – un altro percepisce più qualità di quelle che percepisco io (ciò dipende dall’esperienza), ma né io né questi possiamo percepire tutte le qualità della “fragola”. Così Destutt de Tracy (I vol., pp. 105-106): “Quella [la fragola] è, per me, un essere capace di farmi sentire queste tre sensazioni, e niente di più; poiché l’idea di un qualunque essere non è mai per noi altro che l’insieme delle proprietà che noi conosciamo di questo essere; è ciò che fa sì che la stessa parola non ha pressoché mai lo stesso significato per alcuno di coloro che la pronunciano; questa parola esprime per ciascuno di loro più o meno idee, a seconda del grado di conoscenza che ciascuno di loro ha dell’oggetto in questione”. 5.5. La parola Le parole sono sempre generalizzate e mai individuali. L’espressione delle idee è sempre generalizzata, mai individuale. Può essere individuale considerando un segno per un bambino che ha a che fare con un oggetto individuale o con un soggetto individuale: per es. un bambino associa all’espressione “mamma” l’idea della propria madre. Può esserci espressione individuale per un uomo primitivo. Ma, facendo esperienze, aumentando le conoscenze e le idee, aumenta il numero delle idee generali composte in modo esponenziale rispetto al numero delle parole. Così Destutt de Tracy (I vol., p. 108): [Tracy sta parlando di una fragola di cui ricevo tre sensazioni: bello, buono, utile, ovvero la fragola procura piacere, procura del bene, procura un servizio]: “Ma quando avrò generalizzato le parole piacere, bene, servizio, che sono ancora le espressioni speciali degli effetti particolari che questa fragola procura su di me; quando io avrò esteso tali parole ad altri effetti prodotti da altri esseri, effetti che sono analoghi a quelli prodotti su di me dalla fragola, ma che non saranno esattamente gli stessi, non mi resta più il modo per esprimere privatamente il piacere che mi procura questa fragola, il bene che mi causa, il servizio che mi rende; di dire la maniera particolare in cui la fragola è bella, buona, utile; di dipingere i generi speciali della bellezza, della bontà, dell’utilità che sono propri a tale fragola. Ecco a quale punto noi siamo ora ridotti: tutte le nostre idee sono così elaborate, tutte le nostre parole che le esprimono sono così generalizzate. Noi non abbiamo più parole per esprimere in modo particolare ciascuna cosa; non si hanno più che i nomi propri che designano un essere ad esclusione di tutti gli altri”. I nomi propri sono ciò che ci rimane dei termini concreti. Tutto ciò ci dice che: (a) le parole non esprimono idee particolari, non hanno un significato ristretto e individuale; (b) per analizzare correttamente le idee bisogna fare astrazione delle parole; (c) le idee generali non esistono che in quanto nominate, dotate di nome. L’operazione di astrazione consiste nel mettere insieme idee particolari composte per somiglianze e sorvolando sulle differenze. L’operazione di astrazione produce un’operazione di classificazione. Non è possibile pensare un’idea generale priva di nome: un’idea generale è pensabile solo in quanto significato di un termine astratto. Un’idea astratta non può esistere senza che sia dotata di nome. Essa, inoltre, esiste soltanto in quanto nominata: infatti, non esiste nella realtà. Bisogna dunque avere il termine astratto e conoscere il significato di tale termine. I segni sono espressione di idee composte, ma non tutte le idee composte sono esprimibili mediante singoli segni. Come non esiste corrispondenza uno a uno tra segni e idee, così non può esistere tra segni e idee complesse. Molte idee composte sono espresse da una catena di segni. Per es. l’idea composta “l’uomo che scopre la verità”. 5.6. Il giudizio Tra le principali funzioni del segno vi è quella di combinare le idee (il segno è strumento indispensabile per pensare). Noi non possiamo combinare idee senza usare segni. Ciò perché il segno è il termine astratto che riunisce un insieme di idee particolari e che, in quanto tale, rende possibile effettuare confronti e comparazioni. Ora, confrontare e comparare non sono altro che attività proprie della facoltà di giudicare. Pertanto l’uso dei segni nel processo di formazione di idee composte comporta l’articolazione di giudizi. Un giudizio è rapporto tra due idee. Tale rapporto può essere di concordanza o di discordanza. Nel II vol. degli Elementi, Destutt de Tracy riprende il problema del giudizio per darne una lettura più soddisfacente. Innanzitutto (II vol., p. 33) ogni emissione di segni di cui siamo capaci è un discorso. L’analisi del discorso è oggetto di studio della Grammatica generale. Ogni discorso è la rappresentazione delle nostre idee. Tutte le operazioni intellettuali si possono ridurre alle due operazioni fondamentali di sentire e di giudicare (riflettere, ricordare, desiderare sono operazioni che discendono dall’operazione di giudicare): giudicare è sempre sentire, ma sentire dei rapporti. Ma questa definizione non è ancora la migliore. Il punto in questione è importante per gettare le fondamenta dell’analisi del discorso – ed è stato ignorato da tutti i grammatici precedenti: il discorso, infatti, è fatto di proposizioni e le proposizioni non sono altro che enunciati di giudizio. Il giudizio è fatto di idee, ma non può che essere espresso, proprio perché non si dà che per mezzo di segni: pertanto è elaborato secondo l’ordine della proposizione. Il concatenamento di idee-segni, ossia l’enunciato di giudizio, è l’oggetto di analisi della Logica. Ma, come si è detto sopra, l’analisi logica è strettamente dipendente dall’analisi ideologica e dall’analisi grammaticale. Il campo della logica non può essere altro che campo di distribuzione degli enunciati di giudizio (proprio come avevo detto che lo spazio della logica è lo spazio di proiezione delle analisi delle idee e delle analisi dei segni): ultimo stadio del progetto generale dell’Ideologia e primo stadio dell’applicazione dei principi dell’Ideologia, ponte di connessione tra la teoria generale (la metafisica) e l’applicazione nelle scienze degli insegnamenti della teoria generale. Torniamo alla Grammatica e al giudizio. Il giudizio è di un solo tipo di rapporto: giudicare è sentire un rapporto tra un contenente e un contenuto: (II vol. p. 34): “giudicare non è sentire un’idea nuova, è sentire che un essere, qualunque esso sia, o piuttosto l’idea che se ne ha (poiché noi non sentiamo che le nostre idee), contiene una qualità, una proprietà, una circostanza qualunque. O, questa qualità, questa proprietà, questa circostanza qualunque, è essa stessa una percezione, un’idea, poiché è una cosa sentita. Giudicare è dunque sentire che un’idea è contenuta in un’altra”. Poco più avanti (II vol., p. 35): “Giudicare non è dunque esattamente la facoltà di sentire dei rapporti in generale: ma, se si vuole per forza servirsi di questa parola, rapporto, è unicamente la facoltà speciale di sentire tra un’idea e un’altra il rapporto tra il contenente e il contenuto; o per meglio dire, è la facoltà di intravedere, di sentire che l’idea che si ha attualmente presente ne contiene un’altra”. Così esposto, il giudizio, la sensazione che un’idea contiene un’altra idea, o la sensazione che un’idea è contenuta in un’altra idea, è il rapporto corretto. Rapporto tra contenente e contenuto. Infatti il problema che Destutt de Tracy si pone effettuando questa ricognizione sul giudizio concerne l’ordine del discorso, e la rappresentazione in questo ordine della simultaneità delle idee. In un giudizio formato da più di due idee, il rapporto di contenimento è tale che l’ultima idea è contenuta nella penultima e questa nella terz’ultima e così via: l’ultima idea è sempre contenuta nella prima. È un meccanismo a cerchi concentrici: l’idea che contiene tutte le altre idee è la più importante (ma non è la più grande, cioè la più generale, bensì quella che è dotata dell’idea di esistenza in sé). Un ragionamento è un concatenamento di giudizi. Per il ragionamento vale lo stesso tipo di rapporto che vale per il giudizio: in un ragionamento un giudizio è contenuto in un altro giudizio. Seguendo l’analisi che Destutt de Tracy sviluppa nel II vol. (in particolare nel II cap. dedicato alla proposizione di qualsiasi tipo di discorso, non solo del discorso verbale), possiamo dire che “fragola è rossa” è giudizio in cui si ha un’idea (“fragola”) che ne contiene un’altra (“è rossa”). Nel caso più semplice (senza considerare la genesi dei linguaggi, di cui dirò dopo), il giudizio è formato dal numero minimo di segni di cui può essere composto: due segni, uno per l’idea contenente e uno per l’idea contenuta. L’es. “fragola è rossa” il giudizio è composto da tre segni. Il segno dell’idea contenente è il sostantivo, o nome. Il segno dell’idea contenuta è l’attributo. Consideriamo ora il rapporto d’esistenza tra contenente e contenuto. Scrive Tracy (II vol., p. 55): “Poiché ogni proposizione è l’enunciato di un giudizio, e poiché ogni giudizio consiste nel sentire che un’idea esiste nel nostro spirito e che in un’altra idea esiste in quell’idea là, bisogna necessariamente che il segno unico che esprime una proposizione contenga almeno due altri segni: l’uno rappresentante un’idea esistente per se stessa, e l’altra rappresentante un’altra idea come non esistente che nella prima. Sono questi due elementi sicuramente indispensabili per formare un discorso”. Il segno dell’idea contenente è il nome o sostantivo. “I nomi – scrive il Tracy – rappresentano tutte le idee che hanno nel nostro spirito un’esistenza assoluta e indipendente da tutte le altre idee”. Si tratta di un’esistenza reale e positiva, come l’esistenza delle cose reali, o fittizia e immaginaria, come l’esistenza delle cose immaginarie e intellettuali. Pertanto nome può essere “fragola” o “bellezza”. In altri casi, il contenente di un giudizio può essere espresso da una catena di segni come nell’enunciato di giudizio “l’uomo che scopre una verità è utile a tutta l’umanità” (es. di soggetto e attributo complessi che Destutt de Tracy fa nel cap. dedicato al “giudizio”, il IV del I vol.). Il segno dell’idea contenuta è l’attributo. Sembrerebbe innanzitutto – scrive il Tracy (II vol. p. 58) che questo ruolo sia ricoperto da tutte quelle parole che chiamiamo “aggettivi”. Per es. l’idea “bello” non esiste di per sé ma in quanto contenuta in un’altra idea: la sua esistenza dipende dall’idea nella quale esiste. Ma l’idea espressa dall’aggettivo non può essere contenuta nell’idea espressa dal sostantivo in quanto tale, perché l’aggettivo, proprio in quanto privo dell’idea di esistenza, necessita che l’idea di esistenza sia esplicitamente espressa. L’idea di esistenza è innanzitutto espressa dal segno che contiene l’idea di esistenza come proprio significato, ovvero il verbo “essere” (II vol., pp. 58-59): “Essente, esistente è il solo aggettivo che contiene l’idea di esistenza, non tanto perché tale idea è il suo significato specifico, ma perché è il suo significato proprio, e dal quale significato, di conseguenza, non può essere separato senza essere soppresso; così è per mezzo di se stesso che rende l’idea di esistenza agli altri [aggettivi]; e non vi sono degli aggettivi che la contengano, che, di conseguenza, esprimano completamente un’idea esistente in un’altra, che per questo siano degli attributi interi, che quelli [aggettivi] nei quali l’aggettivo essente è implicitamente compreso. Questi aggettivi sono quelli che noi chiamiamo dei verbi”. Il vero attributo è il verbo. L’aggettivo non è che un verbo che ha perso l’idea di esistenza. La forma essenziale del verbo è il participio. La forma essenziale è quella che grazie alla quale il verbo esprime l’idea di esistenza in generale. Così “Piero corre” è un giudizio in cui l’attributo è composto dal solo verbo e rappresenta l’idea contenuta nel nome che rappresenta l’idea contenente. “Fragola è rossa” è giudizio composto da un sostantivo, “fragola”, e da un attributo, “è rossa”, formato da un verbo e da un aggettivo. Il giudizio è la sensazione che un’idea contiene un’altra idea. L’idea contenente è la causa, l’idea contenuta è l’effetto, l’idea dell’esistenza dell’idea contenuta nell’idea contenente è il rapporto. L’espressione della prima è il nome o sostantivo, l’espressione della seconda è l’attributo formato dal solo verbo o da verbo e aggettivo, l’espressione della terza è il verbo. I segni necessari della proposizione sono nomi e verbi. Ciò perché bastano alla formazione di un enunciato di giudizio, il quale è composto di sostantivo e attributo. L’aggettivo, in quanto forma grammaticale derivata dal verbo alla quale è stata sottratta l’idea di esistenza, è il risultato del processo di raffinamento della lingua ed è un elemento utile della proposizione. Gli aggettivi sono dei modificativi, ovvero esprimono il modo d’essere quale idea contenuta nell’idea rappresentata dal sostantivo. 5.7. Destutt de Tracy e Condillac Abbiamo visto in cosa consistono il giudizio e l’enunciato di giudizio. In un passo citato all’inizio di questa parte (II vol., p. 34) abbiamo visto che Destutt de Tracy afferma (a) che giudicare consiste nel sentire che un’idea è contenuta in un’altra idea e (b) che giudicare non è sentire un’idea nuova. La Logica è scienza del ragionamento che funge da base per ogni arte del ragionamento. Così Destutt de Tracy all’inizio del Discorso preliminare (III vol., p. 16): “[La logica] mi sembra, o deve essere, una scienza puramente speculativa, consistente unicamente nell’esame della formazione delle nostre idee [il che spetta all’Ideologia propriamente detta], del modo della loro espressione [il che spetta alla Grammatica generale], della loro combinazione e della loro deduzione [il che spetta alla Logica]; e da questo esame risulta o risulterà la conoscenza dei caratteri della verità e della certezza, e delle cause dell’incertezza e dell’errore. Quando questa scienza sarà fatta e ben fatta, e quando possederà delle verità incontestabili, allora si potrà, con sicurezza, dedurre i principi dell’arte di ragionare, ovvero, dell’arte di condurre il proprio spirito nella ricerca della verità, che comprende ugualmente l’arte di studiare e quella di insegnare, o, in altri termini, quella di acquistare delle conoscenze vere, e quella di comunicare tali conoscenze chiaramente ed esattamente, sia mediante lezioni parlate o scritte, sia nella semplice conversazione”. Come si può dare una scienza ben fatta? La domanda non può che rinviare all’affermazione di Condillac: “il ragionamento corretto è una lingua ben fatta”, e, poiché la scienza si dà solo per dimostrazioni rigorose, ovvero per mezzo di ragionamenti corretti, allora “la scienza è una lingua ben fatta”. Vediamo in che modo questo punto riguarda il giudizio. Nella Logica, Condillac scrive che l’analisi, metodo “naturale” di indagine che consiste nell’effettuare operazioni di scomposizione e di ricomposizione (I parte, cap, II), è la stessa in ogni scienza, e consiste nel procedere “dal conosciuto allo sconosciuto col ragionamento, cioè con una successione di giudizi che sono racchiusi gli uni dentro gli altri”. L’arte di ragionare si riduce a una lingua ben fatta perché è la lingua il metodo d’analisi (II parte, cap. III). L’esempio di lingua ben fatta, di dimostrazione rigorosa, di ragionamento corretto, di scienza, di analisi che Condillac riporta è quello dell’algebra (II parte, cap. VII). L’espressione algebrica mostra in modo chiaro come in un ragionamento i giudizi sono legati gli uni agli altri. L’espressione algebrica, tuttavia, mostra di quale tipo di rapporto si tratta. Un rapporto in cui i giudizi sono racchiusi gli uni negli altri è un rapporto di identità, come è evidente nell’espressione algebrica. Pertanto il rapporto è il seguente: una successione di giudizi gli uni identici agli altri. Questo è il metodo di analisi che Condillac mostra di aver seguito nell’analisi metafisica – cioè delle facoltà dell’anima. Tale metodo consiste di due passaggi: (a) enunciare i dati (ovvero lo stato del problema) in cui sono inclusi i termini noti e i termini ignoti; i dati sono contenuti nel problema e i termini noti necessari per scoprire la verità sono contenuti nei dati del problema. Il punto è riuscire a osservare questi dati; (b) ricavare le incognite (ovvero costruire il ragionamento), che è operazione che segue l’enunciazione dei dati. Così Condillac mostra che il problema metafisico è l’origine e la genesi delle facoltà dell’anima, dove l’origine è il termine che è principio di tutti gli altri termini e la genesi è il modo in cui tutti i termini noti derivano dal primo termine. Tale derivazione non può che essere (a) per contenimento (cioè tutti i termini sono contenuti nel primo termine) e (b) per identità (cioè tutti i termini sono identici al primo dal quale derivano). Ma il primo termine è l’incognita, ovvero l’origine delle facoltà dell’anima è l’incognita; essa è mescolata con tutti gli altri termini che bisogna calcolare, proprio come in un equazione algebrica (per es.: “x – 1 = y + 1”) l’incognita è mescolata ad altri termini. Ora la più superficiale delle osservazioni (ecco l’enunciazione dei dati) mi fa guardare la facoltà di sentire mescolata a tutte le altre facoltà dell’anima. Ogni operazione dell’anima è contenuta e identica all’operazione di sentire. La sensazione è l’incognita. Ricavata l’incognita, si possono derivare tutte le operazioni dell’anima (giudizio, attenzione, confronto, ecc.). Ciò si fa operando passaggi di calcolo, proprio come si calcola il valore dell’incognita in un sistema di equazioni algebriche (per es.: “x – 1 = y + 1” e “x + 1 = 2y – 2”). Questo è ciò che Condillac chiama evidenza di ragione; questa è l’analisi che, per rapporto di contenimento, ovvero di identità, tra giudizi, permette di muovere dal noto all’ignoto. Ora, abbiamo visto che, secondo Destutt de Tracy, il giudizio è un rapporto di contenimento: giudicare è sentire che un’idea ne contiene un’altra. Ciò vale anche per il ragionamento. Ma ciò non vuol dire che il giudizio e il ragionamento siano regolate da rapporti di identità. Secondo il Tracy, Condillac commette un errore quando riduce il ragionamento al calcolo (ragionare è calcolare) e quando afferma che “equazioni, proposizioni, giudizi, sono in fondo la stessa cosa” (II parte, cap. VIII). Il problema è affrontato nel cap. XVI del I vol. (I vol, p. 276): “Condillac (…) avrebbe dovuto dire che [il Tracy si riferisce al fatto che i segni servono per pensare, ovvero sono indispensabili per combinare idee] ogni segno è l’espressione di un calcolo eseguito o, se si preferisce, di un’analisi fatta, e che fissa e constata questo risultato: in modo che una lingua è realmente una collezione di formule trovate, che in seguito facilitano e semplificano meravigliosamente i calcoli o le analisi che si vogliono fare ulteriormente. È proprio in questo senso che [la lingua] è un’algebra: così l’algebra è anch’essa una lingua, e le lingue non sono esse stesse che delle specie di algebre”. Ciò sembrerebbe dare ragione a Condillac. Segue l’analisi dell’idea di unità che è alla base delle idee di quantità: segno dell’idea di unità è la parola “uno”; tutti i numeri non sono che l’unità ripetuta: la parola “uno” è il germe di tutte le idee di numero. Infatti, se supponiamo di non avere segni per esprimere le idee dell’unità ripetuta, allora per dire “due” dovremmo dire “uno più uno”. Il rapporto tra le idee di quantità è un rapporto fisso, fondato sull’idea di unità. Il Tracy, dopo questa lunga analisi, scrive (I vol., pp. 288-289): “Noi siamo dunque portati a concludere che ciò che noi abbiamo sottolineato dei nomi di numero e delle idee di quantità, è vero delle altre parole e delle altre idee, e ciò che noi abbiamo detto delle parole si applica più o meno a tutte le specie di segni; e noi possiamo guardare come dimostrato che l’effetto generale dei segni è, constatando le analisi anteriori, di rendere più facili le analisi che seguono; che questo effetto è esattamente quello dei caratteri e delle formule algebriche; e che, di conseguenza, le lingue sono dei veri strumenti di analisi, e l’algebra non è che una lingua che dirige lo spirito con più sicurezza che le altre [lingue], perché non esprime che dei rapporti più precisi e non esprime che un solo genere di rapporti. Le regole grammaticali procurano lo stesso effetto delle regole del calcolo; in entrambi i casi, non sono che dei segni che noi combiniamo, e, senza accorgercene, noi siamo condotti dalle parole come dai caratteri algebrici”. Ma in una lunga nota che si apre alla fine di questo discorso, Destutt de Tracy individua delle differenze importanti tra l’algebra e le altre lingue, per cui i ragionamenti ordinari non possono essere ridotti al calcolo. I punti trattati sono i seguenti: (a) l’algebra è espressione delle idee di quantità, ovvero di idee di una sola specie e che godono di rapporti fissi e precisi. I rapporti algebrici si basano sull’idea di unità e non sono suscettibili di incertezza, di oscurità né sono soggetti a variazioni. Ciò non perché è l’algebra è una lingua ben fatta; ma perché è il contenuto ideologico (l’idea di quantità sulla base dell’unità) dei giudizi e dei ragionamenti che si effettuano e che sono espressi dalla forma algebrica a donare simili caratteri all’algebra. (b) Il calcolo algebrico somiglia al ragionamento di un uomo che comincia con una proposizione vera e finisce con una proposizione vera. Ma le parole sono il risultato di combinazioni precedenti. Combinando le parole, è impossibile ottenere la stessa precisione che si ha combinando i caratteri algebrici: le modificazioni che apportiamo alle parole, l’aggiunta di un aggettivo o di un attributo sono operazioni che non possono avere la stessa precisione delle operazioni algebriche. (c) Nel discorso, come ha detto Maine de Biran, i ragionamenti devono farsi carico del doppio fardello dei segni e delle idee. Può capitare di far uso di segni dal contenuto oscuro o di cercare di esprimere idee poco chiare. Ciò non accade nel calcolo algebrico. (d) L’algebra non è una lingua completa: non conduce da sola un ragionamento da un’estremità all’altra, ma è sempre inframmezzata da una qualche frase della lingua ordinaria (del resto è ciò che fa lo stesso Condillac quando riduce il problema a espressione algebrica). Pertanto, quando si riflette sulle operazioni algebriche, i segni non possono bastare, ma dobbiamo ricorrere alle idee che sono rappresentate da segni della lingua volgare. Ciò ha un’importante conseguenza: se l’algebra è una lingua ben fatta, allora una lingua ben fatta non è una lingua completa, ma una specie di lingua che non può sussistere senza il supporto della lingua ordinaria. Questa puntualizzazione vale anche per i progetti di lingua perfetta (ed è stata riportata da Destutt de Tracy e da Degerando). (e) È pertanto un grosso errore credere di poter trasferire la lingua dell’algebra nelle altre lingue, ovvero di tentare di ridurre tutte le lingue alla lingua dell’algebra e tutti i ragionamenti al ragionamento algebrico. L’equazione non è identico al giudizio o alla proposizione, ma è una specie di giudizio, una classe minore e contenuta nella classe maggiore di giudizi, della quale non può essere considerata equivalente. Qual è quindi la posizione di Destutt de Tracy circa il rapporto tra lingue volgari e sistema algebrico, tra ragionamenti ordinari e calcolo algebrico? Si potrebbe rispondere così: (a) non è possibile affermare, come fa Condillac, che il giudizio e un’equazione, che ragionare è calcolare, che una lingua deve essere ben fatta come la lingua dell’algebra; (b) ma la lingua dell’algebra ha tali proprietà per cui essa può fungere da modello di ragionamento e di espressione del ragionamento delle lingue volgari. La lunga nota esposta era parte del testo nella prima edizione, ma l’autore ha deciso di tagliarla perché contiene diverse conclusioni degli Elementi che intende invece mostrare poco a poco, secondo il precetto della rivoluzione lentissima di cui ho detto all’inizio. Pertanto è chiaro che Destutt de Tracy non può accettare l’affermazione di Condillac: (a) “equazioni, proposizioni, giudizi sono in fondo la stessa cosa”. Le proposizioni sono enunciati di giudizio, le equazioni sono una specie di giudizio. La questione è ripresa nel cap. I del libro sulla Logica. Nello stesso libro, ai capitoli VIII e IX, Destutt de Tracy critica altre due tesi di Condillac: (b) “ragionare è calcolare”; (c) “la scienza è una lingua ben fatta”. Queste ultime due critiche non le riprendo perché non dicono altro oltre a quello che è contenuto nella nota del I vol. Considero solo la prima critica, perché ci permette di considerare che comunque tra Destutt de Tracy e Condillac vi è un punto di partenza in comune. “Equazioni, proposizioni, giudizi sono in fondo la stessa cosa”: Destutt de Tracy afferma: (a) la facoltà di giudicare non deriva dalla facoltà di fare equazioni, ma, al contrario, questa deriva da quella (in realtà Condillac non dice una cosa simile a ciò che il Tracy critica); (b) il giudizio non è una specie di equazione, ma un’equazione è una specie di giudizio, e al termine che è il genere non si possono attribuire le stesse proprietà che appartengono al termine che è la specie (così come non si può risalire dall’idea particolare all’idea generale); (c) l’equazione, in quanto specie di giudizio, consiste nel rapporto di “essere uguale” e ciò vale solo per i segni che esprimono idee di quantità. Così, se dico “quest’albero è bello”, “quest’albero è sano”, “quest’albero è vigoroso” non faccio alcuna equazione, sia se dico che l’idea di quest’albero è uguale all’idea di bellezza, sia se dico che l’idea particolare di quest’albero è uguale all’idea generale di bellezza. Il giudizio esprime invece che sento nell’idea particolare di quest’albero l’idea generale di essere bello, ovvero che l’idea di essere bello è contenuta nell’idea particolare di quest’albero. Così è falso dire che quest’albero è bello è identico al giudizio un essere è bello, come è falso dire che un essere è bello è giudizio identico al giudizio un essere è vigoroso. Due idee, quindi, non sono identiche che quando sono completamente uguali. Un’identità tra due termini deve essere un’identità totale. Se non lo è, allora non è un’identità, perché sarebbe instaurare un rapporto incompleto di “essere uguale”, ovvero un’uguaglianza incompleta o imperfetta. A ciò segue un’altra idea falsa: ovvero che il conosciuto e lo sconosciuto sono identici. Se ciò fosse vero, fare una scoperta sarebbe non fare niente di nuovo. In realtà qui Destutt de Tracy travisa il pensiero di Condillac, il quale non ha mai affermato nulla di tutto ciò che il Tracy critica. Il punto, a mio avviso, è che Destutt de Tracy dimentica che il problema del rapporto tra giudizio ed equazione non consiste nella semplice trascrizione del singolo giudizio in forma di equazione, ma nel definire il modo del ragionamento più semplice e corretto possibile. Cioè il rapporto è da vedersi dal punto di vista dell’analisi, non, per quel che riguarda Condillac, nei termini di una logica ridotta all’algebra o alla geometria (che è l’obiettivo della critica del Tracy). Giudicare, secondo il Tracy, è sentire che un’idea contiene un’altra idea. Ragionare è sentire che un giudizio contiene un altro giudizio, che un sostantivo contiene un attributo e che questo attributo contiene altri attributi in una successione di contenimento. Tracy recupera l’immagine, che ha utilizzato nel Mémoire sur la faculté de penser, delle scatole cinesi: aprendo quella più grande, si vede che ne contiene una più piccola, e questa, una volta aperta, ne contiene un’altra, e via dicendo. Ma a questa immagine ora preferisce un’altra, più legata al criterio dell’osservazione (che consiste nel guardare le parti di una totalità): l’immagine dei tubi del cannocchiale o del telescopio che sono contenuti gli uni negli altri, che si estraggono gli uni dagli altri, e che permettono di guardare sempre più nei dettagli le parti dell’oggetto percepito. Allo stesso modo in cui un tubo ne contiene un altro, un giudizio ne contiene un altro, e così, aggiungendo una nuova idea che è contenuta nella precedente, si allunga il cannocchiale, e ciò permette di vedere ancora più nel dettaglio. Pertanto il muovere dal conosciuto allo sconosciuto avviene per Destutt de Tracy allo stesso modo in cui avviene per Condillac: un’idea nuova è sempre contenuta in un’idea nota, come un termine da calcolare è contenuto in un termine noto o i dati di un problema sono contenuti nel problema. Per entrambi infatti la logica non consiste in altro che “nel prendere tutte le precauzioni necessarie” per elaborare giudizi e ragionamenti corretti (III vol., p. 149) ed evitare l’origine di tutti gli errori: giudicare precipitosamente (III vol., p. 152). Così, nel sistema ideologico di Destutt de Tracy, sentire è pensare, e tutte le facoltà intellettuali sono contenute nella facoltà di sentire, ma non sono identiche fra loro. Proprio in ragione dell’identità tra le facoltà, si potrebbe dire, Condillac moltiplica queste, laddove il Tracy le riduce al numero di quattro. Ciò vale anche per il sistema grammaticale: la proposizione è sostantivo e attributo; l’attributo è contenuto nel sostantivo, il verbo è contenuto nel nome, l’aggettivo è contenuto nel verbo, la preposizione è contenuta nell’aggettivo, gli avverbi sono contenuti nel nome, nell’aggettivo, sia nel nome che nell’aggettivo, nell’aggettivo e nella proposizione, ecc. Il rapporto di contenimento permette di percorrere il rapporto di derivazione. Il che rimanda a quanto ho detto più sopra circa la “storia” come percorso dell’evoluzione delle combinazioni – e quindi dell’evoluzione come processo di derivazione, di contenimento: ciò che è scoperto è sempre contenuto in ciò che è noto. Pellerey, per es., nel saggio sulle lingue perfette, scrive (p. 198) che nella trattazione delle lingue da parte degli idéologues “la storia viene a coincidere completamente con la trasformazione”: ciò sia sul piano diacronico, quando si ridiscende (ovvero si da ricomposizione) dall’origine della lingua, sia sul piano sincronico, quando si risale (ovvero si decompone) agli elementi combinatori primi. Pertanto, la struttura degli Elementi contiene gli argomenti trattati secondo il rapporto di contenimento come rapporto di derivazione. Lo si è visto nel caso del rapporto delle tre scienze – Ideologia, Grammatica, Logica. Per questo Destutt de Tracy difende il rapporto di contenimento e lo distingue da quello dell’identità: perché è su questo che si basa il progetto generale dell’Ideologia. 5.8. Il segno come strumento di comunicazione Proseguendo la riflessione dalla natura del segno ai sistemi segnici passiamo a discutere della funzione comunicativa del segno: i segni sono indispensabili per comunicare. L’intenzione con la quale gli uomini compongono lingue e linguaggi è l’intenzione di comunicare con i propri simili (sebbene non si possa dire che questa sia la sola funzione, e nemmeno la funzione principale dei segni – ma di questo abbiamo già detto – I vol., p. 275). Nei cap. XVI e XVII Destutt de Tracy distingue segni naturali e segni artificiali. Un’altra distinzione importante è quella tra lingua e linguaggi. Destutt de Tracy chiama “lingua” il linguaggio verbale, dei suoni articolati, che è proprio solo dell’uomo (gli animali possiedono un linguaggio come il linguaggio d’azione degli uomini, o anche più evoluto, ma che si distingue della lingua dei suoni articolati degli uomini per due ragioni fondamentali: (a) le unità linguistiche del linguaggio degli animali non sono scomponibili, il linguaggio degli animali non è metodo di analisi: il linguaggio degli animali è composto di interiezioni; (b) il linguaggio degli animali non ha nomi, quindi non ha segni capaci di esprimere un’idea isolata dotata di esistenza propria). Linguaggi sono invece tutti gli altri sistemi di segni. Il sistema dei segni naturali è il linguaggio delle azioni (come in Condillac). Il linguaggio delle azioni è mezzo con il quale gli uomini comunicano i loro pensieri, manifestano i loro sentimenti “malgrado loro”. È linguaggio necessario, inevitabile (I vol., p. 272): “Quando noi proviamo il bisogno di riposo, noi siamo forzati a sederci o a sdraiarci; il dolore ci strappa le grida; la gioia o la sorpresa ce ne ispira [di grida] di molto diverse; (…) ogni uomo prova questi effetti in lui; quando li osserva nei suoi simili, non manca di indovinare ciò che passa in loro. Ecco dunque un inizio del linguaggio inevitabile; e le nostre azioni sono i segni naturali e necessari dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri; se [le azioni] non restano gli unici segni, esse saranno sempre i più inconfutabili e i più certi”. Il linguaggio d’azione comprende: gesti, grida, tocchi; i canali sensoriali di comunicazione sono: gli occhi (per i gesti), le orecchie (per le grida), il tatto (per i tocchi). Il linguaggio d’azione contiene il seme di tutti i linguaggi possibili; se è il meno fine, il meno ricco, il meno sviluppato dei linguaggi è comunque il più energico e il più veemente, il solo di cui conserviamo l’uso quando l’eccesso di passioni o la violenza dei sentimenti ci privano dei mezzi convenzionali di comunicazione. Il linguaggio d’azione è naturale, proviene dalla natura. L’uomo possiede un modo di comunicazione innato, ma non possiede idee innate. Proprio in quanto naturale, il linguaggio d’azione possiede in germe tutti i linguaggi possibili. L’evoluzione dal linguaggio naturale delle azioni avviene con l’uso. L’evoluzione è necessaria per esprimere idee complesse. Il linguaggio d’azione può infatti esprimere solo idee semplici e non è un metodo di analisi (cioè gli elementi di tale linguaggio non sono scomponibili). Ma, con l’uso, non tutti i segni sono suscettibili dello stesso perfezionamento, della stessa modificazione in espressioni convenzionali. I segni del linguaggio d’azione sono tre: tocchi, gesti, grida. I tocchi sono i meno suscettibili di perfezionamento. I gesti sono più disponibili a perfezionarsi e a formare dei linguaggi più complessi. Ma sono chiaramente le grida quelle potenzialmente più adatte allo sviluppo, a trasformarsi in segni artificiali, tant’è che con lo sviluppo delle lingue parlate ci sono poche tracce delle interiezioni (grida) che sono all’origine della lingua parlata – tracce che hanno poca importanza negli attuali sistemi di lingua parlata. Tutti i linguaggi artificiali di cui noi disponiamo non sono che linguaggi che derivano per estensione e per perfezionamento dal linguaggio naturale. Ciò non esclude che facciamo ancora uso di segni propri del linguaggio naturale, come i tocchi. Ma questi si possono considerare parte di una comunicazione complessa, in cui le due persone che comunicano fanno uso di più segni contemporaneamente – per es. di suoni vocali e di tocchi o di suoni vocali e di gesti contemporaneamente. Per es. quando una persona (a) spinge con una mano una persona verso una meta (tocco), (b) indica con l’altra mano alla stessa persona la meta (gesto), (c) dice alla persona di andare verso quella meta (parola). Tocchi e gesti, con lo sviluppo delle lingue parlate, divengono ausiliari indispensabili o accessori necessari nella comunicazione rispetto ai segni della lingua parlata. Molto importante è anche ricordare che ciascuno dei tre linguaggi (tattile, gestuale, orale) si divide in molteplici dialetti, sicché una stessa parola o uno stesso gesto non ha lo stesso significato in posti differenti, ovvero esprime la medesima idea. 5.9. Sistemi di segni Tutti i sistemi di segni di cui facciamo uso sono sistemi di segni convenzionali, o artificiali. Sono inventati dagli uomini. Con tali segni si comunica per tre canali sensoriali: tatto, udito, vista. Gli unici canali sensoriali attraverso i quali non comunichiamo sono gusto e odorato: in tal caso se noi attacchiamo un’idea a un certo odore o a un certo sapore, essa non può che essere rivestita di un segno che passa per uno degli altri tre canali sensoriali. Destutt de Tracy non fornisce una sistematica classificazione dei sistemi segnici, ma solo degli esempi, che importano (a) per la via sensoriale attraverso la quale passano i segni, (b) per il tipo di linguaggio che tale sistema rappresenta. I sistemi dei gesti dei mimi e dei muti che sono dei linguaggi con i quali si possono esprimere sentimenti profondi e idee astratte. I gesti dei commedianti e degli oratori, o di qualsiasi altra persona, sono linguaggi che contribuiscono a esplicare i pensieri; ma linguaggi che sono sovrapposti alla lingua parlata. I sistemi di movimenti telegrafici, i segnali di cui fanno uso le flotte o le armate, sono delle lingue più o meno ricche, più o meno estese, poiché sono l’assemblaggio dei segni che rappresentano le idee che vi si è convenuto di attaccare e che vengono trasmesse come se fossero delle parole. Pittura e tutti i generi di disegno sono un’altra classe di lingue. Infatti un piano, un disegno, una figura geometrica sono descrizioni sintetiche di un monumento, una pianta, un animale, una certa combinazione di linee e di superficie, e tali descrizioni sostituiscono una lunga catena di parole. Geroglifici, simboli, emblemi, attributi sono lingue o parti di lingue del medesimo genere, poiché trattasi di pitture più o meno alterate, il cui significato passa dal senso proprio (naturale) al senso figurato. Es.: il disegno di una spiga come segno per esprimere l’idea di abbondanza. Si tratta di fare di questa cosa – per es. della spiga – un uso deviato, che non è l’idea che questa risveglia naturalmente, ma un’altra idea. Ciò di cui si fa un uso deviato è il segno. Infatti noi facciamo un uso simile anche delle parole, per es. quando diciamo che un uomo è una linea che unisce la sua società. A questo punto Destutt de Tracy ricorda alle giovani generazioni che l’impiego dei simboli e degli emblemi è proprio del gusto deviato dell’allegoria e della metafora, ovvero di qualcosa che nuoce gravemente alla salute del ragionamento. Per quanto riguarda i geroglifici – per es. quelli dei cinesi o dei giapponesi – questi sono dei segni che formano una lingua in cui ciascuno di questi segni dipinge direttamente l’idea alla quale è attaccato. L’alfabeto invece non è una lingua. I caratteri alfabetici non dipingono direttamente alcuna idea. Questi non sono quindi dei segni. Nelle lingue dotate di alfabeto, non sono i caratteri alfabetici che esprimono le idee ma i suoni. L’alfabeto è dunque soltanto la scrittura comune di tutte le lingue parlate. I caratteri alfabetici sono poco numerosi perché un’articolazione di caratteri alfabetici serve a rendere le intonazioni e le articolazioni della voce umana, ovvero una combinazione di caratteri alfabetici esprime il suono che rappresenta un’idea. La funzione dei caratteri alfabetici è funzione puramente articolatoria e combinatoria. Cifre e caratteri algebrici formano ancora una lingua o una porzione di lingua. Le cifre, infatti, rappresentano direttamente le idee di quantità. Una cifra nella lingua algebrica è come una parola nella lingua parlata. Allo stesso modo, nella lingua algebrica si impiegano caratteri alfabetici, i quali tuttavia non sono come le lettere, ma sono dei veri e propri segni, perché rappresentano l’idea di una quantità conosciuta (per es. “a”) o l’idea di una quantità sconosciuta (per es. “b”). Vi sono anche lingue o porzioni di lingue fatte di segni tattili convenzionali come quelli della massoneria o quelli dei bambini quando giocano. Quando Destutt de Tracy parla di porzioni di lingua è perché il sistema di segni convenuto poggia sul sistema dei segni verbali, sul sistema delle parole, che è quello più importante e usato dagli uomini. Su tale sistema di segni è possibile costruire altri sistemi di segni, come è nel caso del sistema dei segnali usato dalle flotte navali o dalle armate, o come è nel caso del sistema dei segni dei sordomuti. In questa rapida carrellata di sistemi di segni, è evidente che il metro di paragone è il sistema dei segni verbali. Un sistema dei segni è più sintetico, più incompleto, più sicuro ecc. messo a confronto con il sistema dei segni verbali. È questo il principale sistema dei segni utilizzato dagli uomini 5.10. Sistema del segno linguistico Così Destutt de Tracy (I vol., p. 265): “Noi lo abbiamo già detto, le parole di cui noi ci serviamo sono i segni delle nostre idee; la loro unione forma una lingua, e tutte le nazioni conosciute hanno un linguaggio di questo genere, ovvero, una lingua parlata. Ciò prova che gli uomini hanno sentito unanimemente che di tutti i loro mezzi per comunicare con i loro simili, l’organo della voce è quello che fornisce loro la maggior parte delle risorse per esprimere ciò che passa in loro, e che tra gli altri, l’organo dell’orecchio è quello che offre loro più vantaggi per far loro provare delle impressioni vere e distinte. È la nostra stessa organisation [cioè è dato sia fisico sia morale] che determina questa giusta preferenza; ma ciò non vuole dire che noi non possiamo avere dei segni di un’altra specie (…)”. E ancora (I vol., p. 309): “Questa riflessione [il sistema dei segni articolati permette di elaborare ulteriori sistemi di segni artificiali, come il sistema dei segni dei sordomuti, che sono una traduzione del sistema dei segni articolati] ci conduce naturalmente all’esame delle qualità particolarmente proprie ai segni articolati; esame importante, poiché questi segni predominano universalmente nell’uso ordinario, ed evidentemente sono quelli che hanno provocato, diretto e fissato il cammino generale dello spirito umano nelle sue combinazioni e nelle sue ricerche, e la loro storia è nello stesso tempo la storia delle nostre idee e dei nostri ragionamenti”. Destutt de Tracy elenca i vantaggi dei segni articolati: (a) articolano numerose sfumature ed esprimono distintamente molteplici idee prossime le une alle altre – ma questo vantaggio è riscontrabile anche nel sistema gestuale; (b) è nella natura dell’uomo produrre suoni che colpiscono i sensi in modo chiaro e sono i segni naturali, rispetto ai gesti e ai tocchi, più sicuri e più distinti; (c) tra tutti i segni artificiali che derivano dai segni naturali, i suoni sono i più comodi da impiegare: non richiedono che ci sia spazio o che le membra siano libere, come nel caso dei gesti e dei tocchi, e si possono produrre in qualsiasi condizione ci si trova, e possono essere adoperati sia di giorno che di notte (diversamente dai segni che si comunicano per l’organo della vista); (d) infine i suoni divengono segni permanenti, ovvero, per mezzo della scrittura, possono essere fissati, e così attivare la terza funzione del segno che è la funzione della memoria (o della registrazione) delle idee. Contrariamente a ciò che sostengono in molti, cioè che è possibile pensare idee astratte solo grazie alle parole, Destutt de Tracy sostiene che anche un gesto o un grido sono in grado di esprimere un’idea astratta. Pertanto il primato della lingua verbale non è dovuto all’esclusività delle idee che tale lingua è in grado di esprimere e di far pensare. Si tratta piuttosto di considerare la differenza di grado, ovvero il fatto che la lingua verbale è metodo di analisi diversamente da altri sistemi di segni, è sistema di articolazione più complesso che per tale ragione permette di esprimere idee più numerose e più complesse, più astratte e più profonde. Ma ciò dipende dalla possibilità del sistema segnico di esprimere una determinata catena di idee, ovvero dal grado di perfezione del sistema segnico: (I vol., p. 306): “Io penso dunque, su tale questione, che i segni artificiali, di qualsiasi genere questi siano, possano rappresentare e vedere delle idee di ogni specie, e che il grado di complicazione delle idee che ci permettono di formare, e il grado di combinazione [delle idee] che ci danno la possibilità di fare, non dipende dalla natura stessa dei segni [come invece risulterebbe per colore che discriminano tra parole e altri segni], ma dal loro grado di perfezione, che li rende capaci di esprimere delle sfumature più o meno fini, e di permettere delle analisi più o meno delicate”. Definire il grado di perfezione di tutti i sistemi di segni è tuttavia impossibile. Il solo sistema di segni di cui è possibile definire il grado di perfezione è il sistema dei segni verbali, ovvero della lingua parlata. Ma per fare questo bisogna aver fatto l’analisi dell’unità linguistica principale, ovvero la proposizione (enunciato di giudizio). Questo è il compito della Grammatica generale, in particolare dell’analisi della proposizione nella lingua parlata. A questo compito è dedicato il III cap. del II vol., in cui Destutt de Tracy elenca gli elementi della proposizione per far emergere le funzioni ricoperte da ciascun elemento attraverso la loro “storia”. 5.11. Analisi della proposizione Come abbiamo detto, il linguaggio d’azioni comprende le grida quali segni che si comunicano per via uditiva. Le grida sono le interiezioni. Le interiezioni sono parole ellittiche che formano intere proposizioni e sono necessariamente isolate nel discorso. Pertanto l’interiezione contiene soggetto e attributo, nome e verbo. Dal momento in cui noi cessiamo di esprimere un’intera proposizione con una sola parola, il primo bisogno che si fa sentire è quello di un segno che rappresenta il soggetto di questa proposizione, che designa la cosa di cui vogliamo parlare. Il nome è il segno che rappresenta il soggetto della proposizione, il segno che designa la cosa di cui si parla, il segno che designa l’idea alla quale va attribuita un’altra idea, che è contenuta nella prima. Il nome è l’etichetta di un’idea, e un’idea solo quando è nominata è esistente, almeno per colui che parla. Insieme ai nomi, Destutt de Tracy pone anche i pronomi. Il pronome non è un nome: mentre il nome è etichetta di una sola idea, il pronome rappresenta le persone e le cose in rapporto all’atto di parola: (II vol., p. 73): “Innanzitutto mi sembra ben chiaro che io, tu, egli non sono precisamente dei veri nomi; poiché ciò che è proprio di un nome non è che di convenire a una sola idea, della quale è il segno e l’etichetta, e della quale richiama la formazione e la composizione, e non potrebbe mai rappresentare un’altra idea senza indurre a errore. Io, al contrario, è successivamente il nome di tutte le persone che parlano; Tu quello di tutte le persone alle quali si parla; Egli è il nome di tutte le persone e di tutte le cose di cui si parla. Inoltre, queste parole non rappresentano propriamente, non dipingono tutte queste persone e tutte queste cose; queste non ci dicono niente di tutte queste persone e cose se non che il rapporto di queste con l’atto di parola”. Il pronome rappresenta un’idea solo in rapporto all’atto di parola. Pertanto la funzione principale del pronome consiste nel dare ai nomi un’idea di cui i nomi mancano: l’idea della relazione del nome, con il quale concorda il pronome, con l’atto di parola. Inoltre i nomi di persona sono i primi che sono stati inventati: il primo bisogno, espresso con un grido, un’esclamazione ecc., è di specificare chi prova il sentimento espresso e colui al quale tale sentimento è indirizzato. Il verbo è in un primo tempo ciò che rimane dell’interiezione: è l’interiezione che non esprime che un attributo, e quindi un’idea contenuta nell’idea espressa dal nome. Il verbo dunque è ciò che risulta dalla separazione del nome dall’interiezione. Destutt de Tracy distingue tra verbi composti di una sola parola, e verbi più complessi, composti di due parole. Tra questi ultimi rientra il verbo che esprime l’idea di esistenza in generale. Infatti il verbo composto di due parole è composto da una parola che esprime l’idea di esistenza in generale e da un aggettivo che rappresenta l’idea che può esistere solo contenuta in un’altra idea. Il nome, si è detto, contiene l’idea di esistenza reale (è ciò che esiste in quanto tale e per sé nella realtà esterna o nella realtà interna del nostro spirito). Il verbo, invece, esprime l’idea di esistenza in generale, che non può come tale che esistere contenuta in un’altra idea. Nel giudizio – come sottolinea spesso il Tracy – non è l’idea generale che contiene l’idea particolare, ma l’idea della cosa esistente (nella realtà o nel nostro spirito) che contiene l’idea generale (in primo luogo il verbo). Senza il verbo, non si ha giudizio: non si potrebbe esprimere la condizione, lo stato, la situazione del nome in quanto attuale e presente. Nomi e verbi sono i soli elementi indispensabili per formare un giudizio: un giudizio è formato da almeno un nome e un verbo. Gli elementi che seguono sono elementi accessori. Vengono prima gli aggettivi che risultano dalla scissione del verbo dall’idea di esistenza in generale. L’aggettivo rappresenta un’idea che non ha esistenza propria ma che esiste solo in quanto contenuta in un’altra idea, ovvero nell’idea espressa dal soggetto. L’aggettivo esercita una funzione di modificazione sul nome e sul verbo. Tale funzione può avvenire in due modi: modificazione per comprensione – è il caso degli aggettivi qualificativi: l’aggettivo modifica l’idea espressa da un nome o da un verbo (es.: “Jacques è povero”, “Jacques corre veloce”); modificazione per estensione – è il caso degli aggettivi quantificativi: l’aggettivo modifica l’estensione dell’idea espressa dal nome, non dell’idea espressa dal verbo (es.: “Tre è poco”). La modificazione per estensione precede la modificazione per comprensione, giacché non è possibile comprendere un aggettivo entro un sostantivo se non si è circoscritta l’estensione del sostantivo. Con l’aggettivo, Destutt de Tracy cataloga l’articolo. Gli articoli sono aggettivi dimostrativi e rientrano nel gruppo degli aggettivi che modificano per estensione l’idea espressa dal soggetto. La preposizione è elemento del discorso che entra nella formazione delle idee con le quali si incorpora e diventa parte integrante. La sua funzione è quella di unire un nome o un aggettivo a un altro nome che gli serve da complemento. Es.: “Il frutto dell’albero è buono”. In certe lingue si presenta sotto forma di sillaba desinenziale che si unisce a una parola formando i casi di declinazione e di coniugazione. Terza funzione esercitata dalla preposizione consiste nel formare tutti i composti e i derivati dei radicali primitivi della lingua (per es.: “com-mettere”). La preposizione, che è anche il primo dei segni che marca una relazione tra altri segni (funzione sintattica) è derivato dall’aggettivo. Gli avverbi sono composti di un nome e un aggettivo (es.: “beaucoup”), di un nome (es.: “bene”), di un aggettivo (es.: “forte”), di un aggettivo più una preposizione (es.: “estremamente” = “estremo” + “mente”). Le funzioni dell’avverbio sono: rendere in modo abbreviato le idee che non si potrebbero esprimere che con l’aiuto di una proposizione; esprimere una circostanza fissa e determinata del significato di un aggettivo o di un verbo; modificare l’idea espressa da un verbo, da un aggettivo, da un altro avverbio. Poi ci sono le congiunzioni (anch’essi segni che marcano la relazione tra altri segni): sono parole ellittiche che svolgono la funzione di legare due proposizioni e assumono un senso relativo e imperfetto che dipende dalla proposizione che precede e da quella che segue. Il relativo “che” è l’elemento che ricopre per le congiunzioni lo stesso ruolo che il verbo “essere” ricopre per gli aggettivi: fornisce la qualità di congiunzione alle parole nel cui significato penetra, poiché funzione della congiunzione “che” è esprimere una relazione tra un verbo e un altro verbo, o per meglio dire tra una proposizione e un’altra proposizione. La congiunzione deriva dalla preposizione: entrambi sono segni di relazione, sebbene di natura e funzioni differenti. Infine abbiamo i congiuntivi, che non sono altro che i pronomi relativi, dei quali Destutt de Tracy si pregia del titolo di primo grammatico ad averne compresa la funzione. I congiuntivi, che sono il risultato della combinazione di congiunzione “che” e aggettivo determinativo “il”, mettono insieme proprietà delle congiunzioni e proprietà degli aggettivi: legano i nomi a proposizioni incidentali che modificano i nomi (es.: (“Jacques, il quale è arrivato, è sudato”). Ciò che è importante non è tanto la classificazione degli elementi delle proposizioni della lingua parlata, ma (a) la loro genesi, (b) la loro funzione, (c) la loro articolazione e combinazione (che fa sì che gli elementi accessori siano il risultato della combinazione di altri elementi). Ciò ci dice una cosa importante: che una lingua parlata si arricchisce di elementi con il crescere delle idee. Nuovi elementi della lingua parlata esprimono idee che non tanto non potevano essere espresse prima, quanto, per essere espresse, non potevano che essere espresse che mediante lunghe circonlocuzioni. Pertanto una lingua cresce in complessità crescendo in complessità le idee che essa può esprimere. Una lingua più complessa può esprimere idee più complesse di una lingua più semplice, che ha meno elementi. Questo sembrerebbe segnare un punto notevolmente a vantaggio delle lingue volgari contro qualsivoglia progetto di lingua perfetta. Progetto disciplinare dell’Ideologia 6.1. Progetto di lingua perfetta Ecco infatti ciò che scrive Destutt de Tracy circa la questione del grado di perfezione delle lingue parlate (ciò alla quale abbiamo accennato introducendo la parte sul sistema dei segni verbali) (I vol., pp. 306-307): “noi possiamo, fino a un certo punto, rappresentarci quella che sarebbe una di queste lingue, innanzitutto se le si togliessero tutte le coniugazioni e tutte le declinazioni; poi se la si privasse successivamente di articoli, di pronomi, di preposizioni, di congiunzioni, ecc.; e infine se, ridotta a dei sostantivi e a dei verbi invariabili, si eliminassero ancora tutte le parole derivate e tutte quelle composte, conservando solo le parole primitive. [Ma pur facendo una simile operazione – scrive Destutt de Tracy – non saremmo ancora in grado di definire in modo preciso il grado di conoscenza al quale ci condurrebbe questa lingua nelle differenti epoche]; ma noi vediamo chiaramente che dopo ognuna di queste operazioni, tale lingua diventerà sempre più difficile da gestire, meno adatta a guidarci nell’atto del ragionamento, meno capace di accostare le nostre idee le une alle altre, di combinarle, di riunirle in base a tutti gli aspetti di cui abbiamo bisogno, di constatare le più piccole differenze tra loro; e che infine, nell’ultimo stadio in cui noi la consideriamo, non potrebbe rappresentare che qualche gruppo principale di idee fortemente distinte tra loro, e di non dare luogo che a qualche giudizio molto grossolano e quasi tangibile che noi saremmo in grado di portare. Tale lingua è allora, malgrado i vantaggi dei segni articolati, realmente inferiore a un sistema di gesti perfezionato. Tuttavia quest’ultimo stadio, al quale noi l’abbiamo ridotta, è lo stato primitivo di questa lingua e di ogni altra lingua”. E poiché un qualsiasi linguaggio permette una composizione di segni adeguata alle idee da esprimere, una lingua siffatta, ridotta nella possibilità di invenzione e di combinazione di segni, non sarebbe che esprimere poche idee primitive. Sarebbe un ritorno al linguaggio delle interiezioni. Una lingua si sviluppa e cresce in complessità con il crescere del bisogno di esprimere nuove idee; e nuovi segni permettono di esprimere delle idee in modo abbreviato (pensiamo alla funzione degli avverbi) e anche di esprimere nuove idee. Ciò perché “le conoscenze e i linguaggi procedono con lo stesso passo”: le lingue sono metodo di analisi delle conoscenze – le quali sono espresse in forma di enunciati di giudizio; e le conoscenze sono composte di giudizi, i quali si possono solo esprimere in forma di proposizione. Quindi: (a) una lingua, che è lingua che si parla in una nazione, che è un insieme di parole, è adeguata al livello delle conoscenze al quale, in una certa epoca, è giunta quella nazione; (b) una lingua procede insieme alle conoscenze, e quindi a ogni istante si riequilibra il rapporto tra idee e segni; (c) tutto ciò non è vero allo stesso modo per tutti i tipi di segni artificiali, giacché non c’è un uguale grado di perfezionamento di tutti i segni, ma principalmente per i segni articolati, che sono suscettibili di un grado di perfezionamento maggiore degli altri sistemi di segni. L’affermazione che le lingue procedono di pari passo con le conoscenze sottolinea (a) che le lingue sono i metodi di analisi con i quali scomponiamo e ricomponiamo gli elementi grammaticali e, facendo astrazione di questi, gli elementi ideologici; (b) che le lingue sono il nostro principale strumento di conoscenza, insieme al fatto di essere strumento di pensiero e strumento di comunicazione; (c) che le lingue dei segni articolati hanno il vantaggio di poter essere fissate in segni permanenti, ovvero in scrittura, e (d) che ciò fa sì che le lingue possano essere il principale luogo di esercizio della terza funzione dei segni, la funzione di registrazione e di memorizzazione delle idee. Ne consegue: (a) che la parola è il modello principale di segno; (b) che la lingua è il principale sistema di segni; (c) che il discorso verbale è il principale tipo di discorso; (d) che l’analisi del discorso è innanzitutto analisi del discorso verbale, ovvero analisi degli elementi appartenenti alle lingue articolate. Senza che poi Destutt de Tracy si preoccupi più di tanto di farci capire come sia possibile ritornare, dopo essere passati dal discorso al discorso delle lingue verbali, dagli elementi componenti la proposizione delle lingue verbali agli elementi componenti la proposizione del discorso non verbale. In ogni caso è con la lingua verbale che si può comprendere meglio e pienamente la portata storica del segno per l’uomo (II vol., p. 292): “tutta la storia dell’uomo è contenuta nella storia dei segni e delle sue idee [cioè si può leggere attraverso la storia dei segni e la storia del livello delle idee, ricordando appunto che vi è un continuo riequilibrio del livello dei segni e del livello delle idee], e soprattutto dei segni permanenti ai quali l’uomo ha assegnato l’importante compito di fungere da deposito dei propri pensieri”. Il problema delle lingue perfette va dunque considerato in quest’ottica. Innanzitutto si pone il problema del rapporto storico tra un progetto di lingua perfetta e la storicità delle lingue verbali. È a partire da questo punto che va considerato il problema di tale progetto; e, proprio in quanto storico, si tratta anche di una questione sociale. È quanto mette in luce fin da subito Pellerey nel paragrafo riguardante gli idéologues nel saggio dedicato alle lingue perfette (p. 196): “La loro [degli idéologues, specie di Destutt de Tracy, Degerando, Thurot] riflessione sul funzionamento delle lingue costituisce il presupposto da cui deriva un’inevitabile confutazione dei progetti di lingue universali e filosofiche, estremamente articolato e inserito all’interno di un’analisi del rapporto tra lingua e storia considerata tra i più rilevanti fenomeni della realtà osservabile. Se tutta l’esistenza umana è sottoposta alla condizione storica, sia i singoli individui che i sistemi politici e sociali, neppure possono prescinderne le lingue, intimamente legate alla dimensione sociale dell’uomo”. Prosegue Pellerey (p. 197): “[confrontadosi] con la tradizione della lingua perfetta, [gli idéologues operano] un completo ribaltamento dei suoi argomenti scardinandone il punto di base: l’assunto che le lingue storiche siano imperfette e si debba correggerle o sostituirle con altri linguaggi più razionali. Tale rovesciamento porta a compimento la confutazione della necessità di una riforma totale della lingua naturale già avviata dagli illuministi, e costituisce una prima completa rivendicazione della legittimità delle lingue storiche rispetto ai modelli della perfezione. (…) Non si tratta solo più di limitarne le ambizioni: si tratta di negarne qualsiasi valore e porre a modello al contrario le lingue naturali, o perlomeno considerarle l’unico sistema di comunicazione in qualche modo corretto e possibile”. Destutt de Tracy affronta la questione della lingua perfetta nel VI cap. e in conclusione del V cap. (dedicato alla scrittura). Pellerey riassume gli argomenti del Tracy in quattro punti (p. 216). Vediamoli uno per uno. Il primo argomento è: un progetto di lingua perfetta è impossibile perché non è possibile fissare in un codice rigido e immutabile il rapporto tra un’espressione (la forma grammaticale del segno) e un contenuto (la forma ideologica dell’idea) a causa delle inevitabili e costanti variazioni cui sono soggetti i segni e le idee. Ma tali variazioni dipendono dalle variazioni di contenuto, cioè delle idee. Infatti (II vol., pp. 300-301): “Questa maniera di definirla [ovvero “una lingua sarà perfetta, di qualsiasi segno essa sia composta, se rappresenta le nostre idee in una maniera comoda, precisa, esatta, e di modo che sia talmente impossibile fraintenderla, al punto tale che tale lingua renda possibile la deduzione delle idee di ogni genere con la stessa certezza che esiste in quella delle idee di quantità”] è sufficiente solo a mostrare che essa è impossibile da realizzare; poiché noi abbiamo visto nel cap. XVII dell’Ideologia [sugli effetti dei segni] che l’incertezza del valore dei segni delle nostre idee è inerente, non solo alla natura dei segni, ma a quella delle nostre facoltà intellettuali, e che è impossibile che lo stesso segno abbia esattamente lo stesso valore per tutti coloro che lo impiegano, e lo stesso valore per ciascuno di loro nei differenti momenti in cui impiega uno stesso segno”. Quindi le variazioni dei segni rimandano alle variazioni delle idee in ragione del fatto che vi è una correlazione stretta tra livello di lingua e livello delle conoscenze. Inoltre le variazioni sono considerabili come errori o imperfezioni delle lingue che tuttavia non sono emendabili in quanto esse non sono proprie dei segni ma delle facoltà intellettuali. Tali variazioni possono essere individuali o sociali. Le variazioni individuali, ovvero le imperfezioni individuali, sono prese in considerazioni quali inconvenienti dei segni dovuti alla natura delle facoltà intellettuali dell’uomo verso la fine del cap. XVII del I vol.: (a) in primo luogo noi facciamo uso di segni che non inventiamo noi stessi per esprimere le nostre idee, ma che sono segni che riceviamo già fatti da coloro che se ne sono serviti prima di noi. I segni svolgono per questo una funzione di registrazione delle idee, che è una funzione storica. È tuttavia vero che questi segni non hanno significato per noi che nel momento in cui noi abbiamo acquisito la conoscenza personale di queste idee contenute nel segno. Ma, quando l’idea è molto composta, diventa difficile acquisirne conoscenza. Ne consegue che, non potendo fare esperienza diretta del contenuto di un tale segno, procediamo per congetture, induzioni, approssimazioni e con ciò non abbiamo la certezza che l’idea che noi ci facciamo del contenuto di un segno sia esattamente l’idea contenuta in quel segno. (I vol., pp. 320-321): “Ne consegue che delle parole prendono insensibilmente dei significati differenti, in base ai tempi e ai luoghi, senza che nessuno si sia mai avveduto di alcun cambiamento”. Tutti i segni sono perfetti per colui che li inventa, e per il quale un segno riveste un’idea certa e determinata, ma hanno sempre qualcosa di vago e di incerto per colui che li riceve. Da una persona all’altra cambia il contenuto di un segno. (b) In secondo luogo, per colui che inventa un segno, nel momento in cui lo inventa, tale segno è perfetto, ovvero contiene un’idea certa e determinata; ma in un altro momento della sua vita in cui si serve di tal segno, o in un altro momento della disposizione del suo spirito, non può essere lui stesso del tutto certo che quel segno sia ancora espressione di quella determinata e certa idea, in quanto non si accorge del fatto che quel segno può aver acquistato nuove idee e perso delle altre. Quindi il significato di un segno cambia anche per una persona nel corso della sua vita. Queste sono le due principali variazioni individuali di cui parla il Tracy. A queste se ne possono aggiungere altre due, di cui discute in modo più sommario: (c) “i significati ricevono un’interpretazione largamente soggettiva, poiché i singoli individui legano connotazioni proprie particolari all’oggetto semantico” (Pellerey, p. 201), argomento sviluppato da Degerando; (d) sono causa di cambiamenti delle idee che sono contenute in segni modi soggettivi della sensibilità, cioè cause fisiche: oltre alla disposizione di spirito, cui è detto sopra, che comprende umori, passioni, emozioni ecc., si parla anche di disposizione fisica che comprende stato di salute e di malattia, funzioni degli organi ecc. Un secondo tipo di variazioni sono le variazioni sociali. Una lingua perfetta è impossibile perché, pur ammettendo la sua costruzione, essa varierebbe immediatamente con l’uso. L’uso di una lingua ne altera inevitabilmente le componenti, come del resto è accaduto “al primo linguaggio che è stato inventato” (II vol., p. 302): il che significa che ciò che rende impossibile e impraticabile un progetto di lingua perfetta è il fatto che un simile progetto andrebbe in direzione contraria alla storia naturale dell’uomo: sia alla storicità della lingua, in quanto la lingua non esiste se non nella dimensione sociale, sia alla naturalità della lingua, in quanto l’evoluzione della lingua non fa che seguire il suo percorso naturale. Queste variazioni sociali dipendono: (a) dalla comunicazione intersoggettiva, come visto sopra, per cui il segno espresso dall’emittente può essere ricevuto dal destinatario come segno che non contiene la medesima idea certa e determinata che l’emittente aveva intenzione di esprimere; (b) dalle istituzioni sociali, poiché con le stesse istituzioni sociali, politiche, religiose, culturali v’è variazione dell’uso dei segni; (c) dalla diversità delle lingue nazionali, poiché un segno può essere comune a due lingue ma contenere idee del tutto differenti. Non bisogna inoltre dimenticare che tali variazioni sociali sono variazioni storiche: il carico semantico di un segno è il risultato di precedenti operazioni, e di successive operazioni, che ne modificano la portata, inserendovi nuove idee ed eliminandone delle altre. Secondo argomento: è impossibile delimitare un lessico di base o un sistema dei contenuti, perché non ci è possibile conoscere veramente il sistema completo delle idee. Non è possibile definire il sistema delle idee come sistema ontologico, quindi corrispondente in tutto e per tutto al sistema delle cose. È ciò che abbiamo già visto nella definizione che Destutt de Tracy dà di “lingua perfetta”. Possiamo collegare questo secondo argomento al terzo argomento: è impossibile instaurare dal nulla un progetto di lingua artificiale che eluda le leggi della convenzione sociale e della storia, soprattutto che eluda la trasformazione della lingua. Ovvero che eluda la storia naturale delle lingue. Questo argomento e il precedente ci permettono di individuare le critiche che Destutt de Tracy fa ai progetti di “lingua filosofica”, intendendo con ciò i progetti che i filosofi hanno elaborato allo scopo di: (a) eliminare tutte le controversie, ritenendole conseguenza dell’imprecisione delle lingue volgari (mentre noi sappiamo che, per gli idéologues, e ovviamente anche per Destutt de Tracy, l’imprecisione si annida nelle facoltà intellettuali, non nelle lingue); (b) permettere il conseguimento unilineare delle verità, superando il limite delle opinioni e delle congetture; (c) migliorare e facilitare lo scambio di conoscenze tra sapienti di diversi paesi. Innanzitutto è comune agli uomini aspirare alla perfezione e all’universalità. Il Tracy distingue tra universalità della lingua e perfezione della lingua: il caso del latino nel Medioevo e, in un certo senso, per alcuni filosofi (Pellerey analizza il caso di Rivarol), il francese nel Settecento, sono lingue naturali che pretendono l’universalità, ma che non sono progetti di lingua perfetta. Un progetto di lingua perfetta è totalmente artificiale, fatto a tavolino da uno o più filosofi. Essa vorrebbe essere utile agli studiosi per avvantaggiare la comunicazione delle conoscenze senza bisogno di traduzioni. Ma ha un grosso inconveniente: non essendo la lingua naturale parlata, renderebbe difficile pensare e scrivere in una simile lingua. Di fatti si effettuerebbe lo stesso una traduzione dalla lingua parlata alla lingua perfetta. Se invece consideriamo il caso della lingua universale, come il latino nel Medioevo, allora bisogna dire che una lingua può divenire universale non per ragioni grammaticali o logiche, ma perché è la lingua parlata da un popolo che è dominante in una certa epoca storica. Di fatti una lingua si forma per via dei suoi usi, si espande con il commercio, le conquiste militari, la religione. È ciò che è accaduto per il latino ai tempi dei romani. Ma nel Medioevo il latino si è mantenuta quale lingua dei sapienti, separata dalle lingue parlate dai popoli, e ciò ha reso grandi svantaggi nella trasmissione delle conoscenze e nell’avanzamento delle stesse conoscenze. Di conseguenza, quarto argomento: un sistema di lingua perfetta avrebbe effetti negativi sul progresso civile: per il progresso culturale è più rilevante la diffusione del sapere presso gli strati sociali che la sola comunicazione tra filosofi. Se infatti gli studiosi comunicano più facilmente tra loro che con i loro concittadini, non solo vengono meno la trasmissione delle conoscenze e il progresso des lumières, ma diminuirà il numero stesso degli studiosi, compromettendo il valore degli studi (il quale, quindi è fondato sulla comunicazione, sul commercio delle conoscenze. Questo punto è dichiarato più chiaramente da Destutt de Tracy quando parla del problema del progresso delle conoscenze in rapporto ai sistemi di scrittura. È ciò che discuteremo nella parte che segue). Una lingua perfetta, se volesse sostituire le lingue volgari, dovrebbe essere accettata e adottata dall’intera popolazione, cosa impossibile che possa avvenire all’unanimità, ma cosa anche che dovrebbe suscitare una rivoluzione sociale perché si tratterrebbe di cambiare tutti gli usi e tutte le convenzioni proprie di una società. Un progetto di lingua perfetta, o di lingua immaginaria, dovrebbe derivare dai segni naturali, ovvero dal linguaggio d’azione, ma essere anzitutto un progetto di lingua orale (perché i segni che passano per il canale della voce sono quelli che meglio si adattano ai perfezionamenti); dovrebbe adottare un alfabeto corretto e un’ortografia regolare, in modo tale che le parole siano composte in modo analogo alle idee che rappresentano, richiamandone la derivazione e la filiazione. Tuttavia è qui che incorre la difficoltà insormontabile per un progetto di lingua perfetta (secondo argomento di cui sopra): (II.vol, pp. 305-306): “La grande difficoltà consisterà nello stabilire in modo corretto il concatenamento di queste derivazioni: ma questa difficoltà consiste per intero nel determinare bene la serie delle idee. Tale difficoltà è la stessa in tutte le specie di segni: questa è tale, che, perché una lingua sia perfetta sotto questo rapporto, occorrerebbe che le nostre conoscenze siano complete in ogni genere”. Una lingua in grado di stabilire correttamente il concatenamento di parole derivandolo dal concatenamento delle idee sarebbe una lingua perfetta perché possiederebbe le conoscenze più complete in ogni ambito. Destutt de Tracy riprende qui, rovesciandolo, il motto di Condillac: “fare la lingua di una scienza è creare questa scienza”. Qui si potrebbe dire: “fare la scienza di una lingua perfetta è creare questa lingua”. È chiaro che una simile lingua dovrebbe possedere regole rigide per quel che riguarda la composizione delle proposizioni e per la sintassi. Inoltre deve eliminare la possibilità che un’idea possa essere espressa mediante differenti locuzioni, con idiotismi, iperboli, allusioni, tropi, sinonimi, ecc. In conclusione Destutt de Tracy scrive (II vol., pp. 308-309): “Ancora una volta, io non ho la speranza che questo sogno possa mai realizzarsi. Io non l’ho descritto nei dettagli che per disgusto dei tentativi mal concepiti, i quali credi siano più appropriati a mancare il loro scopo che a raggiungerlo; per avere l’occasione di segnalare tutte le cause che contribuiscono all’inesattezza delle nostre lingue, e così con la speranza di ispirare il desiderio che poco a poco [le nostre lingue] possano accostarsi a tale modello”. Ciò che piuttosto sarebbe auspicabile è, forse, un progetto ortografico di lingua. Così Destutt de Tracy nella nota che è collegata a tale passo (II vol., p. 309): “Un’ortografia e una lingua perfetta avrebbero per tutte le nostre ortografie e per tutte le nostre lingue, lo stesso effetto che il sistema metrico decimale produce su tutte le misurazioni adottate nei differenti paesi: non le sopprime né le cambia, ma dà loro un mezzo facile di valutazione comune, e offre loro un tipo eccellente al quale possono sempre rifarsi e rapportarsi”. In tal senso, un progetto ortografico di lingua perfetta sarebbe auspicabile unicamente come modello di riferimento, marginale, delle lingue volgari, per controllarne il grado di perfezionamento sul piano delle grammatiche. Ma ciò che non è auspicabile è che tale progetto di scrittura sia fatto a tavolino da singoli filosofi. Occorre che sia invece un “progetto sociale”. È questa l’unica via che si aprirebbe a partire “dallo studio” della Grammatica generale, dove con “studio” si intende proprio la funzione pedagogica della Grammatica generale in quanto parte della scienza dell’Ideologia. Quindi si tratta di un progetto che non può che essere storicizzato, collocato lungo la linea (evoluzione e derivazione) della storia dell’uomo come storia che si dà nella storia dei segni e nella storia delle idee dell’uomo, e soprattutto nella storia dei segni permanenti, i quali fungono da deposito del pensiero dell’uomo. Tale punto è discusso da Destutt de Tracy in conclusione del cap. VI dedicato alla scrittura. Si tratta del capitolo più lungo del II vol., è di più di cento pagine ed è quasi la metà del volume. È dunque alle riflessioni sulla scrittura, e soprattutto al carattere pedagogico, sociale e politico di tali riflessioni, che dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione. 6.2. Progetto di ortografia perfetta Per quest’ultima parte mi riferisco soprattutto all’articolo di Jean-Luis Labarrière, Le signe écrit, l’education et la démocratie. Quelques remarques à partir du chapitre V de la Grammaire de Destutt de Tracy (pp. 167-179), contenuto in Les idéologues. Sémiotique, théories e politiques linguistiques pendant la Révolution française, a cura di Winfried Busse e Jurgen Trabant, che riunisce i contributi di una conferenza tenuta a Berlino dal tre al cinque ottobre del 1983 sul pensiero semiotico e linguistico degli idéologues. Tra i vantaggi del suono come segno dell’idea vi è quello di poter essere trasformato in segno permanente. Il segno permanente assume innanzitutto la funzione di registrare e conservare le idee rappresentate dai suoni. Questa è la funzione più facilmente individuabile del segno permanente. Ma questa funzione è effetto del ruolo che il segno permanente ricopre in relazione al pensiero. Il segno permanente è strumento indispensabile per pensare. Su questa funzione del segno permanente si può riflettere sulla distinzione che Destutt de Tracy opera tra scrittura geroglifica e scrittura alfabetica, o scrittura propriamente detta. Vedremo, ovviamente, come il segno permanente abbia anche la funzione di comunicazione, e come tale funzione sia causa della possibilità di diffusione e di crescita del sapere. In questo modo, ricoprendo tutte e tre le funzioni, si sottolinea come il segno permanente (a) non sia solo il rivestimento del suono, (b) ma soprattutto l’elemento sotteso all’analisi del discorso, (c) ciò che orienta tale analisi e (d) che permette di comprendere come il considerare la lingua un metodo di analisi sia una questione sociale di grande importanza. Di fatti la distinzione tra scrittura geroglifica e scrittura propriamente detta acquista un rilievo morale, sociale, politico non di poco conto (II vol., p. 216): [Sebbene possa sembrare, a un primo colpo d’occhio, che tra il geroglifico e il segno permanente della scrittura propriamente detta non sia da porsi una così decisiva distinzione]: “Tuttavia, se noi li esaminiamo con attenzione, noi troveremo che le due scritture differiscono per la natura dell’operazione alla quale danno luogo, per la maniera di eseguire tale operazione, e per gli effetti che ne risultano; vedremo che queste differenze, delle quali non si è tenuto conto adeguatamente, hanno delle conseguenze così prodigiose, che bastano per decidere del destino delle nazioni, per produrre dei fenomeni morali e politici, di cui non si è mai resa ragione; e noi dimostreremo come un solo piccolo fatto, in apparenza ben poco importante, possa esercitare una grande influenza sul destino degli uomini: il che ci ricorda ancora una volta che le più piccole osservazioni sulle operazioni del nostro spirito hanno in realtà una grande importanza, e ci permettono di fare luce sulla storia del genere umano”. Ecco espresse in poche parole due cose molto importanti: (a) il valore del progetto generale dell’Ideologia per la storia del genere umano: partire dallo studio delle facoltà intellettuali e dalla formazione delle idee, per discendere all’espressione e alla combinazione di tali idee in ogni campo, in ogni ambito di formazione delle scienze dell’uomo (la Logica è spazio di formazione delle scienze dell’uomo); (b) l’importanza della scrittura per la storia del genere umano. In particolare, lo studio della differenza tra scrittura geroglifica e scrittura propriamente detta è importante per comprendere come queste differiscono “per la natura delle operazioni alla quale danno luogo”. Che cosa sono queste operazioni? Ovviamente le operazioni della mente: formare, esprimere, combinare idee, innanzitutto pensare. Ciò che Destutt de Tracy vuole anzitutto dimostrare è come la scrittura propriamente detta sia migliore della scrittura geroglifica per ragioni ideologiche, grammaticali, logiche, pedagogiche, morali, sociali, politiche – cioè per ogni ragione umana. Il geroglifico è classificato dal Tracy (cap. XVI) insieme a simboli, emblemi, attributi. Si tratta di un segno che rappresenta direttamente l’idea, in senso proprio o in senso figurato. Destutt de Tracy parla infatti di scrittura geroglifica o scrittura simbolica. La scrittura propriamente detta è scrittura alfabetica, fatta di alfabeto. I caratteri alfabetici non sono propriamente dei segni: un carattere alfabetico, o lettera, non rappresenta un’idea. Il suono, ovvero il segno che transita per il canale della voce, è il segno che rappresenta l’idea. I caratteri alfabetici sono gli elementi primi di articolazione che permettono di effettuare combinazioni di suoni. Questo ci permette di vedere come il rapporto tra sistema di scrittura e sistema delle idee passi per la lingua parlata. Applicando questo rapporto al caso della scrittura geroglifica se ne comprenderà meglio la differenza rispetto alla scrittura alfabetica. Il segno permanente, che è l’elemento della scrittura (geroglifico e parola), è effetto del suono: è ciò che si può intendere considerando l’operazione della scrittura, e come questa operazione, per via della lingua parlata, si relazioni all’operazione della mente; quindi considerando le funzioni della scrittura in rapporto alle operazioni intellettuali, passando per la lingua parlata. La scrittura propriamente detta è così nominabile perché l’operazione di scrittura mediante lettere consiste nell’operazione di traslare il segno, cioè il suono, nella forma del segno permanente. Invece la scrittura geroglifica non è scrittura propriamente detta perché l’operazione di scrittura mediante figure consiste nell’operazione di tradurre il contenuto del segno, cioè l’idea rappresentata dal segno, perché tale contenuto possa essere dato nella forma di rappresentazione del segno permanente, cioè nella figura (o simbolo), in un sistema di segni che è come una seconda lingua rispetto alla lingua parlata per il sistema di idee. Le operazioni di traduzione e di scrittura, ovvero di traslazione, sono spiegate dal Tracy nel cap. XVII del I vol.; si tratta delle due operazioni mediante le quali i suoni diventano segni permanenti. L’operazione di traduzione è applicabile a tutti i tipi di segno. Tutti i tipi di segno possono essere tradotti (I vol., pp. 312-313): “Tradurre è un’operazione per la quale si uniscono ai segni di un linguaggio le idee che erano unite ai segni di un altro linguaggio; a una prima associazione, la traduzione non fa che sostituirla con una seconda associazione e, di conseguenza, necessita di averle presenti tutte e due insieme allo spirito. Questa operazione ha luogo tutte le volte che noi trasportiamo le nostre idee dalla nostra lingua parlata in un’altra; ma questa operazione ha anche luogo quando noi esprimiamo dei segnali con dei gesti, dei gesti con dei geroglifici o con altre figure, delle figure con delle parole; o solamente quando noi sostituiamo un sistema di segni qualsiasi con un altro sistema di segni della medesima specie. In generale, si ha traduzione ogni volta che noi rimpiazziamo un linguaggio con un altro linguaggio. Questa operazione di tradurre la si compie ugualmente nelle nostre teste, sia quando noi emettiamo delle idee, sia quando noi le riceviamo, poiché la lingua nella quale noi riceviamo o noi emettiamo le idee non è la stessa lingua con la quale noi formiamo le idee, la lingua nella quale le idee sono intimamente legate in noi”. L’operazione di traduzione (a) non è propria del solo suono, ma può essere svolta per ogni specie di segno, (b) comporta il passaggio delle idee da un linguaggio a un altro avendo entrambi i linguaggi contemporaneamente compresenti alla mente (o allo spirito). Vediamo infatti come Destutt de Tracy parla dell’operazione della traduzione per la scrittura geroglifica (II vol., p. 217): [Nel caso della scrittura geroglifica]: “si ha sempre un doppio cambiamento dei segni. Si ha traduzione, vera interpretazione, quando si scrive [quindi bisogna passare dal sistema dei segni verbali al sistema dei segni permanenti], e una nuova traduzione, seconda interpretazione, quando si legge [quindi bisogna passare di nuovo dal sistema dei segni permanenti al sistema dei segni verbali]. La prova di ciò è nel fatto che non si può eseguire né l’una né l’altra operazione senza comprendere le due lingue impiegate, la lingua parlata e la lingua dipinta [o lingua figurata]. Ecco già due cause di errore, due cause di incertezza. Perché colui che intende leggere o che legge la scrittura geroglifica sia certo di avere precisamente il pensiero [il pensiero, cioè il concatenamento di idee, non l’idea sola] di colui che l’ha detto, occorrerebbe che detenga la prova che i segni della lingua parlata che per lui esprimono il senso siano esattamente i segni di cui si è servito l’autore. Ora, questa è una prova che non può che essere provata chiedendo ciò all’autore stesso (vedendo l’autore stesso), azzerando (riducendo a niente) la confidenza accordata allo scritto”. Questo per quel che riguarda l’operazione di traduzione nel caso della scrittura geroglifica. Nel cap. XVII del I vol., Destutt de Tracy aveva già annotato i problemi generati dall’operazione di traduzione (I vol., pp. 313-314): “Se [considerando l’operazione di traduzione tra due sistemi di segni] questa seconda lingua ci possa essere così familiare che quella nella quale noi pensiamo, se le nostre idee possano essere allo stesso modo legate ai segni dell’una e dell’altra lingua, se infine noi pensiamo indifferentemente nell’una o nell’altra lingua, la fatica della traduzione sarebbe nulla, o piuttosto non si parlerebbe più di traduzione. Ma io non credo che questa perfetta uguaglianza possa esistere in una testa umana; e se questa ha luogo, non può che essere tra due lingue parlate, tra due sistemi di segni vocali; poiché non abbiamo visto nessun’altra specie di segni tale da poter divenire così profondamente abituale come i suoni. L’operazione di tradurre mina dunque sempre la relazione tra le nostre idee e sensazioni certe”. Ciò vale ovviamente anche per la scrittura geroglifica considerata dalla prospettiva dell’esecuzione dell’operazione di scrittura, ovvero dell’esecuzione delle funzioni in quanto (a) strumento di registrazione, (b) strumento di pensiero (II vol., p. 218): “Occorre al contrario [al contrario rispetto alla scrittura alfabetica] che la scrittura, o piuttosto la lingua geroglifica [preziosa precisazione], sia dotata di tanti segni quante sono le parole della lingua parlata; e occorre avere la conoscenza di tutti questi segni per scrivere e per leggere tale lingua; si tratta di una nuova lingua da apprendere, e una lingua di cui non si può acquisire l’intelligenza grazie all’uso abitudinario della società. È una vera lingua morta che non si può che conoscere nei libri”. La scrittura geroglifica, o meglio la lingua geroglifica, mina il pensiero, la conoscenza, lo sviluppo dell’uomo con l’evoluzione delle conoscenze, la diffusione di queste. Alla scrittura geroglifica corrisponde un certo tipo di società (su questo punto diremo fra poco). Ma quello che si può già dire in anticipo, per comprendere bene la distinzione tra lingua geroglifica e scrittura propriamente detta, e soprattutto la loro incommensurabilità, è che (a) vi è un’incommensurabilità nel rapporto che questi due sistemi di scrittura hanno rispetto al sistema delle idee passando per la mediazione della lingua parlata: il geroglifico non ha le potenze articolatorie e combinatorie di cui è dotata la lettera; (b) per tale ragione non permette alcun progresso della lingua, e dunque delle conoscenze: perché la lingua geroglifica non può essere un metodo di analisi. Questa è la seconda incommensurabilità tra i due sistemi. Concludo la citazione del brano di cui sopra (II vol., p. 218): “tutta la massa della nazione è privata dell’uso dei segni permanenti delle idee; e il piccolo numero di uomini che si dedicano allo studio, e nello stesso tempo agli affari pubblici, poiché solo loro sono capaci di tracciare tali segni, passano tutto il loro tempo a studiare l’arte di esprimersi, senza riuscire completamente in tale arte, e senza che rimanga loro del tempo per poter imparare a pensare”. Passiamo ora all’operazione di scrittura. Diversamente dall’operazione di traduzione, la scrittura è operazione che pertiene al solo suono (I vol., p. 314): “L’effetto della scrittura è di rammentarci un suono fuggitivo per mezzo di un segno duraturo. Se gli uomini fossero ragionevoli, non avrebbero che un solo alfabeto per tutte le lingue parlate [questo punto è importante: implica che tutte le lingue parlate possono essere dotate di alfabeto, anche le lingue che hanno come sistema di scrittura la lingua geroglifica], e in questo alfabeto non avrebbero che un solo carattere per ciascuna voce e per ciascuna articolazione: tutto il resto non è che un ammasso di inutili varianti. Non vi è nessuna relazione diretta tra il carattere e l’idea: così, per scrivere o leggere delle parole, astrazion fatta delle irregolarità dell’ortografia, non è necessario di comprenderne il senso; è sufficiente sapere che un tale carattere corrisponde a un tale suono: dal momento che si comprende ciò, la sensazione visiva risveglia il ricordo della sensazione orale, ed ecco tutto. Si tratta, considerata bene, non tanto una traduzione quanto una traslazione del segno, e comunque in nessun caso una traduzione dell’idea; il che è cosa ben diversa, poiché una traduzione dell’idea mina il legame abituale tra tale idea e tale sensazione, mentre la parola scritta non fa nulla di più che far venire alla memoria la parola pronunciata”. Perciò l’alfabeto è un sistema di caratteri e non un sistema di segni o una lingua. Il vantaggio, quindi, è che in alcun modo si perde la relazione tra il segno e l’idea. La scrittura è del tutto trasparente (direbbe Foucault), e per questo perfetto mezzo di rappresentazione. Ecco cosa dice Destutt de Tracy nel II vol., cap. V, sulla scrittura propriamente detta (II vol., pp. 216-217): “La scrittura alfabetica è puramente meccanica ed è della più grande semplicità, se si fa astrazione dell’imperfezione dei nostri alfabeti e dell’irregolarità delle nostre ortografie. Questa si riduce, quando si tratta di scrivere, ad annotare bene i suoni che si intendono pronunciare; e, quando si tratta di leggere, a pronunciare esattamente i suoni che si vedono scritti. Non vi è alcun cambiamento di segno [mentre, abbiamo visto, che nella traduzione vi sono due cambiamenti]: non si hanno che due rappresentazioni differenti dello stesso segno convenuto e usato. Ciò non può dare in alcun modo luogo a errore: la prova è nel fatto che, per scrivere un discorso pronunciato, e per leggere un discorso scritto (sempre astrazion fatta dell’irregolarità dell’ortografia), non è affatto necessario intendere tale discorso. Colui che tiene un discorso scritto per mezzo dell’alfabeto è dunque ben sicuro di possedere il pensiero di colui che ha pronunciato tale discorso (…)”. Il vantaggio fondamentale recato dalla scrittura alfabetica consiste nel fatto che (a) non procura passaggi di segno e quindi (b) conserva la relazione che sussiste tra il suono e l’idea che il suono esprime. In tal senso la scrittura (astrazion fatta delle irregolarità ortografiche) è pura rappresentazione. Ciò ha delle importanti conseguenze sociali (II vol., pp. 217-218): “Per scrivere e leggere ogni sorta di lingua per mezzo della scrittura alfabetica, è sufficiente avere l’intelligenza di un esiguo numero di caratteri. (Io credo che un alfabeto ben completo, e anche molto scrupoloso nel marcare le sfumature più fini, ne dovrebbe comprendere una quarantina [il che rimanda al progetto di ortografia di cui diremo alla fine]). Ora, questo è un piccolo talento molto facile da acquisire, soprattutto se l’ortografia è regolarizzata: e, talmente facile, che con una buona organizzazione sociale, nel giro di pochi anni, non si avrà più un individuo, in una nazione disciplinata (nation policée) che sia privato di questo vantaggio”. Questo punto è molto importante. La società che corrisponde al modello esatto di scrittura ancora non esiste, perché la scrittura non è ancora perfetta. Inoltre, un modello perfetto di scrittura, insieme a un’organizzazione sociale perfetta, perfettamente disciplinata, è fondamentale per il compimento di una democrazia delle conoscenze e della lingua, perché le conoscenze possano essere diffuse fra tutti. Ma per costruire questo è necessario (a) un adeguato sistema di educazione e (b) un preciso metodo di insegnamento. E un preciso metodo d’insegnamento deriva da un’adeguata filosofia, Filosofia prima, cioè Logica. È ciò che Destutt de Tracy fa (a) come intellettuale impegnato e in qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione e (b) come autore degli Elémens d’Idéologie. Sono due compiti che vengono riuniti nella stessa opera, nello stesso progetto: il progetto generale dell’Ideologia. In questa doppia direttrice, la Grammatica generale occupa una funzione importante: quella di disciplinamento della lingua, solo metodo d’analisi, e solo mezzo di diffusione delle conoscenze. Ma un insegnamento adeguato della Grammatica generale, come parte di un insegnamento più generale dell’Ideologia, non può che dare i suoi frutti che nell’ambito di una società disciplinare, in cui nessun individuo resti solo, ma ciascun individuo occupi (a seconda delle funzioni esercitate) posizioni precise nella società. È in questo senso che si può parlare del progetto generale dell’Ideologia, e del progetto sulla lingua e sulla scrittura nella Grammatica generale, di quadrettatura delle idee (e quindi quadrettatura della conoscenza) e di quadrettatura delle parole (ossia di quadrettatura della lingua) – considerando l’importanza che ha la nozione di quadrillage nello studio sui sistemi disciplinari di Foucault, e considerando anche che lo stesso Foucault ne Le parole e le cose parli di quadrettatura delle parole, ossia della lingua, come l’operazione che compie l’analisi, ovvero come l’operazione che compie la lingua su se stessa. La lingua come metodo di analisi significa questo: quadrillage del discorso, che è espressione del pensiero, scomporre discorso e pensiero nei loro elementi (proposizioni, parole, funzioni delle parole; idee composte e idee semplici) e poter ricomporre pensiero e discorso nello spazio vuoto della Logica. La Logica è lo spazio di rappresentazione, quindi lo spazio da quadrettare. Quale ruolo svolge quindi la scrittura in tale progetto? La scrittura è fatta di caratteri alfabetici che permettono la traslazione del rapporto di rappresentazione del suono con l’idea che il suono esprime. Quindi la scrittura è una pura operazione di rappresentazione, in quanto non aggiunge nulla a ciò che compone il rapporto che trasla; o meglio, non dovrebbe aggiungere nulla, facendo ammenda delle imperfezioni ortografiche delle scritture in uso. È solo per mezzo della scrittura che è possibile proiettare il rapporto di rappresentazione del segno intrattiene con l’idea; è solo per mezzo della scrittura che è possibile costituire una Logica rigorosa e ordinata, una vera e propria scienza dell’ordine, in quanto la scrittura è articolazione e combinazione di caratteri rappresentanti suoni distinti nell’ordine della successione. Operazione neutra di rappresentazione, la scrittura non fa altro che riprodurre interamente il rapporto di successione e di contenimento che caratterizza la struttura del ragionamento e la struttura dell’enunciato di giudizio. In un certo senso, fa assurgere tali strutture a un grado di pura visibilità, che non fa vedere nulla che prima era nascosto, ma solo ciò che è già evidente nella loro stessa forma. Veniamo dunque alla questione sociale, politica e pedagogica della scrittura. Si è detto dell’incommensurabilità della lingua geroglifica e della scrittura alfabetica. Destutt De Tracy rigetta le tesi della derivazione della scrittura alfabetica dalla scrittura geroglifica (in particolare la tesi di Warbuton). Di fatti, in ragione della differenza che abbiamo visto nei due sistemi, e nell’operazione costitutiva dei due sistemi (traduzione e traslazione), non è possibile che la seconda derivi dalla prima: la scrittura propriamente detta è ciò in cui può essere traslata qualsiasi lingua parlata, comprese le più antiche e quelle che fanno uso dei geroglifici. Essa è un sistema trasparente di rappresentazione del rapporto di espressione dei suoni della lingua parlata con le idee. Il geroglifico, invece, è un segno distorto, una distorsione nel processo di evoluzione dell’uomo. Non ci sono ragioni precise per cui gli uomini hanno adottato tale seconda lingua come sistema di scrittura (il Tracy potrebbe fare riferimento a ragioni di climat, cioè di clima e ambiente, ma critica tali spiegazioni). Si potrebbe parlare di ragioni politiche o sociali, cioè il sistema dei geroglifici sarebbe conforme a una società chiusa e fortemente divisa tra una élite e una massa. Ma il Tracy non propone di queste spiegazioni e preferisce dire che ciò può avvenire a caso. Infatti in tutta la sua opera non ha fatto altro che studiare gli effetti, cioè le implicazioni funzionali, non le cause. Ma ciò che gli sembra importante sottolineare è che la differenza di scrittura è dovuta a una differenza di abitudini che si formano tra i popoli nel modo di rappresentare le idee. Alcuni popoli si affidano a pitture, figure, simboli, altri popoli si affidano alla musica. L’incommensurabilità tra i due sistemi di scrittura ha dunque una ragione storica precisa: vi sono popoli di pittori e popoli di musicisti. La lingua geroglifica deriva dalla pittura, la scrittura alfabetica dal sistema di notazione della musica. Questa differenza si nota nel progresso delle conoscenze. I popoli di musicisti sono più evoluti dei popoli di pittori. Per tale ragione bisognerebbe costruire un sistema di notazione della lingua parlata dei popoli di pittori, per es. dei popoli dell’Oriente: ciò sarebbe loro di aiuto nel progresso e nella diffusione delle conoscenze, nonché nello sviluppo della società, dato che le sorti di un popolo dipendono dallo stato delle loro conoscenze e lo stato delle loro conoscenze dipende dalla scrittura adoperata. Su questo punto Destutt de Tracy si ispira a Volney. Ma, nello stesso tempo, è consapevole del fatto che se un popolo dovesse passare dalla lingua geroglifica alla scrittura alfabetica sarebbe per via di una rivoluzione che toccherebbe ogni aspetto della vita sociale di tale popolo. Le conseguenze sociali e politiche della lingua geroglifica sono precisamente elencate dal Tracy in sette punti: (a) la maggior parte degli abitanti di una nazione che usa la lingua geroglifica non può apprendere la lingua scritta e non può acquisire le conoscenze più semplici; (b) i pochi saggi che si dedicano all’arte di scrivere si dedicano per lo più a comprendere tale arte e hanno poco tempo da dedicare alle conoscenze; (c) per tale ragione questi pochi saggi non fanno grandi progressi nelle conoscenze: inoltre, data la fragilità del geroglifico, la comunicazione è difficile e non possono essere mai sicuri di ciò che ha scritto un altro saggio; (d) se un saggio fa una scoperta preziosa, questa cade subito nell’oblio proprio a causa delle difficoltà di comunicazione per mezzo del geroglifico; (e) tale difficoltà si estende anche per quel che riguarda la possibilità di apprendere le conoscenze trovate da popoli stranieri; (f) infatti una nazione che usa la lingua geroglifica ha poca comunicazione con i paesi stranieri; (g) infine i saggi, proprio in ragione del fatto che non possono fare grandi progressi mediante i geroglifici, e a causa del fatto che tutte le loro conoscenze si perdono facilmente, inculcano nel popolo un rispetto eccessivo per gli antenati e un orrore per ogni tipo di cambiamento. Quali sono le conseguenze sociali e politiche della scrittura alfabetica? Queste non possono essere considerate che a posteriori, giacché è parte del progetto di riforma del sistema di istruzione pubblica (degli ambienti di istruzione e del metodo d’insegnamento). Dopo aver sviluppato un’analisi del suono nelle sue cinque componenti (voce, durata, articolazione, tono, timbro, ovvero: vocale, quantità, consonante, accento, mentre il timbro è una qualità personale), Destutt de Tracy afferma di aver individuato venti consonanti, diciassette vocali, due toni marcati e uno non marcato, quattro numeri di durata più una durata non marcata che è la durata più breve del suono: questi sono gli elementi irriducibili del suono mediante i quali sono possibili tutte le combinazioni, e che possono essere traslati in una forma di scrittura precisa se a ciascun elemento sonoro individuato si facesse corrispondere una lettera, ovvero un carattere alfabetico. Ma tale corrispondenza non è convenzionale, bensì naturale: infatti l’elemento sonoro suddiviso, cioè scomposto, è già caratterizzato. Tale scomposizione non giunge ad altro che alla gamma dei suoni di cui è capace l’apparato fonatorio dell’uomo. In questo caso la condizione naturale non è data a priori, all’origine: non è che in origine gli uomini primitivi possedessero tutta la gamma di suoni. Essi sappiamo che comunicavano con gesti, tocchi, grida. Questa condizione naturale (come scrive Labarrière) è ciò a cui deve giungere l’uomo, è il grado totalità e di perfezione a cui deve mirare l’uomo. Ed è da raggiungersi attraverso un processo storico. Gli alfabeti, derivando da tale gamma, a causa dell’uso e di altre ragioni, divengono imperfetti e si discostano dal modello. Sugli alfabeti in uso il Tracy scrive (II vol., pp. 282-283): “I nostri alfabeti sono tutti formati sulla base dei principi che io ho delineato; ma non sono né così completi né così regolari. La ragione è semplice: questi alfabeti non sono stato composti dopo un’analisi riflessiva sulle parole, come si è portati a credere. I loro primi elementi sono dovuti a delle osservazioni grossolane e imprecise. Se ne sono in seguito aggiunte delle altre [di riflessioni] ogni volta che uno ne ha sentito il bisogno. Spesso si sono improntati su alfabeti differenti, come quando si adottano delle parole di una lingua straniera; o si è cambiato il valore dei caratteri di cui si fa uso, per imitare l’uso che ne fanno altri popoli. Perciò, questi alfabeti sono diventati un assemblaggio fortuito di pezzi e di rapporti presi qua e là, e messi insieme senza piano, senza veduta, senza sistema. In certi casi un carattere manca, e un altro ne riunisce parecchi per esprimere una sola voce e una sola articolazione; a volte lo stesso carattere assume successivamente parecchi valori. Qualche volta un’articolazione o una voce non hanno segni; altre volte si possono rendere in cinque o sei modi differenti. (…) In una parola, i nostri alfabeti, visti la loro difettosità e il cattivo uso che ne facciamo, sarebbe a dire i nostri vizi ortografici, meritano ancora appena il nome di scrittura. In realtà non sono che delle maladroites tachigraphies (…)”. Come spiega Labarrière nell’articolo che ho citato all’inizio di questa parte, secondo Destutt de Tracy gli alfabeti in uso sono troppo poco musicali e fanno troppa economia di notazione. Nessun alfabeto ha il numero di caratteri completo che sono necessari per far sì che ogni elemento del suono possa essere rappresentato mediante un carattere, e che quindi l’intero suono, con l’idea che esprime, possa essere rappresentato da una combinazione singolare di caratteri: (p. 176) “Noi – scrive Labarrière – siamo dunque in ritardo rispetto alla “essenza” della scrittura alfabetica” perché non abbiamo tratto tutte le dovute conseguenze dalla dotazione della scrittura alfabetica. “Per “essenza” non intendo rinviare (…) a una qualche forma o struttura a priori che preesisterebbe in un qualche cielo delle idee e che ordinerebbe il reale o la storia. Io intendo piuttosto fare segni, fare dei termini migliori, verso un modello costruito pragmaticamente a posteriori. La logica dell’essenza sarebbe in tal modo una logica dell’azione, il che significa che l’essenza, costruita, è ciò che è davanti a noi, ciò che è ancora da fare, non qualcosa che ci è già stata data”. “Oserei io, oggi, dopo tanti altri [che ci hanno lavorato prima di me], fare una proposta per correggere la nostra scrittura?”, è ciò che si chiede subito dopo il passo citato sopra il Tracy, non sentendosi scoraggiato dall’insuccesso avuto dai suoi predecessori, proprio perché lui ritiene di “aver colto nel segno” scomponendo il suono. Ma, poco più avanti, afferma (II vol., pp. 286-287): “Se non oso proporre di cambiare la nostra maniera di scrivere (…) è per l’intima convinzione che ogni progetto di questo genere è assolutamente inutile, soprattutto se la proposta è fatta da un uomo isolato: in effetti, una riforma parziale, eliminando uno o due difetti per lasciarne mille altri, non sarebbe di alcun vantaggio; e una riforma completa è pressoché impossibile, perché vi sono troppe abitudini che vi pongono resistenza. Per cambiare del tutto un’usanza che riguarderebbe tutte le istituzioni sociali, occorrerebbe un consenso unanime che non si può supporre, e che sarebbe un vero e proprio rovesciamento della società. Non è dunque cosa pensabile; ma credo che, lasciando sopravvivere questi usi, che non possono essere distrutti, sarebbe una cosa molto utile segnalare i vizi di questi usi, le loro cause e le loro conseguenze, e di porre al fianco della nostra scrittura tale quale è, un modello perfetto di quella che dovrebbe essere. Forse è solo questo il modo per combattere con successo gli errori troppo ripetuti”. Un progetto ortografico non dovrebbe avere come scopo quello di rimpiazzare gli alfabeti in uso – il che è una chimera – ma lo scopo di fungere da modello generale esercitando le funzioni di controllo e di vigilanza sulle scritture, per segnalare e combattere gli errori. Questo è un modello disciplinare, che sia per le scritture ciò che per le misurazioni è il sistema metrico decimale: un sistema che sia facile e comune strumento di valutazione. Ma per essere tale, è necessario che, all’atto pratico, il modello ortografico perfetto si confronti con le individuali scritture alfabetiche, per segnalare ed eliminare vizi e errori. Deve essere un modello in grado di agire e di funzionare su tutte le scritture alfabetiche – e probabilmente è anche il modello grazie al quale sviluppare un sistema di caratteri alfabetici per esportare in Oriente le conoscenze e diffonderle fra le popolazioni “soggiogate” dalla sovrana lingua geroglifica. La scrittura è strumento indispensabile per il consolidamento di conoscenze certe e per la loro diffusione perché è operazione trasparente di rappresentazione. Un modello perfetto di scrittura, sebbene non possa sostituire le scritture in uso, può comunque avere il compito di controllore delle scritture nazionali, di strumento di disciplinamento e di quadrettatura delle scritture innanzitutto individuando e combattendo errori e vizi. La scrittura è mezzo facile da acquisire per tutti e prima porta di accesso al mondo delle conoscenze certe, ovvero alla Logica. Un buon sistema d’istruzione, con un buon metodo di insegnamento organizzato secondo l’Ideologia devono essere accessibili a tutti. Riporto di nuovo un passo che ho citato più sopra e che riguarda gli effetti sociali della scrittura propriamente detta: “Per scrivere e leggere ogni sorta di lingua per mezzo della scrittura alfabetica, è sufficiente avere l’intelligenza di un esiguo numero di caratteri. (…) Ora, questo è un piccolo talento molto facile da acquisire, soprattutto se l’ortografia è regolarizzata: e, talmente facile, che con una buona organizzazione sociale, nel giro di pochi anni, non si avrà più un individuo, in una nazione disciplinata (nation policée) che sia privato di questo vantaggio”. Ciò che nel giro di pochi anni Destutt de Tracy crede di intravedere è ciò che, nell’Introduzione alla Grammatica, chiama era francese (II vol., pp. 24-25): “Per far fare dei grandi progressi alla filosofia razionale, e per portare a un grado di perfezione la conoscenza umana, bisognerebbe aggiungere all’indipendenza dagli antichi più scienza e più riserva, e, osservando come i moderni, poter esaminare tutto e parlare su tutto; ora, questo momento non è ancora arrivato. Il momento in cui l’uomo riunirebbe infine il grande fondo delle conoscenze acquisite, un metodo eccellente e una totale libertà, sarebbe l’inizio di un’era assolutamente nuova nella storia. Quest’era è veramente l’era francese; e questa ci fa prevedere uno sviluppo della ragione, e una crescita della felicità, di cui si cercherebbe invano di giudicare cercando nei secoli passati: poiché niente assomiglia a ciò che comincia”. L’era francese è il vero compimento della Rivoluzione Francese, superata la parentesi giacobina, e soprattutto il grande risultato della Logica, quella rivoluzione lentissima ma grandemente utile di cui parlava Condillac e che Destutt de Tracy rammenta all’inizio della sua Logica. All’era francese, epoca nella quale la conoscenza è rigorosa e per tutti, le scritture sono perfette, gli uomini vivono nello spazio della Logica, sono rivolti gli élémens d’idéologie, il progetto teorico e pratico di Destutt de Tracy: sistema filosofico, metodo d’insegnamento, riforma dell’istruzione pubblica. Guardando positivamente alla lingua come metodo d’analisi quale passaggio per costruire quest’era, e in questo senso metodo storicizzato, concludo citando un passo di Lakanal dal suo Rapport sur létablissement des Ecoles normales du 2 brumaire, l’an II (p. 168 di Labarrière): “Come la libertà politica e la libertà illimitata dell’industria e del commercio cancelleranno le ineguaglianze mostruose delle ricchezze, così l’analisi applicata a ogni genere di idee, in tutte le scuole, cancellerà l’ineguaglianza delle conoscenze certe (des lumières), ineguaglianza ancora più fatale e più umiliante della prima. L’analisi è dunque essenzialmente uno strumento indispensabile in una grande democrazia: la conoscenza certa (lumière) che l’analisi diffonde ha tanta facilità a penetrare dappertutto, che, come tutti i fluidi, tende senza cessare a porla allo stesso livello”. Il che (ri)aprirebbe tutta la problematica archeologica, ma magari considerandola intrecciata con la problematica genealogica, ricostruendo, cioè, non solo le posizioni teoriche, ma anche le posizioni pratiche, la costruzione della verità nelle sue ramificazioni in termini di rapporti di sapere e di rapporti di potere.