Appunti sulla teoria del segno in Destutt de Tracy
0. Premessa
0.1. Premessa
Questa è una relazione su Antoine Louis Claude Destutt de Tracy e in particolare della sua opera
più importante, gli élémens d’idéologie (Elementi di ideologia).
Faccio alcune premesse.
0.2. Premessa (a): sul segno linguistico in rapporto agli altri segni
Sappiamo che Saussure, nel Corso di linguistica generale, pone l’esigenza teorica di una nuova
scienza, la semiologia, di cui la linguistica ne sarebbe una parte. La semiologia è la scienza che
studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. La linguistica è una parte della semiologia, la
più importante. La scienza del linguaggio si compie, il problema linguistico può essere
adeguatamente affrontato, cioè è possibile studiare la vera natura della lingua, solo ponendo la
linguistica in rapporto con la semiologia, solo ponendo il sistema linguistico in rapporto con tutti gli
altri sistemi di segni. Al contrario di Saussure, Antoine Louis Claude Destutt de Tracy propone una
Grammatica generale come scienza delle espressione delle idee, o anche come scienza dei segni. Di
tutti i sistemi di segni. Ma, ed è facile intuirlo, la Grammatica generale non si occupa di tutti i
sistemi di segni, ma solo del segno linguistico, del segno verbale. Ciò perché il segno linguistico,
che è la parola in quanto catena di suoni, ovvero la catena di suoni, dal singolo suono
(l’interiezione) a una catena lunga di suoni, è il più adoperato dagli uomini. Pur affermando che la
teoria del segno è teoria valida per tutti i segni e non solo per il segno linguistico, tuttavia l’analisi
del segno è solo analisi del segno linguistico.
La prima questione che affronteremo è il concetto di analisi, e della lingua come metodo d’analisi.
Vedremo come l’analisi implica il sistema e presuppone l’osservazione. Questi sono i criteri
epistemologici e metodologici del pensiero degli idéologues (Sergio Moravia). Questo punto è
importante per comprendere il passaggio successivo.
0.3. Premessa (b): sulla teoria del segno in Destutt de Tracy
La teoria del segno in Destutt de Tracy è la scienza del segno che va sotto il nome di Grammatica
generale. Nell’opera sistematica, nella sistemazione che è l’opera del Tracy (i suoi Elementi di
Ideologia), la Grammatica generale occupa un posto preciso. Ciò su cui mi interessa riflettere è il
ruolo della Grammatica generale nel progetto scientifico di Destutt de Tracy.
La teoria del segno, infatti, non viaggia da sola. Essa è innanzitutto (a) una teoria che si deve
sviluppare solo dopo aver sviluppato una teoria delle idee. In secondo luogo (b) la teoria del segno
non è isolata, ma è inquadrata in una scienza del discorso. La scienza del discorso è la Logica in
quanto Filosofia prima, cioè il tessuto che tiene insieme tutto il progetto scientifico dell’Ideologia.
Questo punto è importante per capire la teoria del segno. Infatti il segno non si rapporta solo alla
idea, ma anche a se stesso: ovvero alla sua forma grammaticale, che è l’insieme delle funzioni
grazie alle quali il segno occupa una posizione precisa nella proposizione, mediante le quali è
possibile articolare il segno e combinarlo con altri segni nell’ordine lineare e di successione proprio
della proposizione. Il segno, infatti, non è semplicemente la parola, ma la parola in quanto
sostantivo, attributo, pronome, avverbio, congiunzione ecc. La proposizione è ciò che fa da
collegamento tra il segno e il ragionamento, tra la Grammatica generale e la Logica: la
proposizione è un enunciato di giudizio, ovvero un concatenamento di segni-idee; il ragionamento è
un concatenamento di enunciati di giudizio. Poi vedremo questo punto.
Questi due punti di cui ho appena detto sono le due facce del problema che intendo affrontare
parlando della teoria del segno in Destutt de Tracy: la teoria del segno entro il progetto scientifico
dell’Ideologia, considerata in rapporto alla teoria delle idee e in rapporto allo studio del
concatenamento di segni-idee nello spazio di rappresentazione del discorso; o anche, il ruolo della
Grammatica generale in rapporto all’Ideologia propriamente detta e alla Logica, nel quadro di una
generale scienza del discorso, che è anche una teoria della conoscenza.
0.4. Premessa (c): sul carattere teorico e pratico dell’opera di Destutt de Tracy
Questo che ho ora detto possiamo chiamarlo il progetto teorico dell’Ideologia, l’impianto degli
élémens d’idéologie. Tuttavia questo piano teorico è, in Destutt de Tracy, collegato a un progetto
pratico. Le due casi sono intimamente legate. Si tratta di considerare il ruolo di intellettuale di
Destutt de Tracy nel periodo seguente la Rivoluzione Francese, che va dal 1789 alla conquista del
potere assoluto di Napoleone, grande nemico degli idéologues, dove il momento storico più
importante è l’età del Direttorio, che va dal 1795 al 1799, dalla fine dell’età del terrore, ovvero della
dittatura di Robespierre, al colpo di stato di Napoleone (Napoleone e i napoleonici compivano
campagne denigratorie, un po’ come spesso fanno Libero e Il giornale, fino ad agire, con
provvedimenti ad hoc e con la censura, sulle istituzioni e sulle riviste create dagli idéologues).
Il carattere rivoluzionario, engagé, di Destutt de Tracy può essere ben esemplificato da una frase
della Logica di Condillac che il Tracy pone all’inizio della sua Logica: “Una buona logica
produrrebbe negli spiriti una rivoluzione lentissima, e il tempo solo potrebbe un giorno farne
conoscere l’utilità”.
Gli élémens d’idéologie sono un’opera oltremodo sistematica e piena di ripetizioni, di ragionamenti
legnosi e pesanti, con estratti ragionati alla fine di ogni singolo volume che riassumono gli
argomenti trattati capitolo per capitolo. Eppure, paradossalmente, sono un’opera che vuole essere
rivoluzionaria, che guarda oltre, all’orizzonte, verso ciò che Destutt de Tracy, in un impeto di
ragionevole immaginazione, nell’Introduzione alla Grammatica generale, chiama era francese. Ci è
difficile comprendere questo carattere rivoluzionario. Ma dobbiamo tenere conto: (a) della frase di
Condillac sopra riportata; (b) del ruolo degli idéologues nella Rivoluzione Francese (di cui Moravia
ha trattato ne Il tramonto dell’Illuminismo). L’era francese auspicata da Destutt de Tracy non è
altro che il compimento dei valori idéologiques della Rivoluzione Francese, frutto della rivoluzione
culturale illuminista, in una società democratica in cui tra il popolo possano diffondersi le
conoscenze illuminate, in cui, grazie alla diffusione e alla comunicazione delle idee, al commercio
delle idee (e l’omologia tra comunicazione e commercio, tra comunicazione tra gli uomini e società
degli scambi, non è cosa da poco), tutta la società possa vivere un’epoca di continuo, incessante,
positivo progresso.
Ma come si realizza una simile società? Il Tracy chiaramente non lo dice, se non in un’espressione
che è illuminante. Troviamo tale espressione nel V cap. della Grammatica generale, capitolo
dedicato alla scrittura, ovvero alla proprietà fondamentale del segno verbale di poter dare vita al
segno permanente. La scrittura di cui parla il Tracy è la scrittura alfabetica. Nessun individuo, dice
il Tracy, grazie alla semplicità e rapidità della scrittura alfabetica, soprattutto con un’ortografia
regolarizzata, nessun individuo resterà indietro, nessun individuo sarà escluso dai vantaggi sociali
di una conoscenza illuminata e diffusa, in una buona organizzazione sociale (bonne organisation
sociale) e in una nation policée: in una nazione, quindi, civilizzata, ma civilizzata nel senso di
essere ordinata, disciplinata. La rivoluzione degli idéologues è una rivoluzione disciplinare, contro
la sovranità di un’élite che possiede tutte le conoscenze, di una società estremamente divisa in cui i
saggi, affiliati al potere assoluto, tengono sotto scacco il popolo ignorante (questo quadro è proprio
delle nazioni che adottano la scrittura geroglifica). Una società disciplinare è una società che non
lascia solo l’individuo, che lo coinvolge e lo attiva nelle funzioni che può e deve esercitare a
seconda della posizione che viene via via ad occupare. Lo spazio di una società disciplinare è uno
spazio quadrettato (bisognerebbe considerare da questa prospettiva l’opera di Condorcet, la sua
matematica sociale – l’applicazione del calcolo della probabilità a questioni sociali, come il sistema
delle votazioni in assemblea).
In che modo questo problema della disciplina è presente negli élémens d’idéologie? Lo è nel senso
in cui la Logica che sottende il progetto scientifico dell’Ideologia è la scienza della quadrettatura
del discorso, la scienza generale dell’ordine (di cui parla Foucault ne Le parole e le cose), nella
quale la Grammaticale generale è scienza dell’ordine del segno, e quindi non solo dell’ordine del
linguaggio, ma anche dell’ordine delle idee. E vedremo che ciò si dà proprio per l’orientamento
verso la Logica, terza parte dell’Ideologia generale, che è lo spazio “vuoto” nel quale tutto ritorna,
nel quale tutto deve arrivare, con le loro funzioni e le loro possibilità combinatorie, spazio “vuoto”
da disciplinare, da quadrettare.
Ciò non è solo ricostruibile mediante un percorso archeologico, ma va anche inquadrato nell’attività
del Direttorio. Altrimenti non capiremmo che ci fanno, nel IV volume degli élémens d’idéologie, le
pièces justificatives, le circolari che Destutt de Tracy compilava in qualità di funzionario del
Ministero dell’Istruzione. Qui è il progetto pratico di una riforma dell’istruzione, da considerarsi
sotto gli aspetti di (a) una riforma della scuola (allo stesso modo in cui Cabanis auspicava una
riforma dell’ospedale) e di (b) una riforma del metodo d’insegnamento. Quest’ultima riforma non
può che darsi a partire da una nuova impostazione metodologica, che è quella che Destutt de Tracy
elabora scrivendo gli élémens d’idéologie, opera rivolta soprattutto ai giovani (come Condillac
sperava che la sua logica potesse essere letta dagli ignoranti piuttosto che da tronfi sapienti, perché
è la “mente vuota” che bisogna quadrettare), ad uso delle scuole.
0.5. Premessa (d): ripetizioni, il concetto di ideologia
Ultima premessa: quando userò espressioni come “ideologico” farò riferimento sempre all’ideologia
nel senso di Destutt de Tracy. Inoltre userò le espressioni “Ideologia generale” o “progetto generale
dell’Ideologia” per fare riferimento al progetto scientifico dell’opera del Tracy, mentre con
“Ideologia propriamente detta” è espressione che il Tracy usa per la scienza della formazione delle
idee, I vol. dell’opera.
Infine userò le due espressioni “Logica come Filosofia prima” per riferirmi all’impianto
epistemologico dell’opera e “Logica” per riferirmi al III vol. dell’opera, ovvero alla scienza della
combinazione e della deduzione delle idee.
0.6. Organizzazione dei tempi
Vorrei dividere in due tempi questo intervento.
Nel primo tempo desidero affrontare i primi due punti, l’analisi e il progetto scientifico
dell’Ideologia. Discuterò di questi due punti in modo introduttivo, per delineare il quadro
metodologico ed epistemologico degli Elementi di ideologia.
Nel secondo tempo vorrei in primo luogo presentare la teoria del segno (gli ultimi due capitoli del I
vol. e i primi quattro del II vol.) nel quadro epistemologico e metodologico delineato nella prima
parte, considerando le tre funzioni del segno (pensiero, comunicazione, memoria) e concludere
affrontando il terzo punto, che potremmo chiamare il progetto disciplinare dell’Ideologia.
Quest’ultimo punto abbraccia i due ultimi capitoli del II vol. che discuterò in ordine inverso: prima
l’ultimo, sulle lingue perfette, infine il quinto, sulla scrittura.
PRIMO TEMPO
Biografia e Opera
1.1. Biografia
Chi era Antoine Louis Claude Destutt de Tracy. Espongo in due parole la sua breve biografia, che è
comunque importante per contestualizzare l’opera nella sua attività intellettuale e la sua attività
intellettuale nel periodo agitato della storia della Francia che va dalla Rivoluzione Francese alla
presa del potere di Napoleone.
Destutt de Tracy nasce a Parigi nel 1754, rampollo di una famiglia aristocratica. Cresce educato alla
caccia e all’equitazione, tant’è che avrà spesso da lamentarsi del sistema educativo della Francia
pre-rivoluzionaria.
Destutt de Tracy partecipa alla Rivoluzione Francese è eletto negli Stati Generali come
rappresentante della nobiltà e del clero del Borbonese, provincia nel cuore della Francia. Nel 1793,
quando Robespierre prende il potere, Destutt de Tracy, come accadde alla maggior parte dei filosofi
e degli intellettuali che erano scesi in politica, fu arrestato e detenuto in carcere per undici mesi.
Non furono undici mesi persi, perché è proprio sfruttando quest’occasione di riposo forzato che il
Tracy legge Locke e Condillac, venendo fulminato sulla via della filosofia.
Dopo la fine del periodo del Terrore fu nominato senatore in un periodo molto importante per gli
intellettuali francesi. Tale periodo va dal 1795 al 1799. Si tratta del periodo del Direttorio. Destutt
de Tracy, oltre che senatore, si dedica alla riforma del sistema educativo francese e scrive numerose
lettere in qualità di funzionario del Ministro dell’Istruzione, lettere pubblicate nel quarto volume
degli Elementi di Ideologia. In questo periodo viene ricostituita la Società d’Auteuil, che era la
società dei filosofi della generazione dopo gli illuministi (i philosophes), ovvero gli idéologues.
Destutt de Tracy è tra i protagonisti della Società, insieme al suo amico e compagno di studi, il
fisiologo Cabanis (questa amicizia è importante per considerare il giusto orientamento degli
Elementi di Ideologia).
La Società d’Auteuil nacque nel 1771 per opera di Madame Helvétius e prende il nome dalla
residenza di Auteuil, dove si tenevano le riunioni. Nella villa risiederanno molti idéologues, tra i
quali Cabanis e Destutt de Tracy, quest’ultimo dopo il 1789.
Destutt de Tracy è anche esponente dell’Institut, una delle più importanti istituzioni accademiche
nella Francia dell’epoca, lavora nella seconda classe, delle “Scienze morali e politiche”, sezione
“Analisi delle sensazioni e delle idee”, che sarebbe la sezione di filosofia, o di metafisica.
Diversamente dalla “filosofia”, l’analisi delle sensazioni e delle idee intende ricondurre l’analisi
delle facoltà intellettuali allo studio dell’organisation materiale, ovvero partire dal dato fisico per
giungere al dato psichico, senza staccare quest’ultimo dal primo, senza ridurre lo psichico al fisico.
Questa importante stagione si interrompe nel 1799 con la presa del potere da parte di Napoleone (il
colpo di stato del 18 brumaio). Napoleone e i suoi seguaci cominciano una campagna feroce e
denigratoria contro gli idéologues che non farebbe invidia al Giornale e a Libero.
Tracy, che ha lasciato il posto di senatore, è sempre più sfiduciato dal corso della politica nazionale.
Ma la sua opera principale, gli Elementi di Ideologia, comincia a essere pubblicata proprio in questo
periodo, cioè quando l’avventura degli idéologues, del gruppo della Società d’Auteuil, è ormai alla
fine. Dirò dopo le date di uscita dei volumi quando dirò in breve che cosa contengono e cosa ci
interessa.
Proseguendo nella biografia del personaggio, Tracy, sfiduciato, vive ad Auteuil, lontano dal centro
parigino. Non fa uscire subito il quinto volume degli Elementi, che contiene le sue idee
sull’economia considerate dal punto di vista delle azioni degli uomini, proprio perché teme
ritorsioni da parte dei napoleonici. È comunque tra coloro i quali nel 1814 chiedono la destituzione
di Napoleone.
Lo rincontriamo nel 1820, vecchio e malfermo, farsi portare presso le barricate durante i moti
rivoluzionari per incitare gli insorti. Muore nel 1834.
1.2. Opera
Gli Elementi di Ideologia escono in cinque volumi. Il primo volume, Ideologia propriamente detta,
esce nel 1801. Nel 1803 esce il secondo volume, la Grammatica. Nel 1804 appare la seconda
edizione rivista del primo volume. Nel 1805 la Logica. Nel 1815 appare finalmente il quarto
volume, Sulla volontà e i suoi effetti, che nella seconda riedizione complessiva (1826-1827)
diventerà il quinto volume, perché si aggiungerà un quarto volume in cui sono raccolti
un’appendice della Logica (con sommario ragionato dell’Instauratio magna di Bacone e la
traduzione della logica di Hobbes contenuta nel De corpore), i Principi logici o fatti relativi
all’intelligenza umana, che il Tracy aveva scritto in altra occasione come summa del suo lavoro
sull’ideologia, e le lettere indirizzate in qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione sul
sistema educativo.
1.3. Piano dell’opera
Il piano dell’opera ci aiuta a capire cosa contengono i volumi (I vol., p. 14). Il primo volume tratta
dell’ideologia propriamente detta, ovvero della scienza della formazione delle idee. Il secondo
volume tratta della grammatica generale, ovvero della scienza dell’espressione delle idee. Il terzo e
il quarto volume trattano della logica, ovvero della scienza della combinazione o deduzione delle
idee. Il quinto volume ricopre solo la prima voce della seconda sezione, ovvero dell’economia
considerata (in modo diverso da come si analizzava la ricchezza delle nazioni) a partire dalla
volontà e dai suoi effetti, laddove ciò comporta uno studio con gli strumenti del conoscere
individuali. Manca buona parte della seconda sezione e l’intera terza sezione.
Quindi il contenuto principale dell’opera è la prima sezione, la “storia dei mezzi con cui
conosciamo” o “storia delle facoltà intellettuali”.
1.4. Destinatari dell’opera
Gli Elementi hanno due destinatari, due tipi di lettori. Il primo è lo studioso, il secondo è lo
studente. Per i primi l’opera è una memoria da consultare, per i secondi – per le giovani generazioni
(jeunes gens) alle quali più volte nel corso dell’opera l’autore si rivolge – l’opera è un piano di
studio, strumento da studiare per poter proseguire negli studi.
A entrambi i tipi di lettore gli Elementi offrono un quadro ordinato e rigoroso di una materia di
studio, le facoltà intellettuali, che (a detta del Tracy) solo con John Locke comincia a essere
indagata secondo la via giusta, partendo dalle sensazioni. (Si può ricordare a tal proposito ciò che
scrive Condillac nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane, quando distingue tra una
metafisica che vuole penetrare tutti i misteri e una metafisica come ricerca sullo spirito umano,
quella di John Locke).
Analisi
2.1. Introduzione
Destutt de Tracy evoca il nome di Locke e soprattutto quello di Condillac, le cui riflessioni spesso
discute e critica. Ciò che si può innanzitutto dire è che Destutt de Tracy marca la propria differenza
da Locke e da Condillac per il rigore e per l’ordine con il quale organizza il proprio studio.
Per comprendere questo punto conviene vedere su quali basi epistemologiche e metodologiche si dà
questa differenza del Tracy rispetto a Locke e a Condillac, ovvero quali sono i confini
epistemologici dell’ideologia.
Il punto di partenza dello studio delle facoltà intellettuali è l’osservazione, indispensabile per
raccogliere i fatti.
Il materiale raccolto dall’osservazione deve essere analizzato e sistematizzato. Analisi e
sistemazione (analyser e système) sono i due strumenti principali dello studio delle facoltà
intellettuali. Sergio Moravia, in uno dei saggi raccolti in Filosofia e scienza nell’età dei Lumi,
considera “osservazione”, “analisi” e “sistema” tre importanti criteri epistemologici nel pensiero
degli idéologues.
2.2. Analisi e sistema
Gli Elementi del Tracy sono opera di analisi e di sistema piuttosto che di osservazione anche per la
natura dell’oggetto di studio. Così nella Prefazione all’opera e al I volume (Vol. I, p. 47 ):
“Lo spirito umano avanza a brevi passi; i suoi progressi sono graduali; ne segue che
nessuna verità è più difficile da comprendere di un’altra, quando si conosce bene tutto
ciò che viene prima”.
E ancora:
“La serie dei nostri giudizi è una lunga catena di cui tutti gli anelli sono uguali. Non c’è
dunque una scienza che sia di per se stessa più oscura di un’altra: tutto dipende
dall’ordine che uno vi pone per evitare di fare passi troppo grandi, se posso esprimermi
in questo modo: trovare quest’ordine, quando non è ancora conosciuto, è ciò che è
proprio di un talento, ed è questo talento che scopre nuove verità”.
Tuttavia ciò non significa che bisogna fornire le regole per ragionare correttamente. Questa attività
è ciò che Destutt de Tracy chiama arte. Negli Elementi è riportata la distinzione tra scienza e arte
nell’introduzione alla grammatica generale (II vol.) e nel discorso preliminare alla logica (III vol.).
Un’arte – afferma il Tracy nel discorso preliminare alla logica – dipende sempre da una scienza.
Coloro che considerano la logica l’arte di ragionare, prescrivono regole per il ragionamento senza
indagare i principi stessi del ragionare. Questo è tipico della tradizione logica: la logica sillogistica
di Aristotele, per es., è un’arte e non una scienza, e ,proprio perché non si basa su una scienza
corretta, ovvero su principi veri, genera errori.
Una scienza, invece, non consiste nel prescrivere delle regole ma nell’indagare delle verità
movendo dall’esame corretto dell’oggetto. Non è possibile scienza se non per mezzo dell’analisi.
2.3. Analisi: scomposizione e ricomposizione
Nel Saggio sull’origine delle conoscenze umane Condillac discute dell’analisi come operazione
scientifica per ricostruire la genesi delle idee (I parte, II sezione, VII capitolo). Condillac chiama
“analizzare” l’operazione che consiste nel risalire all’origine delle nostre idee, fino alle sensazioni
semplici, per poi seguire la generazione delle idee e confrontare le idee sotto tutti i rapporti
possibili: operazione di scomposizione (décomposer è il termine che usa spesso Destutt de Tracy)
delle idee. La riduzione delle idee a idee minime, a idee elementari, è operazione preliminare alla
ricomposizione (recomposer) delle nostre idee, per rendere evidenti e ordinati i nostri ragionamenti,
per elaborare correttamente i giudizi (il ragionamento non è altro che un concatenamento di
giudizi). L’analisi – scrive Condillac – permette di fare confronti tra le idee, di scoprire i loro
rapporti reciproci e le nuove idee che possono produrre. È il solo metodo per la ricerca della verità.
Come tale si oppone al criterio delle definizioni, buone soprattutto a generare dispute filosofiche.
L’analisi, come operazione duplice e correlata di scomposizione e di ricomposizione. Di ciò
Condillac parla anche nella Logica.
Tuttavia non si capirebbe in che senso l’analisi si oppone al criterio delle definizioni (o, più in
generale, dei principi: enunciare definizioni, assiomi, teoremi, ecc.) se non tenessimo conto del
mezzo con cui si fa analisi, ovvero del metodo di analisi. Il metodo di analisi è la lingua. Che vuol
dire? Il criterio dei principi consiste nell’elaborare proposizioni generali “che nessuno può mettere
in dubbio” (Condillac), principi assoluti e innati il cui abuso “appare soprattutto nella sintesi”,
poiché affermano verità in sé, astratte, che nascondono la strada, il metodo, che conduce alle
scoperte: pretendono l’esistenza di idee innate.
Al contrario, la lingua è ciò che fa vedere il processo di analisi. La lingua non nasconde nulla:
perciò va interrogata per il suo funzionamento, per il funzionamento degli elementi che la
compongono. Bisogna discendere verso gli elementi che compongono le nostre conoscenze per
ricomporre queste ordinatamente. Tale ordine è ciò che si dà per mezzo della lingua: è ciò che è
visibile con la lingua come metodo d’analisi. Tale ordine è l’ordine dell’espressione. In Destutt de
Tracy non è lo stesso che in Condillac (nel primo è di contenimento, nel secondo è d’identità – ma
Maine de Biran ha affermato che si tratta dello stesso ordine). Di tale ordine si occupa la
Grammatica generale, cioè la scienza dell’espressione delle idee orientata verso la Logica.
La lingua è metodo d’analisi, operazione di scomposizione e di ricomposizione.
L’analisi, quindi, è una duplice operazione di scomposizione delle idee nelle loro componenti
minime e di composizione delle idee in concatenamenti. È ciò che afferma Destutt de Tracy
nell’introduzione alla grammatica generale (II vol.) (vol. II, p. 30 ):
“Dal momento che noi esistiamo, noi abbiamo fatto una infinità di esperienze e di
osservazioni senza progetto: noi abbiamo formato una folla davvero prodigiosa di idee,
senza sapere come. È in questo caos che abbiamo cominciato a fare un po’ di luce. Noi
abbiamo cercato di scoprirne [delle idee che abbiamo] la composizione e di
riconoscerne [delle idee che abbiamo] gli elementi primari. Una volta trovati questi,
abbiamo rifatto con facilità ciò che abbiamo scomposto (décomposé) con esattezza; e
siamo pervenuti senza problemi alla più semplice percezione, alla più pura sensazione
spogliata di tutti i giudizi, fino alle idee più astratte, ai giudizi più estesi, ai desideri più
complicati”.
Sull’analisi dei segni (vol. II, p. 31 ):
[Bisogna fare come con l’analisi delle idee]: “Cominciamo con l’esaminare il discorso
in generale; cerchiamone i veri elementi: e quando li abbiamo trovati, ricomponiamo
(recomposerons) il discorso con questi elementi che abbiamo scoperto”.
E quindi analizzare (vol. II, p. 32 ):
[non vuol dire solo scomporre]: “un’analisi non è completa se non quando si sono
svolte con successo entrambe le operazioni [analisi come azione di scomporre
(décomposer) e sintesi come azione di ricomporre (recomposer)], di cui l’una [quella di
scomporre] serve da base e l’altra [quella di ricomporre] serve da prova”.
Pertanto l’analisi in quanto azione di scomporre di per sé non basta se non è comprovata dall’azione
di ricomporre: deve essere provata dall’esattezza del concatenamento delle idee.
Ma l’analisi vale anche per le idee. Come si fa analisi delle idee? Come si può usare la lingua come
metodo d’analisi delle idee? Bisogna ridiscendere alle idee elementari, alle idee prime, delle quali
sono fatte le idee composte. Noi, infatti, possediamo quasi solo idee composte. Questa operazione
comporta chiaramente il problema di costituire, per il mondo delle idee, come per il mondo dei
segni, un sistema. Nel mondo delle idee, il sistema coincide con l’origine, con la genesi delle idee.
Le idee semplici sono sensazioni elementari. Lo studio di come noi riceviamo sensazioni elementari
spetta alla fisiologia, non è compito dell’ideologia. Nell’ideologia si parte dall’assunto che noi
abbiamo sensazioni elementari. Ciò deve essere evidente, deve avere un carattere di evidenza. Le
sensazioni elementari sono la base del nostro essere nel mondo, della nostra esistenza e della nostra
conoscenza. Le sensazioni elementari sono il limite al di sotto del quale non scende l’ideologia,
limite al quale si ferma l’analisi. Per Destutt de Tracy ciò che importa è che il sistema delle
sensazioni elementari sia il più semplice possibile, che sia ridotto al minor numero di facoltà
intellettuali. E che quindi, in questo senso, sia evidente. (Destutt de Tracy dice che le sensazioni
elementari sono dei segni non equivoci: il sistema delle idee sarebbe una specie di lingua prima.
Tuttavia questo sembra essere un modo per rendere più agevole la comprensione piuttosto che
l’identificazione dell’idea con il segno, cosa che non è accettabile per il Tracy).
In questo modo la lingua, come metodo d’analisi, nel mondo delle idee, opera per scomposizione
delle idee composte in (un sistema di) idee semplici e per ricomposizione delle idee composte:
addensamento di idee, simultanea presenza di più idee. Ciò è dovuto proprio al fatto che la lingua,
come metodo di analisi, fa vedere l’analisi. Un’idea composta è una con-fusione di idee semplici.
Per analizzarla è già necessario metterla in ordine: l’analisi della formazione delle idee composte
(cap. VI del I vol.) fa già uso delle nozioni di sostantivo e di attributo. È già un ordine
grammaticale, ma lo è perché non può che essere in una forma grammaticale. La lingua penetra nel
mondo delle idee quale metodo di analisi delle idee composte per rendere visibile il processo di
formazione delle idee composte. E rende visibile dando ordine: facendo vedere in ordine le parti che
compongono una totalità. Poiché è possibile comprendere una totalità solo dal momento che la si
scompone, la si fraziona, se ne considerano le singole parti. (Il nome effettua il taglio nel mondo
delle idee: il nome dell’idea composta, per es., ma già il termine dato alla sensazione ricevuta – si
tratta di un aggettivo: quindi è segno perché rappresenta l’idea rappresentando il rapporto del
soggetto con l’idea: il segno è “inventato” dall’emittente). È ciò che può fare solo la lingua: senza la
lingua come metodo di analisi, rimarrebbero idee simultaneamente compresenti.
Di fatti non può darsi composizione di idee composte senza segni: il processo di formazione delle
idee composte necessita dei segni, non può fare a meno dei segni. Non può fare a meno dei segni la
rappresentazione delle idee composte.
Così, se partiamo dal punto in cui tutti ci troviamo, e non da un uomo che riceve le prime
impressioni (come l’uomo-statua), non è possibile non operare in questo modo: noi abbiamo già
idee composte che dobbiamo scomporre. La lingua è strumento indispensabile nel lavoro di
scomposizione e poi in quello di ricomposizione. Se, al contrario, partiamo da un uomo che riceve
le prime sensazioni, cominciamo dalle sensazioni elementari, poi osserviamo la composizione
dell’idea composta come somma di sensazioni elementari, infine osserviamo l’attribuzione di nomi
alle idee ricevute e all’idea composta. Ma ciò non rende adeguatamente chiaro il processo di
formazione delle idee composte (perché non è chiaro il ruolo del segno in tale processo: sarebbe un
segno troppo arbitrario).
2.4. Analisi come storia e come sistema
L’analisi dei segni si articola come storia e sistema dei segni.
L’analisi dei segni si articola in storia. All’origine vi è il linguaggio delle azioni (come anche in
Condillac). Gli uomini originariamente comunicavano “malgrado loro”: il linguaggio delle azioni è
linguaggio naturale, è un effetto necessario della natura umana. Il linguaggio delle azioni è il
linguaggio primario e ha tre tipi di segni naturali: grida, gesti, attouchemens (tocchi). Questi segni
passano per tre canali sensoriali: vista (gesti), tatto (tocchi), udito (grida).
Dal linguaggio naturale si sviluppano i linguaggi artificiali. Tutti i linguaggi artificiali derivano dal
linguaggio naturale. Ma i linguaggi artificiali non si sviluppano tutti allo stesso modo. Dipende
dalle possibilità di sviluppo dei segni. I tocchi si sviluppano meno di tutti; le grida sono quelle in
grado di svilupparsi più degli altri. Il suono, ciò di cui sono fatte le grida, si sviluppano dando vita
alle lingue articolate. Perciò il segno verbale è il più importante fra i segni.
Si potrebbe seguire anche la storia del segno verbale. Il primo grado è l’interiezione – urla e grida –
dal quale si sviluppano prima i nomi, ovvero i segni che rappresentano le idee che contengono
l’idea di esistenza in sé, delle cose che esistono di per sé; poi i verbi, ossia l’espressione dei modi di
essere dell’idea rappresentata dal nome.
Ma in cosa consiste questa “possibilità di sviluppo”? Considerando la storia del segno verbale: la
possibilità di sviluppare più funzioni, di ricoprire più posizioni; le possibilità, quindi, di
articolazione e di combinazione; potremmo dire, anche, la possibilità di analisi. In questo senso la
storia è finalizzata all’individuazione degli effetti. La storia ridiscende all’origine dei segni per
risalire scoprendone tutte le possibilità di sviluppo.
La storia dei linguaggi ridiscende all’origine di tutti i linguaggi artificiali, il linguaggio delle azioni,
per risalire mostrando tutte le possibilità di sviluppo, in particolare le differenti possibilità di
sviluppo tra i tre tipi di segni naturali, e soprattutto le possibilità di sviluppo del suono, le forme
grammaticali. La storia della lingua ridiscende all’origine, l’interiezione, per risalire mostrando tutte
le possibilità di sviluppo, le funzioni e le posizioni possibili degli elementi della lingua. Ciò vale
anche per la storia della scrittura: Destutt de Tracy non crede che sia possibile passare facilmente
dalla scrittura geroglifica alla scrittura alfabetica; la storia ridiscende all’origine, mostrando la
radicale diversità dei due sistemi di scrittura (in rapporto al mondo delle idee e passando per la
lingua parlata), per risalire mostrando le differenti possibilità di sviluppo – le conseguenze negative
della scrittura geroglifica e il grado di perfezione cui può tendere la scrittura alfabetica.
L’analisi dei segni si articola in sistema. Se, come storia, l’analisi ridiscende all’origine per risalire
mostrando tutte le possibilità di sviluppo, ed è quindi analisi della derivazione e dell’evoluzione
degli elementi; come sistema, l’analisi scompone e ricompone la proposizione, la forma del
linguaggio in cui si danno i giudizi, di cui sono fatte le conoscenze, per dare la tavola degli elementi
del discorso e di tutte le loro possibilità di sviluppo, di tutte le articolazioni e combinazioni possibili
dei segni.
Il sistema della lingua muove dall’interiezione come parola ellittica in grado di rimpiazzare
un’intera proposizione, elemento della proposizione che contiene sostantivo e attributo, ai segni che
marcano le relazioni tra i segni, come la congiunzione, che ha la funzione di legare due
proposizioni, o come i congiuntivi (i pronomi relativi), che svolgono la funzione di congiungere un
antecedente, un nome sostantivo espresso o sottinteso, e un conseguente, una proposizione
incidentale relativa al nome. È mediante l’analisi come sistema che, nel V cap. del II vol., Destutt
de Tracy studia il suono per individuare le possibili combinatorie dei suoni e associare a ciascuno di
questi un diverso carattere.
L’analisi del sistema è strettamente connessa all’analisi della storia. Per es., l’elemento linguistico
più complesso, i congiuntivi, sono quelli di ultima invenzione; l’analisi sistemica del suono è a sua
volta coadiuvata dall’analisi storica del suono, ridiscendendo all’origine della musica per risalire
alla parola, cercando di comprendere le imperfezioni degli alfabeti in uso a partire da questo
passaggio: si pongono da qui le condizioni per costruire un sistema ortografico perfetto. Un simile
tentativo non ha valore se non si allinea con la derivazione naturale del suono.
2.5. Sistema delle idee semplici
Sul sistema delle idee semplici.
Il capitolo XI dell’Ideologia propriamente detta è dedicato a una riflessione sull’analisi delle idee di
Condillac. Il Tracy elogia Condillac per aver mostrato che pensare è sentire, che le idee sono
sensazioni e che le nostre facoltà intellettuali dipendono dalla facoltà di sentire. Ma lo critica per
non aver diviso in modo adeguato il pensiero. Secondo Tracy il pensiero si divide in quattro modi,
cioè l’uomo ha quattro modi di pensare: (a) sentire una sensazione, propria della facoltà della
sensibilità; (b) sentire un ricordo, proprio della facoltà della memoria; (c) sentire un rapporto
proprio della facoltà del giudizio; (d) sentire un desiderio proprio della facoltà della volontà.
Queste sono le quattro sensazioni semplici o idee semplici. Tutte le idee composte, o sensazioni
composte, sono combinazioni di queste quattro sensazioni semplici.
[La sensazione propriamente detta consiste nel sentire piacere o dolore. Il ricordo consiste nel
sentire l’impressione di un’idea passata (il ricordo è la sensazione presente che contiene una
sensazione passata, e tale sensazione può essere una sensazione propriamente detta, un giudizio, un
desiderio). Il giudizio consiste nel sentire un rapporto di concordanza o di discordanza tra due idee.
Il desiderio consiste nel sentire una sensazione conseguente a una sensazione (che può essere un
ricordo, un giudizio, una sensazione propriamente detta) ed è legato alla facoltà di agire (di questo il
Tracy si occupa nel quinto volume degli Elementi).]
Questo è il nucleo del sistema dell’ideologia, il risultato dell’osservazione delle facoltà intellettuali,
cioè dell’introspezione. Tale sistema è l’insieme degli elementi primi che, per combinazione,
formano tutti gli altri elementi.
2.6. Soglia inferiore dell’Ideologia
Abbiamo visto quindi che vi è innanzitutto una soglia inferiore dell’ideologia: la fisiologia.
Nell’ultimo capitolo (il XVII) del I volume, Destutt de Tracy lamenta di non essere riuscito a legare
più intimamente ideologia e fisiologia. Sempre nel I volume, il capitolo VII si intitola De
l’existence: qui Destutt de Tracy si pone le domande fondamentali “come sappiamo che le
sensazioni che proviamo sono provocate da un qualche oggetto?” e “come possiamo conoscere
l’esistenza dei corpi?”; nel capitolo VIII, intitolato Comment nos facultés intellectuelles
commencent-elles à agir?, Destutt de Tracy prosegue l’analisi dell’esistenza del Me, del mio corpo.
Non entrerò nel merito di questi capitoli. Ma sono importanti per comprendere il legame stretto tra
fisiologia e ideologia.
Proprio nella dedica a Cabanis che apre il III volume degli Elementi, il primo dei due dedicati alla
logica, Destutt de Tracy afferma che: (a) gli Elementi di ideologia seguono i Rapports du phisique e
du moral de l’homme di Cabanis, e quindi che l’ideologia segue la fisiologia; (b) i principi
dell’ideologia sono corollari dei principi della fisiologia; (c) l’ideologia è una storia dettagliata
dell’intelligenza umana come una parte del phisyque humaine. [Dunque le osservazioni, le analisi e
le sistemazioni dell’ideologia seguono le osservazioni, le analisi e le sistemazioni che si fanno in
fisiologia, fanno tesoro delle scoperte in campo fisiologico, per una psicologia unita alla fisiologia.]
In uno dei Mémoire de la faculté de penser Destutt de Tracy distingue un’ideologia fisiologica da
un’ideologia razionale: quest’ultima – che è quella di cui lui si occupa – ha un raggio di studio
inferiore della prima e studia le facoltà intellettuali in quanto poggianti sull’organisation corporea
dell’uomo.
2.7. Soglia superiore dell’Ideologia
Individuata la soglia inferiore, resta da vedere fin dove può spingersi l’ideologia. In primo luogo,
l’ideologia è una scienza, e non un’arte: indaga la natura degli elementi dell’intelletto, del discorso
e del ragionamento e non fornisce regole per pensare correttamente, per parlare correttamente, per
ragionare correttamente. In secondo luogo, il soggetto dell’ideologia è l’individuo che vive in
società ma non è la società.
Per es., nel V volume degli Elementi, vi è contenuto il Trattato sull’azione e sugli effetti della
volontà: non è un vero e proprio trattato di economia politica perché studia l’azione umana in
relazione alla facoltà della volontà e, per es., la proprietà privata come idea che deriva dall’idea di
personalità, come effetto della facoltà di volere, come ciò che nasce dall’idea di “me” (io esisto) e
degli “altri da me”. Oppure il problema del valore è analizzato a partire dal desiderio che consiste
nel voler aumentare le gioie e diminuire le sofferenze.
Tuttavia l’ideologia è in qualche modo propedeutica a tutte queste discipline: è necessario infatti
conoscere l’intelletto umano per poter costruire ragionamenti corretti sull’uomo e sulla società. Tale
conoscenza avviene mediante introspezione, ovvero per osservazione e analisi dell’intelletto: non
stabilendo delle regole per pensare correttamente, ma indagando il naturale movimento del
pensiero. Così Destutt de Tracy nell’introduzione all’Ideologia propriamente detta (vol. I, p. 39 ):
“È per preservare voi [giovani generazioni] da entrambe le cose [da idee false e da una
errata combinazione di idee] che io voglio, in questo scritto, non tanto insegnare, ma
farvi osservare tutto ciò che passa in voi quando voi pensate, parlate, ragionate”,
per cui le tre scienze dell’ideologia sono l’ideologia propriamente detta, la grammatica e la logica;
“Avere delle idee, – prosegue il Tracy – esprimerle, combinarle, sono tre passaggi
differenti, ma intimamente legati tra loro”.
2.8. Funzione pedagogica dell’Ideologia
Pertanto gli Elementi di ideologia contengono osservazioni, analisi, sistemazioni del movimento del
pensiero (il che è importante per comprendere la struttura dell’opera). È nella natura dell’intelletto
umano elaborare idee determinate. Bisogna studiare l’intelletto per far emergere tale natura. Destutt
de Tracy si propone non come insegnante – nel senso di fornitore di regole e di nozioni – né come
filosofo – ovvero non si presenta come elaboratore di un sistema filosofico – ma come guida per le
giovani generazioni, non tanto perché ha pensato più di loro – cosa che, di per sé, non lo renderebbe
affatto immune da errori – ma perché ha osservato con attenzione come “si pensa”.
L’ideologia ha valore pedagogico insostituibile. Ed ha valore pedagogico insostituibile l’analisi.
L’Ideologia studia il movimento del pensiero, e quindi è condizione necessaria per pensare idee
vere, per ragionare in modo corretto. In questo senso gli Elementi di ideologia si rivolgono alle
giovani generazioni e allo studio nelle scuole e negli istituti.
Ma vediamo cosa vuol dire ideologia. Ciò ci permette di passare dalla questione dell’analisi alla
seconda questione: il posto della teoria del segno nel progetto generale dell’Ideologia.
Ideologia
3.1. Ideologia
Destutt de Tracy chiama ideologia il progetto di una “scienza generale delle idee” che comprende
anche grammatica e logica: ovvero di una scienza che studia la formazione, l’espressione, la
combinazione delle idee. Nell’introduzione al I vol., in una nota, Destutt de Tracy scrive che la
scienza che studia l’intelletto può essere chiamata Ideologia se si fa attenzione al soggetto (ovvero
allo studio della natura dell’intelletto e delle idee); oppure può essere chiamata Grammatica
generale se si pone l’accento sugli strumenti con i quali opera l’intelletto e con i quali si pensano, si
comunicano, si combinano le idee (tali strumenti sono, è chiaro, i segni); oppure può essere
chiamata Logica se si bada soprattutto allo scopo, ovvero stabilire i criteri di validità per definire
certe le conoscenze, far fronte agli errori nei ragionamenti, stabilire le condizioni per produrre
ragionamenti corretti. Tuttavia ciascuna dei tre nominativi implica gli altri due. Ma è Ideologia il
termine generico che si può attribuire a tale scienza, giacché la scienza delle idee, della formazione
delle idee, implica, secondo l’ordine proprio alla natura dell’intelletto, l’espressione delle idee e la
deduzione o combinazione delle idee.
Il primo passo di tale scienza è l’ideologia propriamente detta, ovvero lo studio della formazione
delle sole idee. Consultiamo l’indice del I vol. Il volume affronta i seguenti argomenti: (a) studio
delle facoltà intellettuali: sistema delle sensazioni semplici, formazione delle idee composte,
riflessione sull’agire, critica del sistema di Condillac; (b) studio sull’esistenza dei corpi e sulle
proprietà dei corpi (capitoli VII, IX, X); (c) studio del pensiero nel contesto dell’organisation:
facoltà di sentire, facoltà di muoversi, influenza dell’abitudine, origine ed effetti dei segni (dal
capitolo XII al XVII).
Destutt de Tracy utilizza per la prima volta il termine idéologie nei Mémoires sur la faculté de
penser: parla di ideologia come scienza delle idee, in particolare come scienza che risulta
dall’analisi delle sensazioni, considerando chiaro a tutti il senso che ha la parola “idea” in francese:
“Preferirei che si adottasse il nome di ideologia [invece che quello di psicologia,
termine che designa lo studio delle facoltà dell’intelletto del tutto scisso dalla
fisiologia], o scienza delle idee. È la cosa migliore, perché non presuppone nulla che sia
dubbio o ignoto; non richiama allo spirito nessuna idea di causa. Il suo senso è così
chiaro a tutti, se si considera il senso che ha la parola francese idea; poiché ciascuno sa
cosa si intende per un’idea, sebbene in pochi sappiano bene cosa sia [e ciò perché
abbiamo l’intuizione dell’idea ma non possiamo dare la definizione di idea]”.
Qui l’ideologia è intesa soprattutto come analisi delle sensazioni, analisi della percezione in
generale. A tale proposito Destutt de Tracy richiama l’etimologia greca della parola idea (eido), che
significa “io voglio”, “io percepisco”, “io percepisco per mezzo della vista”, “io so”, “io conosco”.
Ma gli elementi di ideologia del titolo non si limitano a solo ciò che deriva dall’analisi delle
sensazioni, che è lo stadio iniziale, ma soprattutto propongono di studiare l’intelletto umano “nel
suo stato attuale”: non come l’uomo-statua di Condillac a cominciare dalle prime impressioni che
riceve, ma come uomo che vive nella società attuale.
Il ruolo della teoria del segno
4.1. Posto della Logica, della Grammatica, dell’Ideologia propriamente detta
È ciò che Destutt de Tracy afferma nell’introduzione alla sua Grammatica generale – questo passo
è immediatamente precedente quello che ho citato prima sull’attività dell’analisi come
scomposizione e ricomposizione (vol. II, p. 30 ):
“Noi non siamo risaliti allo stato di un uomo che ha ricevuto le prime impressioni, e che
con ciò ha posto le prime basi del sistema del suo pensiero [se avessimo proceduto in
questo modo, non avremmo compreso l’analisi dell’idea, il processo di formazione
dell’idea composta]; inoltre non abbiamo intrapreso la costruzione in modo a priori di
un simile edificio. Noi siamo partiti dal punto in cui tutti noi ci troviamo, tenuto conto
delle differenze [delle differenze che sussistono, per ciascuno, nel rapporto tra il segno
e l’idea]. Dal momento che noi esistiamo, noi abbiamo fatto una moltitudine
innumerevole di esperienze e di osservazioni senza progetto (senza ordine): con ciò
abbiamo formato una folla veramente incredibile di idee, senza sapere come”.
Rispetto all’uomo-statua, con il quale si comincia dalle sensazioni elementari, l’uomo che vive
nella società attuale possiede soprattutto, e quasi del tutto, idee complesse, frutto di molteplici
esperienze. Tali esperienze formano una “folla” di idee. Sul piano delle idee, astrazion fatta dai
segni, non abbiamo un ordine, ma una simultaneità confusa di idee, contemporaneamente
compresenti. Una totalità – direbbe Condillac – che dobbiamo dividere, cioè analizzare, per poterla
ordinare e rappresentare. Non è possibile fare analisi delle idee facendo astrazione dei segni. Senza
segni è impossibile rappresentazione.
La lingua, come metodo di analisi, mette ordine nel mondo delle idee. Mette ordine nella
simultaneità e compresenza delle idee. Ne Le parole e le cose, Foucault scrive (p. 98):
[che la lingua si oppone al pensiero non come l’esterno all’interno, ma]: “come il
successivo al contemporaneo (…): sostituisce al confronto simultaneo delle parti (o
delle grandezze) un ordine i cui gradi devono essere percorsi gli uni dopo gli altri. È in
questo senso rigoroso che il linguaggio è analisi del pensiero: non già semplice
sezionamento, ma instaurazione profonda dell’ordine nello spazio”.
È qui che si situa – prosegue Foucault – la grammatica generale: “la grammatica generale è lo
studio dell’ordine verbale nel suo rapporto alla simultaneità che essa ha il compito di
rappresentare”. Il progetto scientifico dell’Ideologia non consiste nello studio dell’associazione del
segno all’idea, ma nello studio del movimento del pensiero. Dunque delle conoscenze partendo da
un rigoroso metodo per conoscere, per analizzare e costruire conoscenze. L’ordine del movimento
del pensiero è l’ordine della successione. È l’ordine che la lingua, in quanto metodo di analisi,
instaura per il movimento del pensiero: l’ordine dell’espressione delle idee, la forma grammaticale
del segno. Dunque l’ordine delle conoscenze è l’ordine della successione, del concatenamento: le
conoscenze sono ragionamenti, i ragionamenti sono concatenamenti di proposizioni, le proposizioni
sono enunciati di giudizio, ovvero concatenamenti di segni-idee. La grammatica generale ha il
compito di rappresentare il mondo delle idee, ma non lo può fare che istituendo un ordine dello
spazio al di fuori del proprio ambito. Non può farlo nel proprio ambito. Se lo facesse, si limiterebbe
ad associare dei segni a delle idee, senza fornire i segni di un ordine, cioè senza analizzare gli effetti
del rapporto tra segni e idee, senza poter stabilire i criteri di validità delle conoscenze. E la teoria
della conoscenza è un tutt’uno con la dottrina generale dei segni. Nel progetto generale
dell’Ideologia, inoltre, la scienza si dà per effetti, ovvero si devono studiare gli effetti, mai le cause.
Quindi bisogna guardare agli elementi che si studiano in rapporto ai loro effetti. Gli effetti del
rapporto tra segni e idee sono effetti logici: combinazione di segni e di idee. Lo spazio in cui si può
instaurare tale ordine è lo spazio della Logica, scienza della combinazione e della deduzione delle
idee.
4.2. La Logica come Filosofia prima
Di questo Destutt de Tracy parla nel III volume degli Elementi, quello dedicato alla logica.
Nell’introduzione al III volume Destutt de Tracy parla della logica come metafisica, intendendo la
logica separata dalla metafisica comunemente intesa, come l’astronomia si differenzia
dall’astrologia o come la chimica si distingue dall’alchimia. Nella Dedica a Cabanis, scrive che la
logica, in quanto conoscenza dei nostri stessi mezzi per conoscere, è la vera filosofia prima, la vera
scienza prima; ed è una cosa sola con l’ideologia, con la scienza delle nostre percezioni (o
sensazioni): (III vol., p. 13 ):
“perché non ci è possibile pervenire alla conoscenza esatta dei nostri mezzi di
conoscere, se non grazie all’osservazione attenta degli effetti di questi mezzi, e della
maniera in cui noi formiamo, esprimiamo e combiniamo le nostre idee; così queste tre
scienze, Filosofia prima, Ideologia e Logica sono una sola e medesima cosa”.
Che cos’è la Filosofia prima? Non la Logica in quanto scienza della combinazione e della deduzione
delle idee. Bensì l’impianto che regge il progetto generale dell’Ideologia: ciò che tiene insieme le
scienze dell’Ideologia generale, e cioè l’insieme degli effetti che connettono una scienza con la
successiva, gli elementi di una scienza con gli elementi che seguono, secondo un processo che non è
di semplice consecuzione, ma di contenimento – procedendo, da una scienza all’altra, per
composizione e non per scomposizione. Dunque è lo scienza del discorso come scienza generale
della rappresentazione.
4.3. La forma grammaticale del segno
L’elemento principale di tale scienza è il segno. Consideriamo la forma grammaticale del segno.
Il segno rappresenta l’idea, il segno esprime l’idea. L’idea è l’idea composta. L’idea composta è fatta
di fasci simultanei di idee semplici che confusamente compongono l’idea composta. Poiché ciascuno
può “riempire” l’idea composta di idee semplici diverse, i segni non rappresentano per tutti la stessa
idea: il segno rappresenta l’idea rappresentando il rapporto del soggetto con l’idea. Il dolore non è
segno che rappresenta il fuoco, ma segno che rappresenta il rapporto tra la mia mano e il fuoco.
Il segno è fatto di un contenuto ideologico e di una forma grammaticale. La forma grammaticale
instaura l’ordine di successione grazie al quale possiamo scomporre e ricomporre il pensiero. Il
capitolo dedicato alla formazione delle idee composte è scritto già secondo questo ordine, secondo i
suoi effetti. Quali sono tali effetti? Una forma grammaticale non si limita a dare ordine al contenuto
ideologico, ma instaura l’ordine anche per il segno. Di tale ordine si occupa la Grammatica
generale. Studiando la parola, la Grammatica generale distingue diversi tipi di parole a seconda
delle funzioni della parola. Tali funzioni sono ciò che costituisce la forma grammaticale della parola.
In base alle funzioni, la Grammatica generale individua le articolazioni delle parole (per es. cosa
distingue il verbo dall’aggettivo o quando un sostantivo funge da complemento) e le combinazioni
delle parole (per es. la posizione del verbo nella proposizione in rapporto alla posizione del
sostantivo o dell’aggettivo). Le funzioni non possono essere studiate che in termini di articolazione e
di combinazione. I due aspetti non sono separabili: il segno occupa sempre una determinata
posizione in base alle funzioni attualizzate in rapporto alle altre parole (articolazione), in rapporto
alla proposizione (combinazione). L’articolazione permette di risalire al contenuto ideologico che il
segno rappresenta; la combinazione permette di proseguire lungo il concatenamento di parole, lungo
la proposizione.
La Grammatica generale è scienza dell’espressione delle idee (della messa in ordine delle idee); lo è
in quanto è già proiettata verso la Logica, scienza della combinazione delle idee.
Il segno è l’elemento principale del discorso. Insieme all’idea, il segno si proietta verso uno spazio
di rappresentazione che è lo spazio della Logica.
4.4. La Logica come spazio “vuoto” di rappresentazione
Il segno è dotato di una forma grammaticale e di un contenuto ideologico; ricopre funzioni
specifiche, che sono date nella sua forma grammaticale. La natura del segno, che consiste nelle
funzioni del segno, è grammaticale. Il suo impiego è logico.
La Logica si occupa della combinazione delle idee. Tale combinazione non può che essere
combinazione di segni. Infatti, se le idee non sono espresse da segni, è impossibile combinare le
idee. Dunque è impossibile concatenare idee. La forma della combinazione delle idee, e la forma
della combinazione dei segni, è la forma grammaticale. La forma grammaticale è rigorosamente
determinata dalle sue funzioni e dalle sue regole, dall’ordine di successione nel quale si delinea nella
proposizione. È ciò che dà ordine al movimento del pensiero, cioè alla composizione delle idee
composte.
Qual è dunque il ruolo della Logica, così stretta e dipendente da scienza delle idee e scienza dei
segni, dal contenuto ideologico e dalla forma grammaticale dei segni?
La Logica assume una funzione critica: il Discorso preliminare e i capitoli del III volume
sviluppano la critica della logica sillogistica e la critica della tesi “riduzionista” di Condillac
secondo la quale ragionare è calcolare: logica sillogistica e tesi “riduzionista” non poggiano su
un’adeguata analisi delle idee – questo è il leit motiv degli Elementi di ideologia (nella Grammatica
generale Destutt de Tracy afferma che le grammatiche precedenti non sono corrette perché non
sono precedute da una corretta analisi delle idee). Quindi per fare una buona Logica bisogna aver
fatto una buona analisi delle idee, al punto che la Logica stessa non fa altro che rinviare all’analisi
delle idee e ai segni – alla loro analisi grammaticale.
La Logica, in quanto scienza, è del tutto ancillare all’Ideologia propriamente detta e alla
Grammatica generale; in quanto spazio di combinazione delle idee e dei segni, è ciò alla quale sono
orientate l’analisi delle idee e l’analisi dei segni. Si tratta dello spazio di proiezione dell’analisi delle
idee e dell’analisi dei segni. In questo senso la Logica è indispensabile all’Ideologia propriamente
detta e alla Grammatica generale: senza Logica, senza lo spazio di combinazione di idee e di segni,
non si potrebbe dimostrare come la certezza delle conoscenze dipenda dal concatenamento di ideesegni: tale certezza potrebbe essere delegata ancora una volta all’arte del sillogismo, o al calcolo
algebrico: in entrambi i casi si traccerebbero delle figure nello spazio di combinazione, e i
concatenamenti di idee-segni dovrebbero essere conformi a tali figure. La Logica risulterebbe
autonoma dalla scienza delle idee e dalla scienza dei segni. Al contrario, la Logica è uno spazio
“vuoto” di proiezione dell’analisi delle idee e dell’analisi dei segni, puro spazio di rappresentazione.
Teniamo conto di questo importante passo che troviamo in una lunga nota in cui Destutt de Tracy
analizza le differenze tra lingua dell’algebra e lingue volgari. Torneremo su questo problema. Si
tratta di una nota pressoché alla fine del XVI cap. del I vol. Il capitolo è il primo dei due del I vol.
dedicato ai segni (I vol., p. 294 ):
“La verità è che, in tutti i nostri ragionamenti, non si tratta mai che di idee rivestite di
segni; così non è possibile avere altri principi della logica che non siano la conoscenza
di queste idee e dei loro segni, ovvero l’ideologia e la grammatica, o, se si preferisce,
la conoscenza del valore di questi segni isolati e il valore del modo del loro legame,
ovvero il Vocabolario e la Sintassi di cui ci si serve. La logica propriamente detta è un
puro niente, un’idea radicalmente falsa, una vera chimera, come spero di far vedere a
suo tempo”.
La Logica è in un certo senso la pragmatica; la Grammatica generale è la sintassi; l’Ideologia
propriamente detta è il Vocabolario, cioè la semantica. Queste sono le tre scienze che compongono
la scienza generale dell’Ideologia.
O, anche, nell’introduzione alla Logica (III vol., p. 142 ):
“Nei due volumi precedenti, ho esposto come io concepisco l’azione delle nostre
facoltà intellettuali, la formazione delle nostre idee, l’origine e gli effetti dei loro segni.
Ora mi rimane da esplicare in cosa consiste la combinazione e la deduzione di queste
stesse idee, e come si formano tutte le nostre conoscenze. È quest’ultima parte della
scienza che merita più specialmente il nome di logica; ma si è visto che è assolutamente
illusoria, se non segue rigorosamente le altre due”.
4.5. Funzione pedagogica della Grammatica generale
La teoria del segno, quindi, ricopre un ruolo intermedio tra l’Ideologia propriamente detta e la
Logica. È il posto che occupa la Grammatica generale che, come scrive Destutt de Tracy
nell’introduzione al II volume, è la scienza dei segni in quanto continuazione della scienza delle idee
– e in quanto precede la scienza della combinazione delle idee e della conoscenza.
Ciò conferma la funzione pedagogica della Grammatica generale, che troviamo espressa: (a) nel
Mémoire sur la faculté de penser prima citato, dove Tracy scrive che lo studio della conoscenza
dell’uomo e dei suoi mezzi per conoscere si fa analizzando le facoltà intellettuali sotto il punto di
vista logico e fisiologico, al quale tuttavia è necessario aggiungere il punto di vista grammaticale; e
pertanto è necessario che nella sezione di “Analisi delle sensazioni e delle idee” dell’Institut ci siano
anche i grammatici; (b) in una circolare inviata in qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione
ai professori di Grammatica generale della Scuola centrale, Destutt de Tracy si lamenta di non aver
ricevuto dai professori i quaderni sui quali fanno i loro corsi, richiesta sollecitata dal Ministero per
valutare la qualità del metodo didattico. Afferma che, a suo avviso, molti professori non
comprendono adeguatamente l’estensione del loro insegnamento, ovvero il ruolo che ha la
Grammatica generale nello studio delle facoltà umane e nell’educazione delle giovani generazioni.
Un corso di grammatica generale non deve limitarsi alla grammatica ma deve comprendere – scrive
il Tracy: “l’Ideologia, la Grammatica generale, la Grammatica francese, la Logica”. Non è possibile
entrare nel merito di questo problema. Ma il ruolo di intercessore della Grammatica generale tra
l’Ideologia propriamente detta e la Logica ha anche una funzione pedagogica; [funzione pedagogica
che fa sì che la Grammatica generale sia il completamento e il coronamento del corso di lingue
antiche, l’introduzione al corso di belle lettere, di storia e di legislazione. Ovvero, attenendosi al
metodo che consiste nell’andare dal conosciuto allo sconosciuto, la Grammatica generale funge da
cerniera epistemologica delle scienze dell’uomo:] i corsi di Grammatica generale devono fornire
conoscenze più approfondite di ideologia e di grammatica, applicare queste conoscenze alla
grammatica francese, apprendere le regole dell’arte di ragionare: (IV vol., p. 291 ):
“poiché è questo il filo conduttore che deve aiutare le giovani generazioni a valutare
[giudicare] gli uomini e le cose, i fatti e le istituzioni, nel corso di storia e di
legislazione e di guidarle nel resto della loro vita”.
E, ancora, proseguendo sul terreno della Logica:
“Non ho bisogno di dirvi che per arte di ragionare, non intendo la vana ricerca di tutte
le differenti forme di ragionamento, ma lo studio solido di ciò in cui consiste la certezza
delle nostre conoscenze, e la verità delle nostre proposizioni, e la giustezza delle nostre
deduzioni; in una parola le fondamenta [le fond] del nostro ragionamento”.
Ma dal modo in cui Destutt de Tracy parla della Grammatica generale, in particolare il fatto che sia
insieme di conoscenze da verificarsi nell’applicazione alla grammatica francese, che segua lo studio
delle lingue antiche, si evince come il progetto di Grammatica generale riguardi la grammatica
generale delle lingue parlate, quindi non lo studio generale dei segni ma lo studio del segno
linguistico. È ciò che dicevo all’inizio, e che è chiaro soprattutto considerando la funzione
pedagogica della Grammatica generale: per quanto sia generale, ci si occupa del segno linguistico,
supponendo in modo arbitrario e senza fondamento che ciò che si dice del segno linguistico valga
per qualsiasi segno, valga per ogni altro sistema di segni.
SECONDO TEMPO
La teoria del segno
5.1. Presentazione
Negli Elementi di ideologia si parla di segni: (a) nei capitoli XVI e XVII dell’Ideologia
propriamente detta; (b) nel secondo volume dedicato alla Grammatica generale.
I capitoli XVI e XVII del primo volume (I vol., p. 371 ) sono dedicati ai segni delle nostre idee e ai
loro effetti principali. Quindi vi si tratta del segno: (a) dei sistemi segnici; (b) della funzione del
segno nel processo di formazione delle idee complesse. Ma non si può non considerare anche il
capitolo VI del I volume, ove si tratta della formazione delle idee composte.
Gli argomenti trattati nel secondo volume (II vol., p. 352) possono essere così suddivisi
considerando i sei capitoli: (a) scomposizione del discorso (I cap.) dove si tratta soprattutto della
distinzione tra il discorso composto di enunciati di giudizio (proposizioni) e discorso composto di
idee isolate, non in relazione fra loro; (b) scomposizione della proposizione nel discorso (II cap.)
dove si approfondisce la struttura del giudizio, del nome come segno che esprime un’idea che esiste
per se stessa (che contiene già in sé l’idea di esistenza), del verbo perché è dalla forma del verbo
che dipende la relazione tra le idee nel giudizio; (c) scomposizione della proposizione nella lingua
parlata (III cap.) dove sono analizzati gli elementi della proposizione in base alla funzione che
ricoprono nella proposizione, distinguendo tra due tipi di funzioni generali: i segni necessari alla
proposizione (interiezioni, nomi, verbi) e i segni ausiliari, utili alla proposizione (aggettivi,
preposizioni, avverbi, congiunzioni, congiuntivi – ovvero i pronomi relativi); (d) la sintassi (IV
cap.), ovvero lo studio del concatenamento dei segni nel discorso, che comprende tre voci: studio
della costruzione, ovvero del posto del segno nel discorso; studio delle declinazioni, ovvero delle
alterazioni che i segni subiscono nel discorso; studio dei segni la cui funzione consiste nel marcare
la relazione tra segni (preposizioni, congiunzioni, segni di pausa); (e) segni permanenti delle idee
(V cap.): analisi dei tipi di scrittura, suddivisa in: scrittura geroglifica e scrittura alfabetica con
argomenti critici sulla distinzione ulteriore tra scrittura alfabetica e scrittura sillabica e sull’origine
della scrittura; analisi della sillaba e tavola delle qualità dei suoni; auspici per una scrittura
filosofica sulla base dell’analisi della parola svolta nella grammatica; (f) sesto e ultimo argomento è
la riflessione sui progetti di lingua perfetta e confronto con le lingue volgari (VI cap.).
5.2. Funzioni del segno
Il segno ha tre funzioni: (a) è strumento indispensabile per pensare; (b) è strumento indispensabile
per registrare e memorizzare (tale è, per es., la funzione principale del segno permanente, ovvero
del segno scritto); (c) è strumento indispensabile per comunicare.
Proseguirò discutendo nell’ordine delle tre funzioni. Parlando della terza, giungerò al terzo punto
della relazione: il progetto generale dell’Ideologia.
La prima funzione è la più importante, ed è quella che prenderemo subito in considerazione. Così
scrive Destutt de Tracy nel XVI cap. del I vol. (I vol, pp. 277-278 ):
“La prova generale che, senza segni, noi non possiamo pressoché mai rammentare le
nostre idee né combinarle, sta nel fatto che ciascuno di noi prova (sente) che, quando
riflette su una cosa qualsiasi, non è direttamente sulle idee che medita, ma sulle parole”.
5.3. Il segno come strumento di pensiero
Senza segni ci è impossibile pensare.
Nel cap. XVI del I vol. Destutt de Tracy considera tale funzione quella principale del segno. Lo fa
citando Condillac (I vol., p. 276):
“Condillac – credo – è stato il primo che ha osservato e dimostrato che senza segni noi
non potremmo in alcun modo comparare le nostre idee semplici, né analizzare le nostre
idee composte; che le lingue sono necessarie tanto per pensare quanto per parlare, tanto
per avere delle idee quanto per esprimerle, e che senza le lingue non avremmo che
poche nozioni, confuse e incomplete (…)” – il passo prosegue considerando la
riflessione di Condillac sulla lingua come metodo analitico.
Nel cap. XVII e nel cap. V del II vol. Destutt de Tracy afferma che non possiamo pensare senza
segni artificiali. Sebbene pensare sia sentire, sebbene sentire le sensazioni semplici non richiede uso
di segni, tuttavia senza segni non sarebbe possibile combinare le idee, elaborare idee composte, far
crescere le nostre conoscenze.
Prendiamo il caso della parola. La parola è segno dell’idea, ovvero espressione dell’idea. Ora –
scrive Destutt de Tracy nel VI cap. del I vol. – non esiste lingua tanto ricca da avere una parola per
ciascuna idea. Non esiste lingua tanto ricca da avere una corrispondenza uno a uno parola – idea.
Ciò sarebbe controproducente rispetto alle funzioni generali esercitate dal segno (pensare,
memorizzare, comunicare).
Per es. (I vol., p. 114): osservando il colore di una fragola, chiamo “rosso” tale colore. Tale
aggettivo esprime il modo di essere della fragola in particolare, della fragola in generale, e poi
anche della ciliegia. “Rosso” è espressione comune a tutti gli oggetti dotati di tale maniera d’essere.
Lo stesso vale per la qualità osservata che chiamo “buono”:
“A ogni grado di generalizzazione si trascurano certe differenze; la parola cambia
realmente di significato. Ciò è tanto vero, che è chiaro che la bontà di un uomo, di un
frutto, di un cavallo, la bontà in generale non sono la stessa cosa. In questi quattro casi,
le parole “buono” e “bontà” sono applicate a tre idee individuali differenti e a un’idea
generale. Le idee cambiano, e a rigor di logica anche le parole dovrebbero cambiare,
come le parole “verde”, “giallo”, “rosso” e “colore”; ma nessuna lingua è così ricca,
perché gli inconvenienti di un tale eccesso di parole sorpasserebbero di gran lunga i
vantaggi”.
Nel processo di formazione delle idee, il segno, in quanto strumento di pensiero, è indispensabile.
5.4. Le idee composte
I segni sono espressioni di idee composte.
Le idee composte possono essere particolari o generali. Il processo di formazione delle idee
composte è affrontato nel VI cap. del I vol.
Le idee composte non sono il risultato di una esperienza, ma di più esperienze. Esse sono il risultato
della riflessione che l’uomo esercita sulle sensazioni che riceve dagli oggetti esterni. La riflessione è
lo stato dell’uomo che desidera percepire uno o più rapporti, avere (formarsi) dei giudizi.
Nel mondo non esistono che cose particolari (è ciò che è affermato già in Locke e in Condillac).
Dalle cose esterne l’uomo non può che ricevere idee particolari. L’uomo riceve le sensazioni
dall’esterno. La sensazione, in Destutt de Tracy, è delegata agli organi federati dell’organisation
physique: è ricevuta dall’esterno e passa attraverso il sistema nervoso. Questo modo di trattare il
problema delle sensazioni – che non intendo approfondire – deriva dalla fisiologia di Cabanis e
rappresenta un importante punto di distacco da Condillac, il quale, nella Logica – opera in cui il
problema delle sensazioni è affrontato “nello stato attuale dell’uomo” e non più a partire dalle prime
impressioni di un uomo-statua –scrive: “i sensi sono soltanto la causa occasionale delle impressioni
che gli oggetti fanno su di noi. È l’anima che sente, ad essa sola appartengono le sensazioni, è sentire
e la prima facoltà che osserviamo in essa”. Sergio Moravia ha insistito molto sul distacco da
Condillac, specie riguardo ad argomenti “fisiologici”.
Le operazioni per mezzo delle quali si formano le idee composte sono due: (a) astrazione: astrarre
significa sottrarre, ovvero esprimere le qualità in maniera autonoma, senza riferirle a un qualche
oggetto. L’operazione di astrazione è l’operazione con cui si formano idee astratte o idee generali.
Es. riguardante le qualità: astrarre la qualità “buono” per formare l’idea generale di “bontà”. Ma tale
operazione vale anche per gli oggetti esistenti in natura: es.: è astrazione formare l’idea generale di
“pesca” quale immagine o modello delle idee particolari delle pesche. L’operazione di astrazione è
molto importante perché ci permette (.) di distinguere due oggetti senza dover esaminare tutti gli
individui particolari – es. distinguere una pesca da un’albicocca; (.) di classificare in generi e specie
gli oggetti. (b) La seconda operazione è escogitata dal Tracy stesso che la chiama concraire:
operazione per cui una qualità è espressa unita a un oggetto. In una prospettiva genetica – ovvero
considerando il modo in cui si formano le idee – non si tratta di ridiscendere dalle idee generali alle
idee particolari, ma di un’operazione che serve a formare le idee delle cose esistenti, o meglio a
riunire più idee particolari per formare una sola idea particolare. Piuttosto che un’operazione opposta
a quella di astrarre, sembrerebbe un’operazione che necessariamente la precede: es.: (.) sento una
sensazione di “rosso”: è un’idea semplice; se a questa sensazione aggiungo la sensazione particolare
del rapporto tra la cosa che sento e me che sento, l’idea di “rosso” è composta da un giudizio –
ovvero da un rapporto; (.) sento una sensazione di “sapore” e poi una sensazione di “odore”; (.)
chiamo questa cosa che mi ha causato queste tre sensazioni “fragola”. Si tratta di un’idea particolare
composta. Non conosco, infatti, questa “fragola” che per questi tre effetti, che per queste tre
sensazioni che ricevo. Dopo che ho percepito questa fragola, percepisco altre fragole e,
esaminandole, vi riconosco delle qualità comuni e costanti, procedo per somiglianza e facendo
astrazione delle differenze; così posso formare un’idea composta generale di “fragola”.
Destutt de Tracy, così sulle due operazioni (I vol., p. 101):
“L’operazione di astrarre e quella di concraire, sono di frequente uso: noi dobbiamo a
queste operazioni tutte le nostre idee composte; ma bisogna sottolineare la differenza
degli effetti che le due operazioni determinano. L’operazione di concraire ci serve per
formare le idee delle cose esistenti, mentre l’operazione di astrarre ci serve per
comporre gruppi di idee di cui il modello non esiste in natura, e che tuttavia ci sono
molto comodi per fare delle nuove comparazioni e per percepire dei nuovi rapporti tra i
risultati dei rapporti che noi già conosciamo”.
Destutt de Tracy, così sull’operazione di concraire (I vol., p. 102):
“In effetti, una tale pesca esiste realmente, come esistono realmente questa e
quest’altra; è grazie all’operazione di concraire le sensazioni che queste pesche ci
hanno dato, che noi abbiamo formato l’idea [particolare composta] di ciascuna di loro”.
Destutt de Tracy, così sull’operazione di astrarre (I vol., p. 102):
“Ma una pesca in generale, astrazion fatta delle circostanze particolari ciascuna di
queste pesche individuali, una tale pesca non esiste che nel nostro spirito, ed è grazie
all’operazione di astrarre che noi ne abbiamo formata l’idea: tuttavia questa idea mi
sarà molto utile se io voglio, per esempio, stabilire la differenza tra le pesche e le
albicocche (…)”, perché in questo modo non debbo considerare tutte le pesche e tutte le
albicocche esistenti, ecc.
L’operazione di concraire forma idee particolari composte, l’operazione di astrarre forma idee
generali composte. Le prime sono espresse da termini concreti: termini concreti sono gli aggettivi
che esprimono una qualità considerata come unita al suo soggetto; le seconde sono espresse da
termini astratti: sostantivi che esprimono qualità separate dall’oggetto. Ciò vale per distinguere le
qualità: ma la “pesca” è termine concreto o termine astratto? (I vol., p. 103):
“Parlando rigorosamente, tutti i nomi sono generalizzati, ogni idea di una cosa esistente
estesa a più individui simili è già una parola astratta; poiché, nell’uso che se ne fa, si
hanno già delle particolarità degli elementi che vengono cancellate, altre particolarità
che vengono separate, tirate fuori, per così dire, ovvero astratte”.
Ma, allora, anche l’attributo è un termine astratto, dal momento che non distinguo nominalmente il
rosso della fragola e il rosso della ciliegia. Ne consegue che l’operazione di concraire sembrerebbe
un’operazione preliminare dell’operazione di abstraire, le due dovendosi considerare sempre
insieme e mai separatamente: l’una (concraire) consistente nel formare l’idea particolare composta;
l’altra (abstraire) consistente nel formare l’idea generale composta. Se vi è una differenza sul piano
delle operazioni sulle idee, è dubbio che si possa individuare anche una differenza sul piano della
nominazione: la parola è sempre astratta. Un bambino che vede per la prima volta una pesca, quando
gli si dice che quella che vede è una pesca, utilizza un termine astratto, pur formandosi un’idea
particolare di quella pesca che vede.
La prima operazione farebbe dunque riferimento alle idee particolari che ciascuno di noi possiede di
una cosa esistente e terrebbe conto del fatto che ciascuno di noi ha idee particolari differenti di una
stessa cosa (principio importante degli idéologues: non vediamo tutti la realtà allo stesso modo; la
realtà è una ma ognuno ne vede particolari differenti: letteralmente: “non abbiamo la stessa idea
della medesima cosa”). Ne consegue che il contenuto ideologico del segno non è lo stesso per tutti:
ciò non dipende dal fatto che vi è un unico contenuto vero al quale pochi attingono; è invece
conseguenza del fatto che non tutti percepiamo né tutte le qualità né le stesse qualità di un medesimo
oggetto. Per es. posso conoscere della “fragola” il “colore”, il “sapore” e lo “odore”: queste tre idee
particolari formano, per concraire, l’idea particolare che io posseggo di “fragola”; un altro possiede
anche l’idea particolare di “forma conica”, oltre alle tre di cui sopra: nessuna delle due idee
particolari di “fragola” è errata, semplicemente si percepiscono qualità differenti – un altro
percepisce più qualità di quelle che percepisco io (ciò dipende dall’esperienza), ma né io né questi
possiamo percepire tutte le qualità della “fragola”.
Così Destutt de Tracy (I vol., pp. 105-106):
“Quella [la fragola] è, per me, un essere capace di farmi sentire queste tre sensazioni, e
niente di più; poiché l’idea di un qualunque essere non è mai per noi altro che l’insieme
delle proprietà che noi conosciamo di questo essere; è ciò che fa sì che la stessa parola
non ha pressoché mai lo stesso significato per alcuno di coloro che la pronunciano;
questa parola esprime per ciascuno di loro più o meno idee, a seconda del grado di
conoscenza che ciascuno di loro ha dell’oggetto in questione”.
5.5. La parola
Le parole sono sempre generalizzate e mai individuali.
L’espressione delle idee è sempre generalizzata, mai individuale. Può essere individuale
considerando un segno per un bambino che ha a che fare con un oggetto individuale o con un
soggetto individuale: per es. un bambino associa all’espressione “mamma” l’idea della propria
madre. Può esserci espressione individuale per un uomo primitivo. Ma, facendo esperienze,
aumentando le conoscenze e le idee, aumenta il numero delle idee generali composte in modo
esponenziale rispetto al numero delle parole.
Così Destutt de Tracy (I vol., p. 108):
[Tracy sta parlando di una fragola di cui ricevo tre sensazioni: bello, buono, utile,
ovvero la fragola procura piacere, procura del bene, procura un servizio]: “Ma quando
avrò generalizzato le parole piacere, bene, servizio, che sono ancora le espressioni
speciali degli effetti particolari che questa fragola procura su di me; quando io avrò
esteso tali parole ad altri effetti prodotti da altri esseri, effetti che sono analoghi a quelli
prodotti su di me dalla fragola, ma che non saranno esattamente gli stessi, non mi resta
più il modo per esprimere privatamente il piacere che mi procura questa fragola, il bene
che mi causa, il servizio che mi rende; di dire la maniera particolare in cui la fragola è
bella, buona, utile; di dipingere i generi speciali della bellezza, della bontà, dell’utilità
che sono propri a tale fragola. Ecco a quale punto noi siamo ora ridotti: tutte le nostre
idee sono così elaborate, tutte le nostre parole che le esprimono sono così generalizzate.
Noi non abbiamo più parole per esprimere in modo particolare ciascuna cosa; non si
hanno più che i nomi propri che designano un essere ad esclusione di tutti gli altri”.
I nomi propri sono ciò che ci rimane dei termini concreti.
Tutto ciò ci dice che: (a) le parole non esprimono idee particolari, non hanno un significato ristretto e
individuale; (b) per analizzare correttamente le idee bisogna fare astrazione delle parole; (c) le idee
generali non esistono che in quanto nominate, dotate di nome. L’operazione di astrazione consiste
nel mettere insieme idee particolari composte per somiglianze e sorvolando sulle differenze.
L’operazione di astrazione produce un’operazione di classificazione. Non è possibile pensare
un’idea generale priva di nome: un’idea generale è pensabile solo in quanto significato di un termine
astratto. Un’idea astratta non può esistere senza che sia dotata di nome. Essa, inoltre, esiste soltanto
in quanto nominata: infatti, non esiste nella realtà. Bisogna dunque avere il termine astratto e
conoscere il significato di tale termine.
I segni sono espressione di idee composte, ma non tutte le idee composte sono esprimibili mediante
singoli segni. Come non esiste corrispondenza uno a uno tra segni e idee, così non può esistere tra
segni e idee complesse. Molte idee composte sono espresse da una catena di segni. Per es. l’idea
composta “l’uomo che scopre la verità”.
5.6. Il giudizio
Tra le principali funzioni del segno vi è quella di combinare le idee (il segno è strumento
indispensabile per pensare). Noi non possiamo combinare idee senza usare segni. Ciò perché il segno
è il termine astratto che riunisce un insieme di idee particolari e che, in quanto tale, rende possibile
effettuare confronti e comparazioni. Ora, confrontare e comparare non sono altro che attività proprie
della facoltà di giudicare. Pertanto l’uso dei segni nel processo di formazione di idee composte
comporta l’articolazione di giudizi.
Un giudizio è rapporto tra due idee. Tale rapporto può essere di concordanza o di discordanza. Nel II
vol. degli Elementi, Destutt de Tracy riprende il problema del giudizio per darne una lettura più
soddisfacente.
Innanzitutto (II vol., p. 33) ogni emissione di segni di cui siamo capaci è un discorso. L’analisi del
discorso è oggetto di studio della Grammatica generale. Ogni discorso è la rappresentazione delle
nostre idee. Tutte le operazioni intellettuali si possono ridurre alle due operazioni fondamentali di
sentire e di giudicare (riflettere, ricordare, desiderare sono operazioni che discendono
dall’operazione di giudicare): giudicare è sempre sentire, ma sentire dei rapporti. Ma questa
definizione non è ancora la migliore. Il punto in questione è importante per gettare le fondamenta
dell’analisi del discorso – ed è stato ignorato da tutti i grammatici precedenti: il discorso, infatti, è
fatto di proposizioni e le proposizioni non sono altro che enunciati di giudizio. Il giudizio è fatto di
idee, ma non può che essere espresso, proprio perché non si dà che per mezzo di segni: pertanto è
elaborato secondo l’ordine della proposizione.
Il concatenamento di idee-segni, ossia l’enunciato di giudizio, è l’oggetto di analisi della Logica.
Ma, come si è detto sopra, l’analisi logica è strettamente dipendente dall’analisi ideologica e
dall’analisi grammaticale. Il campo della logica non può essere altro che campo di distribuzione
degli enunciati di giudizio (proprio come avevo detto che lo spazio della logica è lo spazio di
proiezione delle analisi delle idee e delle analisi dei segni): ultimo stadio del progetto generale
dell’Ideologia e primo stadio dell’applicazione dei principi dell’Ideologia, ponte di connessione tra
la teoria generale (la metafisica) e l’applicazione nelle scienze degli insegnamenti della teoria
generale.
Torniamo alla Grammatica e al giudizio. Il giudizio è di un solo tipo di rapporto: giudicare è sentire
un rapporto tra un contenente e un contenuto: (II vol. p. 34):
“giudicare non è sentire un’idea nuova, è sentire che un essere, qualunque esso sia, o
piuttosto l’idea che se ne ha (poiché noi non sentiamo che le nostre idee), contiene una
qualità, una proprietà, una circostanza qualunque. O, questa qualità, questa proprietà,
questa circostanza qualunque, è essa stessa una percezione, un’idea, poiché è una cosa
sentita. Giudicare è dunque sentire che un’idea è contenuta in un’altra”.
Poco più avanti (II vol., p. 35):
“Giudicare non è dunque esattamente la facoltà di sentire dei rapporti in generale: ma,
se si vuole per forza servirsi di questa parola, rapporto, è unicamente la facoltà speciale
di sentire tra un’idea e un’altra il rapporto tra il contenente e il contenuto; o per meglio
dire, è la facoltà di intravedere, di sentire che l’idea che si ha attualmente presente ne
contiene un’altra”.
Così esposto, il giudizio, la sensazione che un’idea contiene un’altra idea, o la sensazione che
un’idea è contenuta in un’altra idea, è il rapporto corretto. Rapporto tra contenente e contenuto.
Infatti il problema che Destutt de Tracy si pone effettuando questa ricognizione sul giudizio
concerne l’ordine del discorso, e la rappresentazione in questo ordine della simultaneità delle idee.
In un giudizio formato da più di due idee, il rapporto di contenimento è tale che l’ultima idea è
contenuta nella penultima e questa nella terz’ultima e così via: l’ultima idea è sempre contenuta nella
prima. È un meccanismo a cerchi concentrici: l’idea che contiene tutte le altre idee è la più
importante (ma non è la più grande, cioè la più generale, bensì quella che è dotata dell’idea di
esistenza in sé). Un ragionamento è un concatenamento di giudizi. Per il ragionamento vale lo stesso
tipo di rapporto che vale per il giudizio: in un ragionamento un giudizio è contenuto in un altro
giudizio.
Seguendo l’analisi che Destutt de Tracy sviluppa nel II vol. (in particolare nel II cap. dedicato alla
proposizione di qualsiasi tipo di discorso, non solo del discorso verbale), possiamo dire che “fragola
è rossa” è giudizio in cui si ha un’idea (“fragola”) che ne contiene un’altra (“è rossa”). Nel caso più
semplice (senza considerare la genesi dei linguaggi, di cui dirò dopo), il giudizio è formato dal
numero minimo di segni di cui può essere composto: due segni, uno per l’idea contenente e uno per
l’idea contenuta. L’es. “fragola è rossa” il giudizio è composto da tre segni.
Il segno dell’idea contenente è il sostantivo, o nome. Il segno dell’idea contenuta è l’attributo.
Consideriamo ora il rapporto d’esistenza tra contenente e contenuto. Scrive Tracy (II vol., p. 55):
“Poiché ogni proposizione è l’enunciato di un giudizio, e poiché ogni giudizio consiste
nel sentire che un’idea esiste nel nostro spirito e che in un’altra idea esiste in quell’idea
là, bisogna necessariamente che il segno unico che esprime una proposizione contenga
almeno due altri segni: l’uno rappresentante un’idea esistente per se stessa, e l’altra
rappresentante un’altra idea come non esistente che nella prima. Sono questi due
elementi sicuramente indispensabili per formare un discorso”.
Il segno dell’idea contenente è il nome o sostantivo. “I nomi – scrive il Tracy – rappresentano tutte
le idee che hanno nel nostro spirito un’esistenza assoluta e indipendente da tutte le altre idee”. Si
tratta di un’esistenza reale e positiva, come l’esistenza delle cose reali, o fittizia e immaginaria, come
l’esistenza delle cose immaginarie e intellettuali. Pertanto nome può essere “fragola” o “bellezza”. In
altri casi, il contenente di un giudizio può essere espresso da una catena di segni come nell’enunciato
di giudizio “l’uomo che scopre una verità è utile a tutta l’umanità” (es. di soggetto e attributo
complessi che Destutt de Tracy fa nel cap. dedicato al “giudizio”, il IV del I vol.).
Il segno dell’idea contenuta è l’attributo. Sembrerebbe innanzitutto – scrive il Tracy (II vol. p. 58)
che questo ruolo sia ricoperto da tutte quelle parole che chiamiamo “aggettivi”. Per es. l’idea “bello”
non esiste di per sé ma in quanto contenuta in un’altra idea: la sua esistenza dipende dall’idea nella
quale esiste. Ma l’idea espressa dall’aggettivo non può essere contenuta nell’idea espressa dal
sostantivo in quanto tale, perché l’aggettivo, proprio in quanto privo dell’idea di esistenza, necessita
che l’idea di esistenza sia esplicitamente espressa. L’idea di esistenza è innanzitutto espressa dal
segno che contiene l’idea di esistenza come proprio significato, ovvero il verbo “essere” (II vol., pp.
58-59):
“Essente, esistente è il solo aggettivo che contiene l’idea di esistenza, non tanto perché
tale idea è il suo significato specifico, ma perché è il suo significato proprio, e dal quale
significato, di conseguenza, non può essere separato senza essere soppresso; così è per
mezzo di se stesso che rende l’idea di esistenza agli altri [aggettivi]; e non vi sono degli
aggettivi che la contengano, che, di conseguenza, esprimano completamente un’idea
esistente in un’altra, che per questo siano degli attributi interi, che quelli [aggettivi] nei
quali l’aggettivo essente è implicitamente compreso. Questi aggettivi sono quelli che
noi chiamiamo dei verbi”.
Il vero attributo è il verbo. L’aggettivo non è che un verbo che ha perso l’idea di esistenza. La forma
essenziale del verbo è il participio. La forma essenziale è quella che grazie alla quale il verbo
esprime l’idea di esistenza in generale. Così “Piero corre” è un giudizio in cui l’attributo è composto
dal solo verbo e rappresenta l’idea contenuta nel nome che rappresenta l’idea contenente. “Fragola è
rossa” è giudizio composto da un sostantivo, “fragola”, e da un attributo, “è rossa”, formato da un
verbo e da un aggettivo.
Il giudizio è la sensazione che un’idea contiene un’altra idea. L’idea contenente è la causa, l’idea
contenuta è l’effetto, l’idea dell’esistenza dell’idea contenuta nell’idea contenente è il rapporto.
L’espressione della prima è il nome o sostantivo, l’espressione della seconda è l’attributo formato
dal solo verbo o da verbo e aggettivo, l’espressione della terza è il verbo.
I segni necessari della proposizione sono nomi e verbi. Ciò perché bastano alla formazione di un
enunciato di giudizio, il quale è composto di sostantivo e attributo. L’aggettivo, in quanto forma
grammaticale derivata dal verbo alla quale è stata sottratta l’idea di esistenza, è il risultato del
processo di raffinamento della lingua ed è un elemento utile della proposizione. Gli aggettivi sono
dei modificativi, ovvero esprimono il modo d’essere quale idea contenuta nell’idea rappresentata dal
sostantivo.
5.7. Destutt de Tracy e Condillac
Abbiamo visto in cosa consistono il giudizio e l’enunciato di giudizio. In un passo citato all’inizio di
questa parte (II vol., p. 34) abbiamo visto che Destutt de Tracy afferma (a) che giudicare consiste nel
sentire che un’idea è contenuta in un’altra idea e (b) che giudicare non è sentire un’idea nuova.
La Logica è scienza del ragionamento che funge da base per ogni arte del ragionamento. Così
Destutt de Tracy all’inizio del Discorso preliminare (III vol., p. 16):
“[La logica] mi sembra, o deve essere, una scienza puramente speculativa, consistente
unicamente nell’esame della formazione delle nostre idee [il che spetta all’Ideologia
propriamente detta], del modo della loro espressione [il che spetta alla Grammatica
generale], della loro combinazione e della loro deduzione [il che spetta alla Logica]; e
da questo esame risulta o risulterà la conoscenza dei caratteri della verità e della
certezza, e delle cause dell’incertezza e dell’errore.
Quando questa scienza sarà fatta e ben fatta, e quando possederà delle verità
incontestabili, allora si potrà, con sicurezza, dedurre i principi dell’arte di ragionare,
ovvero, dell’arte di condurre il proprio spirito nella ricerca della verità, che comprende
ugualmente l’arte di studiare e quella di insegnare, o, in altri termini, quella di
acquistare delle conoscenze vere, e quella di comunicare tali conoscenze chiaramente
ed esattamente, sia mediante lezioni parlate o scritte, sia nella semplice conversazione”.
Come si può dare una scienza ben fatta? La domanda non può che rinviare all’affermazione di
Condillac: “il ragionamento corretto è una lingua ben fatta”, e, poiché la scienza si dà solo per
dimostrazioni rigorose, ovvero per mezzo di ragionamenti corretti, allora “la scienza è una lingua
ben fatta”. Vediamo in che modo questo punto riguarda il giudizio.
Nella Logica, Condillac scrive che l’analisi, metodo “naturale” di indagine che consiste
nell’effettuare operazioni di scomposizione e di ricomposizione (I parte, cap, II), è la stessa in ogni
scienza, e consiste nel procedere “dal conosciuto allo sconosciuto col ragionamento, cioè con una
successione di giudizi che sono racchiusi gli uni dentro gli altri”. L’arte di ragionare si riduce a una
lingua ben fatta perché è la lingua il metodo d’analisi (II parte, cap. III). L’esempio di lingua ben
fatta, di dimostrazione rigorosa, di ragionamento corretto, di scienza, di analisi che Condillac riporta
è quello dell’algebra (II parte, cap. VII). L’espressione algebrica mostra in modo chiaro come in un
ragionamento i giudizi sono legati gli uni agli altri. L’espressione algebrica, tuttavia, mostra di quale
tipo di rapporto si tratta. Un rapporto in cui i giudizi sono racchiusi gli uni negli altri è un rapporto di
identità, come è evidente nell’espressione algebrica. Pertanto il rapporto è il seguente: una
successione di giudizi gli uni identici agli altri.
Questo è il metodo di analisi che Condillac mostra di aver seguito nell’analisi metafisica – cioè delle
facoltà dell’anima. Tale metodo consiste di due passaggi: (a) enunciare i dati (ovvero lo stato del
problema) in cui sono inclusi i termini noti e i termini ignoti; i dati sono contenuti nel problema e i
termini noti necessari per scoprire la verità sono contenuti nei dati del problema. Il punto è riuscire a
osservare questi dati; (b) ricavare le incognite (ovvero costruire il ragionamento), che è operazione
che segue l’enunciazione dei dati.
Così Condillac mostra che il problema metafisico è l’origine e la genesi delle facoltà dell’anima,
dove l’origine è il termine che è principio di tutti gli altri termini e la genesi è il modo in cui tutti i
termini noti derivano dal primo termine. Tale derivazione non può che essere (a) per contenimento
(cioè tutti i termini sono contenuti nel primo termine) e (b) per identità (cioè tutti i termini sono
identici al primo dal quale derivano). Ma il primo termine è l’incognita, ovvero l’origine delle
facoltà dell’anima è l’incognita; essa è mescolata con tutti gli altri termini che bisogna calcolare,
proprio come in un equazione algebrica (per es.: “x – 1 = y + 1”) l’incognita è mescolata ad altri
termini. Ora la più superficiale delle osservazioni (ecco l’enunciazione dei dati) mi fa guardare la
facoltà di sentire mescolata a tutte le altre facoltà dell’anima. Ogni operazione dell’anima è
contenuta e identica all’operazione di sentire. La sensazione è l’incognita. Ricavata l’incognita, si
possono derivare tutte le operazioni dell’anima (giudizio, attenzione, confronto, ecc.). Ciò si fa
operando passaggi di calcolo, proprio come si calcola il valore dell’incognita in un sistema di
equazioni algebriche (per es.: “x – 1 = y + 1” e “x + 1 = 2y – 2”).
Questo è ciò che Condillac chiama evidenza di ragione; questa è l’analisi che, per rapporto di
contenimento, ovvero di identità, tra giudizi, permette di muovere dal noto all’ignoto.
Ora, abbiamo visto che, secondo Destutt de Tracy, il giudizio è un rapporto di contenimento:
giudicare è sentire che un’idea ne contiene un’altra. Ciò vale anche per il ragionamento. Ma ciò non
vuol dire che il giudizio e il ragionamento siano regolate da rapporti di identità. Secondo il Tracy,
Condillac commette un errore quando riduce il ragionamento al calcolo (ragionare è calcolare) e
quando afferma che “equazioni, proposizioni, giudizi, sono in fondo la stessa cosa” (II parte, cap.
VIII).
Il problema è affrontato nel cap. XVI del I vol. (I vol, p. 276):
“Condillac (…) avrebbe dovuto dire che [il Tracy si riferisce al fatto che i segni
servono per pensare, ovvero sono indispensabili per combinare idee] ogni segno è
l’espressione di un calcolo eseguito o, se si preferisce, di un’analisi fatta, e che fissa e
constata questo risultato: in modo che una lingua è realmente una collezione di formule
trovate, che in seguito facilitano e semplificano meravigliosamente i calcoli o le analisi
che si vogliono fare ulteriormente. È proprio in questo senso che [la lingua] è
un’algebra: così l’algebra è anch’essa una lingua, e le lingue non sono esse stesse che
delle specie di algebre”.
Ciò sembrerebbe dare ragione a Condillac. Segue l’analisi dell’idea di unità che è alla base delle idee
di quantità: segno dell’idea di unità è la parola “uno”; tutti i numeri non sono che l’unità ripetuta: la
parola “uno” è il germe di tutte le idee di numero. Infatti, se supponiamo di non avere segni per
esprimere le idee dell’unità ripetuta, allora per dire “due” dovremmo dire “uno più uno”. Il rapporto
tra le idee di quantità è un rapporto fisso, fondato sull’idea di unità.
Il Tracy, dopo questa lunga analisi, scrive (I vol., pp. 288-289):
“Noi siamo dunque portati a concludere che ciò che noi abbiamo sottolineato dei nomi
di numero e delle idee di quantità, è vero delle altre parole e delle altre idee, e ciò che
noi abbiamo detto delle parole si applica più o meno a tutte le specie di segni; e noi
possiamo guardare come dimostrato che l’effetto generale dei segni è, constatando le
analisi anteriori, di rendere più facili le analisi che seguono; che questo effetto è
esattamente quello dei caratteri e delle formule algebriche; e che, di conseguenza, le
lingue sono dei veri strumenti di analisi, e l’algebra non è che una lingua che dirige lo
spirito con più sicurezza che le altre [lingue], perché non esprime che dei rapporti più
precisi e non esprime che un solo genere di rapporti. Le regole grammaticali procurano
lo stesso effetto delle regole del calcolo; in entrambi i casi, non sono che dei segni che
noi combiniamo, e, senza accorgercene, noi siamo condotti dalle parole come dai
caratteri algebrici”.
Ma in una lunga nota che si apre alla fine di questo discorso, Destutt de Tracy individua delle
differenze importanti tra l’algebra e le altre lingue, per cui i ragionamenti ordinari non possono
essere ridotti al calcolo. I punti trattati sono i seguenti: (a) l’algebra è espressione delle idee di
quantità, ovvero di idee di una sola specie e che godono di rapporti fissi e precisi. I rapporti algebrici
si basano sull’idea di unità e non sono suscettibili di incertezza, di oscurità né sono soggetti a
variazioni. Ciò non perché è l’algebra è una lingua ben fatta; ma perché è il contenuto ideologico
(l’idea di quantità sulla base dell’unità) dei giudizi e dei ragionamenti che si effettuano e che sono
espressi dalla forma algebrica a donare simili caratteri all’algebra. (b) Il calcolo algebrico somiglia al
ragionamento di un uomo che comincia con una proposizione vera e finisce con una proposizione
vera. Ma le parole sono il risultato di combinazioni precedenti. Combinando le parole, è impossibile
ottenere la stessa precisione che si ha combinando i caratteri algebrici: le modificazioni che
apportiamo alle parole, l’aggiunta di un aggettivo o di un attributo sono operazioni che non possono
avere la stessa precisione delle operazioni algebriche. (c) Nel discorso, come ha detto Maine de
Biran, i ragionamenti devono farsi carico del doppio fardello dei segni e delle idee. Può capitare di
far uso di segni dal contenuto oscuro o di cercare di esprimere idee poco chiare. Ciò non accade nel
calcolo algebrico. (d) L’algebra non è una lingua completa: non conduce da sola un ragionamento da
un’estremità all’altra, ma è sempre inframmezzata da una qualche frase della lingua ordinaria (del
resto è ciò che fa lo stesso Condillac quando riduce il problema a espressione algebrica). Pertanto,
quando si riflette sulle operazioni algebriche, i segni non possono bastare, ma dobbiamo ricorrere
alle idee che sono rappresentate da segni della lingua volgare. Ciò ha un’importante conseguenza: se
l’algebra è una lingua ben fatta, allora una lingua ben fatta non è una lingua completa, ma una specie
di lingua che non può sussistere senza il supporto della lingua ordinaria. Questa puntualizzazione
vale anche per i progetti di lingua perfetta (ed è stata riportata da Destutt de Tracy e da Degerando).
(e) È pertanto un grosso errore credere di poter trasferire la lingua dell’algebra nelle altre lingue,
ovvero di tentare di ridurre tutte le lingue alla lingua dell’algebra e tutti i ragionamenti al
ragionamento algebrico. L’equazione non è identico al giudizio o alla proposizione, ma è una specie
di giudizio, una classe minore e contenuta nella classe maggiore di giudizi, della quale non può
essere considerata equivalente.
Qual è quindi la posizione di Destutt de Tracy circa il rapporto tra lingue volgari e sistema algebrico,
tra ragionamenti ordinari e calcolo algebrico? Si potrebbe rispondere così: (a) non è possibile
affermare, come fa Condillac, che il giudizio e un’equazione, che ragionare è calcolare, che una
lingua deve essere ben fatta come la lingua dell’algebra; (b) ma la lingua dell’algebra ha tali
proprietà per cui essa può fungere da modello di ragionamento e di espressione del ragionamento
delle lingue volgari.
La lunga nota esposta era parte del testo nella prima edizione, ma l’autore ha deciso di tagliarla
perché contiene diverse conclusioni degli Elementi che intende invece mostrare poco a poco,
secondo il precetto della rivoluzione lentissima di cui ho detto all’inizio.
Pertanto è chiaro che Destutt de Tracy non può accettare l’affermazione di Condillac: (a) “equazioni,
proposizioni, giudizi sono in fondo la stessa cosa”. Le proposizioni sono enunciati di giudizio, le
equazioni sono una specie di giudizio. La questione è ripresa nel cap. I del libro sulla Logica. Nello
stesso libro, ai capitoli VIII e IX, Destutt de Tracy critica altre due tesi di Condillac: (b) “ragionare è
calcolare”; (c) “la scienza è una lingua ben fatta”. Queste ultime due critiche non le riprendo perché
non dicono altro oltre a quello che è contenuto nella nota del I vol. Considero solo la prima critica,
perché ci permette di considerare che comunque tra Destutt de Tracy e Condillac vi è un punto di
partenza in comune.
“Equazioni, proposizioni, giudizi sono in fondo la stessa cosa”: Destutt de Tracy afferma: (a) la
facoltà di giudicare non deriva dalla facoltà di fare equazioni, ma, al contrario, questa deriva da
quella (in realtà Condillac non dice una cosa simile a ciò che il Tracy critica); (b) il giudizio non è
una specie di equazione, ma un’equazione è una specie di giudizio, e al termine che è il genere non
si possono attribuire le stesse proprietà che appartengono al termine che è la specie (così come non si
può risalire dall’idea particolare all’idea generale); (c) l’equazione, in quanto specie di giudizio,
consiste nel rapporto di “essere uguale” e ciò vale solo per i segni che esprimono idee di quantità.
Così, se dico “quest’albero è bello”, “quest’albero è sano”, “quest’albero è vigoroso” non faccio
alcuna equazione, sia se dico che l’idea di quest’albero è uguale all’idea di bellezza, sia se dico che
l’idea particolare di quest’albero è uguale all’idea generale di bellezza. Il giudizio esprime invece
che sento nell’idea particolare di quest’albero l’idea generale di essere bello, ovvero che l’idea di
essere bello è contenuta nell’idea particolare di quest’albero. Così è falso dire che quest’albero è
bello è identico al giudizio un essere è bello, come è falso dire che un essere è bello è giudizio
identico al giudizio un essere è vigoroso. Due idee, quindi, non sono identiche che quando sono
completamente uguali. Un’identità tra due termini deve essere un’identità totale. Se non lo è, allora
non è un’identità, perché sarebbe instaurare un rapporto incompleto di “essere uguale”, ovvero
un’uguaglianza incompleta o imperfetta. A ciò segue un’altra idea falsa: ovvero che il conosciuto e
lo sconosciuto sono identici. Se ciò fosse vero, fare una scoperta sarebbe non fare niente di nuovo.
In realtà qui Destutt de Tracy travisa il pensiero di Condillac, il quale non ha mai affermato nulla di
tutto ciò che il Tracy critica. Il punto, a mio avviso, è che Destutt de Tracy dimentica che il problema
del rapporto tra giudizio ed equazione non consiste nella semplice trascrizione del singolo giudizio
in forma di equazione, ma nel definire il modo del ragionamento più semplice e corretto possibile.
Cioè il rapporto è da vedersi dal punto di vista dell’analisi, non, per quel che riguarda Condillac, nei
termini di una logica ridotta all’algebra o alla geometria (che è l’obiettivo della critica del Tracy).
Giudicare, secondo il Tracy, è sentire che un’idea contiene un’altra idea. Ragionare è sentire che un
giudizio contiene un altro giudizio, che un sostantivo contiene un attributo e che questo attributo
contiene altri attributi in una successione di contenimento. Tracy recupera l’immagine, che ha
utilizzato nel Mémoire sur la faculté de penser, delle scatole cinesi: aprendo quella più grande, si
vede che ne contiene una più piccola, e questa, una volta aperta, ne contiene un’altra, e via dicendo.
Ma a questa immagine ora preferisce un’altra, più legata al criterio dell’osservazione (che consiste
nel guardare le parti di una totalità): l’immagine dei tubi del cannocchiale o del telescopio che sono
contenuti gli uni negli altri, che si estraggono gli uni dagli altri, e che permettono di guardare sempre
più nei dettagli le parti dell’oggetto percepito. Allo stesso modo in cui un tubo ne contiene un altro,
un giudizio ne contiene un altro, e così, aggiungendo una nuova idea che è contenuta nella
precedente, si allunga il cannocchiale, e ciò permette di vedere ancora più nel dettaglio.
Pertanto il muovere dal conosciuto allo sconosciuto avviene per Destutt de Tracy allo stesso modo in
cui avviene per Condillac: un’idea nuova è sempre contenuta in un’idea nota, come un termine da
calcolare è contenuto in un termine noto o i dati di un problema sono contenuti nel problema. Per
entrambi infatti la logica non consiste in altro che “nel prendere tutte le precauzioni necessarie” per
elaborare giudizi e ragionamenti corretti (III vol., p. 149) ed evitare l’origine di tutti gli errori:
giudicare precipitosamente (III vol., p. 152). Così, nel sistema ideologico di Destutt de Tracy, sentire
è pensare, e tutte le facoltà intellettuali sono contenute nella facoltà di sentire, ma non sono identiche
fra loro. Proprio in ragione dell’identità tra le facoltà, si potrebbe dire, Condillac moltiplica queste,
laddove il Tracy le riduce al numero di quattro. Ciò vale anche per il sistema grammaticale: la
proposizione è sostantivo e attributo; l’attributo è contenuto nel sostantivo, il verbo è contenuto nel
nome, l’aggettivo è contenuto nel verbo, la preposizione è contenuta nell’aggettivo, gli avverbi sono
contenuti nel nome, nell’aggettivo, sia nel nome che nell’aggettivo, nell’aggettivo e nella
proposizione, ecc. Il rapporto di contenimento permette di percorrere il rapporto di derivazione. Il
che rimanda a quanto ho detto più sopra circa la “storia” come percorso dell’evoluzione delle
combinazioni – e quindi dell’evoluzione come processo di derivazione, di contenimento: ciò che è
scoperto è sempre contenuto in ciò che è noto. Pellerey, per es., nel saggio sulle lingue perfette,
scrive (p. 198) che nella trattazione delle lingue da parte degli idéologues “la storia viene a
coincidere completamente con la trasformazione”: ciò sia sul piano diacronico, quando si ridiscende
(ovvero si da ricomposizione) dall’origine della lingua, sia sul piano sincronico, quando si risale
(ovvero si decompone) agli elementi combinatori primi.
Pertanto, la struttura degli Elementi contiene gli argomenti trattati secondo il rapporto di
contenimento come rapporto di derivazione. Lo si è visto nel caso del rapporto delle tre scienze –
Ideologia, Grammatica, Logica. Per questo Destutt de Tracy difende il rapporto di contenimento e lo
distingue da quello dell’identità: perché è su questo che si basa il progetto generale dell’Ideologia.
5.8. Il segno come strumento di comunicazione
Proseguendo la riflessione dalla natura del segno ai sistemi segnici passiamo a discutere della
funzione comunicativa del segno: i segni sono indispensabili per comunicare. L’intenzione con la
quale gli uomini compongono lingue e linguaggi è l’intenzione di comunicare con i propri simili
(sebbene non si possa dire che questa sia la sola funzione, e nemmeno la funzione principale dei
segni – ma di questo abbiamo già detto – I vol., p. 275).
Nei cap. XVI e XVII Destutt de Tracy distingue segni naturali e segni artificiali. Un’altra distinzione
importante è quella tra lingua e linguaggi. Destutt de Tracy chiama “lingua” il linguaggio verbale,
dei suoni articolati, che è proprio solo dell’uomo (gli animali possiedono un linguaggio come il
linguaggio d’azione degli uomini, o anche più evoluto, ma che si distingue della lingua dei suoni
articolati degli uomini per due ragioni fondamentali: (a) le unità linguistiche del linguaggio degli
animali non sono scomponibili, il linguaggio degli animali non è metodo di analisi: il linguaggio
degli animali è composto di interiezioni; (b) il linguaggio degli animali non ha nomi, quindi non ha
segni capaci di esprimere un’idea isolata dotata di esistenza propria). Linguaggi sono invece tutti gli
altri sistemi di segni.
Il sistema dei segni naturali è il linguaggio delle azioni (come in Condillac). Il linguaggio delle
azioni è mezzo con il quale gli uomini comunicano i loro pensieri, manifestano i loro sentimenti
“malgrado loro”. È linguaggio necessario, inevitabile (I vol., p. 272):
“Quando noi proviamo il bisogno di riposo, noi siamo forzati a sederci o a sdraiarci; il
dolore ci strappa le grida; la gioia o la sorpresa ce ne ispira [di grida] di molto diverse;
(…) ogni uomo prova questi effetti in lui; quando li osserva nei suoi simili, non manca
di indovinare ciò che passa in loro. Ecco dunque un inizio del linguaggio inevitabile; e
le nostre azioni sono i segni naturali e necessari dei nostri sentimenti e dei nostri
pensieri; se [le azioni] non restano gli unici segni, esse saranno sempre i più
inconfutabili e i più certi”.
Il linguaggio d’azione comprende: gesti, grida, tocchi; i canali sensoriali di comunicazione sono: gli
occhi (per i gesti), le orecchie (per le grida), il tatto (per i tocchi). Il linguaggio d’azione contiene il
seme di tutti i linguaggi possibili; se è il meno fine, il meno ricco, il meno sviluppato dei linguaggi è
comunque il più energico e il più veemente, il solo di cui conserviamo l’uso quando l’eccesso di
passioni o la violenza dei sentimenti ci privano dei mezzi convenzionali di comunicazione.
Il linguaggio d’azione è naturale, proviene dalla natura. L’uomo possiede un modo di comunicazione
innato, ma non possiede idee innate. Proprio in quanto naturale, il linguaggio d’azione possiede in
germe tutti i linguaggi possibili. L’evoluzione dal linguaggio naturale delle azioni avviene con l’uso.
L’evoluzione è necessaria per esprimere idee complesse. Il linguaggio d’azione può infatti esprimere
solo idee semplici e non è un metodo di analisi (cioè gli elementi di tale linguaggio non sono
scomponibili).
Ma, con l’uso, non tutti i segni sono suscettibili dello stesso perfezionamento, della stessa
modificazione in espressioni convenzionali. I segni del linguaggio d’azione sono tre: tocchi, gesti,
grida. I tocchi sono i meno suscettibili di perfezionamento. I gesti sono più disponibili a
perfezionarsi e a formare dei linguaggi più complessi. Ma sono chiaramente le grida quelle
potenzialmente più adatte allo sviluppo, a trasformarsi in segni artificiali, tant’è che con lo sviluppo
delle lingue parlate ci sono poche tracce delle interiezioni (grida) che sono all’origine della lingua
parlata – tracce che hanno poca importanza negli attuali sistemi di lingua parlata.
Tutti i linguaggi artificiali di cui noi disponiamo non sono che linguaggi che derivano per estensione
e per perfezionamento dal linguaggio naturale.
Ciò non esclude che facciamo ancora uso di segni propri del linguaggio naturale, come i tocchi. Ma
questi si possono considerare parte di una comunicazione complessa, in cui le due persone che
comunicano fanno uso di più segni contemporaneamente – per es. di suoni vocali e di tocchi o di
suoni vocali e di gesti contemporaneamente. Per es. quando una persona (a) spinge con una mano
una persona verso una meta (tocco), (b) indica con l’altra mano alla stessa persona la meta (gesto),
(c) dice alla persona di andare verso quella meta (parola). Tocchi e gesti, con lo sviluppo delle lingue
parlate, divengono ausiliari indispensabili o accessori necessari nella comunicazione rispetto ai segni
della lingua parlata.
Molto importante è anche ricordare che ciascuno dei tre linguaggi (tattile, gestuale, orale) si divide
in molteplici dialetti, sicché una stessa parola o uno stesso gesto non ha lo stesso significato in posti
differenti, ovvero esprime la medesima idea.
5.9. Sistemi di segni
Tutti i sistemi di segni di cui facciamo uso sono sistemi di segni convenzionali, o artificiali. Sono
inventati dagli uomini. Con tali segni si comunica per tre canali sensoriali: tatto, udito, vista. Gli
unici canali sensoriali attraverso i quali non comunichiamo sono gusto e odorato: in tal caso se noi
attacchiamo un’idea a un certo odore o a un certo sapore, essa non può che essere rivestita di un
segno che passa per uno degli altri tre canali sensoriali.
Destutt de Tracy non fornisce una sistematica classificazione dei sistemi segnici, ma solo degli
esempi, che importano (a) per la via sensoriale attraverso la quale passano i segni, (b) per il tipo di
linguaggio che tale sistema rappresenta.
I sistemi dei gesti dei mimi e dei muti che sono dei linguaggi con i quali si possono esprimere
sentimenti profondi e idee astratte. I gesti dei commedianti e degli oratori, o di qualsiasi altra
persona, sono linguaggi che contribuiscono a esplicare i pensieri; ma linguaggi che sono sovrapposti
alla lingua parlata.
I sistemi di movimenti telegrafici, i segnali di cui fanno uso le flotte o le armate, sono delle lingue
più o meno ricche, più o meno estese, poiché sono l’assemblaggio dei segni che rappresentano le
idee che vi si è convenuto di attaccare e che vengono trasmesse come se fossero delle parole.
Pittura e tutti i generi di disegno sono un’altra classe di lingue. Infatti un piano, un disegno, una
figura geometrica sono descrizioni sintetiche di un monumento, una pianta, un animale, una certa
combinazione di linee e di superficie, e tali descrizioni sostituiscono una lunga catena di parole.
Geroglifici, simboli, emblemi, attributi sono lingue o parti di lingue del medesimo genere, poiché
trattasi di pitture più o meno alterate, il cui significato passa dal senso proprio (naturale) al senso
figurato. Es.: il disegno di una spiga come segno per esprimere l’idea di abbondanza. Si tratta di fare
di questa cosa – per es. della spiga – un uso deviato, che non è l’idea che questa risveglia
naturalmente, ma un’altra idea. Ciò di cui si fa un uso deviato è il segno. Infatti noi facciamo un uso
simile anche delle parole, per es. quando diciamo che un uomo è una linea che unisce la sua società.
A questo punto Destutt de Tracy ricorda alle giovani generazioni che l’impiego dei simboli e degli
emblemi è proprio del gusto deviato dell’allegoria e della metafora, ovvero di qualcosa che nuoce
gravemente alla salute del ragionamento.
Per quanto riguarda i geroglifici – per es. quelli dei cinesi o dei giapponesi – questi sono dei segni
che formano una lingua in cui ciascuno di questi segni dipinge direttamente l’idea alla quale è
attaccato.
L’alfabeto invece non è una lingua. I caratteri alfabetici non dipingono direttamente alcuna idea.
Questi non sono quindi dei segni. Nelle lingue dotate di alfabeto, non sono i caratteri alfabetici che
esprimono le idee ma i suoni. L’alfabeto è dunque soltanto la scrittura comune di tutte le lingue
parlate. I caratteri alfabetici sono poco numerosi perché un’articolazione di caratteri alfabetici serve
a rendere le intonazioni e le articolazioni della voce umana, ovvero una combinazione di caratteri
alfabetici esprime il suono che rappresenta un’idea. La funzione dei caratteri alfabetici è funzione
puramente articolatoria e combinatoria.
Cifre e caratteri algebrici formano ancora una lingua o una porzione di lingua. Le cifre, infatti,
rappresentano direttamente le idee di quantità. Una cifra nella lingua algebrica è come una parola
nella lingua parlata. Allo stesso modo, nella lingua algebrica si impiegano caratteri alfabetici, i quali
tuttavia non sono come le lettere, ma sono dei veri e propri segni, perché rappresentano l’idea di una
quantità conosciuta (per es. “a”) o l’idea di una quantità sconosciuta (per es. “b”).
Vi sono anche lingue o porzioni di lingue fatte di segni tattili convenzionali come quelli della
massoneria o quelli dei bambini quando giocano.
Quando Destutt de Tracy parla di porzioni di lingua è perché il sistema di segni convenuto poggia
sul sistema dei segni verbali, sul sistema delle parole, che è quello più importante e usato dagli
uomini. Su tale sistema di segni è possibile costruire altri sistemi di segni, come è nel caso del
sistema dei segnali usato dalle flotte navali o dalle armate, o come è nel caso del sistema dei segni
dei sordomuti.
In questa rapida carrellata di sistemi di segni, è evidente che il metro di paragone è il sistema dei
segni verbali. Un sistema dei segni è più sintetico, più incompleto, più sicuro ecc. messo a confronto
con il sistema dei segni verbali. È questo il principale sistema dei segni utilizzato dagli uomini
5.10. Sistema del segno linguistico
Così Destutt de Tracy (I vol., p. 265):
“Noi lo abbiamo già detto, le parole di cui noi ci serviamo sono i segni delle nostre
idee; la loro unione forma una lingua, e tutte le nazioni conosciute hanno un linguaggio
di questo genere, ovvero, una lingua parlata. Ciò prova che gli uomini hanno sentito
unanimemente che di tutti i loro mezzi per comunicare con i loro simili, l’organo della
voce è quello che fornisce loro la maggior parte delle risorse per esprimere ciò che
passa in loro, e che tra gli altri, l’organo dell’orecchio è quello che offre loro più
vantaggi per far loro provare delle impressioni vere e distinte. È la nostra stessa
organisation [cioè è dato sia fisico sia morale] che determina questa giusta preferenza;
ma ciò non vuole dire che noi non possiamo avere dei segni di un’altra specie (…)”.
E ancora (I vol., p. 309):
“Questa riflessione [il sistema dei segni articolati permette di elaborare ulteriori sistemi
di segni artificiali, come il sistema dei segni dei sordomuti, che sono una traduzione del
sistema dei segni articolati] ci conduce naturalmente all’esame delle qualità
particolarmente proprie ai segni articolati; esame importante, poiché questi segni
predominano universalmente nell’uso ordinario, ed evidentemente sono quelli che
hanno provocato, diretto e fissato il cammino generale dello spirito umano nelle sue
combinazioni e nelle sue ricerche, e la loro storia è nello stesso tempo la storia delle
nostre idee e dei nostri ragionamenti”.
Destutt de Tracy elenca i vantaggi dei segni articolati: (a) articolano numerose sfumature ed
esprimono distintamente molteplici idee prossime le une alle altre – ma questo vantaggio è
riscontrabile anche nel sistema gestuale; (b) è nella natura dell’uomo produrre suoni che colpiscono i
sensi in modo chiaro e sono i segni naturali, rispetto ai gesti e ai tocchi, più sicuri e più distinti; (c)
tra tutti i segni artificiali che derivano dai segni naturali, i suoni sono i più comodi da impiegare: non
richiedono che ci sia spazio o che le membra siano libere, come nel caso dei gesti e dei tocchi, e si
possono produrre in qualsiasi condizione ci si trova, e possono essere adoperati sia di giorno che di
notte (diversamente dai segni che si comunicano per l’organo della vista); (d) infine i suoni
divengono segni permanenti, ovvero, per mezzo della scrittura, possono essere fissati, e così attivare
la terza funzione del segno che è la funzione della memoria (o della registrazione) delle idee.
Contrariamente a ciò che sostengono in molti, cioè che è possibile pensare idee astratte solo grazie
alle parole, Destutt de Tracy sostiene che anche un gesto o un grido sono in grado di esprimere
un’idea astratta. Pertanto il primato della lingua verbale non è dovuto all’esclusività delle idee che
tale lingua è in grado di esprimere e di far pensare. Si tratta piuttosto di considerare la differenza di
grado, ovvero il fatto che la lingua verbale è metodo di analisi diversamente da altri sistemi di segni,
è sistema di articolazione più complesso che per tale ragione permette di esprimere idee più
numerose e più complesse, più astratte e più profonde. Ma ciò dipende dalla possibilità del sistema
segnico di esprimere una determinata catena di idee, ovvero dal grado di perfezione del sistema
segnico: (I vol., p. 306):
“Io penso dunque, su tale questione, che i segni artificiali, di qualsiasi genere questi
siano, possano rappresentare e vedere delle idee di ogni specie, e che il grado di
complicazione delle idee che ci permettono di formare, e il grado di combinazione
[delle idee] che ci danno la possibilità di fare, non dipende dalla natura stessa dei segni
[come invece risulterebbe per colore che discriminano tra parole e altri segni], ma dal
loro grado di perfezione, che li rende capaci di esprimere delle sfumature più o meno
fini, e di permettere delle analisi più o meno delicate”.
Definire il grado di perfezione di tutti i sistemi di segni è tuttavia impossibile. Il solo sistema di
segni di cui è possibile definire il grado di perfezione è il sistema dei segni verbali, ovvero della
lingua parlata. Ma per fare questo bisogna aver fatto l’analisi dell’unità linguistica principale, ovvero
la proposizione (enunciato di giudizio). Questo è il compito della Grammatica generale, in
particolare dell’analisi della proposizione nella lingua parlata. A questo compito è dedicato il III cap.
del II vol., in cui Destutt de Tracy elenca gli elementi della proposizione per far emergere le funzioni
ricoperte da ciascun elemento attraverso la loro “storia”.
5.11. Analisi della proposizione
Come abbiamo detto, il linguaggio d’azioni comprende le grida quali segni che si comunicano per
via uditiva. Le grida sono le interiezioni. Le interiezioni sono parole ellittiche che formano intere
proposizioni e sono necessariamente isolate nel discorso. Pertanto l’interiezione contiene soggetto e
attributo, nome e verbo.
Dal momento in cui noi cessiamo di esprimere un’intera proposizione con una sola parola, il primo
bisogno che si fa sentire è quello di un segno che rappresenta il soggetto di questa proposizione, che
designa la cosa di cui vogliamo parlare. Il nome è il segno che rappresenta il soggetto della
proposizione, il segno che designa la cosa di cui si parla, il segno che designa l’idea alla quale va
attribuita un’altra idea, che è contenuta nella prima. Il nome è l’etichetta di un’idea, e un’idea solo
quando è nominata è esistente, almeno per colui che parla. Insieme ai nomi, Destutt de Tracy pone
anche i pronomi. Il pronome non è un nome: mentre il nome è etichetta di una sola idea, il pronome
rappresenta le persone e le cose in rapporto all’atto di parola: (II vol., p. 73):
“Innanzitutto mi sembra ben chiaro che io, tu, egli non sono precisamente dei veri
nomi; poiché ciò che è proprio di un nome non è che di convenire a una sola idea, della
quale è il segno e l’etichetta, e della quale richiama la formazione e la composizione, e
non potrebbe mai rappresentare un’altra idea senza indurre a errore. Io, al contrario, è
successivamente il nome di tutte le persone che parlano; Tu quello di tutte le persone
alle quali si parla; Egli è il nome di tutte le persone e di tutte le cose di cui si parla.
Inoltre, queste parole non rappresentano propriamente, non dipingono tutte queste
persone e tutte queste cose; queste non ci dicono niente di tutte queste persone e cose se
non che il rapporto di queste con l’atto di parola”.
Il pronome rappresenta un’idea solo in rapporto all’atto di parola. Pertanto la funzione principale del
pronome consiste nel dare ai nomi un’idea di cui i nomi mancano: l’idea della relazione del nome,
con il quale concorda il pronome, con l’atto di parola. Inoltre i nomi di persona sono i primi che
sono stati inventati: il primo bisogno, espresso con un grido, un’esclamazione ecc., è di specificare
chi prova il sentimento espresso e colui al quale tale sentimento è indirizzato.
Il verbo è in un primo tempo ciò che rimane dell’interiezione: è l’interiezione che non esprime che
un attributo, e quindi un’idea contenuta nell’idea espressa dal nome. Il verbo dunque è ciò che risulta
dalla separazione del nome dall’interiezione. Destutt de Tracy distingue tra verbi composti di una
sola parola, e verbi più complessi, composti di due parole. Tra questi ultimi rientra il verbo che
esprime l’idea di esistenza in generale. Infatti il verbo composto di due parole è composto da una
parola che esprime l’idea di esistenza in generale e da un aggettivo che rappresenta l’idea che può
esistere solo contenuta in un’altra idea. Il nome, si è detto, contiene l’idea di esistenza reale (è ciò
che esiste in quanto tale e per sé nella realtà esterna o nella realtà interna del nostro spirito). Il verbo,
invece, esprime l’idea di esistenza in generale, che non può come tale che esistere contenuta in
un’altra idea. Nel giudizio – come sottolinea spesso il Tracy – non è l’idea generale che contiene
l’idea particolare, ma l’idea della cosa esistente (nella realtà o nel nostro spirito) che contiene l’idea
generale (in primo luogo il verbo). Senza il verbo, non si ha giudizio: non si potrebbe esprimere la
condizione, lo stato, la situazione del nome in quanto attuale e presente.
Nomi e verbi sono i soli elementi indispensabili per formare un giudizio: un giudizio è formato da
almeno un nome e un verbo. Gli elementi che seguono sono elementi accessori.
Vengono prima gli aggettivi che risultano dalla scissione del verbo dall’idea di esistenza in generale.
L’aggettivo rappresenta un’idea che non ha esistenza propria ma che esiste solo in quanto contenuta
in un’altra idea, ovvero nell’idea espressa dal soggetto. L’aggettivo esercita una funzione di
modificazione sul nome e sul verbo. Tale funzione può avvenire in due modi: modificazione per
comprensione – è il caso degli aggettivi qualificativi: l’aggettivo modifica l’idea espressa da un
nome o da un verbo (es.: “Jacques è povero”, “Jacques corre veloce”); modificazione per estensione
– è il caso degli aggettivi quantificativi: l’aggettivo modifica l’estensione dell’idea espressa dal
nome, non dell’idea espressa dal verbo (es.: “Tre è poco”). La modificazione per estensione precede
la modificazione per comprensione, giacché non è possibile comprendere un aggettivo entro un
sostantivo se non si è circoscritta l’estensione del sostantivo. Con l’aggettivo, Destutt de Tracy
cataloga l’articolo. Gli articoli sono aggettivi dimostrativi e rientrano nel gruppo degli aggettivi che
modificano per estensione l’idea espressa dal soggetto.
La preposizione è elemento del discorso che entra nella formazione delle idee con le quali si
incorpora e diventa parte integrante. La sua funzione è quella di unire un nome o un aggettivo a un
altro nome che gli serve da complemento. Es.: “Il frutto dell’albero è buono”. In certe lingue si
presenta sotto forma di sillaba desinenziale che si unisce a una parola formando i casi di
declinazione e di coniugazione. Terza funzione esercitata dalla preposizione consiste nel formare
tutti i composti e i derivati dei radicali primitivi della lingua (per es.: “com-mettere”). La
preposizione, che è anche il primo dei segni che marca una relazione tra altri segni (funzione
sintattica) è derivato dall’aggettivo.
Gli avverbi sono composti di un nome e un aggettivo (es.: “beaucoup”), di un nome (es.: “bene”), di
un aggettivo (es.: “forte”), di un aggettivo più una preposizione (es.: “estremamente” = “estremo” +
“mente”). Le funzioni dell’avverbio sono: rendere in modo abbreviato le idee che non si potrebbero
esprimere che con l’aiuto di una proposizione; esprimere una circostanza fissa e determinata del
significato di un aggettivo o di un verbo; modificare l’idea espressa da un verbo, da un aggettivo, da
un altro avverbio.
Poi ci sono le congiunzioni (anch’essi segni che marcano la relazione tra altri segni): sono parole
ellittiche che svolgono la funzione di legare due proposizioni e assumono un senso relativo e
imperfetto che dipende dalla proposizione che precede e da quella che segue. Il relativo “che” è
l’elemento che ricopre per le congiunzioni lo stesso ruolo che il verbo “essere” ricopre per gli
aggettivi: fornisce la qualità di congiunzione alle parole nel cui significato penetra, poiché funzione
della congiunzione “che” è esprimere una relazione tra un verbo e un altro verbo, o per meglio dire
tra una proposizione e un’altra proposizione. La congiunzione deriva dalla preposizione: entrambi
sono segni di relazione, sebbene di natura e funzioni differenti.
Infine abbiamo i congiuntivi, che non sono altro che i pronomi relativi, dei quali Destutt de Tracy si
pregia del titolo di primo grammatico ad averne compresa la funzione. I congiuntivi, che sono il
risultato della combinazione di congiunzione “che” e aggettivo determinativo “il”, mettono insieme
proprietà delle congiunzioni e proprietà degli aggettivi: legano i nomi a proposizioni incidentali che
modificano i nomi (es.: (“Jacques, il quale è arrivato, è sudato”).
Ciò che è importante non è tanto la classificazione degli elementi delle proposizioni della lingua
parlata, ma (a) la loro genesi, (b) la loro funzione, (c) la loro articolazione e combinazione (che fa sì
che gli elementi accessori siano il risultato della combinazione di altri elementi). Ciò ci dice una
cosa importante: che una lingua parlata si arricchisce di elementi con il crescere delle idee. Nuovi
elementi della lingua parlata esprimono idee che non tanto non potevano essere espresse prima,
quanto, per essere espresse, non potevano che essere espresse che mediante lunghe circonlocuzioni.
Pertanto una lingua cresce in complessità crescendo in complessità le idee che essa può esprimere.
Una lingua più complessa può esprimere idee più complesse di una lingua più semplice, che ha
meno elementi.
Questo sembrerebbe segnare un punto notevolmente a vantaggio delle lingue volgari contro
qualsivoglia progetto di lingua perfetta.
Progetto disciplinare dell’Ideologia
6.1. Progetto di lingua perfetta
Ecco infatti ciò che scrive Destutt de Tracy circa la questione del grado di perfezione delle lingue
parlate (ciò alla quale abbiamo accennato introducendo la parte sul sistema dei segni verbali) (I vol.,
pp. 306-307):
“noi possiamo, fino a un certo punto, rappresentarci quella che sarebbe una di queste
lingue, innanzitutto se le si togliessero tutte le coniugazioni e tutte le declinazioni; poi
se la si privasse successivamente di articoli, di pronomi, di preposizioni, di
congiunzioni, ecc.; e infine se, ridotta a dei sostantivi e a dei verbi invariabili, si
eliminassero ancora tutte le parole derivate e tutte quelle composte, conservando solo le
parole primitive. [Ma pur facendo una simile operazione – scrive Destutt de Tracy –
non saremmo ancora in grado di definire in modo preciso il grado di conoscenza al
quale ci condurrebbe questa lingua nelle differenti epoche]; ma noi vediamo
chiaramente che dopo ognuna di queste operazioni, tale lingua diventerà sempre più
difficile da gestire, meno adatta a guidarci nell’atto del ragionamento, meno capace di
accostare le nostre idee le une alle altre, di combinarle, di riunirle in base a tutti gli
aspetti di cui abbiamo bisogno, di constatare le più piccole differenze tra loro; e che
infine, nell’ultimo stadio in cui noi la consideriamo, non potrebbe rappresentare che
qualche gruppo principale di idee fortemente distinte tra loro, e di non dare luogo che a
qualche giudizio molto grossolano e quasi tangibile che noi saremmo in grado di
portare. Tale lingua è allora, malgrado i vantaggi dei segni articolati, realmente
inferiore a un sistema di gesti perfezionato. Tuttavia quest’ultimo stadio, al quale noi
l’abbiamo ridotta, è lo stato primitivo di questa lingua e di ogni altra lingua”.
E poiché un qualsiasi linguaggio permette una composizione di segni adeguata alle idee da
esprimere, una lingua siffatta, ridotta nella possibilità di invenzione e di combinazione di segni, non
sarebbe che esprimere poche idee primitive. Sarebbe un ritorno al linguaggio delle interiezioni.
Una lingua si sviluppa e cresce in complessità con il crescere del bisogno di esprimere nuove idee; e
nuovi segni permettono di esprimere delle idee in modo abbreviato (pensiamo alla funzione degli
avverbi) e anche di esprimere nuove idee. Ciò perché “le conoscenze e i linguaggi procedono con lo
stesso passo”: le lingue sono metodo di analisi delle conoscenze – le quali sono espresse in forma di
enunciati di giudizio; e le conoscenze sono composte di giudizi, i quali si possono solo esprimere in
forma di proposizione.
Quindi: (a) una lingua, che è lingua che si parla in una nazione, che è un insieme di parole, è
adeguata al livello delle conoscenze al quale, in una certa epoca, è giunta quella nazione; (b) una
lingua procede insieme alle conoscenze, e quindi a ogni istante si riequilibra il rapporto tra idee e
segni; (c) tutto ciò non è vero allo stesso modo per tutti i tipi di segni artificiali, giacché non c’è un
uguale grado di perfezionamento di tutti i segni, ma principalmente per i segni articolati, che sono
suscettibili di un grado di perfezionamento maggiore degli altri sistemi di segni.
L’affermazione che le lingue procedono di pari passo con le conoscenze sottolinea (a) che le lingue
sono i metodi di analisi con i quali scomponiamo e ricomponiamo gli elementi grammaticali e,
facendo astrazione di questi, gli elementi ideologici; (b) che le lingue sono il nostro principale
strumento di conoscenza, insieme al fatto di essere strumento di pensiero e strumento di
comunicazione; (c) che le lingue dei segni articolati hanno il vantaggio di poter essere fissate in
segni permanenti, ovvero in scrittura, e (d) che ciò fa sì che le lingue possano essere il principale
luogo di esercizio della terza funzione dei segni, la funzione di registrazione e di memorizzazione
delle idee.
Ne consegue: (a) che la parola è il modello principale di segno; (b) che la lingua è il principale
sistema di segni; (c) che il discorso verbale è il principale tipo di discorso; (d) che l’analisi del
discorso è innanzitutto analisi del discorso verbale, ovvero analisi degli elementi appartenenti alle
lingue articolate. Senza che poi Destutt de Tracy si preoccupi più di tanto di farci capire come sia
possibile ritornare, dopo essere passati dal discorso al discorso delle lingue verbali, dagli elementi
componenti la proposizione delle lingue verbali agli elementi componenti la proposizione del
discorso non verbale.
In ogni caso è con la lingua verbale che si può comprendere meglio e pienamente la portata storica
del segno per l’uomo (II vol., p. 292):
“tutta la storia dell’uomo è contenuta nella storia dei segni e delle sue idee [cioè si può
leggere attraverso la storia dei segni e la storia del livello delle idee, ricordando appunto
che vi è un continuo riequilibrio del livello dei segni e del livello delle idee], e
soprattutto dei segni permanenti ai quali l’uomo ha assegnato l’importante compito di
fungere da deposito dei propri pensieri”.
Il problema delle lingue perfette va dunque considerato in quest’ottica. Innanzitutto si pone il
problema del rapporto storico tra un progetto di lingua perfetta e la storicità delle lingue verbali. È a
partire da questo punto che va considerato il problema di tale progetto; e, proprio in quanto storico,
si tratta anche di una questione sociale.
È quanto mette in luce fin da subito Pellerey nel paragrafo riguardante gli idéologues nel saggio
dedicato alle lingue perfette (p. 196):
“La loro [degli idéologues, specie di Destutt de Tracy, Degerando, Thurot] riflessione
sul funzionamento delle lingue costituisce il presupposto da cui deriva un’inevitabile
confutazione dei progetti di lingue universali e filosofiche, estremamente articolato e
inserito all’interno di un’analisi del rapporto tra lingua e storia considerata tra i più
rilevanti fenomeni della realtà osservabile. Se tutta l’esistenza umana è sottoposta alla
condizione storica, sia i singoli individui che i sistemi politici e sociali, neppure
possono prescinderne le lingue, intimamente legate alla dimensione sociale dell’uomo”.
Prosegue Pellerey (p. 197):
“[confrontadosi] con la tradizione della lingua perfetta, [gli idéologues operano] un
completo ribaltamento dei suoi argomenti scardinandone il punto di base: l’assunto che
le lingue storiche siano imperfette e si debba correggerle o sostituirle con altri linguaggi
più razionali. Tale rovesciamento porta a compimento la confutazione della necessità di
una riforma totale della lingua naturale già avviata dagli illuministi, e costituisce una
prima completa rivendicazione della legittimità delle lingue storiche rispetto ai modelli
della perfezione. (…) Non si tratta solo più di limitarne le ambizioni: si tratta di
negarne qualsiasi valore e porre a modello al contrario le lingue naturali, o perlomeno
considerarle l’unico sistema di comunicazione in qualche modo corretto e possibile”.
Destutt de Tracy affronta la questione della lingua perfetta nel VI cap. e in conclusione del V cap.
(dedicato alla scrittura). Pellerey riassume gli argomenti del Tracy in quattro punti (p. 216).
Vediamoli uno per uno.
Il primo argomento è: un progetto di lingua perfetta è impossibile perché non è possibile fissare in
un codice rigido e immutabile il rapporto tra un’espressione (la forma grammaticale del segno) e un
contenuto (la forma ideologica dell’idea) a causa delle inevitabili e costanti variazioni cui sono
soggetti i segni e le idee. Ma tali variazioni dipendono dalle variazioni di contenuto, cioè delle idee.
Infatti (II vol., pp. 300-301):
“Questa maniera di definirla [ovvero “una lingua sarà perfetta, di qualsiasi segno essa
sia composta, se rappresenta le nostre idee in una maniera comoda, precisa, esatta, e di
modo che sia talmente impossibile fraintenderla, al punto tale che tale lingua renda
possibile la deduzione delle idee di ogni genere con la stessa certezza che esiste in
quella delle idee di quantità”] è sufficiente solo a mostrare che essa è impossibile da
realizzare; poiché noi abbiamo visto nel cap. XVII dell’Ideologia [sugli effetti dei
segni] che l’incertezza del valore dei segni delle nostre idee è inerente, non solo alla
natura dei segni, ma a quella delle nostre facoltà intellettuali, e che è impossibile che lo
stesso segno abbia esattamente lo stesso valore per tutti coloro che lo impiegano, e lo
stesso valore per ciascuno di loro nei differenti momenti in cui impiega uno stesso
segno”.
Quindi le variazioni dei segni rimandano alle variazioni delle idee in ragione del fatto che vi è una
correlazione stretta tra livello di lingua e livello delle conoscenze. Inoltre le variazioni sono
considerabili come errori o imperfezioni delle lingue che tuttavia non sono emendabili in quanto esse
non sono proprie dei segni ma delle facoltà intellettuali.
Tali variazioni possono essere individuali o sociali. Le variazioni individuali, ovvero le imperfezioni
individuali, sono prese in considerazioni quali inconvenienti dei segni dovuti alla natura delle facoltà
intellettuali dell’uomo verso la fine del cap. XVII del I vol.: (a) in primo luogo noi facciamo uso di
segni che non inventiamo noi stessi per esprimere le nostre idee, ma che sono segni che riceviamo
già fatti da coloro che se ne sono serviti prima di noi. I segni svolgono per questo una funzione di
registrazione delle idee, che è una funzione storica. È tuttavia vero che questi segni non hanno
significato per noi che nel momento in cui noi abbiamo acquisito la conoscenza personale di queste
idee contenute nel segno. Ma, quando l’idea è molto composta, diventa difficile acquisirne
conoscenza. Ne consegue che, non potendo fare esperienza diretta del contenuto di un tale segno,
procediamo per congetture, induzioni, approssimazioni e con ciò non abbiamo la certezza che l’idea
che noi ci facciamo del contenuto di un segno sia esattamente l’idea contenuta in quel segno. (I vol.,
pp. 320-321):
“Ne consegue che delle parole prendono insensibilmente dei significati differenti, in
base ai tempi e ai luoghi, senza che nessuno si sia mai avveduto di alcun
cambiamento”.
Tutti i segni sono perfetti per colui che li inventa, e per il quale un segno riveste un’idea certa e
determinata, ma hanno sempre qualcosa di vago e di incerto per colui che li riceve. Da una persona
all’altra cambia il contenuto di un segno.
(b) In secondo luogo, per colui che inventa un segno, nel momento in cui lo inventa, tale segno è
perfetto, ovvero contiene un’idea certa e determinata; ma in un altro momento della sua vita in cui si
serve di tal segno, o in un altro momento della disposizione del suo spirito, non può essere lui stesso
del tutto certo che quel segno sia ancora espressione di quella determinata e certa idea, in quanto non
si accorge del fatto che quel segno può aver acquistato nuove idee e perso delle altre. Quindi il
significato di un segno cambia anche per una persona nel corso della sua vita.
Queste sono le due principali variazioni individuali di cui parla il Tracy. A queste se ne possono
aggiungere altre due, di cui discute in modo più sommario: (c) “i significati ricevono
un’interpretazione largamente soggettiva, poiché i singoli individui legano connotazioni proprie
particolari all’oggetto semantico” (Pellerey, p. 201), argomento sviluppato da Degerando; (d) sono
causa di cambiamenti delle idee che sono contenute in segni modi soggettivi della sensibilità, cioè
cause fisiche: oltre alla disposizione di spirito, cui è detto sopra, che comprende umori, passioni,
emozioni ecc., si parla anche di disposizione fisica che comprende stato di salute e di malattia,
funzioni degli organi ecc.
Un secondo tipo di variazioni sono le variazioni sociali. Una lingua perfetta è impossibile perché,
pur ammettendo la sua costruzione, essa varierebbe immediatamente con l’uso. L’uso di una lingua
ne altera inevitabilmente le componenti, come del resto è accaduto “al primo linguaggio che è stato
inventato” (II vol., p. 302): il che significa che ciò che rende impossibile e impraticabile un progetto
di lingua perfetta è il fatto che un simile progetto andrebbe in direzione contraria alla storia naturale
dell’uomo: sia alla storicità della lingua, in quanto la lingua non esiste se non nella dimensione
sociale, sia alla naturalità della lingua, in quanto l’evoluzione della lingua non fa che seguire il suo
percorso naturale. Queste variazioni sociali dipendono: (a) dalla comunicazione intersoggettiva,
come visto sopra, per cui il segno espresso dall’emittente può essere ricevuto dal destinatario come
segno che non contiene la medesima idea certa e determinata che l’emittente aveva intenzione di
esprimere; (b) dalle istituzioni sociali, poiché con le stesse istituzioni sociali, politiche, religiose,
culturali v’è variazione dell’uso dei segni; (c) dalla diversità delle lingue nazionali, poiché un segno
può essere comune a due lingue ma contenere idee del tutto differenti. Non bisogna inoltre
dimenticare che tali variazioni sociali sono variazioni storiche: il carico semantico di un segno è il
risultato di precedenti operazioni, e di successive operazioni, che ne modificano la portata,
inserendovi nuove idee ed eliminandone delle altre.
Secondo argomento: è impossibile delimitare un lessico di base o un sistema dei contenuti, perché
non ci è possibile conoscere veramente il sistema completo delle idee. Non è possibile definire il
sistema delle idee come sistema ontologico, quindi corrispondente in tutto e per tutto al sistema delle
cose. È ciò che abbiamo già visto nella definizione che Destutt de Tracy dà di “lingua perfetta”.
Possiamo collegare questo secondo argomento al terzo argomento: è impossibile instaurare dal nulla
un progetto di lingua artificiale che eluda le leggi della convenzione sociale e della storia, soprattutto
che eluda la trasformazione della lingua. Ovvero che eluda la storia naturale delle lingue. Questo
argomento e il precedente ci permettono di individuare le critiche che Destutt de Tracy fa ai progetti
di “lingua filosofica”, intendendo con ciò i progetti che i filosofi hanno elaborato allo scopo di: (a)
eliminare tutte le controversie, ritenendole conseguenza dell’imprecisione delle lingue volgari
(mentre noi sappiamo che, per gli idéologues, e ovviamente anche per Destutt de Tracy,
l’imprecisione si annida nelle facoltà intellettuali, non nelle lingue); (b) permettere il conseguimento
unilineare delle verità, superando il limite delle opinioni e delle congetture; (c) migliorare e facilitare
lo scambio di conoscenze tra sapienti di diversi paesi.
Innanzitutto è comune agli uomini aspirare alla perfezione e all’universalità. Il Tracy distingue tra
universalità della lingua e perfezione della lingua: il caso del latino nel Medioevo e, in un certo
senso, per alcuni filosofi (Pellerey analizza il caso di Rivarol), il francese nel Settecento, sono lingue
naturali che pretendono l’universalità, ma che non sono progetti di lingua perfetta. Un progetto di
lingua perfetta è totalmente artificiale, fatto a tavolino da uno o più filosofi. Essa vorrebbe essere
utile agli studiosi per avvantaggiare la comunicazione delle conoscenze senza bisogno di traduzioni.
Ma ha un grosso inconveniente: non essendo la lingua naturale parlata, renderebbe difficile pensare e
scrivere in una simile lingua. Di fatti si effettuerebbe lo stesso una traduzione dalla lingua parlata
alla lingua perfetta. Se invece consideriamo il caso della lingua universale, come il latino nel
Medioevo, allora bisogna dire che una lingua può divenire universale non per ragioni grammaticali o
logiche, ma perché è la lingua parlata da un popolo che è dominante in una certa epoca storica. Di
fatti una lingua si forma per via dei suoi usi, si espande con il commercio, le conquiste militari, la
religione. È ciò che è accaduto per il latino ai tempi dei romani. Ma nel Medioevo il latino si è
mantenuta quale lingua dei sapienti, separata dalle lingue parlate dai popoli, e ciò ha reso grandi
svantaggi nella trasmissione delle conoscenze e nell’avanzamento delle stesse conoscenze.
Di conseguenza, quarto argomento: un sistema di lingua perfetta avrebbe effetti negativi sul
progresso civile: per il progresso culturale è più rilevante la diffusione del sapere presso gli strati
sociali che la sola comunicazione tra filosofi. Se infatti gli studiosi comunicano più facilmente tra
loro che con i loro concittadini, non solo vengono meno la trasmissione delle conoscenze e il
progresso des lumières, ma diminuirà il numero stesso degli studiosi, compromettendo il valore degli
studi (il quale, quindi è fondato sulla comunicazione, sul commercio delle conoscenze. Questo punto
è dichiarato più chiaramente da Destutt de Tracy quando parla del problema del progresso delle
conoscenze in rapporto ai sistemi di scrittura. È ciò che discuteremo nella parte che segue). Una
lingua perfetta, se volesse sostituire le lingue volgari, dovrebbe essere accettata e adottata dall’intera
popolazione, cosa impossibile che possa avvenire all’unanimità, ma cosa anche che dovrebbe
suscitare una rivoluzione sociale perché si tratterrebbe di cambiare tutti gli usi e tutte le convenzioni
proprie di una società.
Un progetto di lingua perfetta, o di lingua immaginaria, dovrebbe derivare dai segni naturali, ovvero
dal linguaggio d’azione, ma essere anzitutto un progetto di lingua orale (perché i segni che passano
per il canale della voce sono quelli che meglio si adattano ai perfezionamenti); dovrebbe adottare un
alfabeto corretto e un’ortografia regolare, in modo tale che le parole siano composte in modo
analogo alle idee che rappresentano, richiamandone la derivazione e la filiazione. Tuttavia è qui che
incorre la difficoltà insormontabile per un progetto di lingua perfetta (secondo argomento di cui
sopra): (II.vol, pp. 305-306):
“La grande difficoltà consisterà nello stabilire in modo corretto il concatenamento di
queste derivazioni: ma questa difficoltà consiste per intero nel determinare bene la serie
delle idee. Tale difficoltà è la stessa in tutte le specie di segni: questa è tale, che, perché
una lingua sia perfetta sotto questo rapporto, occorrerebbe che le nostre conoscenze
siano complete in ogni genere”.
Una lingua in grado di stabilire correttamente il concatenamento di parole derivandolo dal
concatenamento delle idee sarebbe una lingua perfetta perché possiederebbe le conoscenze più
complete in ogni ambito. Destutt de Tracy riprende qui, rovesciandolo, il motto di Condillac: “fare la
lingua di una scienza è creare questa scienza”. Qui si potrebbe dire: “fare la scienza di una lingua
perfetta è creare questa lingua”.
È chiaro che una simile lingua dovrebbe possedere regole rigide per quel che riguarda la
composizione delle proposizioni e per la sintassi. Inoltre deve eliminare la possibilità che un’idea
possa essere espressa mediante differenti locuzioni, con idiotismi, iperboli, allusioni, tropi, sinonimi,
ecc.
In conclusione Destutt de Tracy scrive (II vol., pp. 308-309):
“Ancora una volta, io non ho la speranza che questo sogno possa mai realizzarsi. Io non
l’ho descritto nei dettagli che per disgusto dei tentativi mal concepiti, i quali credi siano
più appropriati a mancare il loro scopo che a raggiungerlo; per avere l’occasione di
segnalare tutte le cause che contribuiscono all’inesattezza delle nostre lingue, e così con
la speranza di ispirare il desiderio che poco a poco [le nostre lingue] possano accostarsi
a tale modello”.
Ciò che piuttosto sarebbe auspicabile è, forse, un progetto ortografico di lingua. Così Destutt de
Tracy nella nota che è collegata a tale passo (II vol., p. 309):
“Un’ortografia e una lingua perfetta avrebbero per tutte le nostre ortografie e per tutte
le nostre lingue, lo stesso effetto che il sistema metrico decimale produce su tutte le
misurazioni adottate nei differenti paesi: non le sopprime né le cambia, ma dà loro un
mezzo facile di valutazione comune, e offre loro un tipo eccellente al quale possono
sempre rifarsi e rapportarsi”.
In tal senso, un progetto ortografico di lingua perfetta sarebbe auspicabile unicamente come modello
di riferimento, marginale, delle lingue volgari, per controllarne il grado di perfezionamento sul piano
delle grammatiche. Ma ciò che non è auspicabile è che tale progetto di scrittura sia fatto a tavolino
da singoli filosofi. Occorre che sia invece un “progetto sociale”. È questa l’unica via che si aprirebbe
a partire “dallo studio” della Grammatica generale, dove con “studio” si intende proprio la funzione
pedagogica della Grammatica generale in quanto parte della scienza dell’Ideologia. Quindi si tratta
di un progetto che non può che essere storicizzato, collocato lungo la linea (evoluzione e
derivazione) della storia dell’uomo come storia che si dà nella storia dei segni e nella storia delle
idee dell’uomo, e soprattutto nella storia dei segni permanenti, i quali fungono da deposito del
pensiero dell’uomo.
Tale punto è discusso da Destutt de Tracy in conclusione del cap. VI dedicato alla scrittura. Si tratta
del capitolo più lungo del II vol., è di più di cento pagine ed è quasi la metà del volume. È dunque
alle riflessioni sulla scrittura, e soprattutto al carattere pedagogico, sociale e politico di tali
riflessioni, che dobbiamo ora rivolgere la nostra attenzione.
6.2. Progetto di ortografia perfetta
Per quest’ultima parte mi riferisco soprattutto all’articolo di Jean-Luis Labarrière, Le signe écrit,
l’education et la démocratie. Quelques remarques à partir du chapitre V de la Grammaire de
Destutt de Tracy (pp. 167-179), contenuto in Les idéologues. Sémiotique, théories e politiques
linguistiques pendant la Révolution française, a cura di Winfried Busse e Jurgen Trabant, che
riunisce i contributi di una conferenza tenuta a Berlino dal tre al cinque ottobre del 1983 sul pensiero
semiotico e linguistico degli idéologues.
Tra i vantaggi del suono come segno dell’idea vi è quello di poter essere trasformato in segno
permanente. Il segno permanente assume innanzitutto la funzione di registrare e conservare le idee
rappresentate dai suoni. Questa è la funzione più facilmente individuabile del segno permanente. Ma
questa funzione è effetto del ruolo che il segno permanente ricopre in relazione al pensiero. Il segno
permanente è strumento indispensabile per pensare. Su questa funzione del segno permanente si può
riflettere sulla distinzione che Destutt de Tracy opera tra scrittura geroglifica e scrittura alfabetica, o
scrittura propriamente detta. Vedremo, ovviamente, come il segno permanente abbia anche la
funzione di comunicazione, e come tale funzione sia causa della possibilità di diffusione e di crescita
del sapere. In questo modo, ricoprendo tutte e tre le funzioni, si sottolinea come il segno permanente
(a) non sia solo il rivestimento del suono, (b) ma soprattutto l’elemento sotteso all’analisi del
discorso, (c) ciò che orienta tale analisi e (d) che permette di comprendere come il considerare la
lingua un metodo di analisi sia una questione sociale di grande importanza.
Di fatti la distinzione tra scrittura geroglifica e scrittura propriamente detta acquista un rilievo
morale, sociale, politico non di poco conto (II vol., p. 216):
[Sebbene possa sembrare, a un primo colpo d’occhio, che tra il geroglifico e il segno
permanente della scrittura propriamente detta non sia da porsi una così decisiva
distinzione]: “Tuttavia, se noi li esaminiamo con attenzione, noi troveremo che le due
scritture differiscono per la natura dell’operazione alla quale danno luogo, per la
maniera di eseguire tale operazione, e per gli effetti che ne risultano; vedremo che
queste differenze, delle quali non si è tenuto conto adeguatamente, hanno delle
conseguenze così prodigiose, che bastano per decidere del destino delle nazioni, per
produrre dei fenomeni morali e politici, di cui non si è mai resa ragione; e noi
dimostreremo come un solo piccolo fatto, in apparenza ben poco importante, possa
esercitare una grande influenza sul destino degli uomini: il che ci ricorda ancora una
volta che le più piccole osservazioni sulle operazioni del nostro spirito hanno in realtà
una grande importanza, e ci permettono di fare luce sulla storia del genere umano”.
Ecco espresse in poche parole due cose molto importanti: (a) il valore del progetto generale
dell’Ideologia per la storia del genere umano: partire dallo studio delle facoltà intellettuali e dalla
formazione delle idee, per discendere all’espressione e alla combinazione di tali idee in ogni campo,
in ogni ambito di formazione delle scienze dell’uomo (la Logica è spazio di formazione delle scienze
dell’uomo); (b) l’importanza della scrittura per la storia del genere umano. In particolare, lo studio
della differenza tra scrittura geroglifica e scrittura propriamente detta è importante per comprendere
come queste differiscono “per la natura delle operazioni alla quale danno luogo”. Che cosa sono
queste operazioni? Ovviamente le operazioni della mente: formare, esprimere, combinare idee,
innanzitutto pensare. Ciò che Destutt de Tracy vuole anzitutto dimostrare è come la scrittura
propriamente detta sia migliore della scrittura geroglifica per ragioni ideologiche, grammaticali,
logiche, pedagogiche, morali, sociali, politiche – cioè per ogni ragione umana.
Il geroglifico è classificato dal Tracy (cap. XVI) insieme a simboli, emblemi, attributi. Si tratta di un
segno che rappresenta direttamente l’idea, in senso proprio o in senso figurato. Destutt de Tracy
parla infatti di scrittura geroglifica o scrittura simbolica. La scrittura propriamente detta è scrittura
alfabetica, fatta di alfabeto. I caratteri alfabetici non sono propriamente dei segni: un carattere
alfabetico, o lettera, non rappresenta un’idea. Il suono, ovvero il segno che transita per il canale della
voce, è il segno che rappresenta l’idea. I caratteri alfabetici sono gli elementi primi di articolazione
che permettono di effettuare combinazioni di suoni. Questo ci permette di vedere come il rapporto
tra sistema di scrittura e sistema delle idee passi per la lingua parlata. Applicando questo rapporto al
caso della scrittura geroglifica se ne comprenderà meglio la differenza rispetto alla scrittura
alfabetica. Il segno permanente, che è l’elemento della scrittura (geroglifico e parola), è effetto del
suono: è ciò che si può intendere considerando l’operazione della scrittura, e come questa
operazione, per via della lingua parlata, si relazioni all’operazione della mente; quindi considerando
le funzioni della scrittura in rapporto alle operazioni intellettuali, passando per la lingua parlata.
La scrittura propriamente detta è così nominabile perché l’operazione di scrittura mediante lettere
consiste nell’operazione di traslare il segno, cioè il suono, nella forma del segno permanente. Invece
la scrittura geroglifica non è scrittura propriamente detta perché l’operazione di scrittura mediante
figure consiste nell’operazione di tradurre il contenuto del segno, cioè l’idea rappresentata dal
segno, perché tale contenuto possa essere dato nella forma di rappresentazione del segno
permanente, cioè nella figura (o simbolo), in un sistema di segni che è come una seconda lingua
rispetto alla lingua parlata per il sistema di idee.
Le operazioni di traduzione e di scrittura, ovvero di traslazione, sono spiegate dal Tracy nel cap.
XVII del I vol.; si tratta delle due operazioni mediante le quali i suoni diventano segni permanenti.
L’operazione di traduzione è applicabile a tutti i tipi di segno. Tutti i tipi di segno possono essere
tradotti (I vol., pp. 312-313):
“Tradurre è un’operazione per la quale si uniscono ai segni di un linguaggio le idee che
erano unite ai segni di un altro linguaggio; a una prima associazione, la traduzione non
fa che sostituirla con una seconda associazione e, di conseguenza, necessita di averle
presenti tutte e due insieme allo spirito. Questa operazione ha luogo tutte le volte che
noi trasportiamo le nostre idee dalla nostra lingua parlata in un’altra; ma questa
operazione ha anche luogo quando noi esprimiamo dei segnali con dei gesti, dei gesti
con dei geroglifici o con altre figure, delle figure con delle parole; o solamente quando
noi sostituiamo un sistema di segni qualsiasi con un altro sistema di segni della
medesima specie. In generale, si ha traduzione ogni volta che noi rimpiazziamo un
linguaggio con un altro linguaggio. Questa operazione di tradurre la si compie
ugualmente nelle nostre teste, sia quando noi emettiamo delle idee, sia quando noi le
riceviamo, poiché la lingua nella quale noi riceviamo o noi emettiamo le idee non è la
stessa lingua con la quale noi formiamo le idee, la lingua nella quale le idee sono
intimamente legate in noi”.
L’operazione di traduzione (a) non è propria del solo suono, ma può essere svolta per ogni specie di
segno, (b) comporta il passaggio delle idee da un linguaggio a un altro avendo entrambi i linguaggi
contemporaneamente compresenti alla mente (o allo spirito). Vediamo infatti come Destutt de Tracy
parla dell’operazione della traduzione per la scrittura geroglifica (II vol., p. 217):
[Nel caso della scrittura geroglifica]: “si ha sempre un doppio cambiamento dei segni.
Si ha traduzione, vera interpretazione, quando si scrive [quindi bisogna passare dal
sistema dei segni verbali al sistema dei segni permanenti], e una nuova traduzione,
seconda interpretazione, quando si legge [quindi bisogna passare di nuovo dal sistema
dei segni permanenti al sistema dei segni verbali]. La prova di ciò è nel fatto che non si
può eseguire né l’una né l’altra operazione senza comprendere le due lingue impiegate,
la lingua parlata e la lingua dipinta [o lingua figurata]. Ecco già due cause di errore, due
cause di incertezza. Perché colui che intende leggere o che legge la scrittura geroglifica
sia certo di avere precisamente il pensiero [il pensiero, cioè il concatenamento di idee,
non l’idea sola] di colui che l’ha detto, occorrerebbe che detenga la prova che i segni
della lingua parlata che per lui esprimono il senso siano esattamente i segni di cui si è
servito l’autore. Ora, questa è una prova che non può che essere provata chiedendo ciò
all’autore stesso (vedendo l’autore stesso), azzerando (riducendo a niente) la confidenza
accordata allo scritto”.
Questo per quel che riguarda l’operazione di traduzione nel caso della scrittura geroglifica. Nel cap.
XVII del I vol., Destutt de Tracy aveva già annotato i problemi generati dall’operazione di
traduzione (I vol., pp. 313-314):
“Se [considerando l’operazione di traduzione tra due sistemi di segni] questa seconda
lingua ci possa essere così familiare che quella nella quale noi pensiamo, se le nostre
idee possano essere allo stesso modo legate ai segni dell’una e dell’altra lingua, se
infine noi pensiamo indifferentemente nell’una o nell’altra lingua, la fatica della
traduzione sarebbe nulla, o piuttosto non si parlerebbe più di traduzione. Ma io non
credo che questa perfetta uguaglianza possa esistere in una testa umana; e se questa ha
luogo, non può che essere tra due lingue parlate, tra due sistemi di segni vocali; poiché
non abbiamo visto nessun’altra specie di segni tale da poter divenire così
profondamente abituale come i suoni. L’operazione di tradurre mina dunque sempre la
relazione tra le nostre idee e sensazioni certe”.
Ciò vale ovviamente anche per la scrittura geroglifica considerata dalla prospettiva dell’esecuzione
dell’operazione di scrittura, ovvero dell’esecuzione delle funzioni in quanto (a) strumento di
registrazione, (b) strumento di pensiero (II vol., p. 218):
“Occorre al contrario [al contrario rispetto alla scrittura alfabetica] che la scrittura, o
piuttosto la lingua geroglifica [preziosa precisazione], sia dotata di tanti segni quante
sono le parole della lingua parlata; e occorre avere la conoscenza di tutti questi segni
per scrivere e per leggere tale lingua; si tratta di una nuova lingua da apprendere, e una
lingua di cui non si può acquisire l’intelligenza grazie all’uso abitudinario della società.
È una vera lingua morta che non si può che conoscere nei libri”.
La scrittura geroglifica, o meglio la lingua geroglifica, mina il pensiero, la conoscenza, lo sviluppo
dell’uomo con l’evoluzione delle conoscenze, la diffusione di queste. Alla scrittura geroglifica
corrisponde un certo tipo di società (su questo punto diremo fra poco). Ma quello che si può già dire
in anticipo, per comprendere bene la distinzione tra lingua geroglifica e scrittura propriamente detta,
e soprattutto la loro incommensurabilità, è che (a) vi è un’incommensurabilità nel rapporto che
questi due sistemi di scrittura hanno rispetto al sistema delle idee passando per la mediazione della
lingua parlata: il geroglifico non ha le potenze articolatorie e combinatorie di cui è dotata la lettera;
(b) per tale ragione non permette alcun progresso della lingua, e dunque delle conoscenze: perché la
lingua geroglifica non può essere un metodo di analisi. Questa è la seconda incommensurabilità tra i
due sistemi.
Concludo la citazione del brano di cui sopra (II vol., p. 218):
“tutta la massa della nazione è privata dell’uso dei segni permanenti delle idee; e il
piccolo numero di uomini che si dedicano allo studio, e nello stesso tempo agli affari
pubblici, poiché solo loro sono capaci di tracciare tali segni, passano tutto il loro tempo
a studiare l’arte di esprimersi, senza riuscire completamente in tale arte, e senza che
rimanga loro del tempo per poter imparare a pensare”.
Passiamo ora all’operazione di scrittura. Diversamente dall’operazione di traduzione, la scrittura è
operazione che pertiene al solo suono (I vol., p. 314):
“L’effetto della scrittura è di rammentarci un suono fuggitivo per mezzo di un segno
duraturo. Se gli uomini fossero ragionevoli, non avrebbero che un solo alfabeto per
tutte le lingue parlate [questo punto è importante: implica che tutte le lingue parlate
possono essere dotate di alfabeto, anche le lingue che hanno come sistema di scrittura la
lingua geroglifica], e in questo alfabeto non avrebbero che un solo carattere per
ciascuna voce e per ciascuna articolazione: tutto il resto non è che un ammasso di inutili
varianti. Non vi è nessuna relazione diretta tra il carattere e l’idea: così, per scrivere o
leggere delle parole, astrazion fatta delle irregolarità dell’ortografia, non è necessario di
comprenderne il senso; è sufficiente sapere che un tale carattere corrisponde a un tale
suono: dal momento che si comprende ciò, la sensazione visiva risveglia il ricordo della
sensazione orale, ed ecco tutto. Si tratta, considerata bene, non tanto una traduzione
quanto una traslazione del segno, e comunque in nessun caso una traduzione dell’idea;
il che è cosa ben diversa, poiché una traduzione dell’idea mina il legame abituale tra
tale idea e tale sensazione, mentre la parola scritta non fa nulla di più che far venire alla
memoria la parola pronunciata”.
Perciò l’alfabeto è un sistema di caratteri e non un sistema di segni o una lingua. Il vantaggio,
quindi, è che in alcun modo si perde la relazione tra il segno e l’idea. La scrittura è del tutto
trasparente (direbbe Foucault), e per questo perfetto mezzo di rappresentazione. Ecco cosa dice
Destutt de Tracy nel II vol., cap. V, sulla scrittura propriamente detta (II vol., pp. 216-217):
“La scrittura alfabetica è puramente meccanica ed è della più grande semplicità, se si fa
astrazione dell’imperfezione dei nostri alfabeti e dell’irregolarità delle nostre ortografie.
Questa si riduce, quando si tratta di scrivere, ad annotare bene i suoni che si intendono
pronunciare; e, quando si tratta di leggere, a pronunciare esattamente i suoni che si
vedono scritti. Non vi è alcun cambiamento di segno [mentre, abbiamo visto, che nella
traduzione vi sono due cambiamenti]: non si hanno che due rappresentazioni differenti
dello stesso segno convenuto e usato. Ciò non può dare in alcun modo luogo a errore: la
prova è nel fatto che, per scrivere un discorso pronunciato, e per leggere un discorso
scritto (sempre astrazion fatta dell’irregolarità dell’ortografia), non è affatto necessario
intendere tale discorso. Colui che tiene un discorso scritto per mezzo dell’alfabeto è
dunque ben sicuro di possedere il pensiero di colui che ha pronunciato tale discorso
(…)”.
Il vantaggio fondamentale recato dalla scrittura alfabetica consiste nel fatto che (a) non procura
passaggi di segno e quindi (b) conserva la relazione che sussiste tra il suono e l’idea che il suono
esprime. In tal senso la scrittura (astrazion fatta delle irregolarità ortografiche) è pura
rappresentazione. Ciò ha delle importanti conseguenze sociali (II vol., pp. 217-218):
“Per scrivere e leggere ogni sorta di lingua per mezzo della scrittura alfabetica, è
sufficiente avere l’intelligenza di un esiguo numero di caratteri. (Io credo che un
alfabeto ben completo, e anche molto scrupoloso nel marcare le sfumature più fini, ne
dovrebbe comprendere una quarantina [il che rimanda al progetto di ortografia di cui
diremo alla fine]). Ora, questo è un piccolo talento molto facile da acquisire, soprattutto
se l’ortografia è regolarizzata: e, talmente facile, che con una buona organizzazione
sociale, nel giro di pochi anni, non si avrà più un individuo, in una nazione disciplinata
(nation policée) che sia privato di questo vantaggio”.
Questo punto è molto importante. La società che corrisponde al modello esatto di scrittura ancora
non esiste, perché la scrittura non è ancora perfetta. Inoltre, un modello perfetto di scrittura, insieme
a un’organizzazione sociale perfetta, perfettamente disciplinata, è fondamentale per il compimento
di una democrazia delle conoscenze e della lingua, perché le conoscenze possano essere diffuse fra
tutti. Ma per costruire questo è necessario (a) un adeguato sistema di educazione e (b) un preciso
metodo di insegnamento. E un preciso metodo d’insegnamento deriva da un’adeguata filosofia,
Filosofia prima, cioè Logica. È ciò che Destutt de Tracy fa (a) come intellettuale impegnato e in
qualità di funzionario del Ministero dell’Istruzione e (b) come autore degli Elémens d’Idéologie.
Sono due compiti che vengono riuniti nella stessa opera, nello stesso progetto: il progetto generale
dell’Ideologia.
In questa doppia direttrice, la Grammatica generale occupa una funzione importante: quella di
disciplinamento della lingua, solo metodo d’analisi, e solo mezzo di diffusione delle conoscenze. Ma
un insegnamento adeguato della Grammatica generale, come parte di un insegnamento più generale
dell’Ideologia, non può che dare i suoi frutti che nell’ambito di una società disciplinare, in cui
nessun individuo resti solo, ma ciascun individuo occupi (a seconda delle funzioni esercitate)
posizioni precise nella società. È in questo senso che si può parlare del progetto generale
dell’Ideologia, e del progetto sulla lingua e sulla scrittura nella Grammatica generale, di
quadrettatura delle idee (e quindi quadrettatura della conoscenza) e di quadrettatura delle parole
(ossia di quadrettatura della lingua) – considerando l’importanza che ha la nozione di quadrillage
nello studio sui sistemi disciplinari di Foucault, e considerando anche che lo stesso Foucault ne Le
parole e le cose parli di quadrettatura delle parole, ossia della lingua, come l’operazione che
compie l’analisi, ovvero come l’operazione che compie la lingua su se stessa. La lingua come
metodo di analisi significa questo: quadrillage del discorso, che è espressione del pensiero,
scomporre discorso e pensiero nei loro elementi (proposizioni, parole, funzioni delle parole; idee
composte e idee semplici) e poter ricomporre pensiero e discorso nello spazio vuoto della Logica. La
Logica è lo spazio di rappresentazione, quindi lo spazio da quadrettare.
Quale ruolo svolge quindi la scrittura in tale progetto? La scrittura è fatta di caratteri alfabetici che
permettono la traslazione del rapporto di rappresentazione del suono con l’idea che il suono esprime.
Quindi la scrittura è una pura operazione di rappresentazione, in quanto non aggiunge nulla a ciò
che compone il rapporto che trasla; o meglio, non dovrebbe aggiungere nulla, facendo ammenda
delle imperfezioni ortografiche delle scritture in uso. È solo per mezzo della scrittura che è possibile
proiettare il rapporto di rappresentazione del segno intrattiene con l’idea; è solo per mezzo della
scrittura che è possibile costituire una Logica rigorosa e ordinata, una vera e propria scienza
dell’ordine, in quanto la scrittura è articolazione e combinazione di caratteri rappresentanti suoni
distinti nell’ordine della successione. Operazione neutra di rappresentazione, la scrittura non fa altro
che riprodurre interamente il rapporto di successione e di contenimento che caratterizza la struttura
del ragionamento e la struttura dell’enunciato di giudizio. In un certo senso, fa assurgere tali strutture
a un grado di pura visibilità, che non fa vedere nulla che prima era nascosto, ma solo ciò che è già
evidente nella loro stessa forma.
Veniamo dunque alla questione sociale, politica e pedagogica della scrittura. Si è detto
dell’incommensurabilità della lingua geroglifica e della scrittura alfabetica. Destutt De Tracy rigetta
le tesi della derivazione della scrittura alfabetica dalla scrittura geroglifica (in particolare la tesi di
Warbuton). Di fatti, in ragione della differenza che abbiamo visto nei due sistemi, e nell’operazione
costitutiva dei due sistemi (traduzione e traslazione), non è possibile che la seconda derivi dalla
prima: la scrittura propriamente detta è ciò in cui può essere traslata qualsiasi lingua parlata,
comprese le più antiche e quelle che fanno uso dei geroglifici. Essa è un sistema trasparente di
rappresentazione del rapporto di espressione dei suoni della lingua parlata con le idee. Il geroglifico,
invece, è un segno distorto, una distorsione nel processo di evoluzione dell’uomo. Non ci sono
ragioni precise per cui gli uomini hanno adottato tale seconda lingua come sistema di scrittura (il
Tracy potrebbe fare riferimento a ragioni di climat, cioè di clima e ambiente, ma critica tali
spiegazioni). Si potrebbe parlare di ragioni politiche o sociali, cioè il sistema dei geroglifici sarebbe
conforme a una società chiusa e fortemente divisa tra una élite e una massa. Ma il Tracy non
propone di queste spiegazioni e preferisce dire che ciò può avvenire a caso. Infatti in tutta la sua
opera non ha fatto altro che studiare gli effetti, cioè le implicazioni funzionali, non le cause.
Ma ciò che gli sembra importante sottolineare è che la differenza di scrittura è dovuta a una
differenza di abitudini che si formano tra i popoli nel modo di rappresentare le idee. Alcuni popoli si
affidano a pitture, figure, simboli, altri popoli si affidano alla musica. L’incommensurabilità tra i due
sistemi di scrittura ha dunque una ragione storica precisa: vi sono popoli di pittori e popoli di
musicisti. La lingua geroglifica deriva dalla pittura, la scrittura alfabetica dal sistema di notazione
della musica.
Questa differenza si nota nel progresso delle conoscenze. I popoli di musicisti sono più evoluti dei
popoli di pittori. Per tale ragione bisognerebbe costruire un sistema di notazione della lingua parlata
dei popoli di pittori, per es. dei popoli dell’Oriente: ciò sarebbe loro di aiuto nel progresso e nella
diffusione delle conoscenze, nonché nello sviluppo della società, dato che le sorti di un popolo
dipendono dallo stato delle loro conoscenze e lo stato delle loro conoscenze dipende dalla scrittura
adoperata. Su questo punto Destutt de Tracy si ispira a Volney. Ma, nello stesso tempo, è
consapevole del fatto che se un popolo dovesse passare dalla lingua geroglifica alla scrittura
alfabetica sarebbe per via di una rivoluzione che toccherebbe ogni aspetto della vita sociale di tale
popolo.
Le conseguenze sociali e politiche della lingua geroglifica sono precisamente elencate dal Tracy in
sette punti: (a) la maggior parte degli abitanti di una nazione che usa la lingua geroglifica non può
apprendere la lingua scritta e non può acquisire le conoscenze più semplici; (b) i pochi saggi che si
dedicano all’arte di scrivere si dedicano per lo più a comprendere tale arte e hanno poco tempo da
dedicare alle conoscenze; (c) per tale ragione questi pochi saggi non fanno grandi progressi nelle
conoscenze: inoltre, data la fragilità del geroglifico, la comunicazione è difficile e non possono
essere mai sicuri di ciò che ha scritto un altro saggio; (d) se un saggio fa una scoperta preziosa,
questa cade subito nell’oblio proprio a causa delle difficoltà di comunicazione per mezzo del
geroglifico; (e) tale difficoltà si estende anche per quel che riguarda la possibilità di apprendere le
conoscenze trovate da popoli stranieri; (f) infatti una nazione che usa la lingua geroglifica ha poca
comunicazione con i paesi stranieri; (g) infine i saggi, proprio in ragione del fatto che non possono
fare grandi progressi mediante i geroglifici, e a causa del fatto che tutte le loro conoscenze si
perdono facilmente, inculcano nel popolo un rispetto eccessivo per gli antenati e un orrore per ogni
tipo di cambiamento.
Quali sono le conseguenze sociali e politiche della scrittura alfabetica? Queste non possono essere
considerate che a posteriori, giacché è parte del progetto di riforma del sistema di istruzione
pubblica (degli ambienti di istruzione e del metodo d’insegnamento). Dopo aver sviluppato
un’analisi del suono nelle sue cinque componenti (voce, durata, articolazione, tono, timbro, ovvero:
vocale, quantità, consonante, accento, mentre il timbro è una qualità personale), Destutt de Tracy
afferma di aver individuato venti consonanti, diciassette vocali, due toni marcati e uno non marcato,
quattro numeri di durata più una durata non marcata che è la durata più breve del suono: questi sono
gli elementi irriducibili del suono mediante i quali sono possibili tutte le combinazioni, e che
possono essere traslati in una forma di scrittura precisa se a ciascun elemento sonoro individuato si
facesse corrispondere una lettera, ovvero un carattere alfabetico. Ma tale corrispondenza non è
convenzionale, bensì naturale: infatti l’elemento sonoro suddiviso, cioè scomposto, è già
caratterizzato. Tale scomposizione non giunge ad altro che alla gamma dei suoni di cui è capace
l’apparato fonatorio dell’uomo. In questo caso la condizione naturale non è data a priori, all’origine:
non è che in origine gli uomini primitivi possedessero tutta la gamma di suoni. Essi sappiamo che
comunicavano con gesti, tocchi, grida. Questa condizione naturale (come scrive Labarrière) è ciò a
cui deve giungere l’uomo, è il grado totalità e di perfezione a cui deve mirare l’uomo. Ed è da
raggiungersi attraverso un processo storico.
Gli alfabeti, derivando da tale gamma, a causa dell’uso e di altre ragioni, divengono imperfetti e si
discostano dal modello. Sugli alfabeti in uso il Tracy scrive (II vol., pp. 282-283):
“I nostri alfabeti sono tutti formati sulla base dei principi che io ho delineato; ma non
sono né così completi né così regolari. La ragione è semplice: questi alfabeti non sono
stato composti dopo un’analisi riflessiva sulle parole, come si è portati a credere. I loro
primi elementi sono dovuti a delle osservazioni grossolane e imprecise. Se ne sono in
seguito aggiunte delle altre [di riflessioni] ogni volta che uno ne ha sentito il bisogno.
Spesso si sono improntati su alfabeti differenti, come quando si adottano delle parole di
una lingua straniera; o si è cambiato il valore dei caratteri di cui si fa uso, per imitare
l’uso che ne fanno altri popoli. Perciò, questi alfabeti sono diventati un assemblaggio
fortuito di pezzi e di rapporti presi qua e là, e messi insieme senza piano, senza veduta,
senza sistema.
In certi casi un carattere manca, e un altro ne riunisce parecchi per esprimere una sola
voce e una sola articolazione; a volte lo stesso carattere assume successivamente
parecchi valori. Qualche volta un’articolazione o una voce non hanno segni; altre volte
si possono rendere in cinque o sei modi differenti. (…) In una parola, i nostri alfabeti,
visti la loro difettosità e il cattivo uso che ne facciamo, sarebbe a dire i nostri vizi
ortografici, meritano ancora appena il nome di scrittura. In realtà non sono che delle
maladroites tachigraphies (…)”.
Come spiega Labarrière nell’articolo che ho citato all’inizio di questa parte, secondo Destutt de
Tracy gli alfabeti in uso sono troppo poco musicali e fanno troppa economia di notazione. Nessun
alfabeto ha il numero di caratteri completo che sono necessari per far sì che ogni elemento del suono
possa essere rappresentato mediante un carattere, e che quindi l’intero suono, con l’idea che esprime,
possa essere rappresentato da una combinazione singolare di caratteri: (p. 176)
“Noi – scrive Labarrière – siamo dunque in ritardo rispetto alla “essenza” della scrittura
alfabetica” perché non abbiamo tratto tutte le dovute conseguenze dalla dotazione della
scrittura alfabetica. “Per “essenza” non intendo rinviare (…) a una qualche forma o
struttura a priori che preesisterebbe in un qualche cielo delle idee e che ordinerebbe il
reale o la storia. Io intendo piuttosto fare segni, fare dei termini migliori, verso un
modello costruito pragmaticamente a posteriori. La logica dell’essenza sarebbe in tal
modo una logica dell’azione, il che significa che l’essenza, costruita, è ciò che è davanti
a noi, ciò che è ancora da fare, non qualcosa che ci è già stata data”.
“Oserei io, oggi, dopo tanti altri [che ci hanno lavorato prima di me], fare una proposta per
correggere la nostra scrittura?”, è ciò che si chiede subito dopo il passo citato sopra il Tracy, non
sentendosi scoraggiato dall’insuccesso avuto dai suoi predecessori, proprio perché lui ritiene di “aver
colto nel segno” scomponendo il suono. Ma, poco più avanti, afferma (II vol., pp. 286-287):
“Se non oso proporre di cambiare la nostra maniera di scrivere (…) è per l’intima
convinzione che ogni progetto di questo genere è assolutamente inutile, soprattutto se la
proposta è fatta da un uomo isolato: in effetti, una riforma parziale, eliminando uno o
due difetti per lasciarne mille altri, non sarebbe di alcun vantaggio; e una riforma
completa è pressoché impossibile, perché vi sono troppe abitudini che vi pongono
resistenza. Per cambiare del tutto un’usanza che riguarderebbe tutte le istituzioni
sociali, occorrerebbe un consenso unanime che non si può supporre, e che sarebbe un
vero e proprio rovesciamento della società. Non è dunque cosa pensabile; ma credo che,
lasciando sopravvivere questi usi, che non possono essere distrutti, sarebbe una cosa
molto utile segnalare i vizi di questi usi, le loro cause e le loro conseguenze, e di porre
al fianco della nostra scrittura tale quale è, un modello perfetto di quella che dovrebbe
essere. Forse è solo questo il modo per combattere con successo gli errori troppo
ripetuti”.
Un progetto ortografico non dovrebbe avere come scopo quello di rimpiazzare gli alfabeti in uso – il
che è una chimera – ma lo scopo di fungere da modello generale esercitando le funzioni di controllo
e di vigilanza sulle scritture, per segnalare e combattere gli errori. Questo è un modello disciplinare,
che sia per le scritture ciò che per le misurazioni è il sistema metrico decimale: un sistema che sia
facile e comune strumento di valutazione.
Ma per essere tale, è necessario che, all’atto pratico, il modello ortografico perfetto si confronti con
le individuali scritture alfabetiche, per segnalare ed eliminare vizi e errori. Deve essere un modello
in grado di agire e di funzionare su tutte le scritture alfabetiche – e probabilmente è anche il modello
grazie al quale sviluppare un sistema di caratteri alfabetici per esportare in Oriente le conoscenze e
diffonderle fra le popolazioni “soggiogate” dalla sovrana lingua geroglifica.
La scrittura è strumento indispensabile per il consolidamento di conoscenze certe e per la loro
diffusione perché è operazione trasparente di rappresentazione. Un modello perfetto di scrittura,
sebbene non possa sostituire le scritture in uso, può comunque avere il compito di controllore delle
scritture nazionali, di strumento di disciplinamento e di quadrettatura delle scritture innanzitutto
individuando e combattendo errori e vizi. La scrittura è mezzo facile da acquisire per tutti e prima
porta di accesso al mondo delle conoscenze certe, ovvero alla Logica. Un buon sistema d’istruzione,
con un buon metodo di insegnamento organizzato secondo l’Ideologia devono essere accessibili a
tutti. Riporto di nuovo un passo che ho citato più sopra e che riguarda gli effetti sociali della scrittura
propriamente detta:
“Per scrivere e leggere ogni sorta di lingua per mezzo della scrittura alfabetica, è
sufficiente avere l’intelligenza di un esiguo numero di caratteri. (…) Ora, questo è un
piccolo talento molto facile da acquisire, soprattutto se l’ortografia è regolarizzata: e,
talmente facile, che con una buona organizzazione sociale, nel giro di pochi anni, non
si avrà più un individuo, in una nazione disciplinata (nation policée) che sia privato di
questo vantaggio”.
Ciò che nel giro di pochi anni Destutt de Tracy crede di intravedere è ciò che, nell’Introduzione alla
Grammatica, chiama era francese (II vol., pp. 24-25):
“Per far fare dei grandi progressi alla filosofia razionale, e per portare a un grado di
perfezione la conoscenza umana, bisognerebbe aggiungere all’indipendenza dagli
antichi più scienza e più riserva, e, osservando come i moderni, poter esaminare tutto e
parlare su tutto; ora, questo momento non è ancora arrivato. Il momento in cui l’uomo
riunirebbe infine il grande fondo delle conoscenze acquisite, un metodo eccellente e
una totale libertà, sarebbe l’inizio di un’era assolutamente nuova nella storia. Quest’era
è veramente l’era francese; e questa ci fa prevedere uno sviluppo della ragione, e una
crescita della felicità, di cui si cercherebbe invano di giudicare cercando nei secoli
passati: poiché niente assomiglia a ciò che comincia”.
L’era francese è il vero compimento della Rivoluzione Francese, superata la parentesi giacobina, e
soprattutto il grande risultato della Logica, quella rivoluzione lentissima ma grandemente utile di cui
parlava Condillac e che Destutt de Tracy rammenta all’inizio della sua Logica. All’era francese,
epoca nella quale la conoscenza è rigorosa e per tutti, le scritture sono perfette, gli uomini vivono
nello spazio della Logica, sono rivolti gli élémens d’idéologie, il progetto teorico e pratico di Destutt
de Tracy: sistema filosofico, metodo d’insegnamento, riforma dell’istruzione pubblica. Guardando
positivamente alla lingua come metodo d’analisi quale passaggio per costruire quest’era, e in questo
senso metodo storicizzato, concludo citando un passo di Lakanal dal suo Rapport sur létablissement
des Ecoles normales du 2 brumaire, l’an II (p. 168 di Labarrière):
“Come la libertà politica e la libertà illimitata dell’industria e del commercio
cancelleranno le ineguaglianze mostruose delle ricchezze, così l’analisi applicata a ogni
genere di idee, in tutte le scuole, cancellerà l’ineguaglianza delle conoscenze certe (des
lumières), ineguaglianza ancora più fatale e più umiliante della prima. L’analisi è
dunque essenzialmente uno strumento indispensabile in una grande democrazia: la
conoscenza certa (lumière) che l’analisi diffonde ha tanta facilità a penetrare
dappertutto, che, come tutti i fluidi, tende senza cessare a porla allo stesso livello”.
Il che (ri)aprirebbe tutta la problematica archeologica, ma magari considerandola intrecciata con la
problematica genealogica, ricostruendo, cioè, non solo le posizioni teoriche, ma anche le posizioni
pratiche, la costruzione della verità nelle sue ramificazioni in termini di rapporti di sapere e di
rapporti di potere.