Critica del testo
XVI / 2, 2013
viella
Roberto Tagliani
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
di Philippe de Novare tra le carte dell’Archivio di
Stato di Milano*
L’articolo ha per oggetto l’edizione di un nuovo frammento del trattato Des quatre temps d’aage d’ome di Philippe de Novare, recentemente riconosciuto tra le carte
del fondo Miniature e cimeli dell’Archivio di Stato di Milano. Insieme all’edizione del
testo, il saggio ricostruisce la storia antica del documento, studia i rapporti con l’intera
tradizione manoscritta dell’opera e analizza la stratiicazione linguistica del testimone,
con particolare riferimento ai rapporti alle aree francoitaliana e dell’Oriente latino.
1. Premessa
Nell’ambito del progetto dedicato alla ricerca e allo studio dei
frammenti di codici membranacei romanzi circolanti in area estense
nel basso Medioevo che, sfascicolati, furono riutilizzati a partire dal
XVI secolo come prodotti da legatoria a basso costo, condotto con
grande competenza da Armando Antonelli,1 è recentemente riemer* Nel licenziare questo lavoro desidero ringraziare Armando Antonelli che
mi ha segnalato il frammento e mi ha invitato a studiarlo; Sandro Bertelli, Fabrizio
Cigni, Alfonso D’Agostino, Barbara Ferrari, Monica Longobardi, Silvio Melani e
Maria Luisa Meneghetti che mi hanno, a vario titolo, offerto i loro consigli; Paola
Caroli e Anna Lucia Brunetti dell’Archivio di Stato di Milano che mi hanno permesso di visionare il reperto, nonostante l’attuale inaccessibilità del fondo in cui
esso è conservato.
1. La ricerca, avviata con la tesi di dottorato di Antonelli discussa nel 2006
(Tracce poetiche dal XIII al XV secolo provenienti dall’Archivio di Stato di Bologna, rell. M. L. Meneghetti, L. Rossi, M. Brea López, Università degli Studi di Siena, XVIII ciclo), ha già prodotto straordinari risultati. Un bilancio provvisorio delle
attività segnala, inora, il rinvenimento di circa 350 carte ascrivibili a 40 diversi codici romanzi (la maggior parte in lingua d’oïl, ma anche in provenzale, castigliano
e franco-italiano): cfr. A. Antonelli, Frammenti romanzi di provenienza estense, in
Critica del testo, XVI / 2, 2013
40
Roberto Tagliani
so dal fondo Miniature e cimeli dell’Archivio di Stato di Milano (busta 1, fasc. 28) un bifolio che contiene una porzione signiicativa del
trattato pedagogico Des quatre temps d’aage d’ome di Philippe de
Novare, meglio noto col titolo vulgato Les quatre âges de l’homme,
che qui si dà alle stampe per la prima volta.
Le indagini di Antonelli, inora concentrate sugli archivi delle
città di Bologna, Modena e Imola, hanno sondato, a campione, anche realtà in stretta relazione diplomatica con l’ambiente estense,
oggetto privilegiato delle sue ricerche. Da tali sondaggi è emersa
l’agnizione del bifolio, già segnalato dai cataloghi ma inora non
riconosciuto, e genericamente descritto come lacerto «di un codice
scritto in francese di argomento religioso»,2 che rappresenta un importante tassello nella circolazione dell’opera più tarda e matura di
questo importante intellettuale del secondo Duecento.
2. Philippe de Novare e i Quatre âges
Di origine lombarda (secondo l’accezione medievale del termine), Philippe nacque tra il 1190 e il 1195, probabilmente nella città
comunemente accostata al suo nome.3 Appartenente ad una casata
di rango magnatizio, fu apprezzato giurista, importante diplomatico
e rafinato intellettuale4 operante nell’Outremer cristiano del XIII
«UNIFE. Annali Online Lettere», 7 (2012), 1, pp. 38-66 (rivista pubblicata on line,
url http://annali.unife.it/lettere/index), al quale rinvio anche per la descrizione delle
fasi del progetto e per la bibliograia di riferimento.
2. Leggiamo quest’annotazione nell’inventario pubblicato da A. Bazzi, I cimeli dell’Archivio di Stato di Milano, cartella 1 - Inventario, in «Arte Lombarda»,
73-74-75 (1985), 2-3-4, pp. 119-125, a p. 122. L’identiicazione dell’opera si deve
ad Antonelli, Frammenti romanzi cit., pp. 40 e 57.
3. Furono le ricerche di G. Paris, Philippe de Novare, in «Romania», 19
(1890), pp. 99-102, ad assegnare con certezza i natali di Philippe alla città della
“Lombardia” medievale, togliendoli alla Navarra, dove invece li aveva collocati,
per quasi un secolo, la storiograia letteraria francese del XIX secolo.
4. Per la biograia storico-letteraria del personaggio, oltre al citato lavoro di
Gaston Paris, si vedano M. Spampinato Beretta, Filippo da Novara, in Dizionario
biograico degli italiani, 47, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 1997, pp.
750-754 (oggi anche on line all’url http://www.treccani.it/enciclopedia/ilippo-danovara_(Dizionario-Biograico)/); L. Minervini, Filippo da Novara, in Federico II.
Enciclopedia fridericiana, 2 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2005,
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
41
secolo. Trasferitosi precocemente in Terra Santa, Philippe partecipò
certamente all’assedio di Damietta del 1218 al seguito di un barone cipriota, per poi passare – plausibilmente dopo la caduta della
città in mani arabe, nel 1221 – a Cipro, dove fu protagonista della
vita politica e intellettuale, in qualità di funzionario e ambasciatore
al servizio della potente famiglia degli Ibelin,5 nonché di litteratus,
ino alla sua morte, avvenuta dopo il 1264.
Egli stesso ci ricorda, nell’epilogo dei Quatre âges, il catalogo
delle sue opere, raggruppate simbolicamente in tre livres, che sono
in realtà il frutto di un accorpamento di più prodotti letterari, diversi
per genere e per genesi.
Il premier livre è costituito dai cosiddetti Mémoires, opera che
attorno al 1252 riordina e raccoglie un’autobiograia di Philippe, alcuni testi lirici cortesi e d’occasione, la storia della guerra tra Federico II e Giovanni di Ibelin il Vecchio, signore di Beirut, nonché alcune rime religiose dell’età matura; l’opera è nota, purtroppo, soltanto
per tradizione indiretta, conservata in testimonianza unica, dalla forma parziale e lacunosa, entro la compilazione storica nota col titolo
di Gestes des Chiprois, allestita con ogni probabilità da Gérard de
Montréal attorno al 1320,6 dalla quale Charles Kohler trasse un’edizione parziale, attribuendole il ricordato titolo vulgato.7
I, pp. 637-638 (in rete all’url http://www.treccani.it/enciclopedia/ilippo-da-novara_(Federiciana)/) e il proilo biograico in Filippo da Novara, Guerra di Federico
II in Oriente (1223-1242), intr., testo critico, trad. e note a c. di S. Melani, Napoli,
Liguori, 1994, pp. 36-45.
5. Sulla casata, una tra le più potenti e inluenti dell’Oltremare franco, si veda
P. W. Edbury, The Kingdom of Cyprus and the Crusades, Cambridge, Cambridge
University Press, 1991, pp. 79-93; sui rapporti della stessa con il sistema politico
del mondo franco d’Oltremare, si vedano le tuttora validissime considerazioni ad
essa dedicate da S. Runciman, Storia delle crociate, Torino, Einaudi, 1980, pp.
833-860, da integrare con il recente lavoro di C. Tyerman, Le guerre di Dio. Nuova
storia delle crociate, Torino, Einaudi, 2012, pp. 729-747, al quale si rinvia anche
per gli aggiornamenti bibliograici.
6. Lo ricorda Spampinato Beretta, Filippo da Novara cit., p. 751.
7. Philippe de Novare, Mémoires (1218-1243), éd. par C. Kohler, Paris,
Champion, 1913, sulla quale si veda S. Melani, A proposito dei cosiddetti ‘Memoires’ attribuiti a Filippo da Novara, in «Studi mediolatini e volgari», 34 (1988), pp.
97-127; la sezione dedicata alla guerra contro Cipro è stata recentemente riedita
dallo stesso Melani: cfr. Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente cit.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
42
Roberto Tagliani
La seconda opera citata è il Livre a un sien ami en forme de
plait (noto semplicemente come Livre en forme de plait), un trattato di diritto consuetudinario feudale ad uso degli uomini di legge
scritto tra il 1252 e il 1257, che descrive minuziosamente il sistema
istituzionale dei domini latini d’Oriente (segnatamente, quello dei
Regni di Gerusalemme e di Cipro, presso i quali Philippe aveva ricoperto incarichi di funzionario); esso costituisce una delle opere più
interessanti delle cosiddette Assises de Jerusalem, raccolta di opere
giurisprudenziali prodotte nell’Oltremare cristiano.8
La terza opera è, per l’appunto, il nostro trattato, scritto – come
lo stesso Philippe dichiara nell’esordio – quando l’autore aveva già
raggiunto l’età di settant’anni. Testo di natura didattica e morale, il
trattato parte dalla lunga esperienza di vita dell’autore che, giunto
al termine della propria fulgida carriera, raccoglie in quest’opera
i propri consigli sull’educazione dei giovani, ma anche rilessioni
sull’adeguatezza dei comportamenti umani nelle diverse stagioni
della vita, destinate alla lettura e alla fruizione di quanti desiderino
ascoltarle, apprenderle e impiegarle nella propria esistenza.
Come ben ha fatto rilevare Elisabeth Schultze-Busacker in un
recente saggio,9 l’opera è pervasa dallo spirito della legge ed è costruita secondo la «forma mentis de ce jureconsulte et diplomate»: ne
risulta un testo ordinatamente scandito, regolarmente argomentato e
organizzato in una forma puntuale e misurata, non privo di spunti di
originalità e, in molti casi, svincolato dalla communis opinio pedagogica, ispiratrice di varie opere coeve d’impianto didattico.10
Diviso in quattro sezioni, ciascuna relativa a una delle età prese
in esame (anfance, jovens, moien aage e viellesce), il trattato si strut8. La vecchia edizione ottocentesca (Livre de Philippe de Navarre, in Assises
de Jérusalem ou Recueil des ouvrages de jurisprudence composés pendant le XIIIe
siècle dans les royaumes de Jérusalem et de Chypre, I, Assises de la Haute Court,
par [A.A.] Beugnot, Paris, Imprimerie Royale, 1841, pp. 469-571) è oggi sostituita
da Philip of Novara, Le livre de forme de plait, ed. and trans. by P. W. Edbury, Nicosia, Cyprus Research Centre, 2009.
9. E. Schulze-Busacker, Philippe de Novare, les Quatre âges de l’homme, in
«Romania», 127 (2009), pp. 104-146, a p. 106.
10. Le principali differenze si percepiscono, soprattutto, nel confronto con le
opere didattiche ispirate ai Disticha Catonis, quali il Facetus, l’Apprise de Nurture,
il Doctrinal Sauvage e gli enseignements e dits anonimi duecenteschi di impronta
moraleggiante e didascalica; cfr. ibid., p. 107.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
43
tura in brevi paragrai, secondo un andamento simile a quello espositivo già impiegato nel Livre en forme de plait e caratteristico delle summae enciclopediche mediolatine. Per quanto debitore, per lo
meno in termini di dialogo ‘a distanza’, con opere di grande rilievo
dedicate all’educazione, come il De eruditione iliorum nobilium di
Vincenzo di Beauvais (1250-1252), il testo lascia emergere, insieme
alle rilessioni etico-pedagogiche, tanto lo spirito dell’uomo di legge
giunto in limine vitae quanto il portato di una cultura letteraria –
storiograica, prima di tutto, ma anche romanzesca, lirica, didatticoreligiosa, fruita in latino e in volgare – che ben rappresenta il milieu
culturale dell’Outremer franco duecentesco, intriso di valori e ideali
aristocratici e cavallereschi; un ambito culturale che è stato ben descritto dagli studi di David Jacoby, Silvio Melani, Laura Minervini e
Valeria Bertolucci Pizzorusso11 e che la stessa Schultze-Busacker ha
potuto meglio chiarire in rapporto al nostro trattato.12
Del testo esiste, a tutt’oggi, una sola edizione a stampa, pubblicata da Marcel de Fréville per la Société des Anciens Textes Français
nel 1888,13 condotta con l’impiego di più manoscritti ma senza una
11. In particolare, Melani e la Bertolucci si sono occupati di commentare le
opere in versi di Philippe (cfr. Melani, Introduzione a Guerra di Federico II cit., pp.
45-51 e 61-63 e V. Bertolucci Pizzorusso, Satira e propaganda politica nell’Oltremare
latino: sec. XIII, in Comunicazione e propaganda nei secoli XII e XIII, Atti del convegno internazionale [Messina, 24-26 maggio 2007], a c. di R. Castano, F. Latella e T.
Sorrenti, Roma, Viella, 2007, pp. 67-83, spec. pp. 78-82); Jacoby e Minervini, invece,
si sono dedicati ad un inquadramento più vasto a proposito della cultura letteraria
dell’Outremer, segnalando l’apporto di Philippe de Novare, ma anche il suo debito
con la cultura coeva di quei territori (cfr. D. Jacoby, La littérature française dans les
états latins de la Méditerranée orientale à l’époque des croisades: diffusion et création, in Essor et fortune de la chanson de geste dans l’Europe et l’Orient latin, Actes
du IXe Congrès international de la Société Rencesvals (Padoue-Venise, 29 août-4 septembre 1982), 2 voll., Modena, Mucchi, 1984, pp. 617-646, in part. pp. 625-639; L.
Minervini, Outremer, in Lo spazio letterario del Medioevo, 2, Il Medioevo volgare,
I/2, La produzione del testo, a c. di P. Boitani, M. Mancini e A. Vàrvaro, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 611-648, in part. le pp. 626-630 e Ead., Modelli culturali e
attività letteraria nell’Oriente latino, in «Studi medievali», 43 [2002], pp. 337-348).
12. Specie nella sezione conclusiva di Schulze-Busacker, Philippe de Novare
cit., pp. 135-146.
13. Les quatre âges de l’homme, traité moral de Philippe de Navarre publié
pour la première fois d’après les manuscrits de Paris, de Londres et de Metz par M.
de Fréville, Paris, Didot, 1888.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
44
Roberto Tagliani
vera e propria rilessione stemmatica. L’edizione non può essere
considerata ilologicamente afidabile: per questo, negli anni Ottanta
del Novecento, Silvio Melani, nella sua tesi di laurea, ha realizzato
una nuova edizione critica, assai migliorativa rispetto al testo fornito
da Fréville, che è purtroppo ancora inedita, e che ci auguriamo possa
presto essere messa a disposizione degli studiosi.14
3. Il rapporto del frammento con la tradizione manoscritta
La tradizione manoscritta diretta dell’opera è costituita dai seguenti testimoni:15
A Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 12581, cc. 387r407v: il manoscritto, duecentesco, di formato medio-grande (mm
300 x 200), copiato su due colonne, conserva il testo completo e
possiede alcuni capilettera decorati e miniati.16
B Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 15210, cc. 2r-51r : il
codice, duecentesco, di piccolo formato (mm 135 x 105), copiato a
colonna unica, conserva il testo quasi completo, mancando soltanto
del § 220 dell’ed. Fréville, che corrisponde al § 5.16.2 dell’ed. Mela14. S. Melani, ‘Les quatre temps d’aage d’ome’ di Filippo da Novara, proposta per un’edizione critica, rel. V. Bertolucci Pizzorusso, 3 voll, Università degli
studi di Pisa, a.a. 1985-1986. Lo studioso sta rimettendo mano a questo importante
lavoro, e ha annunciato l’ormai prossima pubblicazione del testo critico.
15. Utilizzo, ove possibile, le sigle impiegate per la prima volta da Fréville
nella sua ed. di Les quatre âges cit., pp. XIV-XVIII, integrandole con quelle aggiunte da Melani, ‘Les quatre temps’ cit., I, pp. 80-119; le sigle in corsivo, relative a
testimoni ignoti ai due editori sono, invece, qui impiegate per la prima volta. Traggo
le notizie sui manoscritti dalla bibliograia critica e dall’analisi diretta dei soli mss.
parigini. Oltre ai codici che qui si segnalano, esiste una limitata tradizione indiretta del testo, frammentaria e rimaneggiata, che è conservata da due testimoni dei
Proverbes o Enseignements Seneque, il ms. Bern, Burgerbibliothek, 365, f. 112r-v
e il ms. Metz, Bibliothèque Municipale, 855, c. 21r-24v. Per ulteriori indicazioni
in merito rinvio a B. Ferrari, Un frammento inedito del trattato Les quatre âges de
l’homme di Fillippo da Novara, in «Studi mediolatini e volgari», 38 (1992), pp.
9-30, in part. pp. 15-16 e nn. 37, 38, 39 e 41.
16. Melani, ‘Les quatre temps’ cit., I, p. 81 ne assegna il terminus post quem
al 1284; il codice funge da testo-base sia per l’ed. Fréville che per l’ed. Melani, in
ragione della completezza del testo e della sua maggior correttezza testuale rispetto
all’unico altro codice completo, P.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
45
ni; non presenta capilettera miniati, ma solo capitali rubricate prive
di elementi decorativi.
C London, British Library, Add. 28260, cc. 3r-33r: anch’esso
duecentesco, di piccolo formato (mm 160 x 120) e copiato a colonna unica, manca di una considerevole porzione di testo, dal § 134
dell’ed. Fréville (§ 3.28.9 dell’ed. Melani) ino alla ine del trattato.17
Come il precedente, anche questo codice non presenta miniature o
lettrines decorate ma dei semplici capilettera rubricati.
D Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 24431, cc. 161r-167r:
il codice, così come il suo gemello D2, è ascrivibile al XIII secolo, di
formato medio-grande (mm 305 x 215), copiato su due colonne con
varie lettrines miniate e decorate, molte delle quali asportate (con conseguente nocumento per la conservazione del testo). Presenta, come
il suo gemello, una vasta lacuna: manca dei §§ 33-34, 85, 95-219 e
231-236 dell’ed. Fréville, corrispondenti ai §§ 2.1-2.2, 2.42, 3.1-3.18
e 5.23-5.25 dell’ed. Melani.
D2 Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 17177, cc. 268r274v: il codice, duecentesco, fu segnalato per la prima volta da Paul
Meyer dopo l’uscita dell’ed. Fréville; è stato utilizzato da Melani,
che ne ha potuto dimostrare, in sede di recensio, la strettissima parentela con il gemello D, già segnalata da Meyer;18 tale vicinanza
non si limita alla condivisione della lacuna sopra ricordata, ma si
estende anche al dato testuale, senza determinare la natura descripta
di nessuno dei due testimoni.19
17. Il codice fu descritto da P. Meyer, Le bestiaire de Gervaise, in «Romania»,
1 (1872), pp. 420-443, che ne attribuì la genesi a un copista champenois o lorenese,
«qui, tout en s’efforçant d’écrire en français de l’île de France, laissait néanmoins
passer certaines traces de sa prononciation» (ibid., p. 423).
18. P. Meyer, Notice du manuscrit fr. 17177 de la Bibliothèque Nationale,
in «Bulletin de la Société des anciens textes français», 21 (1895), pp. 80-118; lo
studioso si accorse per primo dell’identità della mano di copia tra la sezione del ms.
in cui si trova il testo e quella di D, entrambe del nord della Francia (ibid., p. 82),
probabilmente piccarde o dell’Artois (cfr. Melani, ‘Les quatre temps’ cit., I, p. 98).
19. Ibid., I, p. 120; ai due mss. gemelli sono dedicate le schede n° 38-39 (entrambe di S. Lefèvre), nell’Album de manuscrits français du XIIIe siècle. Mise en
page et mise en texte, par M. Careri, F. Fery-Hue, F. Gasparri, G. Hasenohr, G. LaCritica del testo, XVI / 2, 2013
46
Roberto Tagliani
E Metz, Bibliothèque Municipale, 535, cc. 171v-227v: il codice,
databile tra la ine del XIII e gli inizi del XIV, è andato distrutto nel
1944 durante la seconda guerra mondiale; una dettagliata scheda di
Paul Meyer ci ricorda alcune sue caratteristiche materiali,20 e l’apparato dell’ed. Fréville ci conserva alcune lezioni testuali.21
Lv Louvain, Bibliothèque de l’Université, G.53, cc. 174r-185v; il
ms. è andato perduto nel maggio del 1940 sotto i bombardamenti
tedeschi che distrussero la biblioteca della città; possiamo tuttavia
metterlo in relazione con il codice E, anch’esso perduto, sulla base
della descrizione fornita da Alphonse Bayot, che ricorda la strettissima connessione, relativamente alla sezione del trattato, con la lectio
del manoscritto metzino.22
M Montpellier, Bibliothèque de la Faculté de Medicine, 164, cc.
19v-20v; il codice, trecentesco e di formato medio-grande (mm 323
x 246), contiene una versione centonata e indipendente del trattato,
unitamente a un frammento della sua parte conclusiva (corrispondente ai §§ 227-230 dell’ed. Fréville, §§ 5.19-22 dell’ed. Melani).23
Mi Milano, Archivio di Stato, Miniature e cimeli, b. 1, fasc. 28: si
tratta del frammento che qui si pubblica, verosimilmente ascrivibile
alla ine del XIII-inizi del XIV secolo, che contiene i §§ 85 (da r. 14)113 dell’ed. Fréville, corrispondenti ai §§ 2.42.8-3.14 dell’ed. Melani;
bory, S. Lefèvre, A.-F. Leurquin, Ch. Ruby, Roma, Viella, 2001, pp. 151-158, condotte proprio sulla sezione del codice che conserva il testo di Philippe de Novare.
20. P. Meyer, Notice du ms. 535 de la Bibliothèque Municipale de Metz, in
«Bulletin de la Société des anciens textes français», 12 (1886), pp. 41-76. Dalla
scheda sappiamo che il ms. era di formato medio (mm 195-123) e che fu copiato da
una mano lorenese-metzina.
21. Melani segnala che il codice, ab origine, mancava dei §§ 208-209, 231 e
233-236 dell’ed. Fréville, corrispondenti ai §§ 5.12, 5.22-23 della sua ed.: cfr. Id.,
‘Les quatre temps’ cit., I, p. 103.
22. Le poème moral. Traité de vie chrétienne écrit dans la région wallonne
vers l’an 1200, éd. complète par A. Bayot, Bruxelles-Liège, Palais des AcadémiesVaillant Carmanne, 1929, pp. XVI-XXI. La scheda lo data al 1311, e ricorda che
il codice era decorato con «lettrines en or et couleurs, avec prolongement dans les
marges; nombreuses initiales alternativement rouges et bleues» (ibid., p. XIX).
23. Anche per questo ms. esiste una dettagliata scheda di Paul Meyer, che ne
ricostruisce la travagliata storia: cfr. Id., Notice d’un manuscrit messin (Montpellier
164 et Libri 96), in «Romania», 15 (1886), pp. 161-191.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
47
N Novara, Archivio storico diocesano, Biblioteca di Santa Maria,
cod. LXXVIII: si tratta di quattro bifolia appartenuti ad un codice di
metà Trecento, riutilizzati come rinforzo alla legatura di un codice
del XII secolo contenente le omelie latine dello Pseudo Crisostomo
sul vangelo di Matteo, pubblicati alcuni anni or sono da Barbara
Ferrari;24 il testo corrisponde ai §§ 66 (da r. 2)-72 (ino a r. 7); 104
(da r. 4)-110 (ino a r. 2); 132 (da r. 11)-138 (ino a r. 13); 115 (da
r. 10)-126 (ino a r. 6); 150 (da r. 16)-153 (ino a r. 10); 175 (da r.
10)-178 (ino a r. 10) dell’ed. Fréville (corrispondenti ai §§ 2.31.22.34.6; 3.7.3-3.12.11; 3.15.13-3.22.4; 3.24.9-3.28.9; 3.37.12-3.39.7;
4.4.20-37 dell’ed. Melani).
P Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 17115, cc. 57r-84v:
si tratta del secondo testimone che contiene per intero il trattato; il
codice, duecentesco e di formato medio-grande (mm 308 x 232), miniato e decorato con lettrines istoriate e pregevoli piccole miniature,
è ascrivibile, secondo Melani, ad una mano lorenese.25
La porzione di testo conservata dal nostro frammento non è presente in tutti i codici. Possiamo così riassumerne la presenza all’interno della tradizione:
rif. ed. Fréville
rif. ed. Melani
rif. nostra ed.
testimoni
§ 85 r. 14
§ 2.43.8
§1
A B C E Mi P
§§ 86-94
§§ 2.43-2.47
§§ 2-19
A B C D D2 E Mi P
§§ 95-104 r. 3
§§ 3.1-3.7.2
§§ 20-39 r. 3
A B C E Mi P
§§ 104 r. 4-110 r. 2
§§ 3.7.3-3.12.10
§§ 39 r. 3-57 r. 1
A B C E Mi N P
§§ 110 r. 3-113
§§ 3.12.11-3.14
§§ 57 r. 1-65
A B C E Mi P
Gli studi di Melani hanno individuato un raggruppamento
stemmatico tripartito della tradizione del testo: esiste una famiglia
a, composta dai mss. ADD2, in cui soltanto A reca il testo completo; una famiglia b, costituita da BE, il cui unico superstite (quasi)
24. Ferrari, Un frammento inedito cit.
25. Melani, ‘Les quatre temps’ cit., I, p. 118; anche M. Oswald, Les Enseignement Seneque. Note additionelle, in «Romania» 91 (1970), pp. 106-113, segnala
che il ms. è scritto «dans une langue à forte teinture lorraine» (ibid., p. 108 n. 2).
Critica del testo, XVI / 2, 2013
48
Roberto Tagliani
completo è B; 26 una famiglia c, che riunisce i codici CPM, dei quali
soltanto P è completo. Il ritrovamento del frammento novarese ha
aggiunto, per le sole sezioni conservate, un nuovo testimone della
famiglia b.27
Anche il nostro frammento – che gode di una sorte migliore
rispetto al novarese, dal momento che rappresenta un’unità testuale
integra, senza lacune interne – sembra accostarsi alla famiglia b.
Partendo dal regesto degli errori comuni costituito da Melani per dimostrare l’esistenza dei raggruppamenti, è possibile osservare che:
- degli undici errori comuni ad ADD2 (per i soli §§ 2.43-2.47, dal
momento che a partire dal § 3.1 e per i successivi diciotto paragrai
A è codex unicum), nessuno è presente in Mi;28
- dei quarantadue errori comuni a PC, Mi presenta solo in due casi
degli elementi di vicinanza, che però non postulano alcuna parentela sicura con la famiglia c;29
26. A questa famiglia andrebbe, a rigore, aggiunto anche Lv, del quale purtroppo non è sopravvissunto alcun dato testuale, ma che era vicinissimo ad E: «la
copie du traité de Philippe de Novare présente des rapports très étroits avec celle
du ms. 535 [de la Bibliothèque de Metz]; on y relève les mêmes variantes et elle
possède les passages interpolés que Marcel de Fréville, l’editeur des Quatre âges
de l’homme (…), imprime en note, pp. 55-56 et 64-66»; cfr. Bayot, Le poème moral
cit., pp. XIX-XX.
27. Lo segnala, con qualche prudenza, Ferrari, Un frammento inedito cit., p. 17.
28. Mi è sempre coerente, fatte salve alcune varianti graico-linguistiche, con
la lezione corretta posta a testo da Melani; solo in corrispondenza del § 2.47.1 (§ 18
della nostra ed.), in cui ADD2 leggono erroneamente «dou fait» contro il corretto
«ou fait» messo a testo da Melani, Mi legge «esfait».
29. In particolare: al § 2.46.4 (§ 15 della nostra ed.) cade un qui, come in PC,
ma può trattarsi di un errore poligenetico; al § 3.5.8 (§ 35 della nostra ed.), invece,
la varia lectio mostra un particolare dinamismo: all’interno di una elencazione paratattica di cinque ininiti, il codice B rielabora l’intero periodo con anticipazioni ed
errori propri (vivre… mourir… mender… esriter… aidier… bien faire B), mentre il
resto della tradizione (ACMiP) inserisce qualche variante nell’elenco di ininiti (vivre… norrir… eriter… aidier… bien faire A; vivre… norrir… hediier… aidier…
bien faire CP; vivre… norrir… heriter… aidier… bien faire Mi), collocando il complemento oggetto «ses enfanz» dopo «norrir» in A, dopo «hediier» in CP e dopo
«heriter» in Mi); insomma, il luogo sembra accumulare una serie di varianti, intrecciate anche trasversalmente allo stemma, che forse suggeriscono un guasto ai piani
alti dello stesso: si noti, inoltre, che l’opposizione degli ininiti heriter / hediier
mantiene Mi lontano dalla famiglia c e in consonanza con il resto della tradizione.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
49
- dei sei30 errori comuni a BE, ben quattro31 sono presenti in Mi,
mentre i due assenti riguardano passaggi la cui portata è di rilievo
minore.32
Estendendo l’analisi per individuare altri tratti comuni della famiglia b, con particolare riguardo ai rapporti tra B e i frammenti
MiN, è possibile riconoscere due ulteriori elementi congiuntivi, il
primo più forte poiché condiviso da BMiN,33 e un secondo più labi30. Dall’elenco presentato da Melani, che vede sette errori, va tolto il caso del
§ 3.8.6 (§ 42 della nostra ed.), per il quale lo studioso segnala la presenza di que in
BE contro car / quar di CP (A presenta una lacuna in questo punto); in realtà la lezione car / quar / qar è attestata da BC, a cui si aggiungono i frammenti MiN contro
EP, che recano que: il luogo non mostra, quindi, un errore comune alla famiglia b,
ma un raggruppamento diverso, probabilmente poligenetico. Si rilevi, tuttavia, che
Mi condivide qui la lezione considerata corretta, che è testimoniata anche da B.
31. Di seguito, gli errori condivisi (segnalo anche le varianti graiche): § 3.9.5
(§ 45 della nostra ed.) a alé A ] est allez BE, est alé MiN; vaut C, les vai P; in questo
caso Melani mette a testo la lezione di A. § 3.11.6 (§ 52 della nostra ed.) as branches de l’aubre et ont C; au branches de l’arbre et ont P ] manca l’intero periodo
A; as branches et ont, om. de l’aubre BEMi, a branches et ont, om. de l’arbre N; in
questo caso Melani mette a testo la lezione di C per l’intero periodo mancante entro
parentesi quadre. § 3.12.2 (§ 54 della nostra ed.) nostre Sires Jesucriz AP ] nostre
Seigneur, om. Jesucriz B, Nostre Sires om. Jesucriz E, Nostre Signor, om. Iesu Crist
Mi Nostre Seignor, om. Jhesu Crist N; Nostre Jhesu Crist, om. Sires C; qui Melani
mette a testo la lezione di A (che coincide con quella di P). Se escludiamo l’esempio del § 3.11.6, dove la lacuna di ADD2 non permette di valutare il portato della
famiglia a, totalmente assente, gli altri due esempi mostrano l’accostamento di Mi
alla famiglia b. L’ultimo esempio riguarda il § 2.45.4 (§ 11 della nostra ed.): n’i a
point de honte ADD2P, n’i ha point d’onte C ] n’i a nule honte BE; n’i a nul onte Mi;
anche in questo caso Mi segue la famiglia b, offrendo la forma nul per nule, della
quale si discuterà nella nota linguistica, cfr. infra, p. 60.
32. Il primo caso riguarda una varia lectio dinamica nell’uso di una preposizione al § 3.7.3 (§ 39 della nostra ed.): o les sages ACMiN ] avec les sages BE,
entres les sages P. Il secondo registra l’assenza di un’aggiunta di BE che, tuttavia,
potrebbe anche essere dovuta ad innovazione poligenetica dei due testimoni, al §
3.3.2 (§ 23 della nostra ed.): croient ACMiP ] croient en Dieu B; croient Dieu, om.
en E. In entrambi i casi, Melani mette a testo la lezione della maggioranza dei codici, che è anche la lezione di Mi.
33. L’ipotesi parte da un’annotazione di Melani, ‘Les quatre temps’ cit., III, p.
173, relativa al § 3.8.3 (§ 42 della nostra ed.): qui Philippe cita un proverbio (li oil dou
segnor vaut fumier a la terre, ‘l’occhio del signore è come concime per la terra’), in
cui la varia lectio oppone forme coniugate di veoir al perfetto di III p.s. di valoir (voient A; voit PC; vaust B). La forma vaust è, per Melani, dificilior, e pertanto va messa
Critica del testo, XVI / 2, 2013
50
Roberto Tagliani
le, relativo soltanto a B e Mi.34 L’osservazione del brevissimo brano
condiviso da Mi e N (corrispondente, all’incirca, ai §§ 39-47 della
nostra ed.) mostra come i due frammenti rechino una lezione pressoché identica – pur con numerose lacune materiali del novarese,
dovute al suo particolare stato di conservazione – che si discosta in
rari e trascurabili passaggi.35 I due condividono anche un’interessante lezione paleograicamente erronea che però è troppo esile per
essere considerata un errore comune.36
Tali dati sembrano confermare l’esistenza della famiglia b indicata da Melani, alla quale Mi ed N si ascrivono come testimonianze
di buona qualità,37 anche se frammentarie, di una tradizione che ha
a testo. I rinvenimenti successivi di N e di Mi mostrano che la lezione è condivisa
da tutta la famiglia superstite, contro il resto della tradizione, ed è dunque un tratto
congiuntivo di BMiN, ma anche separativo rispetto ad ACP, particolarmente rilevante
anche in considerazione del contesto citazionale in cui si trova.
34. Al § 8 della nostra ed. troviamo la seguente opposizione: de folie faire
ACDD2P ] de faire follie BMi; pur concedendo la possibilità che l’iniziale identica
possa aver generato anche poligeneticamente l’inversione d’ordine del costrutto,
non mi pare impossibile accostare ai precedenti anche questo passaggio testuale, in
cui la famiglia b supersite si oppone a tutto il resto della tradizione.
35. Rispettivamente: § 39. mesavenir Mi ] mescheeir N; § 41. en lor fait Mi ]
a lour fait N; puent Mi ] porront N; § 46. enseignez et apris en enfance ou non Mi ]
eseignez ou non et apris en enffance N.
36. Al § 55 della nostra ed. entrambi i codici recano les bones braches, anziché branches; la scriptio erronea, che di per sé potrebbe essersi determinata poligeneticamente, per effetto della semplice caduta di un titulus, diventa rilevante se si
osserva che entrambi i testimoni, in tutte le altre attestazioni del lemma nel brano,
recano regolarmente branches a piene lettere.
37. Ad ulteriore conferma dell’afidabilità della lezione dei codici perduti da
cui traggono origine i frammenti Mi e N, si ricordi qui un felice ragionamento condotto da Melani a proposito della forma dona al § 3.10.7 (§ 47 della nostra ed.),
che egli mette a testo (come già aveva fatto Fréville, § 107 della sua ed.) seppur
in testimonianza minoritaria. Così argomenta Melani: «quella di C, messa a testo,
è l’unica lezione accettabile con sicurezza; tuttavia la varia lectio fa pensare che
nell’archetipo si leggesse in origine done, come in AE, poi corretto in a doné da P,
dona da C, donnast da B (che, complice il se precedente, aveva forse inteso done
come un cong. presente con funzione ottativa, da correggere con un cong. imperfetto). Il presunto done dell’archetipo sarà stato probabilmente frutto di una banale
confusione paleograica dona-done»; cfr. Id., ‘Les quatre temps’ cit., III, pp. 174175. La bontà della lezione dona è confermata anche da MiN, che congiuntamente
la testimoniano, facendola diventare maggioritaria, in quanto condivisa anche da un
testimone della famiglia c.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
51
circolato in Italia con una diffusione più signiicativa di quanto ino
ad oggi si era creduto. La lezione di Mi, in particolare, lascia ritenere
che il testimone al quale apparteneva fosse ben più corretto di quanto
non sia B, che solo raramente è latore di buone lezioni, ma di norma
è tutt’altro che impeccabile, recando spesso lectiones singulares o
faciliores, banalizzazioni38 o aggiunte di brevi inserti (di solito collocati a ine periodo) con funzione didascalica o scoliastica.39 Non
si può non constatare come la famiglia b della tradizione dei Quatre
âges abbia avuto una sorte sventurata: due codici – verosimilmente
latori di buone lezioni40 – sono andati perduti sotto le bombe; altri
due sono stati smembrati e dispersi ab antiquo, e riemersi in forma
di frammento; un solo codice si è conservato integro, ma certamente
è il deterior di quel ramo dello stemma.
4. Dati codicologici del frammento
Lo stato di conservazione del supporto è generalmente buono
e permette la lettura piena e sicura di tutta la scriptio testuale.41 Al
centro di c. 1r ci sono le tracce di due piegature realizzate lungo
l’asse verticale del bifolio: la prima coincide, grosso modo, con l’in38. Soltanto alcuni esempi, relativi alla sezione testuale che qui interessa: § 4.
pere ou parent ou mari Mi ] pere ou mere ou mariz B; § 42. li oil dou segnor Mi ]
l’onbre dou segneur B; § 44. les voies poralees Mi ] les voies acoustumeis B; § 49.
est la bone souche Mi ] est la bone chose B (banalizzazione ripetuta anche ai §§ 52
e 54); § 64 auques Mi ] aucuns B.
39. Alcuni esempi: § 9. Et tiel est la maniere Mi ] et tele ele est la meniere B;
§ 12. vient enpres legierement l’oevre Mi ] vient apres legierement l’euvre par l’une
partie ou par l’autre B; § 27. Il ne lor semble que lor vie ia si longe n’avra esté, seit
de la longer d’un an, ne d’un iorneis Mi ] il ne leur semble qu’il aient vescu que .j.
an que ia si longne n’avra esté leur vie, que eles soit plus de longueur d’un an ne
d’un jour B; § 41. entendre aucune foiz Mi ] entendre aucune foiz a leur besoignes
B; § 65. Et espleitent sagement premier a Deu servir Mi ] et esploitent sagement en
cest siegle premier a Dieu servir B.
40. Fréville, senza condurre un’analisi rigidamente lachmanniana, aveva segnalato l’importanza di E all’interno della tradizione dei Quatre âges, che permetteva «de corriger et d’améliorer en plusieur points la leçon primitive» (cfr. Les quatre
âges cit., p. XVII).
41. Se si escludono alcune lettere perdute a causa del foro di ilza che lacera
il bifolio al centro della carta e alcune sezioni delle parti esterne, che mostrano un
inchiostro parzialmente evanito per l’eccesso di manipolazione.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
52
Roberto Tagliani
tercolumnio, e non ha recato alcun pregiudizio alla scrittura; la seconda, più marcata e generata dall’impiego di un oggetto aguzzo,
attraversa circa a metà la colonna b di carta 1r e la colonna a di c.
1v, e determina qualche minimo danno al supporto scrittorio. I segni evidenti della cucitura al centro del bifolio dimostrano in modo
inequivocabile che esso è stato rilegato, e dunque è appartenuto ad
un codice, e solo in un secondo momento sfascicolato e riutilizzato
con funzioni diverse.
Ciascuna carta del bifolio misura circa mm 273 x 193; non appaiono segni evidenti di riilatura, e anzi la centratura dello specchio
di scrittura lascia ritenere che il supporto conservi il suo aspetto originario. Il testo è impaginato su due colonne di 43 linee ciascuna,
rigate a secco con mina di piombo ancora ben visibile, specie alle
cc. 1v e 2r. Lo specchio di scrittura di ciascuna colonna è di mm
64~65 x 223, con un intercolumnio di mm 17, racchiusi entro i margini ben delineati e rigorosamente rispettati;42 l’unità di rigatura si
attesta mediamente attorno ai mm 5, ben proporzionato al modulo
delle lettere (che è attorno ai mm 3,5) distribuite in modo elegante e
sicuro nello spazio scrittorio secondo la consolidata prassi below top
line, segno che la copia è stata realizzata da una mano professionale
ben preparata.
La scrittura è una littera textualis vergata a inchiostro seppia da
una mano italiana settentrionale, ascrivibile alla seconda metà del
secolo XIII. L’impostazione della pagina, il conspectus della scrittura, la sua uniformità e accuratezza d’esecuzione indicano che il codice di cui il bifolio faceva parte era frutto d’un progetto librario di
notevole qualità, afidato ad un copista professionista molto attento
alla mise en page.43
Il codice, peraltro, doveva essere dotato di un apparato decorativo considerevole: a c. 1va, rr. 8-14, è infatti inserita un’elegante
lettrine istoriata, delle dimensioni di mm 40 x 40, con un prolungamento di circa mm 15 nel lato superiore destro, realizzata in blu
42. A c. 1r sono: margine superiore mm 9, inferiore mm 41, sinistro mm 30 e
destro mm 17.
43. Devo queste preziose indicazioni a Sandro Bertelli, che propende per una
datazione alla piena seconda metà del secolo, soprattutto per la presenza massiccia
della s rotonda in ine di parola, che potrebbe far pensare all’ultimo quarto, ma
comunque entro la ine del XIII secolo.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
53
su fondo rosa carico-porpora, inemente ilettata e decorata con occhiellature e puntinature sfumate in bianco e in azzurro nel corpo
della lettera, intervallate ad altre tarsie lineari e geometriche sempre
in bianco; la capitale, una “E”, è riccamente abbellita all’interno da
motivi curvilinei simmetrici dipinti in vermiglio e verde, anch’essi
ilettati in bianco, culminanti in foglie d’acanto giallo ocra; il vertice
superiore destro della lettrine si sviluppa all’esterno del riquadro del
capolettera con una foglia d’acanto in rosso, con ilettature (ig. 1).
Occhiellature, ilettature e palette di colori ricordano da vicino quelle presenti in alcuni manoscritti di provenienza genovese conservati alla Bibliothèque Nationale di Parigi studiati da François Avril e
Marie-Thérèse Gousset.44
La lettrine istoriata è collocata all’inizio della terza parte del
trattato, relativa all’età adulta (meyan aage), e lascia ritenere che il
manoscritto perduto presentasse, oltre ad una decorazione esordiale,
44. Il suggerimento mi viene, ancora una volta, da Sandro Bertelli. In effetti,
il motivo decorativo “perlinato”, con le occhiellature nel corpo delle iniziali, unito
a festoni curvilinei intrecciati con palmette e foglie dal vago sapore arcaico, che
impiegano i colori blu oltremare, rosa, bianco, vermiglio e verde chiaro sono caratteristici di codici di origine genovese ben descritti da Manuscrits enluminés d’origine italienne, 2, XIIIe siècle, par F. Avril et M.-T. Gousset, avec la collaboration
de C. Rabel, Paris, Bibliothèque nationale, 1984, pp. 23-27, e le schede successive
nelle pp. 27-53. Si ricordino qui, almeno, i mss. Paris, BNF, lat. 42 (ig. 2), lat. 4931
(ig. 3), lat. 16386 e fr. 726 (ig. 5), realizzati a Genova lungo tutta la seconda metà
del secolo XIII (cfr. Manuscrits enluminés cit., schede n° 25, 27, 28 e 38). Alcuni
dei moduli decorativi descritti ricorrono anche nei mss. Cambridge, Fitzwilliam
Museum, CFM 6 (igg. 4 e 6) e McClean 114, decorati da maestranze operanti tra
l’Abbazia di Morimondo e Genova nella seconda metà del Duecento: cfr. A. De
Floriani, Due manoscritti di Morimondo e gli esordi della miniatura gotica genovese, in «Studi di storia dell’arte», 9 (1998), pp. 55-91, che ricorda l’importante debito
della miniatura genovese nei confronti delle maestranze cistercensi dell’abbazia
lombarda all’indomani della diaspora dei monaci di Morimondo determinata dagli
assalti delle truppe pavesi contro il cenobio lombardo tra il 1237 e il 1266; sulla
complessa questione si rinvia a E. Occhipinti, Fortuna e crisi di un patrimonio
monastico: Morimondo e le sue grange fra XII e XIV secolo, in «Studi storici», 26
(1985), 2, pp. 315-336; C. Bozzo Dufour, Lineamenti della presenza cistercense a
Genova e territorio, in Ratio fecit diversum. San Bernardo e le arti, Roma, Istituto
della Enciclopedia Italiana, 1994, pp. 121-138; V. Polonio, I Cistercensi in Liguria
(secoli XII-XIV), in Monasteria nova. Storia e architettura dei Cistercensi in Liguria (sec. XII-XIV), a c. di C. Bozzo Dufour e A. Dagnino, Genova, Donati, 1998, pp.
3-76 (in part. pp. 59-61) e De Floriani, Due manoscritti cit., pp. 58-61.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
54
Roberto Tagliani
almeno altri due capilettera, in apertura di ciascuno degli altri capitoli perduti.
Non è inconsueto che un testimone dei Quatre âges presenti una
morfologia elegante o che rechi decorazioni: i mss. ADD2P conservano lettrines istoriate e miniature anche molto eleganti; era decorato
il codice Lv, mentre nulla sappiamo delle eventuali decorazioni di E.
Non sono, invece, miniati né decorati i codici B, C e il frammento N.
Sulla base della porzione di testo conservata dal bifolio, possiamo ipotizzare che, se completa, l’unità testuale dei Quatre âges
all’interno del perduto codice si sviluppasse su circa 18 cc.; è assai
probabile – anche in considerazione delle dimensioni del bifolio –
che il codice contenesse anche altre opere; non possiamo stimarne,
tuttavia, l’estensione, dato che il frammento non reca indicazioni
numeriche relative alla foliazione o alla fascicolazione.
5. Storia antica del frammento e circolazione del testo in Italia
Quando, dopo l’Unità d’Italia, l’Archivio di Stato di Milano fu
trasferito dall’ex collegio gesuitico di San Fedele al Palazzo del Senato di Milano, l’allora direttore generale degli archivi di Lombardia
Luigi Osio (1851-1873) intraprese un riordino dei fondi documentari, completato vari decenni dopo sotto la direzione di Cesare Cantù
(1875-1895). Nel corso di tali operazioni attuò una sistematica selezione “collezionistica” – in parte già sperimentata dal suo predecessore, Luca Peroni – che prevedeva la separazione di talune unità
archivistiche considerate preziose (per ragioni storiche, artistiche,
materiali o simboliche) dalle serie originarie, allo scopo di costituire
una selezione di documenti e manufatti preziosi o rari i quali, oltre
a poter essere meglio conservati e protetti, avrebbero potuto fornire
materiali utili agli studi, nonché presentarsi come una raccolta di
tesori di facile fruibilità per esposizioni, mostre e occasioni uficiali.45 Quella che Peroni aveva teorizzato come sezione separata com45. Ricostruiscono con precisione la genesi della collezione sia L. Fumi, L’Archivio di Stato in Milano al 31 dicembre 1908. Notizie e proposte, in «Archivio
Storico Lombardo», 34 (1908), pp. 198-242, sia Bazzi, I cimeli dell’Archivio cit.,
pp. 119-120. Sul ruolo di Osio e del suo predecessore, Peroni, si vedano altresì L.
Peroni, Vocabolario ossia indice alfabetico di tutte le materie, le specie e i generi
ed ogni altra cosa ed oggetto atti ad essere distribuiti in indice i quali concorrono
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
55
prendente «atti interessanti e curiosi per fatti, personaggi, lingua,
formato, carattere, materia su cui sono vergati etc.» divenne, sotto
Osio, la collezione Miniature e cimeli, altrimenti nota come Cimeli,46
che fu proseguita e arricchita dal Cantù. All’interno della collezione
trovarono spazio, essenzialmente, diplomi, concessiones e gratiae
dell’età viscontea e sforzesca riccamente miniate o decorate, nonché
frammenti e reperti di codici e documenti rinvenuti all’interno di
fondi e collezioni, caratterizzati da qualche valore storico o artistico.
Il nostro frammento, contenuto nel fasc. 28 della prima busta, è in
effetti un bifolio che conserva la pregevole lettrine istoriata della
quale si è già detto, che è verosimilmente il motivo per il quale esso
non è andato perduto come il resto del codice.
Nel margine inferiore di c. 2v si è conservata un’annotazione,
vergata da una mano sei-settecentesca, che ci informa che il nostro
testo «era in una littera di Baldesar Modegnani Refferendario de
Lodi del 22 ottobre 1566 posta nella ilza numero 186». La segnalata presenza del bifolio tra i documenti di Baldassarre Modignani
– esponente di rilievo di una delle famiglie lodigiane più inluenti
dell’età moderna, almeno a partire dalla ine del Quattrocento e per
quattro secoli a venire47 – offre un’informazione molto importante
per la ricostruzione della vita antica del manufatto.
a formare, impinguare e corredare i ‘titoli principali’ e ‘subalterni’ componenti le
diverse ‘classi’ dell’archivio, in L’Archivio di Stato di Milano. Manuale storicoarchivistico, a c. di A. R. Natale, Milano, Cisalpino-La Goliardica, 1976, pp. 95159 (ibid., pp. 3-66, è altresì ristampato il citato saggio di Fumi).
46. La nota digitalizzata nel Sistema Guida generale degli Archivi di Stato italiani (consultabile on line all’url http://www.guidageneralearchivistato.beniculturali.it/)
la descrive come una «raccolta antologica di diplomi ducali della cancelleria sforzesca
diretti a ordini religiosi, stralciati dall’Archivio diplomatico, Pergamene per fondi».
47. Sulla presenza dei Modignani a Lodi si veda M. Sangalli, Una città
nell’impero: Lodi e il suo ceto dirigente in età spagnola, in Lodi, Estado de Milan. L’amministrazione della città di Lodi 1494-1706, a c. di M. Schianchi, Bolis,
Azzano San Paolo (BG), 2010, pp. 103-168, in part. p. 103 ss. Un recentissimo
lavoro di Marco Dotti informa che la famiglia ha amministrato come un “feudo”
familiare l’Ospedale di Santo Stefano di Lodi, dal primo Seicento ino a tutto
l’Ottocento; segnale evidente di un forte radicamento nel tessuto magnatizio della città (cfr. M. Dotti, Godere di credito. Finanza e istituzioni nella costruzione
dell’élite lodigiana tra Seicento e Ottocento, in Ambizioni e reputazioni. élite nel
Lodigiano tra età moderna e contemporanea, a c. di P. Cafaro, Milano, Franco
Angeli, 2013, pp. 13-46).
Critica del testo, XVI / 2, 2013
56
Roberto Tagliani
Baldassarre Modignani ricoprì, in effetti, la magistratura iscale a Lodi per conto gli Spagnoli proprio nell’anno 1556;48 il dato
ci permette di ipotizzare che il codice originario dal quale fu tratto
il bifolio dovesse aver avuto una circolazione in ambito lombardo
occidentale prima del suo smembramento. Purtroppo non è stato
possibile rinvenire la lettera che, secondo la ricordata nota seriore,
lo accompagnava tra le carte d’archivio del giudice lodigiano, e che
forse avrebbe potuto fornire ulteriori indicazioni.
Il rapporto tra Milano (o, comunque, tra la Lombardia occidentale) e il trattato di Philippe de Novare impongono un approfondimento relativo alle forme di circolazione del testo nell’Italia
settentrionale: è noto infatti che l’opera è citata negli inventari della
biblioteca dei Visconti e degli Sforza di Pavia.49 In particolare, la
Consignatio librorum del 1426 ci descrive, pur se in modo succinto, un codice posseduto dalla biblioteca ducale con queste parole:
48. Il referendario, che già in età viscontea rappresentava il potere centrale presso i capoluoghi del Ducato, aveva conservato anche in età spagnola la responsabilità
dell’amministrazione iscale: metteva all’incanto dazi, pedaggi e gabelle e riscuoteva
le rendite ducali. Il governo spagnolo attribuì ai referendarii anche una più generale
funzione di controllo sulle magistrature cittadine, «spesso mal digerita dai ceti dirigenti
locali»; tuttavia, per quanto «investiti di compiti di rilievo da parte del potere centrale
[…] spesso si autolimitavano, soprattutto quando erano espressione dello stesso decurionato cittadino, come succede a Lodi»: cfr. Sangalli, Una città nell’impero cit., p.
116. Lo stesso Sangalli (cfr. ibid., p. 161 n. 77) ricorda come molti di questi funzionari,
di norma notai o giureconsulti, provenivano dalle principali famiglie dell’aristocrazia
cittadina. Esiste un elenco, seppur incompleto, conservato presso l’Archivio di Stato
di Milano (Ufici e Tribunali regi, p. a., b. 915), che evidenzia la frequente provenienza locale dei referendarii di Lodi. Nella seconda metà del XVI secolo ricoprono
il ruolo Defendente Galli (1556), Celso Modignani (1564), Baldassarre Modignani
(1566), Francesco Pioni (1570), Pomponio Ottolini (1572), Francesco Olivera (1574),
Celso Modignani (1576 e 1580), Manfredo Muzani (1582), Orazio Modignani (1590),
Cristoforo Marescalchi (1594, 1596 e 1598) e Cesare Mitta (1600). Dall’elenco emerge che la famiglia Modignani ha espresso ben tre magistrati in un cinquantennio, per
complessivi cinque mandati, segnalandosi come la più presente nel funzionariato locale all’affermarsi della dominazione spagnola sui territori del Ducato.
49. Per gli inventari del 1426 e del 1459 si vedano A. Thomas, Les manuscrits
français et provencaux des Ducs de Milan au Chateau de Pavie, in «Romania», 40
(1911), pp. 571-609 ed E. Pellegrin, La bibliothèque des Visconti et des Sforza ducs de
Milan au XVe siecle, Paris, Publications de l’I.R.H.T, 1955; per gli inventari del 1448 e
del 1490 si veda M. G. Albertini Ottolenghi, La biblioteca dei Visconti e degli Sforza:
gli inventari del 1488 e del 1490, in «Studi petrarcheschi», VIII (1991), pp. 1-238.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
57
«Filipe de Navayre in galico voluminis parvi copertus corio albo
impastato incipit: Filipe de navayre et initur: se lui plase amen»;50
gli inventari successivi, più semplicemente, identiicano il codice
come «Philipo de Navar de quatuor etatibus» (inventario del 1459)51
e «Item Filipo de Navar De quatuor etatibus in carta (sic)» (inventari
del 1488 e del 1490).52
La descrizione sommaria non sembra perfettamente attagliarsi
al nostro frammento: l’inventario del 1426 deinisce il manoscritto
parvus, cioè di piccole dimensioni; valutando le dimensioni di alcuni
codici presenti nell’elenco e riconosciuti con certezza nelle collezioni
della Bibliothèque Nationale di Parigi, si può notare che le misure del
nostro bifolio superano, seppure non di molto, quelle dei codici che
hanno ricevuto tale classiicazione; ma si dovrà ricordare che le indicazioni della Consignatio sono alquanto soggettive e comunque non
sistematiche, e non forniscono un dato dirimente.53
La nota ricordata cita esclusivamente l’opera di Philippe; ma è
più probabile che essa si riferisse al testo piú importante del codice,
o a quello che occupava la prima posizione nel manoscritto che non
all’unico contenuto: ciò che appare abbastanza evidente è che il bifolio milanese – per dimensioni, qualità della pergamena e apparato decorativo – non poteva appartenere ad un codice che contenesse il solo
trattato, che in quel formato avrebbe occupato soltanto un mannello
di poche carte: doveva trattarsi di una silloge ben più ampia, simile a
quella di alcuni codici della tradizione “francese” dei Quatres âges.
La Consignatio, inine, registra un explicit linguisticamente molto connotato, con quella forma plase che sembra portare in direzione
50. Al n. A405 dell’inventario, secondo le due edizioni Thomas, Les manuscrits cit., pp. 585-586 e Pellegrin, La bibliothèque cit., p. 165.
51. Cfr. n° O54 di Thomas, Les manuscrits cit., p. 600 n. 54, che corrisponde
a B798 di Pellegrin, La bibliothèque cit., p. 327.
52. Rispettivamente ai n° D657 ed E530 dell’elenco predisposto da Albertini
Ottolenghi, La biblioteca cit., pp. 178 e 200.
53. Nell’inventario sono deiniti parvi, tra gli altri, i mss. Paris, BNF, lat. 977
(mm 260 x 175), lat. 1142 (mm 225 x 185) e lat. 8110 (mm 232 x 170); è invece
deinito communis, tra gli altri, il ms. lat. 8043 (mm 275 x 205) e mediocris il ms.
lat. 6467 (mm 285 x 200) e il ms. fr. 1110 (mm 300 x 210). Il nostro bifolio misura
mm 273 x 193, e presenta dunque una misura intermedia tra il più grande dei parvi
(lat. 977) e la media dei mediocres (lat. 6467, fr. 1110), quasi coincidente con quella
dei communes (lat. 8043).
Critica del testo, XVI / 2, 2013
58
Roberto Tagliani
padano-orientale o addirittura veneta. Il tratto è molto marcato in senso italoromanzo, ben più di quanto non sia il nostro frammento. Anche
in questo caso, però, non possiamo fare pieno afidamento sulla bontà
ilologica dell’annotazione inventariale, né trasferire all’intero testo la
facies linguistica di una forma contenuta nella formula di chiusura.
Insomma, i dati in nostro possesso non consentono né una conferma certa né una smentita categorica dell’ascrizione al patrimonio
visconteo del codice da cui il bifolio è stato tratto. Neppure il fatto
che il reperto, appartenuto ad un prodotto librario di alta qualità, si
sia conservato in un ambiente collegato al mondo ducale milanese
(seppur nelle sue propaggini spagnole cinquecentesche), è di per sé
prova suficiente ad avvalorare l’agnizione del frammento quale relitto del perduto codice visconteo; l’evidenza delle prove – o, per
meglio dire, la loro labilità – ci costringe a rimanere, quindi, nel
campo delle ipotesi, lasciando aperto uno spiraglio ad un’idea affascinante – quella della provenienza viscontea – che però rimane
soltanto una tra le diverse possibilità in gioco.
In ogni caso, che esso sia o non sia il lacerto superstite di un
manoscritto appartenuto alla biblioteca ducale, il suo ritrovamento
aggiunge un’importante testimonianza a proposito della circolazione
italiana del trattato di Philippe, costituita da una tradizione che, sebbene in larga parte perduta e ricostruibile solo per tracce, poteva contare
su almeno due manoscritti a diverso titolo circolanti nella Lombardia
medievale,54 di cui conserviamo minime – ma rilevanti – vestigia.
6. Annotazioni sulla lingua
Non esistono, a tutt’oggi, studi esaustivi sulla lingua di Philippe
de Novare,55 che, nonostante i natali italiani, è a pieno titolo anno54. Ai codici perduti o sopravvissuti in forma frammentaria va aggiunta la
testimonianza di una circolazione indiretta in area toscana, segnalata da Paul Meyer, che mise in relazione l’apologo dei petits couteaux raccontato alla ine del
capitolo sul moien aage (§§ 162-164 dell’ed. Fréville) con una novella anonima,
conservata in una raccolta iorentina quattrocentesca, che ne sarebbe la traduzione
centonata: tratto evidente di una circolazione – o almeno di una conoscenza – anche
in quell’area dei Quatre âges: cfr. P. Meyer, Le conte des petits couteaux, in «Romania» 13 (1884), pp. 595-597 e Ferrari, Un frammento inedito cit., p. 13.
55. Lapidario, in tal senso, il giudizio di Melani: «Il francese impiegato da
Filippo da Novara è ancora da studiare» (Melani, Les quatre temps cit., I, p. 156).
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
59
verato tra gli autori più signiicativi della letteratura in lingua d’oïl
dell’Oriente latino. Quali tratti d’autore, quali del copista e quali elementi della tradizione manoscritta precedente si sono conservati nel
nostro frammento? Abbiamo già ricordato che, da un punto di vista
paleograico, la nostra copia è di mano italiana; ma è innegabile che
sull’opera possa esservi stato un inlusso – anche linguistico – del
modello autoriale. Sarà dunque tra questi due sistemi – quello del
francese d’Oltremare e quello del francese d’Italia – che indagheremo alcune peculiarità linguistiche del nostro testimone,56 allo scopo
di veriicare se e con quale grado di sistematicità il testo partecipi di
inlussi linguistici delle due aree.
Si avverta, preliminarmente, che la porzione di testo è in verità
esigua, o comunque non così ampia da permettere riscontri inequivoci, soprattutto se si intenda discriminare quali elementi possano ascriversi alla lingua dell’autore e quali all’usus scribendi del copista o del
suo modello. Peraltro, l’incertezza è aggravata dal fatto che il francese
Melani ha fornito, in anni recenti, uno studio sulla lingua dell’unico testimone dei
cosiddetti Mémoires, che, però, è una versione rielaborata e seriore, fatto che non
permette una precisa riconoscibilità dell’uso linguistico dell’autore, almeno per
quanto riguarda i testi in prosa; qualche spia di maggior “autorialità linguistica”
sarà senz’altro rappresentata dai lemmi in sede-rima nei testi in versi, che per posizione assicurano un’aderenza più probabile alle abitudini linguistiche dell’autore:
cfr. Id., Introduzione a Guerra di Federico II cit., pp. 53-63.
56. Gi studi sul francese d’Outremer hanno avuto uno sviluppo molto importante nel corso degli ultimi anni. Per questa breve indagine mi sono servito principalmente di P. Nobel, écrire dans le Royaume franc: la scripta de deux manuscrits
copiés à Acre au XIIIe siècle, in Variations linguistiques. Koinè, dialectes, français
régionaux, éd. par P. Nobel, Besançon, Presses univ. de Franche-Comté, 2003, pp.
33-52 e soprattutto L. Minervini, Le français dans l’Orient latin (XIIIe-XIVe siècles). éléments pour la caractérisation d’une scripta du Levant, in «Revue de linguistique romane», 74 (2010), pp. 119-198, che è la più aggiornata e puntuale disamina dei tratti caratterizzanti della scripta d’Oltremare, alla quale rinvio anche per
l’ulteriore bibliograia sull’argomento. Per la descrizione dei manoscritti francesi
copiati in Italia e per il franco-italiano possediamo oggi due importanti strumenti
informatici, la base dati Ma.Fra. (Manoscritti francesi e provenzali esemplati in
Italia, consultabile sulla piattaforma MirAbile. Archivio digitale della letteratura
medievale, url http://www.mirabileweb.it/p_testi_francesi.aspx) e il RIALFrI (Repertorio informatizzato dell’antica letteratura franco-italiana, in corso di allestimento presso l’Università di Padova, url http://www.rialfri.eu/rialfriWP/) che ho
qui principalmente impiegato per le indagini su alcune forme, e al quale rinvio
anche per la vasta bibliograia di riferimento.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
60
Roberto Tagliani
d’Outremer, per le ragioni storiche in cui si è sviluppato, partecipa di
molti tratti comuni a diverse varietà della madrepatria: non è dunque
agevole capire quali fenomeni dipendano dall’inlusso della scripta
d’Outremer e quali risentano di una qualche inluenza delle varietà
originarie della Francia, magari coincidenti anche con il sistema linguistico della mano italiana che ne ha vergato la copia; dal canto loro,
le varietà franco-italiane sono piuttosto mobili, e non sempre consentono una sicura collocazione geolinguistica degli usi scrittòri.
Il frammento registra i seguenti tratti che possono essere riconnessi ad un rapporto, più o meno stringente, con la scripta del Levante cristiano, sovente in interferenza con le forme franco-italiane:
- per quanto attiene alle graie, il testo presenta alcuni usi che,
an- che se non esclusivi, sono presenti in maniera rilevante nella
scripta d’Oltremare: Yglise § 55, con la conservazione graica di
y;57 verage § 20 (altrove sempre verai § 28 e passim, veraie § 23,
veraiment § 24) e Gesu § 20, con l’uso di -g- per iod;58 conseill
§ 37 / conseil § 62, con oscillazione -ll/-l in sede inale di parola
(in sede interna, si veda anche meillor §§ 19 e passim, forma
prevalente, ma meilor §§ 41 e passim).59
57. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 153-154; la forma mostra,
tuttavia, ampie attestazioni in Brunetto Latini (Brunetto Latini, Tresor, a c. di P. G.
Beltrami, P. Squillacioti, P. Torri e S. Vatteroni, Torino, Einaudi, 2007), Marco Polo
(Il manoscritto della Bibliothèque nationale de France Fr. 1116, I, Testo, a c. di M.
Eusebi, Roma-Padova, Antenore, 2010), Rustichello da Pisa (Il romanzo arturiano di
Rustichello da Pisa, a c. di F. Cigni, premessa di V. Bertolucci Pizzorusso, Pisa, Pacini,
1994) e Martin da Canal (Martin da Canal, Les estoires de Venise. Cronaca veneziana
in lingua francese dalle origini al 1275, a c. di A. Limentani, Firenze, Olschki, 1972).
58. Il fenomeno è segnalato come presente anche in testi franco-italiani (cfr.
G. Holtus, P. Wunderli, La langue des textes franco-italiens, in GRLMA, vol. III, t.
I/2, fasc. 10, Heidelberg, Winter, 2005, pp. 57-91, in part. p. 76); la forma verage /
veragie però ha attestazioni sporadiche, limitate a un’unica occorrenza nell’Entrée
d’Espagne (v. 5805, cfr. L’Entrée d’Espagne, chanson de geste franco-italienne
publiée d’après le manuscrit unique de Venise par A. Thomas, 2 voll., Paris, FirminDidot, 1913, rist. anast. con una premessa di M. Infurna, 2 voll., Firenze, Olschki,
2007) e nel tardo Aquilon de Bavière (cfr. Raffaele da Verona, Aquilon de Bavière,
roman franco-italien en prose [1379-1407], intr., éd. et comm. par P. Wunderli, 2
voll., Tübingen, Niemeyer, 1982).
59. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 152-153; è impossibile
dire se questo tratto sia meramente graico o nasconda qualche implicazione fono-
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
61
- Dal punto di vista fonologico, notiamo una massiccia attestazione
dell’esito o < ō tonico latino, largamente prevalente sulla forma
dittongata ou:60 registriamo ailor § 15 e passim; amor § 7 e passim; baudor § 7 e passim; criator § 55; greignor § 61; henor § 27
e passim (anche enor § 20); lor § 6 e passim; meillor § 19 e passim; odor § 64; plusor § 18 e passim; Signor § 4 e passim (forma
prevalente, ma anche segnor § 42 e, in atonìa segnorie § 17; in un
solo caso anche Seignor § 56); tot § 25 e passim (forma prevalente,
ma cfr. tout § 63; toutes § 4 e passim). Il tratto è tra i più marcati
del testo, ma è comune sia ai testi del Levante cristiano, sia alle
varietà del franco-italiano,61 mentre per alcune forme (quali amor,
logica; nel corpus RIALFrI la forma conseill ha attestazioni solo in testi francesi
di genesi toscana (Brunetto Latini e Rustichello, edd. cit.) e nell’opera storica di
Philippe da Novare (cfr. Filippo da Novara, Guerra di Federico II in Oriente cit.).
60. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 155-156, ricorda che il tratto
è comune a varie aree del dominio oitanico, di norma occidentali, ma è anche in
quelle orientali o di transizione oc-oïl, specie quella pittavina; cfr. anche HoltusWunderli, La langue des textes franco-italiens cit., p. 76.
61. Questo fenomeno, che è tra i più eloquenti del frammento, mostra più di
un’insidia dal punto di vista delle rilessioni geolinguistiche. Si prenda a paradigma
della varietà la forma signor: è una forma comune ad entrambi i domini, ma sia in
Outremer che in area franco-italiana è minoritaria: i due corpora registrano come prevalenti le forme seignor / segnor. Il problema si pone, in particolare, per l’agnizione
di una possibile genesi italoromanza: se si trattasse di un mero italianismo, infatti, si
potrebbe ascrivere ad un calco della forma signore, con sviluppo anafonetico di i < ē,
che notoriamente è un tratto toscano (rinvio, per brevità, alla voce di S. Calamai, Anafonesi, in Enciclopedia dell’italiano, dir. da R. Simone, 2 voll., Roma, Istituto della
Enciclopedia italiana, 2010, consultabile anche on line all’url http://www.treccani.it/
enciclopedia/anafonesi_(Enciclopedia_dell’Italiano)/). Pur tuttavia, la forma signor
ha una diffusione, minoritaria, anche in area franco-veneta: è attestata, tra l’altro,
nella versione V4 della Chanson de Roland (Il testo assonanzato franco-italiano della Chanson de Roland: cod. Marciano fr. IV [= 225], ed. interpretativa e glossario
a c. di C. Beretta, Pavia, Università di Pavia, 1995), in Martin da Canal (ed. cit.),
nel Bovo d’Antona udinese (P. Rajna, Frammenti di redazioni italiane del Buovo
d’Antona, I, Nuovi frammenti franco-italiani, in «Zeitschrift für romanische Philologie», 11 [1887], pp. 153-184) nella Geste Francor (La Geste Francor: édition of
the Chansons de Geste of. MS. Marc. Fr. XIII [=256], with glossary, intr. and notes
by L. Z. Morgan, Tempe [Arizona], Arizona Center for Medieval and Renaissance
Studies, 2009), nell’Entrée d’Espagne (ed. cit.), nella Passion di Venezia (La passion
de Venise, cod. Marc. franc. VI [= 226], a c. di V. Bertolini, Verona, Bi & GI Editori, 1986) e nei più tardi Niccolò da Casola (Niccolò da Casola, La Guerra d’Attila.
Poema franco-italiano pubblicato dall’unico manoscritto della R. Biblioteca Estense
Critica del testo, XVI / 2, 2013
62
Roberto Tagliani
plusor, honor) non andrà sottovalutato anche il peso modellizzante del latino. Qualunque sia l’origine, l’esito si oppone a quello
registrato dai codici della tradizione “francese” di Philippe, in particolare quelli della famiglia a, che presentano la normale oscillazione oitanica nord-orientale tra o / ou / eu, con eu prevalente.62 Il
frammento novarese, invece, condivide la preferenza per gli esiti
monottongati.63
- Marcata è la diffusione di -eau(s) / -iau(s) determinato dall’incontro di ĭ con la liquida: ceaus § 1 e passim (forma prevalente, ma
anche ciaus § 20 e passim); eaus § 47 e passim. Un esito simile
si ha da ĕ + liquida: chesteau § 5; miaus § 42, tratto tradizionalmente deinito piccardo ma in realtà comune anche nelle scriptae
occidentali, sud-orientali e pittavine, specie nelle forme nominali; è molto diffuso in testi dell’Oriente latino, che lo preferiscono
all’esito conservativo.64
- Risulta minoritaria la riduzione a -eu del trittongo -ieu, che è invece molto diffusa nei testi d’Oltremare: Deu § 65 (altrove sempre
Dieu § 18 e passim); leu § 5 e passim;65 entrambe le forme sono
di Modena, testo, intr., note e glossario di G. Stendardo, prefazione di G. Bertoni, 2
voll., Modena, Società Tipograica Modenese, 1941), Niccolò da Verona (Niccolò da
Verona, Opere. Pharsale, Continuazione dell’Entrée d’Espagne, Passion, a c. di F.
Di Ninni, Venezia, Marsilio, 1992) e Aquilon de Bavière di Raffaele da Verona (ed.
cit.). La forma non può quindi essere impiegata come tratto distintivo per ipotesi di
collocazione geolinguistica.
62. Cfr. M. Pister, L’area galloromanza, in Lo spazio letterario del Medioevo,
2, Il Medioevo volgare, II, La circolazione del testo, a c. di P. Boitani, M. Mancini e
A. Vàrvaro, Roma, Salerno Editrice, 2002, pp. 13-96, in part. pp. 57-59.
63. Cfr. Ferrari, Un frammento inedito cit., p. 20.
64. Cfr. Pister, L’area galloromanza cit. pp. 54 e 70; si veda anche F. Zinelli,
Sur les traces de l’atelier des chansonniers occitans I K: le manuscrit de Vérone,
Biblioteca Capitolare, DVIII et la tradition méditerranéenne du Livre dou Tresor, in
«Medioevo Romanzo», 31 (2007), 1, pp. 7-69, in part. p. 34. La forma chesteaus non
ha riscontro nel corpus RIALFrI, e miaus si trova prevalentemente in testi francoitaliani di genesi toscana (Brunetto e Rustichello, edd. cit.) o con forti relazioni con il
francese diffuso in quella regione (Marco Polo, ed. cit.). Il fenomeno è attestato anche
in atonia, generato da aggregazioni morfologiche successive allo sviluppo fonetico:
leaument § 33, especiaument § 6, maumené § 47. Sulla diffusione in Oltremare del
fenomeno cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 174-175.
65. Per quest’ultima forma, si noti che la forma prevalente Outremer è leuc
(cfr. ibid., p. 161 n. 66), pur in coesistenza con leu; la forma con l’occlusiva scoper-
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
63
ben documentate in area anglonormanna e piccarda, ove talora si
chiudono ulteriormente in -iu (Diu, liu) che compare sporadicamente nei testi del corpus ultramarino, mentre non è attestata dal
frammento.
- In un solo caso si registra l’oscuramento o > ou davanti alla nasale
(doune § 37). Per contro, si ha l’apertura di o > a66 in volantier § 57
e passim, che segnala l’inlusso regressivo della nasale, presente in
testi francesi copiati in Italia.67
- Rare le forme che non presentano e- prostetica davanti a -s- implicata, tratto che ha una certa frequenza nei testi d’Outremer:68
speciau § 21 (ma especiaument § 6); stable § 20 (ma estable § 2 e
passim, establir § 41); le forme con la prostesi sono prevalenti (es.
Escripture § 55 e passim; eschape § 23, Esperit § 18).
- Rilevante la presenza di prenre § 58, seppure in attestazione unica, che segnala il mancato sviluppo della dentale di appoggio nel
nesso nasale + liquida: il tratto, di genesi piccarda, è uno dei più
diffusi nel corpus ultramarino, ma ha una buona diffusione anche
nei testi franco-italiani (in particolare quelli di genesi toscana).69
ta sarà da riconnettere a forme analogiche oitaniche o all’interferenza occitanica o
comunque francoprovenzale: cfr. P. Gauthier, Les scriptae françaises, VI, Saintonge, Poitou, in LRL, II/2, p. 369.
66. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 160-161; il primo tratto
è presente sia in area piccarda che in area anglonormanna, mentre il secondo è comune all’area nord-orientale e a quella sud-occidentale del dominio d’oïl.
67. Specie in quelli che non si ascrivono al ramo veneto del franco-italiano:
cfr. Il romanzo arturiano di Rustichello da Pisa cit., p. 372. Il lemma è, curiosamente, poco presente nel corpus RIALFrI: volantier si trova solo nell’Entrée
d’Espagne (ed. cit., 8 occorrenze); altre varianti relativamente diffuse sono volanter (11 occorrenze), volentier (12 occorrenze), volenter (13 occorrenze), volontier
(21 occorrenze). La forma maggiormente attestata è volonter (403 occorrenze),
che però è massicciamente presente nel tardo Aquilon de Bavière di Raffaele da
Verona (ed. cit.).
68. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., p. 167; l’assenza di prostesi
in area oitanica è marcata in area vallona: cfr. Pister, L’area galloromanza cit., p.
32-33. Il fenomeno, però, potrebbe rinviare anche all’area italoromanza.
69. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., p. 169. La presenza del
fenomeno è sistematica in Aldobrandino da Siena (Le régime du corps de maître
Aldebrandin de Sienne. Texte français du XIIIe siècle, publié par L. Landouzy et R.
Pépin, Paris, Champion, 1911) e in Brunetto Latini (ed. cit., che registra anche la
forma penre, 3, 78, 1); è presente in modo rilevante nell’opera storica di Philippe da
Critica del testo, XVI / 2, 2013
64
Roberto Tagliani
- Si fa notare la presenza esclusiva della forma dissimilata armes §
20 e passim per ames, secondo una netta preferenza dell’Oltremare, che è pure condivisa dall’area meridionale galloromanza.70
- Più complessa è, invece, la collocazione di forme come iorneis –
che potrebbe recare traccia di un esito a > ei, oppure un residuo
di una forma analogica ei < ē entrambi elementi di una qualche
diffusione nell’Oltremare71 e fus ‘folli’ § 39 (altrove sempre fos
§ 27 e passim) che, se non è un banale errore di copia, potrebbe
celare un oscuramento di au secondario > u (normalmente o) non
attestato altrove.
- Sotto il proilo morfosintattico, registriamo un’assoluta incoerenza
nel sistema della declinazione bicasuale, con soluzioni talora ibride (es. sostantivi declinati al cas régime accompagnati da articoli
al cas sujet, e viceversa; le occorrenze del fenomeno sono numerosissime: si ricordi qui, a mero titolo esempliicativo: li sage rei
qui manda § 28). Il tratto è molto diffuso nei testi d’Outremer e,
in genere, nel francese esemplato fuori dall’île de France, ivi compreso quello copiato in Italia.72
- Signiicativa è la presenza pressoché esclusiva di dou (§ 7 e passim)
per la preposizione articolata de + le: non si registrano le forme du,
do, deu, che invece sono attestate, seppur in forma minoritaria, nel
Levante latino e nei testi franco-italiani; unica eccezione: del § 20,
che rinvia all’area italoromanza.73
Novare (ed. cit.) ed è, sporadicamente, presente anche in testi franco-italiani settentrionali, con un buon numero di attestazioni nell’Entrée d’Espagne, nelle Estoires
di Martin da Canal e nelle più tarde Guerra d’Attila di Niccolò da Casola e Continuazione dell’Entrée d’Espagne di Niccolò da Verona (edd. cit.), rimanendo invece
alquanto marginale negli altri contesti franco-veneti.
70. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 170-171.
71. Fenomeni di ipercorrettismo sono segnalati da Nobel, écrire dans le Royaume
franc cit., p. 46, che propende per una «graphie inverse» dell’esito, normale in Oltremare, ē > ei > e; vedi anche Minervini, Le français dans l’Orient cit., p. 167. La forma, così
come la seguente fus, non è registrata nelle occorrenze del corpus RIALFrI.
72. Cfr. Holtus-Wunderli, La langue des textes franco-italiens cit., p. 77; per
la presenza del tratto nella tradizione manoscritta delle opere di Philippe de Novare,
cfr. Melani, Introduzione a Guerra di Federico II cit., p. 55 e Ferrari, Un frammento
inedito cit., p. 21.
73. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 175-176; il RIALFrI
mostra una nettissima predilezione dei testi franco-italiani per dou (4921 occorren-
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
65
- Molto interessante è la labilità di -s in posizione inale (di parola, d’articolo o di preposizione) che determina talora un’apparente
mancata concordanza a livello morfosintattico: ele ne soient § 5;
de femes que § 9; il tratto è comune a molti testi del corpus ultramarino ma è ampiamente diffusa anche nei testi franco-italiani.74
- Interessante è anche l’assenza della preposizione articolata aus / aux,
innovazione duecentesca alla quale il frammento preferisce la forma
etimologica e più arcaica as (§ 15 e passim), talvolta estendendo
l’uso di a anche al plurale (§ 1 e passim), esattamente come avviene
nei testi d’Oltremare.75 A questa preferenza sarà forse da ascrivere
anche la presenza, minoritaria, della forma analitica as pres (§ 28 e
passim) in luogo di aprés (§ 2 e passim, forma prevalente), che pure
ha una minima (e piuttosto tarda) presenza in testi franco-italiani.76
- In un solo caso troviamo la riduzione a -ir della desinenza -eir / -oir
dell’ininito di cheeir / cheoir e dei suoi composti (recheir § 22), che
ha una certa diffusione nel corpus dei testi dell’Oriente latino.77
Mancano, per contro, alcuni tratti caratterizzanti della scripta
d’Oltremare:
- per le graie, manca l’uso di -z- per -s- intervocalica, che è un tratto
tipico dei testi del corpus ma anche dei testi franco-italiani (e, in
particolare, dei franco-veneti), così come l’impiego di -h- in luogo
di -s- (pure non esclusivo, ma comunque ben attestato).78
ze), seguito da del (2390 occorrenze); largamente minoritario du (632 occorrenze).
Il nostro frammento pare essere ancor più selettivo, con 25 attestazioni di dou contro un solo del e nessun du.
74. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., p. 168; Holtus-Wunderli, La
langue des textes franco-italiens cit., p. 77.
75. Sull’origine di aus / aux cfr. L. Foulet, Petit syntaxe de l’ancien français
(1919), Paris, Champion, 19983, pp. 46-47; per la conservazione in as in Outremer
cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., p. 176.
76. Il RIALFrI registra cinque occorrenze di as pres per apres in Niccolò da
Verona, una sola occorrenza in Niccolò da Casola (edd. cit.) e nessuna occorrenza
per la forma en pres.
77. Cfr. Minervini, Le français dans l’Orient cit., pp. 177-178: il tratto è
comune anche alle scriptae continentali nord-orientali, cfr. J. Wüest, Les scriptae
françaises, II, Picardie, Hainault, Artois, Flandres, in LRL, II/2, p. 311.
78. Sulle due graie caratterizzanti l’Outremer, cfr. Minervini, Le français
dans l’Orient cit., pp. 148-150. Quanto alle graie franco-italiane spicca, inoltre,
l’assenza delle graie z / ç in luogo di ch per le palatali /tʃ/ e /dʒ/, che è anche più
Critica del testo, XVI / 2, 2013
66
Roberto Tagliani
- L’esito di ē > e anziché ei / oi, caratteristico della scripta levantina; le
forme sono regolarmente oscillanti (foiz § 8 e passim, forma prevalente, ma fei § 20; pooir § 25 e passim, forma prevalente, ma poeir §
61; rei § 25 e passim, forma prevalente, ma roi § 26 e passim; saveir §
43 e passim, forma prevalente, ma savoir § 5 e passim) con una netta
prevalenza per ei (specie negli esiti delle desinenze verbali di III p.s.),
come avviene anche per i testi galloromanzi esemplati in Italia:79 deit
§ 20 e passim; fereit § 42; poreit § 39; seit § 28 e passim; veit § 18.
- Non è attestato lo sviluppo, di ascendenza piccarda, di ē > ei / oi >
i oppure o davanti a sibilante, che pure ha una sporadica diffusione
in Oltremare:80 sempre oroisons § 24 e passim, mai orisons; voisin
§ 27, mai vosin).
- Mancano, altresì, esempi per l’esito -aigne / -eigne in luogo di
-agne; per la riduzione del dittongo ui > u; per l’esito -er da -arius
(sempre -ier: premier § 26 e passim, fumier § 42); per la chiusura
in a del dittongo secondario au < al (che è sempre conservato, in
posizione tonica o atona).
La situazione inora descritta presenta, dunque, una sistematicità alquanto vaga e di non facile ascrizione ai due domini osservati: la
distribuzione dei fenomeni non è univoca, e non permette di stabilire
con certezza se essi debbano essere ricondotti alla lingua dell’autore, a quella di un antigrafo esemplato in Outremer o alle diverse
interferenze delle scriptae francesi e franco-italiane. Mancano da un
lato numerosi tratti caratterizzanti la scripta del Levante cristiano e
dall’altro i tratti più marcatamente caratterizzanti la scripta francolombarda e franco-veneta.
Vi sono, tuttavia, alcuni tratti, rari e di per sé non dirimenti, ma
ugualmente interessanti, che forse possono suggerirci qualche ultediffusa di quella, identica, in luogo della sibilante /s/: cfr. Holtus-Wunderli, La langue des textes franco-italiens cit., pp. 73-75.
79. Cfr. Cigni, Il romanzo arturiano cit., p. 372; G. Hasenohr, Copistes italiens
du Lancelot: le manuscrit fr. 354, dans Lancelot-Lanzelet hier et aujourd’hui, recueil
d’articles assemblés par D. Buschinger et M. Zink pour fêter les 90 ans de Alexandre
Micha, Greifswald, Reineke, 1995, pp. 219-226, in part. p. 221; lo ricorda anche Ferrari, Un frammento inedito cit., p. 20, a proposito del frammento novarese. Il RIALFrI
mostra una compresenza degli esiti ei / oi < Ē, con una netta prevalenza per oi.
80. Cfr. J. Wüest, Les scriptae françaises cit., p. 308; Minervini, Le français
dans l’Orient cit., p. 158.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
67
riore spunto. Il primo di essi è rappresentato dalla, pur rara, presenza
di apparenti errori di concordanza del nome femminile singolare con
l’articolo o l’aggettivo che li accompagna (un grant vaine gloire § 10;
nul onte § 11) che si accompagna alla rara attestazione di forme prive
dell’atona inale (encor § 42): se non si tratta di semplici bevues del
copista, si potrebbero attribuirne la genesi alla presenza, nell’antigrafo
o nel suo modello, del sistema abbreviativo cipriota che utilizza un
tratto orizzontale sull’ultimo grafema per indicare -e inale di parola;81
se ciò fosse, si potrebbe postulare che tale uso non fosse familiare al
copista, e abbia quindi generato quegli errori: indizio, certo alquanto
debole, di una possibile copia realizzata da una mano italiana su un
modello recante quest’uso tipicamente d’Outremer.
Si aggiunga, poi, la presenza del problematico assemples § 62
che, se non è una banale forma metatetica, potrebbe avere alla base
la forma iorentina (e poi toscana) assemplo / assempro82 che segnalerebbe un rapporto non banale con quell’area. Rilevante, inoltre, la
forma erronea remandrasse § 8 per remaindra se, la cui genesi potrebbe derivare dal semplice corto circuito tra la scriptio francese e
i corrispondenti italoromanzi del congiuntivo imperfetto, ma anche
nascondere traccia del raddoppiamento fonosintattico (remandra
sse), di chiara origine toscana.83
Inine, forme quali per dote § 7, per conseill § 37, sugection,
misericordios § 18 (sempre misericors nel resto della tradizione), vivont (per vivent) § 64,84 per quanto più o meno ammissibili anche in
area oitanica, mostrano una chiara familiarità con le corrispondenti
forme italoromanze.85
81. Cfr. Melani, Introduzione a Guerra di Federico II, cit., p. 56; Minervini,
Le français dans l’Orient cit., p. 154.
82. Cfr. A. Castellani, Il più antico statuto dell’arte degli Oliandoli di Firenze
(1963-1964), in Id., Saggi di linguistica e ilologia italiana e romanza (1946-1976), 3
voll., Roma, Salerno Editrice, 1980, II, pp. 141-252, in part. pp. 224 e 244; Id., Grammatica storica della lingua italiana, I, Introduzione, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 26.
83. Cfr. ibid., pp. 408-411.
84. L’alternanza -ent / -ont alla III p.p. è un tratto tipico della morfosintassi verbale del franco italiano, cfr. Holtus-Wunderli, La langue des textes francoitaliens cit., p. 80.
85. Nessuna di queste ultime è presente nel corpus RIALFrI. Per quanto riguarda gli altri tratti italoromanzi, non risultano dirimenti dal punto di vista della genesi
geolinguistica la pur ampia documentazione di forme con l’esito gu- < w- germanico
Critica del testo, XVI / 2, 2013
68
Roberto Tagliani
L’indagine linguistica in qui condotta mostra, in estrema sintesi, una facies stratiicata del frammento, in cui coesistono fenomeni
della scripta del Levante latino (la cui ascrivibilità all’autore o ad un
modello è pressoché impossibile da decidere) e tratti franco-italiani
(talvolta, più genericamente, d’inlusso italo romanzo) che, in casi
diffusi ancorché non decisivi, suggeriscono un rapporto privilegiato
con l’area nord-occidentale (non veneta) e con la Toscana.
Poiché la datazione della mano di copia e la decorazione portano verso la Liguria dell’ultimo quarto del Duecento, e in considerazione dei forti rapporti tra l’area genovese e pisana proprio a
ridosso della ine del secolo,86 non sarà un azzardo supporre che il
(guarde 5 e passim; guarder § 18 e passim, guaagnier § 42 e passim, guarnir § 48)
– attestate, seppur in forma meno sistematica, anche nel frammento novarese, cfr.
Ferrari, Un frammento inedito cit., p. 20 – che sono largamente prevalenti anche in
testi franco-veneti, nonostante il normale sviluppo del veneziano e dei volgari veneti
orientali sia in v-: cfr. Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, a c. di A.
Stussi, Pisa, Nistri-Lischi, 1965, p. LX; le sole forme che conservano l’esito veneto
nel corpus RIALFrI sono presenti nel Bovo d’Antona udinese, ed. cit.
86. Il quadro di circolazione di testi e di maestranze tra le due città marinare è stato, com’è noto, oggetto di un lungo dibattito che ha interessato ilologi, storici dell’arte
e della miniatura. Riassumendo per somma brevità, un cospicuo gruppo di manoscritti,
con ogni probabilità tra la ine del XIII e il primo quarto del XIV secolo, furono copiati
a Genova da prigionieri pisani incarcerati dopo la battaglia della Meloria (1284), impiegando modelli testuali circolanti tra Liguria e Toscana settentrionale. La genesi di questa silloge di codici era stata dapprima ascritta all’area lombarda (P. Toesca, La pittura
e la miniatura in Lombardia. Dai più antichi monumenti alla metà del Quattrocento,
Milano, Hoepli, 1912, nuova ed. Torino, Einaudi, 1987), poi a quella angioina di Napoli
(B. Degenhart, A. Schmitt, Frühe angiovinische Buchkunst in Neapel. Die Illustrierung französischer Unterhaltungsprosa in neapolitanischen Scriptorien zwischen 1290
und 1320, in Festschrift Wolfgang Braunfels, hrsg. von F. Piel, J. Traeger, Tübingen,
Wasmuth, 1977, pp. 71-92; A. Perriccioli Saggese, I romanzi cavallereschi miniati a
Napoli, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1979) per poi essere assegnata a Genova
(Manuscrits enluminés cit., pp. 23-27; M.-T. Gousset, Étude de la décoration iligranée
et reconstitution des ateliers: le cas de Gênes à la in du XIIIe siècle, in «Arte medievale» 2 [1988], pp. 121-152), riconoscendo nei prigionieri pisani i probabili esecutori
delle copie e della decorazione illustrativa (R. Benedetti, Qua fa’ un santo e un cavaliere… aspetti codicologici e note per il miniatore, in La Grant Queste del Saint Graal.
Versione inedita della ine del XIII sec. del ms. Udine, Biblioteca arcivescovile, 177, a
c. di A. Rosellini, Udine, Vattori, 1990, pp. 33-47; F. Cigni, Manoscritti di prose cortesi
compilati in Italia [secc. XIII-XIV]. Stato della questione e prospettive di ricerca, in La
ilologia romanza e i codici, Atti del convegno [Messina, 19-22 dicembre 1991], a c. di
S. Guida e F. Latella, 2 voll., Sicania, Messina, 1993, I, pp. 419-441). Per un inquadra-
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
69
modello del nostro testo sia arrivato via mare dall’Oriente latino
(a Genova o a Pisa), verosimilmente in una copia realizzata Outremer connotata da vari tratti della scripta di quell’area, ed abbia
preso a circolare tra Liguria, Toscana settentrionale e Lombardia
occidentale;87 in uno di questi ambiti avrà avuto origine il codice di cui il nostro frammento è il solo superstite, per poi essere
smembrato e trovare la sua collocazione deinitiva tra le carte del
funzionariato ducale milanese.
7. Il testo
Non rimane, quindi, che dare l’edizione del frammento:88
mento conclusivo del problema, che discute con intelligenza anche le obiezioni all’ipotesi identiicativa, si vedano V. Bertolucci Pizzorusso, Testi e immagini in codici attribuibili all’area pisano-genovese alla ine del Duecento, in Pisa e il Mediterraneo, a c.
di M. Tangheroni, Milano, Skira, 2003, pp. 197-201 e F. Cigni, Manuscrits en français,
italien, et latin entre la Toscane et la Ligurie à la in du XIIIe siècle: implications codicologiques, linguistiques, et évolution des genres narratifs, in Medieval Multilingualism.
The Francophone World and its Neighbours , Proceedings of the 2006 Conference at
the University of Wisconsin-Madison, ed. by C. Kleinhenz and K. Busby, Turnhout,
Brepols, 2011, pp. 187-217.
87. Sulle prove indirette della circolazione toscana del trattato, cfr. supra, n. 54.
88. Indico, di seguito, i criteri di trascrizione adottati, d’impianto conservativo
anche in considerazione della rilevanza documentaria del supporto: ho separato le
parole, inserito le maiuscole e la punteggiatura secondo l’uso moderno; ho distinto
graicamente u e v; ho mantenuto l’oscillazione graica tra i (prevalente) e y (più
raro; mai, invece, j) per il suono vocalico, propria del ms. e linguisticamente rilevante (cfr. supra, p. 60); ho conservato, altresì, l’uso graico di i per rappresentare
la palatale (di norma editorialmente resa con j, con valore /dʒ/), in quanto tratto
caratteristico del ms.; ho inserito l’accento tonico su -e ed -es inali toniche; ho
sciolto in corsivo delle abbreviazioni, compreso et, nel testo sempre rappresentato
dalla nota tironiana; ho mantenuto tutte le incoerenze nel sistema della declinazione bicasuale (cfr. supra, p. 64) e quelle relative all’uso impreciso e talora sovrabbondante di -s inale di parola, entrambi peculiari della scripta del copista; ho
restituito tra parentesi quadre [ ] le rare cadute di lettere, laddove rappresentassero
chiaramente dei banali lapsus calami del copista; con lo stesso sistema ho inserito
le rare correzioni e/o integrazioni per congettura, dando in nota, ad locum, lo stato
del manoscritto e la giustiicazione editoriale; per ragioni di completezza sintattica
e semantica ho integrato, entro parentesi quadre, le brevi sezioni testuali mancanti
all’inizio e alla ine del frammento, traendole dall’ed. Fréville, che nei due luoghi
corrisponde all’ed. Melani. Inine, per facilitare i riferimenti interni, ho numerato le
pericopi del frammento seguendo una scansione per punto fermo, andando a capo
Critica del testo, XVI / 2, 2013
70
Roberto Tagliani
[1ra] [1] [Et Dieus par sa misericor]de doint sa grace a ceaus89 qui les
doivent governer. [2] Vos avez oï parler des ioenes homes; aprés oirés de
iovens fames. [3] En grant peril sont les ioenes fames en iovent, car eles
n’ont mie si estable sens ne si bon proposement com ont les homes. [4]
Ia soit ce c’assez en y ait des bones par la grace de Nostre Signor, toutes
voies ont eles grant mestier de la aïe de ceaus en cui guarde ele sont, soit
pere ou parent, ou mari ou autre. [5] Car se l’on les guarde bien que ele ne
soient requieses ou trovee en fol leu et en aise de mesfaire, legiere chose
est a savoir que por bone poent passer; car chesteau qui n’est assaili ne traï
ne afamé, ne sera ia pris par raison. [6] Et une autre grant aïe lor poent faire
ceaus qui les ont en pooir, et plus especiaument les mariz: c’est que l’on
lor doint honorablement et convenablement lor vivre et lor estovoir selonc
lor pooir, si qu’elles n’aient ochaison de malfere por sofraite et que les
mari les honorent et aiment par raison, por ce qu’eles ne truisent por despit
ochaision de mal fere. [7] Ne ne trop grant semblant d’amor ne pooi[r]90 non
doivent eles avoir dou mari ne d’autre qui les ait en guarde per dote que
orgueil ne s’i mette, et que baudor ne lor face mal faire. [8] C[ar]91 aise et
mesaise font larron aucune foiz, et quel que soit le contenement de ceaus en
cui pooir eles sont, eles se doivent mout guarder de faire follie de lor cors;
car ia por mesfait que l’on lor face ne remandra, se92 elles en sont criees ou
ataintes, qu’eles ne soient onies a toz iorz. [9] Et tiel est la maniere et l’usages de femes que font follie et vilanie de lor cors. [10] Et autrement est des
homes: car coment que il soit dou pechié, il ont un grant vaine gloire, quant
l’om dit ou set que il ont bele amies ou ioenes ou riches. [11] Le lignage des
homes n’i a nul onte et les fames [1rb] honissent et avillisent eles meïsmes
et toz lor lignage ensemble, quant eles sont blasmees adroit ou reprise de
tel fait. [12] Ausi se doivent iones fames guarder de fol semblant et de fole
contenance; car de fol semblant vient enprés legierement l’oevre. [13] Et se
li fait n’i est, si le dit hom; par le dit est creü, et vaut pres autant come le
fait. [14] Mout sont femes avilenies quant elles sont blasmees, et plus quant
eles mesfont. [15] Grant honte doivent avoir, quant hom le mostre portot
a doi; et quant eles vienent en asenblee de genz, as festes ou as noces ou
ailor, et les gens rient ou conseillent adés doivent cuidier que ce soit por
in corrispondenza del cambio di capitolo. Ho omesso ogni segnalazione di ine riga
del manoscritto, ma ho indicato entro parentesi quadre ed in grassetto i passaggi di
ciascuna colonna del bifolio.
89. ms. a ceaus 7 a ceaus; la reduplicatio è un chiaro lapsus di copia, e va
emendato per evidenti ragioni di senso.
90. Foro di ilza, la lettera è restituita per congettura.
91. Foro di ilza e dileguo dell’inchiostro: lettura incerta.
92. ms. remandrasse; cfr. supra, p. 67.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
71
eles; et si est il souvent. [16] Mal s’escusent quant eles dient: «Ie ai ce fait,
por ce que l’en me ist tel chose», car par les autrui mesfaiz ne doit l’en
mesfaire; car chascun est iugé par [son]93 mesfaiz et non par l’autrui. [17]
Les mariz et les autres amis, qui ont94 iones fames en lor pooir et en lor
segnorie, ne les doivent mie sener de lor vivre ne de lor autres estevoirs a
fauz ribaus bailiz ne a autres foles genz qui lor facent vilein danger, ne les
tiegnent en vileine sugection; car maintes fois en est mal avenu et honte
en puet avenir. [18] Un grant confort y a esfait des femes que Dieu, qui est
onipotent, misericordios et pitos,95 et veit et set qui ne lor a mie doné si forz
estable proposement et senz qu’eles se sachent en iovent ne en autre tens
si guarder et governer come les plus des homes, si lor a esté si large de la
grace dou Saint Esperit que maintes en i a guardees et sauvees en virginité,
et l’autres96 en contanence et en chastité, et plusor en loial mariage; si que
maintes en sont sainteiees et seront, se Dieu plest, autres plusor; et assez
en y a sauvee et avra, qui sont et seront en ripos pardurables. [19] Or laise
[1va] li contes a parler de iovent, et se prent au meian97 aage, qui est le plus
atemperé98 et le meillor de toz le quatre tens d’aage, a ceaus et a celes que
par la grace Nostre Signor en sevent et poent ovrer rasnablement selonc
Dieu et selonc droit de nature.99
[20] En meyan aage deit l’on estre conoisans100 et amesuré, resnable et
sotil, afermé et stable en la verage creance Nostre Signor Gesu Crist, sages et
prueant a l’enor et au proit del cors et des armes de lui et de siens, et de toz
ciaus que il a a governer et a servir et a conoseillier en fei, se il creire le vuelent. [21] Et riche doit l’en estre qui puet, ainz que l’en vige en veillece; et qui
les choses desus nomees non conquiert ou prochace ou a en aucune mainiere
ou tens devant dit, a paine les avra iamés, se il ne les a de speciau grace de
Nostre Signor. [22] Premierement doit l’en conoistre soi meïsmes et se doit
93. ms. autrui; chiaramente, si tratta di un lapsus per anticipazione; la forma va
corretta per evidenti ragioni di senso: correggo secondo l’uso prevalente del ms.
94. ms. qui ont / i ont; la reduplicatio è un chiaro lapsus di copia, dovuto all’a
capo (che probabilmente nel modello doveva essere qu / i ont), e va emendato per
evidenti ragioni di senso.
95. ms. 7 7 pitos: si espunge una delle due note tironiane, evidentemente generate da un lapsus del copista.
96. ms. 7 sautres, con la prima s alta che reca un tratto più marcato, e che
dunque pare essere malamente ricorretta in l.
97. La lettura della m iniziale è resa dificile da una macchia scura.
98. ms. ap atempe/re, con espunzione di ap mediante sottolineatura puntinata.
99. Il testo è parzialmente coperto dalla miniatura del capolettera seguente.
100. ms. conoisansce, con ce espunto da sottolineatura puntinata e s inale
aggiunto nell’interlinea superiore.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
72
Roberto Tagliani
l’en amesurer et retraire des follies que l’en a faites en iovent, et doit l’en
raisnablement et volentier amender ses mesfaiz a Dieu et au siegle, et porsivre
et parseverer en amendement, sanz recheir au mesfait. [23] Et aferme estable
en la veraie creance est l’om, quant l’en fait les euvres qui aierent a ciaus qui
bien creient. [24] Et l’on les doit fere qui n’est fol ou desesperé; car chascun et
chascune que tant a vesqu qu’il est eschapé de l’escalufrement de iovent, se
doit conoistre et repantir veraiement, et estre dreit confés et faire peneance,
oroisons et aumones, et mander son tresor avant en l’isle; si le trovera a son
besoing, quant il depor[t]ira101 dou regne terrien. [25] L’om doit qu’il avint iadis en un roiaume que l’en i faisoit chascun an un rei, et, a chief de l’an estoit
desposé102 [1vb] et perdoit tot, et le mandoit hom astivement en une isle salvage en eisil, ou il n’avoit rien nee qui bone fust; la moroit a honte. [26] Une
foiz irent un roi qui fu sages; si enquist et demanda et sor tot le ver de l’an et
des isle; si porvi sagement, et manda dedenz l’an son tresor en l’isle et tant de
bones choses que il i fu a grant henor et a grant aise, quant il i fu mandé; et la
vesqui perdurablement a trop grant henor plus que il n’avoit en an premier
regne. [27] L’en doit savoir103 que li premier regne si est ce siegle, et l’isle
sauvage si est l’autre et les fos rei qui folement se partent dou siegle au chief
de l’an, et n’ont rien mandé de lor tresor avant en l’isle, sont ceaus qui ont
folement vesqui en pechié san oroisons, sanz amendement et sanz aumones;
et quant il muerent, il ne lor semble que lor vie ia si longe n’avra esté, seit de
la longer d’un an, ne d’un iorneis. [28] Li sage rei qui manda son tresor avant
en l’isle, et vesqui pardurablement a henor, si est chascun et chascune qui se
porveit sagement en ieünes, en oroison,104 en aumoines doner a povres, as pres
ce qui il est verai repentanz et confés. [29] Ces trei choses sont le tresor que l’en
deit mander avant, car tot ce vient devant Dieu en paradis; quant l’[on]105 i
parveint, si i vit l’en pardurablement en ioie pardurable por le tresor qui est
venus avant. [30] Et tot ce qui est demoré en terre est aussi perdu a eus106 des
armes de ceaus qui ne mandent lor tresor avant, com le fos reis perdoient tot
ce que il laissoient, quant il estoient desposé et mandé en eis[i]l.107 [31] Porvenant et sages est qui tot avant se porveit en tel maniere en ce siegle qui est
101. ms. de porcira.
102. ms. des // pose.
103. ms. t sauoir, con t espunto da sottolineatura puntinata.
104. Foro di ilza, che non intacca il campo di scrittura ma si afianca all’on
inale di parola.
105. Lacerazione della pergamena: la lettura è restituita per congettura.
106. Sfugge il valore sintattico di questa ridondanza pronominale, che forse
nasconde un errore.
107. ms. eisl, facilmente correggibile con la forma messa a testo, presente nel
medesimo brano.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
73
noiant et cort, et mauvais travaillant, [c]usencenous108 et angoissos de toutes
manieres de travaus et d’aingoses. [32] Et as pres la corte vie, convient por
estevoir que l’on en parte [2ra] et que l’on muire, que par raison l’on doit
avoir vie pardurable en l’autre siegle, si con il est dit devant; et a ce pooir
parfaire, doit l’on [e]n109 grant devocion, et sovent requerre la grace Damedieu. [33] Aprés ce, se deit l’on porvoit et travaillier et parchacier que l’on ait
des biens temporaus heritages et richeces qui le puet aveir leaument. [34] Car
de ce puet l’en faire aumones et bienfait, et mander sor tresor si com il est dit
devant. [35] Et en puet l’en vivre a henor en ce siegle et norrir et heriter ses
enfanz et aidier, et bien faire a son lignage et a ceus qui mestier en ont et a ses
autres amis et serviors; et toz li bien que l’en a d’escheoite et de conquest que
l’on a fait en iovent ou en meian aage, les doit l’en110 acreistre et proiter et
adeier por mielz valeir. [36] Et se doit hom mout guarder que l’en ne les perde;
car honte et mesaise en puet aveir en viellece. [37] Haute chose est grace de
sens et de soutil conoissance; Diex ne doune mie sens a un home tant solement
por lui; ainz veaut bien que la grace que il [li a] donee111 et s’estende tot avant
a lui et as siens, et aprés a ses voisins et a toz ceals qui a lui vendront per
conseill; car se Diex vousist, il peust bien tel grace doner as autres qu’il n’eüssent mestier de celui. [38] Et en ce que les autres vienent a lui112 par lor besong,
il est honoré de la grace meïsmes que Diex li a donee. [39] Sages doit toz premier metre correi en sei, que il soit de bone vie et de belle contenance, por
doner bon example as autres; et doit estre cortois et humbles et as povres et as
riches, et doit sufrir les fus, et contenir sei sagement o les sag[e]s;113 et ne doit
mie faire grant semblant de sages entre les fos, et por rien ne doit aster fos de
querelle, de parole ne de fait; car tost lui poreit mesavenir en dit et en euvre, et
sovent est avenu. [40] Granz sens est et bon de metre bon correi en l’ordenement de son ostel et de sa terre, qui l’a. [2rb] [41] Et ceaus qui ont tant a faire
de signor ou d’autre besoigne qu’il rien poent aisiement entendre en lor fait il
doivent establir, en leu d’aus, les meilor sergent qu’il puent avoir; et toutes
voies i devent entendre aucune foiz. [42] Car l’en dit que li oil dou segnor vaut
fumier a la terre, et bien est veir; et plus y a encor, car, par la veüe dou signor
puet l’en comander et faire fumier a la terre, et miaus guaagnier et coillir les
fruiz que l’en ne fereit se il ne la veïst. [43] Sage qui a esté enfant et ione, doit
108. ms. ousencenous; la correzione è necessaria per ragioni di senso.
109. ms. o(n) on, per trascinamento della forma graica; si correggere secondo
l’usus scribendi.
110. ms. d len, con d espunto da sottolineatura puntinata.
111. ms. badonee; chiaro il fraintendimento paleograico del copista (b per li),
da correggere per evidenti ragioni di senso.
112. ms. aloui, con o espunto da sottolineatura puntinata.
113. ms. sagus, probabile lapsus del copista.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
74
Roberto Tagliani
bien saveir norir et ensegnier ses enfanz ou autre se il sont en sa guarde et en
sa mastrie; et deit bien saveir conseillier et garnir ses iones amis, et chastier
trop et reprendre les, et mostrer lor les granz perilz de iovent. [44] Et raison est
que ceaus qui sevent le bien ensegnent, et cil qui les croient font que sages. [45]
Les voies poralees ou l’om est alé sovent et longement et en est hom revenu,
doit l’en bien savoir. [46] Ceaus qui ont esté enfanz et puis iones, et sont venu
au meian aage, deivent bien saveir se il furent bien nouri et ensignié et aspris
en enfance ou non; car, se il le furent bien, ne puet estre qu’il n’aient bien
apris, et que il ne lor en soit bien avenu; et se il le furent mauvaisement, il lor
en deit estre mecheü en dit et en fait; et asez tost en l’un et en l’autre. [47] Et
en iovent, se Dieu lor dona grace d’eaus saveir guarder et cheveir encontre le
perilz de iovent, bien lor en est avenu; et se il furent tormenté et maumené par
les perilz et les cheaus de iovent, bien lor en deit sovenir. [48] Et por toutes ces
raisons se deivent ententivement travaillier de bien norir les enfanz et chastier
et reprendre et guarnir les ioenes, et en totes choses esploitier sagement, si que
lor sen seit aparant. [49] Le tres granz sens verai et parfait est la bone souche
que iamais114 [2va] ne seiche ne faut et a mout de bones branches. [50] L’arbre
de sens est et sera toz iorz verz et lori, et portant fruit bon et meillor et parfait.
[51] Mout y a de gent qui ne poent cel arbre veeir ne conoistre, ne ia ne tasteront dou fruit. [52] Et tex i a qui vienent115 a l’arbre, et le voient et sont entor la
souche, et vivent et pasent assez bien lor tens, por ce que il sont en l’ombre de
l’arbre et sentent odour dou fruit; autres y a plus gracios qui se prenent as
branches et ont dou fruit, aucuns dou bon, autres dou millor, et les bien rompanz maniuent dou tres bon. [53] Toz ceaus qui menuent dou fruit vivent a
henor, les uns bien, et les autre miaus, et les autres tres bien. [54] Cel arbre dont
la souche ne seche ne faut et qui toz iorz est verz et116 lori et portant fruit, est
Nostre Signor. [55] Les bones braches sont les sains et les saintes et toz les
doctors des Sainte Yglise, dont ele est enluminee par les Saintes Escriptures
qui ensegnent la voie a Damedieu dont les armes sont sauvées et rendues au
Criator qui tot cria et ist, et de cui eles doivent estre par raison. [56] Cil qui ne
poent l’arbre veoir ne coneistre ne ia ne tasteront dou fruit, sont ceaus qui ne
sont de la lei Nostre Seignor Iesu Crist et ne la coineissent ne creient, et les
faus crestiens et les desesperé dou tot. [57] Cil qui sont a l’ombre et vivent et
passent asés biens, sont les simples crestiens, qui vivent benignement en lor
simple creance, et se guardent volantier a lor po[o]ir117 que il ne partent de
114. ms. iama // is.
115. ms. e uienent, con e espunto da sottolineatura puntinata.
116. ms. 7 7, con la prima nota tironiana espunta da sottolineatura puntinata.
117. ms. poir; il secondo grafema sembra essere caduto per un lapsus calami,
dal momento che altrove, nel testo, è sempre attestata la forma pooir (§§ 6 due att.,
7, 8, 17, 32) che restituiamo.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
75
l’ombre ne vont as cheaus, c’est as pechié mortel. [58] Cil qui se prenent as
branches et maniuent dou fruit, sont ceaus qui se prenent a sages oevres des
sains et des saintes et de saint peres, et qui aprenent volantier et oient la Sainte
Escripture118 por prenre examples as bons, et saveir lor armes sauver. [59] Et
ciaus qui aprenent sapience et science, selonc ce que [2vb] chascuns119 s’esforce et s’esploite au plus sagement ovrer et bien ver Dieu et ver le siegle si a
dou fruit, [l]es120 bon dou bon, les meilors dou meillors, les tres bons dou parfait. [60] A cel saint arbre de sens, qui est celestial, ne se puet apareillier nul
arbre terrien ne sens natural; en ce n’a nule conparoison. [61] Mes le plus sage
terrein et les greignor maistre se deivent travaillier ententivement de sivre et
sursembler a lor poeir, selonc raison, li saint arbre devant dit, tot soit il nonper.
[62] Et de la soue grace meïsmes la doivent loer et amer et aorer et servir et
sagement ensigner les autres par l’assemples de lor bones oevres, et aprendre
a lor desciple et a toz cels qui voudront user de lor conseil a faire bones oevres
et sages et aveir sage contenement et leal ver Dieu et ver le siegle. [63] Les fols
et les malvais qui ne les vueulent aprochier ne conoistre ne creire et aucuns qui
les ont coneüz et puis se partent d’aus et les renoient, sorsemblent bien ceaus
qui mescroient la lei Nostre Signor et ceus qui furent de la lei et sont desesperé dou tout. [64] Les simple genz qui sont entor les sages, et les voient et
oient, et se chevissent entor eaus simplement et bonement par lor servise et
ainsi ont lor vivre si que il passent bien et covenablement et sont overt et auques honoré dou sien et de la valor de lor sages signors, seursemblent ceaus
qui vienent au saint arbre et vivont a l’ombre de lui et sentent l’odor de son
bon fruit. [65] Et les autres qui sont soutils et resnables et bons desciples, quiels
que il soient, parenz ou autres, qui se travaillent et font tant que il aprenent dou
sage et espleitent sagement premier a Deu servir et amer et douter, et aprés a
sagement ovrer des fainz terrein sorsemblent bien ceaus qui se prenent as
brances et ont et usent lo bon fuit dou saint [aubre, et vivent a honor].
118. ms. esc / escripture, con il primo esc espunto da sottolineatura puntinata.
119. ms. cheaschuns, con e eliminato con un punto sottoscritto.
120. ms. des; la struttura iterativa dell’intero passaggio suggerisce la correzione.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
76
Roberto Tagliani
Fig. 1. Archivio di Stato di Milano, Cimeli, b. 1 fasc. 28, 1va.
Fig. 2. Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 42, c. 130v.
Fig. 3. Paris, Bibliothèque nationale de France, lat. 4931, c. 57r.
Un nuovo frammento dei Quatre âges de l’homme
Fig. 4. Cambridge, Fitzwilliam Museum, CFM 6, c. 113r.
Fig. 5. Paris, Bibliothèque nationale de France, fr. 726, c. 33v.
Fig. 6. Cambridge, Fitzwilliam Museum, CFM 6, c. 151v.
Critica del testo, XVI / 2, 2013
77