IL MEDIOEVO DEGLI
ANTICHI
I romanzi francesi
della “Triade classica”
a cura di Alfonso D’Agostino
Scritti di
Alfonso D’Agostino, Dario Mantovani,
Stefano Resconi e Roberto Tagliani
Premessa di
Maria Luisa Meneghetti
MIMESIS
Mirails
© 2013 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine)
Collana: Mirails, n. 1
Isbn: 9788857518527
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INDICE
Premessa
Maria Luisa Meneghetti
Avvertenza
Alfonso D’Agostino
9
13
I ROMANZI DELLA TRIADE CLASSICA
Mito ed eros come nuovi linguaggi letterari
Alfonso D’Agostino
15
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
17
25
37
53
73
89
99
I «romanzi antichi»: il corpus
Coordinate storico-culturali
I manoscritti
La «translatio studii»
La «translatio imperii»
Modello epico, modello storico e mito
Il discorso amoroso
IL ROMAN DE THEBES
Stefano Resconi
105
8. Novam monstrare futuris.
Alcune osservazioni sul Roman de Thebes
107
IL ROMAN D’ENEAS
Roberto Tagliani
137
9. Et terre et fame tient por soe (v. 1614).
Considerazioni sul Roman d’Eneas
139
IL ROMAN DE TROIE
Dario Mantovani
167
10. Cum Troie fu perie.
Il Roman de Troie e le sue mises en prose
169
APPENDICE
Le sinossi dei romanzi
199
Il Roman de Thebes
Il Roman d’Eneas
Il Roman de Troie
201
205
211
Bibliografia
Tavole
Indici
217
233
245
IL ROMAN D’ENEAS
Roberto Tagliani
139
9. ET TERRE ET FAME TIENT POR SOE (V. 1614).
CONSIDERAZIONI SUL ROMAN D’ENEAS
9.1. Il romanzo e il suo pubblico
Composto tra il 1155 e il 1165, il Roman d’Eneas occupa il secondo posto
nella triade classica. È una traduzione dei dodici libri dell’Eneide virgiliana, opera di un anonimo compilatore che, seppur piú fedele al suo
modello di quanto non sia l’autore del romanzo sulla materia tebana, mostra una consapevole autonomia nella selezione e nell’organizzazione dei
contenuti, pur conservando una certa unitarietà della trama.
Il romanzo, verosimilmente composto in Normandia in un contesto
fortemente influenzato dalla politica culturale plantageneta (2.5), conta
circa diecimila1 octosyllabes organizzati in couplets a rima baciata; è conservato da nove manoscritti (3.2) «che non presentano grosse varianti
redazionali» (Meneghetti 2010: 37); solo nel caso del ms. D la materia
risulta talvolta rimaneggiata nella direzione di una maggior amplificatio e
con qualche aggiustamento nella selezione degli episodî. Piú che di una
translatio, nel senso medievale del termine, si deve parlare di una riscrittura o, comunque, di un adattamento delle principali linee narrative del
poema latino (4.6), riorganizzate secondo un criterio sostanziamente cronologico (seguendo l’ordo naturalis), cucite e messe in relazione a nuovi
contenuti, d’ispirazione ovidiana, rivolti all’indagine sulla natura dell’amore e sulla fenomenologia dell’innamoramento.
Amore, guerra, chevalerie e translatio imperii sono i pilastri su cui si
fonda la rielaborazione romanzesca dell’opera latina piú nota nel Medievo, con il chiaro intento di proporre una continuità tra mondo classico
1
Le due edizioni allestite da Salverda de Grave 1891 e 1925-29, che hanno come
testo base la lezione del ms. A, contano 10156 versi, mentre l’ed. Petit 1997, fondata
sul recenziore D, ne conta 10334 (10336 nella parziale revisione dello stesso testo
critico da parte di Babbi 1999). Per la descrizione dei manoscritti e la constitutio
textus delle diverse edizioni, cf. 3.2.
140
Il Medioevo degli antichi
di Virgilio e nuova realtà socio-politica dell’orizzonte plantageneto; operazione non priva di risvolti apologetici e di promozione dinastica, che
si concretizza attraverso la narrazione di storie d’amore intersecate alla
storia della fondazione di una nuova civiltà.
L’ambiente nel quale il romanzo prende forma presenta varî spunti di
vitalità culturale e di rinnovamento socio-politico: risente positivamente
della presenza d’intellettuali e di uomini di potere (chierici e laici), che si
confrontano apertamente con la cultura latina, cercando modi nuovi per
renderla fruibile nel mutato contesto ideologico e culturale del XII secolo francese (2.1), che vede una forte spinta nella direzione dell’impiego
letterario delle lingue romanze in progetti scrittorî sempre piú ambiziosi.
A ciò si aggiungono, da un lato, l’obiettivo filosofico di “cristianizzazione dell’antichità”,2 e dall’altro quello di “medievalizzazione” degli statuti
giuridico-militari del mondo romano: tratti che si dipànano perfettamente nell’alveo già tracciato dal Roman de Brut di Wace (5.1), che intende
costruire una letteratura degli ancessors genealogicamente completa, che
risponda tanto alle necessità propagandistiche di legittimazione del potere plantageneto,3 quanto al disegno di fissare per iscritto, in una lingua
nuova, le sorti gloriose di grandi vicende letterarie e mitiche, da rileggere
in chiave attualizzata, secondo un’ottica feudale. Entrambe queste tendenze avranno un ampio successo e una considerevole continuità lungo
tutta la storia culturale e letteraria della Francia medievale, e non solo.4
9.2. Tra epos e romanzo: rapporti con le fonti e ruolo dell’autore
Il rapporto tra il Roman d’Eneas e la sua fonte piú scoperta, l’Eneide
virgiliana, è uno dei tratti piú studiati nella tradizione critica dedicata al
romanzo.5 Per quanto l’affermazione lapidaria di Raynaud de Lage 1978:
2
Sulla questione, cf. Logié 1999: 36-41 e la bibliografia ivi citata.
Con le dovute limitazioni e le necessarie cautele sulla rilevanza di questo motivo,
già discusse in 2.5.
4
Sulla fortuna dell’Eneas nei secoli successivi rinvio a Dressler 1907, Faral 1913 e,
per un dettagliato quadro riepilogativo riguardante tutti i romans d’antiquité, a MoraLebrun 2008: 427-523.
5
Dopo il pionieristico volume di Faral 1913, si ricordino almeno i lavori di Angeli
1971: 100-41, Poirion 1976: 213-29, Marchello-Nizia 1985: 251-66, Cormier 1989:
277-89, Logié 1999 e, soprattutto, i varî contribuiti di Mora-Lebrun 1985: 83-104;
1994; 1996: 21-40; 2008.
3
Considerazioni sul Roman d’Eneas
141
175: «non c’è nulla di virgiliano nell’Eneas» sia da leggere come una provocatoria esagerazione, è però indubbio che la presenza dell’Eneide nel
romanzo sia assai meno univoca e cogente di quanto si possa immaginare. È, semmai, l’opera di Ovidio a fornire la nuova linea espositiva delle
vicende epiche del poema, trasformando la narrazione delle peripezie
dell’eroe troiano, campione della translatio imperii, in un romanzo medievale d’impronta erotico-cavalleresca.
Nel passaggio dalla classicità al Medievo francese, la linea cronologica dei fatti dell’Eneide è ricostruita in forma piú lineare, confacente
a una narratio continua, pur non di rado integrata, interrotta e deviata
mediante inserzioni di diversa origine: episodî e cammei tratti da opere
ovidiane (soprattutto Metamorfosi, Amores e Heroides) e da altre opere
enciclopediche del mondo classico (quali, ad esempio, la Naturalis Historia di Plinio); descrizioni di dettagli o di vicende particolari provenienti
dai commenti di Donato e di Servio alle opere virgiliane, dai Mythographi
vaticani e dalla cultura enciclopedica mediolatina (da Isidoro di Siviglia
alle narrazioni dei mirabilia); digressioni sulla virtú delle pietre, sulle proprietà delle piante o sulle caratteristiche degli animali, debitrici alla tradizione di lapidarî, erbarî e bestiarî; tirate e ammonizioni moraleggianti
o misogine che chiamano in causa la produzione didattica in uso nelle
scuole monastiche e la sapienza paremiologica; rappresentazioni di fatti
e personaggi bellici secondo modelli che richiamano la chanson de geste
o l’agiografia in lingua d’oïl; modalità affabulatorie connesse al filone romanzesco (anglo)normanno, costituito dal Roman de Thebes e dal Roman
de Brut,6 con il loro portato encomiastico.
Le mutate condizioni crono-spaziali trasformano il poema latino che
celebra gli arma del pius Aeneas nel romanzo degli amores di un eroe cortese: se l’Eneide latina presenta una bipartizione perfetta, cesurata dalla
discesa agli inferi di Enea (libro VI), che divide nettamente la prima parte
dell’opera, odeporica e amorosa, dalla seconda, bellica ed epica, il roman
oitanico ricostruisce una linearità piú compatta, condotta sulla duplicazione delle ‘storie d’amore’ dell’eroe (quella infelice con Didone e quella,
a lieto fine, con Lavinia) come Leitmotiv con il quale intervallare le “storie d’armi” le quali, a dispetto del numero esorbitante di combattenti
impiegati, non sono mai il mero compiacimento di una narrazione guer6
Per un’indagine dettagliata sulle fonti classiche, mediolatine e volgari del romanzo,
si vedano Faral 1913 e Angeli 1971: 107; cf. anche 4.4-8.
142
Il Medioevo degli antichi
resca crudele e truce, quanto piuttosto la reiterazione di episodî militari
talvolta ridondanti, fondati su clichés narrativi con prevalente funzione
riempitiva. Si tratta, in larga misura, di una narrazione standardizzata e
poco partecipe dei fatti militari, che pare condotta da un fato già scritto e
immutabile. Dalla proporzione equilibrata del poema latino tra eroismo
dei protagonisti e volontà degli dèi, si passa, nel romanzo, ad una sproporzione tra fatti narrati ed evoluzione emotivo-psicologica dei personaggi, con un netto prevalere della seconda.
A ben vedere, anche la bipartizione strutturale del racconto è asimmetrica: i primi tremila versi corrispondono, grosso modo, ai primi sei
libri dell’Eneide; i restanti settemila contengono un’alternanza di racconti
epico-cavallereschi, episodî amorosi e riflessioni introspettive sui sentimenti dei protagonisti, in un insistito binomio fame-terre che equipara la
conquista dell’amore di una donna a quella del potere, generando da ciò
l’aventure romanzesca.7 Le sezioni della fonte che meno si attagliano alla
realizzazione di questa “vocazione” del romanzo sono scorciate oppure
obliterate. Ad esempio, sparisce tutto il libro III dell’Eneide, che narra
delle peregrinazioni per mare dei Troiani, liquidate in soli quattro versi
(vv. 1193-6), mentre la narrazione della caduta di Troia (libro II) si riduce
a poco piú di trecento versi; sono solo allusi, ma non descritti, i ludi in
onore di Anchise del libro V, che peraltro è condensato in poco piú di un
centinaio di versi. Il romanzo si concentra assai piú sulle sezioni dei libri
VII-XII, i meno letti nel Medioevo, ma anche i piú funzionali al progetto
di riscrittura attuato dall’anonimo.8
Parafrasando un felice titolo di Giovanna Angeli (1971: 107), possiamo concludere che il Roman d’Eneas muove dalla pietas classica verso
l’eros cortese, riscrivendo la storia “fatale” dell’eroe fondatore di una città nella direzione di una vicenda amorosa, che poteva offrire spazi alla
delectatio cavalleresca della società raccolta attorno ai Plantageneti; non
si dimentichi che la classe dirigente di quest’impero discendeva dai Normanni di Guglielmo il Conquistatore, che come i Troiani di Enea s’erano
7
Su questo tema si veda Marchello-Nizia 1985: 251-66, in part. 252-4.
Salverda de Grave (1891: XXXVI-LXII) conduce un utilissimo raffronto sinottico
tra la matière del romanzo e i contenuti dell’Eneide, mostrando il dinamismo dell’autore dell’Eneas nel compiere dilatazioni, scorciamenti, deviazioni dalla trama e
dai contenuti del poema. Anche l’editio minor dei CFMA (Salverda de Grave 19251929) mantiene l’indicazione delle corrispondenze tra i libri dell’Eneide e i versi del
romanzo, nelle testate di ciascuna pagina.
8
Considerazioni sul Roman d’Eneas
143
insediati con la forza in una terra straniera; in questo corto circuito tra
il mondo evocato dal poema latino e la quotidianità, essi ambivano a riconoscersi in una nuova forma di meraviglioso narrativo, non soltanto
eroico-mitico ma anche ispiratore di passioni amorose, che il romanzo
ben rappresenta.9
In questa prospettiva, l’Eneas entra a pieno titolo nell’orizzonte avviato con il Roman de Brut, proseguito con il Roman de Thebes e concluso
da Benoît de Sainte-Maure con il Roman de Troie: è una tappa intermedia di quel tracciamento di una “preistoria” cortese, prestigiosa ma
anche piacevole a leggersi, rivolta agli uomini e alle donne del mondo
normanno. Anche l’assenza d’un prologo e di una conclusione solenne
pone il romanzo in un’ottica di ciclificazione delle origini mitiche, senza
deprivarlo della sua originalità strutturale e dell’autonomia narrativa, che
si sforza – ottenendo risultati piú lusinghieri del Roman de Thebes – di
mantenere una costante unità stilistica tra le sezioni rinovellate rispetto
alle fonti antiche e quelle di nuova e originale composizione.
Di fronte a una cosí sapiente combinazione di riscritture e adattamenti, e all’adozione di strategie narrative di forte tenuta stilistica, andrà riconosciuto all’anonimo autore del romanzo il possesso di una perizia non
indifferente: senza proporre impossibili paragoni con Virgilio, possiamo
affermare come egli sia dotato di una buona cultura letteraria, probabilmente costruita a partire da manoscritti glossati dell’opera virgiliana
– come ha felicemente proposto Mora-Lebrun 1994 – che opera secondo
un gusto nuovo, in via di formazione nell’ambito della rinascita degli studi classici del XII secolo, mostrando un’importante apertura al confronto
con la nascente letteratura volgare in lingua d’oïl; apertura che si attua
con sapienza e gusto, anche attraverso l’impiego di una robusta dotazione
di strumenti retorici.
9.3. Raccontare la città
In chiara opposizione al modello virgiliano, quanto mai sobrio nell’impiego della descrizione, l’autore dell’Eneas dilata massicciamente la
presenza di elementi descrittivi ornati, secondo il gusto del suo tempo,
9
Per quest’interpretazione del romanzo, e le sue conseguenze, cf. Poirion 1976: 2139, in part. 213-9.
144
Il Medioevo degli antichi
«aggiungendo un numero esorbitante di dettagli curiosi, esotici o anche
piú correnti, rivelatori di una serie di letture che lo accomuna ai poeti
contemporanei» (Angeli 1971: 134).
Sono numerosissime, nel romanzo, le descrizioni di città, edifici, monumenti, accampamenti o, comunque, costruzioni dell’ingegno umano.
Già Edmond Faral (1913: 76) aveva notato che l’anima della descrizione
era il suggerimento affabulatorio piú diffuso nelle Artes poetriae in uso
nel XII secolo: in particolare, Matteo di Vendôme aveva dedicato ben un
terzo della sua Ars versificatoria alla narrazione descrittiva come «l’objet
suprême de la poésie».
All’evoluzione della tecnica di presentazione delle città e dei luoghi
come processo narrativo proprio dei romanzi di materia antica ha dedicato un corposo studio Catherine Croizy-Naquet (1994), che segnala
come il fenomeno, originariamente destinato a contestualizzare dal punto
di vista spaziale le vicende, diviene progressivamente piú autonomo e
prezioso, in un compiacimento enciclopedico e puntuale che genera una
narrazione indipendente, tecnicamente definita ekphrasis, che fa del luogo una sorta di opera d’arte da raccontare secondo il piacere degli occhi.
Il primo esempio che incontriamo nel romanzo è la descrizione della
città di Cartagine (vv. 373-548), che viene dapprima individuata con precisione nella geografia dei luoghi mitici del testo, osservata con l’occhio
di chi, avvicinandosi dalle alture la scorge dapprima in pianta, e poi la
scopre guardandola d’attorno e attraversandola. La costruzione retorica
è solenne, e Cartagine presenta tutte le caratteristiche topiche della città
perfetta: ben difesa da mare e da terra, con mura possenti costruite con le
pietre piú pregiate, protetta da bastioni, porte d’avorio e archi di bronzo,
guardata da moltitudini di armigeri, dotata di vie ampie e lastricate, di
templi e di palazzi sfarzosi. Il preziosismo e l’attenzione per il dettaglio
sono raffinatissimi: e non si limitano alla minuziosa catalogazione dei materiali (reali o simbolici)10 o all’insistenza nel sottolineare la solidità e la
robustezza delle opere murarie, la raffinatezza tecnica delle ingegnerie
costruttive o la ricchezza delle suppellettili decorative: l’anonimo aggiunge informazioni erudite sulle attività economiche degli abitanti e sulle
tradizioni legate ai luoghi.
10
Sulla descrizione delle pietre preziose incastonate nelle mura di Cartagine e il rapporto con i lapidarî e con Marbodo di Rennes, cf. 4.7 e Gontero 2002.
Considerazioni sul Roman d’Eneas
145
La passione per le descrizioni è talmente radicata nel gusto medievale
da generare, spesso, ulteriori amplificazioni all’interno della tradizione
manoscritta di un testo: è il caso, per esempio, della versione del ms. D,
un codice già trecentesco,11 che aggiunge alla sezione dedicata a Cartagine la descrizione della sala centrale del palazzo di Didone, in cui si racconta la fattura del seggio regale utilizzando una serie d’immagini e di stilemi caratteristici della tradizione lirica e didattica del Duecento francese:
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11
En mi fu li siege roial
entaillié d’or, fait de cristal;
d’argent y a .I. eschamel,
si le soustienent .II. lyoncel.
Senz ot au siege appareillier;
la se siet la dame au mengier.
Les la mesire, tres son dos,
restoit .I. cep qui ert moult gros:
onques ne fu trenchié en vigne,
ainz le fist faire la roÿne;
li ces fu d’or et les corgies,
et le panpes bien entaillies.
Li rain nessent moult soutieument
del cep tout ordoneement,
les grapes sont miraubileuses,
faites de pierres precïeuses:
pierres y a de mil manieres,
forment par son les grapes chieres.
Bien est la vigne entaillie
desor le dois a grant merveille
li eschaillon sont fait d’argent,
qui en soustienent le sarment.
.X. mil oysyaus a en la treille,
grans et petis, fias a merveille;
de fin or sont, bien esmeré:
li mendres vault une cité.
Li ces est gros et crues trestous
et li flambail sont dedesous;
quant il vente, si font chanter
li oyselés et voleter.
Seloc sa grandour chascun chante;
qui cel son ot, pour quoy demande:
harpe, vielle, son de corde?
Come ricordato, il manoscritto è alla base dell’ed. Petit 1997.
146
480
484
488
492
496
Il Medioevo degli antichi
Nul instrument ne s’i acorde.
Chascuns oysiaus chante en sa guise
quant la dame est au dois assise;
onques ne finent de chanter
al asseoir ne au lever,
ne nuls oysiaus n’i est en pais:
touz en retentist li palays,
quant il chantent, hom n’i ot goute.
D’un arbre dont l’encens degoute
sont les taubles aus chevaliers
par la salle granz et pleniers.
Quant Dydo siet a son mengier,
ja n’i avra aus huis, huissier:
miex vouldroit estre prise ou morte
qu’en y closist ne huis ne porte,
qu’en deffendist sa garisson
ne a verge ne a baston.
En la sale ot mainte verrine
encor mainte chambre perrine,
et dedessouz ert li celiers
moult y avoit autres mestiers.12
12 «Il seggio regale sta nel mezzo | ornato da intagli d’oro, fatto di cristallo;
| ha uno sgabello d’argento | sostenuto da due leoncelli. | Fu usato ingegno nel
costruire quel sedile; | là siede la dama quando mangia. | Vicino al muro, dietro
la sua schiena | c’è un ceppo molto grande: | non è certamente tagliato da una
vigna, | poiché lo ha fatto costruire la regina; | il ceppo è d’oro, con i graticci
| e i pampini ben intagliati. | I rami si dipartono elegantemente | dal ceppo, in
modo ordinato, | i grappoli sono mirabili, | fatti di pietre preziose: | e vi son
pietre di mille forme | e bellissimi sono i grappoli che vi si trovano. | La vite
è ben intagliata | sopra il desco, in modo straordinario; | son fatti d’argento i
pali | che sostengono la pergola. | Tra i rami ci sono diecimila uccelli | grandi e
piccini, perfettamente cesellati | nell’oro fino, ben lucidato: | il minore di questi
vale quanto una città. | Il ceppo è grande e cavo dentro, | ed ha delle fiaccole al
suo interno: | quando si alza il vento, fanno cantare e svolazzare gli uccelletti. |
Ciascuno canta secondo la sua taglia; | e chi li ascolta, si chiede che cosa sia (che
suona cosí): | arpa, viella o suon di corda? | Ma nessuno strumento suona in tal
maniera. | Ogni uccello canta a suo modo | quando la dama sta seduta al desco;
| e non smettono mai di cantare, | che si segga o che si alzi, | né alcun uccello sta
mai fermo: | l’intero palazzo risuona | quando cantano, né s’ascolta alcuna altra
cosa. | (Dal legno) di un albero da cui gocciola incenso | sono fatte le panche
(dove siedono) i cavalieri, | che si trovano nella sala, grandi e comode. | Quando
Didone siede per pranzare, | non ci sono né uscî né uscieri: | preferirebbe essere
prigioniera o morta, | piuttosto che tener chiusi uscî o porte, | per proteggere la
sua incolumità| con la verga o con il bastone. | Nella sala c’è una grande vetrata
Considerazioni sul Roman d’Eneas
147
Ben piú celebri e studiate sono, invece, le descrizioni delle due sepolture
illustri inserite nel romanzo: quella di Pallante (vv. 6103-528) e quella di
Camilla (vv. 7427-724).13 Le rappresentazioni dei riti funebri in memoria
di questi due campioni – schierati in campo avverso e morti in battaglia
dopo essere stati colpiti a tradimento – e dei loro sepolcri sono collocate
ad una distanza di circa mille versi, fatto che segnala una competizione
stilistica tra le due narrazioni, non a caso organizzate in forma pressoché
speculare. Entrambe le cerimonie funebri sono accompagnate da solenni orazioni e lamentazioni di altissimo tenore retorico, che ricordano da
vicino le forme dell’apologetica cristiana impiegate nei panegirici e nei
planctus dedicati ai martiri cristiani, sia nelle vitae sanctorum che nei testi
agiografici o epici volgari.14 Quanto agli apparati funerarî, delle esequie
di Pallante è minuziosamente descritto il corredo funebre, fatto di abiti
sontuosi, di drappi e stoffe preziose, di arredi rari ed esotici, di cortei
solenni e sfarzosi. Il sepolcro, originariamente destinato ad accogliere le
spoglie del padre Evandro, è una vera e propria tomba regale: presenta
un sarcofago in cristallo di rocca smeraldino, inserito in un ampio edificio
a volta decorato con argenti, legni pregiati, marmi lavorati, tabernacoli
e dorature di straordinaria bellezza, che richiamano la descrizione del
palazzo del Prete Gianni raccontato dall’omonima lettera latina;15 come
sulla tomba di Didone e di Camilla, a Pallante è dedicato un epitaffio
scritto a lettere d’oro, illuminato da una lampada dello stesso metallo
accesa da un licinio d’asbesto che ha la proprietà di generare un fuoco
inestinguibile:
6492
An cest tombel gist ci dedanz
Pallas li proz, li biaus, li genz
Qui fu fiz Euander lo roi;
Turnus l’ocist an un tournoi.16
| e molte stanze decorate di marmi | e sotto si trovavano la cantina | e molti altri
locali di servizio» (vv. 446-99 dell’ed. Petit).
13
Si veda almeno Baumgartner 1989: 37-50, e la bibliografia ivi citata.
14
Angeli 1971: 126-33, in particolare, chiama in causa per i tre compianti sulle
spoglie mortali del giovane Pallante (di Enea, del padre e della madre) il modello
del planctus su Sant’Alessio nella Vie de Saint Alexis e i varî compianti sui guerrieri
morti in battaglia nelle chansons de geste.
15
Per il testo, rinvio a Zaganelli 1990: 78-86; sui rapporti con l’Eneas cf. Faral
1913: 163-4, Angeli 1971: 103 e Babbi 1999: 49 n. 1 e 339 n. 1.
16
«In questa tomba è sepolto | Pallante il prode, il bello, il nobile, | che fu figlio di
re Evandro; | Turno lo uccise in un duello».
148
Il Medioevo degli antichi
Il racconto dei funerali e della sepoltura di Camilla è, se possibile, ancor
piú ricco di particolari: dopo l’orazione di Turno viene minuziosamente
descritta l’imbalsamazione del corpo e la preparazione del corredo funebre, con cuscini di rara morbidezza, stoffe e tessuti di grande pregio;
seguono la descrizione del corteo, dell’ostensione della salma al tempio,
del sontuoso mausoleo in cui l’eroina è collocata: marmi e statue, pilastri
decorati, cupole e archi. In questo straordinario sepolcro la salma viene
rivestita con sete d’Oriente, coperta di gemme e gioielli e collocata in un
sarcofago di elettro – una lega di oro e argento – sorretto da quattro statue d’oro, coperto di pietre dure e smalti. L’epitaffio è ancor piú solenne
di quello di Pallante:
7664
Ci gist Camile la pucele
qui molt fu proz et molt fu bele
et molt ama chevalerie
et maintint la tote sa vie.
En porter armes mist s’entente
ocise an fu desoz Laurente.17
Anche sulla tomba della giovane fanciulla è posta una lampada dal fuoco
inestinguibile, legata ad una catena d’oro e sorretta da una complicata
e preziosa scultura, raffigurante un arciere che tende l’arco contro una
colomba, allusione simbolica alla vita gloriosa e pura della vergine guerriera.
Un’altra descrizione rilevante riguarda, ai vv. 7281-364, la tenda di
Enea, fatta collocare su una collina di fronte a Laurento durante l’assedio
della città, innalzata durante la notte dopo la stipula di una tregua per la
sepoltura degli eroi caduti in battaglia.18 Il grande padiglione, allestito
con una rapidità sorprendente, ha l’aspetto esteriore di un solido edificio
in muratura, ma è in realtà realizzato con drappi variopinti, recanti intarsî
e decorazioni raffiguranti animali ed elementi architettonici che visti da
lontano danno l’impressione di una solida fortezza. Anna Maria Babbi
(1999: 381), citando Catherine Croizy-Naquet (1991: 86), segnala che
proprio quest’edificazione, direttamente ispirata al gusto troiano, madre17
«Qui giace Camilla, la fanciulla, | che fu molto valorosa e molto bella, | e amò
tanto la cavalleria | da dedicarle tutta la sua vita. | Nel portare le armi mise tutto il suo
impegno, | e fu uccisa dalle parti di Laurento».
18
Questa descrizione ha destato l’attenzione di varî studiosi: si vedano almeno
Baumgartner 1994: 179-87; Cormier 1977: 85-92; Croizy-Naquet 1991: 73-90.
Considerazioni sul Roman d’Eneas
149
patria di Enea, parrebbe essere lo snodo simbolico centrale della funzione ormai chiaramente assunta nelle fasi conclusive dell’epopea dall’eroe
troiano: egli è un anti-Ulisse, un costruttore e non un distruttore di città,
abituato a combattere e soffrire, e ormai prossimo a ottenere il premio
promesso, di fronte al quale è, dunque, inutile opporsi.
9.4 Amori ovidiani
Come ricorda Giovanna Angeli (1971: 107-8), l’autore dell’Eneas è il
primo, in area oitanica, «a volgarizzare temi ovidiani o, per lo meno,
amorosi», che diverranno presto il fulcro della narratività romanzesca
dell’età d’oro del romanzo in versi francese. Particolarmente adatta all’intrattenimento del pubblico femminile della corte – che, come è già
stato ricordato, mostra una cospicua presenza di personaggi di genere nel
romanzo – la tematica amorosa diviene la chiave della continuità del romanzo, che dipana le sue aventures attraverso il susseguirsi delle vicende
erotiche dei protagonisti, organizzate in un sistema largamente debitore
del repertorio e delle forme affabulatorie del grande poeta elegiaco latino
(cf. 7.2).
Già la guerra di Troia, evocata per ben due volte nei racconti di Enea
(vv. 5-24 e vv. 859-1196), era iniziata per questioni amorose: il celebre
giudizio di Paride e il conseguente rapimento di Elena avevano dato la
stura alla piú epica di tutte le guerre (letterarie) dell’antichità. Proprio
il giudizio del bel troiano, rievocato in apertura di romanzo, a causa del
quale si scatena la competizione tra Giunone, Atena e Venere, foriera di
irrimediabili conseguenze per la città19 (vv. 99-182), ha la funzione quasi
paradigmatica di dichiarare l’importanza delle figure femminili e dei loro
amori nella fabula che il romanzo intende raccontare, riadattandola da
una fonte epica in un dettato piú consono e gradito al nuovo pubblico.
L’amore è il motore principale della vicenda narrata, e anche l’ambito
nel quale si declinano e si risolvono i conflitti tra gli uomini: volendo
semplificare al massimo, il romanzo si costruisce attorno agli esiti delle
19
«Por sol l’acheison de Paris | haïrent puis tot lo païs» («Solo a causa della scelta
di Paride | ebbero in odio l’intera città»), recitano i vv. 181-2. Sulla rilevanza di tale
rievocazione nell’Eneas, si veda Spence 1998: 27-38 e la bibliografia ivi citata.
150
Il Medioevo degli antichi
due principali storie d’amore che racconta: quella di Enea con Didone e
quella dello stesso eroe con Lavinia.
La prima delle due è narrata in modo piuttosto fedele al modello virgiliano: ma la Didone dell’Eneas presenta una psicologia piú articolata
di quella latina: non è soltanto una donna in preda al furor amoroso, ma
una dama che, in amore, cerca di imparare la mesure, senza riuscirci. Per
questo l’anonimo ne fa una sorta di “caso-scuola”, attribuendo al personaggio – già noto ab origine per la sua irrequietezza e la sua propensione
al delirio amoroso – una serie di tratti ovidiani che per un intellettuale del
XII secolo dovevano essere emblematici per la valutazione dei rapporti
amorosi. È proprio a proposito di Didone, per esempio, che compare
per la prima volta nel romanzo la celebre metafora ovidiana dell’Amore
come malattia:
1204
1220
1224
1228
1232
El lo regardoit par dolçor
si com la desreingnot Amor;
Amor la point, Amor l’argüe,
sovant sospire et color mue.
[…]
Quant la chanbre fu aserie,
dame Dido pas ne oblie
celui por cui li deus d’amor
avoit ja mise an grant freor ;
de lui comance a penser,
e son corage a recorder
son vis, sun cors et sa faiture,
ses diz, ses faiz, sa parleüre,
le batailles que il li dist.
Ne fust por rien qu’ele dormist;
tornot er retornot sovant,
ele se pasme et s’estant,
sofle, sospire et baaille,
Molt se demeine et travaille,
tramble, fremist et si tressalt,
li cuers li mant et se li falt.20
20
«Ella lo guarda con dolcezza | cosí come Amore l’ha stimolata; | Amore la punge, Amore la affligge, | spesso sospira, e cambia colore. […] Quando nella camera
si è fatto buio | la dama Didone non dimentica | colui per il quale il dio d’Amore |
l’aveva messa in sí grande frenesia; | comincia a pensare a lui, | e a figurarselo nel
cuore: | il suo viso, il suo corpo, la sua prestanza | i suoi detti, le sue imprese, la
sua parlata, | le battaglie che le ha raccontato. | Non le è possibile prendere sonno,
Considerazioni sul Roman d’Eneas
151
L’innamoramento di Didone percorre tutte le tappe della fenomenologia
ovidiana: la visio dell’amato, l’azione del dio Amore, la sintomatologia
crescente e sempre piú coinvolgente, che dona tormenti fisici e spirituali,
fino allo sviluppo di una vera e propria malattia, che consuma lo spirito.
Il cliché procede con la confessione del dolore alla fidata sorella, che offre
ragionevoli ma inascoltati consigli a colei che, ormai, è totalmente infiammata dal sentimento, e si strugge e si confonde:
1384
1388
1392
Bien ert la dame ançois esprise,
et sa suer l’a an graignor mise;
d’amor estoit bien enflamee,
plus l’an a ceste antalantee:
confondee l’a malemant
s’el ne l’eüst onc an talant
et ne l’eüst onques amé,
se li a ceste amonesté.
D’amor se desve la raïne,
elle ne cesse ne ne fine.21
Lo stato di schiavitú psicologica che Amore infligge alla donna culmina
con la consumazione del rapporto, che la spinge a disinteressarsi di ogni
altro aspetto dell’esistenza, a perdere la parola e a dimenticare gli innumerevoli problemi del regno: in balía della sfrenatezza erotica, la regina
abbandona la ragione: «Amor l’a fait de sage fole».22
Cosí, quando alla gioia smodata dell’exercitium amoris subentra la
disperazione per la partenza dell’amato, chiamato al suo fatale andare,
Didone risulta ormai deprivata di ogni tratto di ragionevolezza umana:
l’unica sublimazione possibile alla desmesure è darsi la morte.
Il suicidio, peraltro, mette in campo un altro tratto centrale della vicenda, nuovamente misurato col metro dell’ineffabilità ovidiana: l’azione totalizzante di Amore modifica la natura umana a prescindere dalla
| si gira e rigira spesse volte, | vien meno e si stira, | sbuffa, sospira e sbadiglia, | si
agita continuamente e si affatica, | trema, freme e trasale, | il cuore le manca e le
vien meno».
21
«La dama era già fortemente accesa | e la sorella l’ha ancor piú esaltata; | era già
completamente incendiata da Amore, | e (la sorella) ha accresciuto maggiormente i
suoi appetiti: | l’ha confortata in modo sbagliato: | come se quella già non lo desiderasse | o ancora non lo amasse, | costei l’ha ancor piú incoraggiata. | A causa di Amore
la regina è fuori di sé, | senza pace né fine».
22
«Amore l’ha trasformata in folle, da saggia (che era)» (v. 1408).
152
Il Medioevo degli antichi
partecipazione o dalla presenza dell’oggetto del desiderio amoroso. Ci si
può chiedere, infatti, se Enea abbia mai amato sinceramente Didone: se
prestiamo fede alle parole di Virgilio (Aen. IV, 393-6) si dovrà ritenere
che ciò sia avvenuto:
395
At pius Aeneas, quamquam lenire dolentem
solando cupit et dictis avertere curas,
multas gemens magnoque animum labefactus amore
iussa tamen divum exsequitur classemque revisit.23
Nell’Eneas, invece, non è mai chiaro fino in fondo se il comportamento
di Enea – fatto per lo piú di deferenza, ammirazione e rispetto – nei confronti di Didone sia da valutare come un sentimento vero o se, piuttosto,
non si tratti di un atteggiamento opportunistico.24 Talora si ha l’impressione che l’insistenza sul punto di vista della regina rappresenti un pretesto, per l’anonimo, utile a inserire una certa dose di moralismo misogino
a basso prezzo, magari messo in bocca alla communis opinio dei baroni
cartaginesi:
1592
1596
23
Antr’els dïent, et si ont droit,
molt par est fous qui feme croit:
ne se tient prou an sa parolle;
tel tient l’en sage qui est fole.
Ele disoit que son seignor,
qui morz estoit, promis s’amor,
ne li toldroit a son vivant;
or an fait autres son talant,
or est mantie la fïence,
trespasee est la covenance
«Tuttavia, il pio Enea, per quanto voglia calmare la (regina) dolente |, consolandola e confortandola con (le sue) parole, | pur gemendo e con l’animo reso
incerto dal grande sentimento, | esegue comunque il volere degli dèi, e torna alle
navi».
24
Il sospetto viene, soprattutto, se si analizzano i vv. 1531-8 relativi al momento immediatamente successivo alla consumazione dell’amore, nei quali l’autore
pone l’accento sulla soddisfazione di Didone, che giunge addirittura a non curarsi
delle dicerie sul suo conto, mentre tace sullo stato d’animo di Enea. E si osservi
che anche nel racconto del suicidio, laddove Virgilio sente una certa pietà per
la regina (definita «infelix Dido», Aen. VI, 68), l’autore dell’Eneas è piuttosto
freddo e referenziale, in certo modo spietato: il fato che attende l’eroe, nella sua
prospettiva, è piú importante del destino dei singoli personaggi che lo coadiuvano
nel percorso.
Considerazioni sul Roman d’Eneas
1600
153
qu’a son seignor avoit plevie.
Fous est qui an fame se fie.25
Quel che emerge, fuor di dubbio, è il biasimo dell’autore verso l’intensità amorosa provata dalla regina: è, dantescamente, la sua incontinenza
ad essere causa di tanta follia e di tanto dolore. Ma l’amore di Didone
è sbagliato sotto varî aspetti: dapprima essa vede Enea come un sostituto – e in certo modo un surrogato – del perduto marito, Sicheo; è un
sostituto affettivo, beninteso, e non feudale: non si capirebbe, altrimenti,
l’indifferenza di fronte al consiglio della sorella, che aveva visto nel Troiano un ottimo paladino a tutela degli interessi legittimi della sovrana,
impigliata in una fitta rete di invidie e di maneggi degli oppositori politici
(vv. 1365-82). Ma l’errore piú grave – e fatale – è dovuto al fatto che la
dama ami l’eroe molto piú intensamente di quanto non sia ricambiata
(Jones 1972: 35): ciò è contrario ai principî dell’amore cortese, e sconfina
nell’ambito della follia, dell’esagerazione, della sfrenatezza: in una parola,
della desmesure. Per questo, quando Enea deve tornare alla sua missione,
sebbene dispiaciuto di dover lasciare la regina, non pensa di compiere
un delitto nei suoi confronti; ma per colei che ha messo in gioco tutta
sé stessa, nessuna cosa è peggiore della perdita dell’amato, perché con
quello, tutto è perduto. La vita stessa non le è piú necessaria, e per questo
l’abbandona, dopo aver perdonato – cosa che l’omologa virgiliana non
aveva fatto – il suo inconsapevole carnefice:
2064
25
Il m’a ocise a molt grant tort;
ge li pardoins ici ma mort;
par nom d’accordement, de pais,
ses garnemenz an son lit bais.
Gel vos pardoins, sire Eneas.26
«(I baroni) dicono tra sé – e a buon diritto – | che è davvero folle chi crede alla donna: | essa non presta fede alla parola data | ed è folle (anche) quella che è considerata
saggia. | Costei diceva che al suo sposo, | che era morto, aveva promesso il suo amore,
| e che non glielo avrebbe tolto fino a che fosse rimasta in vita; | ora un altro ne fa ciò
che vuole | ora è tradita la fiducia, | (lettera) morta il patto | che aveva giurato al suo
signore. | È (davvero) folle chi si fida della donna».
26
«A gran torto mi ha uccisa; | (ma) gli perdòno, qui, la mia morte; | in segno di
accordo e di pace, | bacio i suoi corredi sul letto che ho diviso con lui. | Io vi perdono,
sire Enea». Si noti che il termine garnemenz, letteralmente ‘accessori, attrezzature,
parti del corredo militare’ è talora usato anche in senso metaforico in contesti osceni
(cfr. Tobler-Lommatzsch, s.v. garnement).
154
Il Medioevo degli antichi
La storia degli amori punici di Enea finisce tragicamente, ma non per l’eroe, che è prontissimo – dopo la parentesi della catabasi, nel corso della
quale egli riesce persino a palesare allo spirito sdegnoso della regina le
sue giustificazioni per il comportamento tenuto27 – a intraprendere una
nuova storia d’amore, orchestrata dall’anonimo in maniera piú articolata e complessa, perché libera dalle maglie del modello latino. Qui l’influenza ovidiana è di gran lunga piú estesa, e si dipana nell’avvicendarsi
di monologhi, dialoghi e monologhi dialogati che permettono l’impiego
massiccio dei tópoi erotici.28
La struttura dell’episodio avrà innumerevoli imitatori e continuatori
nella narrativa cortese successiva, a partire da Chrétien de Troyes: la vicenda si apre con una discussione tra l’anziana madre, nel ruolo di consigliera, e la giovane fanciulla, che teme l’amore come un pericolo mortale,
da evitare. Ciononostante, il sentimento che «al cor gentil ratto s’apprende» (Dante, If V 100) nel momento in cui la giovane vede per la prima volta l’eroe, dà il via al medesimo itinerario di sofferenze, malesseri,
dubbî, riflessioni che aveva scatenato in Didone. Amore prende possesso
del cuore di Lavinia, determinando gli stessi turbamenti che già aveva
suscitato in Didone. Tra le due donne vi è una sola, essenziale differenza:
Lavinia non si abbandona mai pienamente al sentimento: s’interroga con27
Si tratta di un passaggio fondamentale nell’intera vicenda; Enea mette in evidenza le ragioni della sua improvvisa partenza, dettate dal volere degli dèi: «Par
lor comant sui ci venuz | en icest resne et descenduz; | quant ge de vos me departi
| ne cuidai pas que fust ansi» («per il loro comando sono giunto qui | e disceso in
questo regno; | quando mi partii da voi, | non credevo che sareste giunta qui», vv.
2645-8), che traducono i celebri versi dell’Eneide: «invitus, regina, tuo de litore
cessi. | Sed me iussa deum, quae nunc has ire per umbras, | per loca senta situ
cogunt noctemque profundam, | imperiis egere suis» («contro la mia volontà, o
regina, partii dalle tue spiagge. | Ma il volere degli dèi, che ora mi spinge ad andare
tra le ombre | per luoghi desolati e nella profonda oscurità, | mi condusse con i
suoi comandi», Aen. VI, 460-3), i quali a loro volta alludono ai versi centrali del
carmen di Catullo dedicato alla metamorfosi astronomica della chioma di Berenice: «Invita, o regina, tuo de vertice cessi; | invita, adiuro teque tuumque caput»
(«contro la mia volontà, o regina, lasciai il tuo capo; | non volevo: lo giuro su di te
e sulla tua testa», Carmina, LXVI, 38-39). Lo sdegno di Didone, che fugge davanti
alle cortesi parole del Troiano, risolve e, per certi versi, derubrica il sentimento
della donna da amor a furor, consentendo ad Enea di rivolgere altrove il suo sentimento amoroso.
28
Una recente disamina sulle modalità con cui il roman riscrive gli amori ovidiani
si deve a Natalie Vrticka (2010: 73-82); della studiosa si attende l’ormai prossima
pubblicazione della tesi dottorale (Vrticka 2009/2010).
Considerazioni sul Roman d’Eneas
155
tinuamente sulla dimensione relazionale, sulla liceità, sull’opportunità,
sulla reciprocità, sulla costanza, sulla finalità ultima dell’amore, cercando
in ogni modo di diminuire la sofferenza. Giunge persino a chiedere aiuto
a quel medico crudele e tiranno, che è al tempo stesso l’untore dell’infezione e il portatore dell’antidoto, cioè Amore:
8204
8208
8224
8228
8232
Amors, tu m’as tornee an val,
Amors, car m’alege cest mal!
Amors, an ceste novelté
me demoines trop grant ferté.
Amor, m’as mise el cors la rage,
un sol petit m’en asoage,
que me puisse raseürer ;
mialz reporrai mal andurer.
[…]
Amors, redone moi del miel,
si rasoage ma dolor
par aucune bone savor!
Bien sai de maus que tu puez faire
mais de te biens ne sent ge gaires :
ancor ne m’as mostré noiant.
Que as-tu fet de l’oignement
que soloies jadis porter
a tes males dolors saner?
Amors, troblé m’as mon corage,
un sol petit lo s’asoage.29
È in quest’ottica di “resa condizionata” che Lavinia matura una soluzione, che sottolinea la sua straordinaria intraprendenza: stende un’epistola
amorosa da mandare ad Enea, mediante la quale, a un tempo, chiarisce
a sé stessa il proprio stato d’animo e ha l’opportunità di valutare la corresponsione di Enea. Cosí, trasformando in correlativo oggettivo quella
che, fino a quel punto, era stata una metafora letteraria, fa legare il suo
29
«Amore, mi hai buttato a precipizio, | Amore, allevia questo mio male! | Amore,
in questa nuova avventura | mi conduci con grande crudeltà. | Amore, hai impegnato
il mio cuore nella rabbia, | dammene tregua, almeno un poco, | affinché possa avere
requie; | potrei cosí sopportare meglio il dolore. […] Amore, dammi ancora del miele,
| cosí da alleviare il mio dolore | con qualche buon sapore. | So bene quali dolori tu
puoi procurare, | ma non so nulla del bene (che puoi fare); | ancora non mi hai mostrato nulla. | Che hai fatto dell’unguento | che solevi portare, un tempo, | per sanare
i tuoi dolori (= i dolori da te causati?) | Amore, hai turbato il mio cuore: | dammi
almeno un poco di respiro».
156
Il Medioevo degli antichi
messaggio a un dardo – che diviene materialmente il dardo d’amore – e lo
scaglia nel campo troiano, affinché Enea possa leggere le sue parole. Una
volta raggiunto l’eroe, il testo si fa esso stesso “freccia” nel suo cuore,
chiudendo il circuito della reciprocità del sentimento, che comincerà ad
infiammare anche lo spirito del Troiano. La notizia dell’amore di Lavinia
prende a farlo languire e sospirare, de lonh, e lo spinge a guardare l’amata
di lontano, sulla torre. Per dirla con Dante, «Amor, ch’a nullo amato
amar perdona» (If V 103) accende i cuori di entrambi gli innamorati, determina un equilibrio speculare e scongiura la desmesure, che fu tanto
nefasta per Didone.
La reciprocità è tanto piú scoperta quanto si noti che, sul labbro di
Enea, affiora l’entusiastica volontà di conquistare Lavinia togliendola a
Turno, a cui era già stata promessa, con la stessa struttura per invocazioni
anaforiche ad Amore che era stata impiegata, poche centinaia di versi
prima, per le lamentazioni della fanciulla:
9060
9064
9068
Se Turnus la velt desraisnier
molt le quit forment chalongier,
molt li cuit randre grant estor ;
quatre mains m’a done Amor.
Amor molt fait ome hardi,
Amors l’a molt tost anaspri.
Amors, molt dones vasalages !
Amors, molt faiz croistre corages !
Amors, molt es roides et forz !
Amors, molt es de grant efforz !
Amors, tu m’as molt tost conquis;
an po d’ore m’as si sorpris
que je ne puis repos avoir.30
L’autore sembra voler dire che, attraverso la mesure, è possibile raggiungere un equilibrio nell’esperienza amorosa, per affrontare e curare, attraverso un ridimensionamento razionale, la malattia d’Amore, che ha in sé
30
«Se Turno la vuole tenere per sé | credo che gliela contenderò risolutamente,
| e che gli darò dura battaglia; | Amore mi ha dato (la forza di) quattro mani. |
Amore fa l’uomo molto ardito, | Amore lo stimola fortemente. | Amore, suscita
in me un grande valore! | Amore, accresci il mio cuore! | Amore, sei molto aspro
e forte! | Amore, mi doni una grande potenza! | Amore, mi hai rapidamente
conquistato; | in poco tempo mi hai sopraffatto | tanto che non posso piú aver
riposo».
Considerazioni sul Roman d’Eneas
157
la possibilità di uccidere o di sanare, di stimolare le imprese piú eroiche o
di condurre alla morte, di generare fortune o condurre alla distruzione di
chi ne è colpito. Per questo, laddove Didone non aveva avuto sufficiente
lucidità, Lavinia pone in atto una strategia che obbliga anche l’amante
a fare i conti con la signoria d’Amore. Ricevuta la lettera, infatti, anche
Enea inizia a provare gli stessi dubbî, le stesse ansie e le stesse passioni di
Lavinia che, proprio perché condivise, paiono diventare piú sopportabili
anche da parte della giovane.
Certamente, i dubbî possono periodicamente ripresentarsi, specie
quando sono suggeriti da chi si oppone all’unione degli amanti: è il caso
delle calunnie di Amata circa la pretesa omosessualità di Enea,31 alle quali
Lavinia sembra dar credito quando, nella prima fase dell’innamoramento,
l’eroe mantiene un contegno riservato e non mostra lo slancio sperato
dall’amata (vv. 9130-88). La tirade polemica è concepita in termini moraleggianti, ma argomentata con un’inaspettata disinvoltura e un gusto tra il
faceto e il triviale per nulla scontato nella tradizione del romanzo cortese
in versi del XII secolo:
9132
9136
9140
9160
9164
«Ce est», fait ele, «verité,
que ma mere m’a de lui dit:
de feme lui est molt petit
il voldroit deduit de garçon,
n’aime se males putains non.
Son Ganimede a avec soi,
asez li est or po de moi;
il est longuement en ruit,
a garçon moine son deduit;
quant a mené o als son galt
de nule fame ne li chalt.
[...]
Il a asez garçon o soi,
lo peor aime mialz de moi,
fandue trove lor chemise;
maint an i a an son servise,
lor braies sovant avalees:
issi deservent lor soldees.
Maldite soit hui tel nature
31
L’argomento generato vita ad un’ampia bibliografia di riferimento; si ricordino
almeno: Burgwinkle 1993: 1-43 e 2004: 19-87; Gaunt 1992: 1-27; Lankewish
1998.
158
9168
Il Medioevo degli antichi
d’ome qui de femme n’a cure;
il est de ce toz costumiers.
Molt par est malvés cist mestiers
et molt par a fol esciant
qui feme let et home prent.32
La disinvoltura con cui l’anonimo autore concepisce questi versi segnala,
ancora una volta, l’ampia conoscenza tanto della letteratura latina coeva
(dalle commedie elegiache di Vitale di Blois alle reprimende moralistiche
di Alano di Lilla) quanto della temperie culturale volgare che, attraverso
i varî impieghi lirici, comici e satirici del tema, giungerà a costituire quel
vasto retroterra stilematico poi confluito, nel secolo successivo, nel Roman de la Rose di Jean de Meun.
Solo il matrimonio, celebrato alle soglie della conclusione del romanzo, scioglierà definitivamente ogni dubbio in Lavinia e cancellerà, finalmente, lo struggimento e la preoccupazione. Cosí, se per Didone l’atroce
constatazione di aver perduto, con la separazione dall’amato, ogni possibile felicità, era divenuta la causa scatenante del suicidio, in Lavinia
l’esercizio, pur faticoso, della riflessione e della mesure permette di ottenere un finale positivo alla pur tormentata vicenda: nella soggezione alla
signoria di Amore, la fanciulla matura quell’autonomia e quella lucidità
che le permettono di ottenere tutto ciò per cui ha sospirato a lungo.
9.5. Storie di battaglie: tra l’uno e il molteplice
Se il tema amoroso è quello dominante nell’economia interna al romanzo, ampio spazio è comunque dedicato anche alla narrazione dei duelli,
delle battaglie e degli eroi che vi combattono (e, talvolta, vi muoiono).
32
«È ben vero, dice, | quel che mia madre m’ha detto di lui: | delle donne gli cale
assai poco, | vuole aver piacere dai ragazzi, | e non ama altri che giovani marchette.
| Ha con sé il suo Ganimede, | s’interessa assai poco di me; | è continuamente
eccitato, | con i ragazzi conduce il suo divertimento; | e quando ha avuto il suo piacere | non gli importa di alcuna donna. […] Ha con sé molti ragazzi, | il peggiore
(dei quali) ama piú di me, | trova aperta la loro camicia; | ce ne sono molti al suo
servizio, | e i loro calzoni sono spesso calati: | cosí si guadagnano il loro salario.
| Sia maledetta una siffatta natura | d’uomo, che non si cura delle donne; | egli
appartiene proprio a coloro (che praticano) tale costume. | È proprio insano un
tale comportamento | ed è del tutto folle | colui che lascia la donna per prendere
l’uomo».
Considerazioni sul Roman d’Eneas
159
Tra i romanzi antichi, l’Eneas è quello in cui la tematica epico-guerresca
ha il rilievo inferiore (Petit 1985a: 490); anche qui, tuttavia, la critica ha
evidenziato il valore modellizzante della chanson de geste, che è presente
nel romanzo con soluzioni piú originali e meno formulari (Mora-Lebrun
2008: 288-296). In particolare, la schematizzazione manichea “buoni
vs cattivi” va un po’ stretta all’autore dell’Eneas, che si limita quindi ad
adottare una narrazione piana e referenziale delle scene belliche, evitando l’organizzazione del racconto mediante la semplice seriazione di duelli, caratteristica di altre realizzazioni romanzesche.
Nella seconda parte del romanzo, l’estrema linearità delle scene guerresche crea l’effetto di appiattimento acronico delle vicende, che sembrano appartenere a un’unica, lunghissima azione militare che inizia all’indomani dello sbarco nel Lazio per terminare con la morte di Turno. Solo
gli scarsi accenni allo scorrere dei giorni e le due tregue danno contezza
di un’articolazione cronologica degli eventi, che altrimenti risulterebbero
semplicemente accostati uno dopo l’altro in un orizzonte temporale congelato. Si tratta di un’immobilità ben nota al genere epico, che qui è priva
della ripetitività formulare, e s’intervalla alle descrizioni e alle riflessioni
psicologiche dei personaggi che abbiamo già presentato (9.4), risultando
piú fresca e interessante.
Anche la caratterizzazione dei guerrieri risente, come ha fatto osservare Aimé Petit (1985a: 252-83) del cliché della chanson de geste, ma è
arricchita dai tratti psicologici che l’autore mostra di saper delineare, fin
dalla presentazione dei protagonisti. Ciò si evince, in particolare, nelle
descrizioni delle imprese militari piú eclatanti, come quelle di Turno, di
Eurialo e Niso e, soprattutto, di Camilla: la preziosità del dettaglio lascia
intravedere un gusto per la realizzazione di piccoli cammei piú narrativi
(se non, addirittura, simbolici) che epici, in contrasto con la scarsa profondità dei personaggi dell’epica oitanica.
Un ulteriore atteggiamento, per cosí dire, anti-epico si mostra, ad
esempio, nell’incontro oltremondano tra Enea e gli eroi greci e troiani
caduti in battaglia (vv. 2669-98). In un primo momento, l’eroe si vergogna e non riesce ad alzare lo sguardo quando scorge Priamo e gli altri
Troiani, poiché è roso dal senso in colpa per la sua partenza precipitosa,
all’indomani dalla loro morte eroica; d’altro canto, quando si avvicina ad
Aiace e agli altri Greci con la spada sguainata (che in realtà gli serve a fare
luce), ne determina la fuga, poiché gli spiriti temono che sia venuto per
vendicare la distruzione di Troia. Si tratta di atteggiamenti che richiedono
160
Il Medioevo degli antichi
una matura capacità di strutturazione psicologica e di rappresentazione
dell’autocoscienza dei personaggi, che non ci saremmo mai potuti aspettare in un Rolando o in un Olivieri, ma nemmeno in Marsilio, in Baligante
o in alcun altro personaggio di una chanson de geste.
Vi è, tuttavia, un tratto che avvicina molto l’Eneas alla sensibilità narrativa dei testi epici antico-francesi: è l’amplificazione ridondante delle
schiere militari che partecipano alle scene di battaglia. Emblematica, in
tal senso, è la descrizione del costituirsi dell’esercito italico sotto la guida di Turno (vv. 3897-958): dopo l’offesa dei Troiani perpetrata contro i
cavalieri di Tirro, moltissimi baroni italici rispondono all’appello del condottiero: Mesenzio porta con sé mille cavalieri; settecento ne raduna Lauso; mille, tra fanti ed arcieri, ne procura Aventino, e altri mille Messapo,
che fornisce altrettanti puledri di Cappadocia; un numero imprecisato di
soldati conduce il sabino Clauso, a cui si aggiungono quelli inviati da altre
popolazioni italiche e le donne guerriere condotte da Camilla. Insomma:
3956
Ne sai que acontasse plus,
car tant en asembla Turnus,
que genz de pié que chevaliers,
qu’il an prisa set vinz milliers.33
L’amplificatio non si limita ai numeri: in ogni sortita e in ogni slancio,
i soldati si muovono, si aggregano e si disperdono a migliaia, quando
non a decine di migliaia; le battaglie determinano veri e proprî massacri,
con quantità esorbitanti di morti e feriti; e, tuttavia, gli schieramenti e gli
assedî resistono, gli eserciti si rinsaldano e i condottieri o i baroni hanno sempre a disposizione truppe fresche, motivate, ben armate e pronte
all’assalto, in ogni occasione. Si tratta anche qui, con ogni evidenza, di un
uso sapiente delle costruzioni formulari d’impronta epica che, attraverso l’amplificatio, riescono ad attuare qualche minima variatio dentro un
33
«Non so che dire di piú: | ché tanti ne radunò Turno, | tra fanti e cavalieri,
| che ne prese (con sé) centoquarantamila (lett. sette volte ventimila)»; come
spesso capita, le costruzioni iperboliche si discostano o si amplificano da una
copia manoscritta all’altra. Il ms. D, per esempio, rende cosí questo passaggio:
«Que vous en diroie je plus? | Qu’ytant en assambla Turnus | que gent de pié
que chevaliers | qu’en li esma II.C. milliers » («Che dirò mai di piú? | Turno ne
radunò cosí tanti, | tra fanti e cavalieri,| che furono stimati duecentomila»; vv.
4042-5 della ed. Petit).
Considerazioni sul Roman d’Eneas
161
sistema che rifugge dagli eccessivi schematismi, per esaltare l’intreccio
romanzesco.
9.6. Magia, mito, religione
Una tra le principali innovazioni del romanzo rispetto ai suoi modelli
è il ridimensionamento massiccio del ruolo delle divinità pagane e, in
genere, del soprannaturale, che certamente resta presente ma è retrocesso a una funzione accessoria. La critica si è interrogata se la diminuita
presenza del pantheon greco risponda a un’esigenza di natura clericale, o
piuttosto ad un diverso riuso della materia mitologica, deprivata del suo
ambito sacrale;34 al di là delle diverse opinioni espresse in merito, appare
evidente che l’intervento degli dèi o delle figure del mito nelle vicende
del romanzo è usato come escamotage narrativo per risolvere situazioni
d’impasse o per mutare, in forma rapida e indolore, le sorti delle vicende
stesse. In sostanza, un impiego da deus ex machina propriamente detto,
che reinventa un ruolo alle divinità pagane dentro l’orizzonte della narrativa dell’Occidente cristiano non solo quale retaggio di una fonte classica,
ma anche come lecito espediente narrativo generatore di aventure.
Piú che di censura – o, meglio, di auto-censura – clericale (Logié 1999:
177), si dovrebbe parlare di rifunzionalizzazione narrativa, determinata
dal bisogno di verisimiglianza e di credibilità della fabula; un percorso
che, ad esempio, porta la dea Venere ad attribuire il potere soprannaturale di generare l’innamoramento ad un fanciullo, senza dover ricorrere
alla mediazione di Cupido35 (vv. 764-80); o, ancora, permette al narratore
di sostituire Giunone con un semplice arciere nell’atto di distrarre Turno
dalla battaglia e tenerlo lontano per alcuni giorni (vv. 5776-846). Là dove
non è strettamente necessario che gli dèi intervengano direttamente, è
consentito delegare le loro originarie funzioni ad altri personaggi, oppu-
34
Il tema è ampiamente discusso nel capitolo 6 di questo libro; sulle implicazioni
per l’Eneas, si vedano Salverda de Grave 1891: XXXIII; Monfrin 1985: 189-249, in
part. 194-7; Logié 1999: 177-85.
35
Nell’Eneide, invece, Venere manda Cupido a svolgere quella funzione, facendogli
assumere le sembianze di Ascanio e riservando alla sola Didone l’efficacia della missione del dio, quale vendetta contro Giunone (Aen. I, 657-88); il ms. D recupera la
versione del modello, riscrivendo l’intero episodio (vv. 768-99 dell’ed. Petit).
162
Il Medioevo degli antichi
re sostituirne la presenza con soluzioni che presentino piú efficaci esiti
validanti.36
La stessa preoccupazione vale anche quando gli dèi giocano un ruolo
in prima persona: la loro dimensione divina è decisa soltanto dai poteri
soprannaturali che esercitano, e non dalle virtú morali di cui dovrebbero
essere dotati. Eloquente, in questo senso, la digressione che racconta la
costruzione delle armi di Enea (4297-542): la richiesta di Venere al marito
si muove su toni e comportamenti che si attagliano piú a un’astuta seduttrice che ad una dea:
4304
4336
4340
36
El vint a son seignor Vulcan
qui molt est mestre de forgier
or et argent, fer et acier.
El l’acola estroitement
et beisa lo cent foz et cent,
molt lo blandit et losanja.
[…]
«Ce te demant et te requier
or ai besoin de ton mestier
Se joïr vels mes de m’amor,
or la deser par ton labor:
molt me doiz bien lo jor servir,
que la nuit puez o moi gesir
et se tu as auques d’ahan,
bien t’en rendrai lo contrepan».37
Caso emblematico è quello degli dèi inferi, Plutone e Proserpina, che sono citati
solo una volta, ai vv. 2378-82: «Lajus descendent tuit li mort, | l’enpire tient Pluto
par sort, | il en est rois, et Proserpine | en est deesse et raïne» («Laggiù scendono
tutti i morti, | e Plutone , per sorte, ne tiene il governo | e ne è re, e Proserpina | ne
è dea e regina»). Proserpina, in realtà, è evocata anche al v. 2790, col titolo di raïne;
ma in entrambi i casi la presenza è puramente nominale, di cornice, nonostante
i due siano i sovrani del mondo ultraterreno in cui si dipanano le vicende raccontate in quasi settecento versi (vv. 2351-3020). Pur tuttavia, la catabasi conserva
curiosamente il rito della raccolta e della consegna del ramo d’oro, pegno destinato
all’omaggio di Proserpina (vv. 2309-50 e 2785-90); il ramet d’or, come lo chiama
l’anonimo autore del romanzo al v. 2312, è uno degli elementi magico-simbolici piú
celebri del testo virgiliano, e anche tra i piú connotati in senso mitologico-misterico:
proprio il mito del ramo d’oro – identificato dalla critica con il vischio, associato
al culto della Diana Nemorensis – ha dato il via ad una serie di studi d’impianto
antropologico sull’origine della magia e sullo spirito religioso degli antichi, tra i
quali spicca il lavoro monumentale di James Frazer (1950), che da quest’oggetto
prende il titolo.
37
«Ella andò da suo marito Vulcano | che era un artista nel forgiare | oro, argento,
ferro e acciaio. | Lo abbracciò stretto | e lo baciò cento volte e ancora cento, | lo blandí
Considerazioni sul Roman d’Eneas
163
Lo stridore di queste profferte, messe in bocca ad una divinità, doveva
apparire forte allo stesso autore, che sente la necessità di spiegare, con
una digressione (tratta dalle Metamorfosi ovidiane, IV 171-189), quali fossero i motivi pregressi di contrasto tra i coniugi, invero anch’essi assai
poco divini: Venere, infatti aveva tradito il marito giacendo con Marte;
alla scoperta di quel tradimento, Vulcano aveva manifestato contro la
moglie tutta la sua ostilità.38 La necessità – tutta romanzesca – di fornire
armi invincibili al figlio Enea spinge Venere a comportarsi con spudorata
scaltrezza; e anche l’esito della trattativa levantina che i coniugi conducono s’iscrive nell’alveo della piú umana – e, genettianamente, bassomimetica – tra le forme di pacificazione degli amanti in conflitto:
4348
Cele nuit jut o lui Venus,
et fist de li ce que lui plot
e tot sun bon tant com il pot.39
Come si può notare, l’attribuzione agli dèi di comportamenti tradizionalmente umani sottolinea una visione attualizzante e storicizzante della
loro presenza, che serve da un lato a sostenere la veridicità del racconto
(passato da fabula a plausibile historia), e dall’altro a derubricare il loro
ruolo in quello di personaggi di contorno.
Non sarà da escludere, come fa rilevare Logié (1999: 252), una volontà di aggiungere, in queste sezioni del romanzo, un divertissement per il
pubblico: ma da questi versi non emergono particolari tratti di condanna
moralistica del politeismo virgiliano, quanto piuttosto un’evoluzione funzionale del ruolo degli dèi, connessa all’affabulazione romanzesca.
e lo lusingò a lungo. […] “Questo ti domando e ti chiedo: | ora ho bisogno della tua
abilità. | Se vuoi godere del mio amore | ora mi devi essere utile con il tuo lavoro: | devi
servirmi bene durante il giorno | per poter godere di me la notte, | e se tu hai qualche
affanno | saprò darti la giusta ricompensa”».
38
Angeli 1971: 145-6 ricorda che l’allusione agli amori adulteri di Venere e Marte
manca nel ms. F; constatata l’antichità del codice (datato al XIII secolo), la studiosa ipotizza che questa e altre assenze nel ms. F siano la traccia di una redazione
piú antica del romanzo, conservata solo da questo testimone; l’ipotesi, tuttavia,
non ha mai pienamente convinto la critica, come ricorda anche Mora-Lebrun
2008: 316.
39
«Quella notte Venere giacque con lui | che fece di lei ciò che piú gli piacque | e tutto
il suo piacere, quanto poté».
164
Il Medioevo degli antichi
9.7. Fondare la città per creare la civiltà
Si è visto come il romanzo dedichi ampia attenzione ai luoghi, attribuendo
un ruolo centrale alla città. L’ultima in ordine di apparizione nel racconto è
Albe, ossia Albalonga, citata soltanto al v. 10134, una manciata di couplets
prima della conclusione. Ciononostante, essa assume un ruolo chiave
all’interno dell’intero percorso ideologico del romanzo. Si è piú volte
ripetuto che tutto l’Eneas è percorso dal realizzarsi di eventi determinati da
un disegno preordinato, che concretizza la missione fatale della fondazione
della città, e con esso della nascita di una nuova nazione.40 Il punto in cui
questo tema emerge con maggior forza è proprio il finale del romanzo.
Laddove l’Eneide s’interrompeva con la fredda immagine di Turno a
terra, colpito a morte dalla vendetta di Enea per l’uccisione di Pallante,41
il romanzo francese aggiunge un’ulteriore digressione dedicata agli amori
di Enea e Lavinia, coronati dal giuramento di fedeltà da parte dei baroni,
dalle nozze e dalla fondazione di Albalonga, che è evocata come pretesto
per richiamare la profezia di Anchise sulla futura progenie del Troiano,
che annovera anche i gemelli fondatori di Roma.42 Il romanzo si chiude,
quindi, con la fondazione di una civiltà, dalla quale trarrà i natali un altro
fondatore di città, Romolo, che darà origine all’esperienza politica che
segnerà in modo indelebile i destini dell’Occidente. Il romanzo era partito, diecimila versi prima, da un’altra città, Troia, la piú letteraria e mitica
del mondo antico:
4
40
Quant Menelaus ot Troie asise,
onc n’en torna tresqu’il l’ot prise,
gasta la terre et tot lo regne
por la vanjance de sa fenne.43
Sul tema, si veda Talarico 1981: 202-24.
Cosí, infatti, si chiude l’Eneide: «Hoc dicens ferrum adverso sub pectore condit |
fervidus: ast illi solvuntur frigore membra | vitaque com gemitu fugit indignata sub
umbra» («Così dicendo gli affonda, furente, il ferro in mezzo al petto; | a quegli, nel
freddo si disfanno le membra | e la vita fugge con un gemito, altèra, tra le ombre»,
Aen. XII, 949-51).
42
«Cil firent la cité de Rome, | que Romolus li anposa | son nom, que primes li dona»
(«Costoro edificarono la città di Roma | alla quale Romolo impose | il suo nome che
per primo gli diede», vv. 10154-6).
43
«Quando Menelao ebbe cinto d’assedio Troia | non lo levò fino a che non l’ebbe
conquistata, | devastò la terra e tutto il regno | per prendere vendetta di sua moglie».
41
Considerazioni sul Roman d’Eneas
165
Possiamo vedere nel rapporto tra questi due luoghi – entrambi letterarî ed entrambi collocati in posizione preminente, all’inizio e alla fine
del testo – il paradigma di quel rapporto tra Occidente e Oriente che, nel
XII secolo si fonda sull’assunto che il potere – regale e sacrale, incarnato
dalla città, dalle sue mura e dal signore che la governa – sia il vero continuum tra mondo antico e medievale. Quel potere, generato dalle epiche
battaglie davanti alle porte di Troia, diventa il lavacro mitico che legittima
le casate che governano il panorama della Francia medievale, ma che incarna, soprattutto, una straordinaria funzione letteraria di ricucitura tra
la tradizione antica e la contemporaneità culturale.
La ricordata prospettiva della translatio studii et imperii (5.1) inizia,
cosí, ad assumere il rango di vero e proprio tópos, abbracciando idealmente due realtà: una spaziale, che è l’Oriente del mito e della meraviglia
(conosciuta dal mondo occidentale attraverso le letture dei resoconti di
mercanti, viaggiatori, pellegrini e soldati crociati), e l’altra culturale, che
prende a modello la saggezza e il potere degli antichi, rendendoli di nuovo conoscibili e fruibili. È una duplice translatio, che contempla il potere
e il sapere. Non sia superfluo ricordare che la filosofia appare sulla scena
intellettuale del mondo occidentale provenendo dalla Grecia: la stessa
religione cristiana è una religione mediorientale; e non si sottovaluti, in
tempo di crociate, la dinamica di incontro/scontro tra civiltà, culture e
religioni, che fa della translatio non tanto una prospettiva di deferente
omaggio, quanto un vero e proprio transfert ideale che sancisce la preponderanza di un nuovo centro di interessi (sociali, politici, economici e
letterarî) costituito dalla galassia feudale dell’Occidente cristiano.
Cosí, la translatio si fa piú propriamente traditio: gli antichi consegnano idealmente ai moderni la legittimazione del potere anche attraverso
la trasmissione del loro sapere, che è la piú grande eredità del mondo
classico acquisita dalla società del XII secolo.
Dentro questo paradigma, la città diventa il simbolo tangibile dell’eredità:
e se Troia rappresenta l’archetipo delle origini mitiche della chevalerie (perché ha dato i natali al potere imperiale di Roma attraverso Enea), Albalonga
e Roma segnano le tappe di un percorso che ricongiunge (anche attraverso
la clergie, vale a dire la cultura e la letteratura) le antiche genealogie degli eroi
con quelle dell’emergente feudalità francese e anglonormanna, che fin dai
tempi della panegiristica imperiale dei Franchi e per tutto il XVI secolo si
rivolge a questa tradizione per rivendicare la propria legittimazione politica.
166
Il Medioevo degli antichi
L’orizzonte ideologico dell’Eneas muove dalla distruzione di una città
per raccontarne la ri-fondazione: Enea non è il protagonista d’un viaggio, quanto il concreto realizzatore di un’ambizione: quella di fondare un
nuovo mondo portando con sé il meglio della storia passata. Per questo
l’anonimo autore del romanzo non poteva, come Virgilio, far chiudere
la vicenda sul campo di battaglia, contemplando lo scorrere del sangue
di Turno e lasciando che il lettore immaginasse il sereno realizzarsi della profezia di Anchise. Era necessario, per il nostro translator, mostrare
esplicitamente le prospettive future, raccontando il concreto realizzarsi
delle predizioni e mostrando l’incastrarsi perfetto tra il prima del mondo
classico e mitico dell’Oriente troiano e il dopo della continuità medievale
a lui coeva. Lo stesso incastro che, pochi anni dopo, Chrétien de Troyes
avrebbe concretizzato nel suo Cligès, ponendo in capo alla Francia medievale il ruolo di patria predestinata dal disegno divino a possedere quel
valore e quella virtú che si erano sviluppati in Grecia e in Roma, ma che
non avevano fatto parte della dote degli antichi:
36
40
44
Dex doint qu’ele i soit retenue
Et que li leus li abelisse
Tant que ja mes de France n’isse
L’enors qui s’i est arestee.
Dex l’avoit as altres prestee:
Car des Grezois ne des Romains
Ne dit an mes ne plus ne mains,
D’ax est la parole remese
Et estainte la vive brese.44
Ciò che sarà una certezza – e in certo modo anche una scommessa – per
Chrétien è, piú modestamente, per l’autore dell’Eneas, la prospettiva dalla quale egli osserva – e racconta – la storia di Enea. Attraverso la sua
sapiente rielaborazione nasce un libro che fonda, prima di ogni altra cosa,
un punto di vista sulla storia dell’Occidente medievale, che vede nella
nuova società cortese, raccontata attraverso gli antenati, la fiducia sincera
nell’affermazione di una nuova civiltà.
44
«Dio conceda che essa sia mantenuta | e che il luogo gli piaccia | tanto che mai si
allontani dalla Francia | l’onore che si è fermato qui. | Dio l’aveva prestata ad altri: |
perché dei Greci e dei Romani | non si dice piú alcun motto, | d’essi si tace ogni parola
| e si è estinta la brace viva».
APPENDICE
LE SINOSSI DEI ROMANZI
205
IL ROMAN D’ENEAS*1
A differenza di Thebes e Troie, il romanzo si apre senza prologo, e anziché
seguire il modello omerico dell’illustre precedente virgiliano, che iniziava
in medias res la vicenda ricorrendo all’ordo artificialis, apre la narrazione
dall’antefatto troiano: sono rievocati sommariamente l’assedio di Troia,
la devastazione violenta della città e la decisione di Enea di lasciare la
città nottetempo, insieme a numerosi sodali, portando in spalla il padre
Anchise e tenendo per mano il figlio Ascanio. Partiti con venti navi ben
equipaggiate, i fuggitivi salpano verso Occidente, con Enea come guida.
L’ira di Giunone, nemica dei Troiani a causa del giudizio di Paride, manda contro le navi venti e tempeste, che mettono a dura prova i naviganti.
La furia degli eventi dura per tre giorni e tre notti: alcune navi affondano,
trascinando a fondo gli sventurati passeggeri; quando ormai tutto sembra
perduto, il vento cessa e il mare si placa: all’orizzonte delle sette navi superstiti ecco apparire le coste della Libia (vv. 1-356).
La terra, all’apparenza disabitata e selvaggia, è sotto la giurisdizione
di Cartagine, una città straordinariamente ricca, popolosa e dedita al
commercio e all’artigianato. Vi regna la tiria Didone, che la amministra
saggiamente e sovrintende in prima persona ai lavori di costruzione dei
monumenti cittadini. Gli ambasciatori troiani le chiedono asilo per poter riparare le navi danneggiate dalla tempesta. Didone, che conosce le
vicende della guerra troiana, acconsente, e manda a chiamare Enea, che
giunge al cospetto della sovrana con un’ampia scorta di cavalieri. Il primo incontro con la regina suscita l’ammirazione nei Troiani, tanto per
l’opulenza della città quanto per la generosa cortesia che essa mostra nei
confronti dei naufraghi. Enea, allora, manda a chiamare il figlio, affinché
porti con sé ricchi doni, per omaggiare la sovrana cortese. In quel frangente, Venere abbraccia il piccolo Ascanio, attribuendogli il potere di
* La sinossi del Roman d’Eneas è di Roberto Tagliani.
206
Il Medioevo degli antichi
far innamorare coloro che egli bacerà. Durante un banchetto, nel quale
Enea rievoca le dolorose vicende di Troia – il giudizio di Paride, l’assedio
di Menelao, la morte degli eroi troiani, lo sciagurato inganno del cavallo
e il conseguente eccidio dei cittadini, fino alla fuga verso le terre dell’avo
Dardano e alla morte del padre Anchise – il sentimento instillato dal bacio di Ascanio infiamma il cuore di Didone; durante la notte, chiusa nella
camera regale, la regina si strugge e si tormenta per la passione. La sorella
Anna le suggerisce di prendere Enea in sposo e di farne il suo paladino
contro le insidie dei baroni, ma la regina è incapace di ragionare razionalmente, in preda al crescente delirio amoroso. Durante una battuta di
caccia, Didone ed Enea sono sorpresi da un temporale: si rifugiano in
una grotta, e consumano la passione che ha infiammato i loro cuori. Al
ritorno, la fierezza di Enea, signore della situazione, e la soddisfazione
della sovrana fomentano dicerie in tutta la Libia. Quando, d’improvviso, gli dèi ricordano ad Enea la sua missione, l’eroe, pur a malincuore,
prepara di nascosto la partenza. Saputa la notizia, la regina tenta in ogni
modo di dissuaderlo dal suo proposito, ma a nulla valgono parole e preghiere: Enea è mosso dal volere degli dèi, e parte. Didone, maledicendo
la sorte e l’infedeltà dell’amato, rabbiosa e folle si pugnala a morte, per
poi abbandonarsi tra le fiamme, mentre le navi troiane lasciano la costa
(vv. 257-2144).
Enea approda in Sicilia, nei pressi della tomba paterna. Fa celebrare
dei giochi in onore di Anchise, che gli appare in sogno, imponendogli di
lasciare in quel luogo i vecchi e portare con sé solo i giovani: dovrà infatti
combattere un’aspra guerra, sposare la figlia di un re e fondare una nuova
nazione e una nuova stirpe. Prima di ciò, però, dovrà raggiungere l’antro
della Sibilla, a Cuma, discendere negli Inferi e parlare con il suo spirito.
Enea parte, secondo le indicazioni del genitore: giunto al cospetto della
profetessa, si procura il ramo d’oro per omaggiare Proserpina, attraversa
la porta dell’Inferno e intraprende il suo viaggio ultramondano. Supera
il fiume infernale con il riottoso aiuto del nocchiero Caronte, elude la
sorveglianza di Cerbero grazie agli incantesimi della Sibilla, incontra le
anime dei fanciulli nati morti, vede Minosse, il giudice infernale, incontra
i morti per causa d’amore, tra i quali scorge Didone: a lei rivolge parole
di scusa, sdegnosamente respinte dalla regina, che fugge. Proseguendo,
l’eroe incontra numerosi cavalieri tebani, greci e troiani morti sui campi
di battaglia; giunge alla fortezza di Dite, cinta di mura ferrigne e bagnata
dal rosso Flegetonte: qui sono puniti i giganti ribelli agli dèi, Tizio se-
Il Roman d’Eneas
207
duttore di Diana, Tàntalo e molti altri dannati, sottoposti a incessanti ed
eterne torture. Ma Enea è destinato ad altro viaggio: date le spalle alla
fortezza e deposto il ramo d’oro all’incrocio delle vie che separano i due
mondi ultraterreni, si dirige verso i Campi Elisi. Qui incontra il padre Anchise, che pronuncia la sua profezia sulla futura discendenza: gli mostra
lo spirito di colui che sarà suo figlio, Silvio, partorito da Lavinia, figlia di
re Latino e moglie predestinata di Enea; gli mostra poi i piú illustri tra
gli uomini della sua futura progenie: Silvio Enea, Romolo, Giulio Cesare
e Augusto. Anchise non gli tace le difficoltà che dovrà affrontare prima
di ottenere il bene promesso: Enea è turbato, ma fiero di essere chiamato
a realizzare un cosí grande progetto. Commosso, si congeda dal padre e
torna ai suoi che l’attendono sulla riva, per riprendere il mare (vv. 21453050).
I Troiani danno le vele al vento e raggiungono, finalmente, il Lazio, la
terra degli avi promessa dagli dèi. Su di essa governa l’anziano re Latino,
a cui Enea manda messaggeri per spiegare le ragioni del loro approdo.
Fa, nel frattempo, costruire una torre ben guarnita sul Monte Albano,
dove i Troiani trovano rifugio. L’anziano re, commosso dalle tragiche vicende degli esuli e in ossequio ai diritti della stirpe dardanide, consente
loro d’installarsi nelle sue terre e promette in sposa ad Enea la giovane
figlia Lavinia, già promessa a Turno. La moglie di Latino, Amata, è contraria alle decisioni del marito, e manda messaggeri a Turno, per avvertirlo
delle mutate intenzioni del consorte. Turno medita propositi di guerra e
di vendetta contro il rivale, venuto a contendergli la donna, e con questa
il potere sulla terra. Durante una battuta di caccia, Ascanio uccide il cervo
di Silvia, figlia di Tirro, un vassallo del re Latino; le proteste della giovane
fanno accorrere molti cavalieri in suo aiuto: ne scaturisce una zuffa violenta, che degenera presto in battaglia. I Troiani attaccano il castello di Tirro,
ne uccidono il figlio e saccheggiano il borgo. Quando la notizia giunge a
Laurento, la capitale del regno di Latino, Turno ha gioco facile nel sollevare i baroni contro lo straniero e contro la decisione del re di accordargli
ospitalità; con parole risolute li esorta a radunare un esercito contro i Troiani e a prepararsi all’assedio del castello dardanide (vv. 3051-4296).
Mentre gli Italici progettano l’assedio, Venere, madre di Enea, chiede
a Vulcano di forgiare armi magiche e invincibili per l’eroico figlio, in vista
della guerra: il dio, dopo una notte d’amore, acconsente. Con l’armatura
sfavillante, Enea raccoglie i suoi e organizza la resistenza. Per ottenere
aiuti contro il grande apparato di forze messe in campo da Turno, l’eroe
208
Il Medioevo degli antichi
si reca da Evandro, re della vicina Pallanteo, sulle cui spoglie sorgerà
Roma. Risalito il Tevere fino alla corte del sovrano, ne riceve il sostegno e
l’allenza: con cento navi e mille uomini, posti sotto la guida del figlio Pallante, armato cavaliere dallo stesso Enea, partono alla volta della fortezza
assediata. Frattanto, i Troiani resistono, con valore, agli assalti di Turno
che, approfittando dell’assenza di Enea, ha fatto distruggere le navi troiane, sferrando numerosi attacchi. La città resiste, difesa da soldati valorosi
come Eurialo e Niso, la cui improvvida sortita notturna, che determina
gravi perdite nel campo nemico, conduce i due giovani a una tragica fine.
Turno moltiplica le incursioni, a costo di gravissime perdite: ma la ferocia
con cui combatte nulla può contro la valorosa resistenza dei Troiani (vv.
4297-5601).
All’arrivo di Enea, la battaglia infuria selvaggia: in un duello Turno
colpisce mortalmente Pallante. In sommo spregio, Turno toglie al cadavere l’anello che Enea gli aveva donato armandolo cavaliere. Assetato di
sangue, Turno si rimette nella mischia ma, salito su una nave per colpire
un arciere, si trova sospinto al largo, rimanendo lontano dalla battaglia
per qualche giorno. Intanto Enea, compianto il corpo esanime di Pallante, giura vendetta e spinge nella mischia, incalzando con tutte le sue
forze: uccide Lauso e suo padre Mezenzio, luogotenenti di Turno. Dagli
assedianti è proposta una tregua, per seppellire gli ormai numerosissimi
morti. Si celebrano i solenni funerali dei caduti e Pallante, riaccompagnato nella città natale, è sepolto con tutti gli onori (vv. 5602-6536).
Re Latino riunisce la corte a Laurento: propone la fine delle ostilità e
l’assegnazione ai Troiani di un territorio selvaggio che va «des l’eve de Toscane | desi qu’al flueve de Sicane» («Dal fiume della Toscana | fino al fiume
dei Sicani», vv. 6577-8). Drance, a nome dei baroni, approva la proposta,
che porrebbe fine al diuturno eccidio di soldati. Il barone lancia a sua volta
una proposta: se Turno è contrario al volere del re, sfidi a duello Enea, e
la sorte di Lavinia e della sua eredità sia decisa da un’ordalía. Mentre si
accende la discussione, scadono i termini della tregua; la parte troiana si
lancia nuovamente all’attacco e le ostilità riprendono, piú feroci e selvagge
di prima. La prima sortita è tentata da Camilla, alla testa di cento agguerrite
amazzoni: scambiate per dee, sbaragliano gli stupiti Troiani. Solo Arrunte, che l’ha seguita, riesce a colpirla a morte, con grande gioia dei suoi.
Appresa la notizia, Turno, che era in procinto di tendere un agguato ad
Enea, interrompe le operazioni militari: tutti cessano di combattere, dentro
e fuori Laurento. Enea fa montare una sontuosa tenda su un colle di fronte
Il Roman d’Eneas
209
alla città, dove stabilisce il suo accampamento. Mentre tace la battaglia, si
celebrano i riti funebri in onore di Camilla (vv. 6537-7724).
Messo in difficoltà dalla forza degli assedianti, Turno accetta di sfidare
a duello Enea per ottenere Lavinia; dalla decisione scaturisce una nuova
tregua. Mentre fervono i preparativi, Amata, la regina, tenta invano di
convincere la fanciulla a scegliere Turno, evitando inutili spargimenti di
sangue: ma la giovane rifiuta. Quando, dall’alto di una torre, Lavinia vede
Enea uscire dalla tenda, se ne innamora all’istante: in una lunga notte
di tormentate riflessioni amorose decide di comunicare la sua scelta alla
madre: amerà soltanto Enea, non sarà mai di Turno. Frattanto, avanzano
i preparativi per il duello, e s’intensifica l’innamoramento della giovane
per l’eroe, tra atroci dubbi e sospirosi desiri. Alla fine, Lavinia decide di
mettere in una lettera tutto il suo travagliato sentimento: scrive la missiva,
la arrotola attorno a una freccia e la fa scagliare da un arciere nel campo
troiano. Enea teme, per un istante, che la tregua sia rotta: ma ben presto,
leggendo lo scritto, comprende bene quale sia la situazione. Anche nel
suo cuore si accende l’amore per Lavinia, verso la quale lancia fugaci
sguardi, da lontano. Per entrambi la notte è foriera di dubbi e di sospetti,
mentre il solo disvelarsi di un rapido cenno, nel giorno luminoso, sana
ogni piú negativo e atroce pensiero (7725-9274).
Mentre gli amanti si osservano, segretamente, da lontano, scadono i
termini della tregua; si preparano i campioni del torneo: Enea da un lato,
Turno dall’altro. Enea rivendica l’immunità per il figlio e il suo popolo,
in caso di sconfitta: le sue parole infiammano lo spirito partigiano di uno
dei soldati di Turno, che si scaglia contro un troiano, uccidendolo. Infuria
di nuovo la battaglia: niente piú duelli cavallereschi e cortesi, ma violente
e confuse mischie. Enea, disarmato, viene colpito da una freccia: Turno
si avventa su di lui, ma il sacrificio del prode Neptanebo gli impedisce
di ucciderlo. Curato nella tenda con il díttamo, Enea torna in campo e
capovolge le sorti della battaglia, che in sua assenza aveva preso una piega
difficile per i Troiani. L’eroe ordina l’assalto e l’incendio di Laurento: alla
vista delle fiamme, Turno capisce che non può piú proseguire oltre senza
mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza del regno di Latino. Accetta
di battersi in singolar tenzone con Enea il quale, nonostante il valore del
campione italico, lo sbaraglia e lo mette a terra, costringendolo alla resa
(vv. 9275-9774).
Enea ha vinto, e prova pietà per Turno. Sta per concedere il perdono
al nemico sconfitto, quando vede che esso indossa l’anello di Pallante: gli
210
Il Medioevo degli antichi
sovviene allora il sacrificio del giovane, per vendicare il quale brandisce la
spada e decapita Turno. Tra le grida di gioia dei Troiani e le meste espressioni di lutto degli Italici, si decidono i giorni degli sponsali: con rammarico di Lavinia, essi non sono immediati, ma posticipati di otto giorni;
un tempo sufficiente per suscitare, ancora una volta, dubbi e tensioni
nella giovane. Finalmente si celebrano le nozze, in cui tutti gli animi sono
pacificati e in cui gli amanti, finalmente sposi, possono iniziare a vivere
in pace; coronato il sogno d’amore, e avuto da Latino il potere su tutto
il Lazio, Enea fonda una nuova città, Albalonga, dove vivrà con Lavinia,
i suoi e la sua stirpe, dalla quale nascerà anche Romolo, il fondatore di
Roma e del suo straordinario e glorioso impero (vv. 9775-10156).
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257
INDICE DELLE COSE NOTEVOLI
accessus, 112 e n, 113 e n, 114, 115,
116 e n
adattamento/riscrittura, 13n, 21,
38, 39, 60, 65, 66, 71, 107, 108,
117, 139, 142
alessandrino, verso, 19
ambiguità, 54, 76n, 83, 134, 182
amore, malattia d’ (ovidiana), 102,
103, 150, 151, 156
amplificatio, 39, 61, 67, 69, 91, 93n,
139, 145, 160 e n, 173, 174
anacronismo, 54, 74, 77 e n, 78, 84,
127, 128, 132
argumentum, 76, 112, 119 e n
bizantino, romanzo, 22
brisure du couplet, 19n, 178
camera di beltà v. chambre de beautés
catabasi, 93, 96, 154, 162n
chambre de beautés, 71, 84, 85 e
n, 183, 185n, 186, 187 e n, 188,
190, 212
chanson, genere lirico, 66
chanson de geste, 19, 20, 27, 43,
68, 74, 75, 89, 90, 91, 92, 97,
99, 102, 109, 110 e n, 129, 132,
133, 134, 141, 147, 159, 160,
176, 182
chanson de toile, 136
Chartres, scuola di, 27 e n, 28, 29,
30n, 56, 95
chevalerie/clergie, 53, 57, 58 e n,
59, 88, 139, 148, 165, 177
ciclificazione, 40, 42, 43, 51, 143
clichés narrativi, 142, 151, 159,
compagnonnage, 91
couplet d’octosyllabes, 19 e n, 31,
108, 110, 123, 134, 139, 164,
170, 178
Crociate, 11, 25, 26 e n, 35n, 44,
78, 127, 129, 130 e n, 131, 132
e n, 165
décasyllabes, 19, 118
descrizione v. ékphrasis
discorso indiretto libero, 92
dit, genere letterario, 21, 66
don contraignant, 136
ékphrasis, 69, 83, 84, 120, 144, 179,
181n, 202, 212
enciclopedia/enciclopedismo,
58n, 69, 70 e n, 71, 84, 120, 130,
141, 144, 173
entrelacement, 91 e n, 178
fabliaux, 21, 25n, 63, 66, 109
fabula, 28, 29, 45, 48, 71, 76 e n,
89, 95, 96, 117, 135n, 141, 144,
149, 161, 163, 174, 194
258
glosse, 58n, 60, 63 e n, 64, 65, 66,
72, 78, 111, 112, 119, 143
greco, romanzo, 19
greco, teatro, 22
integumentum, 28, 95
khargiat, 27n
lais, 18, 21, 23 e n, 32,
lassa, 91 e n, 75, 91 e n, 133
lettrines, 31, 32, 33, 34, 36, 81, 123
meraviglioso, 47, 52, 84, 99, 117,
120, 143, 165, 174, 184, 185 e n,
186, 187, 188, 201, 212
mesure/desmesure, 33, 56, 150,
151, 153, 156, 158, 182, 184 e n
miniature, 14, 41, 43, 44, 45, 48, 49
e n, 50, 77
mise en abyme, 87 e n, 88n, 96
mise en cycle v. ciclificazione
mise en prose, 173n, 193, 194, 195,
196
mise en roman, 21, 56, 96, 117
neoplatonismo, 28, 29
octosyllabes, 19 e n, 21, 31n, 41,
133, 139, 169, 170, 176
ordo naturalis / ordo artifcialis 67n,
92 e n, 93 e n, 94, 96, 118, 139,
174, 205
Palladio, statua del, 173n, 215
Il Medioevo degli antichi
planctus, 101, 103, 118 e n, 119,
134, 147 e n
Plantageneti, dinastia, 9, 13, 23n,
25, 30, 31n, 32, 34, 35, 73, 100,
116, 139, 140, 142, 170 e n,
175n, 177, 191
primogenitura, 86, 87, 116, 126,
127, 182
ramo d’oro, 162n, 206
rimes plates, 19, 31n, 169
rinascenza, 25, 26, 27, 143, 187
rota Vergilii, 109
Saint-Denis, scuola di, 31n
sincretismo, 77, 79, 94
specula principum, 80, 86, 125
Terrasanta, 130 e n, 131, 132n
terre gaste, 82 e n, 110
tópos/tópoi, 27, 34, 40, 55, 154,
165, 171n, 172, 173, 175n, 177
translatio imperii et studii, 21, 47,
53 e n, 57, 61, 73, 80, 139, 141,
165, 177, 184
trascendenza, 89, 93, 97
trifunzionalismo
indoeuropeo,
29n, 82, 83n, 87
utopia, 86, 184
vello d’oro, 46, 48 e n, 50, 174, 211
volgarizzamenti, 21 e n, 59, 195
259
INDICE DEI PERSONAGGI LETTERARÎ
Achille, 48, 69, 75, 97, 101, 103,
173n, 174, 178, 182, 183, 186,
187, 190, 191, 192, 193, 212,
213, 214
Adrasto, 69, 70, 82, 83 e n, 84,
96, 100, 101, 120, 121, 125 e
n, 126n, 134, 135 e n, 136, 201,
202, 203
Agamennone, 194n, 212, 213, 215
Agrippa, conte di Sicilia, 132
Aiace d’Oileo, 215
Aiace (Telamonio, spesso confuso
con Aiace d’Oileo), 159, 173n,
214
Alexandre, figlio di Dario il Rosso,
202, 203
Alexandre, padre di Cligès, 40 e n
Amata, moglie di Latino, 157, 207,
209
Amazzoni, 102, 185, 214
Amore (dio), 89, 97, 102, 150 e n,
151 e n, 154, 155 e n, 156 e n,
157, 158, 190 e n
Anchise, 142, 164, 166, 205, 206,
207
Andromaca, 49, 189, 213
Anfiarao, 94, 120, 129, 132 e n, 202
Anfimaco, 215
Anna, sorella di Didone, 206
Antenore, 73 e n, 215
Antigone, 69, 101, 202, 203
Antiloco, 214
Apollo, 128 e n, 214
Aracne, 94
Archémore, 95, 96
Argo di Tespi, 211
Argonauti, 41n, 46, 68, 169, 172n,
174, 175, 211,
Arrunte, 209
Artú, 9, 14, 20, 46, 47, 69n, 100
Ascanio, 161n, 205, 206, 207
Astarot, 120, 129n, 202
Athon, 202
Atys, 127
Aventino, 160
Baligante, 160
Blancheflor, 40 e n
Briseida, 34, 69, 85, 97, 101, 103,
174, 178, 189, 190, 192, 196,
212, 214,
Brut, 9, 13 e n, 32, 42, 73, 82
Brutus v. Brut
Bucefalo, 132
Caino, 81
Calcante, 212, 215
Calidone, 201
Camilla, 69, 70, 83, 88, 102, 147,
148 e n, 159, 160, 179n, 187n,
208, 209
Capaneo, 94, 203
260
Carcodet, 129n
Caronte, 206
Cassandra, 182, 211, 215
Castore, 212
Cerbero, 206
Circe, maga, 189 e n, 215
Clauso, 160
Clitemnestra, 215
Cosroe, re persiano, 19n
Creonte, 203
Criseida, v. Briseida
Cupido, 161 e n
D’Artagnan, 13
Dario il Rosso, 86, 92, 101, 121 e n,
123, 131, 134, 202
Deifebo, 213
Delfi, oracolo di, 212
Diana, 162n, 207
Didone, 50, 64, 69, 80, 82, 83 e n,
84, 88, 96, 97, 101, 141, 145,
146n, 147, 150 e n, 151, 152 e n,
153, 154 e n, 156, 157, 158, 161,
181, 205, 206, 236
Diomede, 34, 91n, 101, 103, 174,
178, 185, 189, 212, 213, 214, 215
Drance, 208
Ecuba, 49, 83, 97, 101, 177, 178n,
182, 183, 189, 193, 213, 214,
215
Edipo, 9, 50, 68, 81, 83, 93n, 95,
96, 101, 108n, 110, 118, 119,
121, 129n, 131, 201, 202
Elena di Troia, 34, 48, 50, 69, 97,
101, 103, 149, 174, 175, 176,
183, 189, 195, 196, 211, 212,
214, 215
Eleno, 59, 81n, 182, 214
Enea, 9, 11, 13 e n, 28, 32, 35, 41,
42, 50, 67n, 69, 73, 75, 79 e n,
Il Medioevo degli antichi
83, 85, 87, 92, 93 e n, 94, 96, 97,
101, 103, 141, 142, 147, 148,
149, 152 e n, 153 e n, 154 e n,
155, 156, 157, 159, 162, 163,
164, 165, 166, 205 e n, 206, 207,
208, 209, 210, 215
Eracle (Eraclio), 19 e n
Eracle, v. Ercole
Ercole, 19, 41 e n, 211
Esione, 201
Eteocle, 34, 68, 81, 82, 83, 86, 100,
101, 108n, 110, 115, 118, 121,
121 e n, 123, 124, 125, 126 e n,
127, 131, 132, 134, 201, 202,
203, 237
Ettore, 41 e n, 48, 49, 69, 83, 85,
101, 102, 177, 179 e n, 182, 186,
187, 194, 212, 213
Eurialo, 91n, 159, 208
Eva, 80, 81
Evandro, 147 e n, 208
Fenice, 40n
Filomela, 54
Floire, 40 e n
Francus, 73
Ganimede, 157
Giasone, 41n, 46, 50, 51, 85, 97,
101, 102, 103, 174, 175n, 176,
190, 193, 196, 211
Ginevra, 184
Giocasta, 83, 101, 108, 110, 119,
126, 202, 203
Giosué, 40
Giove, 83, 120, 182
Giunone, 88, 94, 149, 161 e n, 182,
205
Goodwin, Archie, 91
Indice dei personaggi letterarî
261
Holmes, Sherlock, 91
Mosé, 40
Ippomedonte, 202
Ipsipile, 196
Isifile, 201
Ismene, 69, 101, 127, 136, 202
Isotta, 20
Narciso, 14, 191 e n
Neptanebo, 209
Niso, 91n, 159, 208
Jones, Indiana, 41n
Laio, 50, 83, 96, 118, 129n
Laomedonte, 211
Latino, re, 79n, 80, 84, 207, 208,
209, 210
Lauso, 160, 208
Lavinia, 35, 41, 69, 79 e n, 85, 87,
88, 96, 97, 101, 141, 150, 154,
155, 156, 157, 158, 164, 207,
208, 209, 210,
Licurgo, 95, 130, 136, 201, 202
Maometto, 128 e n
Margaritone, 213
Marsilio, 160
Marte, 72, 96 e n, 120, 163
Medea, 51, 85, 97, 101, 102, 103,
174, 189, 190, 191, 193, 193, 211,
Melampo, duca di Baille, 130
Meleagés, 121, 126, 134, 202
Melusina, 31n
Memnone, 214
Menelao, 34, 87, 101, 164n, 173n,
206, 211, 212, 214
Mesenzio, 160
Messapo, 160
Mezenzio, 208
Minerva, 120, 215
Minosse, 206
Montalbano, Salvo, 41
Mordret, 184
Olivieri, 160
Oreste, 215
Orlando, 91,134, 160
Palamedes, 194n, 212, 213
Pallade Atena, 88, 94, 148
Pallante, 69, 85, 147 e n, 148, 164,
187n, 208, 209
Paride, 29, 34, 64, 68, 69, 70, 72,
79n, 81 e n, 85, 86, 87, 88, 93,
96, 97, 101, 103, 113n, 118, 149
e n, 173, 174, 175, 176, 183,
186, 205, 206, 211, 212, 214,
241
Partenopeo, 133 e n, 202
Patroclo, 91, 212
Pelia, 211
Pelope, 54
Pentesilea, 83, 102, 173n, 189, 214
Piramo, 19, 88n
Pirro, 173n, 183, 214, 215
Pistropleus, 185 e n
Plutone, 162n
Polinice, 35, 68, 81, 83, 86, 90, 95,
108n, 110, 115, 118, 120, 121,
122n, 123, 124, 125, 126 e n,
133, 134, 201, 202, 203
Polissena, 97, 101, 103, 174, 177,
178 e n, 183, 189, 190, 213, 214,
215
Polluce, 212
Priamo, 49, 59, 71, 73, 81n, 83, 85,
159, 179, 182, 183, 211, 212,
213, 214, 215, 241
262
Procne, 54
Procuste, 22
Proserpina, 162n, 206
Rolando v. Orlando
Romolo, 81, 164 e n, 207, 210
Sagittario, 52n, 185 e n, 186, 188,
212
Saladino, 88n
Salemandre, 101, 203
Salomone, 46, 56, 171
Sfinge, 50, 95, 96, 129n, 202
Sibilla, 206
Sicheo, 83n, 153
Silvia, 207
Silvio Enea, 207
Silvio, 207
Soredamor, 40 e n
Tantalo, 207
Telamone, 211
Telegono, 189n, 215
Tervagan, 128 e n
Teseo, 120
Tideo, 34, 90, 125 e n, 126, 134,
201, 202, 237
Il Medioevo degli antichi
Tirro, 160, 207
Tisbe, 19, 88n
Tizio, 206
Tristano, 20, 32
Troilo, 34, 59 e n, 85, 97, 101, 103,
174, 178, 189, 192, 196, 212,
213, 214
Turno, 87, 101, 102, 147n, 148,
156 e n, 159, 160 e n, 161, 164,
166, 207, 208, 209, 210
Ulisse, 76, 91n, 149, 178, 185,
189n, 212, 213, 215
Usarche, 131
Venere, 72, 86, 88, 94, 96 e n, 149,
161 e n, 162, 163 e n, 205, 207
Vulcano, 94, 96 e n, 120, 162, 163,
207
Watson, John, 91n
Wolfe, Nero, 91n
Zeus, 94
Finito di stampare
ottobre 2013
da Digital Team - Fano (PU)