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IL MEDIOEVO DEGLI ANTICHI I romanzi francesi della “Triade classica” a cura di Alfonso D’Agostino Scritti di Alfonso D’Agostino, Dario Mantovani, Stefano Resconi e Roberto Tagliani Premessa di Maria Luisa Meneghetti MIMESIS Mirails © 2013 – MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) Collana: Mirails, n. 1 Isbn: 9788857518527 www.mimesisedizioni. it Via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Telefono +39 02 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935 E-mail: mimesis@mimesisedizioni.it INDICE Premessa Maria Luisa Meneghetti Avvertenza Alfonso D’Agostino 9 13 I ROMANZI DELLA TRIADE CLASSICA Mito ed eros come nuovi linguaggi letterari Alfonso D’Agostino 15 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 17 25 37 53 73 89 99 I «romanzi antichi»: il corpus Coordinate storico-culturali I manoscritti La «translatio studii» La «translatio imperii» Modello epico, modello storico e mito Il discorso amoroso IL ROMAN DE THEBES Stefano Resconi 105 8. Novam monstrare futuris. Alcune osservazioni sul Roman de Thebes 107 IL ROMAN D’ENEAS Roberto Tagliani 137 9. Et terre et fame tient por soe (v. 1614). Considerazioni sul Roman d’Eneas 139 IL ROMAN DE TROIE Dario Mantovani 167 10. Cum Troie fu perie. Il Roman de Troie e le sue mises en prose 169 APPENDICE Le sinossi dei romanzi 199 Il Roman de Thebes Il Roman d’Eneas Il Roman de Troie 201 205 211 Bibliografia Tavole Indici 217 233 245 IL ROMAN D’ENEAS Roberto Tagliani 139 9. ET TERRE ET FAME TIENT POR SOE (V. 1614). CONSIDERAZIONI SUL ROMAN D’ENEAS 9.1. Il romanzo e il suo pubblico Composto tra il 1155 e il 1165, il Roman d’Eneas occupa il secondo posto nella triade classica. È una traduzione dei dodici libri dell’Eneide virgiliana, opera di un anonimo compilatore che, seppur piú fedele al suo modello di quanto non sia l’autore del romanzo sulla materia tebana, mostra una consapevole autonomia nella selezione e nell’organizzazione dei contenuti, pur conservando una certa unitarietà della trama. Il romanzo, verosimilmente composto in Normandia in un contesto fortemente influenzato dalla politica culturale plantageneta (2.5), conta circa diecimila1 octosyllabes organizzati in couplets a rima baciata; è conservato da nove manoscritti (3.2) «che non presentano grosse varianti redazionali» (Meneghetti 2010: 37); solo nel caso del ms. D la materia risulta talvolta rimaneggiata nella direzione di una maggior amplificatio e con qualche aggiustamento nella selezione degli episodî. Piú che di una translatio, nel senso medievale del termine, si deve parlare di una riscrittura o, comunque, di un adattamento delle principali linee narrative del poema latino (4.6), riorganizzate secondo un criterio sostanziamente cronologico (seguendo l’ordo naturalis), cucite e messe in relazione a nuovi contenuti, d’ispirazione ovidiana, rivolti all’indagine sulla natura dell’amore e sulla fenomenologia dell’innamoramento. Amore, guerra, chevalerie e translatio imperii sono i pilastri su cui si fonda la rielaborazione romanzesca dell’opera latina piú nota nel Medievo, con il chiaro intento di proporre una continuità tra mondo classico 1 Le due edizioni allestite da Salverda de Grave 1891 e 1925-29, che hanno come testo base la lezione del ms. A, contano 10156 versi, mentre l’ed. Petit 1997, fondata sul recenziore D, ne conta 10334 (10336 nella parziale revisione dello stesso testo critico da parte di Babbi 1999). Per la descrizione dei manoscritti e la constitutio textus delle diverse edizioni, cf. 3.2. 140 Il Medioevo degli antichi di Virgilio e nuova realtà socio-politica dell’orizzonte plantageneto; operazione non priva di risvolti apologetici e di promozione dinastica, che si concretizza attraverso la narrazione di storie d’amore intersecate alla storia della fondazione di una nuova civiltà. L’ambiente nel quale il romanzo prende forma presenta varî spunti di vitalità culturale e di rinnovamento socio-politico: risente positivamente della presenza d’intellettuali e di uomini di potere (chierici e laici), che si confrontano apertamente con la cultura latina, cercando modi nuovi per renderla fruibile nel mutato contesto ideologico e culturale del XII secolo francese (2.1), che vede una forte spinta nella direzione dell’impiego letterario delle lingue romanze in progetti scrittorî sempre piú ambiziosi. A ciò si aggiungono, da un lato, l’obiettivo filosofico di “cristianizzazione dell’antichità”,2 e dall’altro quello di “medievalizzazione” degli statuti giuridico-militari del mondo romano: tratti che si dipànano perfettamente nell’alveo già tracciato dal Roman de Brut di Wace (5.1), che intende costruire una letteratura degli ancessors genealogicamente completa, che risponda tanto alle necessità propagandistiche di legittimazione del potere plantageneto,3 quanto al disegno di fissare per iscritto, in una lingua nuova, le sorti gloriose di grandi vicende letterarie e mitiche, da rileggere in chiave attualizzata, secondo un’ottica feudale. Entrambe queste tendenze avranno un ampio successo e una considerevole continuità lungo tutta la storia culturale e letteraria della Francia medievale, e non solo.4 9.2. Tra epos e romanzo: rapporti con le fonti e ruolo dell’autore Il rapporto tra il Roman d’Eneas e la sua fonte piú scoperta, l’Eneide virgiliana, è uno dei tratti piú studiati nella tradizione critica dedicata al romanzo.5 Per quanto l’affermazione lapidaria di Raynaud de Lage 1978: 2 Sulla questione, cf. Logié 1999: 36-41 e la bibliografia ivi citata. Con le dovute limitazioni e le necessarie cautele sulla rilevanza di questo motivo, già discusse in 2.5. 4 Sulla fortuna dell’Eneas nei secoli successivi rinvio a Dressler 1907, Faral 1913 e, per un dettagliato quadro riepilogativo riguardante tutti i romans d’antiquité, a MoraLebrun 2008: 427-523. 5 Dopo il pionieristico volume di Faral 1913, si ricordino almeno i lavori di Angeli 1971: 100-41, Poirion 1976: 213-29, Marchello-Nizia 1985: 251-66, Cormier 1989: 277-89, Logié 1999 e, soprattutto, i varî contribuiti di Mora-Lebrun 1985: 83-104; 1994; 1996: 21-40; 2008. 3 Considerazioni sul Roman d’Eneas 141 175: «non c’è nulla di virgiliano nell’Eneas» sia da leggere come una provocatoria esagerazione, è però indubbio che la presenza dell’Eneide nel romanzo sia assai meno univoca e cogente di quanto si possa immaginare. È, semmai, l’opera di Ovidio a fornire la nuova linea espositiva delle vicende epiche del poema, trasformando la narrazione delle peripezie dell’eroe troiano, campione della translatio imperii, in un romanzo medievale d’impronta erotico-cavalleresca. Nel passaggio dalla classicità al Medievo francese, la linea cronologica dei fatti dell’Eneide è ricostruita in forma piú lineare, confacente a una narratio continua, pur non di rado integrata, interrotta e deviata mediante inserzioni di diversa origine: episodî e cammei tratti da opere ovidiane (soprattutto Metamorfosi, Amores e Heroides) e da altre opere enciclopediche del mondo classico (quali, ad esempio, la Naturalis Historia di Plinio); descrizioni di dettagli o di vicende particolari provenienti dai commenti di Donato e di Servio alle opere virgiliane, dai Mythographi vaticani e dalla cultura enciclopedica mediolatina (da Isidoro di Siviglia alle narrazioni dei mirabilia); digressioni sulla virtú delle pietre, sulle proprietà delle piante o sulle caratteristiche degli animali, debitrici alla tradizione di lapidarî, erbarî e bestiarî; tirate e ammonizioni moraleggianti o misogine che chiamano in causa la produzione didattica in uso nelle scuole monastiche e la sapienza paremiologica; rappresentazioni di fatti e personaggi bellici secondo modelli che richiamano la chanson de geste o l’agiografia in lingua d’oïl; modalità affabulatorie connesse al filone romanzesco (anglo)normanno, costituito dal Roman de Thebes e dal Roman de Brut,6 con il loro portato encomiastico. Le mutate condizioni crono-spaziali trasformano il poema latino che celebra gli arma del pius Aeneas nel romanzo degli amores di un eroe cortese: se l’Eneide latina presenta una bipartizione perfetta, cesurata dalla discesa agli inferi di Enea (libro VI), che divide nettamente la prima parte dell’opera, odeporica e amorosa, dalla seconda, bellica ed epica, il roman oitanico ricostruisce una linearità piú compatta, condotta sulla duplicazione delle ‘storie d’amore’ dell’eroe (quella infelice con Didone e quella, a lieto fine, con Lavinia) come Leitmotiv con il quale intervallare le “storie d’armi” le quali, a dispetto del numero esorbitante di combattenti impiegati, non sono mai il mero compiacimento di una narrazione guer6 Per un’indagine dettagliata sulle fonti classiche, mediolatine e volgari del romanzo, si vedano Faral 1913 e Angeli 1971: 107; cf. anche 4.4-8. 142 Il Medioevo degli antichi resca crudele e truce, quanto piuttosto la reiterazione di episodî militari talvolta ridondanti, fondati su clichés narrativi con prevalente funzione riempitiva. Si tratta, in larga misura, di una narrazione standardizzata e poco partecipe dei fatti militari, che pare condotta da un fato già scritto e immutabile. Dalla proporzione equilibrata del poema latino tra eroismo dei protagonisti e volontà degli dèi, si passa, nel romanzo, ad una sproporzione tra fatti narrati ed evoluzione emotivo-psicologica dei personaggi, con un netto prevalere della seconda. A ben vedere, anche la bipartizione strutturale del racconto è asimmetrica: i primi tremila versi corrispondono, grosso modo, ai primi sei libri dell’Eneide; i restanti settemila contengono un’alternanza di racconti epico-cavallereschi, episodî amorosi e riflessioni introspettive sui sentimenti dei protagonisti, in un insistito binomio fame-terre che equipara la conquista dell’amore di una donna a quella del potere, generando da ciò l’aventure romanzesca.7 Le sezioni della fonte che meno si attagliano alla realizzazione di questa “vocazione” del romanzo sono scorciate oppure obliterate. Ad esempio, sparisce tutto il libro III dell’Eneide, che narra delle peregrinazioni per mare dei Troiani, liquidate in soli quattro versi (vv. 1193-6), mentre la narrazione della caduta di Troia (libro II) si riduce a poco piú di trecento versi; sono solo allusi, ma non descritti, i ludi in onore di Anchise del libro V, che peraltro è condensato in poco piú di un centinaio di versi. Il romanzo si concentra assai piú sulle sezioni dei libri VII-XII, i meno letti nel Medioevo, ma anche i piú funzionali al progetto di riscrittura attuato dall’anonimo.8 Parafrasando un felice titolo di Giovanna Angeli (1971: 107), possiamo concludere che il Roman d’Eneas muove dalla pietas classica verso l’eros cortese, riscrivendo la storia “fatale” dell’eroe fondatore di una città nella direzione di una vicenda amorosa, che poteva offrire spazi alla delectatio cavalleresca della società raccolta attorno ai Plantageneti; non si dimentichi che la classe dirigente di quest’impero discendeva dai Normanni di Guglielmo il Conquistatore, che come i Troiani di Enea s’erano 7 Su questo tema si veda Marchello-Nizia 1985: 251-66, in part. 252-4. Salverda de Grave (1891: XXXVI-LXII) conduce un utilissimo raffronto sinottico tra la matière del romanzo e i contenuti dell’Eneide, mostrando il dinamismo dell’autore dell’Eneas nel compiere dilatazioni, scorciamenti, deviazioni dalla trama e dai contenuti del poema. Anche l’editio minor dei CFMA (Salverda de Grave 19251929) mantiene l’indicazione delle corrispondenze tra i libri dell’Eneide e i versi del romanzo, nelle testate di ciascuna pagina. 8 Considerazioni sul Roman d’Eneas 143 insediati con la forza in una terra straniera; in questo corto circuito tra il mondo evocato dal poema latino e la quotidianità, essi ambivano a riconoscersi in una nuova forma di meraviglioso narrativo, non soltanto eroico-mitico ma anche ispiratore di passioni amorose, che il romanzo ben rappresenta.9 In questa prospettiva, l’Eneas entra a pieno titolo nell’orizzonte avviato con il Roman de Brut, proseguito con il Roman de Thebes e concluso da Benoît de Sainte-Maure con il Roman de Troie: è una tappa intermedia di quel tracciamento di una “preistoria” cortese, prestigiosa ma anche piacevole a leggersi, rivolta agli uomini e alle donne del mondo normanno. Anche l’assenza d’un prologo e di una conclusione solenne pone il romanzo in un’ottica di ciclificazione delle origini mitiche, senza deprivarlo della sua originalità strutturale e dell’autonomia narrativa, che si sforza – ottenendo risultati piú lusinghieri del Roman de Thebes – di mantenere una costante unità stilistica tra le sezioni rinovellate rispetto alle fonti antiche e quelle di nuova e originale composizione. Di fronte a una cosí sapiente combinazione di riscritture e adattamenti, e all’adozione di strategie narrative di forte tenuta stilistica, andrà riconosciuto all’anonimo autore del romanzo il possesso di una perizia non indifferente: senza proporre impossibili paragoni con Virgilio, possiamo affermare come egli sia dotato di una buona cultura letteraria, probabilmente costruita a partire da manoscritti glossati dell’opera virgiliana – come ha felicemente proposto Mora-Lebrun 1994 – che opera secondo un gusto nuovo, in via di formazione nell’ambito della rinascita degli studi classici del XII secolo, mostrando un’importante apertura al confronto con la nascente letteratura volgare in lingua d’oïl; apertura che si attua con sapienza e gusto, anche attraverso l’impiego di una robusta dotazione di strumenti retorici. 9.3. Raccontare la città In chiara opposizione al modello virgiliano, quanto mai sobrio nell’impiego della descrizione, l’autore dell’Eneas dilata massicciamente la presenza di elementi descrittivi ornati, secondo il gusto del suo tempo, 9 Per quest’interpretazione del romanzo, e le sue conseguenze, cf. Poirion 1976: 2139, in part. 213-9. 144 Il Medioevo degli antichi «aggiungendo un numero esorbitante di dettagli curiosi, esotici o anche piú correnti, rivelatori di una serie di letture che lo accomuna ai poeti contemporanei» (Angeli 1971: 134). Sono numerosissime, nel romanzo, le descrizioni di città, edifici, monumenti, accampamenti o, comunque, costruzioni dell’ingegno umano. Già Edmond Faral (1913: 76) aveva notato che l’anima della descrizione era il suggerimento affabulatorio piú diffuso nelle Artes poetriae in uso nel XII secolo: in particolare, Matteo di Vendôme aveva dedicato ben un terzo della sua Ars versificatoria alla narrazione descrittiva come «l’objet suprême de la poésie». All’evoluzione della tecnica di presentazione delle città e dei luoghi come processo narrativo proprio dei romanzi di materia antica ha dedicato un corposo studio Catherine Croizy-Naquet (1994), che segnala come il fenomeno, originariamente destinato a contestualizzare dal punto di vista spaziale le vicende, diviene progressivamente piú autonomo e prezioso, in un compiacimento enciclopedico e puntuale che genera una narrazione indipendente, tecnicamente definita ekphrasis, che fa del luogo una sorta di opera d’arte da raccontare secondo il piacere degli occhi. Il primo esempio che incontriamo nel romanzo è la descrizione della città di Cartagine (vv. 373-548), che viene dapprima individuata con precisione nella geografia dei luoghi mitici del testo, osservata con l’occhio di chi, avvicinandosi dalle alture la scorge dapprima in pianta, e poi la scopre guardandola d’attorno e attraversandola. La costruzione retorica è solenne, e Cartagine presenta tutte le caratteristiche topiche della città perfetta: ben difesa da mare e da terra, con mura possenti costruite con le pietre piú pregiate, protetta da bastioni, porte d’avorio e archi di bronzo, guardata da moltitudini di armigeri, dotata di vie ampie e lastricate, di templi e di palazzi sfarzosi. Il preziosismo e l’attenzione per il dettaglio sono raffinatissimi: e non si limitano alla minuziosa catalogazione dei materiali (reali o simbolici)10 o all’insistenza nel sottolineare la solidità e la robustezza delle opere murarie, la raffinatezza tecnica delle ingegnerie costruttive o la ricchezza delle suppellettili decorative: l’anonimo aggiunge informazioni erudite sulle attività economiche degli abitanti e sulle tradizioni legate ai luoghi. 10 Sulla descrizione delle pietre preziose incastonate nelle mura di Cartagine e il rapporto con i lapidarî e con Marbodo di Rennes, cf. 4.7 e Gontero 2002. Considerazioni sul Roman d’Eneas 145 La passione per le descrizioni è talmente radicata nel gusto medievale da generare, spesso, ulteriori amplificazioni all’interno della tradizione manoscritta di un testo: è il caso, per esempio, della versione del ms. D, un codice già trecentesco,11 che aggiunge alla sezione dedicata a Cartagine la descrizione della sala centrale del palazzo di Didone, in cui si racconta la fattura del seggio regale utilizzando una serie d’immagini e di stilemi caratteristici della tradizione lirica e didattica del Duecento francese: 448 452 456 460 464 468 472 476 11 En mi fu li siege roial entaillié d’or, fait de cristal; d’argent y a .I. eschamel, si le soustienent .II. lyoncel. Senz ot au siege appareillier; la se siet la dame au mengier. Les la mesire, tres son dos, restoit .I. cep qui ert moult gros: onques ne fu trenchié en vigne, ainz le fist faire la roÿne; li ces fu d’or et les corgies, et le panpes bien entaillies. Li rain nessent moult soutieument del cep tout ordoneement, les grapes sont miraubileuses, faites de pierres precïeuses: pierres y a de mil manieres, forment par son les grapes chieres. Bien est la vigne entaillie desor le dois a grant merveille li eschaillon sont fait d’argent, qui en soustienent le sarment. .X. mil oysyaus a en la treille, grans et petis, fias a merveille; de fin or sont, bien esmeré: li mendres vault une cité. Li ces est gros et crues trestous et li flambail sont dedesous; quant il vente, si font chanter li oyselés et voleter. Seloc sa grandour chascun chante; qui cel son ot, pour quoy demande: harpe, vielle, son de corde? Come ricordato, il manoscritto è alla base dell’ed. Petit 1997. 146 480 484 488 492 496 Il Medioevo degli antichi Nul instrument ne s’i acorde. Chascuns oysiaus chante en sa guise quant la dame est au dois assise; onques ne finent de chanter al asseoir ne au lever, ne nuls oysiaus n’i est en pais: touz en retentist li palays, quant il chantent, hom n’i ot goute. D’un arbre dont l’encens degoute sont les taubles aus chevaliers par la salle granz et pleniers. Quant Dydo siet a son mengier, ja n’i avra aus huis, huissier: miex vouldroit estre prise ou morte qu’en y closist ne huis ne porte, qu’en deffendist sa garisson ne a verge ne a baston. En la sale ot mainte verrine encor mainte chambre perrine, et dedessouz ert li celiers moult y avoit autres mestiers.12 12 «Il seggio regale sta nel mezzo | ornato da intagli d’oro, fatto di cristallo; | ha uno sgabello d’argento | sostenuto da due leoncelli. | Fu usato ingegno nel costruire quel sedile; | là siede la dama quando mangia. | Vicino al muro, dietro la sua schiena | c’è un ceppo molto grande: | non è certamente tagliato da una vigna, | poiché lo ha fatto costruire la regina; | il ceppo è d’oro, con i graticci | e i pampini ben intagliati. | I rami si dipartono elegantemente | dal ceppo, in modo ordinato, | i grappoli sono mirabili, | fatti di pietre preziose: | e vi son pietre di mille forme | e bellissimi sono i grappoli che vi si trovano. | La vite è ben intagliata | sopra il desco, in modo straordinario; | son fatti d’argento i pali | che sostengono la pergola. | Tra i rami ci sono diecimila uccelli | grandi e piccini, perfettamente cesellati | nell’oro fino, ben lucidato: | il minore di questi vale quanto una città. | Il ceppo è grande e cavo dentro, | ed ha delle fiaccole al suo interno: | quando si alza il vento, fanno cantare e svolazzare gli uccelletti. | Ciascuno canta secondo la sua taglia; | e chi li ascolta, si chiede che cosa sia (che suona cosí): | arpa, viella o suon di corda? | Ma nessuno strumento suona in tal maniera. | Ogni uccello canta a suo modo | quando la dama sta seduta al desco; | e non smettono mai di cantare, | che si segga o che si alzi, | né alcun uccello sta mai fermo: | l’intero palazzo risuona | quando cantano, né s’ascolta alcuna altra cosa. | (Dal legno) di un albero da cui gocciola incenso | sono fatte le panche (dove siedono) i cavalieri, | che si trovano nella sala, grandi e comode. | Quando Didone siede per pranzare, | non ci sono né uscî né uscieri: | preferirebbe essere prigioniera o morta, | piuttosto che tener chiusi uscî o porte, | per proteggere la sua incolumità| con la verga o con il bastone. | Nella sala c’è una grande vetrata Considerazioni sul Roman d’Eneas 147 Ben piú celebri e studiate sono, invece, le descrizioni delle due sepolture illustri inserite nel romanzo: quella di Pallante (vv. 6103-528) e quella di Camilla (vv. 7427-724).13 Le rappresentazioni dei riti funebri in memoria di questi due campioni – schierati in campo avverso e morti in battaglia dopo essere stati colpiti a tradimento – e dei loro sepolcri sono collocate ad una distanza di circa mille versi, fatto che segnala una competizione stilistica tra le due narrazioni, non a caso organizzate in forma pressoché speculare. Entrambe le cerimonie funebri sono accompagnate da solenni orazioni e lamentazioni di altissimo tenore retorico, che ricordano da vicino le forme dell’apologetica cristiana impiegate nei panegirici e nei planctus dedicati ai martiri cristiani, sia nelle vitae sanctorum che nei testi agiografici o epici volgari.14 Quanto agli apparati funerarî, delle esequie di Pallante è minuziosamente descritto il corredo funebre, fatto di abiti sontuosi, di drappi e stoffe preziose, di arredi rari ed esotici, di cortei solenni e sfarzosi. Il sepolcro, originariamente destinato ad accogliere le spoglie del padre Evandro, è una vera e propria tomba regale: presenta un sarcofago in cristallo di rocca smeraldino, inserito in un ampio edificio a volta decorato con argenti, legni pregiati, marmi lavorati, tabernacoli e dorature di straordinaria bellezza, che richiamano la descrizione del palazzo del Prete Gianni raccontato dall’omonima lettera latina;15 come sulla tomba di Didone e di Camilla, a Pallante è dedicato un epitaffio scritto a lettere d’oro, illuminato da una lampada dello stesso metallo accesa da un licinio d’asbesto che ha la proprietà di generare un fuoco inestinguibile: 6492 An cest tombel gist ci dedanz Pallas li proz, li biaus, li genz Qui fu fiz Euander lo roi; Turnus l’ocist an un tournoi.16 | e molte stanze decorate di marmi | e sotto si trovavano la cantina | e molti altri locali di servizio» (vv. 446-99 dell’ed. Petit). 13 Si veda almeno Baumgartner 1989: 37-50, e la bibliografia ivi citata. 14 Angeli 1971: 126-33, in particolare, chiama in causa per i tre compianti sulle spoglie mortali del giovane Pallante (di Enea, del padre e della madre) il modello del planctus su Sant’Alessio nella Vie de Saint Alexis e i varî compianti sui guerrieri morti in battaglia nelle chansons de geste. 15 Per il testo, rinvio a Zaganelli 1990: 78-86; sui rapporti con l’Eneas cf. Faral 1913: 163-4, Angeli 1971: 103 e Babbi 1999: 49 n. 1 e 339 n. 1. 16 «In questa tomba è sepolto | Pallante il prode, il bello, il nobile, | che fu figlio di re Evandro; | Turno lo uccise in un duello». 148 Il Medioevo degli antichi Il racconto dei funerali e della sepoltura di Camilla è, se possibile, ancor piú ricco di particolari: dopo l’orazione di Turno viene minuziosamente descritta l’imbalsamazione del corpo e la preparazione del corredo funebre, con cuscini di rara morbidezza, stoffe e tessuti di grande pregio; seguono la descrizione del corteo, dell’ostensione della salma al tempio, del sontuoso mausoleo in cui l’eroina è collocata: marmi e statue, pilastri decorati, cupole e archi. In questo straordinario sepolcro la salma viene rivestita con sete d’Oriente, coperta di gemme e gioielli e collocata in un sarcofago di elettro – una lega di oro e argento – sorretto da quattro statue d’oro, coperto di pietre dure e smalti. L’epitaffio è ancor piú solenne di quello di Pallante: 7664 Ci gist Camile la pucele qui molt fu proz et molt fu bele et molt ama chevalerie et maintint la tote sa vie. En porter armes mist s’entente ocise an fu desoz Laurente.17 Anche sulla tomba della giovane fanciulla è posta una lampada dal fuoco inestinguibile, legata ad una catena d’oro e sorretta da una complicata e preziosa scultura, raffigurante un arciere che tende l’arco contro una colomba, allusione simbolica alla vita gloriosa e pura della vergine guerriera. Un’altra descrizione rilevante riguarda, ai vv. 7281-364, la tenda di Enea, fatta collocare su una collina di fronte a Laurento durante l’assedio della città, innalzata durante la notte dopo la stipula di una tregua per la sepoltura degli eroi caduti in battaglia.18 Il grande padiglione, allestito con una rapidità sorprendente, ha l’aspetto esteriore di un solido edificio in muratura, ma è in realtà realizzato con drappi variopinti, recanti intarsî e decorazioni raffiguranti animali ed elementi architettonici che visti da lontano danno l’impressione di una solida fortezza. Anna Maria Babbi (1999: 381), citando Catherine Croizy-Naquet (1991: 86), segnala che proprio quest’edificazione, direttamente ispirata al gusto troiano, madre17 «Qui giace Camilla, la fanciulla, | che fu molto valorosa e molto bella, | e amò tanto la cavalleria | da dedicarle tutta la sua vita. | Nel portare le armi mise tutto il suo impegno, | e fu uccisa dalle parti di Laurento». 18 Questa descrizione ha destato l’attenzione di varî studiosi: si vedano almeno Baumgartner 1994: 179-87; Cormier 1977: 85-92; Croizy-Naquet 1991: 73-90. Considerazioni sul Roman d’Eneas 149 patria di Enea, parrebbe essere lo snodo simbolico centrale della funzione ormai chiaramente assunta nelle fasi conclusive dell’epopea dall’eroe troiano: egli è un anti-Ulisse, un costruttore e non un distruttore di città, abituato a combattere e soffrire, e ormai prossimo a ottenere il premio promesso, di fronte al quale è, dunque, inutile opporsi. 9.4 Amori ovidiani Come ricorda Giovanna Angeli (1971: 107-8), l’autore dell’Eneas è il primo, in area oitanica, «a volgarizzare temi ovidiani o, per lo meno, amorosi», che diverranno presto il fulcro della narratività romanzesca dell’età d’oro del romanzo in versi francese. Particolarmente adatta all’intrattenimento del pubblico femminile della corte – che, come è già stato ricordato, mostra una cospicua presenza di personaggi di genere nel romanzo – la tematica amorosa diviene la chiave della continuità del romanzo, che dipana le sue aventures attraverso il susseguirsi delle vicende erotiche dei protagonisti, organizzate in un sistema largamente debitore del repertorio e delle forme affabulatorie del grande poeta elegiaco latino (cf. 7.2). Già la guerra di Troia, evocata per ben due volte nei racconti di Enea (vv. 5-24 e vv. 859-1196), era iniziata per questioni amorose: il celebre giudizio di Paride e il conseguente rapimento di Elena avevano dato la stura alla piú epica di tutte le guerre (letterarie) dell’antichità. Proprio il giudizio del bel troiano, rievocato in apertura di romanzo, a causa del quale si scatena la competizione tra Giunone, Atena e Venere, foriera di irrimediabili conseguenze per la città19 (vv. 99-182), ha la funzione quasi paradigmatica di dichiarare l’importanza delle figure femminili e dei loro amori nella fabula che il romanzo intende raccontare, riadattandola da una fonte epica in un dettato piú consono e gradito al nuovo pubblico. L’amore è il motore principale della vicenda narrata, e anche l’ambito nel quale si declinano e si risolvono i conflitti tra gli uomini: volendo semplificare al massimo, il romanzo si costruisce attorno agli esiti delle 19 «Por sol l’acheison de Paris | haïrent puis tot lo païs» («Solo a causa della scelta di Paride | ebbero in odio l’intera città»), recitano i vv. 181-2. Sulla rilevanza di tale rievocazione nell’Eneas, si veda Spence 1998: 27-38 e la bibliografia ivi citata. 150 Il Medioevo degli antichi due principali storie d’amore che racconta: quella di Enea con Didone e quella dello stesso eroe con Lavinia. La prima delle due è narrata in modo piuttosto fedele al modello virgiliano: ma la Didone dell’Eneas presenta una psicologia piú articolata di quella latina: non è soltanto una donna in preda al furor amoroso, ma una dama che, in amore, cerca di imparare la mesure, senza riuscirci. Per questo l’anonimo ne fa una sorta di “caso-scuola”, attribuendo al personaggio – già noto ab origine per la sua irrequietezza e la sua propensione al delirio amoroso – una serie di tratti ovidiani che per un intellettuale del XII secolo dovevano essere emblematici per la valutazione dei rapporti amorosi. È proprio a proposito di Didone, per esempio, che compare per la prima volta nel romanzo la celebre metafora ovidiana dell’Amore come malattia: 1204 1220 1224 1228 1232 El lo regardoit par dolçor si com la desreingnot Amor; Amor la point, Amor l’argüe, sovant sospire et color mue. […] Quant la chanbre fu aserie, dame Dido pas ne oblie celui por cui li deus d’amor avoit ja mise an grant freor ; de lui comance a penser, e son corage a recorder son vis, sun cors et sa faiture, ses diz, ses faiz, sa parleüre, le batailles que il li dist. Ne fust por rien qu’ele dormist; tornot er retornot sovant, ele se pasme et s’estant, sofle, sospire et baaille, Molt se demeine et travaille, tramble, fremist et si tressalt, li cuers li mant et se li falt.20 20 «Ella lo guarda con dolcezza | cosí come Amore l’ha stimolata; | Amore la punge, Amore la affligge, | spesso sospira, e cambia colore. […] Quando nella camera si è fatto buio | la dama Didone non dimentica | colui per il quale il dio d’Amore | l’aveva messa in sí grande frenesia; | comincia a pensare a lui, | e a figurarselo nel cuore: | il suo viso, il suo corpo, la sua prestanza | i suoi detti, le sue imprese, la sua parlata, | le battaglie che le ha raccontato. | Non le è possibile prendere sonno, Considerazioni sul Roman d’Eneas 151 L’innamoramento di Didone percorre tutte le tappe della fenomenologia ovidiana: la visio dell’amato, l’azione del dio Amore, la sintomatologia crescente e sempre piú coinvolgente, che dona tormenti fisici e spirituali, fino allo sviluppo di una vera e propria malattia, che consuma lo spirito. Il cliché procede con la confessione del dolore alla fidata sorella, che offre ragionevoli ma inascoltati consigli a colei che, ormai, è totalmente infiammata dal sentimento, e si strugge e si confonde: 1384 1388 1392 Bien ert la dame ançois esprise, et sa suer l’a an graignor mise; d’amor estoit bien enflamee, plus l’an a ceste antalantee: confondee l’a malemant s’el ne l’eüst onc an talant et ne l’eüst onques amé, se li a ceste amonesté. D’amor se desve la raïne, elle ne cesse ne ne fine.21 Lo stato di schiavitú psicologica che Amore infligge alla donna culmina con la consumazione del rapporto, che la spinge a disinteressarsi di ogni altro aspetto dell’esistenza, a perdere la parola e a dimenticare gli innumerevoli problemi del regno: in balía della sfrenatezza erotica, la regina abbandona la ragione: «Amor l’a fait de sage fole».22 Cosí, quando alla gioia smodata dell’exercitium amoris subentra la disperazione per la partenza dell’amato, chiamato al suo fatale andare, Didone risulta ormai deprivata di ogni tratto di ragionevolezza umana: l’unica sublimazione possibile alla desmesure è darsi la morte. Il suicidio, peraltro, mette in campo un altro tratto centrale della vicenda, nuovamente misurato col metro dell’ineffabilità ovidiana: l’azione totalizzante di Amore modifica la natura umana a prescindere dalla | si gira e rigira spesse volte, | vien meno e si stira, | sbuffa, sospira e sbadiglia, | si agita continuamente e si affatica, | trema, freme e trasale, | il cuore le manca e le vien meno». 21 «La dama era già fortemente accesa | e la sorella l’ha ancor piú esaltata; | era già completamente incendiata da Amore, | e (la sorella) ha accresciuto maggiormente i suoi appetiti: | l’ha confortata in modo sbagliato: | come se quella già non lo desiderasse | o ancora non lo amasse, | costei l’ha ancor piú incoraggiata. | A causa di Amore la regina è fuori di sé, | senza pace né fine». 22 «Amore l’ha trasformata in folle, da saggia (che era)» (v. 1408). 152 Il Medioevo degli antichi partecipazione o dalla presenza dell’oggetto del desiderio amoroso. Ci si può chiedere, infatti, se Enea abbia mai amato sinceramente Didone: se prestiamo fede alle parole di Virgilio (Aen. IV, 393-6) si dovrà ritenere che ciò sia avvenuto: 395 At pius Aeneas, quamquam lenire dolentem solando cupit et dictis avertere curas, multas gemens magnoque animum labefactus amore iussa tamen divum exsequitur classemque revisit.23 Nell’Eneas, invece, non è mai chiaro fino in fondo se il comportamento di Enea – fatto per lo piú di deferenza, ammirazione e rispetto – nei confronti di Didone sia da valutare come un sentimento vero o se, piuttosto, non si tratti di un atteggiamento opportunistico.24 Talora si ha l’impressione che l’insistenza sul punto di vista della regina rappresenti un pretesto, per l’anonimo, utile a inserire una certa dose di moralismo misogino a basso prezzo, magari messo in bocca alla communis opinio dei baroni cartaginesi: 1592 1596 23 Antr’els dïent, et si ont droit, molt par est fous qui feme croit: ne se tient prou an sa parolle; tel tient l’en sage qui est fole. Ele disoit que son seignor, qui morz estoit, promis s’amor, ne li toldroit a son vivant; or an fait autres son talant, or est mantie la fïence, trespasee est la covenance «Tuttavia, il pio Enea, per quanto voglia calmare la (regina) dolente |, consolandola e confortandola con (le sue) parole, | pur gemendo e con l’animo reso incerto dal grande sentimento, | esegue comunque il volere degli dèi, e torna alle navi». 24 Il sospetto viene, soprattutto, se si analizzano i vv. 1531-8 relativi al momento immediatamente successivo alla consumazione dell’amore, nei quali l’autore pone l’accento sulla soddisfazione di Didone, che giunge addirittura a non curarsi delle dicerie sul suo conto, mentre tace sullo stato d’animo di Enea. E si osservi che anche nel racconto del suicidio, laddove Virgilio sente una certa pietà per la regina (definita «infelix Dido», Aen. VI, 68), l’autore dell’Eneas è piuttosto freddo e referenziale, in certo modo spietato: il fato che attende l’eroe, nella sua prospettiva, è piú importante del destino dei singoli personaggi che lo coadiuvano nel percorso. Considerazioni sul Roman d’Eneas 1600 153 qu’a son seignor avoit plevie. Fous est qui an fame se fie.25 Quel che emerge, fuor di dubbio, è il biasimo dell’autore verso l’intensità amorosa provata dalla regina: è, dantescamente, la sua incontinenza ad essere causa di tanta follia e di tanto dolore. Ma l’amore di Didone è sbagliato sotto varî aspetti: dapprima essa vede Enea come un sostituto – e in certo modo un surrogato – del perduto marito, Sicheo; è un sostituto affettivo, beninteso, e non feudale: non si capirebbe, altrimenti, l’indifferenza di fronte al consiglio della sorella, che aveva visto nel Troiano un ottimo paladino a tutela degli interessi legittimi della sovrana, impigliata in una fitta rete di invidie e di maneggi degli oppositori politici (vv. 1365-82). Ma l’errore piú grave – e fatale – è dovuto al fatto che la dama ami l’eroe molto piú intensamente di quanto non sia ricambiata (Jones 1972: 35): ciò è contrario ai principî dell’amore cortese, e sconfina nell’ambito della follia, dell’esagerazione, della sfrenatezza: in una parola, della desmesure. Per questo, quando Enea deve tornare alla sua missione, sebbene dispiaciuto di dover lasciare la regina, non pensa di compiere un delitto nei suoi confronti; ma per colei che ha messo in gioco tutta sé stessa, nessuna cosa è peggiore della perdita dell’amato, perché con quello, tutto è perduto. La vita stessa non le è piú necessaria, e per questo l’abbandona, dopo aver perdonato – cosa che l’omologa virgiliana non aveva fatto – il suo inconsapevole carnefice: 2064 25 Il m’a ocise a molt grant tort; ge li pardoins ici ma mort; par nom d’accordement, de pais, ses garnemenz an son lit bais. Gel vos pardoins, sire Eneas.26 «(I baroni) dicono tra sé – e a buon diritto – | che è davvero folle chi crede alla donna: | essa non presta fede alla parola data | ed è folle (anche) quella che è considerata saggia. | Costei diceva che al suo sposo, | che era morto, aveva promesso il suo amore, | e che non glielo avrebbe tolto fino a che fosse rimasta in vita; | ora un altro ne fa ciò che vuole | ora è tradita la fiducia, | (lettera) morta il patto | che aveva giurato al suo signore. | È (davvero) folle chi si fida della donna». 26 «A gran torto mi ha uccisa; | (ma) gli perdòno, qui, la mia morte; | in segno di accordo e di pace, | bacio i suoi corredi sul letto che ho diviso con lui. | Io vi perdono, sire Enea». Si noti che il termine garnemenz, letteralmente ‘accessori, attrezzature, parti del corredo militare’ è talora usato anche in senso metaforico in contesti osceni (cfr. Tobler-Lommatzsch, s.v. garnement). 154 Il Medioevo degli antichi La storia degli amori punici di Enea finisce tragicamente, ma non per l’eroe, che è prontissimo – dopo la parentesi della catabasi, nel corso della quale egli riesce persino a palesare allo spirito sdegnoso della regina le sue giustificazioni per il comportamento tenuto27 – a intraprendere una nuova storia d’amore, orchestrata dall’anonimo in maniera piú articolata e complessa, perché libera dalle maglie del modello latino. Qui l’influenza ovidiana è di gran lunga piú estesa, e si dipana nell’avvicendarsi di monologhi, dialoghi e monologhi dialogati che permettono l’impiego massiccio dei tópoi erotici.28 La struttura dell’episodio avrà innumerevoli imitatori e continuatori nella narrativa cortese successiva, a partire da Chrétien de Troyes: la vicenda si apre con una discussione tra l’anziana madre, nel ruolo di consigliera, e la giovane fanciulla, che teme l’amore come un pericolo mortale, da evitare. Ciononostante, il sentimento che «al cor gentil ratto s’apprende» (Dante, If V 100) nel momento in cui la giovane vede per la prima volta l’eroe, dà il via al medesimo itinerario di sofferenze, malesseri, dubbî, riflessioni che aveva scatenato in Didone. Amore prende possesso del cuore di Lavinia, determinando gli stessi turbamenti che già aveva suscitato in Didone. Tra le due donne vi è una sola, essenziale differenza: Lavinia non si abbandona mai pienamente al sentimento: s’interroga con27 Si tratta di un passaggio fondamentale nell’intera vicenda; Enea mette in evidenza le ragioni della sua improvvisa partenza, dettate dal volere degli dèi: «Par lor comant sui ci venuz | en icest resne et descenduz; | quant ge de vos me departi | ne cuidai pas que fust ansi» («per il loro comando sono giunto qui | e disceso in questo regno; | quando mi partii da voi, | non credevo che sareste giunta qui», vv. 2645-8), che traducono i celebri versi dell’Eneide: «invitus, regina, tuo de litore cessi. | Sed me iussa deum, quae nunc has ire per umbras, | per loca senta situ cogunt noctemque profundam, | imperiis egere suis» («contro la mia volontà, o regina, partii dalle tue spiagge. | Ma il volere degli dèi, che ora mi spinge ad andare tra le ombre | per luoghi desolati e nella profonda oscurità, | mi condusse con i suoi comandi», Aen. VI, 460-3), i quali a loro volta alludono ai versi centrali del carmen di Catullo dedicato alla metamorfosi astronomica della chioma di Berenice: «Invita, o regina, tuo de vertice cessi; | invita, adiuro teque tuumque caput» («contro la mia volontà, o regina, lasciai il tuo capo; | non volevo: lo giuro su di te e sulla tua testa», Carmina, LXVI, 38-39). Lo sdegno di Didone, che fugge davanti alle cortesi parole del Troiano, risolve e, per certi versi, derubrica il sentimento della donna da amor a furor, consentendo ad Enea di rivolgere altrove il suo sentimento amoroso. 28 Una recente disamina sulle modalità con cui il roman riscrive gli amori ovidiani si deve a Natalie Vrticka (2010: 73-82); della studiosa si attende l’ormai prossima pubblicazione della tesi dottorale (Vrticka 2009/2010). Considerazioni sul Roman d’Eneas 155 tinuamente sulla dimensione relazionale, sulla liceità, sull’opportunità, sulla reciprocità, sulla costanza, sulla finalità ultima dell’amore, cercando in ogni modo di diminuire la sofferenza. Giunge persino a chiedere aiuto a quel medico crudele e tiranno, che è al tempo stesso l’untore dell’infezione e il portatore dell’antidoto, cioè Amore: 8204 8208 8224 8228 8232 Amors, tu m’as tornee an val, Amors, car m’alege cest mal! Amors, an ceste novelté me demoines trop grant ferté. Amor, m’as mise el cors la rage, un sol petit m’en asoage, que me puisse raseürer ; mialz reporrai mal andurer. […] Amors, redone moi del miel, si rasoage ma dolor par aucune bone savor! Bien sai de maus que tu puez faire mais de te biens ne sent ge gaires : ancor ne m’as mostré noiant. Que as-tu fet de l’oignement que soloies jadis porter a tes males dolors saner? Amors, troblé m’as mon corage, un sol petit lo s’asoage.29 È in quest’ottica di “resa condizionata” che Lavinia matura una soluzione, che sottolinea la sua straordinaria intraprendenza: stende un’epistola amorosa da mandare ad Enea, mediante la quale, a un tempo, chiarisce a sé stessa il proprio stato d’animo e ha l’opportunità di valutare la corresponsione di Enea. Cosí, trasformando in correlativo oggettivo quella che, fino a quel punto, era stata una metafora letteraria, fa legare il suo 29 «Amore, mi hai buttato a precipizio, | Amore, allevia questo mio male! | Amore, in questa nuova avventura | mi conduci con grande crudeltà. | Amore, hai impegnato il mio cuore nella rabbia, | dammene tregua, almeno un poco, | affinché possa avere requie; | potrei cosí sopportare meglio il dolore. […] Amore, dammi ancora del miele, | cosí da alleviare il mio dolore | con qualche buon sapore. | So bene quali dolori tu puoi procurare, | ma non so nulla del bene (che puoi fare); | ancora non mi hai mostrato nulla. | Che hai fatto dell’unguento | che solevi portare, un tempo, | per sanare i tuoi dolori (= i dolori da te causati?) | Amore, hai turbato il mio cuore: | dammi almeno un poco di respiro». 156 Il Medioevo degli antichi messaggio a un dardo – che diviene materialmente il dardo d’amore – e lo scaglia nel campo troiano, affinché Enea possa leggere le sue parole. Una volta raggiunto l’eroe, il testo si fa esso stesso “freccia” nel suo cuore, chiudendo il circuito della reciprocità del sentimento, che comincerà ad infiammare anche lo spirito del Troiano. La notizia dell’amore di Lavinia prende a farlo languire e sospirare, de lonh, e lo spinge a guardare l’amata di lontano, sulla torre. Per dirla con Dante, «Amor, ch’a nullo amato amar perdona» (If V 103) accende i cuori di entrambi gli innamorati, determina un equilibrio speculare e scongiura la desmesure, che fu tanto nefasta per Didone. La reciprocità è tanto piú scoperta quanto si noti che, sul labbro di Enea, affiora l’entusiastica volontà di conquistare Lavinia togliendola a Turno, a cui era già stata promessa, con la stessa struttura per invocazioni anaforiche ad Amore che era stata impiegata, poche centinaia di versi prima, per le lamentazioni della fanciulla: 9060 9064 9068 Se Turnus la velt desraisnier molt le quit forment chalongier, molt li cuit randre grant estor ; quatre mains m’a done Amor. Amor molt fait ome hardi, Amors l’a molt tost anaspri. Amors, molt dones vasalages ! Amors, molt faiz croistre corages ! Amors, molt es roides et forz ! Amors, molt es de grant efforz ! Amors, tu m’as molt tost conquis; an po d’ore m’as si sorpris que je ne puis repos avoir.30 L’autore sembra voler dire che, attraverso la mesure, è possibile raggiungere un equilibrio nell’esperienza amorosa, per affrontare e curare, attraverso un ridimensionamento razionale, la malattia d’Amore, che ha in sé 30 «Se Turno la vuole tenere per sé | credo che gliela contenderò risolutamente, | e che gli darò dura battaglia; | Amore mi ha dato (la forza di) quattro mani. | Amore fa l’uomo molto ardito, | Amore lo stimola fortemente. | Amore, suscita in me un grande valore! | Amore, accresci il mio cuore! | Amore, sei molto aspro e forte! | Amore, mi doni una grande potenza! | Amore, mi hai rapidamente conquistato; | in poco tempo mi hai sopraffatto | tanto che non posso piú aver riposo». Considerazioni sul Roman d’Eneas 157 la possibilità di uccidere o di sanare, di stimolare le imprese piú eroiche o di condurre alla morte, di generare fortune o condurre alla distruzione di chi ne è colpito. Per questo, laddove Didone non aveva avuto sufficiente lucidità, Lavinia pone in atto una strategia che obbliga anche l’amante a fare i conti con la signoria d’Amore. Ricevuta la lettera, infatti, anche Enea inizia a provare gli stessi dubbî, le stesse ansie e le stesse passioni di Lavinia che, proprio perché condivise, paiono diventare piú sopportabili anche da parte della giovane. Certamente, i dubbî possono periodicamente ripresentarsi, specie quando sono suggeriti da chi si oppone all’unione degli amanti: è il caso delle calunnie di Amata circa la pretesa omosessualità di Enea,31 alle quali Lavinia sembra dar credito quando, nella prima fase dell’innamoramento, l’eroe mantiene un contegno riservato e non mostra lo slancio sperato dall’amata (vv. 9130-88). La tirade polemica è concepita in termini moraleggianti, ma argomentata con un’inaspettata disinvoltura e un gusto tra il faceto e il triviale per nulla scontato nella tradizione del romanzo cortese in versi del XII secolo: 9132 9136 9140 9160 9164 «Ce est», fait ele, «verité, que ma mere m’a de lui dit: de feme lui est molt petit il voldroit deduit de garçon, n’aime se males putains non. Son Ganimede a avec soi, asez li est or po de moi; il est longuement en ruit, a garçon moine son deduit; quant a mené o als son galt de nule fame ne li chalt. [...] Il a asez garçon o soi, lo peor aime mialz de moi, fandue trove lor chemise; maint an i a an son servise, lor braies sovant avalees: issi deservent lor soldees. Maldite soit hui tel nature 31 L’argomento generato vita ad un’ampia bibliografia di riferimento; si ricordino almeno: Burgwinkle 1993: 1-43 e 2004: 19-87; Gaunt 1992: 1-27; Lankewish 1998. 158 9168 Il Medioevo degli antichi d’ome qui de femme n’a cure; il est de ce toz costumiers. Molt par est malvés cist mestiers et molt par a fol esciant qui feme let et home prent.32 La disinvoltura con cui l’anonimo autore concepisce questi versi segnala, ancora una volta, l’ampia conoscenza tanto della letteratura latina coeva (dalle commedie elegiache di Vitale di Blois alle reprimende moralistiche di Alano di Lilla) quanto della temperie culturale volgare che, attraverso i varî impieghi lirici, comici e satirici del tema, giungerà a costituire quel vasto retroterra stilematico poi confluito, nel secolo successivo, nel Roman de la Rose di Jean de Meun. Solo il matrimonio, celebrato alle soglie della conclusione del romanzo, scioglierà definitivamente ogni dubbio in Lavinia e cancellerà, finalmente, lo struggimento e la preoccupazione. Cosí, se per Didone l’atroce constatazione di aver perduto, con la separazione dall’amato, ogni possibile felicità, era divenuta la causa scatenante del suicidio, in Lavinia l’esercizio, pur faticoso, della riflessione e della mesure permette di ottenere un finale positivo alla pur tormentata vicenda: nella soggezione alla signoria di Amore, la fanciulla matura quell’autonomia e quella lucidità che le permettono di ottenere tutto ciò per cui ha sospirato a lungo. 9.5. Storie di battaglie: tra l’uno e il molteplice Se il tema amoroso è quello dominante nell’economia interna al romanzo, ampio spazio è comunque dedicato anche alla narrazione dei duelli, delle battaglie e degli eroi che vi combattono (e, talvolta, vi muoiono). 32 «È ben vero, dice, | quel che mia madre m’ha detto di lui: | delle donne gli cale assai poco, | vuole aver piacere dai ragazzi, | e non ama altri che giovani marchette. | Ha con sé il suo Ganimede, | s’interessa assai poco di me; | è continuamente eccitato, | con i ragazzi conduce il suo divertimento; | e quando ha avuto il suo piacere | non gli importa di alcuna donna. […] Ha con sé molti ragazzi, | il peggiore (dei quali) ama piú di me, | trova aperta la loro camicia; | ce ne sono molti al suo servizio, | e i loro calzoni sono spesso calati: | cosí si guadagnano il loro salario. | Sia maledetta una siffatta natura | d’uomo, che non si cura delle donne; | egli appartiene proprio a coloro (che praticano) tale costume. | È proprio insano un tale comportamento | ed è del tutto folle | colui che lascia la donna per prendere l’uomo». Considerazioni sul Roman d’Eneas 159 Tra i romanzi antichi, l’Eneas è quello in cui la tematica epico-guerresca ha il rilievo inferiore (Petit 1985a: 490); anche qui, tuttavia, la critica ha evidenziato il valore modellizzante della chanson de geste, che è presente nel romanzo con soluzioni piú originali e meno formulari (Mora-Lebrun 2008: 288-296). In particolare, la schematizzazione manichea “buoni vs cattivi” va un po’ stretta all’autore dell’Eneas, che si limita quindi ad adottare una narrazione piana e referenziale delle scene belliche, evitando l’organizzazione del racconto mediante la semplice seriazione di duelli, caratteristica di altre realizzazioni romanzesche. Nella seconda parte del romanzo, l’estrema linearità delle scene guerresche crea l’effetto di appiattimento acronico delle vicende, che sembrano appartenere a un’unica, lunghissima azione militare che inizia all’indomani dello sbarco nel Lazio per terminare con la morte di Turno. Solo gli scarsi accenni allo scorrere dei giorni e le due tregue danno contezza di un’articolazione cronologica degli eventi, che altrimenti risulterebbero semplicemente accostati uno dopo l’altro in un orizzonte temporale congelato. Si tratta di un’immobilità ben nota al genere epico, che qui è priva della ripetitività formulare, e s’intervalla alle descrizioni e alle riflessioni psicologiche dei personaggi che abbiamo già presentato (9.4), risultando piú fresca e interessante. Anche la caratterizzazione dei guerrieri risente, come ha fatto osservare Aimé Petit (1985a: 252-83) del cliché della chanson de geste, ma è arricchita dai tratti psicologici che l’autore mostra di saper delineare, fin dalla presentazione dei protagonisti. Ciò si evince, in particolare, nelle descrizioni delle imprese militari piú eclatanti, come quelle di Turno, di Eurialo e Niso e, soprattutto, di Camilla: la preziosità del dettaglio lascia intravedere un gusto per la realizzazione di piccoli cammei piú narrativi (se non, addirittura, simbolici) che epici, in contrasto con la scarsa profondità dei personaggi dell’epica oitanica. Un ulteriore atteggiamento, per cosí dire, anti-epico si mostra, ad esempio, nell’incontro oltremondano tra Enea e gli eroi greci e troiani caduti in battaglia (vv. 2669-98). In un primo momento, l’eroe si vergogna e non riesce ad alzare lo sguardo quando scorge Priamo e gli altri Troiani, poiché è roso dal senso in colpa per la sua partenza precipitosa, all’indomani dalla loro morte eroica; d’altro canto, quando si avvicina ad Aiace e agli altri Greci con la spada sguainata (che in realtà gli serve a fare luce), ne determina la fuga, poiché gli spiriti temono che sia venuto per vendicare la distruzione di Troia. Si tratta di atteggiamenti che richiedono 160 Il Medioevo degli antichi una matura capacità di strutturazione psicologica e di rappresentazione dell’autocoscienza dei personaggi, che non ci saremmo mai potuti aspettare in un Rolando o in un Olivieri, ma nemmeno in Marsilio, in Baligante o in alcun altro personaggio di una chanson de geste. Vi è, tuttavia, un tratto che avvicina molto l’Eneas alla sensibilità narrativa dei testi epici antico-francesi: è l’amplificazione ridondante delle schiere militari che partecipano alle scene di battaglia. Emblematica, in tal senso, è la descrizione del costituirsi dell’esercito italico sotto la guida di Turno (vv. 3897-958): dopo l’offesa dei Troiani perpetrata contro i cavalieri di Tirro, moltissimi baroni italici rispondono all’appello del condottiero: Mesenzio porta con sé mille cavalieri; settecento ne raduna Lauso; mille, tra fanti ed arcieri, ne procura Aventino, e altri mille Messapo, che fornisce altrettanti puledri di Cappadocia; un numero imprecisato di soldati conduce il sabino Clauso, a cui si aggiungono quelli inviati da altre popolazioni italiche e le donne guerriere condotte da Camilla. Insomma: 3956 Ne sai que acontasse plus, car tant en asembla Turnus, que genz de pié que chevaliers, qu’il an prisa set vinz milliers.33 L’amplificatio non si limita ai numeri: in ogni sortita e in ogni slancio, i soldati si muovono, si aggregano e si disperdono a migliaia, quando non a decine di migliaia; le battaglie determinano veri e proprî massacri, con quantità esorbitanti di morti e feriti; e, tuttavia, gli schieramenti e gli assedî resistono, gli eserciti si rinsaldano e i condottieri o i baroni hanno sempre a disposizione truppe fresche, motivate, ben armate e pronte all’assalto, in ogni occasione. Si tratta anche qui, con ogni evidenza, di un uso sapiente delle costruzioni formulari d’impronta epica che, attraverso l’amplificatio, riescono ad attuare qualche minima variatio dentro un 33 «Non so che dire di piú: | ché tanti ne radunò Turno, | tra fanti e cavalieri, | che ne prese (con sé) centoquarantamila (lett. sette volte ventimila)»; come spesso capita, le costruzioni iperboliche si discostano o si amplificano da una copia manoscritta all’altra. Il ms. D, per esempio, rende cosí questo passaggio: «Que vous en diroie je plus? | Qu’ytant en assambla Turnus | que gent de pié que chevaliers | qu’en li esma II.C. milliers » («Che dirò mai di piú? | Turno ne radunò cosí tanti, | tra fanti e cavalieri,| che furono stimati duecentomila»; vv. 4042-5 della ed. Petit). Considerazioni sul Roman d’Eneas 161 sistema che rifugge dagli eccessivi schematismi, per esaltare l’intreccio romanzesco. 9.6. Magia, mito, religione Una tra le principali innovazioni del romanzo rispetto ai suoi modelli è il ridimensionamento massiccio del ruolo delle divinità pagane e, in genere, del soprannaturale, che certamente resta presente ma è retrocesso a una funzione accessoria. La critica si è interrogata se la diminuita presenza del pantheon greco risponda a un’esigenza di natura clericale, o piuttosto ad un diverso riuso della materia mitologica, deprivata del suo ambito sacrale;34 al di là delle diverse opinioni espresse in merito, appare evidente che l’intervento degli dèi o delle figure del mito nelle vicende del romanzo è usato come escamotage narrativo per risolvere situazioni d’impasse o per mutare, in forma rapida e indolore, le sorti delle vicende stesse. In sostanza, un impiego da deus ex machina propriamente detto, che reinventa un ruolo alle divinità pagane dentro l’orizzonte della narrativa dell’Occidente cristiano non solo quale retaggio di una fonte classica, ma anche come lecito espediente narrativo generatore di aventure. Piú che di censura – o, meglio, di auto-censura – clericale (Logié 1999: 177), si dovrebbe parlare di rifunzionalizzazione narrativa, determinata dal bisogno di verisimiglianza e di credibilità della fabula; un percorso che, ad esempio, porta la dea Venere ad attribuire il potere soprannaturale di generare l’innamoramento ad un fanciullo, senza dover ricorrere alla mediazione di Cupido35 (vv. 764-80); o, ancora, permette al narratore di sostituire Giunone con un semplice arciere nell’atto di distrarre Turno dalla battaglia e tenerlo lontano per alcuni giorni (vv. 5776-846). Là dove non è strettamente necessario che gli dèi intervengano direttamente, è consentito delegare le loro originarie funzioni ad altri personaggi, oppu- 34 Il tema è ampiamente discusso nel capitolo 6 di questo libro; sulle implicazioni per l’Eneas, si vedano Salverda de Grave 1891: XXXIII; Monfrin 1985: 189-249, in part. 194-7; Logié 1999: 177-85. 35 Nell’Eneide, invece, Venere manda Cupido a svolgere quella funzione, facendogli assumere le sembianze di Ascanio e riservando alla sola Didone l’efficacia della missione del dio, quale vendetta contro Giunone (Aen. I, 657-88); il ms. D recupera la versione del modello, riscrivendo l’intero episodio (vv. 768-99 dell’ed. Petit). 162 Il Medioevo degli antichi re sostituirne la presenza con soluzioni che presentino piú efficaci esiti validanti.36 La stessa preoccupazione vale anche quando gli dèi giocano un ruolo in prima persona: la loro dimensione divina è decisa soltanto dai poteri soprannaturali che esercitano, e non dalle virtú morali di cui dovrebbero essere dotati. Eloquente, in questo senso, la digressione che racconta la costruzione delle armi di Enea (4297-542): la richiesta di Venere al marito si muove su toni e comportamenti che si attagliano piú a un’astuta seduttrice che ad una dea: 4304 4336 4340 36 El vint a son seignor Vulcan qui molt est mestre de forgier or et argent, fer et acier. El l’acola estroitement et beisa lo cent foz et cent, molt lo blandit et losanja. […] «Ce te demant et te requier or ai besoin de ton mestier Se joïr vels mes de m’amor, or la deser par ton labor: molt me doiz bien lo jor servir, que la nuit puez o moi gesir et se tu as auques d’ahan, bien t’en rendrai lo contrepan».37 Caso emblematico è quello degli dèi inferi, Plutone e Proserpina, che sono citati solo una volta, ai vv. 2378-82: «Lajus descendent tuit li mort, | l’enpire tient Pluto par sort, | il en est rois, et Proserpine | en est deesse et raïne» («Laggiù scendono tutti i morti, | e Plutone , per sorte, ne tiene il governo | e ne è re, e Proserpina | ne è dea e regina»). Proserpina, in realtà, è evocata anche al v. 2790, col titolo di raïne; ma in entrambi i casi la presenza è puramente nominale, di cornice, nonostante i due siano i sovrani del mondo ultraterreno in cui si dipanano le vicende raccontate in quasi settecento versi (vv. 2351-3020). Pur tuttavia, la catabasi conserva curiosamente il rito della raccolta e della consegna del ramo d’oro, pegno destinato all’omaggio di Proserpina (vv. 2309-50 e 2785-90); il ramet d’or, come lo chiama l’anonimo autore del romanzo al v. 2312, è uno degli elementi magico-simbolici piú celebri del testo virgiliano, e anche tra i piú connotati in senso mitologico-misterico: proprio il mito del ramo d’oro – identificato dalla critica con il vischio, associato al culto della Diana Nemorensis – ha dato il via ad una serie di studi d’impianto antropologico sull’origine della magia e sullo spirito religioso degli antichi, tra i quali spicca il lavoro monumentale di James Frazer (1950), che da quest’oggetto prende il titolo. 37 «Ella andò da suo marito Vulcano | che era un artista nel forgiare | oro, argento, ferro e acciaio. | Lo abbracciò stretto | e lo baciò cento volte e ancora cento, | lo blandí Considerazioni sul Roman d’Eneas 163 Lo stridore di queste profferte, messe in bocca ad una divinità, doveva apparire forte allo stesso autore, che sente la necessità di spiegare, con una digressione (tratta dalle Metamorfosi ovidiane, IV 171-189), quali fossero i motivi pregressi di contrasto tra i coniugi, invero anch’essi assai poco divini: Venere, infatti aveva tradito il marito giacendo con Marte; alla scoperta di quel tradimento, Vulcano aveva manifestato contro la moglie tutta la sua ostilità.38 La necessità – tutta romanzesca – di fornire armi invincibili al figlio Enea spinge Venere a comportarsi con spudorata scaltrezza; e anche l’esito della trattativa levantina che i coniugi conducono s’iscrive nell’alveo della piú umana – e, genettianamente, bassomimetica – tra le forme di pacificazione degli amanti in conflitto: 4348 Cele nuit jut o lui Venus, et fist de li ce que lui plot e tot sun bon tant com il pot.39 Come si può notare, l’attribuzione agli dèi di comportamenti tradizionalmente umani sottolinea una visione attualizzante e storicizzante della loro presenza, che serve da un lato a sostenere la veridicità del racconto (passato da fabula a plausibile historia), e dall’altro a derubricare il loro ruolo in quello di personaggi di contorno. Non sarà da escludere, come fa rilevare Logié (1999: 252), una volontà di aggiungere, in queste sezioni del romanzo, un divertissement per il pubblico: ma da questi versi non emergono particolari tratti di condanna moralistica del politeismo virgiliano, quanto piuttosto un’evoluzione funzionale del ruolo degli dèi, connessa all’affabulazione romanzesca. e lo lusingò a lungo. […] “Questo ti domando e ti chiedo: | ora ho bisogno della tua abilità. | Se vuoi godere del mio amore | ora mi devi essere utile con il tuo lavoro: | devi servirmi bene durante il giorno | per poter godere di me la notte, | e se tu hai qualche affanno | saprò darti la giusta ricompensa”». 38 Angeli 1971: 145-6 ricorda che l’allusione agli amori adulteri di Venere e Marte manca nel ms. F; constatata l’antichità del codice (datato al XIII secolo), la studiosa ipotizza che questa e altre assenze nel ms. F siano la traccia di una redazione piú antica del romanzo, conservata solo da questo testimone; l’ipotesi, tuttavia, non ha mai pienamente convinto la critica, come ricorda anche Mora-Lebrun 2008: 316. 39 «Quella notte Venere giacque con lui | che fece di lei ciò che piú gli piacque | e tutto il suo piacere, quanto poté». 164 Il Medioevo degli antichi 9.7. Fondare la città per creare la civiltà Si è visto come il romanzo dedichi ampia attenzione ai luoghi, attribuendo un ruolo centrale alla città. L’ultima in ordine di apparizione nel racconto è Albe, ossia Albalonga, citata soltanto al v. 10134, una manciata di couplets prima della conclusione. Ciononostante, essa assume un ruolo chiave all’interno dell’intero percorso ideologico del romanzo. Si è piú volte ripetuto che tutto l’Eneas è percorso dal realizzarsi di eventi determinati da un disegno preordinato, che concretizza la missione fatale della fondazione della città, e con esso della nascita di una nuova nazione.40 Il punto in cui questo tema emerge con maggior forza è proprio il finale del romanzo. Laddove l’Eneide s’interrompeva con la fredda immagine di Turno a terra, colpito a morte dalla vendetta di Enea per l’uccisione di Pallante,41 il romanzo francese aggiunge un’ulteriore digressione dedicata agli amori di Enea e Lavinia, coronati dal giuramento di fedeltà da parte dei baroni, dalle nozze e dalla fondazione di Albalonga, che è evocata come pretesto per richiamare la profezia di Anchise sulla futura progenie del Troiano, che annovera anche i gemelli fondatori di Roma.42 Il romanzo si chiude, quindi, con la fondazione di una civiltà, dalla quale trarrà i natali un altro fondatore di città, Romolo, che darà origine all’esperienza politica che segnerà in modo indelebile i destini dell’Occidente. Il romanzo era partito, diecimila versi prima, da un’altra città, Troia, la piú letteraria e mitica del mondo antico: 4 40 Quant Menelaus ot Troie asise, onc n’en torna tresqu’il l’ot prise, gasta la terre et tot lo regne por la vanjance de sa fenne.43 Sul tema, si veda Talarico 1981: 202-24. Cosí, infatti, si chiude l’Eneide: «Hoc dicens ferrum adverso sub pectore condit | fervidus: ast illi solvuntur frigore membra | vitaque com gemitu fugit indignata sub umbra» («Così dicendo gli affonda, furente, il ferro in mezzo al petto; | a quegli, nel freddo si disfanno le membra | e la vita fugge con un gemito, altèra, tra le ombre», Aen. XII, 949-51). 42 «Cil firent la cité de Rome, | que Romolus li anposa | son nom, que primes li dona» («Costoro edificarono la città di Roma | alla quale Romolo impose | il suo nome che per primo gli diede», vv. 10154-6). 43 «Quando Menelao ebbe cinto d’assedio Troia | non lo levò fino a che non l’ebbe conquistata, | devastò la terra e tutto il regno | per prendere vendetta di sua moglie». 41 Considerazioni sul Roman d’Eneas 165 Possiamo vedere nel rapporto tra questi due luoghi – entrambi letterarî ed entrambi collocati in posizione preminente, all’inizio e alla fine del testo – il paradigma di quel rapporto tra Occidente e Oriente che, nel XII secolo si fonda sull’assunto che il potere – regale e sacrale, incarnato dalla città, dalle sue mura e dal signore che la governa – sia il vero continuum tra mondo antico e medievale. Quel potere, generato dalle epiche battaglie davanti alle porte di Troia, diventa il lavacro mitico che legittima le casate che governano il panorama della Francia medievale, ma che incarna, soprattutto, una straordinaria funzione letteraria di ricucitura tra la tradizione antica e la contemporaneità culturale. La ricordata prospettiva della translatio studii et imperii (5.1) inizia, cosí, ad assumere il rango di vero e proprio tópos, abbracciando idealmente due realtà: una spaziale, che è l’Oriente del mito e della meraviglia (conosciuta dal mondo occidentale attraverso le letture dei resoconti di mercanti, viaggiatori, pellegrini e soldati crociati), e l’altra culturale, che prende a modello la saggezza e il potere degli antichi, rendendoli di nuovo conoscibili e fruibili. È una duplice translatio, che contempla il potere e il sapere. Non sia superfluo ricordare che la filosofia appare sulla scena intellettuale del mondo occidentale provenendo dalla Grecia: la stessa religione cristiana è una religione mediorientale; e non si sottovaluti, in tempo di crociate, la dinamica di incontro/scontro tra civiltà, culture e religioni, che fa della translatio non tanto una prospettiva di deferente omaggio, quanto un vero e proprio transfert ideale che sancisce la preponderanza di un nuovo centro di interessi (sociali, politici, economici e letterarî) costituito dalla galassia feudale dell’Occidente cristiano. Cosí, la translatio si fa piú propriamente traditio: gli antichi consegnano idealmente ai moderni la legittimazione del potere anche attraverso la trasmissione del loro sapere, che è la piú grande eredità del mondo classico acquisita dalla società del XII secolo. Dentro questo paradigma, la città diventa il simbolo tangibile dell’eredità: e se Troia rappresenta l’archetipo delle origini mitiche della chevalerie (perché ha dato i natali al potere imperiale di Roma attraverso Enea), Albalonga e Roma segnano le tappe di un percorso che ricongiunge (anche attraverso la clergie, vale a dire la cultura e la letteratura) le antiche genealogie degli eroi con quelle dell’emergente feudalità francese e anglonormanna, che fin dai tempi della panegiristica imperiale dei Franchi e per tutto il XVI secolo si rivolge a questa tradizione per rivendicare la propria legittimazione politica. 166 Il Medioevo degli antichi L’orizzonte ideologico dell’Eneas muove dalla distruzione di una città per raccontarne la ri-fondazione: Enea non è il protagonista d’un viaggio, quanto il concreto realizzatore di un’ambizione: quella di fondare un nuovo mondo portando con sé il meglio della storia passata. Per questo l’anonimo autore del romanzo non poteva, come Virgilio, far chiudere la vicenda sul campo di battaglia, contemplando lo scorrere del sangue di Turno e lasciando che il lettore immaginasse il sereno realizzarsi della profezia di Anchise. Era necessario, per il nostro translator, mostrare esplicitamente le prospettive future, raccontando il concreto realizzarsi delle predizioni e mostrando l’incastrarsi perfetto tra il prima del mondo classico e mitico dell’Oriente troiano e il dopo della continuità medievale a lui coeva. Lo stesso incastro che, pochi anni dopo, Chrétien de Troyes avrebbe concretizzato nel suo Cligès, ponendo in capo alla Francia medievale il ruolo di patria predestinata dal disegno divino a possedere quel valore e quella virtú che si erano sviluppati in Grecia e in Roma, ma che non avevano fatto parte della dote degli antichi: 36 40 44 Dex doint qu’ele i soit retenue Et que li leus li abelisse Tant que ja mes de France n’isse L’enors qui s’i est arestee. Dex l’avoit as altres prestee: Car des Grezois ne des Romains Ne dit an mes ne plus ne mains, D’ax est la parole remese Et estainte la vive brese.44 Ciò che sarà una certezza – e in certo modo anche una scommessa – per Chrétien è, piú modestamente, per l’autore dell’Eneas, la prospettiva dalla quale egli osserva – e racconta – la storia di Enea. Attraverso la sua sapiente rielaborazione nasce un libro che fonda, prima di ogni altra cosa, un punto di vista sulla storia dell’Occidente medievale, che vede nella nuova società cortese, raccontata attraverso gli antenati, la fiducia sincera nell’affermazione di una nuova civiltà. 44 «Dio conceda che essa sia mantenuta | e che il luogo gli piaccia | tanto che mai si allontani dalla Francia | l’onore che si è fermato qui. | Dio l’aveva prestata ad altri: | perché dei Greci e dei Romani | non si dice piú alcun motto, | d’essi si tace ogni parola | e si è estinta la brace viva». APPENDICE LE SINOSSI DEI ROMANZI 205 IL ROMAN D’ENEAS*1 A differenza di Thebes e Troie, il romanzo si apre senza prologo, e anziché seguire il modello omerico dell’illustre precedente virgiliano, che iniziava in medias res la vicenda ricorrendo all’ordo artificialis, apre la narrazione dall’antefatto troiano: sono rievocati sommariamente l’assedio di Troia, la devastazione violenta della città e la decisione di Enea di lasciare la città nottetempo, insieme a numerosi sodali, portando in spalla il padre Anchise e tenendo per mano il figlio Ascanio. Partiti con venti navi ben equipaggiate, i fuggitivi salpano verso Occidente, con Enea come guida. L’ira di Giunone, nemica dei Troiani a causa del giudizio di Paride, manda contro le navi venti e tempeste, che mettono a dura prova i naviganti. La furia degli eventi dura per tre giorni e tre notti: alcune navi affondano, trascinando a fondo gli sventurati passeggeri; quando ormai tutto sembra perduto, il vento cessa e il mare si placa: all’orizzonte delle sette navi superstiti ecco apparire le coste della Libia (vv. 1-356). La terra, all’apparenza disabitata e selvaggia, è sotto la giurisdizione di Cartagine, una città straordinariamente ricca, popolosa e dedita al commercio e all’artigianato. Vi regna la tiria Didone, che la amministra saggiamente e sovrintende in prima persona ai lavori di costruzione dei monumenti cittadini. Gli ambasciatori troiani le chiedono asilo per poter riparare le navi danneggiate dalla tempesta. Didone, che conosce le vicende della guerra troiana, acconsente, e manda a chiamare Enea, che giunge al cospetto della sovrana con un’ampia scorta di cavalieri. Il primo incontro con la regina suscita l’ammirazione nei Troiani, tanto per l’opulenza della città quanto per la generosa cortesia che essa mostra nei confronti dei naufraghi. Enea, allora, manda a chiamare il figlio, affinché porti con sé ricchi doni, per omaggiare la sovrana cortese. In quel frangente, Venere abbraccia il piccolo Ascanio, attribuendogli il potere di * La sinossi del Roman d’Eneas è di Roberto Tagliani. 206 Il Medioevo degli antichi far innamorare coloro che egli bacerà. Durante un banchetto, nel quale Enea rievoca le dolorose vicende di Troia – il giudizio di Paride, l’assedio di Menelao, la morte degli eroi troiani, lo sciagurato inganno del cavallo e il conseguente eccidio dei cittadini, fino alla fuga verso le terre dell’avo Dardano e alla morte del padre Anchise – il sentimento instillato dal bacio di Ascanio infiamma il cuore di Didone; durante la notte, chiusa nella camera regale, la regina si strugge e si tormenta per la passione. La sorella Anna le suggerisce di prendere Enea in sposo e di farne il suo paladino contro le insidie dei baroni, ma la regina è incapace di ragionare razionalmente, in preda al crescente delirio amoroso. Durante una battuta di caccia, Didone ed Enea sono sorpresi da un temporale: si rifugiano in una grotta, e consumano la passione che ha infiammato i loro cuori. Al ritorno, la fierezza di Enea, signore della situazione, e la soddisfazione della sovrana fomentano dicerie in tutta la Libia. Quando, d’improvviso, gli dèi ricordano ad Enea la sua missione, l’eroe, pur a malincuore, prepara di nascosto la partenza. Saputa la notizia, la regina tenta in ogni modo di dissuaderlo dal suo proposito, ma a nulla valgono parole e preghiere: Enea è mosso dal volere degli dèi, e parte. Didone, maledicendo la sorte e l’infedeltà dell’amato, rabbiosa e folle si pugnala a morte, per poi abbandonarsi tra le fiamme, mentre le navi troiane lasciano la costa (vv. 257-2144). Enea approda in Sicilia, nei pressi della tomba paterna. Fa celebrare dei giochi in onore di Anchise, che gli appare in sogno, imponendogli di lasciare in quel luogo i vecchi e portare con sé solo i giovani: dovrà infatti combattere un’aspra guerra, sposare la figlia di un re e fondare una nuova nazione e una nuova stirpe. Prima di ciò, però, dovrà raggiungere l’antro della Sibilla, a Cuma, discendere negli Inferi e parlare con il suo spirito. Enea parte, secondo le indicazioni del genitore: giunto al cospetto della profetessa, si procura il ramo d’oro per omaggiare Proserpina, attraversa la porta dell’Inferno e intraprende il suo viaggio ultramondano. Supera il fiume infernale con il riottoso aiuto del nocchiero Caronte, elude la sorveglianza di Cerbero grazie agli incantesimi della Sibilla, incontra le anime dei fanciulli nati morti, vede Minosse, il giudice infernale, incontra i morti per causa d’amore, tra i quali scorge Didone: a lei rivolge parole di scusa, sdegnosamente respinte dalla regina, che fugge. Proseguendo, l’eroe incontra numerosi cavalieri tebani, greci e troiani morti sui campi di battaglia; giunge alla fortezza di Dite, cinta di mura ferrigne e bagnata dal rosso Flegetonte: qui sono puniti i giganti ribelli agli dèi, Tizio se- Il Roman d’Eneas 207 duttore di Diana, Tàntalo e molti altri dannati, sottoposti a incessanti ed eterne torture. Ma Enea è destinato ad altro viaggio: date le spalle alla fortezza e deposto il ramo d’oro all’incrocio delle vie che separano i due mondi ultraterreni, si dirige verso i Campi Elisi. Qui incontra il padre Anchise, che pronuncia la sua profezia sulla futura discendenza: gli mostra lo spirito di colui che sarà suo figlio, Silvio, partorito da Lavinia, figlia di re Latino e moglie predestinata di Enea; gli mostra poi i piú illustri tra gli uomini della sua futura progenie: Silvio Enea, Romolo, Giulio Cesare e Augusto. Anchise non gli tace le difficoltà che dovrà affrontare prima di ottenere il bene promesso: Enea è turbato, ma fiero di essere chiamato a realizzare un cosí grande progetto. Commosso, si congeda dal padre e torna ai suoi che l’attendono sulla riva, per riprendere il mare (vv. 21453050). I Troiani danno le vele al vento e raggiungono, finalmente, il Lazio, la terra degli avi promessa dagli dèi. Su di essa governa l’anziano re Latino, a cui Enea manda messaggeri per spiegare le ragioni del loro approdo. Fa, nel frattempo, costruire una torre ben guarnita sul Monte Albano, dove i Troiani trovano rifugio. L’anziano re, commosso dalle tragiche vicende degli esuli e in ossequio ai diritti della stirpe dardanide, consente loro d’installarsi nelle sue terre e promette in sposa ad Enea la giovane figlia Lavinia, già promessa a Turno. La moglie di Latino, Amata, è contraria alle decisioni del marito, e manda messaggeri a Turno, per avvertirlo delle mutate intenzioni del consorte. Turno medita propositi di guerra e di vendetta contro il rivale, venuto a contendergli la donna, e con questa il potere sulla terra. Durante una battuta di caccia, Ascanio uccide il cervo di Silvia, figlia di Tirro, un vassallo del re Latino; le proteste della giovane fanno accorrere molti cavalieri in suo aiuto: ne scaturisce una zuffa violenta, che degenera presto in battaglia. I Troiani attaccano il castello di Tirro, ne uccidono il figlio e saccheggiano il borgo. Quando la notizia giunge a Laurento, la capitale del regno di Latino, Turno ha gioco facile nel sollevare i baroni contro lo straniero e contro la decisione del re di accordargli ospitalità; con parole risolute li esorta a radunare un esercito contro i Troiani e a prepararsi all’assedio del castello dardanide (vv. 3051-4296). Mentre gli Italici progettano l’assedio, Venere, madre di Enea, chiede a Vulcano di forgiare armi magiche e invincibili per l’eroico figlio, in vista della guerra: il dio, dopo una notte d’amore, acconsente. Con l’armatura sfavillante, Enea raccoglie i suoi e organizza la resistenza. Per ottenere aiuti contro il grande apparato di forze messe in campo da Turno, l’eroe 208 Il Medioevo degli antichi si reca da Evandro, re della vicina Pallanteo, sulle cui spoglie sorgerà Roma. Risalito il Tevere fino alla corte del sovrano, ne riceve il sostegno e l’allenza: con cento navi e mille uomini, posti sotto la guida del figlio Pallante, armato cavaliere dallo stesso Enea, partono alla volta della fortezza assediata. Frattanto, i Troiani resistono, con valore, agli assalti di Turno che, approfittando dell’assenza di Enea, ha fatto distruggere le navi troiane, sferrando numerosi attacchi. La città resiste, difesa da soldati valorosi come Eurialo e Niso, la cui improvvida sortita notturna, che determina gravi perdite nel campo nemico, conduce i due giovani a una tragica fine. Turno moltiplica le incursioni, a costo di gravissime perdite: ma la ferocia con cui combatte nulla può contro la valorosa resistenza dei Troiani (vv. 4297-5601). All’arrivo di Enea, la battaglia infuria selvaggia: in un duello Turno colpisce mortalmente Pallante. In sommo spregio, Turno toglie al cadavere l’anello che Enea gli aveva donato armandolo cavaliere. Assetato di sangue, Turno si rimette nella mischia ma, salito su una nave per colpire un arciere, si trova sospinto al largo, rimanendo lontano dalla battaglia per qualche giorno. Intanto Enea, compianto il corpo esanime di Pallante, giura vendetta e spinge nella mischia, incalzando con tutte le sue forze: uccide Lauso e suo padre Mezenzio, luogotenenti di Turno. Dagli assedianti è proposta una tregua, per seppellire gli ormai numerosissimi morti. Si celebrano i solenni funerali dei caduti e Pallante, riaccompagnato nella città natale, è sepolto con tutti gli onori (vv. 5602-6536). Re Latino riunisce la corte a Laurento: propone la fine delle ostilità e l’assegnazione ai Troiani di un territorio selvaggio che va «des l’eve de Toscane | desi qu’al flueve de Sicane» («Dal fiume della Toscana | fino al fiume dei Sicani», vv. 6577-8). Drance, a nome dei baroni, approva la proposta, che porrebbe fine al diuturno eccidio di soldati. Il barone lancia a sua volta una proposta: se Turno è contrario al volere del re, sfidi a duello Enea, e la sorte di Lavinia e della sua eredità sia decisa da un’ordalía. Mentre si accende la discussione, scadono i termini della tregua; la parte troiana si lancia nuovamente all’attacco e le ostilità riprendono, piú feroci e selvagge di prima. La prima sortita è tentata da Camilla, alla testa di cento agguerrite amazzoni: scambiate per dee, sbaragliano gli stupiti Troiani. Solo Arrunte, che l’ha seguita, riesce a colpirla a morte, con grande gioia dei suoi. Appresa la notizia, Turno, che era in procinto di tendere un agguato ad Enea, interrompe le operazioni militari: tutti cessano di combattere, dentro e fuori Laurento. Enea fa montare una sontuosa tenda su un colle di fronte Il Roman d’Eneas 209 alla città, dove stabilisce il suo accampamento. Mentre tace la battaglia, si celebrano i riti funebri in onore di Camilla (vv. 6537-7724). Messo in difficoltà dalla forza degli assedianti, Turno accetta di sfidare a duello Enea per ottenere Lavinia; dalla decisione scaturisce una nuova tregua. Mentre fervono i preparativi, Amata, la regina, tenta invano di convincere la fanciulla a scegliere Turno, evitando inutili spargimenti di sangue: ma la giovane rifiuta. Quando, dall’alto di una torre, Lavinia vede Enea uscire dalla tenda, se ne innamora all’istante: in una lunga notte di tormentate riflessioni amorose decide di comunicare la sua scelta alla madre: amerà soltanto Enea, non sarà mai di Turno. Frattanto, avanzano i preparativi per il duello, e s’intensifica l’innamoramento della giovane per l’eroe, tra atroci dubbi e sospirosi desiri. Alla fine, Lavinia decide di mettere in una lettera tutto il suo travagliato sentimento: scrive la missiva, la arrotola attorno a una freccia e la fa scagliare da un arciere nel campo troiano. Enea teme, per un istante, che la tregua sia rotta: ma ben presto, leggendo lo scritto, comprende bene quale sia la situazione. Anche nel suo cuore si accende l’amore per Lavinia, verso la quale lancia fugaci sguardi, da lontano. Per entrambi la notte è foriera di dubbi e di sospetti, mentre il solo disvelarsi di un rapido cenno, nel giorno luminoso, sana ogni piú negativo e atroce pensiero (7725-9274). Mentre gli amanti si osservano, segretamente, da lontano, scadono i termini della tregua; si preparano i campioni del torneo: Enea da un lato, Turno dall’altro. Enea rivendica l’immunità per il figlio e il suo popolo, in caso di sconfitta: le sue parole infiammano lo spirito partigiano di uno dei soldati di Turno, che si scaglia contro un troiano, uccidendolo. Infuria di nuovo la battaglia: niente piú duelli cavallereschi e cortesi, ma violente e confuse mischie. Enea, disarmato, viene colpito da una freccia: Turno si avventa su di lui, ma il sacrificio del prode Neptanebo gli impedisce di ucciderlo. Curato nella tenda con il díttamo, Enea torna in campo e capovolge le sorti della battaglia, che in sua assenza aveva preso una piega difficile per i Troiani. L’eroe ordina l’assalto e l’incendio di Laurento: alla vista delle fiamme, Turno capisce che non può piú proseguire oltre senza mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza del regno di Latino. Accetta di battersi in singolar tenzone con Enea il quale, nonostante il valore del campione italico, lo sbaraglia e lo mette a terra, costringendolo alla resa (vv. 9275-9774). Enea ha vinto, e prova pietà per Turno. Sta per concedere il perdono al nemico sconfitto, quando vede che esso indossa l’anello di Pallante: gli 210 Il Medioevo degli antichi sovviene allora il sacrificio del giovane, per vendicare il quale brandisce la spada e decapita Turno. Tra le grida di gioia dei Troiani e le meste espressioni di lutto degli Italici, si decidono i giorni degli sponsali: con rammarico di Lavinia, essi non sono immediati, ma posticipati di otto giorni; un tempo sufficiente per suscitare, ancora una volta, dubbi e tensioni nella giovane. Finalmente si celebrano le nozze, in cui tutti gli animi sono pacificati e in cui gli amanti, finalmente sposi, possono iniziare a vivere in pace; coronato il sogno d’amore, e avuto da Latino il potere su tutto il Lazio, Enea fonda una nuova città, Albalonga, dove vivrà con Lavinia, i suoi e la sua stirpe, dalla quale nascerà anche Romolo, il fondatore di Roma e del suo straordinario e glorioso impero (vv. 9775-10156). 217 BIBLIOGRAFIA A. Testi a. Thebes Le Roman de Thèbes, éd. et trad. du ms. S par Francine Mora-Lebrun, Paris, Le Livre de Poche, 1995 [ed. di riferimento]. Le Roman de Thèbes, publié d’après tous les manuscrits par Léopold Constans, Paris, Firmin Didot, 1890, 2 voll. 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Brut Bucefalo, 132 Caino, 81 Calcante, 212, 215 Calidone, 201 Camilla, 69, 70, 83, 88, 102, 147, 148 e n, 159, 160, 179n, 187n, 208, 209 Capaneo, 94, 203 260 Carcodet, 129n Caronte, 206 Cassandra, 182, 211, 215 Castore, 212 Cerbero, 206 Circe, maga, 189 e n, 215 Clauso, 160 Clitemnestra, 215 Cosroe, re persiano, 19n Creonte, 203 Criseida, v. Briseida Cupido, 161 e n D’Artagnan, 13 Dario il Rosso, 86, 92, 101, 121 e n, 123, 131, 134, 202 Deifebo, 213 Delfi, oracolo di, 212 Diana, 162n, 207 Didone, 50, 64, 69, 80, 82, 83 e n, 84, 88, 96, 97, 101, 141, 145, 146n, 147, 150 e n, 151, 152 e n, 153, 154 e n, 156, 157, 158, 161, 181, 205, 206, 236 Diomede, 34, 91n, 101, 103, 174, 178, 185, 189, 212, 213, 214, 215 Drance, 208 Ecuba, 49, 83, 97, 101, 177, 178n, 182, 183, 189, 193, 213, 214, 215 Edipo, 9, 50, 68, 81, 83, 93n, 95, 96, 101, 108n, 110, 118, 119, 121, 129n, 131, 201, 202 Elena di Troia, 34, 48, 50, 69, 97, 101, 103, 149, 174, 175, 176, 183, 189, 195, 196, 211, 212, 214, 215 Eleno, 59, 81n, 182, 214 Enea, 9, 11, 13 e n, 28, 32, 35, 41, 42, 50, 67n, 69, 73, 75, 79 e n, Il Medioevo degli antichi 83, 85, 87, 92, 93 e n, 94, 96, 97, 101, 103, 141, 142, 147, 148, 149, 152 e n, 153 e n, 154 e n, 155, 156, 157, 159, 162, 163, 164, 165, 166, 205 e n, 206, 207, 208, 209, 210, 215 Eracle (Eraclio), 19 e n Eracle, v. Ercole Ercole, 19, 41 e n, 211 Esione, 201 Eteocle, 34, 68, 81, 82, 83, 86, 100, 101, 108n, 110, 115, 118, 121, 121 e n, 123, 124, 125, 126 e n, 127, 131, 132, 134, 201, 202, 203, 237 Ettore, 41 e n, 48, 49, 69, 83, 85, 101, 102, 177, 179 e n, 182, 186, 187, 194, 212, 213 Eurialo, 91n, 159, 208 Eva, 80, 81 Evandro, 147 e n, 208 Fenice, 40n Filomela, 54 Floire, 40 e n Francus, 73 Ganimede, 157 Giasone, 41n, 46, 50, 51, 85, 97, 101, 102, 103, 174, 175n, 176, 190, 193, 196, 211 Ginevra, 184 Giocasta, 83, 101, 108, 110, 119, 126, 202, 203 Giosué, 40 Giove, 83, 120, 182 Giunone, 88, 94, 149, 161 e n, 182, 205 Goodwin, Archie, 91 Indice dei personaggi letterarî 261 Holmes, Sherlock, 91 Mosé, 40 Ippomedonte, 202 Ipsipile, 196 Isifile, 201 Ismene, 69, 101, 127, 136, 202 Isotta, 20 Narciso, 14, 191 e n Neptanebo, 209 Niso, 91n, 159, 208 Jones, Indiana, 41n Laio, 50, 83, 96, 118, 129n Laomedonte, 211 Latino, re, 79n, 80, 84, 207, 208, 209, 210 Lauso, 160, 208 Lavinia, 35, 41, 69, 79 e n, 85, 87, 88, 96, 97, 101, 141, 150, 154, 155, 156, 157, 158, 164, 207, 208, 209, 210, Licurgo, 95, 130, 136, 201, 202 Maometto, 128 e n Margaritone, 213 Marsilio, 160 Marte, 72, 96 e n, 120, 163 Medea, 51, 85, 97, 101, 102, 103, 174, 189, 190, 191, 193, 193, 211, Melampo, duca di Baille, 130 Meleagés, 121, 126, 134, 202 Melusina, 31n Memnone, 214 Menelao, 34, 87, 101, 164n, 173n, 206, 211, 212, 214 Mesenzio, 160 Messapo, 160 Mezenzio, 208 Minerva, 120, 215 Minosse, 206 Montalbano, Salvo, 41 Mordret, 184 Olivieri, 160 Oreste, 215 Orlando, 91,134, 160 Palamedes, 194n, 212, 213 Pallade Atena, 88, 94, 148 Pallante, 69, 85, 147 e n, 148, 164, 187n, 208, 209 Paride, 29, 34, 64, 68, 69, 70, 72, 79n, 81 e n, 85, 86, 87, 88, 93, 96, 97, 101, 103, 113n, 118, 149 e n, 173, 174, 175, 176, 183, 186, 205, 206, 211, 212, 214, 241 Partenopeo, 133 e n, 202 Patroclo, 91, 212 Pelia, 211 Pelope, 54 Pentesilea, 83, 102, 173n, 189, 214 Piramo, 19, 88n Pirro, 173n, 183, 214, 215 Pistropleus, 185 e n Plutone, 162n Polinice, 35, 68, 81, 83, 86, 90, 95, 108n, 110, 115, 118, 120, 121, 122n, 123, 124, 125, 126 e n, 133, 134, 201, 202, 203 Polissena, 97, 101, 103, 174, 177, 178 e n, 183, 189, 190, 213, 214, 215 Polluce, 212 Priamo, 49, 59, 71, 73, 81n, 83, 85, 159, 179, 182, 183, 211, 212, 213, 214, 215, 241 262 Procne, 54 Procuste, 22 Proserpina, 162n, 206 Rolando v. Orlando Romolo, 81, 164 e n, 207, 210 Sagittario, 52n, 185 e n, 186, 188, 212 Saladino, 88n Salemandre, 101, 203 Salomone, 46, 56, 171 Sfinge, 50, 95, 96, 129n, 202 Sibilla, 206 Sicheo, 83n, 153 Silvia, 207 Silvio Enea, 207 Silvio, 207 Soredamor, 40 e n Tantalo, 207 Telamone, 211 Telegono, 189n, 215 Tervagan, 128 e n Teseo, 120 Tideo, 34, 90, 125 e n, 126, 134, 201, 202, 237 Il Medioevo degli antichi Tirro, 160, 207 Tisbe, 19, 88n Tizio, 206 Tristano, 20, 32 Troilo, 34, 59 e n, 85, 97, 101, 103, 174, 178, 189, 192, 196, 212, 213, 214 Turno, 87, 101, 102, 147n, 148, 156 e n, 159, 160 e n, 161, 164, 166, 207, 208, 209, 210 Ulisse, 76, 91n, 149, 178, 185, 189n, 212, 213, 215 Usarche, 131 Venere, 72, 86, 88, 94, 96 e n, 149, 161 e n, 162, 163 e n, 205, 207 Vulcano, 94, 96 e n, 120, 162, 163, 207 Watson, John, 91n Wolfe, Nero, 91n Zeus, 94 Finito di stampare ottobre 2013 da Digital Team - Fano (PU)