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ANO XIII - NUMERO 198 La poesia di Enrico Testa Luglio 2020 Editora Comunità Rio de Janeiro - Brasil www.comunitaitaliana.com mosaico@comunitaitaliana.com.br Direttore responsabile Pietro Petraglia Editori Andrea Santurbano Fabio Pierangeli Patricia Peterle Revisore Elena Santi S ulla scia di alcuni altri numeri dedicati alla poesia italiana contemporanea, ora è la volta del genovese Enrico Testa, classe 1956. Il suo primo volume, Le faticose attese Grafico Alberto Carvalho (San Marco dei Giustiniani, 1988), esce con una prefazione firmata nientemeno che da Copertina (Foto) Dino Ignani per i libri a venire. COMITATO SCIENTIFICO Andrea Gareffi (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Andrea Santurbano (UFSC); Andrea Lombardi (UFRJ); Asteria Casadio (Univ. “G. d’Annunzio, Chieti e Pescara); Beatrice Talamo (Univ. della Tuscia di Viterbo) Cecilia Casini (USP); Cristiana Lardo (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Daniele Fioretti (Univ. Wisconsin-Madison); Elisabetta Santoro (USP); Ernesto Livorni (Univ. WisconsinMadison); Fabio Pierangeli (Univ. di Roma “Tor Vergata”); Giorgio De Marchis (Univ. di Roma III); Giovanni La Rosa (Univ. di Roma “Tor Vergata”) Lucia Wataghin (USP); Mauricio Santana Dias (USP); Maurizio Babini (UNESP); Patricia Peterle (UFSC); Paolo Torresan (Univ. Ca’ Foscari); Roberto Francavilla (Univ. di Genova); Sergio Romanelli (UFSC); Silvia La Regina (UFBA); Wander Melo Miranda (UFMG). COMITATO EDITORIALE Affonso Romano de Sant’Anna; Alberto Asor Rosa; Beatriz Resende; Dacia Maraini; Elsa Savino (in memoriam); Everardo Norões; Floriano Martins; Francesco Alberoni; Giacomo Marramao; Giovanni Meo Zilio; Giulia Lanciani; Leda Papaleo Ruffo; Maria Helena Kühner; Marina Colasanti; Pietro Petraglia; Rubens Piovano; Sergio Michele; Victor Mateus ESEMPLARI ANTERIORI Redazione e Amministrazione Rua Marquês de Caxias, 31 Centro - Niterói - RJ - 24030-050 Tel/Fax: (55+21) 2722-0181 / 2719-1468 Mosaico italiano è aperto ai contributi e alle ricerche di studiosi ed esperti brasiliani, italiani e stranieri. I collaboratori esprimono, nella massima libertà, personali opinioni che non riflettono necessariamente il pensiero della direzione. SI RINGRAZIANO “Tutte le istituzioni e i collaboratori che hanno contribuito in qualche modo all’elaborazione del presente numero” STAMPATORE Editora Comunità Ltda. ISSN 2175-9537 2 La poesia di Enrico Testa Giorgio Caproni, poeta livornese che, come sappiamo, ha adottato Genova come sua «città dell’anima». Una prefazione breve e incisiva e, al contempo, un carico di responsabilità Il suo secondo libro di poesia, In controtempo (1994), esce per Einaudi (che d’ora in poi sarà la sua casa editrice), venendo accolto con molto favore sulle pagine di L’Unità da Giovanni Giudici, il quale lo giudica un libro che si distacca «nell’orrenda babele di chiasso e chiacchere». Ed è lo stesso Giudici, in questa recensione, ad indicare già due caratteristiche importanti del poeta: il rigore e la suprema pazienza. La sostituzione arriva nel 2001, confermando l’importanza di alcuni motivi che ritorneranno anche nei libri successivi, seppur con dei mutamenti, anche di tono: il paesaggio umano, la pluralità di voci, il rapporto con le persone scomparse, i piccoli animali, la figura dell’altro, i fili sfilacciati della memoria. Tutti aspetti, questi, che mettono al centro della sua poesia l’esperienza, la sua percezione e i suoi effetti. I pluripremiati Pasqua di neve (2008) e Ablativo (2013) consolidano ulteriormente la figura di Testa nel panorama poetico italiano. A proposito della pubblicazione del secondo, Alberto Asor Rosa afferma sulle pagine di La Repubblica: «[s]i capisce così che, sperimentalmente parlando, la ricerca di Testa, mentre s’impernia decisamente sul disagio contemporaneo, ne addita al tempo stesso il superamento, inaugurando la proposta di una poesia che, più che dire, addita con esattezza millimetrica le condizioni attuali del nostro esserci – e il loro circostanziato espandersi nel mondo». L’«andare a pezzi», riscontrato nei libri precedenti, si conferma dunque in Cairn, pubblicato nel 2018. Dopo trent’anni di scrittura poetica, forse qui c’è un passaggio decisivo, un ciclo che si chiude, per aprirsi, chissà, a futuri percorsi. I saggi qui raccolti testimoniano con le loro acute letture critiche la forza di questa scrittura e di un accento ormai riconoscibile. Ringraziamo per la collaborazione Fabio Moliterni, Paolo Zublena, Fabio Pierangeli, Lucia Wataghin, Patricia Peterle, Sebastiana Savoca, Luiza Faccio e Prisca Agustoni. E in chiusura, un piccolo registro degli ultimi viaggi di Enrico Testa in Brasile. Buona lettura! Indice «Un cielo privato ma condiviso»: la poesia di Enrico Testa da Le faticose attese a Cairn Fabio Moliterni pag. 04 Un «tremante ex-voto». Poesia come rito Paolo Zublena pag. 08 «Come una polpetta crepata». Cibi, escrementi e viaggi in Enrico Testa poeta. Fabio Pierangeli pag. 12 «La caduta del cielo», di Enrico Testa Lucia Wataghin pag. 20 Sei inediti di Enrico Testa pag. 24 «Segnavia e segnavita», appunti sulla poesia di Enrico Testa Patricia Peterle pag. 26 Sintassi, metro e prosodia nelle poesie di Enrico Testa Sebastiana Savoca pag. 30 «Quadretti di genere»: una lettura di Ablativo Luiza Faccio pag. 34 Enrico Testa al Festival Internazionale di Letteratura Chiasso Letteraria Prisca Agustoni pag. 38 Enrico Testa in Brasile pag. 40 Rubrica Sottomissione e segreto Francesco Alberoni PASSATEMPO pag. 42 pag. 43 3 «Un cielo privato ma condiviso»: la poesia di Enrico Testa da Le faticose attese a Cairn Fabio Moliterni Enrico Testa è giunto al suo sesto libro di poesie e ha festeggiato proprio con il 2018 appena trascorso il trentennale della sua opera d’esordio . I versi 1 dell’ultima raccolta coprono gli anni 2012-2017 2: si tratta di una gestazione pluriennale che viene puntualmente registrata ad apertura della Nota d’autore, così recita il titolo di una sua antologia o del mercato. Voglio dire che dei paradossi che attraversano la imitazioni epigoniche e dalle sirene sulla poesia del secondo Novecento la pronuncia di Testa si è fatta sua opera in versi, risuonando in cagionevoli e volubili delle mode via via sempre più riconoscibile e personale, si è aperta con il tempo a una varietà significativa di registri formali e di risonanze concettuali, restando tenacemente come avveniva nelle precedenti fedele alle sue origini. È, questo, plaquette (con una scansione che il segno di una tensione dialettica raccolta e la successiva). Sempre dettato uniforme o monotono né solitamente indicava con regolarità nella quale vive la sua scrittura in in dialogo con una precisa idea appartiene con certezza a questa la durata di un lustro tra una versi, che non si risolve mai in un a tutti nota3: è una delle aporie o particolare all’interno di questo ultimo libro. Dove, come cercherò di mostrare, alle costanti retoriche e tematiche della sua scrittura lirica, a certe modalità enunciative oramai riconoscibili e familiari si sovrappongono alcuni elementi di novità che forse risentono delle riletture critiche che, contemporaneamente alla stesura di Cairn, Testa andava facendo di poesia che discende dai suoi o a quella scuola, linea o corrente, intorno a Montale e in particolare al “maestri” riconosciuti, Montale e resta come sospesa sul crinale Caproni e Sereni, nell’arco ormai di un trentennio la sua scrittura tra continuità e discontinuità, tradizione e postumità, tra un Montale della “vecchiaia”, da Satura in versi è cresciuta al riparo dai 1 4 rischi del manierismo, delle sterili prima e un dopo la lirica, come in poi4. Di seguito tratteggerò i punti salienti di questa tensione tra continuità e variazioni. E. Testa, Le faticose attese, Genova, San Marco dei Giustiniani, 1988. 2 E. Testa, Cairn, Torino, Einaudi, 2018 (d’ora in avanti solo con l’indicazione di pagina). 3 Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, Torino, Einaudi, 2005. 4 Come è attestato dalla monografia E. Testa, Montale, Firenze, Le Monnier, 2016, che risulta essere una riscrittura profondamente mutata di quella Come è stato fatto notare dai / o provo a ricordare”, p. 95), del tempo, vive da sempre di queste suoi migliori critici , la poesia di “viandante”, monade “inert[e] o ossessive costellazioni di immagini, stesso tempo vitale e necessaria, siamo di fronte a uno strumentario 5 impazient[e]”, esiliata, rifratta e di questi tratti formali specifici meglio, la specificità del linguaggio proprio perché è implicata, volente retorico che deriva da un versante narrativo, aprendo i confini della forma lirica tradizionalmente sono con voi, ancora. / Senza di voi, intesa a una pluralità di voci e di gli altri: “Risaliamo tra la gente / E niente” (p. 100). quale Testa è fine conoscitore, personaggi, quadri fotogrammi La sua poesia, indifferente alle o situazioni che vedono l’io alle mode passeggere e al trascorrere Montale, come detto, fino a Sereni Testa si presenta da subito come un congegno o un dispositivo di stampo dialogico: difende l’autonomia, o lirico pur ricorrendo ai modelli semiotici di tipo teatrale e (pseudo) confusa nelle voci altrui ma allo o nolente, nella rete dei rapporti, degli incontri e delle relazioni con prese con una folla di personae e e distintivi. È bene chiarire che preciso della lirica italiana (con i suoi addentellati europei) del frequentandolo anche come lettore, traduttore e critico di poesia (da e Caproni in compagnia magari con i nodi più o meno intricati delle relazioni umane, tra memoria e dolore, presente e passato. Questa condizione della voce poetica si traduce in pochi, costanti e precisi Dino Ignani tratti retorico-formali che tornano di libro in libro: l’assenza all’inizio e alla fine di ogni componimento delle maiuscole e dei segni di interpunzione, per trasferire sulla pagina scritta il senso di una memoria che funziona come un continuum, un dire senza origine né fine; il succedersi di monologhi in miniatura che restituiscono la sensazione di un teatro mentale, di Philip Larkin)6. È da segnalare, interiore, accanto ai segni grafici piuttosto, come alla persistenza e o comunque l’inserimento di sua opera in versi, corrispondano che occupano la pagina indicando alla tenuta di questi schemi o modelli altre voci che soppiantano o una modulazione e pronuncia linea con lo statuto etico che regola stilistici diversi che, soprattutto né conciliante di questi versi, come Eallora:gliincisioleparentetiche l’attivarsi del registro colloquiale, retorici, veri e propri pattern della sostituiscono quella del soggetto personali tra riprese e variazioni, lirico. Un soggetto che si presenta, in contaminazioni e intrecci di registri della natura nient’affatto pacificata della sua scrittura. la poesia di Testa, e a testimonianza una entità enunciativa decentrata in Cairn, dimostrano della vitalità solcano capronianamente i versi con e spesso relegata ai margini effetti di continue messe a fuoco o di (“aspetto un segnale da lontano cortocircuiti e slittamenti percettivi; apparsa per Einaudi nel 2000. 5 Cfr. A. Cortellessa, Enrico Testa, sé come un altro, in Id., La fisica del senso Saggi e interventi su poeti italiani dal 1940 a oggi, Roma, Fazi, 2006, pp. 528-533; P. Zublena, Enrico Testa, in Parola plurale. Sessantaquattro poeti italiani fra due secoli, a cura di Giancarlo Alfano, Alessandro Baldacci, Cecilia Bello Minciacchi et alii, Roma, Sossella, 2005, pp. 559-575; P. Peterle, Vagando qua e là. La poesia di Enrico Testa, in “Nuova corrente”, n. 160, luglio-dicembre 2017, pp. 133-147. 6 Cfr. P. Larkin, Finestre alte, traduzione e cura di E. Testa, Torino, Einaudi, 2002. 5 al dopo / e ai suoi falsi, interessati mai “l’aristocrazia linguistica” profeti. / Al momento a me basta del codice lirico10; e l’aumento di questo rosario di sguardi”, p. 97. La presenza dei toponimi e degli antroponimi convive con l’uso opaco la sostenutezza del tono, con la vertiginosa tensione o complessità “quasivita” – i viaggi, i sogni e la veglia, che diventano le occasioni per attivare l’ascolto o lo sguardo rivolti soliti / nonso, noncredo, forse…”, p. 37), insieme alla sintassi nervosa e alla frequenza emblematica di avversative (“eppure”, “ma”) testimoniano a un tempo dell’estraneità del soggetto al mondo presente e il suo radicato smarrimento esistenziale, ma anche la declinazione etica dello sguardo, medium prensile e recettivo per afferrare e riportare sulla pagina l’eco di quella che è la vera Heimat della sua antropologica – “etnografica” – della sua “poesia di pensiero”. È una chiave di lettura valida anche per decifrare la mobilità e la varietà dei registri presenti in Cairn: perché alle figure e alle “voci” della natura, all’oscillazione dei referenti, tra segnali degli assenti e dei trapassati, statuto ambiguo e straniante di in una fraterna o filiale comunanza certe scene e situazioni disegnate, / di un’esistenza muta: mia, vostra, anche lessicale dei dettagli e un / Incautamente sperando / nella un’apertura a compasso delle piante alberi fiori e animali, captare i primi piani e piani sequenza, allo e reversibilità tra i vivi, i morti e i sospese come di consueto tra loro’” (p. 37); “Rischio la vita per velo onirico e allucinatorio che superstiti: “‘Ne va dell’esistenza… l’estrema concretezza e precisione i morti. / Rischio la vita per i vivi. le circonda, Testa risponde con pietà degli uni e degli altri” (p. 11) risorse linguistiche ed espressive. morti dimenticati: / gli uni e gli altri sintassi al lessico ricercato alla – e infine: “i corpi degli esseri vivi in abbandono / i corpi degli esseri E la figuralità, la “permanenza” del codice lirico a tutti i livelli, dalla più corporei che mai” (p. 9). metrica – le citazioni e i cultismi, scriveva di un “passo doppio” come le cadenza che ne accompagna tutta “lontanosvanente”, “taglioferita”, vive insieme di una “tensione il ricorso all’endecasillabo e all’oltre” e di una fedeltà alla soprattutto la ricerca della rima A proposito di Montale, Testa le inversioni e le paronomasie, l’opera poetica: di una poesia che “quasivita”), le anafore e le iterazioni, neoformazioni (come poesia: l’“ostinata vita interstiziale” in clausola – convivono con un (p. 93), le “miniature sbreccate” (p. pessimismo o scetticismo crescenti incremento di fenomeni linguistici 22), “un cielo privato ma condiviso” “vita brulla”, “di quaggiù” , di un ai quali corrispondono una “non e retorici di segno opposto. (p. 63),“il primo risveglio (gli basta rassegnata rassegnazione”, un anche un cenno) / della vita dispersa “non pacifico disincanto” . Che si Mi riferisco anche qui a certi procedimenti che probabilmente “una ricca povertà” – nella quale rivalutazione dell’ultimo Montale, il lessico impoetico non scalzano e prosastici, la punteggiatura serrata, e melmosa” (p. 108) – o come una dichiarazione di poetica: “no, non è il gran mare dell’essere / di poeti e degli altisonanti filosofi / […]. / È, nel suo poco, qualcosa di meno e di più…..”, p. 115; “Il vuoto lasciamolo 7 E. Testa, Montale, cit., p. IX. 8 Ivi, pp. 104-106. 9 Ivi, p. 112. 10 Ivi, p. 38. 6 e dintorni) con la compattezza e nell’intrecciare tentativi di colloquio) sospesa, allucinata o visionaria, di “Dicono che…”, “La mimica dei miei anni del suo “stile tardo” (Satura dei deittici, nel disegnare scenari (o calati spesso in una dimensione le espressioni dubitative (“O forse…”, plurilinguismo coabita anche negli 7 8 riflettono col passare del tempo in una peculiare veste formale – 9 la semplicità e la “plebe linguistica”, la cadenza prosastica o colloquiale, derivano dalla lettura dei “suoi” poeti e in particolare dalla ma sono risolti in una chiave originale e convincente: i versi liberi l’incremento dell’intonazione diaristica e dello stile elencatorio e nominale, le giustapposizioni, le terne (o quaterne!) di aggettivi, “un tamtam digitale” (p. 97), “u[n] e “borghese” di Sereni, il Montale e appunti presi da un diario o da di Caproni) sia Philip Larkin, al bukkake!” (p. 106). Spesso in forma di aneddoti decostruttore dei miti d’oggi, l’ironia beffarda e i paradossi alla maniera verbi o sostantivi posti in sequenza, un giornale di bordo, tra incontri spesso per asindeto e senza segni di e agnizioni, paesaggi familiari o interpunzione: “Pellegrini lamenti esotici, parabole, occasioni private questa sezione. Ma come avviene in certe poesie dell’inglese (Finestre le “sottopoesie” di Cairn, come alte, Gli alberi), queste manifeste geme impreca tace”, p. 31; “al cumulo e breviari metafisici in miniatura, Caproni definiva i suoi “versicoli” di Erba francese, fanno registrare dichiarazioni di misantropia e disgusto, disadattamento e non vestito nero calze e scarpe / di nello stato d’animo e nella postura coesistere con gli scatti verticali, con liquido bianco vischioso denso”, del soggetto lirico alle prese con il le epifanie o evocazioni di una realtà più “impuro” che talvolta accoglie, di Capaneo): “il mio paese i suoi scongiuri riti”, p. 25; “insieme balbetta prega ride grida / piange di aliti suppliche fiati / respiri affanni preghiere”, p. 57; “e schizzando p. 106, ecc. . Un abbassamento 11 del tono e in generale un lessico registra e irride i barbarismi del parlato globalizzato, le derive della lingua contemporanea: “i turisti i monti muti i ciancivendoli dei blog” (p. 10), “Prima che come preti antichi / il loro breviario, / riprendiate a stringere tra le mani / smartphone o cellulari / e a connettervi al vostro mondo” (p. 41), “doni spermatici o squirting equinoziali” (p. 25), indubbiamente un mutamento degrado della realtà contemporanea (si veda su tutte la sezione Album politici / gli escalofonisti tutti – vecchi e nuovi – / i professionisti nel maneggio dell’argilla / che impasta parole in nome dell’affare. // E il quale non a caso sono dedicate due traduzioni o rifacimenti proprio in appartenenza possono a volte “altra”, sospesa tra memoria, amore e dolore: tra i tentativi di allocuzione e di ritorno salvifico nel cerchio degli scomparsi, la fedeltà alle figure dei trapassati e a un “oltre” che pur insidiato dal “ciarpame” del presente, non si consuma del tutto ma insiste mio starmale” (p. 46). Credo che per e resiste come “qualcosa di là da limiti dell’invettiva, che schernisce, lontano / del nostro amarci, / per il Testa il vero nume tutelare di questo (nuovo) sguardo amaro e risentito, ai giudica e condanna i tempi presenti (oltre all’indignazione trattenuta venire”12: “Siamo ormai riconoscibili soltanto / per il sorriso sempre più gesto con cui ora / continuiamo – in eterno – a salutarci” (p. 38). 11 Fenomeni già presenti, in nuce, nella precedente raccolta, Ablativo, Torino, Einaudi, 2013, p. 9: “[…] / camerate d’ansia / dove affiorano medici sadici / crudeli amici ostili cose…”; “quanti ascensori ho già preso fin qui! / di alberghi condomini uffici musei / università biblioteche ospedali / ciascuno diverso dall’altro / per foggia arredo odore e colore”, p. 40; “elma in turco significa mela. / Iridescente prisma delle lettere / che riflette separa ricongiunge / anche qui tra mura e minareti”, p. 90; “[…] / Nevai o fondali o prati glaciali / rocce basalti andesite. / A zero il male”, p. 96. 12 Ivi, p. 96. E ancora, da una poesia tratta sempre da Ablativo dedicata A Edoardo Sanguineti: “[…] / non molto mi resta se non il desiderio di dirle, / sommesso replicando, / che nel mondo oggi / (che lei vedeva ormai condiviso e uguale) / in realtà ci sono poi di globale / solo la rete, le armi e i poveri / e che (il legame è oscuro ma c’è) / i versi, se vuoti di ogni albagia / e ridotti quasi a patiti patemi del pathos, / servono ancora. / A poco ma servono / anche se a chi e a cosa non so”, p. 37; ovvero, in una sereniana congiunzione tra morti, scomparsi e forma futuri: “[…] / Capisco allora che siete voi / i veri officianti della cerimonia / pronti sempre ad insegnarmi / che qualcosa non è ancora svanito / anche se, nel tempo, tutto è finito”, p. 113. 7 Un «tremante ex-voto». Poesia come rito Paolo Zublena La poesia di Enrico Testa consente, male storico (per riformulare passi per le sue caratteristiche di conti- celebri delle Tesi sul concetto di sto- tentativo di sintesi sincronizzante, Provare a salvare un mondo quoti- nuità e soprattutto compattezza ria) – anche se l’accento è qui più nonostante i circa trent’anni e i sei diano di oggi, di ieri, di madri e padri tematica e stilistica, di condurre un libri – ciascuno con una propria specificità – in cui si articola . 1 Diciamo innanzitutto, fon- etico, più politico invece in Benjamin. (e di figli), talora di antenati – senza alcuna garanzia di salvezza. Le tracce delle relazioni umane presenti e dandoci anche sulla profonda au- passate (dall’amore all’amicizia ai a livello di poetica esplicita, che che restano impigliate al mondo delle tocoscienza della propria scrittura privilegiati e intensi rapporti fami- che l’autore ha sempre dimostrato liari) sono – anche nelle immagini sperienza, fondata sul ricordo e ora intermediari: e spesso entrambe quella di Testa è una poesia dell’esull’interpretazione di fatti dell’esistenza – e principalmente legati all’esistenza dell’autore empirico. Evocati da questo io che in- sieme viene da loro convocato e interrogato stanno gli attori e i temi cruciali di questa poesia: il dialogo con i morti innanzitutto; la memoria; la quotidianità; il sogno; piante e degli animali (ora ricordi, le cose insieme) – le uniche reliquie per questo nel sogno si esprime al immanenza. Il dolore, a volte l’ango- – la rischiosa dualità tra dolcezza di trascendenza che balenano in massimo grado – e con forza, in ta- scia, può essere un interruttore che e paura: le quali a volte diventano una cornice di pura e talora crudele schiude i labili confini delle «cretacee porte» – come le chiamava Caproni vero terrore, inestinguibile angoscia, come nel terribile sogno di sono le si intitola una sezione di Cairn, dalla due di notte (C 59). sua poesia eponima). Una porta che fondamentale con l’esperienza vis- perduti. Ne risultano lacerti di un suta: il compito è quello di trattenere mondo onirico in cui l’io si rappre- La memoria ha un rapporto momentanea consolazione, a volte – tra vivi e morti (e Portale di fango il paesaggio; il dolore; l’amore; gli animali e le piante; il viaggio. luni episodi, persino agghiacciante Il paesaggio è strettamente lega- si apre spesso nel sogno, privilegiato to all’infanzia, mediato dalla memoria terreno di comunicazione con i cari propria e altrui: è quindi il proprio paesaggio – montalianamente indelebile nel ricordo. Spesso questo serbatoio dalla rete dell’oblio tutto un mondo senta talvolta in prima, talvolta in di immagini è compreso nel sogno, o di uomini e cose. È una memoria terza persona, facendo l’esperienza nettamente benjaminiana, resto di del vedersi da fuori in modo per speranza, residua porta di accesso certi versi più spaesante di quanto confina da vicino con i suoi terreni; del Messia, arca per i vinti e i senza nome spazzati via dal torrente del in genere non consenta la semplice rappresentazione letteraria. Proprio ma più ci si allontana dal paesaggio familiare, più si va verso un’interroga- zione spaesante sullo statuto dell’io, degli altri e delle cose (statuto etico, 1 Fa parziale eccezione il primo libro (Le faticose attese Genova, San Marco dei Giustiniani, 1988). Il quintetto dei volumi einaudiani, tutti nella Collezione di poesia (quella nota come «collana bianca») è composto dai seguenti titoli: In controtempo (Torino, Einaudi, 1994); La sostituzione (Torino, Einaudi, 2001); Pasqua di neve (Torino, Einaudi, 2008); Ablativo (Torino, Einaudi, 2013); Cairn (Torino, Einaudi, 2018). Il rimando dopo le citazioni da questi testi sarà costituito da una sigla (rispettivamente IC, S, PN, A, C) seguita dal numero di pagina. 8 prima che ontologico). Il che si acuisce Dicevamo di un io legato alle rimanda, nella sostanza e nei termini quando la rappresentazione del pae- esperienze dell’autore empirico. saggio è una conseguenza del viaggio Questo non deve far pensare – e – tema che nello sviluppo diacronico del resto ben lo testimonia il lavoro che Testa stesso usa, alla filosofia consente di riconoscere, attraverso mitarsi a due titoli parlanti3 – a un di Emmanuel Lévinas (addirittura un titolo come La sostituzione pro- della poesia di Testa ha conosciuto critico dell’autore di Per interposta viene dal repertorio concettuale di via via una netta crescita: il viaggio Altrimenti che essere)4. E tuttavia lo spaesamento, la propria condizio- persona e di Dopo la lirica: per li- ritorno all’ipostatizzazione dell’io ne di esiliati e insieme di radunare lirico (come avviene in molta poesia i frammenti di una identità sempre ingenua o anche consapevolmente del pathos dell’esistenza – di un’e- rabile riflessione che chiude il primo come nel progetto avanguardista. ancora da costruire. Un viaggio, quindi, sempre in perdita , come nella memo2 capitolo, Fine dei viaggi, di Tristi tropici: perché il recupero di ciò che hanno da dire i realia, i loro strani e spaesanti appelli – agiti o subiti –, il tentativo stesso di ricostruire un’identità del soggetto non possono avere mai una riuscita senza resti. Qualcosa è sempre malinconicamente destinato a sfuggire – per quanto (e questo avviene anche in Lévi-Strauss) il paesaggio strano ed estraneo dei viaggi consenta talora brevi momenti di dolcezza se non di pacificazione. neolirica), né del resto a una sua più o meno compiuta cancellazione, Critica della soggettività e insieme ricostruzione di una cer- ta forma debole di soggettività, la poesia di Testa rappresenta nel più ampio numero di testi sì un io – ma la poesia è lontana dai concetti: queste stesse parole si riempiono sistenza singola e individuale. Ma la singolarità che diventa unicità dell’io non è stampino ontologico, ma responsabilità etica, impossibilità di sottrarsi, (senso di) colpa – nominativo che diventa accusativo: «la soggettività in sé è il rigetto verso sé […]. L’unicità di sé è il fatto stesso di portare la colpa d’altri»5. Convocato un io riconducibile a un soggetto più dal vocativo, l’io si declina insomma sua condizione continuamente al- Lévinas – transita in una delle poesie “leggero” di quello della metafisica all’accusativo – come nell’Eccomi lusa o dichiarata di esiliato (se ne più importanti de La sostituzione. tradizionale, messo all’angolo nella biblico, che – a lungo discusso da accennava prima rispetto al tema del E del resto il pronome (o meglio i viaggio) e di ostaggio. Questo trat- pronomi, per Testa) costituisce quel tamento del soggetto palesemente territorio opaco della lingua che, 2 Si veda Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici, Milano, Il Saggiatore, 1960, pp. 41-42. 3 Enrico Testa, Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento, Roma, Bulzoni, 1999; Dopo la lirica, a cura di Enrico Testa, Torino, Einaudi, 2005. 4 Scrive Lévinas: «La soggettività del soggetto è la vulnerabilità, esposizione dell'affezione, sensibilità, passività più passiva di ogni passività, tempo irrecuperabile, dia-cronia non sincronizzabile della pazienza, esposizione sempre da esporre, esposizione da esprimere, e così, da Dire e, così, da Dare». Questo «sradicamento di sé» è, per Lévinas, profondamente legato all’esperienza del dolore (Emmanuel Lévinas, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano, Jaca Book, 1983, pp. 63-64 e p. 63). 5 Ivi, p. 140 9 lontano dalla designazione ontolo- zioni e tipi di comunicazione, nella gicamente salda, ospita l’indefinito poesia moderna, dove il modulo del da ogni ontologia – persino una una ricorrenza altissima. […] la messa in cui ipseità e alterità si confondono dialogo con l’assente e il suo sottotipo traccia del trascendente, o, se si in scena, nella scrittura, di un dialogo sivo – «mitomodernismo» all’italiana coevo ai suoi esordi) – si manifesti, specie con il procedere nel tempo, in quella che potrebbe essere – fuori di allocuzione agli scomparsi hanno sempre più come (equivalente di) un vuole, del divino. in cui prende la parola anche la figura alla crisi di presenza del soggetto Non ci si è però ancora soffer- mati su un fatto di fondo. Diciamo alla del trapassato tramuta l’allocuzione in colloquio e l’assenza in presenza rito che oppone una resistenza alla fuga dei giorni e dei ricordi e reagisce individuale («il mio asfodelico sé» di A 8 – io indebolito e insieme af- grossa: c’è una poesia che ha un valore irriducibile e prospetta il ruolo del fratellato alla nebbia degli omerici – o si muove su un piano – prettamente discorso poetico come quello di una prati dei morti). In questa forma di ontologico (le cose ultime, il nulla, la “reliquia secolarizzata” (Benjamin), rito, gli oggetti (spesso allineati nel verifica della consistenza dei realia); sedimento delle procedure ritua- ricordo) o le brevi narrazioni non c’è una poesia prettamente fenome- li dell’evocazione dei morti e della valgono come segni mitici, come nologica (basata sulla percezione del loro funzione di mantenimento di simboli o allegorie di qualcos’altro, soggetto); c’è una poesia politica (o, un contatto. Nel tempo in cui i morti ma come pegni, come ancore della più spesso e peggio, “impegnata”, nel “sono respinti fuori della circolazione la di Testa non appartiene ad alcuna in cui viene quotidianamente rescisso memoria, come collettori di gesti: di queste categorie (al di là di ovvie il legame tra morente e sopravvissuto, centro ha soprattutto contenuti (e forza a inattuali strutture antropolo- senso stigmatizzato da Adorno): quel- simbolica del gruppo” (Baudrillard) e eccezioni che si possono situare nelle la poesia si rivolge, anacronisticamen- punti di vista) etici e antropologici. giche e, nel fare ciò, rivela quella che sue periferie): è una poesia che al suo Parlando della soggettività, si è già in parte detto dell’aspetto etico. Conviene allora soffermarsi su quello antropologico – pure a esso stretta- mente legato. Il passato visto benja- te, verso il più remoto dei passati, ridà è forse la sua più profonda specificità: un recupero e un incremento delle forme del comunicare che, seguendo la tacita legge dell’eccedenza del come agenti di una continuità tra le generazioni in cui – pur nell’inderogabilità della finitezza – è possibile persino una sorta di sopravvivenza. Un «tremante ex-voto», come già si esprimeva IC 16: a suo modo anche una definizione della poesia – che va avvicinata a quella dei versi «ridotti quasi a patiti patemi del pathos» di A 37. Nei volti e negli oggetti custoditi dalla memoria poetica si rinnova senso, convoca nel proprio ambito l’invocazione, si conserva – con pa- di significazione anche ciò che la radossale convergenza di speranza un recupero che assomiglia a un’ope- un decreto d’ostracismo, reputandolo fronti dei perduti, è non meno vero al posto di antiche storie” (Benjamin), contenuti arcaici ormai rifiutati dalle una poesia mossa da questa spinta, riaffiorano nel discorso della poesia. L’origine rituale del genere lirico, con antropologiche, legate al mondo antico o a “culture etniche” più recenti, rassegna dei bocconi della cucina di sua presenza; e ostensiva: cercare di la scrittura poetica – che in Testa è La tendenza quindi non a ca- modificando attraverso i tempi fun- dell’improbabile – reboante e regres- minianamente come rovina da salvare (un passato da cui i morti parlano con voce da custodire) è oggetto di razione rituale: «“Rovine che stanno norme del comportamento sociale le sue due forme basilari (imperativa: rivolgere alla divinità la richiesta della rendere presente i tratti della figura desiderata e assente) si riproduce, 6 doxa del comportamento e le sue regole intimidatorie sottopongono a eccentrico e irrimediabilmente privo di sensatezza» . Testa, oltre a scrivere 6 riscontrerà nel tempo queste radici e angoscia – il pathos. Se ciò appare evidente nei con- nei confronti delle cose: «Ti dai da fare a mettere insieme una collezione per impedire che le cose scompaiano» (PN 21). Di qui i frequenti elenchi nominali, come in C 56, commovente anche in testi altrui7. un tempo – che evoca i cari morti per sempre stata lontana dal presentarsi tegorizzare il reale, ma a elencare e come mito (nulla di più lontano da lui salvare, quasi come su una piccola Si comprende quindi perché essere da loro rievocata. arca, gli oggetti, le piante, gli animali Enrico Testa, Pronomi, Torino, Il Segnalibro, 1996, pp. 18-19. 7 Così, ad esempio, in Enrico Testa, «Di alcuni motivi antropologici nella poesia di Sereni», in Vittorio Sereni, un altro compleanno, a cura di Edoardo Esposito, Milano, Ledizioni, 2014, pp. 29-41. 10 possa costituire un deprezzamento) come quell’istituto che attraverso i due procedimenti fondamentali del frazionamento (morcellement) e della ripetizione (répétition) tenta di contrastare la necessità di schematismo tipica del mito, in buona sostanza del pensiero, «per ristabilire la continuità del vissuto» : sfuggire insomma alla 9 e gli umani, per tentare (invano: di- speratamente, se si vuole) di mantenere il flusso della vita – il colloquio inestinguibile con i morti e anche il rapporto tra le generazioni – culmina talora in una esplicita ostensione del rito. Così per la deposizione dei tovaglioli presso il tavolo familiare: «Discretamente sorvegliato dai miei essere interpretato nemmeno più dai padri, ma dagli «antenati» (C 20). Questa dimensione rituale del- la poesia, già presente fin dagli inizi, ha conosciuto tuttavia un’intensifica- zione nei libri più recenti. L’ultimo, del resto, ha per titolo Cairn – ed è difficile non cogliere nel testo eponimo una allusione metapoetica. Le monta- concettualizzazione per attingere, gnole di sassi designate non certo a con ostinazione e a volte persino caso da una parola inglese di origine ossessione, l’indistinta opacità del gaelica (celtica) – la quale può avere è una reazione a ciò che il pensiero accezioni che si trovano testimoniate all’esperienza del mondo; risponde al bre: «In tempi remoti, monumenti: / di superare, non è la resistenza del / e i corvi in pattuglia ritornanti, / in mondo all’uomo bensì la resistenza, forma di pegno o rispetto per i morti vissuto. Scrive ancora Lévi-Strauss: «Il rituale non è una reazione alla vita, ha fatto alla vita. Esso non risponde direttamente al mondo e neppure modo con cui l’uomo pensa il mondo. Ciò che in definitiva il rituale cerca un effetto spaesante per il lettore italiano – sono, in ossequio alle due nei dizionari, un segnale per trovare la via e un antico monumento funesepolture o santuari di pietra lavica o calcare / eretti, sotto le male nuvole all’uomo, del suo proprio pensiero»10. / o forse (ambigue le sragionevoli degli affetti: / compio un rito muto In altre parole, il rito pertiene alla ragioni / dei viventi) per impedir di gesti persi / che vale più di quel sfera dell’espressione – e l’espres- e tempi diversi» (A 53). Certo – si intenda bene – non dell’ethos e del pathos. loro di svegliarsi. / Ora però ci di- Così, per tornare alla poesia, e segnavita» (C 60). Ancora esisten- ti («relitti») sottratti soprattutto sangue, non dovremo pensare tanto lari / eseguo una visibile partizione che sembra / sospeso com’è tra età sione riguarda soprattutto le sfere si tratta del rito sociale che l’antro- il «furto bagatellare» del tovagliolo, pologia contemporanea indaga come inerte o contraddittoria sopravviven- za secolare del sacro8, e nemmeno del rito come performance o come dramma sociale nelle interpretazioni prevalenti che vanno da van Gennep a Turner. Semmai viene in mente il finale dell’Uomo nudo di Lévi-Strauss, che concepisce il rito (e lasciamo perdere il fatto che ciò, nell’economia teorica di quel testo, parte di una collezione di ogget- cono, in tanto affannarsi, / qual è il sentiero irriconoscibile. // Segnavia za e memoria che si intrecciano. E se le more vicino ai sassi sanno di alla fuga del tempo, produce sì una ai precedenti letterari della pianta un amico morto (C 7). L’«incisione radice antropologica: il sangue che «reliquia secolare», ma in quanto che sanguina (da Polidoro a Pier rituale» lasciata sul tavolo dalle trac- testimonia la presenza dei morti e «pegno di fedeltà» nei confronti di ce di matita è – oltre a una «cabala coniugale» – anche la «traccia» delle orme animali sulla neve: il primo linguaggio, sacro nel quotidiano, a della Vigna), ma a una più generale che, forse, permette di entrare con essi in una terrena materiale comu- nione – che è poi il cuore stesso di questa intera opera poetica. 8 Per quanto a essa possano parere riconducibili i casi di descensio ad inferos attivata da fatti quotidiani: come la Smoking area di C 77 – zona fumatori di un aeroporto che per analogia (l’azione degli aspiratori) riporta («Un Tartaro a portata di mano») alla cripta di un cimitero genovese presente nella memoria – o i bagni dell’autogrill di C 99-100 – per un attimo immagine dell’ingresso in Ade, per via della moneta-obolo da pagare al guardiano. 9 Così Lévi-Strauss: «In fin dei conti l’opposizione tra rito e mito è quella fra il vivere e il pensare, e il rituale rappresenta un imbastardimento del pensiero asservito alle esigenze della vita. Esso riduce, o meglio tenta invano di ridurre, le necessità del primo a un valore limite che però rimane sempre irraggiungibile: altrimenti il pensiero stesso verrebbe a essere abolito. Questo disperato tentativo, sempre destinato al fallimento, per ristabilire la continuità del vissuto smantellato dallo schematismo che il pensiero mitico ha sostituito ad esso, costituisce l’essenza del rituale» (Claude Lévi-Strauss, L’uomo nudo, Milano, Il Saggiatore, 1971, p. 637). 10 Ivi, p. 642. Così, già in Pasqua di neve, i quarti di montone appesi al mercato di fronte all’interrogazione del soggetto sanciscono se non un nichilistico non sapere, almeno l’irriducibilità della vita al pensiero: «Che si tratti delle prove necessarie / a stabilire finalmente le misure della perdita / o dei resti di sacrifici immemorabili / a questo punto è inutile saperlo» (PN 17). 11 «Come una polpetta crepata». Cibi, escrementi e viaggi in Enrico Testa poeta Fabio Pierangeli Propongo ai lettori di Mosaico il mio intervento sulla poesia di Enrico Testa per il convegno Il cibo nell’arte contemporanea, svoltosi a Roma, nel giugno del 2019, nella sede prestigiosa del pergolato della villa appartenuta a Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, a Tor Carbone, Parco dell’Appia Antica a Roma, ora sede dell’Istituto Alberghiero Tor Carbone. In quei mesi usciva di Testa un prezioso volume presso Il Mulino, Bulgaro. Storia di una parola malfamata. Narrazione raffinata e incalzante, dottissima, non saprei dire se più garbatamente ironica nell’affondare nella ferita del fanatismo serpeggiante o più amara nel constatare come si arriva ad un pregiudizio etnonimo che può sfociare in un discrimine razziale, nella stretta connessione tra segni linguistici ed etica sociale. Enrico Testa conduce alle origini di un logoro “modo di dire” ancora in voga (pista bulgara, maggioranza bulgara, editto bulgaro, bulgaro-balcano quale uomo temibile, bruto), nella Storia e nella storia delle parole, per arrivare all’attualità, figlia pecorona di stereotipi del passato, per «opera di quel “linguaggio di ripetizione” largamente utilizzato dalle macchine verbali dell’identico: l’informazione, la politica e le altre istituzioni del linguaggio (…) È la porta d’ingresso nel regno dell’ovvio, di quanto, estratto da un lessico precostituito, viene offerto al destinatario come “un’evidenza chiusa”. E in questo regno, i padroni e, ad un tempo stesso, gli officianti del rito che in esso si celebra quotidianamente sono gli stereotipi etnici, le opinioni o, meglio, i pregiudizi del gruppo che proietta la luce (e le ombre) della sua vis denominandi su un altro gruppo marcato nei secoli negativamente». La lingua, spiega bene Testa (e dunque la poesia, mi permetto di aggiungere), proprio nel caso del poeta di Cairn, non si conosce da sola e non può essere considerata come sistema a se stante. Così la lunga ricerca storica approda ad un punto di partenza preciso del discrimine razziale, motivata con sorde ragioni religiose, quanto poi, nella superficialità del divenire, accreditato luogo comune. Si tratta dell’eresia dei borgomili, apparsa nei Balcani nel IX secolo, un movimento manicheo, che «allontanandosi dal cristianesimo ortodosso, aderì ad una radicale forma di ascetismo: rifiuto di ogni autorità terrena, professione di povertà, ripudio della guerra e un distacco dalle cose materiali spinto al punto di astenersi dalla procreazione». Le ragioni novecentesche e attuali dell’uso discriminante della parola, per un popolo tra i più poveri d’Europa, ma anche tra i più attivi, per esempio nel contrastare il nazismo a favore degli ebrei, non bastano a spiegarne i motivi, piuttosto si tratta di un innesto tra quelle ragioni storiche legate alle distruzioni dell’eresia, con molte affinità con i catari, a ragioni più vicine nel tempo. In definitiva, il caso bulgaro, è emblematico, ed estremamente attuale, della poca tolleranza dell’altro da sé che purtroppo, nella superficialità dell’oggi, deriva da molto lontano. La poesia dei cairn è anche quel linguaggio non appiattito agli stereotipi del pensiero (anche di taluni poeti) ma si rende capace di atti di conoscenza dentro l’esistenza quotidiana, all’interno della formazione individuale della coscienza come nell’evidenziare tare, di natura razzistica, nella società globale. 12 «La poesia è essenzialmen- e crasse portate, sull’asse terri- poco, in aperta campagna. / Mangio te linguaggio figurato, conden- gno e metonimico. Il macrocosmo ma sia espressiva e al contempo pianeta avulso e ben alimentato, e guardo nel cielo - chi sa quante evocativa. La figuratività si di- in cui trova dimora anche la lirica Bloom nell’incipit del suo volume privazione o sentieri mistici, l’uva sato in modo tale che la sua for- della poesia dialettale rimane un stacca dal significato letterale». contemporanea. Sul piano metafo- Le figure retoriche, continua Harold L’arte di leggere la poesia (in Italia rico la semplicità del pane indica e il vino dionisiaci immettono in donne / stan mangiando a quest’o- ra - il mio corpo è tranquillo; / il lavoro stordisce il mio corpo e ogni donna». Vittorio Sereni morde in un’anguria la polpa dell’estate; ma ha anche provato il clima di si legge da Garzanti, 2010), creano sentieri sensuali, come nel modello un significato che non potrebbe biblico degli innamorati del Cantico La poesia, in generale, scava Il pane e formaggio degli umili ricettari dai campi di prigionia sono attorno ad immagini evocative, e dei sottoproletari arricchisce e arrivati fino a noi. Ho avuto modo attraenti e irsuti, operai vivono Guerra Mondiale dei tre scrittori nelle osterie di Pavese, le sue rosse Gadda, Tecchi e Betti. consistere senza di loro. la prosa può occuparsi con più precisione, come i poemi narrativi o civili, di alimenti, banchetti dei cantici. caratterizza la forza del ceto contadino o proletario; personaggi ciliegie, la campagna, i pergolati. Si ricordi La cena triste, una tra le orrore attorno alle guerre, carestia e privazione. Dalla gente comune, al soldato, al prigioniero. Diversi di analizzare quelli da Celle lager, il campo di prigionia della Prima La poesia contemporanea scritta in carcere accenna al rito del più riuscite composizioni di quel cibo, ribelle alle portate garantite dine, dall’incipit, come sempre dalle famiglie durante i colloqui. In capolavoro che è Lavorare stanca dalle istituzioni e creativo con quel in Pavese, memorabile e scat- questi tavoli ristretti si scambiano e la splendida Mania di solitu- poco che riesce ad arrivare da fuori, tante, pur in una situazione di culture alimentari, dalle regioni paralisi: «Mangio un poco di italiane a quelle del mondo. Un cena seduto alla chiara fine- ottimo caffè sbuca sempre, diventa le vie tranquille conducono / dopo Per citare un altro poeta del stra. / Nella stanza è già buio e si guarda il cielo. / A uscir fuori, perfino leggendario in poesie e prose dalla reclusione. Novecento, le osterie di Caproni sono immaginate sul confine metafisico di una terra diafana, di una ricerca decretata come impossibile, eppure ripetutamente evocata. Si rincorre la bestia: animale o dio? Aspettiamo il tiro del franco cac- ciatore, l’incalzare del rito della caccia, non per portare in cucina libagioni, ma per confondersi con la preda, in un duello che metafisico. 13 Zanzotto gusta zucchero golo- atteggiamento misantropo; si tratta, troviamo ulivi e castagni, ma anche che si tenta, “faticosamente”, di temporanei, la semplicità del pane definendone, mi viene da dire, una si volge, come in Giuseppe Conte, mente contaminate dalla natura, so, salvia rossa e radicchio, Franco Marcoaldi gusta birra; in Elio Pecora la più modesta cena della vita di ogni sera nella città. In poeti con- diventa tema mistico, per esempio in Mariangela Gualtieri. Viceversa contro lo spreco e l’eccesso, che potrebbe portare, con l’esaurirsi delle risorse di un globo affaticato e stanco, ad una carestia questa volta irreversibile. Senza alcuna pretesa sistematica, scegliendo un terreno di testimonianza di lettore appassionato, dedico agli amici degli incontri di letteratura e cibo, Franco Zangrilli e Giuseppe Varone, nel poetico considerazione sulla sorte umana esplicitare. Come nel volumetto Bulgaro, scavando nelle parole, loro antropologia precisa, per scoprire alterità e differenze magistral- tici luoghi delle altre raccolte, di- versamente da quelle osterie di avamposto metafisico, è sede di prepotenza, di divertimento a tutti i costi, indifferente ad ogni fragilità. Rospi ingordi gli avventori nello smemorarsi della sera, in questa lirica senza titolo, della sezione Discorso dell’ostaggio: proprio come nel caso dei cairn. Arricchiamoci delle nostre reci- Non ricordo più il nome dell’albergo l’ispirazione poetica e culturale di La sera prima al ristorante Testa. Nel prato coperto e freddo, la gli empi, i golosi e gonfi come rospi, proche differenze, suona un motto di Paul Valéry che senso valido per melma qualunquista e superficiale, anche delle parole, resiste il seme di dove al mattino, a colazione, cercai di consolare il tuo tremore. non ti avevano rivolto neppure la parola. una non detta ma allusa speranza, Non fu difficile dopo accordare, dettata agli affetti veri. il mio al tuo passo lento nel lungo corridoio, Così in Faticose attese, o in più doloroso accarezzarti nel silenzio Alla dispersione e allo spreco pergolato che ci accoglie su una delle consolari più famose al mon- titolo appare rovesciamento non do, alcune note sull’ultimo libro solo climatico del compimento della di Enrico Testa, Cairn che ritengo del ristorante, si contrappongono tra i migliori degli ultimi anni e Resurrezione in un piattume grigio distante da ogni meraviglia, dove per Montale, appare un fiore. forza religiosa la presenza dei lari, rappresentativo dell’Italia di oggi. Storico della lingua italiana e della poesia di fama internazionale, ha pubblicato sei raccolte di liriche. La prima del 1988 per San Marco dei Giustiniani Le faticose attese, le successive cinque (compresa Cairn) con Einaudi. In generale, Testa vive, con sgomento e incredulità, la spro- porzione tra la sua pietas curiosa dell’aldilà, una energia vitale feri- un Pasqua di neve (2008), dove il appunto, inaspettato, raro, come In questa raccolta, viaggi e alimenti corrono paralleli in una linea di smemoratezza, specchio di una condizione umana affannata perché non riesce a decifrare il proprio destino, nonostante le lenti filosofiche e poetiche sovrapposte al primo istintivo sguardo. Le osterie dell’amato Caproni di chi ti dava per morta anzitempo. le immagini della intimità della casa quando si percepisce con tema sempre più sentito nelle recenti raccolte di Testa. Gli innume- revoli viaggi sembrano riportare a questo colloquio intimo, con chi ha compiuto il trapasso finale. In gesti semplici e ripetitivi, in Ablativo (2013), come può essere piegare lentamente un tovagliolo e rimanere stupiti di essere in restano quel margine dove una pa- contatto, per scarica elettrica dei ta dal senso della morte e il caos rola scambiata sottovoce potrebbe mondano, deprimente e spersona- portare conforto, evidenziando la lizzante, di cui il ritrovarsi a pranzo sommessa epifania di una umanità ricordi, si ritrova una «geometria o a cena, per ricorrenze particolari o nella quotidianità del lavoro o familiare, rappresentano un cuneo nel mosaico complessivo. A prima vista potrebbe sem- brare una dichiarazione di netta separazione dal mondo di oggi, un 14 invece, di una diversa misura di Il ristorante, come in iden- ancestrale». Nel ristorante mondano, inve- più autentica. ce, si ritrovano i compagni di classe Canzone dell’alba, dove il soggetto zioni, un luogo di riunione di sen- Il vino dell’ubriaco non scalda, come nella poesia tratta da Larkin, ormai avanti negli anni. Quello che doveva rappresentare, nelle inten- poetante e trasgressivo nel verso timenti e di affetti da rinsaldare, si incipitario dichiara «lavoro tutto il rivela una contraddittoria serata di giorno e la sera provo a ubriacarmi». rimpianti, dal sapore dolce amaro. Il cibo diviene parte integrante di inadatto, incapace di abbandonarsi questa delusione, probabilmente ad una gioia passeggera. già preventivata: è mediocre e le «briciole dimenticate sul pavimento l’oggetto della tavola, il tovagliolo di / invitano i colombi ad entrare». Losanna (si rammenti il precedente Le briciole e soprattutto i gentili di Ablativo), si lega al ricordo, acqui- colombi fanno parte di quel recu- sta, con lo struggersi della poesia, pero dell’interstiziale, del rifiuto dignità. L’indifferenza si sviluppa in scuri Caproni e Montale. L’attesa, che si tratta della premessa da cui si E invece, proprio in quel caffè, iperbole e Testa ne coglie l’elemento al centro della poetica delle ultime paradossale, per rendere ragione raccolte, sotto il segno dei due Dio- giunge con facilità alla corruzione, in questi ultimi libri, tocca le corde alla malvagità. Ma anche ad una più rade, cade imminente, nascosta professionalità rigida e asettica tra il traffico degli spostamenti, le visite e i viaggi, una certa confusione mentale: Oh venisse una sua breve notizia (fioca e speranzosa) Lungo il viale dei tigli che porta alla stazione… mi basterebbe una lettera sola anche smangiata e corrosa. La mancanza del desiderio trasmette nei luoghi della città globalizzata un grigio colore che fotografa i gruppi di turisti e di cittadini. «Sono inerti e lenti. /Non rivendicano nulla alla vita». Lo spaesamento del viandante romantico e novecentesco si è ridotto a questo Diverse liriche di Cairn ri- non senso, all’automatismo mecca- precedenti, specie nella sezione farà mai vera esperienza, storica e prendono il tema del viaggio e raddoppiano l’invettiva dei libri Album di Capaneo. Nel caos di città gremite rimangono briciole di una utopia. L’affollata città brasiliana di San Paolo ne è emblema. Gazze e stracci a San Paolo nico di chi fotografa continuamente Cosa? fotografia dell’albergo da un convegno a Palermo «asilo di blatte e filologi». Tuttavia la maglia rotta nella rete si scorge, ancora più netta che nell’illustre precedente, in questo contesto. Già dall’interrogativo del titolo e dall’aspettarsi «un segnale da lontano», come poi, più avanti, al margine di un evento turistico in Sardegna, quando l’idea del vuoto una realtà monumentale di cui non diviene così ripugnante, perché quando il poeta si trasforma nel si decide per un’altra strada, dove umana. Il disagio si fa umoristico, pitocco «inutile al paesaggio» che visita gli States delle vetrine luccicanti e della merce sportiva griffata e costosa. Ha questo senso la sosta nello svizzero Cafè Romand, nella tutta questa gente che incontriamo per via che nasconde il vuoto, come in prima sezione che porta il titolo, ro- è sul punto di perdersi. vesciato e sarcastico, ma non privo Cosa serva per trattenerli di attesa, della diade filosofica: Ora e troppo facile scelta (che ha i suoi interessati profeti di nichilismo), e abitano persone, singolari e plurali: «Al momento a me basta questo rosario di sguardi. / O anche solo il riflesso d’ambra / che, alla partenza o al ritorno, / inclina, nella stretta, l’occhio sulla mano / in cerca di conforto». Sono i luoghi riassunti nell’ul- qui. Luoghi dello spaesamento, non tima sezione dal titolo esplicito nel loro non vorrebbero. poco», confessa di rubare cose sotto il segno del capovolgimento ancora un momento sull’abisso certo della epifania della salvezza. suo essere appiccicato, accatastato Sono inerti e lenti. Il poeta, «cleptomane da inutili in questi viaggi, souvenir Nonsisadove che fa eco alla prima, Non rivendicano nulla alla vita. banali strappati alla usura del pop, Briciole gemiti preghiere. per bisogno di confessare la sua luoghi esotici sempre uguali a se non lo si sa e - anche a saperlo - Le gazze nere gracchianti sugli alberi del viale innocenza, perfino la commozione e sui rami le ragnatele di stracci senza oggetto, in quel mondo turi- e plastica a brandelli pencolanti stico che lo ha già definito goffo e dell’ora e qui. Stazioni di polizia, stessi, e il vero tormento degli aerei, dove anche se «ti vorrebbero seda- to», esce ancora fuori una vitalità sghemba e generosa, assicurata 15 da quella parola sottovoce tanto amata dal poeta. non c’è più e per i dimenticati in l’acume e la pazienza di una lunga terra, è il vivere di molti, di troppi tradizione di sapori. Da qui, il terro- (se non di quasi tutti) senza capire re dell’allegoria, in un tipico modo tico, con le mosche ronzanti, diviene niente, «fingendo, alcuni, di capire di diminuirsi, di amplificare l’effetto lano il cielo della patria e deter- di cui specialmente è piena la Roma la “morale” la lirica delle polpette. L’albergo di Casablanca, asetlo spazio della rabbia, immagine di quelle bestie idiote che sorvo- mina «il mio starmale»: sono gli «escalofonisti tutti – vecchi e nuovi - /i professionisti del maneggio dell’argilla», di cui si dice, in buona tutto». La specie dei «pavoncelli sediziosi» che oltraggiano l’umiltà, degli urlanti e dei politici, descritta, sempre con grande lucidità e nitore linguistico, nonostante l’insolita forza dell’invettiva, in una delle compagnia di altre “mosche” nella liriche successive nel diario del Escalofonisti è neologismo rima con il male, con lo sconforto lirica successiva che se ne può fare certamente a meno. tratto dal “parlar chiaro” di papa Bergoglio: sono scalatori nel senso dispregiativo di arrampicatori so- ciali. I parchi sono riempiti da quel che resta di incivili pic nic «bottiglie moderno Capaneo, non prima di aver fissato nel Natale borghese, in di questo trascurato vivere che dei forti e dei sani a chiudere con All’altare dei lari. Sentendosi una polpetta crepata che, dopo tutti quegli anni, non ha trovato una sua durevole dimensione, una sua capacità di tenacia per rispondere adeguatamente ai condimenti eterogenei e falsificati della modernità. Il richiamo alimentare, per- fettamente in linea con la trama sembra escludere la possibilità di immaginifica delle metafore della questa devastazione incorporea narrativa Metafisica del pollaio, dove una epifania della autenticità. Il poeta sembra opporre a raccolta, trova una vetta creativa, tra alto e infimo, nella straordinaria lirica di plastica e lattine accartocciate». la violenza dell’escremento, della Ciò che addolora il poeta, nella “merda” per ricordarci di quali immerso nella poesia di un passato umanità, ora e qui, siamo fatti. ancora poco tecnologico, lavorare nel stessa profonda sensibilità per chi Come un banco di prova, in equilibrio tra le generazioni forti e la fragilità di oggi, ecco il poeta in cucina, con le polpette che non sono venute granché, sotto lo sguardo della zia e forse della nonna, morta tanti anni prima. Nella cucina scura, non detto, si aspetta quel miracolo della congiunzione tra vivi e i cari defunti diffusa in tutta la raccolta, come si è visto. La goffaggine del presente, anche nel preparare i cibi della me- appare, nei ricordi, il liceale Testa, pollaio, offrendo alle galline pane vecchio ammollato nell’acqua. La scala diventa l’oggetto del transfert: non molto diversa da quella biblica di Giacobbe: nei suoi pochi pioli in un verso, a me la vita e, nell’altro, le mie preghiere ad un cielo privato ma condiviso da chi ora invece tace come acciaio nel rosaio moria, o nel versare liquidi e succhi, Una sghemba metafisica del pollaio. chiede di essere perdonata, di poter maturità, si rida della fantasia del perduta anche quella “povera” arte iniziazione, affondata nell’antico e quello di guanàbana, con tanto di doppio senso in Un incidente, abbracciare la grande presenza che si nasconde, mentre sembra andata di cucinare le polpette. Povera è usato chiaramente in antitesi: in quelle ricette risiede la ricchezza del ricordo, la creati- vità suprema della gente semplice, 16 inettitudine, davanti allo specchio Poco importa che, nella piena ragazzo: quella scena rimane intatta come un vocabolario primitivo, una sospinta verso l’alto, se non altro il cielo delle persone scomparse. Di tutte le parole, allora, se ne sceglie una, quella del sentimento prevalente: «magone». Ablativo e di quest’ultima raccolta, ai cibi di plastica degli imbecilli che si comprano in via della Scemenza, in ogni nazione, ormai. Si veda, in questa recita dell’inautentico di cui il cibo è elemento non secondario, la lirica della sosta forzata in aeroporto a Cagliari Elmas, Vuoto d’ore, con lo squallido e deserto self-service, dove si consuma l’insalata mista e il trebbiano scadente è valido solo per smemorarsi. Il cibo si esprime nella forma della evacuazione, dell’escremento, del vomito, volutamente rovesciato di fronte al conformismo generale, da cui si esce solo invocando paragoni lontani e assurdi, come nel Ancienne cuisine apre la se- Solo nella terra e nei topi zione che offre il titolo complessivo non abbiamo piantato i nostri i sapori della cucina povera dei e nelle piccole volpi, lari domestici, nonni e bisnonni, meste e diffidenti [ultimi denti alla raccolta, Cairn, snocciolando in tempi precedenti alla stabilità economica. La densità evocativa si coniuga bene con la concretezza dei cibi, estraendone, letteralmente i succhi, il cuore emotivo. «Bocconi di stenti», patate - le uniche che ora qui ancora ci confortano con i loro grandi occhi benevoli e attenti Al finale di Ancienne cuisine grandi come biglie, tassi, merli conviene allora, per distanza oppo- fiduciosi e gentili, colombacci de- sitiva, accostare altri emblematici boli e lenti, immancabili castagne, fino a noia, il crescione rubato alle capre. L’opposto delle cucine raffi- versi mutuati da Larkin, Fuori per un panino: nate e dei fast food. Cibo strappato «Sabato mattina. con fatica della terra o ricavato col corpo tutto dolorante dalla fauna circostante, anello piedi compresi. sacrificale di una società fondata Degli imbecilli Esco per un po’ di carne sul rispetto e su una liturgia lenta si salutano come automi e corale. mentre mi scontrano Il poeta mantiene la sua ironia senza clemenza. gentile, evitando il baratro della È un inferno nostalgia, descrivendo con reali- comprare qualcosa smo, attraverso la cucina, il mondo in Vico della Scemenza». andato e quello presente. Spetta al lettore il confronto, secondo la sua esperienza e sensibilità. Flash riassuntivo, dalle cit- tà della dispersione dei viaggi di poeta, ancora Larkin, che piscia sul fuoco e si imbratta di cenere o molla scoregge nel viale, vomitando sulle proprie scarpe: «In queste mansioni, l’una dopo l’altra, sta oggi la vita /dolente / finché la morte non renda il nostro corpo ancor più / perfetto e fetente». Lo schifo, l’escremento, la defecazione si può affidare ad altri: abbiamo anestetizzato anche la merda. A persone che hanno lasciato il proprio paese, i propri affetti e si occupano del corpo fe- tente e imperfetto degli anziani o dei malati delle classi agiate del mondo occidentale. Nel suo realismo assoluto, la lirica di chiusura della sezione Volti e chiodi, L’ordure, l’ordre, ha una sua violenza più incisiva della prece- dente perché colpisce una dinamica diffusa e assolutamente condivisa dalla nostra società. Un dato di fatto. Una poesia racconto, come altre nella raccolta in una suggestiva commissione tra alto e basso. La signora elegante che esce col cane, sempre indaffarata al cellulare, lo porta al giardinetto a fare i suoi 17 bisogni e poi lo pulisce e «animata tra ora e qui e al di là, nel mo- da quell’amore, verso la redenzio- sacchetto bluviolaceo che depone cari alla morte. Su quella soglia, l’allusione al mar rosso (minusco- Lo sguardo festoso del cane, mente nell’egoismo del non senso non pare richiamarle alla mente, o si sente come una ferita aperta, gli occhi pieni di lacrime del padre dell’attesa, ne costituisce l’avam- da senso civico / e rispettosa del bene comune», ne raccoglie in una come un tesoro. mento supremo, per ogni uomo, ne. Lo sguardo acuto e realistico, dell’accompagnamento dei propri ma non dissacrante, avverte che in bilico, o ci si rifugia completa- una parodia, essere pronunciato in falsetto, ma con convinzione e neppure per il «gioco del contrasto»: visibile all’esterno. Un tema così verità. Questo è il compito della immobile a letto posto più radicale, di fronte alle la, in modo commovente, capace a cui poco prima rifiutò lo stesso servizio intimo che si aggancia a quello lacrime della madre, il tramite parola che «dice ancora / quanto non c’è più niente da dire», parodi abbracciare e perdonare ogni della vita. Colei che ha cura, per colpa (ma non si sottovaluti, anche come la riflessione sul micro rac- Capace di instaurare la dia- conto offerto in seguito: l’attesa è lettica umanissima e interessantis- tando sulle ripetizioni e raddoppia- dei propri cari defunti è un valore Rinuncia al patrimonio menti sonori, è la condizione della e loro transustanziazione di prepotenza nell’attesa minuta e inestimabile, tra i pochi sopravvis- delegandolo, con schifo pari al magone del vecchio, all’ecuadoriana arruolata a tal compito [e ad altri. Mistero della merda. degli scarti più umani sotto il segno di un diverso padrone Stridore evidente, che l’intel- statuto antropologico. L’incipit virgolettato funziona eterna, si domanda il poeta, pun- vita stessa? L’attesa metafisica entra dolorosa affinché la morfina plachi in questa lirica programmatica, l’ironia e l’autoironia). sima che percorre Cairn, il ricordo suti all’invettiva verso la stupidità contemporanea. Tra le liriche dedicate a questa il dolore per risalire poi al generale vera e propria religio, un silenzio filosofico, mantenendo lo stesso perdurante nel mezzo del clango- perché la tua morfina, mamma, l’esplicitazione di una poetica. Pro- correlativo oggettivo: re strillato della società distratta, condita qui dallo snobismo idiota ti plachi almeno per la notte della donna, appartiene normal- domandomi una amnesia generale. sa annunciata da un titolo che è, ligenza del poeta coglie, con sarcasmo pacato, fotografando nitidamente la scena. Il risultato è però violento, tanto questa figurazione, e il rivotril faccia effetto, mente alle nostre famiglie di ceto medio. Il desiderio di scomparire, del Pone il tema del lavoro degli non esserci di fronte al dolore, al immigrati, di fatto una risorsa im- quel corpo insultato dalla vecchiaia portante e ormai irrinunciabile, e introduce al cuore pulsante del libro, l’elegia struggente per le pre- e dalla malattia, alimentato tramite sondini di plastica, infrange e traumatizza i ricordi. senze invisibili, per le ombre del Il poeta, per il fatto stesso di ricordo. Invettiva e pietas, come nel comunicare questa desolazione, caso di questa lirica, sono i binari queste domande, non è capace di paralleli, all’interno della struttura amnesie. Il suo continuo e ironico dell’intero volume. umiliarsi è segno di umanità pro- Il corpo malato, come un sudario in cui riposano speranze e sofferenze, torna al centro di «ma si dovrà proprio eternamente?», con versi memorabili, in bilico 18 lo nel testo) non può che essere fonda, singolare, acuta. Alla fine ripagata, dai versi finali della lirica, addolorati, ma con un segno di speranza, di passare il quotidiano mar rosso, aperto da quella dedizione e scelgo un rubino in prosa, quasi invece, un verso totalmente lirico: Il fumo azzurro delle lontananze. Gli anziani, i nonni hanno una luce di santità senza il bisogno di ceri Testa saggista e storico della lingua, «gran tempra». estranea alle trattorie di paese, alle come il pregio più alto della poesia celebrativi. Erano donne e uomini e basta. Moralmente sani e vivi, di dell’ultima parte del Novecento. Non osterie della gente semplice, luoghi Una guida e un sostegno, sep- pur in una dimensione onirica. della parola sommessa. Quella luce perpetua, un contro Con una generosa lettera in- viata a chi scrive, Enrico Testa, altare, ma impossibile, alla attesa eterna, finisce per esserlo la poesia, rispondendo ad una mia in cui nella trama quotidiana, nel ricer- esponevo le idee alla base di que- care occhi e volti fuori dagli stracci sto saggio, rilevava «i motivi a me raccolta. Sotto il segno di Montale, quotidiani a situazioni sociali, il più cari» di Cairn: «la realtà umana del non senso e della indifferenza. di oggi, il ponte che unisce istanti Sono le pietre miliari della del miracolo laico umile, silenzioso, precipitare in un fango in cui si appena percettibile, ma presente confondono ragioni primordiali di alla lucida autoironia amara e a vita e inutile dispendio dei nostri tratti gioiosa del poeta. Si produ- sforzi, l’invocazione e un’attesa di cono nei luoghi dell’indifferenza, resurrezione per i dimenticati». ra carpa dei giapponesi. cibi) delle nove sezioni da Ora e qui a fenomeni naturali, episodi umani, Mi sembra di poter sintetizzare apparizioni animali, come la signo- il passaggio attraverso i luoghi (e i I Cairn «altrove li chiamano Steinmänner, uomini di pietra, / nima e soprattutto la contraddittoria da queste parti invece, un po’ maldestramente, ometti» ne sono il Radura che contiene le luci e le ombre della condizione umana, nell’umido Nonsodove il fango della poesia omo- buio, selva dantesca, si può trovare correlativo oggettivo completo, in- una luce trasognata. Allora non si cludendo l’idea di guida caproniana nell’esistenza irta più che di ostacoli pungenti di ottusità, e quella della può fare a meno di correre, infrangere la disillusione e l’indifferenza, loro accezione antica di monumenti Ecco il segno di un’altra orbita funerari eretti «in forma di pegno o che Arsenio intravede nella bufera umana speranza, tra rumori liquidi un pensiero ambiguo e sragionevole montagnole di sassi che sull’altipia- nascano da dentro o da fuori». rispetto per i morti». Oppure, ecco l’emergere anche in questo caso di montante e Testa in questi simpatici sguscianti nel sottobosco. Comunque e totemici omini di pietra, piramidali «Nessuno sa dire se questi suoni / tipico dei viventi, «per impedir loro no invaso dalla nebbia amichevol- Testa, portandosi dentro a questi rovi pungenti, vi passano serpi e le versi tanti precedenti, dal culto dei more mature, assaggiate, sanno di familiari, le apparizioni, le invettive, sangue. Così è la vita, e la lotta, il di risvegliarsi». Importante, sottolinea deciso che ora (ora e qui) ci dicono, in tanto affannarsi (quanti affanni nei luoghi mente indicano una traccia. Accanto si formano cespugli, Male-Natale. Eppure l’umiltà di quei sassi, dell’indifferenza di questo volume, segnavia e segnavita, evitano alle in cui il Palazzo di giustizia è un persone di cadere nei crepacci e ennesimo e forte testimone di mura nei ghiaioni insidiosi. e corridoi), «qual è il sentiero irriconoscibile.// Segnavia e segnavita». ricaderci ancora nella illusione, nella Indicano quella poetica dell’in- terstiziale, su cui riflette anche il Nonsodove e tutto il libro si chiudono, modificando uno scam- bio di battute di Pinter, in Ceneri alle ceneri, sul motivo dell’impossibilità di un nuovo inizio. Testa inventa una soglia, quel baratro che si diceva. Negando l’attesa l’ha fatta brillare, più di una volta, nella notte del detrito e dell’invettiva. È la parola «che dice ancora». Negli spazi interstiziali è capace di indicare nuovi inizi, nascondendoli per pudore. 19 «La caduta del cielo», di Enrico Testa Lucia Wataghin “A volte vi rivedo tutti quanti in cucina.” Enrico Testa, Ablativo “È difficile venire qui a dire che vuoi includerti nelle cose scomparse mentre ti dai da fare a mettere insieme una collezione per impedire che le cose scompaiano”. Ablativo Un piccolo volume, Jardim de sarças, essere “fraterni” (Metafisica del suggerimento venuto dal Brasi- una plaquette stampata in poche pollaio). Il nuovo libro, questo pic- le, sulla natura e le modalità del Peterle, Andrea Santurbano, Luisa poesia e il poeta, muniti di aculei, copie a Ipanema per la 7letras nel 2019, con traduzione di Patricia Faccio, raccoglie, in veste brasiliana, alcune delle poesie più recenti di Enrico Testa, 10 poesie in tutto (6 tratte dall´ultimo libro, Cairn, del 2018, e 4 inedite, del 2019). Testa poeta e critico è stato intensivamente pubblicato e tradotto in Brasile, dove è venuto più volte per corsi e conferenze, e questo libro, pensato per l´edizione brasiliana, porta qualche segno dei suoi soggiorni in questo paese. Giardino di rovi è il titolo ita- liano (ma nella plaquette compare solo il titolo in portoghese, Jardim de sarças), titolo ossimorico e bi- oppone fiori e rovi, a definire la dialogo con i morti, che occupa sin dall´inizio la poesia di Enrico Testa. La caduta del cielo riunisce secondo la migliore tradizione dello dunque due aspetti opposti e com- stundaio (quel ligure dal caratte- plementari: da un lato, concretezza re diffidente, orgoglioso e timido, e dotato di in “senso di specifica terrena e materiale, rappresentata dall´allusione al mondo genovese, superiorità nell´ordine dei valori dall´altra il richiamo a una cosmo- con quella dei dizionari genovesi. mondo dei morti. Se nei giardini morali”, secondo la definizione di Montale, che peraltro non coincide logia primitiva che offre diversi mezzi simbolici di contatto con il Rigore, austerità e crescente vigore di Testa non mancano crochi e ama anche, come fa in Cairn, ripren- ligure adottivo Giorgio Caproni, nell´invettiva – spine e aculei - sono caratteri della poesia di Testa, che dere e tradurre magistrali invettive da altri autori e testi, come Larkin e la Bibbia). Partiamo qui da una poesia, fronte che indica non un roveto, La caduta del cielo, in cui il mondo mancano spine e rose; del resto l´ambito della memoria domestica, ma il mondo, “questo giardino in- ligure incontra in modo inaspettato vaso dai rovi” (Grate) dove non il mondo brasiliano: da una parte per questo poeta i rovi possono 20 colo florilegio in versione bilingue, appunto genovese, e dall´altra un altri tributi a Montale (così come al ligure Sbarbaro e soprattutto al a ognuno per ragioni significati- vamente diverse, ma tutte legate a scelte identitarie di sobrietà e grande discrezione), è a un altro genovese, il poeta dialettale Edo- ardo Firpo, che Testa attribuisce qui il compito di rappresentare il senso terreno, scettico, materiale e popolare delle cose, da conciliare con la cosmologia brasiliana de La caduta del cielo, tutta una straordinaria concezione del mondo tutto ciò che proviene dalla terra (si parla qui dell´alimentazione degli antenati, “bocconi di stenti” che chiede urgentemente di essere attinti direttamente dalla natura). po1 ripresa qui da Testa fa il nido morti e d´altra parte nella costante in terra, s´alza e canta [“a fà o seu affermazione di concretezza, fisici- trapposizione terra-cielo conte- controbilanciata dall´aspirazione ascoltata. L´allodola (in genovese, Terra, fango, letame sono termini “a laudrinn-a”) della poesia di Fir- ricorrenti nell´intenso dialogo con i nïo in tæra, a s´arsa e a canta”]; la tà, corporeità, anche questa basila- terra, il primo termine della con- re in questa poesia, anche quando nuta in questa figura, si ramifica la bellissima, autoironica, poesia istintivamente indispensabile, si- forse ora meno scettico poeta am- curo, concreto punto di riferimento. mette con filosofica rassegnazione: abbondantemente e in profondità nella poesia di Testa, come il più Così è affermato in Cairn per esem- pio il legame “fin dentro la terra. all´accesso a tutt´altri universi. NelMetafisica del pollaio (Cairn), il “Pur non avendo mai avuto segno, / su quell´umile e sporco albero suo annuncio catastrofico di morte di tutta l´umanità, che seguirà alla morte della foresta, qualora non si riesca a fermarne la distruzione. Oltre la sua scorza:”, con tutto ciò della vita, / di alcun movimento La cosmogonia yanomami è stata che è dentro, confuso, mescolato in discesa o in salita / (non anime descritta in un libro dallo stesso a formare la terra: “tra larve radi- ci fragili lombrichi / ali di morte oggi, dopo tanti affanni, / non mi dallo sciamano yanomami Davi farfalle crisalidi e orbettini./ Nel angeli luci e messaggi) / a rifletterci Kopenawa e dall´antropologo fran- pantano più umano dell´umano” sembra poi così bislacca. / O forse titolo (La caduta del cielo), firmato sbaglio ora come sbagliavo prima sia, Ancienne cuisine, il rapporto è La poesia La caduta del cielo, condotto all´estremo, all´identità dedicata al genovese Edoardo Firpo tre che nel campo dell´antropologia (E fango ancora); in un´altra poe- materiale del corpo prodotta dall´assorbimento senza mediazioni di / e prima ancora.” e al brasiliano Davi Kopenawa, allu- de alla cosmogonia yanomami e al cese Bruce Albert: un testo di vitale importanza – politica e sociale, ole etnologia –, pubblicato prima in Francia nel 2010 e poi in Brasile, nel 2015, per la Companhia das Letras, con il contributo prestigioso dell´antropologo Eduardo Viveiros de Castro, che ne scrive la prefazio- ne. Una breve sintesi di Viveiros de Castro spiega che il mondo secondo gli Yanomami è “un essere vivo composto di innumerevoli esseri vivi, un superorganismo costantemente rinnovato dall´attività vigi- lante dei suoi guardiani invisibili, gli xapiri, immagini spirituali del mondo”; è un “plenum animistico”, che richiede grande attenzione e rispetto per la “natura mitica delle cose”.2 Per Kopenawa, “La foresta 1 A vitta. Gh’ò domandòu a un vegettin de l´Antoa / ch´o fava a guardia a-e pegœ: / - Comme o se ciamma quest´oxellin che canta? / - A l´è a laudrinn-a a l´è, / a fà o seu nïo in tæra, a s´arsa e a canta. [La vita. Ho domandato a un vecchietto dell´Antola / che custodiva le pecore: / Come si chiama quell´uccellino che canta? / È l´allodola, / che fa il nido in terra, si alza e canta. 2 Eduardo Viveiros de Castro. “O recado da mata” (prefácio). In Davi Kopenawa e Bruce Albert. A queda do céu. São Paulo: Companhia das Letras, 2015, pp. 13-14. 21 è viva. Morirà solo se i bianchi L´interesse di Testa per Fra una personale cosmogo- insisteranno nel distruggerla. Se l´antropologia e suoi possibili rap- nia animistica e la scrittura poetica ci riusciranno, i fiumi spariranno porti con la poesia è già attestato in un si può situare l´animarsi delle voci montagne per giocare nella foresta in cui riprende l´idea, già di Walter dalle cose terrene: voci già emesse, sotto la terra, la terra si disferà (...). Gli spiriti xapiri, che scendono dalle nei suoi specchi, fuggiranno molto lontano. I loro padri, gli sciamani, non potranno più chiamarli e farli suo saggio del 2014 su alcuni motivi antropologici nella poesia di Sereni, Benjamin, che “la scrittura poetica mantenga alcuni punti di tangenza o di contatto con un mondo pre-mo- danzare per proteggerci. (...) Allora derno che, ormai ‘superato’ dallo finiranno col morire. Quando non può ricondursi a moduli, schemi, temi moriremo, uno dopo l´altro, così i bianchi come noi. Tutti gli sciamani ne sarà rimasto nessuno vivo per sostenere il cielo, il cielo cadrà”.3 Di fronte alla prospettiva di ge- svolgersi dei comportamenti e dei che popolano il mondo poetico di Testa, provenienti dalla natura e passate, che si risvegliano, voci come preghiere, come suppliche, fiati, affanni, “aliti sospiri baci / lacrime respiri di sollievo o di tormento / sudori passaggi delle codici della società contemporanea, dita”, trattenuti dalla “superficie in altro modo, ed esteso al dialogo uno soltanto, di molteplici cuori./ propri delle culture ‘etniche’”. Detto 4 con i morti in tali culture e in poesia, astratta” delle grate di un confessionale (Grate); “voci o echi, in Nessuno sa dire se questi suoni / nocidio, la filosofia della natura un brano di un´intervista concessa a nascano da dentro o da fuori” (Radura), “voci insidiose e petulanti” fine del mondo, appunto la caduta Patricia Peterle e Elena Santi: è stata una forma di dialogo con del cielo, che Testa riprende nella gli assenti e, in particolare, con i formano uno “strato – che circonda funesto, al “peso crescente dei strada. (...) Nel passato e soprattutto degli yanomami si è allargata a “Fin dalle origini (...) la poesia che assediano l´io (sotto la sferza sua breve poesia e che attribuisce, morti. La mia poesia non fa altro in realtà il pianeta intero - folto morti”: sotto altre latitudini il possibile comprendere questa profezia di in contesto diverso ma altrettanto che percorrere, a suo modo, questa “contatto” con gli scomparsi av- La caduta del cielo. a Edoardo Firpo e Davi Kopenawa l´allodola fa il suo nido a terra, s´alza con ali tremanti e canta nel cielo che, per il peso crescente dei morti, veniva anche per mezzo di forme rituali che avevano la funzione di mediare e assorbire gradualmente il lutto, modellando, per così dire, l´assenza. Poi, al contrario, c´è stata della funzione e del rispetto per i strato dopo strato, morti: espulsi dal circuito sociale Non fa nemmeno ombra, l´allodola: si nutre di germogli di cicuta e di uova [di locusta, scende verticale tra le nubi. Solo lei rimarrà col suo trillo a rasentare – nell´azzurro fuggendo – questa inconsapevole allucinazione patita con immeritata dedizione delle tante suppliche emanate” (se si potesse dar forma...), una sorta di aura della preghiera rivolta però a un caproniano “latitante signore”; sarà “l´odore dei millenni che si respira all´improvviso” (Può darsi sia). Sono voci anche il raspìo della vera del genitore sul palmo della mano del bambino (dopo averlo una radicale rimozione della morte, sta per cadere a cascata, conficcandoci, noi, sottoterra. di un´irruente primavera), voci che e simbolico ancora prima d´essere entrati nell´aldilà. In questa situazione, a meno che non ci si voglia affidare a pratiche medianiche o spiritiche, che personalmente sento lontane, la poesia resta l´unica pra- tica simbolica, oltre alle preghiere per i credenti, di rapporto e dialogo, benché paradossale e aporetico, con i morti”.5 3 Davi Kopenawa e Bruce Albert. A queda do céu, cit. p.6. 4 Enrico Testa. “Di alcuni motivi antropologici nella poesia di Sereni”. Atti del convegno Vittorio Sereni, un altro compleanno, a cura di Edoardo Esposto. Milano: Ledizioni LediPublishing, 2014, p. 29. 5 Enrico Testa. “O fio das relações humanas”. Entrevista com Enrico Testa. In Patricia Peterle e Elena Santi. Vozes. Cinco décadas de poesia italiana. Rio de Janeiro: Editora Comunità, 2017, p. 312. 22 piegato più volte), e il becchettio ai lavori dell´orto e del giardino: si torna al mondo ligure, in cui si dà geggi “adatti esclusivamente per gli assenti e i morti. Questo dialogo e mestieri”); molti termini della della R di Firpo sul marmo (il merlo becchetta sul marmo), e con questa “hai passato a spinare rose / tutta la tua vita” (Tela di sacco); gli ag- soprattutto l´instancabile dialogo le rose”, “cesoie da giardino”, tutta con le “ombre care dell´infanzia”, un´“eredità di dedizione, manie è nutrito di memoria di persone, fatti, episodi, rapporti con il mondo naturale, campagne, paesaggi di “travi e sterpi e spine”, i monti liguri, stranamente manca il mare, quasi mai nominato. Il mondo vegetale (giardini, orti, campagna, piante, fiori), molto presente in questa poesia, mantiene vincoli soprattutto con il mondo degli affetti domestici, con apparizioni famigliari “d´invadente sembianza”, spesso legate ai lavori della campagna e degli orti, e con tutta la grande, vicina e remota, famiglia dei morti. I temi del giardino, dei lavori dell´orto, delle piante e dei botanica dei monti e della vegeta- zione, i tipi di piante e fiori liguri; termini legati alla vita domestica: cucina, copriletto (in cui capita di avvolgere i morti), lavello, stoviglie, ciniglia e varichina, citrosodina, le tovaglie di cerata, la voce della Singer; il linguaggio burocratico: bollette dell´Enel, abbonati, rim- borsi, l´ASL, agenzia delle entrate, inadempiente, bollettino; alcuni termini regionali (sbrego, magone), le parole degli avi che nessuno più usa (brenno [crusca], cabanna, brugo [erica, scopa]), il vocabolario in disuso di una “famiglia remota”. Gli incontri con la famiglia morti s´intrecciano e in posizione dei morti si danno nell´universo preminente appare il domestico, domestico, nella lingua domesti- il famigliare, a cui è legata tutta ca, anche questa a volte remota, un´area molto viva e interessante in termini forse non distanti da di assenza o sospensione”, ridursi quelli pensati dal poeta quando a “semplice spazio d´eco di proso- quella della lingua “di stalla e di parla dei motivi antropologici in cucina”, che si estende a altri do- altri dialoghi con i morti. “A volte popee” perché “i revenants (...) si affetti, di oppressione e idiosin- al grande banchetto o convito con precarie verità”, come dice Testa, di cui si hanno ampie notizie an- asfodelico o autoironicamente so- della lingua della poesia di Testa, mini del quotidiano a esprimere un variegato carico di memoria e crasie, di nostalgie e insofferenza. La vita quotidiana della memoria che mescola termini caratteristici, impoetici, burocratici, commerciali, farmaceutici, di cose che ancora vi rivedo tutti quanti in cucina” è presentano per vocem, l´io è messo in crisi da voci in assedio o sottil- un verso di Ablativo che fa pensare mente pervicaci o messaggere di tipica della mentalità “primitiva”, di Testa può essere elegantemente i morti, struttura antropologica che nella letteratura occidentale ancora, della poesia di Sereni.7 L´io migliare a “una polpetta crepata” (Testa ne cita delle tracce in Se- (detto di quando cucina polpette “sotto lo sguardo mite della zia / colare ambito temporale e spaziale: reni, Montale, Pascoli, Ripellino, termini legati all´orto come cura, in tale condizione di dialogo fuori attività famigliare (lo spinare, ter- dal tempo e dallo spazio è messo mine d´altro significato adattato in crisi, può trovarsi in “situazioni un granché); è sempre ospite di si usano o non si usano più, un idioletto riconoscibile in un parti- Handke). 6 Certo che lo statuto dell´io 6 Enrico Testa. “Di alcuni motivi antropologici nella poesia di Sereni”, op. cit. 7 Ibidem. (o forse della nonna / morta però tanti anni prima)” (non sono venute voci di cui non vuole fare a meno, provenienti non da qui, non da ora. 23 Sei inediti di Enrico Testa Il giardino (da A. Marvell, The Garden) Uomini vani a brigar tanto in coro per un serto di palma, quercia o alloro, per coronare una fatica incessante con una sola tra erbe e piante, la cui ombra breve, rotta e sottile con discrezione deride la loro vita ostile mentre qui alberi e fiori stringono un patto generoso per tessere le ghirlande del riposo. Intorno il deserto avanza, rossastro e accidioso, ma mai si vide un verde come questo così amoroso. Amanti folli e crudeli d’ardente errore incidono sui tronchi il nome del loro amore. Poco sanno o poco curano di quanto questi alberi vincano in bellezza ogni padrona dagli occhi fieri. Alberi fraterni, ovunque io ferisca il corpo vostro nessun nome vi si leggerà che non sia il vostro. Qui la mente si ritrae dalla voglia ingrata di vita e ancor più vita; e non più assetata si fa oceano dove d’incanto ogni sembianza incontra, tra i terreni, la propria somiglianza – e crea, arretrando ancora e ancora, altri mondi, altri mari e una nuova aurora e tutto quanto ha creato poi, d’un tratto riduce a niente: a un pensiero verde sotto una verde ombra innocente La caduta del cielo a Edoardo Firpo e Davi Kopenawa l’allodola fa il suo nido a terra, s’alza con ali tremanti e canta nel cielo che, per il peso crescente dei morti, sta per cadere a cascata, strato dopo strato, conficcandoci, noi, sottoterra. Non fa nemmeno ombra, l’allodola: si nutre di germogli di cicuta e di uova di locusta, scende verticale tra le nubi. Solo lei rimarrà col suo trillo a rasentare – nell’azzurro fuggendo – questa inconsapevole allucinazione patita con immeritata dedizione 24 Grate opaco, è forse il solo metallo in chiesa che non brilla l’ottone traforato di questo piccolo mobile di legno borromaico e polveroso. Una garitta di peccati veri o inventati che ha per cuore, nascosto e pensieroso, un graticcio di listelli marrone o una grata incisa a graffi di coltello. Pare ben pulita ma in realtà trattiene per anni e anni sulla sua superficie astratta - questa insolente grattugianime – aliti sospiri baci lacrime respiri di sollievo o di tormento sudori passaggi delle dita ristagni del silenzio impronte di volti sconosciuti. A lato del suo mormorio cieco si sentono altre voci; altri astri fanno luce di là dalle candele. E il gelo dei marmi s’imperla di brina per un vento umido e caldo in cui frusciano, da fuori, frustoli di palme ingiallite. Altre grate sì pure loro da cui passano però, Greta, le tue monche verità e il nostro dolore. Da riferire con garbo - tu che ne conosci i covi – al latitante signore di questo giardino invaso dai rovi 13 aprile 2019 Rune Voliera senza gabbia Risso Luigi ragazzo del ’99, diventato sordomuto per meningite contratta in guerra, è venuto stanotte in sogno a salutarmi: ad abbracciare, sorridente, il suo adorato e adorante nipote che lo accompagnava a lavorar la terra sotto il cielo azzurro di febbraio. 1899 e 2019: centovent’anni in un nodo solo. Se lo scrivo è per dire che ora sono, tra gli umani, l’unico a ricordarsi di lui: per tenere a mente questo incontro avvolto nella luce di tre lune, per inciderlo con precisa data - 15 gennaio 2019 – su legno antico con i tratti netti, e segreti, delle rune La dura pelle degli anni, la sforano le rondini che, a primavera, calano a picco sulla piazza accanto al mare. Geometria azzurrina di inchini e curve che imita in cielo il moto delle onde. Lo fanno in onore di una bambina che si slancia sull’altalena nei giardini: è dolce e amorosa nel vento, vela che non conosce ancora giogo o pena nella sua veste linda di crespo rosa. LaCrocifissione (da Dylan Thomas, This was the crucifixion on the mountain) Qui in trasposta immagine restano le loro ali tracciate dalla mano sui margini delle pagine. Dalla finestra si vede solo un merlo sull’antenna del tetto di fronte. Canta. La sua compagna, timorosa, è rimasta a guardia della cuna di paglia tra i rami alti del limone. Questa fu la crocifissione sulla montagna, nervo del tempo in aceto, tomba patibolare intrisa di sangue come le spine lucenti che piansi; il mondo è la mia ferita, Dio è Maria nel suo dolore. Taccia ogni canto. È piegata, la donna, come tre alberi. Ha per lacrime spilli e i seni sotto la sua veste palpitano come pettirossi nel cavo d’una mano. Questo fu il cielo, Cristo Qualunque, che gli angeli conficcarono nel divino batter di chiodi finché dai miei capezzoli l’arcobaleno dai tre colori balzò su, rianimato dalle lumache, da polo a polo. Questa è ora la crocifissione sul pianoro. Poggia, vecchio ragazzo povero Cristo solo, la testa sulle mie ginocchia: volto e memoria. Sto accanto all’albero di ladri, acconcio ogni gloria. Donna dalla lunga ferita, trasformo quest’istante in [montagna. Sto accanto all’orologio del respiro, testimone del sole. Sostengo i figli del cielo col battito del mio cuore. Pochi mesi dopo l’effervescenza senza posa di fitte schegge volanti - leggere tra gli affanni a far nidi di fango e gemme tra i legni della malga in montagna. Sono le rondini di Lindau, le rondini di Giovanni, le rondini dell’Indo e quelle del Giordano. Passano flottiglie aeree di parrocchetti bercianti stormi verdi di cocorite: petulanti archimandriti che sfregiano le icone Le prime quattro poesie fanno parte della plaquette Jardim de Sarças (7Letras, 2019) 6 aprile 2020 25 «Segnavia e segnavita», appunti sulla poesia di Enrico Testa Patricia Peterle Nell’arco di trent’anni – dalla pubblicazione di Le faticose attese (1988) a Cairn (2018) – la scrittura di Enrico Testa è ovviamente cambiata, maturata, pur mantenendo alcuni elementi di continuità. Se da un lato è possibile identificare in questo percorso delle variazioni di registro, lessico e metrica, fino a sfiorare il genere dell’invettiva, come nel caso di Cairn, dall’altro è possibile riaffermare una specie di fedeltà alle sue origini poetiche. Comunque sia, Enrico Testa è sicuramente una delle grandi voci della poesia italiana contemporanea. Vorrei proporre un primo piccole vedute sull’intimità del scrittura è segnata da uno sguardo fatto da «”pezzi” o frammenti» , l’utilizzo di un linguaggio ‘comune’, Testa-lettore, costituendo un libro organico nella sua disorganicità, 1 che a loro volta cercano di tessere i fili di letture fatte, che restano comunque dei relitti o residui, come «l’eco o il borbottìo di alcuni libri amati e ritenuti essenziali»2; insomma, un vero e proprio diario di bordo del viaggiatore-lettore che si mostra disposto all’ascolto. La poesia viene dunque intesa come «transito», al di fuori delle concezioni autonomiste della letteratura, ma anche come canale di che si volta verso la quotidianità, verso ciò che c’è attorno all’io, con in uno stile semplice3, un poetare che diventa perfino un «andare a pezzi» («là fu il principio / e di ciò che venne dopo / non so darvi conto»; «il mio sé vuoto lo prendo, / in controtempo»4). Un linguaggio segnato dalla semplicità grammaticale, ma che ogni tanto viene puntellato e scosso dall’uso di alcuni termini che fanno parte della tradizione o di uso raro, dalla violazione di certe regole e dalla dialogo, di riflessione su sensazioni disposizione della rima nel verso. private e collettive e, ancora, come Con Pronomi, libro esaurito, ma spazio di slittamenti e spostamenti. fondamentale nel suo percorso, attraverso una lettura obliqua di Prendendo le dovute distanze, Testa Testa si apre e si offre al suo lettore, Pronomi, volumetto pubblicato si congeda da tendenze simboliste si mette a nudo in una movenza di nel 1996 da il Segnalibro, ormai e sperimentaliste, avvicinandosi ad introvabile, ma che è senza dubbio alcuni poeti della cosiddetta terza smascheramento. La trama che ne accostamento alla sua poesia una dichiarazione di poetica. Sono pagine che rappresentano generazione del Novecento. Infatti, sin dai primi testi poetici, la sua risulta è fitta, non sempre omogenea – e non poteva essere diversamente –, di nomi e citazioni (quasi uno 1 «Non di aforismi, che sono il frutto di ben altra energia del pensiero, ma di “pezzi” o frammenti è composta questa sottile raccolta. La quale non ha un filo evidente che la percorra da un capo all’altro né un’unitarietà di temi o di argomenti; anzi ciò che può individuarne il carattere è, da un lato, il proprio procedere del suo discorso secondo i modi del contraddire e, dall’altro, la fitta presenza di citazioni, che fanno di questo libretto un registro o diario di letture[…]»,E. Testa, Pronomi, Il Segnalibro, Torino, 1996, p. 7. 2 E. Testa, Pronomi, p. 7. 3 Cf. E. Testa, Lo stile semplice, Einaudi, Torino, 1997, in cui si legge proprio alla fine «La ricerca di uno “stile semplice” ad un tempo vicino al discorso comune e lontano dai luoghi comuni e in grado di esprimere, grazie all’approfondimento delle risorse linguistiche, contenuti di alta complessità si trova quindi – afferrata la preda di una lingua nazionale e parlata – ad affrontare nuove figure […] diventa sempre più, nella stretta dei tempi, un azzardo affascinante e rischioso da giocarsi ad un tavolo affollato di simulacri vocali e di fantasmi letterari, in cui la gioia del riconoscimento nella parola di tutti può d’un tratto tramutarsi nella separatezza del loro silenzio» (p. 350) 4 26 E. Testa, In controtempo, Einaudi, Torino, 1994 pp. 16 e 50. scrivere in proprio con parole altrui). In questa sinfonia di voci vengono convocati, tra gli altri, Paul Celan, la cui forza e potenzialità stanno appunto nella polifonia e policromia di questa complessa tessitura i cui Emmanuel Lévinas, Giorgio Caproni, nodi sensibili intrecciano in modo Vittorio Sereni, Giovanni Giudici, armonico poesia, prosa, saggistica, Peter Handke, Henri Meschonnic, filosofia e musica. Un pensare Maurice Blanchot, Beppe Fenoglio, essi, di spazi altri e significati vari, Pasolini, Alfonso Gatto, Gerard addirittura orme del passaggio Roland Barthes, Walter Benjamin, Michail Bachtin, Fëdor Dostoevskij, Italo Calvino, Franco Rella, Cesare Pavese, Primo Levi, Pier Paolo affabulando, si potrebbe dire. I nomi citati, detentori, ciascuno di alla fine dell’alchimia di lettura proposta da Pronomi diventano Genette, Cesare Viviani, Giorgio del lettore tese a tracciare un Agamben e Thomas Benhard, sentiero diverso; così, nella abbia a che fare con le leggi controtempo). nuovi accostamenti, subiscono un non può più racchiudere in sé un oltre alla Bibbia e Miles Davis (a cui viene dedicata una poesia in In Come già ricordava Roland misura in cui vengono riannodati in questo fitto ordito, ricevendo processo di riappropriazione con Barthes, «[l]a mia lettura non è cui assumere ulteriori significati. produzione d’un altro testo e del mostrarsi da dentro nelle neutra o innocente come quella della macchina: è un atto, la non una riproduzione identica, l’amplificazione del testo con cui essa ha a che fare. […] leggo con gli occhi, leggo con la testa, ma leggo con quello che ho nel ventre. Tutto Certamente, come è già stato detto, questo è un volume del denudarsi, preferenze più intime, tuttavia, com’è ovvio, questo svelamento non può essere totale. Infatti, nomi quali Montale e Pascoli, essenziali 6 in Testa, qui rimangono fuori, pur il mio corpo partecipa alla lettura». continuando a risaltare grazie alla È un orchestrare, quello di Testa, loro stessa assenza. 5 dell’ospitalità. In tale prospettiva, un testo poetico, qualsiasi esso sia, messaggio unico, monocromatico; del suo ordito fanno parte anche i contrari. In una costellazione di questo genere, il problema dell’io diventa appunto un indagare anche dello stesso lettore, una pratica significante 7. Quella di Testa è dunque una figura complessa, al pari di molti altri autori del ’900; considerando gli ambiti della sua scrittura, oltre a quello artistico, troviamo quello del professore Nel caso specifico di Enrico universitario, quello critico frutto della lezione caproniana, è edizioni, per non parlare dei saggi la figura di un poeta il cui gesto è dedicati alla poesia italiana del dire, e della sua tribù; cioè, solo specifico di Philip Larkin – altro Testa quello che si delinea, anche (curatore e prefatore di alcune molto simile a quello dell’etnografo: ’900), quello giornalistico e infine conoscendo l’io più profondo che nome da includere nell’elenco delle un etnografo di sé stesso, per così risiede in se stessi si possono quello della traduzione, nello “care letture”. Quest’ultimo ambito, raggiungere gli altri; un’ azione, cioè la traduzione, considerando si vuole, di una condizione che 7Letras, nel 2019 – che riporta questa, che non può far a meno di una condizione plurale e, se anche Jardim de Sarças, la plaquette bilingue pubblicata in Brasile da 5 R. Barthes, Società, testo e comunicazione, a cura di Gianfranco Marrone, Edizione Club degli Editori, Milano, 1999, p. 270. 6 Da ricordare il volume Montale (Le Monnier, 2016), riscrittura della monografia pubblicata nel 2000 da Einaudi. 7 «La nozione di pratica significante restituisce al linguaggio la sua energia attiva […] manca una punteggiatura in realtà la pluralità si trova di primo acchito nel cuore della pratica significante, sotto forma di contraddizione: le pratiche significanti, anche se provvisoriamente si accetta di isolarne una, dipendono sempre da una dialettica, non da una classificazione», in R. Barthes, Società, testo e comunicazione, p. 232. Si vedano le parole di Marina Cvetaeva: «E cos’altro è la lettura se non decifrazione, interpretazione, estrazione di un mistero che è rimasto dietro i versi, dietro i confini delle parole? (Per non parlare, poi, delle «difficoltà della sintassi»!). La lettura è prima di tutto co-creazione. Se il lettore è privo di fantasia, nessun libro si regge. Ci vogliono immaginazione e buona volontà», in M. Cvetaeva, Il poeta e il tempo, p. 39. 27 anche dei testi inediti –, meriterebbe fossi più tu a dirla»11. L’equilibrio chiedere: traduzioni?, imitazioni?, della distinzione”12 tra inizio e fine, un’attenzione maggiore da si basa sulla rottura del principio di parte della critica. Ci si potrebbe non-contraddizione e sulla “morte rifacimenti? Un percorso, insomma, riaffermando che la coerenza in (ma si potrebbe pensare anche riflessione, fatta da un’altra voce che viene appunto offerto dal gesto poesia non è un valore obbligatorio. traduttorio: come dice Meschonnic Questi versi sono anche una a Benveniste), il discorso (segnalata dalle virgolette), su come presuppone il soggetto, inscritto possa essere l’inizio di un volume prosodicamente e ritmicamente di poesia. Cioè, non c’è bisogno di nel linguaggio, la sua oralità e la fare un annuncio, di scegliere un sua fisicità. di conseguenza, il rapporto con La scrittura, e dunque anche, persone, animali, oggetti ed necessariamente, la sua poesia, occasioni è un elemento essenziale cioè la sua praxis, è il compito della sua costituzione. Tutto questo del senso, a condizione che comporta un’attenzione particolare risposta – senza risoluzione mondo e di farne parte, letti con essa non sia l’assunzione di un senso annodato, ma la – all’ingiunzione assoluta di a istanze etiche ed estetiche, al nodo della responsabilità, dello stare nel lenti percettive e sensibili. dover annodare. E questa L’origine come qualcosa di ingiunzione imprescrittibile essenziale, che si sa che esiste, è anche irriducibile ad ogni estetizzazione “poeticizzante” o “letteraria”. 8 In tale prospettiva, il letterario diventa anche un indagare che ma che con lo scorrere del tempo viene meno sempre più. Rimane lì, sempre più attraversata, sfumata e, infine, decentrata e esplosa, secondo le parole di Lévinas. La poesia di apertura di Pasqua di richiede una ricerca9, che prende neve, in tono leggero, introduce compresa quella di una potenza un inizio / o, al modo degli indiani, le sembianze di una scoperta altra, di un rapporto di forze, impersonale che si mostra alla fine come un’altissima singolarità. 10 Se ne deduce che questa scrittura predilige il dato sensibile e che, 8 lessico o una struttura più alta per richiamare l’attenzione. La scelta di questo inizio, per riprendere il discorso sull’origine, appartiene ad un «moto fluido»; e nello stesso modo in cui inizio e fine possono, avvicinandosi, quasi confondersi, anche la parola può scorrere come se «quasi non fossi più tu a dirla». L’ultimo verso aggiunge così un altro dato, quello sul soggetto, collocato su una specie di soglia («quasi»), che è già un segno indiziario di questo laboratorio, del “dislocamento”, del suo decentramento e, perché no, perfino di certa indicibilità che fa parte anche della vita stessa. Il desiderio di rivivere e riscoprire, come in una sorta di esplorazione, questa complessa problematica: gli stessi spazi vissuti nel passato, / camminare cancellando / ad bambini c’era l’abitudine «a risalire «puoi cominciare anche /senza diventa un fallimento come quando ogni passo il principio; / e finire d’estate i torrenti / per trovarne senza chiudere / interrompendo disarmato la parola / quasi non si ricorda, in un’altra poesia, che da le fonti.»13. Ancora una volta due strofe e due movimenti: uno del J. L. Nancy, Il senso del mondo, Lanfranchi, Milano, 1997, p. 151. 9 «[…] vie – fra tantissime altre – sulle quali la lingua si fa sonora, sono incontri, vie che una voce percorre incontro a un tu che la percepisce, vie creaturali, forse progetti di esistenza, un proiettarsi oltre sé per trovare se stessi, una ricerca di se stessi… Una sorta di rimpatrio», in P. Celan, La verità della poesia, a cura di Giuseppe Bevilacqua, Einaudi, Torino, 1993, p. 29. 10 Cfr. G. Deleuze, Critica e clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, pp. 12-15, e si veda anche il frammento di W. Benjamin, citato da J. L. Nancy: «Eppure, la scrittura non comporta, in sé, nulla di utilitario, e durante la lettura non cade via come una scoria. Essa si fonda su ciò che viene letto quanto ‘figura’», in W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, introduzione di Giulio Schiavoni, traduzione di Flavio Cuniberto, Einaudi, Torino, 1999, p. 228. 11 E. Testa. Pasqua di neve. Torino: Einaudi, 2008, p. 5. 12 A proposito del tema della “morte della distinzione”, esplicitato nella poesia Controcanto di Giorgio Caproni, contenuta nel volume Conte di Kevenhüller (1986), Testa ricorda alcuni aspetti fondamentali, quali «la logica paradossale della reversibilità» e l’«effrazione dello statuto organico di persona», nel saggio E. Testa, Con gli occhi di Annina. La morte della distinzione, in Giorgio Caproni: lingua, stile, figure, a cura di Davide Colussi e Paolo Zublena, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 45-58. Su questo argomento sempre di E. Testa, si veda Giorgio Caproni, «Ad portam inferi», in Filologia e storia letteraria. Studi per Roberto Tissoni, a cura di Carlo Caruso e William Spaggiari, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2008, pp. 653-660. 13 28 E. Testa. Pasqua di neve, p. 10. ricordo e l’altro più riflessivo, risponde allo sforzo di una iniziale. Le reminiscenze di questo rappresentazione del “reale”, passato appartenuto all’infanzia ma alla tensione che dirige che va oltre i dettagli della spinta onnicomprensiva e sterile esistono solo in quanto ricordi, lo sguardo tra la sponda – in movimento – della realtà il tentativo esplorativo di cercare un’identificazione delle fonti reali e quella – immobile – della con quelle create col tempo dalla/ scrittura17 nella memoria, che è addirittura dimenticanza, non può che creare La poesia pertanto rende possibile il difficile, e può essere delle frane e delle tensioni. L’atmosfera buia presente nel primo vista come un accesso, ma non al regime della precisione; infatti, la verso della seconda strofa funziona da anticamera per l’ultimo: «la poesia non comunica ma mette in delusione dell’origine». Ossia, il atto, fa scattare l’articolazione dei desiderio di recuperare sentimenti sensi. Per riprendere Jean-Luc Nancy, o luoghi visti nel passato, cercando chi distrugge un mosaico per la poesia non produce o riproduce un fallimento («Raccogli pure tutto dio! – del tutto diversa» . È ancora al senso. Come ha sottolineato Roberto di avere le stesse sensazioni, è un tentativo che può solo franare, è quello che vuoi: / pietre, bacche, scaglie di corteccia… / Non ti resterà altro nella mente / che gli ricomporre poi con le medesime tessere una figura nuova e – mio 16 Testa a scrivere: insetti celesti della montagna: / le slavate monetine del sempre» ). 14 L’origine, infatti, non è fissa in un luogo o legata ad un ricordo di essa, ma è lo spazio in cui si produce questa tensione e sospensione del […] il rapporto tra la lingua della poesia e la quotidianità e i suoi discorsi: con lo sgranarsi – un pre- e dopostoria. L’origine 15 può essere allora vista come un vortice, di cui differenza e distanza sono elementi intrinseci: come si legge in una delle “prose” poetiche «l’uso che posso farne è, sotto il mio sguardo spaurito, quello di che cresce», da un lato «continuazione e retaggio»18 e dall’altro disposizione dell’io verso immagini e situazioni appunto nel rapportarsi, che viene concreti acuminati sfuggenti, di là della nostra presa. Della questi attraversamenti provocano in cui però si avverte e si cerca l’erba con un destino – il nostro – sfilata degli oggetti e dei nomi, Non si tratta dunque di genesi, ma sì del dispiegarsi molteplice che Galaverni, Cairn «è un libro terminale – le più varie – su cui Testa cerca la cui fisionomia è tracciata aperte, come l’immagine dialettica. un’azione integrale della disposizione dei giorni che restano, con la tempo, che permette un incrociarsi di tempi, necessari alle forme significazioni, ma costituisce da fatti minimi, da slittamenti impercettibili e rovinosi: al poesia è propria anche la disponibilità verso tutto questo: l’allontanarsi dalle secche del “poetico”, del “letterario” e dalle figure cosmetiche è già dentro l’orizzonte dell’ascolto, in cui il rischio di “ingrigirsi” nella precisione nominalistica e nella concretezza referenziale non di interrogarsi. Ancora una volta, il fulcro di questa scrittura si presenta coniugato in vari modi. Allora, non è forse una semplice casualità che, pur aprendo nuovi spazi nel suo laboratorio poetico, Testa in alcuni passaggi di Cairn, da leggere come dichiarazioni poetiche, evochi versi e presenze di raccolte passate, come in apertura: non ci diremo addio. Non sappiamo come dirlo, e non vale la pena di [impararlo19 14 Ivi, p. 106. 15 Cfr. W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, p. 227. 16 E. Testa. Pasqua di neve, p. 26 17 E. Testa, Pronomi, pp. 14-15. 18 R. Galaverni. «Mucchi di sassi per i morti e per segnare la via ai vivi». In La lettura, 11 marzo 2018. 19 E. Testa. Cairn. Torino: Einaudi, 2018, p. 5. 29 Sintassi, metro e prosodia nelle poesie di Enrico Testa¹ Sebastiana Savoca «Un verso assolutamente ritmico potrebbe esistere forse solo qualora si affidassero alla convenzione tipografica tutti gli elementi dell’‘esecuzione’, conferendo ad esempio all’a capo il valore di una unità di interpunzione», scriveva Fortini nel 19582. Sebbene nelle poesie di Testa questa condizione non venga totalmente saturata, è pur vero che la distribuzione del testo tende a una segmentazione versale in cui le pause metriche si sovrappongono a quelle linguistiche, e viceversa. Emblematico a questo proposito l’ultimo componimento della raccolta poetica Cairn : si deve però dire che luoghi simili sono esposti, più di altri, al rischio di interpretazioni ambigue. Lo si vede bene nella poesia sfilano lungo la navata: sfilano lungo la navata i volti consunti dei mercanti: coniugi severi e dignitosi benefattori attenti agli scambi 5 tra il qui e l’aldilà. (sfilano lungo la navata, da Pasqua di neve, vv. 1-5, p. 48) 3 «Non possiamo ricominciare ancora. Soltanto possiamo ancora finire». «Ma non abbiamo mai finito». «Oh, sì. Non crederlo. 5 Abbiamo finito molte volte e molte volte. Non una volta sola. E ora possiamo finire di nuovo. E ancora e ancora. Senza un nuovo inizio» La parola «dignitosi» in punta di verso potreb- be costituire il secondo elemento della dittologia aggettivale o potrebbe essere aggettivo riferito a «benefattori». In quest’ultimo caso «dignitosi» e «be- nefattori» sarebbero in enjambement. La scansione versale suggerisce però una lettura che muove verso la prima direzione. Pare più sensato pensare che in corrispondenza della pausa metrica vi sia anche quella sintattica. Coinciderebbero così, come sembra avvenire quasi sempre nelle poesie di Testa, il piano («Non possiamo ricominciare ancora», da Cairn, p. 116) metrico, sintattico e fonologico. Il caso più diffuso di questa sovrapposizione In questo caso metro e sintassi coincidono: ogni sono le enumerazioni. Al contrario della poesia «Non delegando al metro le relazioni sintattiche tra gli ele- teggiatura appare essenziale, esplicitata solo se ritenuto verso, escluso l’ultimo, si conclude con un punto. Ma non è raro che Testa ometta i segni di interpunzione, menti. Accade infatti che sia la segmentazione versale a modulare la sintassi. Sebbene il contesto permetta quasi sempre di dare il giusto ruolo ai diversi elementi, possiamo ricominciare ancora» in questi luoghi non appaiono segni di interpunzione a fine verso. La punstrettamente necessario. Testa evita la ridondanza intonativa a fine verso, omettendo i segni di interpunzione che restituirebbero visivamente la sovrapposizione 1 Questo lavoro riprende alcuni argomenti affrontati nella mia tesi di laurea Il rapporto tra metro e sintassi nelle poesie di Enrico Testa. Uno studio secondo la linguistica teorica contemporanea (2017), a cui rimando per una trattazione più estesa. Nel frattempo Testa ha pubblicato Cairn (2018), che si aggiunge in questa sede al corpus delle raccolte poetiche già oggetto di studio della mia ricerca: Le faticose attese (1988), In controtempo (1994), La sostituzione (2001), Pasqua di neve (2008), Ablativo (2013). Ringrazio il mio relatore, il professor Luca Zuliani, per l’attenzione e la puntualità delle sue osservazioni, indispensabili per lo sviluppo di questo studio, e la mia correlatrice, la professoressa Laura Vanelli, per le riflessioni calzanti. 2 F. Fortini, Verso libero e metrica nuova, in Id., Saggi ed epigrammi, a cura di L. Lenzini, Mondadori, Milano, 2003, pp. 799-808, p. 807, nota 4. L’articolo compare per la prima volta in «Officina», 12, aprile 1958, pp. 504-511; poi in Saggi italiani, 1974, pp. 315-23; Saggi italiani, 1987, pp. 340-9. 3 30 E. Testa, Cairn, Einaudi, Torino, 2018. tra la pausa sintattica e quella metrica. Ad esempio la melodia del verso conciliando la sintassi col metro. paesaggio, non compare nemmeno una virgola: che le pause linguistiche che descrivono i confini dei nella prima parte della lirica a filo d’acqua intravedo, nonostante il poeta elenchi gli oggetti che scorge nel a filo d’acqua intravedo gli oleandri fioriti sulla riva il porto tranquillo le case sulla collina 5 il campanile della mia chiesa i bagnanti di porcellana illuminati dal sole. (a filo d’acqua intravedo, da Ablativo, vv. 1-7, p. 66) È pur vero che la presenza di virgole avrebbe alterato, almeno in parte, l’intonazione e quindi la resa espressiva di questi versi. L’assenza di punteg- giatura infatti pare compattare tutti questi elementi Capita spesso ad esempio che a fine verso le virgole sanciscano l’inizio e la fine di una subordinata, di modo contorni intonativi cadono in corrispondenza delle pause metriche. Così accade nei versi al divino procurator di doglie, quando giunse la sera nella nostra casa, non chiedemmo nulla; (al divino procurator di doglie, da In controtempo, vv. 1-4, p. 62) Il secondo dei meccanismi a cui Testa ricorre per garantire il normale profilo prosodico della lingua consiste nell’andare a capo rispettando i contorni intonativi dei sintagmi. Numerosi infatti i casi in cui la segmenta- in unico oggetto, come se Testa volesse trasmettere zione versale separa il verbo e il suo soggetto, sfruttando un’unica immagine, senza indugiare fotogramma per quella pausa minima e impercettibile che risiede tra i fotogramma su ciascuna figura. È evidente che nelle liriche di Testa la pausa metrica e quella linguistica tendano a sovrapporsi. Considerando la poesia la carpa centenaria immobile nel fango se ne ha la conferma. Quando Testa legge questa poesia, in occasione del ventunesimo Festival Internazionale della Poesia di Genova4, nel 2015, si due costituenti maggiori. Considerando i versi «il tuo moccico azzurro / infiora i fazzoletti» (s’addormentano, da Le faticose attese, vv. 5-6, p. 16) si nota infatti che Testa segmenta metricamente il discorso nei ‘punti deboli’ della linea sintattica; in quei punti cioè che intervallano affida in larga misura alle pause metriche, conferendo significato agli elementi in relazione alla loro disposizione nel verso. La sua esecuzione infatti mette in luce la stretta connessione tra il metro e la sintassi. Fin da subito si nota che tra un verso e l’altro il poeta effettua una pausa più o meno lunga e che, al contempo, il nor- male profilo prosodico della lingua non viene alterato. Si potrebbe quindi pensare che, durante la produzione delle sue liriche, Testa semplicemente pieghi il metro alla sintassi. Eppure i confini versali spezzano di con- tinuo la linearità sintattica. Non si capisce allora come mai la normale linea prosodica del discorso non venga alterata. Cercando di trovare giustificazione a questa apparente contraddizione si notano però due mecca- nismi interni che, ripetendosi, configurano un certo sistema. Il primo di questi meccanismi consiste nell’uso di subordinate, incisi o parentetiche che frammentano le frasi. Ci si aspetta quindi che questi costrutti inter- feriscano con la linearità prosodica; in realtà regolano 4 Per le osservazioni che seguono è stato isolato l’audio dal video che si trova su YouTube al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=BZ2js7fWmA (consultato il 12.10.2017). 31 la sequenza tra un sintagma e un altro. Così, nonostante l’uso di una sintassi fortemente segmentata, l’effetto è quello di grande naturalezza. Non a caso Caproni, nella Presentazione de Le Faticose attese5, scriveva che quelle di Testa «sono poesie – tutte – che sembrano scritte quasi à la lisière de la prose, tant’è apparentemente semplice il linguaggio»6. Ma è evidente che una tale naturalezza del discorso, in un testo scritto, non possa che essere frutto di una complessa orchestrazione. Può risultare utile allora ritornare sull’esecuzione della poesia la carpa centenaria immobile nel fango. Uti- la carpa centenaria [0.26] immobile nel fango al fondo dello stagno ghiacciato 0.47 s la timida biscia [0.11] acquattata 0.81 sotto la petraia battuta dal grecale 0.03 5 la lucertola dalla vita latente e 0.71 [silenziosa nascosta nella crepa del muro 0.15 sono, [0.41] nel loro letargo invernale, 0.45 prossime all’eterno. 0.72 Come noi, [0.19] nel sonno 0.47 (la carpa centenaria immobile nel fango, da Ablativo, p. 16) lizzando Praat7, un programma di fonetica che permette l’analisi acustica dei files audio, è possibile misurare l’intervallo di tempo che intercorre tra un verso e l’altro e tra elementi presenti all’interno dello stesso verso. Il correlato fonetico al quale si fa affidamento è la durata del silenzio, ovvero il tempo in cui vi è assenza di fonazione. Vi sono però dei limiti. Ad esempio l’influenza che ha sulla percezione delle pause un tratto soprasegmentale come la lunghezza o, banalmente, la presenza di incer- tezze ed esitazioni , che descrivono le cosiddette pause 8 accidentali. È dunque necessario limitare questo studio alle sole pause sistematiche, quelle pause cioè che sono previste e prevedibili e che, pertanto, fanno parte della competenza di un parlante nativo9. Si tenga inoltre in considerazione che, poiché l’analisi è condotta su un’unica poesia, le osservazioni a cui si perviene in questa sede assumono valore di sondaggio. Segue un esempio di come siano state condotte le misurazioni di tempo. Tra le parentesi quadre sono stati inseriti i valori delle pause che intervengono in quel punto del verso. Considerando i confini versali, ciò che fin da subito si può notare è che la durata dei silenzi non è direttamente proporzionale al segno di interpunzione che descrive la pausa. Accade così che tra i versi 2 e 3 («al fondo dello stagno ghiacciato / la timida biscia acquattata»), in assenza di punteggiatura, la pausa sia di 0.81 secondi quando invece tra i versi 7 e 8 («sono, nel loro letargo invernale, / prossime all’eterno»), pur essendoci la virgola, il silenzio duri 0.72 secondi. Allo stesso modo tra i versi 8 e 9 («prossime all’eterno. / Come noi, nel sonno»), nonostante il punto, la pausa è di soli 0.47 secondi. Pare che l’intervallo di tempo tra i versi non sia influenzato tanto dalla punteggiatura quanto piuttosto dalle dipendenze e dalle relazioni che intercorrono tra i diversi elementi, disattendendo quindi l’idea che una pausa linguistica forte implichi un silenzio più lungo. Tuttavia capita spesso che vi sia questa apparente discrepanza; sarà allora necessario scindere il contesto testuale, in cui l’unità di misura è la frase, da quello orale, dove invece l’unità di riferimento è l’enunciato. Si tratta quindi di cogliere lo scarto tra la struttura del testo e il discorso in cui il La parte evidenziata in rosa descrive l’intervallo di tempo che intercorre tra la fine del primo verso e l’inizio del secondo nella poesia la carpa centenaria immobile nel fango. I dati ricavati dall’analisi di questa lirica sono i seguenti: 5 32 testo si compie concretamente. Si assumerà così che i segni di interpunzione intervengono a creare delle gerarchie interne al componimento, ma, in accordo con la semantica del testo, contribuiscono anche a modulare le intonazioni dell’esecuzione. La relazione logico-semantica intrattenuta dagli elementi, infatti, E. Testa, Le faticose attese, San Marco dei Giustiniani, Genova, 1988. 6 G. Caproni, Presentazione, in E. Testa, Le faticose attese, cit., p. 8. 7 Praat, di Paul Boersma e David Weenink, www.praat.org 8 Cfr. M. Nespor, Le strutture del linguaggio. Fonologia, il Mulino, Bologna, p. 211. 9 Cfr. Ivi, p. 269. influisce attivamente sulla durata dei silenzi tra i il risultato della sintassi. È molto probabile che le due quella semantica sono quindi pause che si presen- e il participio passato «acquattata» vi è un intervallo di diversi costituenti. Uno degli effetti della mancata sovrapposizione tra la segmentazione sintattica e tano come mediazione di più variabili. Sembrerebbe questo il motivo per cui ad esempio tra i versi 8 e 9 prospettive coesistano. Ne è prova quanto accade al terzo verso: tra il sintagma nominale «la timida biscia» tempo di 0.11 secondi. Questo dato isolato forse dice poco. Ma se si riprendono in mano i valori relativi alle la pausa è di soli 0.47 secondi: il connettivo come che pause tra i versi si noterà che il silenzio tra «la timida opposti, ma sullo stesso piano; senza cioè che vi sia un pausa tra il quinto e il sesto verso apre l’ultimo verso è il fulcro di una similitudine in cui gli elementi comparati si dispongono in due estremi biscia acquattata» e «sotto la petraia battuta dal gre- cale» è appena di 0.03 secondi. Nella stessa poesia la costituente gerarchicamente superiore all’altro. Inoltre («la lucertola della vita latente e nella durata della pausa metrica e di quella sintattica. secondi, valore vicino a quello della la somiglianza degli elementi comparati implica il loro avvicinamento, a cui si associa dunque una riduzione Considerando tutte le osservazioni fatte sino ad silenziosa / nascosta nella crepa del muro») ha una durata di 0.15 pausa interna al terzo verso (0.11 ora pare dunque che più di ogni cosa siano i legami secondi). Il fatto che il sesto verso pause interne ai versi che hanno una durata maggiore nominale («la lucertola») come il tra i costituenti a modulare l’esecuzione. Infatti, con- trariamente a quanto ci si attenderebbe, vi sono delle rispetto ad alcune pause di fine verso (si fa riferimento ai valori di 0.03 e 0.15 secondi). Escludendo la pausa interna al v. 3, di cui si dirà qualcosa a breve, e quella al v. 7, effetto della virgola, vi sono altre due pause interne al verso: una di 0.26 secondi tra «la carpa centenaria» e «immobile nel fango» e l’altra di 0.19 secondi tra «Come noi» e «nel sonno». In quest’ultimo si apra con un participio passato («nascosta») riferito a un sintagma participio passato «acquattata» si riferisce al sintagma nominale «la timida biscia» sembra suggerire che, in entrambi i casi, sia la sintassi il punto di riferimento per la lettura che Testa fa di questi versi. A ben vedere, considerando l’intero corpus di poesie, ci si caso, sebbene la virgola giustifichi la pausa, va però accorge che sede privilegiata dei participi passati è che il segno di interpunzione, più che assumere un del discorso e, allo stesso tempo, si preoccupi di avvici- notato che la durata del silenzio è più breve di quella che solitamente le virgole descrivono. Sembra infatti ruolo sintattico, realizzi uno schema sotteso al verso. proprio l’inizio del verso. Pare cioè che Testa ricorra a una scansione metrica che accompagni i normali respiri nare la sintassi al metro. Quando, come nel caso appena Pare che nel primo e nell’ultimo verso vi sia la volontà visto, questo non accade si avverte lo scarto rispetto a rittura il ritmo dei due emistichi risulta lo stesso («la di verso, segua una pausa di 0.03 secondi. É come se su di spezzare i versi in due parti, attraverso una cesura che dilata il tempo. E si noti che nel primo verso addicàrpa centenariaˇimmòbile nel fàngo»: ~ + ~ ~ ~ + ~). Sembra pertanto che in questi luoghi venga riservata una maggiore attenzione al ritmo; il rallentamento dell’esecuzione non solo permette di dare maggiore enfasi all’incipit e all’explicit, ma pare anche rivelare il metro che sottosta al verso. Effettivamente i valori delle pause interne di questi versi sono simili a quelli trovati per alcune pause metriche di fine verso; si può dunque pensare che in questi casi vi sia una vera e propria pausa metrica interna al verso o, in alternativa, che i dati trovati per i confini versali siano semplicemente quella che ormai si era sedimentata come norma. Non è un caso infatti che al participio «acquattata», in punta questi versi agisse un fenomeno di compensazione: a una pausa sintattica significativa interna al verso (0.11 secondi) segue una riduzione della pausa metrica che interessa lo stesso verso. E quelle cesure che paiono esservi nel primo e nell’ultimo verso sembrano rive- lare un discorso metrico, apparentemente assente, sotteso a tutta la poesia di Testa. Sembra cioè che a sprazzi appaiano dei varchi in cui si riesce a ravvisare la struttura sottesa al testo, dei veri e propri cairn10 che il poeta dispone lungo le sue poesie come punti di riferimento per orientare il lettore. 10 Si allude all’ultima raccolta di Testa, Cairn, ma, in particolare, alla seconda delle due accezioni con cui la parola viene indicata sulla quarta di copertina della raccolta, ovvero ai «segnavia sui tragitti montani per indicare la prosecuzione di un sentiero». 33 «Quadretti di genere»: una lettura di Ablativo Luiza Faccio Pensare a proposito della poesia unisce 64 poeti italiani, dedica il di Enrico Testa, poeta, insegnan- saggio che introduce la sezione in te e critico letterario, è riflettere sulla parola “relazione”: alla ricerca dell’altro, del dialogo con l’altro. Questa relazione è legata a cui è presente Testa, intitolato “Il domestico che atterrisce. La tematizzazione del quotidiano della poesia di oggi”, a pensare a questo temi che circondano la poesia di spazio della vita quotidiana nel Testa come il gesto, la memoria e testo poetico, dialogando con al- la morte, e si trova nel quotidia- cuni autori durante la costruzione no, in quanto lo scrittore sceglie il del loro pensiero, in particolare luogo delle cose comuni di tutti i giorni come palcoscenico dei suoi versi. Le sue poesie si incontrano in questo spazio della vita quotidiana e nei suoi dettagli e azioni, sia nella sfera privata che in quel- la pubblica, in costante contatto con l’esterno, avvicinandosi o prendendone le distanze, attraverso spazi e culture diverse. È da questo punto di vista che verrà Maurice Blanchot. Zublena affer- questa trasposizione dell’“identità”, lasciando il posto al collettivo, andando dal micro al macro. Zublena recupera inoltre un brano di Blanchot, dal testo La parole quo- tidienne (1969), in cui dice: “nel quotidiano, manca il soggetto, o almeno esso è neutrale, anonimo: il quotidiano è il movimento con cui l’uomo si tiene come a sua in- ma che la vita di tutti i giorni è il luogo dell’impenetrabile, dove si Quando si pensa a questo spazio in può conoscere solo a partire dai cui non ci sono nomi, in cui la real- frammenti, dalle trame, perché la sua interezza, sfugge. L’identità tà personale è scarsa, l’impressiocome “luogo comune”, nel senso appare neutra quando si guarda al che non importa quanto si parli quando si tenta di catturarla nel- comune vivere quotidiano nel suo complesso, diventando cosí più grande dell’’individuo. Esiste, in- proposta una breve lettura di al- fatti, il pensiero collettivo di tutti i cune poesie dell’opera Ablativo, giorni, lo spazio del neutro e il quo- pubblicata nel 2013, ma è anche tidiano privato, in cui prestiamo Paolo Zublena, nell’antolo- riscontrabile una certa neutralità, una chiave per leggere la poesia attenzione a questo “io”; tuttavia, gia Parole plurale (2005), che ri- poiché l’io può anche diventare un di Testa nel suo insieme. “noi”, in cui esiste la possibilità di anche nella dimensione privata, è saputa nell’anonimato umano”1. ne è quella di una vita quotidiana di un “Io”, che scrive a partire dal- le sue esperienze e che è inserito in questo ambiente quotidiano, in questa scena; quella voce personale diventa plurivocale, potendo riflettere e dispiegarsi in altre voci. Questa plurivocalità è molto presente nei versi di Enrico Testa. In Ablativo, ad esempio, le poesie appaiono sotto forma di citazio- 1 ZUBLENA, Paolo. Il domestico che atterrisce: la tematizzazione del quotidiano nella poesia di oggi. In: Parola Plurale. A cura di G. Alfano, A. Baldacci, C. B. Minciacchi, A. Cortellessa, M. Manganelli, R. Scarpa, F. Zinelli e P. Zublena. Roma: Luca Sossella, 2005, s/p. 34 come lampi della quotidianità ne. In alcune poesie, l’esterno è al razione tra questi “io”. La parola centro dell’attenzione: è possibile “gesto” è ricorrente in Ablativo, una poesia che passa attraverso do i gesti della scrittura, del fisico vista che dell’udito, e del gesto, corpi che interagiscono tra loro e in niente”4, questo essere con- lici. Nella seguente poesia vengo- ci fa pensare a questo movimen- ascoltare nei versi quei corpi che essendo collocata in modi diversi un “io”, ma si apre ad altri occhi, e del ricordo, per esempio. In tut- camminano, parlano, cantano. È altri corpi. La vita quotidiana di questa interazione è un luogo comune, è un luogo in cui i sensi sono tutti in allerta vivendo e cercando relazioni, come si può ve- dere dai primi versi della poesia iniziale di Ablativo: “il cagnetto alla catena / il gatto che insegue la lucertola / le settembrine fio- e con significati diversi, includento il libro possiamo percepirli, nei che attirano da vicino il poeta. Qui, l’interazione con l’altro avviene attraverso i sensi, sia della “con un solo magico gesto della mano / ci illuse di aver ridotto in ciò che accade intorno a loro, trassegnato come qualcosa che no rilevati alcuni di questi punti: to come un gesto fisico, ma anche nelle domande e nei gesti simbo- «e Palermo? Palermo è la piazza in un mattino ventoso inganna, che a causa della mano illusorio e metaforico, che porta con sé il passare degli anni. Come nella poesia succi- rite sulla ripa / il tramonto sulla sotto un depauperato cielo barocco tata, possono esserne osservati vetreria… / Quadretti di genere. vicina alla chiesa della Kalsa. altri voci e corpi che compongo- / Ma allora perché c’inteneriscono / sino alle lacrime?” . In 2 questi versi iniziali, un richiamo Lì, tra i cellulari della polizia penitenziaria (una cerimonia era in corso) tema della vita quotidiana, pre- si fece avanti una zingara scalza sentando scene come: una cena, all’attenzione ai piccoli dettagli ad offrirci per un euro del “quadro comune” che, benché un santino di papa Giovanni. reazioni. Qui il rapporto si instau- Astuta e benedicente ra con la natura, con la fauna e la ci illuse di aver ridotto in niente flora, in primo piano, e la scelta del cane, del gatto, delle settem- la trafila degli anni brine, tutti appartenenti a uno e le spine e le prove del presente» semplici, suscitano sensazioni e no Ablativo e rafforzano anche il un cane alla catena, amici e per- con un solo magico gesto della mano sone in piazza, luoghi esterni e talvolta privati, che ci permettono di analizzare questa interazione reciproca. In questo flusso presente nei suoi libri, nelle scene e i divoradio e gli animali da preda 3 scenario quotidiano, osservabi- nei dialoghi, Testa dà voce a diver- si “io”, e li include nelle sue poesie, come possiamo riscon- li nel spazio di tutti giorni, non La poesia senza titolo, parte essendo, per esempio, elementi della sezione “Tropico dello Scor- in Ablativo, quando di natura esotica, come un’orchi- pione”, è caratterizzata dalla sce- l’autore dialoga con questi elementi dall’ordinario, assemblando, permettendoci di dea o un lupo, che sono rari da na descritta in questa piazza di collocandoli nel campo dello stra- avere lampi di immagini, e molto trovare. Il poeta, tuttavia, disloca ordinario, senza, tuttavia, portarli fuori dallo spazio comune, poiché vedere lo straordinario nell’ordi- nario intenerisce il suo spettatore fino alla commozione. Quando si riflette sulle ca- ratteristiche di questo spazio di apertura verso l’altro, il gesto è molto presente, così come l’inte- trare, ancora una volta, Palermo, che si sta gradualmente altro: sensazioni, come quella del vento, che segnalano temi quotidiani e naturali (che seguono la linea della semplicità). Questa vita quotidiana può essere vista attraverso la figura della zingara scalza che vende i santini, o persino attraverso il cellulare della polizia; elementi comuni, quasi 2 TESTA, Enrico. Ablativo. Traduzione di Patricia Peterle, Silvana De Gaspari e Andrea Santurbano. San Paolo: Rafael Copetti editor, 2014, p.12. 3 Ivi, p. 50. 4 Ibid. 35 un personaggio chiamato “Anto- volte ancora oggi / sento lo stesso dato ancora [...]”5. Riflettere sulla sensazione dell’altro si manifesta nio”: “Fino a quando, Antonio, mi raspío / anche se la mia mano è poesia che parla della vita quo- in questa poesia attraverso il toc- dal privato al pubblico, che acca- ricordo di quel tocco. chiedo, / fino a quando ci sarà vuota / e la tua è solo cenere”7. La tidiana, è pensare a uno spazio a co, lo sfregamento del biglietto nel cui tutti appartengono e che passa palmo della mano, che risveglia il socializzazione e interazione tra può pensare al gesto fisico della de per strada, di solito un luogo di In questi estratti poetici, si mano che guida l’altro, così come corpi. Parlare di questa vita quo- al ricordo che un tale gesto risve- tidiana è un gesto per dare voce a chi e a ciò che spesso non ha voce, glia, “a volte ancora oggi / sento e non è nemmeno visto, passando lo stesso raspío”, è una sensazione inosservato, sia perché fa parte di uno scenario già “creato” o perché che può essere rivissuta solo dalla memoria. Un altro esempio è il è consueto, come, ad esempio, la zingara in piazza e il poliziotto. In un’altra poesia di Ablativo, possiamo comprendere meglio questa interazione con l’altro e come sono presenti questi corpi, agendo naturalmente, giorno per giorno, lavorando, cantando... Il corpo è visto nell’ambiente in cui si trova, dove si avverte la presenza nel momento in cui interagisce, attraverso il tatto o l’udito; si mo- strano corpi i cui sensi si predispongono alla ricerca di altri corpi. In questa poesia, presente nella sezione “Binario 20”, possono essere identificati i romeni che cantano e un altro corpo che vede e ascolta: “cantano ancora / i carpentieri ro- meni / sui ponteggi davanti casa: / [...] un inno di cui non afferro il gesto non fisico, ma simbolico, del cantare l’inno, come fanno i romeni, l’inno che rappresenta un luogo, di solito la propria patria, la casa e la nostalgia del ricordare. Il gesto senso. / Fasciato nel silenzio / del canto va ben oltre le parole e a partire dalla loro interazione e come ravvivare le origini, ricordare vedo e ascolto” , o addirittura, si 6 rivelano come corpi che vediamo che in seguito diventano ricordi di l’atto del cantare stesso, si può an- che pensare a molti altri significati, il proprio paese e rappresentare il un corpo che non esiste più, come luogo di origine. Giorgio Agamben, del tram / (un tagliando rosa da 70 per una comunità e come, con la la poesia nella sezione “Viaggio dell’ombra”: “[...] tenevi il biglietto lire) / infilato tra la vera e il dito. / Quando mi portavi per mano / sentivo grattare sul palmo. / A nel testo “Note sul gesto” (1996), riflette sull’importanza del gesto sua perdita, si cerca instancabilmente il suo recupero: Un’epoca che ha perduto i suoi gesti è, per ciò stesso, ossessionata da essi; per uomini, cui ogni naturalezza è stata sottratta, ogni gesto diventa un destino. E quanto più i gesti perdevano la loro disinvoltura sotto l’azione di potenze invisibili, tanto più la vita diventava indecifrabile.8 36 5 Ivi, p. 30. 6 Ivi, p. 68. 7 Ivi, p. 92. 8 AGAMBEN, G. Mezzi senza fine. Torino: Bollati Boringhieri, 1996, p. 48. In questa ricerca del gesto ne dell’altro, attraverso il gesto di come destinazione, si può pensa- piegare il tovagliolo. Si fa riferi- nute, cercano di preservare una tamente sorvegliato dai miei lari re alle tradizioni che, se mante- mento diretto alle case, “Discre- certa cultura, un simbolo rappre- / eseguo una visibile partizione sentativo e senza di esse il signi- degli affetti”12, attraverso l’allusio- ficato si perde. Un esempio è la ne ai lari, divinità venerate dai ro- della loro patria come un gesto di e alla protezione dei loro membri, ritorno a casa. a conferma di questa proposta di poesia già commentata, in cui gli mani e legate alla sfera domestica, stranieri romeni cantano l’inno precisamente, alla loro protezione Questo atto simbolico si trova lettura critica. Di origine Etrusca, anche in un’altra poesia che fa parte “Lari” erano protettori della ter- della sezione “Viaggio dell’ombra”, ra, della campagna, mentre “Lari”, in cui, attraverso i versi, si percepi- per i Romani, era la Divinità che sce come il rituale possa essere un gesto, poiché è spesso accompagnato da un movimento corporeo. Tut- liare, più in particolare, la cucina. È dopo cena, raccogliendo i tova- proteggeva lo spazio privato della famiglia. Vi è, da parte degli ante- glioli in una geometria ancestrale, nati, una protezione per la casa e tavia, è un movimento al di là della che il rito passa attraverso le gene- per coloro che la abitano. Quelli che vengono trasmessi per anni, di to da quell’“io”, porta con sé l’om- sulla serenità della famiglia, sulle semplice azione fisica, che rappresenta un’origine o mostra significati generazione in generazione: razioni. È un’azione che va al di là dell’“io”, che, sebbene sia compiu- bra delle generazioni precedenti. Visto in relazione alla morte, pre- che se ne sono già andati (morti) continuano a vegliare sulla casa e tradizioni, sull’incontro delle diverse generazioni. Da questi gesti simbolici che quando, a sera, dopo cena raccolgo so nella memoria e tenuto in vita, dal tavolo i nostri tre tovaglioli la piega del tovagliolo è come il attraversano una tradizione di cui e li scuoto e piano li piego “rammendo” del tessuto, il tentati- spesso non si conosce l’origine, è e poi li dispongo, in simmetria scalare vo di mantenere vive tali tradizioni evidente un movimento “tra” ge- e in un ordine segreto sempre uguale, e il ricordo familiare di coloro che nerazioni e tempi. È, quindi, un quel che sembra / sospeso com’è che parte dalla vita quotidiana e dentro il cassetto, obbedisco ai principi di una geometria [ancestrale. Discretamente sorvegliato dai miei lari se ne sono andati: “compio un rito modo di pensare alla medialità, tra età e tempi diversi”10. Il gesto dalle scene comuni per riflettere muto di gesti persi / che vale più di eseguo una visibile partizione degli affetti: porta con sé una “tradizione” e un che vale più di che sembra tempi diversi, in quanto non ap- compio un rito muto di gesti persi sospeso com’è tra età e tempi diversi 9 In questa poesia senza titolo, scritto in una sola strofa, con versi liberi e due rime finali: “uguale” / “ancestrale” e “persi” / “diversi”, viene presentato un luogo delimitato: lo spazio del privato, il fami9 simbolismo, sospesi tra epoche e partiene più né all’uno né all’altro, ma a entrambi, come l’ombra che non sa chi è il proprietario, “chi è il padrone dell’ombra?”11 o “chi è il padrone del gesto”, colui che lo riflette o il corpo che lo riproduce? L’io diventa plurivocale, perché va al di lá di se stesso, in direzio- al flusso continuo. È una poesia su questa soglia, sull’origine delle cose che ci circondano, sul tro- varsi nel mezzo di qualcosa che è venuto prima e di ciò che deve ancora venire. È il gesto come me- dialità. Il gesto della tradizione, della scrittura, della memoria, del corporeo. Sono romeni che can- tano l’inno per ricordare la loro terra, zingari che ballano e che ci portano in altri luoghi. TESTA, op. cit., p. 94. 10 Ibid. 11 Ivi, p. 80. 12 Ivi, p. 94. 37 Enrico Testa al Festival Internazionale di Letteratura Chiasso Letteraria Prisca Agustoni Al Festival Internazionale di Letteratura Chiasso Let- per fare in modo che le diverse attività svolte in campo cittadina svizzera di Chiasso, sul confine con l’Italia, relazione tra di loro, valorizzando al meglio il suo poesia italiana contemporanea si sono presentate al ha presentato al folto pubblico attento in sala (oltre teraria, evento tra i più seguiti nella Svizzera italiana e che si tiene ormai da 14 anni ad inizio maggio nella c’è sempre uno spazio speciale riservato alla poesia, curato dal poeta Fabio Pusterla. Molte voci della Festival nel corso degli ultimi anni, sia per realizzare delle letture, sia per degli interventi durante delle e docente universitario) potessero essere messe in spessore intellettuale. Dopo un’introduzione durante la quale Pusterla 200 persone) non solo il percorso artistico e accademico di Testa, ma soprattutto il cronogramma affettivo tavole rotonde dal taglio più intimista, sotto forma di dei loro precedenti incontri, Testa ha preso la parola comitato ha realizzato quando ha dei suoi manoscritti d’esordio. Il dialogo è stato poi interviste o dialoghi aperti con l’invitato. È stata questa la scelta che il e ha ricordato i suoi inizi, legati alla frequentazione del grande maestro, Giorgio Caproni, il primo lettore pensato al poeta Enrico Testa per intercalato da brevi letture commentate di alcune l’edizione del 2019 che si è appena sue poesie tratte dalla sua ultima silloge, Cairn, uscita condotta da Fabio Pusterla, durante caratterizza, dell’assenza come tema centrale struttu- conclusa, un incontro sotto forma presso la bianca di Einaudi nel 2019, durante i quali di intervista dialogata, abilmente Testa ha parlato, con la discrezione e ironia che lo la quale Testa è stato invitato a ripercorrere temi e motivi del proprio lavoro come poeta, sin dagli esordi, ma anche come saggista e docente universitario. In effetti, la scelta di una sua partecipazione come un incontro dialogato è stata pensata 38 culturale da Testa (autore, critico letterario, saggista rante anche del suo linguaggio poetico. Alcuni aspetti da lui rilevati durante la lettura sono riscontrabili anche in sillogi precedenti, a conferma di un percorso coerente di costante ricerca di un linguaggio teso verso l’equilibrio tra l’osservazione di una realtà fatta di eventi quotidiani e un canto interiore, silenzioso ma cadenzato, anteriore forse alle cose, che universalizza di conseguenza il suo discorso. Lo sguardo del poeta è rivolto verso fuori di sé, spesso sprovvisto di una centralità lirica che vuole piuttosto dialogare con le cose e gli indizi del presente. Ampio spazio è stato preso anche dalla veste di Enrico Testa come critico e saggista, in particolare quando Pusterla si è riferito all’antologia curata da Testa, Dopo la lirica 1960-2000 (Torino, Einaudi, 2005), nella quale il docente genovese ha riunito le voci di oltre quarante poeti italiani del secondo Novecento mostrando un ventaglio eterogeneo della produzione poetica italiana contemporanea, ma che – come com- mentava lo stesso Testa durante la presentazione – l’acuto senso critico di Testa, lo rendono indubbiamente non si voleva né definitiva né impositiva, nonostante una voce unica nel panorama della poesia italiana Seduta nella decima fila delle sedie nere dello alla scena poetica italiana, iniziata durante gli anni spesso le antologie siano recepite come tali e come tali siano soggetto a critiche. spazio officina, locale sede del Festival, immersa nel contemporanea, lontano da logoranti chiacchierii e diatribe stilistiche. La sua importante contribuzione ottanta, pare essersi stabilita meno in base alla cen- silenzio della platea attenta, attorniata da un’archi- tralità della sua persona (aspetto, questo, fortemente con l’ambiente che sottolinea ancor di più il suo grande macerazione delle problematiche simboliche e antro- tettura volutamente impersionale e fredda, tutta in cemento, le parole di Enrico Testa suonano in contrasto respiro umanista. Dotato di un ampio sguardo sulla tradizione lirica italiana e sui cambiamenti vissuti dalla cultura italiana nel corso dei secoli, la discrezione e rifiutato anche dalle scelte stilistiche dei suoi versi), quanto piuttosto sulle basi di una riflessione e di una pologiche care all’umanità. Le parole dette e i versi letti in quella domenica pomeriggio d’inizio maggio ne hanno reso palese il valore. 39 Enrico Testa in Brasile I l viaggio è senz’altro un tema di grande rilievo nella poetica di Enrico Testa, come si evince anche dalle sue poesie. Negli ultimi sei anni, Testa è venuto più volte in Brasile, in particolare tra Florianópolis e São Paulo, rispettivamente nella Universidade Federal de Santa Catarina e nella Universidade de São Paulo, in qualità di Visiting Professor (CNPq, CAPES) e conferenziere. Viaggi, questi, che restano in un modo o nell’altro registrati nella sua scrittura poetica, nella traduzione e circolazione dei suoi libri di poesia e saggi (si pensi, ad esempio, al più recente Eroi e figuranti) e nella pubblicazione delle sue lezioni brasiliane. Casa das Rosas, presentazione a São Paulo di Páscoa de neve, 2016 40 Seminario agosto/settembre 2019 Seminario agosto/settembre 2019 Plaquette bilingue che riposta anche dei testi inediti, 2019. Copertina della traduzione brasiliana 2019, di Eroi e Figuranti Volume pubblicato nel 2016, che raccoglie le lezioni del Seminario svolto nel 2014 Copertina della traduzione brasiliana 2014 di Ablativo Copertina della traduzione brasiliana 2016, di Pasqua di neve 41 Francesco Alberoni 42 Sottomissione e segreto Le persone che durante l’infanzia e l’adolescenza sono state molto controllate e rimproverate, a cui sono state imposte regole sgradite, essendo impotenti hanno dovuto chinare la testa nascondendo la loro vera natura. Hanno frenato i loro impulsi, si sono mostrate agli altri sottomesse ma, nello stesso tempo, la loro collera, la loro ribellione interiore cresceva. Hanno nascosto i loro veri sentimenti i loro veri pensieri. Hanno frenato la loro spontaneità, la loro creatività. Infatti, proprio quando erano autenticamente se stessi, si sentivano più giudicati, criticati, condannati. È rimasta loro nel profondo la paura di chi ha potere, di chi comanda, ma anche un risentimento celato e sempre pronto ad esplodere. In termini psicoanalitici possiamo dire che la prolungata oppressione sociale ha prodotto in loro un Super Io sociale che condanna ogni loro gesto nuovo e originale. Essi perciò si frenano ogni volta che si sentono pieni di vita, di slancio. Ma dopo essersi frenati ed aver messo in scena un comportamento dimesso si rimproverano per non aver saputo continuare ad agire spontaneamente e, nello stesso tempo, si rimproverano di aver fatto trasparire qualcosa della loro natura ribelle. Le persone colpevolizzate hanno verso la società l’atteggiamento che ha la vittima verso il carnefice. Vorrebbero che smettesse, lo odiano ma non sono aggressive con lui, cercano di ingraziarselo: qualunque cosa facciano è sempre sbagliato. Queste persone oppresse dal super io sociale temono sempre di essere rimproverate. Quindi finiscono per sentire qualsiasi osservazione critica qualsiasi suggerimento, qualsiasi invito come una imposizione, una obbligazione, un rimprovero. E hanno timore, se qualcosa va male, di essere accusate. Allora si difendono come la domestica che, abituata ad essere rimproverata, se rompe qualcosa dice subito “Non sono stata io!” e, se c’è un’altra persona presente, tende a dare la colpa a lei. Un’ultima conseguenza della loro condizione è che per fare qualcosa di nuovo, al di fuori del controllo sociale, lo fanno in segreto, di nascosto, non parlandone a nessuno. Quindi non condividono con gli altri gli aspetti più creativi, importanti e nuovi della loro vita, non raccontano loro le esperienze più interessanti, le emozioni più vere e profonde. La paura del rimprovero sociale così le spinge a condurre, accanto a quella manifesta, una vita segreta. Solo il segreto le rassicura, ma questo segreto dà agli altri l’impressione che ci sia in loro sempre qualcosa di misterioso, qualcosa di celato di cui non si deve parlare. Alcune di queste persone finiscono per condurre nel corso degli anni e dei decenni una doppia vita. Anche una doppia vita amorosa, anche con uomini o donne diversi. Ogni volta hanno una vita ufficiale manifesta, spesso vuota, e una vita intensa e vitale ma nascosta, segreta. Come può salvarsi e cambiare una persona così? Solo lasciando il suo ambiente, il luogo dove è cresciuta e dove vivono le persone che l’hanno criticata, oppressa e da cui ha dovuto difendersi con il segreto perché a costoro continuerebbe a mentire. Deve entrare in un ambiente completamente nuovo, avendo cura questa volta di appoggiarsi solo a persone forti e generose che non hanno bisogno di vantarsi o di opprimere qualcuno per sentirsi potenti. Un ambiente nuovo dove non subisce oppressioni, non è costretta a nascondersi, a dimostrarsi dimessa, silenziosa, innocua. Un ambiente dove può parlare apertamente dicendo quello che pensa e che sente. Un ambiente dove non c’è spazio per il segreto, ma dove deve usare con intelligenza la riservatezza. Un ambiente dove nessuno le rimprovera niente anzi l’apprezza per quello che fa e dice apertamente. Un ambiente in cui sente di poter fare qualcosa di utile e poter esprimere le sue capacità e le sue idealità. Allora, poco a poco emergerà la sua personalità più profonda, quella che era sempre stata costretta a tacere, a nascondere, a fingere, ed emergerà la sua personalità esuberante e creativa. Una personalità molto forte e con un grande fascino che gli altri cercavano di schiacciare perché temevano di esserne travolti e dominati. PASSA TEMPO DIVERTIMENTO L’Italia ha, anche, la più antica banca del mondo ancora in attività: la Banca Monte dei Paschi di Siena, operativa dal 1472. SUDOKU CURIOSITÀ SOLUZIONI SUDOKU 43