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L'amica Iacopa dei Settesoli.

L’amica Iacopa dei Settesoli Se dovesse mai capitarvi di passare per Roma, e attraversare a piedi o in automobile il quartiere storico di Trastevere, che sorge proprio nel cuore della capitale, potreste imbattervi in Via Jacopa dei Settesoli, che dista giusto qualche centinaia di metri dalla celebre chiesetta romana consacrata a San Francesco d’Assisi. Non è un caso ma, spesso la geografia di certi luoghi corrisponde alla geografia della memoria, cioè al ricordo di uomini o donne che hanno lasciato un segno nella storia del proprio paese o perfino dell’umanità. Jacopa e Francesco sono anime viventi, e i loro nomi, impressi sulla targa o sul cornicione d’ingresso di una chiesa, vogliono ricordarci le opere di bene che in ogni luogo e tempo ne hanno immortalato la memoria. Per chi non conoscesse ancora la storia di Jacopa, il suo nome rimanda a colei che fu di conforto nel momento in cui il poverello stava per lasciare questa vita; fu proprio Francesco a volere accanto a sé frate Iacopa: una donna forte, ma d’indole materna e generosa ch’egli stesso diceva di amare. Come testimonia Tommaso da Celano nel suo Trattato dei Miracoli: «Giacoma dei Settesoli, ugualmente famosa per nobiltà e per santità nella città di Roma, aveva meritato il privilegio di uno speciale amore da parte del santo». Coniugata con Graziano Frangipane del ramo dei Settesoli o sette sogli (il cui cognome era legato all’abitudine di distribuire il pane ai poveri), dal quale ebbe due figli, Jacopa conobbe Francesco all’epoca in cui i frati d’Assisi giunsero nell’urbe per ottenere l’approvazione della propria Regola da parte del Pontefice. Tra i due nacque subito una profonda amicizia, un legame che andò consolidandosi nel tempo grazie all’impegno della donna che trasformò l’ospedale di San Biagio, donatole per gentile concessione dai Benedettini, nella prima casa d’accoglienza per i frati – divenuta in seguito, poco dopo la canonizzazione del santo, un convento (situato tuttora nel rione Trastevere). Nonostante i beni preziosi di cui era in possesso, Jacopa non osò mai crogiolarsi sui propri averi, anzi, decise subito di seguire il modo di vivere di Francesco, conducendo appunto un’esistenza sobria e mettendo a disposizione della gente povera ciò che possedeva. La sua forza d’animo, la partecipazione attiva alla vita del suo tempo la resero agli occhi del frate più vicina alle qualità di un uomo che non a quelle di una donna, eppure la sua mano, così tenera e docile, carezzò Francesco fino all’ultimo respiro. In quegli istanti dolorosi c’è un qualcosa di sensibilmente delicato e dolce che ne allieta il clima, cioè i dolcetti che Jacopa aveva preparato con le sue mani per l’amico. I mortariolum, quei dolci biscotti che durante gli incontri e le chiacchierate a Roma avevano deliziato il palato di Francesco. Sembrerà strano, ma proprio i mortaletti che Jacopa era solita preparare all’amico divennero quasi un gesto rituale, un segno forte e tangibile dell’affetto che legava l’uno all’altro. Esistono in fondo piccoli gesti quotidiani che possono assumere significati profondi e incondizionati. Per esempio cucinare, un gesto semplice che manifesta pur tuttavia affetto e generosità verso qualcuno cui si vuole bene. Alla morte di Francesco, un rito sano e genuino qual è quello del cucinare rafforza l’amicizia tra i due “frati”. Una vera amicizia, oltre la vita.