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  ADiM BLOG Febbraio 2020 EDITORIALE Il sistema ibrido della riammissione: Genealogia di un allineamento tra sovranazionalismo e bilateralismo Jean-Pierre Cassarino IMéRA, Università di Aix-Marsiglia, Francia Collegio d’Europa, Varsavia, Polonia Il 31 gennaio 2020, il Ministro dell’interno della Repubblica italiana ed il Ministro della sicurezza e della protezione civile della Repubblica della Costa d’Avorio hanno siglato una dichiarazione di intenti volta a favorire una più stretta collaborazione in materia di controllo dei flussi migratori e di rimpatrio. Il testo prevede, tra l’altro, il bisogno di “realizzare le relative procedure di rimpatrio dei cittadini ivoriani in posizione irregolare, facendo ricorso, per la loro identificazione, ai servizi competenti dell’Ambasciata della Costa d’Avorio in Italia”. 1 Il testo e lo spirito della dichiarazione si iscrivono nella scia di una lunga serie di accordi che l’Italia, a livello intergovernativo ma anche transgovernativo (ovverosia con accordi siglati tra i dicasteri o le segreterie ministeriali dei Paesi firmatari), ha concluso con un crescente numero di Paesi non europei, specie africani. L’identificazione dei migranti irregolari costituisce un elemento centrale a monte di tali accordi flessibili, i quali, per definizione, non richiedono né l’approvazione dei parlamenti dei paesi firmatari né una ratifica alla loro attuazione. Inoltre, considerata la poca visibilità che li caratterizza, la loro esistenza e le loro conseguenze concrete possono essere facilmente smentiti a livello politico. Infine, siccome la cooperazione bilaterale in materia di rimpatrio coinvolge molte incognite relativamente alla sua concreta e regolare attuazione, la potenziale defezione (esplicita o implicita) da un accordo flessibile da parte di un Paese non europeo si rivela meno gravosa da un punto di visto politico per uno Stato europeo. Nel corso degli ultimi decenni, l’Italia, alla stregua della Francia, della Spagna, del Regno Unito e della Germania, ha siglato numerosi memorandum d’intesa, intese amministrative,                                                                                                                         Ministero dell’Interno, Dichiarazione di intenti del Ministro dell’Interno della Repubblica Italiana e del Ministro della Sicurezza e della Protezione Civile della Repubblica della Costa d’Avorio per il rafforzamento della cooperazione in materia di migrazione e di sicurezza, 31 gennaio 2020, Roma, p. 2. 1     Accademia Diritto e Migrazioni (ADiM) – redazione@adimblog.com     ADiM Blog Febbraio 2020 note verbali, scambi di lettere, accordi di polizia (che includono una clausola in materia di rimpatrio), con vari Paesi. Questa prassi, diffusa nei Paesi membri dell’Unione europea (UE), è stata ampiamente analizzata a livello accademico. Si può anche affermare che la recente dichiarazione di intenti tra Costa d’Avorio e Italia non presenta nulla di nuovo, iscrivendosi in una prassi oramai consolidata da decenni. Ciò che può invece apparire inedito, è il percepibile processo di “flessibilizzazione”, a livello europeo o sovranazionale, verso il quale la Commissione europea si è decisamente orientata per cooperare con Paesi non europei in materia di rimpatri o riammissione. Tanto che, se dovessimo parlare oggi della politica europea in materia di riammissione, le parole “arrangiamenti”, “strumenti pratici”, “non vincolante” e “flessibilità” sarebbero ricorrenti. Dall’entrata in vigore del trattato di Amsterdam (TA) del 1999 (che conferiva alla Commissione europea il potere di negoziare e concludere accordi di riammissione dell'UE con Paesi terzi), questo orientamento si è inesorabilmente consolidato. Questo editoriale è volto ad analizzare le fasi all’origine di questo processo di “flessibilizzazione”, nonché a comprendere le sue caratteristiche e le sue varie implicazioni. 1999-2004: Le origini Quando, in seguito all'entrata in vigore del TA, acquisì una competenza condivisa con gli Stati membri dell’UE in materia di riammissione, la Commissione decise di rafforzare la propria leadership in questo campo adottando un approccio strettamente tecnico-legale, riferendosi spesso agli obblighi degli Stati, "ai sensi del diritto internazionale consuetudinario", di riaccettare sul proprio territorio i loro cittadini in situazione irregolare. Tre aspetti essenziali giustificavano un approccio armonizzato a livello europeo. Il primo si riferiva alla opportunità di parlare con una sola voce, a livello dell'UE, onde rafforzare il potere di contrattazione dei singoli Stati membri nei loro negoziati con i Paesi terzi. Il secondo verteva sulla la necessità di adottare procedure comuni volte ad allontanare i migranti irregolari, in linea con i Trattati dell'UE e in conformità con il diritto internazionale. Il terzo riguardava il rispetto delle norme sui diritti umani e degli obblighi internazionali in materia di riammissione, in particolare quelli contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e nella Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Logicamente, il rafforzamento della leadership europea in materia di riammissione dipendeva dall’esistenza di strumenti volti a raccogliere e ad analizzare dati e informazioni sistematici, nonché dalla necessità di disporre di un quadro statistico uniforme al fine di monitorare l'impatto e l'attuazione della legislazione e delle politiche europee. Tuttavia, ben presto, i tentativi di raccogliere dati sistematici sugli accordi bilaterali già esistenti degli Stati membri in materia di riammissione e sui loro effetti concreti, si sono rivelati infruttuosi. Non solo per l'esistenza di significative discrepanze statistiche (non tutti gli Stati membri contano i rimpatri nello stesso modo), ma anche perché i dati sono rimasti incompleti o reinterpretati localmente o semplicemente non comunicati dagli Stati membri. Infine, nel 1999 la Commissione europea si rese conto che doveva, per così dire, saltare sul treno in marcia della cooperazione in materia di riammissione per rispondere al mandato conferitole dal Consiglio e per agire conformemente al principio della sussidiarietà sancito nell’art. 5 del Trattato sull’Unione europea. 2 ADiM Blog Febbraio 2020 Nel 2002, quando il Segretariato generale del Consiglio (SGC) elencò i criteri chiave da prendere in considerazione al fine di identificare i Paesi terzi con cui negoziare accordi di riammissione sovranazionali o europei, precisò che tali accordi "dovrebbero comportare un valore aggiunto per gli Stati membri nei negoziati bilaterali". La questione del valore aggiunto non è stata solo un criterio chiave nei negoziati, come raccomandato dall'SGC, ma è stata anche una preoccupazione crescente per la Commissione europea. Nei rapporti internazionali, i negoziati con alcuni Paesi terzi, in particolare con quelli situati nel sud del Mediterraneo, sono stati differiti o addirittura sospesi. In Europa, la Commissione europea fu esposta a crescenti critiche da parte degli stessi Stati membri che l'avevano incaricata di negoziare Accordi di riammissione europei (ARUE). Dal 1999 in poi, le critiche hanno accompagnato anche la creazione e lo sviluppo del Sistema europeo comune di asilo, compresa la necessità di adottare norme e procedure comuni volte a proteggere i diritti fondamentali dei richiedenti asilo e delle persone in cerca di protezione internazionale. Quelle critiche erano sintomatiche delle tensioni tuttora irrisolte tra bilateralismo e sovranazionalismo. 2005-2009: La svolta Gli Stati membri hanno espresso più volte le loro preoccupazioni riguardo alla capacità delle istituzioni europee di affrontare le migrazioni irregolari, compresa la questione della riammissione. Il periodo 2005-2009 fu segnato dalla proliferazione di gruppi di Stati membri volti ad aprire e sostenere consultazioni informali tra di loro sui controlli delle frontiere, l’asilo, la tratta degli esseri umani, e la "lotta contro l'immigrazione clandestina". Tuttavia, queste iniziative intergovernative sono andate ben oltre la semplice promozione di consultazioni intraeuropee, acquisendo un certo grado di autorevolezza e visibilità nei media. In effetti, alcune di esse avevano esplicitamente lo scopo di influenzare il processo decisionale dell'UE in un momento in cui la gestione dell'allargamento dell'UE post-2004 verso l'est e il rigetto del Trattato costituzionale europeo alimentavano discorsi populisti e protezionistici in Europa. Queste sfide di politica intraeuropea illustrano bene le condizioni difficili in cui operava la Commissione qualche anno dopo l’entrata in vigore del TA. Nel tentativo di rispondere a tali sfide interne e di salvaguardare la sua credibilità nel gestire i flussi migratori e l’asilo, la Commissione redasse l’Approccio Globale in materia di Migrazione (GAM) e definì nuovi meccanismi ispirati dall’esperienza bilaterale degli Stati membri in materia di riammissione. Con il passar del tempo, possiamo affermare che questa iniziativa risalente al 2005-2006 fece da spartiacque nell'approccio dell'UE rispetto ai negoziati sulla riammissione, poiché rivelò la crescente consapevolezza da parte della Commissione che il suo ruolo sovranazionale nella politica di riammissione europea poteva essere messo a repentaglio dagli stessi Stati membri sempre propensi a optare per il bilateralismo. I partenariati per la mobilità fanno parte integrante del GAM. Non sono "progettati per creare diritti o obblighi legali ai sensi del diritto internazionale"; trattano diversi argomenti che vanno dall'aiuto allo sviluppo alla facilitazione del visto d'ingresso temporaneo, ai sistemi di migrazione circolare (o temporanea) e alla lotta contro l'immigrazione clandestina, 3 ADiM Blog Febbraio 2020 di cui la cooperazione in materia di riammissione; sono inoltre selettivi in quanto indirizzati a Paesi terzi che rispondono a determinate condizioni, quale la cooperazione nella lotta contro la migrazione irregolare e, soprattutto, l'esistenza di "meccanismi efficaci di riammissione". Il tentativo dell'UE di condizionare l’applicazione dei partenariati per la mobilità con la cooperazione in materia di riammissione indica come questo problema sia diventato una componente centrale della sua politica di gestione della migrazione. 2010-presente: Allineamento Quando il Trattato di Lisbona entrò in vigore nel dicembre 2009, il sistema della riammissione era già in piena espansione su tutti i continenti e comprendeva paesi molto diversi, ricchi o poveri, firmatari della Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 o meno, in guerra o in pace, democratici o autoritari. Si tratta di un sistema fortemente inclusivo: da un lato, nel 2010, gli Stati membri dell'UE avevano concluso più di 240 accordi bilaterali legati alla riammissione (formali o informali) con Paesi terzi; dall'altro, circa 30 protocolli bilaterali di applicazione erano stati firmati dagli Stati membri a seguito dell'entrata in vigore di 11 accordi di riammissione dell'UE (ARUE). Numero di accordi bilaterali legati alla riammissione conclusi dagli Stati membri dell'UE con i Paesi terzi, dicembre 2019 (N=337) 4 ADiM Blog Febbraio 2020 In altre parole, siamo di fronte a un sistema della riammissione ibrido: il primo bilaterale e dominante, fortemente ancorato nella storia delle relazioni internazionali di ogni Stato membro; il secondo sovranazionale creato di recente e in cerca di appoggio da parte degli Stati membri, a tal punto che nel 2011 la Commissione chiedeva agli Stati membri di “sostenere con maggiore convinzione la Commissione nei negoziati per gli accordi di riammissione europei [ARUE] e [di] non dimenticare che la conclusione di un ARUE presenta un interesse generale per l'intera UE”. In un contesto caratterizzato da tensioni tra bilateralismo e sovranazionalismo, la Commissione europea ha deciso di rispondere alla sfida del valore aggiunto, evocato prima, basandosi sulle esperienze bilaterali di alcuni Stati membri dell'UE. Oltre ai negoziati di ARUE, questa svolta implicava necessariamente l'adesione graduale a un nuovo quadro di cooperazione. Tale nuovo quadro di partenariato per la migrazione, presentato in 2016, e i suoi "patti su misura", hanno tradotto l'iniziativa in una serie di accordi informali non giuridicamente vincolanti. Questo nuovo quadro si basa sulla dichiarazione politica del vertice di La Valletta del novembre 2015, che, nel suo piano d'azione, aveva identificato cinque settori prioritari nella gestione della migrazione con i paesi africani, tra cui la necessità di "intese reciprocamente concordate su rimpatrio e riammissione". Da allora, nuove tipologie di accordi a livello UE sono state introdotte e negoziate parallelamente agli ARUE. Ad esempio, le procedure operative standard (POS) per l'identificazione e il rimpatrio delle persone senza autorizzazione di soggiorno mirano a migliorare la cooperazione tra i consolati nazionali al fine di accelerare le procedure di identificazione e riammissione dei migranti irregolari. Le dichiarazioni congiunte sulla migrazione (DCM) riguardano, tra l'altro, la riammissione e una cooperazione rafforzata sul "rilascio tempestivo dei documenti di viaggio". Le agende comuni su migrazione e mobilità (ACMM) sono descritte come intese flessibili e non esaustive basate sul principio della partecipazione volontaria degli Stati membri dell'UE. I Joint Way Forward (JWF) non sono giuridicamente vincolanti nel senso che, formalmente, non creano diritti o obblighi giuridici nei confronti dei firmatari. Le dichiarazioni congiunte (DC), che corrispondono a un atto di soft law eseguito dal Consiglio europeo (e non dal Consiglio dell’Unione), fanno anch’esse parte di questa nuova tipologia. Infine, e analogamente ai POS, le Buone Pratiche (BP) per l'efficiente funzionamento delle procedure di rimpatrio definiscono azioni congiunte in materia di identificazione, rilascio dei lasciapassare consolari e di trasferimento (vale a dire espulsione) dei migranti irregolari. 5 ADiM Blog Febbraio 2020 La crescente diversità degli accordi europei in materia di riammissione Accordi standard di riammissione dell’Unione europea (ARUE) Accordi flessibili (non standard) legati alla riammissione Ad oggi (gennaio 2020), 17 ARUE sono entrati in vigore con: 9 partenariati per la mobilità: Armenia (2011); Azerbaijan (2013); Bielorussia (2016); Capo Verde (2008); Georgia (2009); Giordania (2014); Moldavia (2008); Marocco (2013); Tunisia (2014). Albania (2006), Armenia (2014), Azerbaijan (2014), Bosnia Erzegovina (2008), Capo Verde (2014), Georgia (2011), Hong Kong (2004), Macao (2004), Moldavia (2008), Montenegro (2008), Macedonia del Nord (2008), Pakistan (2010), Russia (2007), Serbia (2008), Sri Lanka (2005), Turchia (2014), Ucraina (2008). 3 agende comuni su migrazione e mobilità: Etiopia (2015); India (2016); Nigeria (2015). (La Bielorussia ha firmato un ARUE l’8 gennaio 2020, non ancora entrato in vigore). 1 Joint Way Forward: Afghanistan (2016). 1 dichiarazione congiunta: Turchia (2016). 2 accordi sulle procedure operative standard (POS) per l'identificazione e il rimpatrio delle persone senza autorizzazione di soggiorno: Mali (2016); Bangladesh (2017). 1 accordo sulle procedure di ammissione per il rimpatrio degli stranieri dai Paesi membri dell’UE: Etiopia (2018). 1 accordo sulle buone pratiche per l'efficiente funzionamento delle procedure di rimpatrio: Guinea (2017). 3 dichiarazioni congiunte sulla migrazione: Costa d’Avorio (2016); Niger (2016); Ghana (2016). Anche se queste nuove tipologie di intese non possono essere formalmente considerate "accordi di riammissione", le loro intenzioni, gli obiettivi e le ragioni di essere si inscrivono 6 ADiM Blog Febbraio 2020 pienamente nell’ambito di accordi basati su impegni legati al rimpatrio tra l'UE e gli Stati membri, da un lato, e un Paese terzo, dall'altro. Indipendentemente dal fatto che tali tipologie di accordi assumano la forma di una "dichiarazione congiunta" o di "procedure operative" o ancora di un’"agenda comune" o di un "Joint Way Forward", tutte mirano a gestire le questioni di rimpatrio (o a esso legate), nel breve e nel lungo termine. Implicazioni: La zona grigia Oggi come oggi, gli accordi bilaterali degli Stati membri in materia di riammissione e i "patti" derivanti dal nuovo quadro di partenariato per la migrazione condividono tre denominatori comuni. Prima di tutto, entrambi reificano la capacità delle autorità governative nazionali e sovranazionali di controllare le migrazioni legali e irregolari, proponendo provvedimenti volti a rispondere a situazioni di "emergenza", indipendentemente dal fatto che la risposta sia adeguata o meno. In secondo luogo, la loro logica sta nel rendere più flessibile la cooperazione in materia di riammissione, evitando nel contempo lunghe procedure di ratifica e, di conseguenza, il controllo parlamentare, sia a livello nazionale che europeo. Tecnicamente, non rientrano nel campo di applicazione dell'art. 218 TFUE, che regola l'adozione di accordi internazionali conformemente alla procedura legislativa ordinaria (o di codecisione). Tuttavia, appare necessario che gli impegni e le intenzioni esplicitamente menzionati in tali accordi siano sottoposti a un esame più attento dei loro effetti sui diritti fondamentali dei migranti e dei richiedenti asilo. Infine, essendo atipici, questi nuovi accordi sono facilmente “negabili” dai Paesi firmatari, oltre al fatto che prosperano al disopra di ogni esigenza di valutazione riguardo alla loro conformità con i Trattati europei e le obbligazioni internazionali, specie quando la loro attuazione può essere delegata ad attori non statali, come nel caso della cooperazione triangolare fra UE, Italia e Libia. Reificazione, flessibilità e “negabilità” sono concetti utili per cogliere le ragioni per cui la Commissione europea ha dovuto allineare il suo modus operandi sulla consolidata prassi bilaterale di alcuni Stati membri. Forse, mai prima d'ora il bilateralismo è stato così intrecciato con il sovranazionalismo. Tali sviluppi politici hanno portato all’espansione di una zona grigia dove la trasparenza, il rispetto delle obbligazioni internazionali e le responsabilità degli attori coinvolti sfumano dietro lo schermo dell’operabilità ad ogni costo. È proprio questa zona grigia che impedisce ogni tentativo di valutare le responsabilità e i ruoli ricoperti dai diversi attori, siano essi pubblici o privati, statali o non. Appartengono tutti a una catena di comando sempre più opaca, specie quando si tratta di identificare le responsabilità in materia di rispetto delle norme e procedure relative al non-refoulement, ai rischi di maltrattamenti e di violazione dell’integrità personale, ai processi di identificazione dei migranti irregolari, alla protezione dei dati personali, alle regole di scambio di informazioni tra gli Stati membri e un Paese terzo. In conclusione, il proliferare di accordi atipici rispecchia un chiaro cambio di rotta da parte dell'UE rispetto alla politica comune di riammissione. Tale deviazione può tuttavia accrescere le incoerenze e compromettere la credibilità dell'UE nella sua missione di garante 7 ADiM Blog Febbraio 2020 delle procedure di riammissione in linea con i valori e principi sanciti dai Trattati. Tanto più quando ci si rende conto che il processo di “flessibilizzazione” trasforma l'UE in un semplice facilitatore (non più in un leader) pronto a favorire modelli cooperativi bilaterali altamente variegati e difficili da monitorare. Per citare questo contributo: J.-P. CASSARINO, Il sistema ibrido della riammissione: Genealogia di un allineamento tra sovranazionalismo e bilateralismo, ADiM Blog, Editoriale, febbraio 2020. 8