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International Journal of Linguistics, Philology and Literature
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MARÍA DOLORES GARCÍA SÁNCHEZ, ANTONIETTA MARRA, GIULIA MURGIA, MAURO PALA, NICOLETTA
PUDDU, PATRIZIA SERRA, VERONKA SZŐKE, DANIELA VIRDIS, FABIO VASARRI
Assistant Editor
ELEONORA FOIS
Double blind, peer reviewed.
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International Journal
of Linguistics, Philology and Literature
Literature
9.2
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Università degli Studi di Cagliari
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Literature 9.2
ISSN: 2037-4569
© Copyright 2018
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Sede amministrativa: via Is Mirrionis, 1 – 09123, Cagliari
LITERATURE 9.2
CONTENTS
5
Le due virtù della spada: Justitia e Fortitudo
CARLO DONÀ
37
Sciascia and Calvino, ... and Giufà
JOSEPH FRANCESE
69
La metafisica dello sprofondo nella narrativa di Giulio Angioni
IRENE PALLADINI
85
The Sister’s Gaze in Ian McEwan’s Atonement
CLAUDIA CAO
96
The Different Lives of Michael Frayn’s Noises Off: An Italian Case Study
ELEONORA FOIS
113
Ipotesi stemmatiche nella tradizione della Voie d’Enfer et de Paradis di Pierre
de l’Hôpital
ANDREA MACCIÒ
5
Le due virtù della spada: Justitia e Fortitudo
Carlo Donà
(Università di Messina)
Abstract
Following the path of Prudentius’ Psychomachia, in the Middle Ages the sword can characterize the
representation of many Virtues, as generically proper to the Christian fighting the battle for his personal
salvation. In contemporary culture this weapon is a specific attribute of Justitia, but, between the 9th and
the15th centuries, it was primarily characteristic of another virtue, Fortitudo. The paper follows the
evolution of both these representative traditions. First of all, it focuses on the very remote origins of the
image of Justitia with sword, and on what led to the rebirth of this iconic formula after the year 1000.
Secondly, and above all, it reconstructs the forgotten history and the complex development of Fortitudo’s
representation as a warrior armed with shield and sword, unsheathed and upright.
Key words – Virtues (representation); Sword; Justitia; Fortitudo
Seguendo la via aperta dalla Psycomachia di Prudenzio, nel Medioevo la spada può caratterizzare la
rappresentazione di molte Virtù, in quanto genericamente propria del cristiano che combatte la battaglia per
ottenere la sua salvezza. Nella cultura moderna quest’arma è un attributo specifico di Justitia, ma, tra il IX e
il XV secolo, era principalmente caratteristica di un’altra virtù, Fortitudo. Il contributo segue l’evoluzione di
entrambe queste tradizioni rappresentative. Prima di tutto, si concentra sulle origini molto remote
dell’immagine di Justitia con la spada, e sul processo che portò alla rinascita di questa formula iconica dopo
l’anno 1000. In secondo luogo, e soprattutto, ricostruisce la storia, del tutto dimenticata, e il complesso
sviluppo della rappresentazione di Fortitudo come guerriero armato di scudo e spada sguainata e ritta.
Parole chiave – Virtù (rappresentazione); Spada; Justitia; Fortitudo
1. Le virtù armate
Grazie alla consegna della spada, compiuta da colui che lo addobba cavaliere, nel
Medioevo il giovane passa dalla classe degli adolescenti a quella degli adulti,
trasformandosi da valletto o bacheler in uomo di guerra; ottenendola stringe il primo
legame di fedeltà con il suo padrino d’armi, e con la sua spada in pugno diventa ciò che è
destinato ad essere, perché l’arma costituisce propriamente lo strumento della sua grandezza
e il simbolo di tutte le sue virtù, come insegna re Alfonso X di Castiglia († 1284).
Ley 4 -I buoni costumi che gli uomini tengono naturalmente in sé sono detti Bontà; in latino si
chiamano Virtù, e tra esse ve ne sono quattro di maggiori: Prudenza (cordura), Fortezza
(fortaleza), Temperanza (mesura) e Giustizia (justicia). […]. A nessuno esse convengono più
che a coloro che devono difendere <dai nemici> la Chiesa, i Re e tutti gli altri: la prudenza farà
in modo che lo sappiano fare a loro vantaggio e senza loro danno; la fortezza che siano fermi in
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ciò che faranno e non siano incostanti; la temperanza che facciano le cose come si deve e non
passino il segno, e la giustizia che le facciano secondo diritto. […] Prudenza […] mostra l’elsa
della spada che l’uomo stringe in pugno […]. Colui che si difende, tenendo le armi innanzi a sé,
dimostra con esse fortezza, che è la virtù che fa sì che l’uomo stia fermo di fronte ai pericoli che
gli si parano innanzi; allo stesso modo nel pomo sta tutta la forza della spada, poiché in essa si
innestano l’elsa, la guardia e il ferro. E come l’armatura che protegge e l’arma che colpisce sono
analoghe alla virtù della temperanza tra le cose […], così è la guardia, posta a metà tra l’elsa e la
lama. E proprio così come le armi che l’uomo stringe in mano per colpire nel punto più adatto
sono un simbolo di giustizia, che ha in sé diritto e uguaglianza, allo stesso modo ciò mostra il
ferro della spada, che è dritto e acuto, e taglia egualmente da entrambe le parti. […] Ley 14 - La
spada è l’arma che mostra queste quattro significazioni che abbiamo detto. E poiché colui che
deve essere cavaliere deve possedere in sé queste quattro virtù, gli antichi stabilirono che con
essa <spada> ricevesse l’ordine di cavalleria, e non con un’altra arma1.
La spada è dunque ciò che forma l’identità sociale del cavaliere e misura la sua
grandezza: «Librentur stricto meritorum pondera ferro»2, ‘La spada nel pugno misuri il
peso dei meriti’. Privarsi di quest’arma significava spogliarsi non solo del ruolo sociale,
ma della propria stessa umanità: qualcosa di inconcepibile e di assurdo, tanto che
quando Carlo il Grosso (839-888), figlio di Ludovico il Germanico e re di Alemannia e
d’Italia, tentò di farlo nell’873, venne senz’altro preso per ossesso, e fu subito
sottoposto a esorcismo3. Solo il santo può e deve privarsi di questo simbolo del sé, come
San Galgano, che trasforma la spada in una croce piantandola per terra ed adorandola, o
come Sant’Alessio, che, nella miniatura che precede la sua canzone nello straordinario
Salterio di St. Alban (Dombibliothek Hildesheim, HS St. Godehard 1, fol. 28 r°, ca.
1125), inizia la sua nuova vita in Dio appunto consegnando alla moglie, esterrefatta e
dolente, la spada e l’anello. Quello che il santo compie è un premeditato suicidio
sociale, il segno irrevocabile e drammatico della sua morte al mondo, perché guerriero e
spada costituiscono un’endiadi inscindibile, e vivono in una simbiosi perpetua e
irrevocabile: tanto che un famoso spadaccino e poeta norreno del X secolo, Bersi il
Duellatore, poteva affermare, di certo con perfetta sincerità, che il giorno in cui non
avesse più potuto tenere in mano la sua cara spada Laufi la morte poteva prenderlo 4.
Possiamo capire come nel Medioevo cristiano la spada sia divenuta il fulcro dell’identità
nobiliare e del suo sistema di valori a partire da un passo, di capitale importanza, in cui San
Paolo descriveva il cristiano forte nella fede come un guerriero rivestito delle armi di Dio.
1
Alfonso X rey de Castilla, Las siete partidas. El libro del fuero de las leyes, a cura di José SANCHEZARCILLA BERNAL, Madrid, Reus, 2004, Partida Segunda, titulo XXI, De los caballeros, pp. 288-89 (ley
4), 292-293 (ley 14).
2 Sassone Grammatico, Gesta dei re e degli eroi danesi, a cura di Ludovica KOCH e Maria Adele
CIPOLLA, Torino, Einaudi, 1993, II, vii, 16, p. 111.
3 Annales Bertiniani, a cura di Georg WAITZ, MGH Script. rer. germ. 5, Hannover, Hahn, 1883, ad An.
873, pp. 122-123: Ludovico il Germanico celebra il Natale nel palazzo di Francoforte coi suoi figli
Ludovico e Carlo, che diviene preda di un demone, dando in escandescenze durante il consiglio, «et
discingens se spata, cadere in terram illam permisit, et cum se vellet balteo discingere et vestimento
exuere, coepit vexari» (p. 122). Afferrato dai cortigiani, è subito portato in chiesa, dove l’arcivescovo
Liutberto clebra per lui una messa, esorcizza il demone, e gli impone un lungo pellegrinaggio «per sacra
loca sanctorum martyrum» (p. 123) affinché il demonio sia definitivamente allontanato da lui.
4 Den Norsk-Islandske Skjaldedigtning, a cura di Finnur JÓNSSON, 2 voll., Copenhagen-Kristiania,
Gyldendalske Boghandel – Nordisk Forlag, 1912-15, vol. B1, p. 88, cit. da Hilda R. ELLIS DAVIDSON, The
Sword in Anglo-Saxon England: Its Archaeology and Literature, Oxford, Clarendon, 1962 (reprint
Woodbridge, The Boydell Press, 1994), p. 215.
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Fortificatevi nel Signore, e nella sua onnipotente virtù. Rivestitevi dell’armatura di Dio per
poter resistere alle insidie del diavolo e mantenervi fermi e vittoriosi. In piedi, dunque, cinti
i fianchi con la verità, rivestiti della corazza della giustizia, e per calzari lo zelo […].
Abbiate sempre in mano lo scudo della fede, con il quale possiate estinguere tutte le frecce
infuocate del maligno. Prendete ancora l’elmo della Salvezza e la spada dello Spirito che è
il verbo di Dio5.
1.1
1.2
1.3
Fig. 1 La virtù armata – 1.1: Pudicitia uccide la Sodomita Libido, da Prudenzio, Psychomachia, X sec.,
Brussels, Bibliotheque royale, Ms. 10066-77, fol 116 v. 1.2: Evangeliario di Enrico il Leone, Abbazia di
Helmershausen, circa 1188, München, Bayerische Staatsbibliothek Clm 30055, Virtutum legio fol. 18 r°.
1.3: Herrada di Landsberg, Humilitas guida la schiera delle virtù, dall’Hortus Deliciarum, fol. 200 r°,
Alsazia, seconda metà del XII secolo, copia di E. Schweitzer, circa 1848 da Gerard CAMES, Allégories et
Symboles dans l’Hortus deliciarum, tav. 49.
Questa immagine marziale non poteva che piacere moltissimo agli uomini dell’Età di
Mezzo, costretti a vivere in uno stato di guerra pressoché endemico, cosicché, sin dagli
inizi del V secolo, e soprattutto per influsso di un fortunatissimo poemetto allegorico, la
Psychomachia di Prudenzio, che canta con dovizia di cruenti particolari la battaglia tra
5
Efesini 6, 10-18.
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le Virtù e i Vizi, il discorso morale si andò militarizzando 6. Da un lato dunque si diffuse
un tema amatissimo, quello del conflictus virtutum et vitiorum, che, rappresentando una
serie di duelli tra le virtù e di vizi che sono ad esse contrapposte, dall’altro si fecero
delle Virtù stesse dei guerrieri armati (fig. 1.1), sempre pronti allo scontro: così esse
apparivano per esempio nell’Evangeliario di Enrico il Leone (ca. 1188, fig. 1.2) o nel
perduto manoscritto dell’Hortus Deliciarum di Herrada di Landsberg (1165 ca., fig.
1.3)7. In questa prospettiva, tutte le virtù, senza distinzione alcuna, possono essere
rappresentate come guerrieri che combattono la nobile battaglia per la salvezza (fig. 2),
e dunque tutte sono caratterizzate dalla spada. Almeno fino al XII secolo, dunque,
possono comparire armate Humilitas o Caritas, Sapientia o Fides (figg. 2.1-2.4):
reggono sempre soltanto un brando cruciforme, e assumono di norma la stessa posizione
assunta da Humilitas per guidare la schiera delle consorelle nell’Hortus: cioè la postura
di vigile e minacciosa attesa che prende il guerriero prima dello scontro, preparandosi a
colpire, con la spada in palo, cioè parallela in verticale con la punta verso l’alto, e a
difendersi con lo scudo proteso per coprire il corpo.
2.1
2.2
6
Sull’influsso di Prudenzio nelle rappresentazioni medievali v. Johanne S. NORMAN, Metamorphoses of
an Allegory. The Iconography of the Psychomachia in Medieval Art, New York, Lang, 1988. La
Psicomachia si può vedere oggi in una bella edizione con elegante traduzione italiana: Aurelio Prudenzio
Clemente, La Psycomachia. La lotta dei vizi e delle virtù, a cura di Bruno BASILE, Roma, Carocci, 2007.
7
Gerard CAMES, Allégories et symboles dans l’Hortus Deliciarum, Leiden, Brill, 1971.
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9
2.3
2.4
Fig. 2 Singole virtù con spada e scudo – 2.1: Tractatus de vitiis et virtutibus, Humilitas che si contrappone
a Superbia, regione della Loira, metà del IX secolo Paris, Bibliothèque Nationale, MS Latin 8318, fol. 53 r°.
2.2: Rotbertus, Caritas duella con Avaritia, Clermont-Ferrand, Notre-Dame du Port, ca. 1100. 2.3: Sapientia
(o Justitia?) come virtù armata, iniziale D del Libro della Sapienza, Bible de Saint-Thierry, Francia orientale
(Abbazia di Saint-Thierry, Reims), primo quarto del XII secolo, Reims - Bibliothèque Municipale, ms.
0023, f. 18. 2.4: Evangeliario di Enrico il Leone, Abbazia di Helmershausen, circa 1188, München,
Bayerische Staatsbibliothek Clm 30055, Fides armata di spada, fol. 13 v°.
Evidentemente, si tratta di un’immagine non determinata, adatta a tutta la virtutum
legio, in opposizione a specifici topoi figurativi che definiscono invece singole virtù,
come quello che sulla scorta dei passi biblici su Sansone e Davide rappresenta la virtù
della Forza, Fortitudo, mentre lotta a mani nude contro un leone (fig. 3.1).
3.1
3.2
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10
3.3
3.4
Fig. 3 Altri modelli – 3.1: Evangeliario di Enrico il Leone, Abbazia di Helmershausen, circa 1188,
München, Bayerische Staatsbibliothek Clm 30055, Fortitudo fol. 14 r°. 3.2: Fortuna volge la sua ruota,
prima metà del sec. XII, disegno aggiunto a un manoscritto spagnolo dei Moralia in Job, Manchester,
John Rylands Library, Ryland MS Latin 83, fol. 214 v°. 3.3: La retorica con Cicerone, München, CLM
2599, fol. 104 v°. 3.4: Orgoglio e Invidia, dai Salmi penitenziali del Libro d’ore Dunois, Francia centrale
(Parigi), dopo il 1436, London, British Library, Ms. Yates Thompson 3, fol. 159 r°.
D’altro canto, in quanto universale attributo della potestas, ampiamente diffuso nelle
raffigurazioni regali, la spada in questa posizione caratterizzava spesso non solo le virtù,
ma anche figure allegoriche di vario genere, e persino i vizi, che hanno signoria
sull’animo umano. In un disegno tracciato nel XII secolo su una pagina bianca di un
manoscritto dei Moralia in Job la vediamo nelle mani di Fortuna, che, con la sinistra è
intenta a girare la sua ruota (fig. 3.2); nelle illustrazioni a penna aggiunte a un codice
monacense miscellaneo, composto probabilmente ad Aldersbach tra 1225 e 1230,
caratterizza la Retorica che accompagna un Cicerone di estenuata eleganza (fig. 3.3);
mentre nel sontuoso Libro d’ore Dunois della British Library, opera francese della
prima metà del ’400, caratterizza tutte le disposizioni viziose, e tra questi Orgueil /
Orgoglio, coronato, vestito di porpora e seduto, anche lui, su un leone ed Envie /
Invidia, matrona apparentemente nobile assisa su un cane (fig. 3.4).
Ma in ambito morale la spada ha anche un valore più specifico e più strettamente
connesso all’etica cavalleresca, perché, come insegna a metà del Trecento Juan Manuel,
grande scrittore e nobilissimo principe, nel suo Libro de las armas, «… esta espada
sinifica tres cosas: la primera fortaleza, porque es de fierro; la segunda justiçia, porque
corta de amas las partes, la terçera la cruz» [«La spada significa tre cose: la prima è
Fortezza, perché è di ferro; la seconda è Giustizia, perché taglia da entrambe le parti; la
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terza è la Croce»]8. Riservandomi di affrontare altrove le spade cruciformi, cercherò di
vedere nella pagine che seguono come la spada sia divenuta il simbolo precipuo delle
due virtù cardinali per eccellenza proprie degli uomini d’arme, cioè, appunto, Giustizia
e Forza, che sono, non a caso, le due virtù messe a fuoco dalla benedictio ensis novi
militis (Durand) o benedictio ensis noviter succinti (Pontificale Romano-Germanico,
Rituale di Biburg), che risalgono forse al X secolo9, e si trovano regolarmente nei testi
liturgici almeno fino al secolo XII.
Esaudisci, ti chiediamo, o Signore, le nostre preghiere, e degnati di benedire con la maestà
della tua destra questa spada che il tuo servo N. desidera accingersi, affinché possa essere di
difesa e di protezione delle chiese, delle vedove, degli orfani e di tutti i servi di Dio contro
la malvagità dei pagani, e sia terrore, paura e timore per tutti coloro che tessono insidie 10.
Benedizione della spada del novello soldato – Dio, protettore di tutti coloro che sperano in
te, acconsenti alle nostre suppliche e concedi a questo tuo servo che con cuore sincero si
sforza per la prima volta di cingersi della spada della milizia: che in tutto sia protetto dallo
scudo della tua virtù. E come a Davide e a Giuditta desti la potenza e la vittoria della
fortezza, così, munito del tuo ausilio, sempre riesca vincitore contro la malvagità dei suoi
nemici, e possa aver successo nella tutela della Santa Chiesa 11.
2. Justitia e i suoi attributi
Per noi è scontato che l’immagine di Justitia presenti come attributi fissi la spada
snudata e la bilancia, secondo un topos figurativo che soprattutto in Italia si fissa con
inusuale rigidità già sul finire del Medioevo (fig. 4) 12. La genesi di questa immagine è
tuttavia complessa, e insegna davvero molto sulle complesse dinamiche culturali
dell’Età di Mezzo.
8
Il testo del Libro de las armas o, più esattamente, Libro de los tres razones, composto tra 1342 e 1345 è
stato edito da Don Juan Manuel, Cinco tratados. Libro del cavallero et del escudero. Libro de las tres
razones. Libro enfenido. Tractado de la asunçion de la Virgen. Libro de la caça, a cura di Reinaldo
AYERBE-CHAUX, Madison, Hispanic Seminary of Medieval Studies, 1986, ma se ne trova una edizione on
line: <http://www.saavedrafajardo.org/Archivos/LIBROS/Libro0167.pdf˃, p. 7.
9 Carl ERDMANN, Alle origini dell’idea di crociata, Spoleto, Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo,
1996, pp. 352-359; Michel ANDRIEU (a cura di), Le Pontifical Romain au Moyen-Age, vol. III: Le
Pontifical de Guillaume Durand, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1940, p. 447; Walter
VON ARX, Das Klosterrituale von Biburg, Freiburg, Universitätsverlag Freiburg, 1970, p. 262; Max
PERLACH (a cura di), Die Statuten des Deutschen Ordens, Halle a. S., Max Niemeyer, 1890, p. 129. La
benedictio armorum più antica compare nel pontificale attribuito ad Egberto di York (732-766), che fu
tuttavia contiene diversi ampliamenti posteriori: Erdmann la data al 960 circa.
10 Cyrille VOGEL, Reinhard E LZE (a cura di), Le Pontifical romano-germanique du Xe Siècle, Città del
Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 1963, p. 379.
11 Manuale ad Usum Insignis Ecclesiae Sarum, in Manuale et processionale ad usum insignis ecclesiae
Eboracensis, a cura di William G. HENDERSON, Surtees Society 63, Durha Andrews &Co, 1875, p. 28;
Manuale ad usum percelebris Ecclesie Sarisburiencis, a cura di Arthur J. COLLINS, London, Henry
Bradshaw Society vol. 91, 1960, p. 63-64.
12 Per l’iconografia di Justitia mi limito a rinviare al bell’articolo di Paola RÉFICE, “Giustizia”, in
Enciclopedia dell’Arte Medievale, vol. VII, Roma, Treccani, 1996, pp. 2-10, con ricchissima bibliografia.
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12
4.1
4.2
4.3
Fig. 4 Justitia – 4.1: Justitia, bottega di Andrea Pisano 1335-1338, Firenze, Museo dell’Opera del
Duomo. 4.2: Bonino da Campione e collaboratori, Giustizia, Arca di Cansignorio della Scala Verona,
recinto delle arche Scaligere, ca. 1370. 4.3: Jacobello del Fiore, La giustizia, 1421, tempera su tavola;
Venezia, Gallerie dell’Accademia.
Il punto di partenza più lontano possiamo infatti ravvisarlo addirittura nelle immagini
del dio mesopotamico della giustizia, Utu-Šamaš, che è sempre contrassegnato da una
daga tenuta in palo, in quello che chiamerò “Gesto di Ostensione” (fig. 5.1-5.2), e
almeno in qualche caso verifica l’equità della bilancia (fig. 5.3): sin dal II millennio a.
C. troviamo dunque già riuniti nella sua figura tutti gli elementi fondamentali del
simplegma simbolico di Justitia.
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13
5.1
5.2
5.3
Fig 5 Utu-Šamaš dio della giustizia – 5.1: Cilindro di ematite, Isin-Larsa (2004-1790 a. C.): un re
incedente in atto di omaggio offre un toro al dio Šamaš, London, British Museum, n. 89284. 5.2:
Impronta di sigillo cilindrico, Šamaš ascende dalle Montagne dell’Est e entra attraverso le porte del cielo,
Mesopotamia, periodo akkadico, (ca. 2334–2154 a.C.), Serpentina, New York, Pierpont Morgan
Museum, no. 178. 5.3: Sigillo cilindrico di età accadica, con Šamaš in trono che controllo l’equità di una
bilancia, e offerente che porta una capra, da Jeremy BLACK, Anthony GREEN, Gods, Demons and Symbols
of Ancient Mesopotamia, London, British Museum Press, 1998, fig. 152, p. 183.
Non credo tuttavia che questo schema iconico sia giunto al Medioevo dall’antica
tradizione mesopotamica per trasmissione diretta; più verosimilmente esso pervenne in
Occidente per due strade tortuose, che a un certo punto confluirono l’una nell’altra. La
prima di queste vie passava, ovviamente, per la Sacra Scrittura, che affondando le sue
radici nello stesso terreno culturale da cui era nata la figura di Utu-Šamaš ne condivide
in buona parte l’immaginario, e quindi fornisce a Yahvéh in primo luogo una spada che
è sostanzialmente strumento di una giustizia severa e sanguigna: «Con il fuoco infatti il
Signore farà giustizia e con la spada su ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore»
(Isaia 66, 16); «Temete per voi la spada, poiché è la spada che punisce l’iniquità, e
saprete che c’è un giudice» (Giobbe 19, 29); «39Sono io che do la morte e faccio vivere
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14
[…] 41quando avrò affilato la folgore della mia spada e la mia mano inizierà il giudizio,
farò vendetta dei miei avversari, ripagherò i miei nemici. 42Inebrierò di sangue le mie
frecce, si pascerà di carne la mia spada, del sangue dei cadaveri e dei prigionieri, delle
teste dei condottieri nemici!» (Deuteronomio, 32, 39-42). Dio dunque non solo possiede
una spada fiammeggiante, ma la sazia «della carne e del sangue degli uccisi, della testa
dei capi nemici» (Deut. 32, 41-42); è «ricoperta di sangue, poiché il Signore fa
carneficina a Bosra, grande strage nell’Idumea» (Is. 34, 5-6), e con essa Dio uccide
Raab e trafigge il Dragone (Is. 51,9).
6
Fig. 6 La spada di Dio - La manus Dei fa giustizia, Stuttgart Psalter, ca 820-830, Württembergische
Landesbibliothek Stuttgart, Bibl. fol. 23, fol. 147 r°.
Nell’immaginario medievale è la stessa Manus Dei che utilizza l’arma, per esempio
in uno dei capolavori dell’arte carolingia, il cosiddetto Salterio di Stoccarda, eseguito
nell’abbazia di Saint-Germain-des-Près tra l’820 e l’830, che illustra con una vivace
miniatura il salmo 129 (fig. 6). Il testo invoca l’aiuto di Dio contro i nemici di Sion.
Oggi la versione più diffusa dei versetti 3 e 4 appare piuttosto edulcorata e suona «3Sul
mio dorso hanno arato gli aratori, / hanno fatto lunghi solchi. / 4Il Signore è giusto: / ha
spezzato il giogo degli empi» (CEI). La Vulgata, però, ha una lezione assai più accesa e
bellicosa: «3supra dorsum meum fabricaverunt peccatores / prolongaverunt iniquitatem
suam. 4Dominus iustus concidit cervices peccatorum…»13, cioè «sul mio dorso i
peccatori hanno elevato le loro costruzioni, hanno protratto la loro iniquità: ma il giusto
Iddio ha tagliato le cervici di coloro che peccano». Il miniaturista carolingio, seguendo
letteralmente il testo, mostra dunque, a sinistra, Israele attonito, aureolato e chino sotto
il peso del gran muro che gli empi stanno costruendo sulle sue spalle, e a destra, con
impassibile precisione, la mano di Dio che sbuca dalle nubi e decapita i peccatori con
una spada bella e possente: ne ha già fatto fuori uno, che con la testa divisa dal corpo
sanguina copiosamente, e tuttavia mostra con la mano la potenza della giustizia divina,
e ne sta spacciando un secondo, dall’aria perplessa ma sottomessa al fato inevitabile.
13
La Nuova Vulgata segue una soluzione di compromesso: «3 Supra dorsum meum araverunt aratores, /
prolongaverunt sulcos suos. / 4 Dominus autem iustus / concidit cervices peccatorum».
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15
Ma poiché i giudizi divini sono infallibilmente giusti, oltre alla spada di giustizia
Yahvéh è fornito anche di una bilancia (fig. 7.1) che simboleggia la perfetta equità del
suo giudizio: «Mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconoscerà la mia
integrità» (Giobbe 31,6); «La stadera e le bilance giuste appartengono al Signore, sono
opera sua tutti i pesi del sacchetto» (Proverbi 16, 11) ecc.
7.1
7.2
7.3
Fig. 7 La bilancia della giustizia divina – 7.1: Salterio detto di Utrecht, Reims 816-835, Utrecht,
Universiteitsbibliotheek, MS Bibl. Rhenotraiectinae I Nr 32, fol. 56 r°., ps. 95, versetti 10 e 13, Il Signore
giudicherà il mondo con giustizia. 7.2: Beatus de Liébana, Commentaria in Apocalypsin, Apocalisse detta
di Silos, Santo Domingo de Silos, ultimo quarto del X secolo, British Library, Add MS 11695 fol. 102 v°.
7.3: Albrecht Dürer, I cavalieri dell’Apocalisse, particolare, 1496-1497.
Nell’immaginario biblico, dunque, la giustizia divina possiede insieme spada e
bilance, e i due oggetti appaiono riuniti insieme soprattutto nelle figure, amatissime nel
Medioevo, dei Cavalieri che in Apocalisse 6 vengono inviati da Dio per devastare la
terra negli ultimi giorni.
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16
3
Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo sentii il secondo Vivente che diceva: “Vieni!”. 4
Ed ecco uscì un altro cavallo, rosso, e a colui che stava sopra fu dato il potere di togliere la
pace dalla terra e di far sì che gli uomini si sgozzassero fra di loro e gli fu consegnata una
grande spada. 5 Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, sentii il terzo Vivente che diceva:
“Vieni!”. E vidi immediatamente apparire un cavallo nero, e colui che vi stava sopra aveva
in mano una bilancia.
La diffusione di queste immagini fu letteralmente immensa, e perdurò da un capo
all’altro del Medioevo: a partire dalle colorite miniature mozarabiche dei Commentaria
in Apocalypsin di Beatus de Liébana, che in qualche caso sono precedenti al Mille (fig.
7.2) almeno fino alla grandiosa xilografia di Dürer, comparsa nel 1498 (fig. 7.3), e
dunque per oltre mezzo millennio, il terribile cavaliere degli ultimi giorni porta sempre
la spada in ostensione come segno della potestas necandi che gli è concessa, e
quest’arma appare in esplicita endiadi con la bilancia.
8.1
8.2
8.3
Fig. 8 Dee classiche della Giustizia – 8.1: Julia Domna, Asse di Pautalia, Tracia, 193-217 d. C., con
Nemesi stante che tiene bilancia e cubito. 8.2: Statua di Nemesi con il gladio, dal Nemeseion di
Carnutum, II/III sec. d. C. 8.3: Giustino I, 518-527 d.C., Pentanummium di Antiochia; Tyche.
All’incirca parallelo a questa via specificamente cristiana percorsa dagli attributi di
Justitia, correva però anche un percorso culturale diverso, che, verosimilmente
originandosi dalle stesse tradizioni antico-orientali, passava tuttavia dalla cultura
classica, e in particolare dalla tradizione greca. Qui la Giustizia in quanto astratta virtù
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17
fu personificata da alcune figure divine di sesso femminile, numerose e piuttosto mal
distinguibili l’una dall’altra – Themis, la legge divina, Dikē, Justitia, Nemesis ma anche
Astrea o Tyche, la Fortuna.
In quanto signore dell’equa misura e della retta distribuzione, queste dee sono spesso
contraddistinte da una bilancia e da uno strumento di misura: Nemesi per esempio è
regolarmente provvista della statera e tiene spesso con la sinistra il cubito (fig. 8.1),
un’asta per misurare, che tuttavia spesso, soprattutto nell’iconografia monetale,
ovviamente sommaria date le dimensioni dell’immagine, non è chiaramente
distinguibile come tale. Ma poiché queste figure divine concretamente puniscono il reo
che le ha offese, esse sono tradizionalmente associate anche alla spada. A proposito di
Dike/Justitia Eschilo già nelle Coefore ricorda che: «Sta saldo il ceppo di Giustizia / e
vi si foggia una spada il Destino…» (639 ss.); Themis/Tyche, in quella che viene
considerata l’ultima moneta con iconografia pagana, un pentanummium di Giustino I
risalente circa al 520 d. C., compare coronata e seduta in trono, intenta a stringere in
mano quella che sembrerebbe essere una spada in palo (fig. 8.3) 14. Quanto a Nemesi, la
dea che, secondo il suo nome “distribuisce” ciò che spetta ad ognuno, le era dedicata
un’ara sul Campidoglio, dove le truppe deponevano una spada prima di partire per la
guerra e in alcune immagini appare dotata di una robusta spada che tiene posata sulla
spalla (fig. 8.2).
La spada del resto apparteneva al repertorio consueto del loro ambito, perché a Roma
quest’arma assunse un valore simbolico importante, in quanto rappresentò il possesso di
un particolare tipo di potere, quello ius gladii che designava fondamentalmente la
giurisdizione criminale sui cittadini, ed era costituito, concretamente, dalla possibilità di
comminare la pena capitale15. Si discute ancora sull’evoluzione e i limiti di questo
potere di vita e di morte, ma sembra assodato che fosse prerogativa usuale dei
governatori provinciali fin dal primo impero16.
Dopo la Constitutio Antoniniana del 212, che estese la cittadinanza romana a tutti gli
uomini liberi, il “diritto di spada” fu accordato ai governatori di rango senatorio e, in
condizioni particolari, anche a quelli di rango equestre 17: gli Scriptores Historiae
14
Non è impossibile, data la cattiva qualità del conio, che si tratti in realtà di una qualche altra cosa
(come una fronda di palma o una cornucopia, un timone o, più probabilmente, l’asta per misurare), ma di
solito questi oggetti vengono retti tenendoli in modo diverso e appoggiandoli alla clavicola, ed è
comunque fuor di dubbio che come una spada l’oggetto sarà stato volentieri letto negli anni successivi.
15 L’insieme della documentazione che utilizzo è raccolta e discussa in Vincenzo AIELLO, “L’imperatore
e la spada”, in Aa. Vv., Istituzioni, carismi ed esercizio del potere (IV-VI secolo d. C.), a cura di Giorgio
BONAMENTE e Rita LIZZI TESTA, Bari, Edipuglia, 2010, pp. 11-30.
16 La teoria più diffusa è quella classica di Theodor MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, vol. II, 1,
Leipzig, S. Hirzel, 1887-1888, p. 267 ss., e Theodor MOMMSEN, Römisches Strafrecht, Leipzig, Dunkler
& Humblot, 1899, pp. 243 ss., secondo cui lo ius gladii è in sostanza la giurisdizione criminale sui
cittadini, propria dell’imperatore e da lui delegata abitualmente a partire dal III secolo, ma ci sono alcune
voci discordanti: secondo Peter GARNEY, “The Criminal Jurisdiction of Governors”, «Journal of Roman
Studies», 58.1-2 (1970), pp. 51-59, tutti i governatori provinciali avrebbero goduto dello ius gladii fin
dalla tarda repubblica; per Arrigo MANFREDINI, “Ius Gladii”, «Annali dell’Università di Ferrara, Scienze
Giuridiche, Nuova serie», 5 (1991), pp. 104-126, viceversa si trattò essenzialmente di un potere di
poliziesco e repressivo. Sull’estensione di questo diritto si veda Detlef LIEBS, “Das ius gladii der
römischen Provinzgouverneure in der Kaiserzeit”, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik», 43
(1981), pp. 217-223.
17 Bernardo SANTALUCIA, Studi di diritto penale romano, Roma, L’Erma di Bretschneider, 1994, pp. 205,
217-218 e Bernardo SANTALUCIA, Altri studi di diritto penale romano, Padova, Cedam, 2010, p. 82.
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18
Augustae parlano di honores iuris gladii18, e secondo Ulpiano, «coloro che governano
un’intera provincia hanno lo ius gladii, e il potere di condannare ai lavori forzati nelle
miniere»19. Così, questo potere capitale finì per incarnare l’essenza stessa
dell’imperium: «L’imperium è puro o misto. Imperium puro è avere la potestas gladii
nel punire i facinorosi, cosa che si chiama anche potestas»20. Dunque, ius gladii,
potestas gladii e imperium (merum) tendevano almeno approssimativamente a
coincidere nella coscienza dei Romani di età imperiale, di certo perché la spada, nel
principato, si prestava a fungere da simbolo di somma (e a volte sommaria) giustizia
avendo soppiantato la scure come strumento della pena capitale. Lo insegna ancora
Ulpiano («Si deve eseguire la pena capitale con la spada, non con la scure, la lancia, il
bastone, il laccio o in altro modo»21) e lo testimonia l’aneddoto secondo cui Caracalla si
irritò fortemente contro il sicario tradizionalista che osò giustiziare il giurista Papiniano
con la scure: «… gladio te exequi oportuit meum iussum!»22.
San Paolo fece pienamente propria l’associazione tra gladio e giustizia in un passo di
capitale importanza, e la trasmise alla cultura cristiana con tutto l’immenso peso della
sua autorità. «4Perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il
male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un ministro di Dio per
infliggere una giusta punizione a chi fa il male [«… non sine causa gladium portat: Dei
enim minister est vindex in iram ei qui malum agit]» (Romani 13).
Sin dall’alba stessa del Medioevo, dunque, Giustizia e spada furono necessariamente
associate: così già in una delle amatissime Variae di Cassiodoro (ca. 537), che
descrivendo la formula per la nomina del comes provinciae, una specie di potentissimo
governatore generale con compiti di polizia, lo mostra dotato appunto di un gladio. Le
cariche pubbliche escludono di norma l’uso delle armi ma il comes provinciae anche in
tempi di pace porta la spada di guerra («gladio bellico rebus etiam pacatis accingitur»),
affinché il reo sia punito per la salute di tutti: sono le armi della legge, non quelle del
furore e questa ostentazione ha lo scopo educativo di terrorizzare i rei più ancora della
pena («arma ista iuris sunt, non furoris. haec ostentatio nimirum est contra noxios
instituta, ut plus terror corrigat quam poena consumat. […] civilis est pavor iste, non
bellicus»)23.
18
Per esempio, nella Vita Alexandri Severi di Elio LAMPRIDIO l’imperatore «Honores iuris gladii
numquam vendi passus est» (‘Non permise che fossero oggetto di mercato le alte cariche che comportano
diritti di vita e di morte’), Scrittori della Storia Augusta, a cura di Leopoldo AGNES, Torino, UTET, 1960,
“Vita di Alessandro Severo”, § 49, p. 318.
19 Corpus iuris civilis, vol. I, a cura di Theodor MOMMSEN, Paul KRÜGER, Berlin, Weidmann, 1938,
Iustiniani Digesta, lb. I, cap. 18, De officio praesidis, § 6.8, p. 44: «Qui universas provincias regunt, ius
gladii habent et in metallum dandi potestas eis permissa est».
20 Corpus iuris civilis, Digestus, ed. MOMMSEN, KRÜGER, lb. II, cap. 1, Ulpianus 2 de off. quaest, § 3 De
Iurisdictione, pag. 46: «Imperium aut merum aut mixtum est. merum est imperium habere gladii
potestatem ad animadvertendum facinorosos homines, quod etiam potestas appellatur». Per
l’identificazione fra Ius gladii, potestas gladii e imperium merum si veda Ettore DE RUGGIERO,
Dizionario Epigrafico di antichità romane, vol. III, Roma, L. Pasqualucci, 1900, s. v. ‘gladius’, p. 532.
21 Corpus iuris civilis, Digestus, ed. MOMMSEN, KRÜGER, lb. XXXXVIII, cap. 19, Ulpianus, De Poenis 8,
§ 1, p. 847: «Vita adimitur ut puta si damnatur aliquis, ut gladio in eum animadvertatur; sed animadverti
gladio oportet non securi vel telo vel fusti vel laqueo vel quo alio modo».
22 Elio SPARZIANO, “Vita di Caracalla”, in AGNES, Scrittori della Storia Augusta, 4, 1, p. 219.
23 Magni Aurelii Cassiodori Senatoris, Variarum libri duodecim, a cura di Theodor MOMMSEN, MGH AA
XII, VII, 1, Formula comitivae provinciae, pp. 201-202.
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19
Alla luce di tutto questo, è ovvio che il Medioevo, riprendendo le immagini classiche
delle personificazioni femminili di Justitia, apportasse loro sovente una significativa
correzione. In qualche raro caso infatti i modelli antichi vennero ripresi con letterale
fedeltà, come accade nel già citato evangeliario di Enrico il Leone (fig. 9.1), dove
Justitia, aureolata, mostra statera e cubito come Nemesis, o con qualche superficiale
innovazione, sul tipo di quella presente nel battistero bronzeo del duomo di Hildesheim
(fig. 9.2), in cui Justitia tiene in luogo dell’asta misuratrice un cartiglio che riprende
Sapienza 41, 21, «Omnia in mensura […] et pondere disposuisti».
9.1
9.2
Fig. 9 Bilancia e cubito – 9.1: Evangeliario di Enrico il Leone München, Bayerische Stadtbibliothek,
Clm 30055, Helmarshausen, circa 1188 Justitia, fol. 14 v. 9.2: Hildesheim, Tesoro del duomo, fonte
battesimale, bronzo, verso il 1220, Justitia.
Nella grande maggioranza dei casi, tuttavia, seguendo da presso da un lato le
suggestioni scritturali e patristiche, dall’altro la tradizione propriamente romana, si
preferì dotare la personificazione della Giustizia di una spada snudata. A favore di
questa opzione pesò senza dubbio in modo determinate il fatto che proprio una spada
spesso accompagnava la bilancia nelle amatissime scene di psicostasia, che mostrano
San Michele intento alla pesatura delle anime in lotta con le potenze demoniache (fig.
10.1-10.2). Il passaggio dalla tradizione antica alla versione medievale si coglie in fieri
in uno dei rilievi che ornano la tomba di papa Clemente II († 1047) a Bamberga, e che
potrebbero appartenere già al programma originario del sepolcro, rifatto nel 1240 (fig.
10.3). Vi compare un personaggio femminile coronato, evidentemente identificabile con
Justitia, che tiene con la destra la bilancia, mentre con la sinistra, nella stessa posizione
con cui Nemesi regge il cubito o la Justitia di Hildesheim mostra il cartiglio, tiene una
robusta spada perfettamente stauromorfa. Ovviamente una lama pesante e afffilata non
si può tenere così, ma proprio il fatto che la posizione sia illogica mostra nel modo più
evidente la forza attrattiva del modello codificato dalla tradizione precedente.
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20
10.2
10.1
10.3
10.4
Fig. 10 San Michele e la nascita dello schema di Justitia – 10.1: Psicostasia con san Michele contende
le anime al demonio, lunetta della Pieve di Talignano (Parma), 1200 ca. 10.2: San Michele pesa le anime,
foglio volante con xilografia anonima tedesca, nei modi di Albrecht Dürer, ca. 1500. 10.3: Justitia, rilievo
dalla tomba di papa Clemente II († 1047) nella cattedrale di Bamberga. La tomba è stata rifatta nel 1240.
10.4 Giustizia fra due re, cattedrale di Léon, circa 1300.
Una volta rinnovato dall’introduzione della spada, il modulo ereditato poté evolversi
liberamente, e nel giro di qualche anno assunse il suo aspetto definitivo (fig. 10.4),
attribuendo finalmente alla personificazione della Giustizia, accanto alla statera, la
spada tenuta in palo, posizione che, essendo tipica del Re in maestà, accompagnava al
significato di minaccia insito nella lama snudata, quello di potere posseduto o esercitato.
Del resto, dai tempi di Cassiodoro in poi, l’associazione fra spada e giustizia era
diventata corrente anche nella prassi, non solo perché con la spada si eseguivano le
condanne capitali, ma anche per la forma peculiare dell’arma, in quanto la simmetria, la
presenza di due taglienti uguali e soprattutto l’aspetto cruciforme ne facevano un
simbolo perfettamente adeguato della ferrea necessità della pena e dell’imparzialità del
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21
giudizio. Può chiarirlo la testimonianza di un troviero della Champagne, Guyot de
Provins, cui si deve un poema, verboso e ripetitivo, che descrive il valore allegorico
delle varie componenti dell’armatura.
La santa scrittura divina / che ci offre l’usbergo della fede [??] / ci descrive, secondo quanto
credo, / quale sia la spada, e di che taglia. / È un bastone fatto per dar battaglia, / un bastone
del tutto dritto. / Temuto deve essere, e forte, e fiero / colui che su di sé porta la spada, /
arma che suscita gran timore. / È il più dritto dei bastoni: / e deve essere un ottimo
campione / l’uomo che porta una simile spada. / Non è né debole né torta, / ma dritta, chiara
ed affilata, / e ben tagliente, e bene acuta. / Questa Spada si chiama Rettitudine/ e ben si
accoppia all’armatura. / Chi ben la tiene, bene può attendere / i suoi nemici: per difendersi, /
forza gli dona, ed ardimento. / La Scrittura sacra, che non mente, / della Spada ci racconta /
che fu fatta per Giustizia. / Nella Spada vi è il segno di croce; / deve avere una strada
sicura, / l’uomo che tiene la dritta Spada/ se si trova in una via stretta /non deve
sconfortarsi, / ché il Nemico non può tribolare / un uomo che mena retta via. / La sua parola
deve essere ascoltata / e onorata, e posta innanzi <alle altre>; / può ben parlare con fierezza
/ chi tiene la Spada della rettitudine: / sicuramente richiede il suo diritto / ovunque, e può
ben farlo. / […] /È buona cosa tenere una simile spada /che il Nemico nostro molto teme /
Questo sappiamo bene, per fede, / che la spada fu fatta in primo luogo / per mantenere
diritto: retto quindi / deve essere colui che tiene la spada, / e per questo l’abbiamo chiamata
/ Rettitudine. Colui che segue Rettitudine / non teme nulla, fuorché Dio, / di nulla ha paura,
fuorché di Dio 24.
Non stupisce, alla luce di tutto ciò, che il Medioevo abbia creato delle spade speciali,
destinate a rappresentare la potestas gladii e l’amministrazione del potere
giurisdizionale, e spesso concretamente all’esecuzione delle pene capitali, chiamate
appunto Spade di Giustizia, che si cristallizzarono in un modello fisso (fig. 11).
Fig. 11 Spada di giustizia – 12.1: Germania, XVI o XVII secolo, Colmar, Musée d’Unterlinden.
Le caratterizzavano sempre quattro elementi: a) una rigorosa simmetria bilaterale,
che doveva rappresentare l’assoluta equità del giudice, per cui le due parti sono uguali;
24
Guiot de Provins († post 1208), L’armeüre du chevalier, vv. 234.83, in Les œuvres de Guiot de Provins,
poète lyrique et satirique, a cura di John ORR, Manchester, Imprimerie de l’Univeristè, 1915, p. 101 ss. Il testo
ricorda da vicino brani del Lancelot (La Marche de Gaule, §§ 246-247, in Le Livre du Graal, a cura di Philippe
WALTER, v. II Paris, Gallimard, 2003, pp. 252-253) e del Llibre de l’ordre de cavalleria (Raimon Lull, Llibre
de l’orde de cavalleria, V.2, in Id., Obres Essentials, vol. I, a cura di Pere BOHIGAS, Barcelona, Edicions
Selecta, 1957, pp. 515-545, 538; trad. it. Raimondo Lullo, Il libro dell’Ordine di Cavalleria, a cura di Giovanni
ALLEGRA, Carmagnola, Edizioni Arktos, 1983, pp. 142-143); passi analoghi si trovano anche nell’anonimo
Ordene de Chevalerie, vv. 205-219 (Le Roman des Eles and L’ordene de chevalerie. Two Early Old French
Didactic Poems, a cura di Keith BUSBY, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins, 1983, pp. 110-111),
nell’Enseignement des Princes di Robert de Blois, vv. 491 ss. (Robert de Blois, Sämtliche Werke, vol. a cura di
Jacob ULRICH, Berlin, Mayer und Müller, 1906, p. 17) e soprattutto ne Li dis de l’espee di Jacques de Baisieux
(ca. 1250?) che fornisce una completa lettura allegorica della spada (Jacques de Baisieux, L’Œuvre de Jacques
de Baisieux, a cura di Patrick A. THOMAS, La Haye-Paris, Mouton, 1973, pp. 64-71).
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b) un perfetto stauromorfismo, che le assimilava alla croce di Cristo, per cui l’elsa
rettilinea è perfettamente perpendicolare alla linea della lama; c) una netta tendenza al
parallelismo dei due taglienti, che si spiega proprio sulla base dell’associazione tra
“dritto” e “diritto” e d) infine l’assenza di punta, attraverso la quale si esprimeva l’idea
che la giustizia colpisce tagliando (cioè in senso etimologico ‘de-cide’) ma non ferisce
né punge. Riuscire a riconoscere a colpo d’occhio questa particolare tipologia di spade è
importante per interpretare correttamente le testimonianze figurative. Esse infatti
affiorano più spesso di quanto non si possa credere, soprattutto nelle scene sacre, e in
ogni caso la loro comparsa vuole sottolineare che ciò che con esse si compie è opera di
giustizia e non di violenza. È per esempio quel che fece, intorno al 1265, il geniale
miniatore della Douce Apocalypse rappresentando il suo Cristo trionfante (fig. 12.1) che
con una spada siffatta sconfigge i re al servizio della Bestia, e pone così fine alla storia e
istaura il suo regno millenario. Quanto tenace fosse questa tradizione rappresentativa lo
dimostra il fatto che, più di due secoli dopo, essa veniva ancora rigorosamente seguita
da Andrea Mantegna, che in due versioni della decapitazione di Oloferne (tempera della
National Gallery of Art, Washington, monocromo della National Gallery of Ireland, fig.
12.2), dota le sue scultoree Giuditte appunto di una spada di Giustizia. Qualche anno
dopo lo stesso accade, del resto, alle eroine eleganti e perverse di Lucas Cranach.
12.1
12.2
Fig. 12 Violenza giusta – 12.1: Cristo sconfigge i seguaci della Bestia, Apocalisse, detta Douce Apocalypse,
London? c. 1265-70, Oxford, Bodleyan Library, MS. Douce 180, fol. 84. 12.2: Andrea Mantegna, Giuditta con
la testa di Oloferne, tempera su tela, 1495, Dublin, National Gallery of Ireland.
3. Le metamorfosi di Fortitudo
La militarizzazione del discorso morale, iniziata col passo paolino della lettera agli
Efesini e con la Psychomachia prudenziana, si attagliava ancor più che a Justitia,
soprattutto a Fortezza o Fortitudo25, virtù aristocratica e maschile per eccellenza (cfr. gr.
ἀνδρεία < ἀνήρ, lat. virtus < vir), e inerente sia il piano fisico che quello morale (non
25
Non a caso nel De anima di Ugo di San Vittore è appunto Vis o Fortitudo che enuncia in prima persona
i succitati versetti paolini: v. PL CLXXVII, col. 185.
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23
per nulla appartiene al novero delle virtù cardinali26), giacché, per dirla con Alfonso el
Sabio «fortaleza […] es virtud que hace al hombre estar firme a los peligros que le
vienen». Per buone ragioni, insomma, Fortitudo è la virtù fiera e bellicosa per
antonomasia, ed è pertanto ad essa che bisognerà riferire in prima battuta le
rappresentazioni della Virtus armata, tanto più che essa costituisce in un certo senso una
condizione preliminare alla manifestazione di tutte le altre virtù, in quanto specifica la
disposizione d’animo necessaria per resistere nel bene, disposizione che deve essere
insieme salda, combattiva e tenace.
Come accade un po’ per tutte le virtù, tuttavia, le rappresentazioni di Fortitudo non
seguono sempre un tipo unico. Dal Rinascimento in poi, per lo più essa viene
rappresentata di volta in volta come una donna che spezza una colonna, o apre a mani
nude le fauci di un leone (fig. 4.1) con allusione alla storia biblica di Sansone; ma nel
Medioevo, e già prima del Mille, essa appare più spesso armata.
13.1
13.2
13.3
Fig. 13 Fortitudo armata di lancia – 13.1: Sacramentorum liber S. Gregorii papæ, Autun, Bibliothèque
Municipale, ms. 0019 bis fol. 173v°, 845-850. 13.2: Bibbia di Carlo il Calvo, detta di San Paolo fuori le mura,
scuola di Reims, 870 ca., fol. 1r°: Carlo il Calvo in trono circondato dalle virtù cardinali (part.), Roma,
Biblioteca dell’Abbazia. 13.3: Fortitudo da un evangeliario della seconda metà del IX secolo. Cambrai,
Bibliothèque Municipale, cod. 327, fol. 16 v°.
In età carolingia in particolare Fortitudo è per lo più aureolata, in vesti femminili, e
munita di asta e di scudo, come nel bel manoscritto Sacramentario di Autun (fig. 13.1),
risalente agli anni 845-850, nel foglio iniziale della Bibbia di San Paolo fuori le mura
(ca. 870, fig. 13.2) o in un evangeliario all’incirca contemporaneo conservato a Cambrai
(fig. 13.3). Ma già in quegli stessi anni, che non per nulla videro la progressiva
sostituzione della spada alla lancia come arma regale, questa virtù dovette abitualmente
26
Adolf KATZENELLENBOGEN, Allegories of the Virtues and Vices in Medieval Art. From Early Christian
Times to the Thirteenth Century, translated by Alan J. P. Crick, London, Studies of the Warburg Institute,
10, 1939 (rist. Toronto, Toronto UP, 1989); Gérard CAMES, Allegories et symboles dans l’Hortus
deliciarum, Leiden, E.J. Brill, 1971; Shawn R. TUCKER (a cura di), The Virtues and Vices in the Arts: A
Sourcebook, Lutterworth Press, Cambridge, 2015; Jennifer O’ REILLY, Studies in the Iconography of the
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anche on line <http://www.rdklabor.de/wiki/Fortitudo>.
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presentare anche un aspetto più decisamente marziale, avendo come attributi
fondamentali l’armatura, lo scudo e la spada. Lo testimonia a chiare lettere uno dei più
grandi scrittori dell’epoca di Carlo Magno, Teodulfo di Orléans († 821), descrivendo in
uno dei suoi poemi una raffigurazione presente su una placca circolare, probabilmente
esposta nel palazzo di Aquisgrana:
Le stava vicino la Forza [Vis], fortissima tra le virtù,
provvista delle armi che competono ai suoi uffici:
in una mano teneva infatti una daga [sicam], e nell’altra uno scudo,
il capo tutto coperto dal cono dell’elmo,
in modo che possa vincere le orrende larve dei vizi,
e che la santa libertà sia bene al sicuro27.
50
Si tratta, evidentemente, dello stesso tipo di raffigurazione che veniva occasionalmente
associata a Humilitas e alle altre virtù (fig. 2) ma che in età carolingia inizia a divenire
topica appunto in correlazione singolare con Fortitudo. Ciò accadde forse perché questo
modello ripeteva antiche immagini tradizionali semanticamente prossime all’ambito
della Forza. La ritroviamo sin da tempi ben più lontani, per esempio in un bronzetto
sardo degli inizi del primo millennio a. C. (fig. 14.1), o nella monetazione greca, in cui
sin dal IV secolo a. C. compare la figura dell’eroe elmato e nudo che imbraccia lo scudo
e tiene la spada pronta al colpo o di Atena Promachos colta nella stessa posizione.
14.1
14.2
14.3
14.4
Fig. 14 Antecedenti del “Gesto di Forza” – 14.1: Cagliari, Museo Nazionale, Statuetta bronzea di
guerriero con scudo e spada, da Uta, inizi del primo millennio a. C. 14.2: Julia Domna, Asse con statua di
Ares, altare e incensieri, Rabbathmoba, Arabia, 193-217 d. C. 14.3: Immagine dal corno aureo di
Gallehus, Danimarca, c. 350-450 d. C. 14.4: Valchiria, argento, inizi del IX secolo, Copenhagen, National
Museum of Denmark.
In forme affatto analoghe questa postura, che chiamerò “Gesto di Forza”, doveva in
particolare caratterizzare un’antica statua di Marte, evidentemente famosa, visto che
venne effigiata in parecchie monete del II-III secolo d. C., coniate a Rabbathmoba sotto
27
Theodulfus, “De septem liberalibus artibus in quadam pictura depictis”, in Theodulfi Carmina, a cura
di Ernst DÜMMLER, MGH, Poetae Latini aevi Carolini, I Berlin, Weidmann, 1881, pp. 445-569, n. xlvi,
p. 545, vv. 47-52 .
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Settimio Severo, Giulia Domna e Geta (fig. 14.2). Credo sia lecito supporre che la
posizione del dio avesse già un carattere ritualmente fisso, e fosse in particolare vicina
all’ambito semantico della forza, giacché la ritroviamo un paio di secoli dopo in ambito
germanico, nelle figure di guerrieri trionfanti e solari effigiate nel corno aureo di
Gallehus (V sec.?, fig. 14.3). Significativamente, si tratta di uno schema che viene
associato anche a figure femminili: rarissime raffigurazioni di età vichinga ci presentano
infatti esattamente in questa postura le Valchirie, le dee guerriere al seguito di Odino
che assistono alle battaglie decidendo le sorti dei combattenti (fig. 14.4).
Parte da qui una tradizione iconografica che nel corso di qualche secolo andò
progressivamente associando questa postura, che è in sostanza quella del guerriero
armato, che in vigile attesa del nemico mostra di essere pronto sia all’attacco (la spada)
che alla difesa (lo scudo), alla specifica rappresentazione di Fortitudo. E poiché si tratta,
è il caso di aggiungerlo, di una tradizione tanto ricca e importante quanto curiosamente
trascurata dagli studi iconologici, varrà la pena di ricostruirla con una certa accuratezza.
15.1
15.2
Fig. 15 Nascita del Gesto di Forza – 15.1: Il Miles Christianus come incarnazione della forza, che
schiaccia il serpente demoniaco; regione della Loira (Tours o Fleury), seconda metà del secolo IX, Paris,
Bibliothèque Nationale, Ms. Latin 8318, fol. 55r°. 15.2: Girolamo Olgiati, Miles Christianus, incisione di
Hieronymus Wierix, 1619.
Opere carolingie sul tipo di quella descritta da Teodulfo dovettero fissarne il tipo.
Nel manoscritto latino 8318 della Bibliothèque Nationale, una raccolta miscellanea di
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vari testi risalente alla metà del IX secolo, vediamo per esempio un Miles Christianus
raffigurato come un re che in questa posizione calpesta, il serpente demoniaco (fig.
15.1). Il disegno è posto significativamente a illustrazione del passo di Efesini 6, 10-18
citato all’inizio, a cui il copista ha aggiunto un brano di Giobbe «Et militia est vita
hominis super terram» (Job, 7.1) e una descrizione delle armi che il cristiano deve
impugnare, a partire dal «Gladius Spritus Sancti». Il tutto, significativamente, termina
con una citazione da un canto liturgico, «Estote fortes in bello et pugnate cum antiquo
serpente et accipietis regnum aeternum»28, canto che in età carolingia doveva essere
ben noto, dal momento che viene citato anche nel manuale di Duhoda, redatto tra l’841
e l’84329. Da testi e immagini come questi nascono sia il topos iconico di Fortitudo, sia
quello, in larga parte coincidente, del Miles Christianus: basta il confronto tra il disegno
del manoscritto carolingio e un’incisione di analogo argomento di Girolamo Olgiati e
Hieronymus Wierix datata 1619 (fig. 15.2), per comprendere con una sola occhiata
quanto stabile sia rimasta nei secoli la tradizione allegorica di cui stiamo discorrendo.
16.1
16.2
Fig. 16 Diffusione del Gesto di Forza – 16.1: Piatto con scena di conquista, Semirechye (?), San
Pietroburgo, Hermitage, S-46, argento con laminature d’oro, IX-X sec., particolare del guerriero alla
sommità della torre. 16.2: Roman d’Alexandre, rubrica: «D’Alixandre que sailli de sor le berfroi sur le
mur de Tyr» (‘Di Alessandro che salì sopra la torre sulle mura di Tiro’), Bologna, intorno al 1285,
Venezia, Museo Correr, Ms. Correr 1493, fol. 31 v°.
Almeno un manufatto documenta che questa posizione, che chiamerò “Gesto di
Forza” o “Posizione di Fortitudo”, doveva avere già in età ottoniana un significato ben
28
Corpus antiphonalium officii (= CAO), Rerum ecclesiasticarum documenta 7-12, 6 voll., a cura di
René-J. HESBERT, Roma, Herder, 1963-1979, vol.III, n. 2684.
29 Duodha, Liber manualis, cap. XXVII, “Admonitio utilis ad comprimenda vitia”, in Le manuel de
Dhuoda, a cura di Edouard BONDURAND, Genève, Mégariotis Reprints, 1978, IV, 5, 10, p.141: «Scriptum
est in cujusdam libelli particula: Estote fortes in bello e cum antiquo pugnate serpente. Beatus namque
Petrus de hac serpenti pugnatione ut resistamus viriliter nos admonit […]. Vigilandum tibi est, fili, et cum
executione operis boni viriliter certandum, ne pereat in te vera et santa sanguinis filii Dei redemptio.».
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stabilito in un’area estremamente ampia. Si tratta di un piatto d’argento con laminature
d’oro trovato nel 1909 nella provincia di Perm’, ma verosimilmente prodotto più a sudest30, tra IX e X secolo, attualmente conservato all’Hermitage di San Pietroburgo (fig.
16.1). La raffigurazione non è di facile lettura, ma celebra, a quanto mi sembra, la
conquista di una fortezza, che occupa il centro della scena ed è circondata da guerrieri a
cavallo. Il personaggio principale è un cavaliere, situato in alto a destra, leggermente più
grande degli altri, che stringe in mano una sorta di scettro ed è dotato non di elmo ma di
corona: si tratta quindi sicuramente di un re, il quale saluta, direi, i suoi soldati che
hanno appena conquistato il castello. Dalla sommità della torre un soldato gli risponde,
rigidamente ritto in posizione di Fortitudo tra due nemici morti e due compagni che
mostrano trionfanti le armi con cui hanno compiuto l’impresa; sotto di loro squillano le
trombe, mentre nove cavalieri, disposti a coppie intorno alla torre, salutano l’evento con
lance, stendardi e spade.
Il “Gesto di Forza” appare qui non solo perfettamente definito, ma emerge in un
contesto del tutto coerente all’interno del quale esso svolge un ruolo estremamente
significativo. Lo si confronti con l’Alessandro che dall’alto di una torre che ha appena
conquistato minaccia le mura di Tiro, che ha stretto d’assedio (fig. 16.2), soverchiando
il nemico morto esattamente come il soldato del piatto di Semirechye. È palese che le
due figure sono equivalenti, e dunque semanticamente analoghe. Ora, questi due ultimi
esempi, ma anche gli altri documenti raccolti sin qui dimostrano, quanto mi sembra, un
fatto importante e se non m’inganno del tutto trascurato dagli studiosi di iconologia:
sicuramente già prima del Mille, come suggeriscono il manoscritto Latino 3818 (fig.
15.1) e il piatto di Semirechye (fig. 16.1), e forse da tempi assai più antichi (fig.14.1-4),
la posizione del guerriero con scudo imbracciato e spada in palo era divenuta esemplare,
trasformandosi in un vero e proprio semantema iconico, cioè in un portatore autonomo
di significato che indicava di per sé il valore di Fortitudo. Un personaggio effigiato in
tale posizione è in altri termini sempre una figura Fortitudinis, e, reciprocamente, viene
effigiato in questa postura soltanto chi a qualche titolo sia depositario della Fortezza,
virtù che egli dimostra e ostenta appunto grazie a questa postura caratteristica.
Non ho altre informazioni sulla situazione in Oriente, ma in Europa il tipo appare già
perfettamente cristallizzato subito dopo il Mille, nella base della grande croce da altare
(Heinrichskreuz) conservata al duomo di Fritzlar (fig. 17.1) e connessa con la visita
compiuta al monastero nel 1020da Enrico II e di sua moglie, Kunigunde di
Lussemburgo. La virtù vi appare non solo armata di spada, ma provvista di elmo conico
con nasale, proprio come nel poemetto carolingio, ed è identificabile senza ambiguità
grazie alla presenza del titulus. Vale la pena di notare che a questa altezza cronologica,
Justitia, che le sta accanto, è provvista di bilancia ma appare disarmata, esattamente
come accade nella Bibbia di San Paolo fuori le mura (fig. 13.2).
Qualche decennio più tardi lo schema si manifestava in forme di esemplare chiarezza
in un’altra miniatura dell’Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg († 1195, fig. 17.2),
in cui viene ritratta in questa postura non solo la Fortezza, ma tutta la famiglia di virtù
che da essa dipendono (Magnificentia comitis, Confidentia, Tolerantia, Requies,
Stabilitas, Perseverantia, Constantia). Fortitudo, in quanto principalis virtus, porta
30
Sono state avanzate varie ipotesi di localizzazione, tutte a oriente del mar Caspio: dalla zona
dell’attuale Kazakistan, in quella che allora si chiamava la “Provincia dei Sette Fiumi” (Semirechye
Oblast) alla Sogdiana e al Khorashan.
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l’elmo coronato, e tiene la spada in palo; per il resto tutte le virtù a lei connesse
indossano la tunica femminile lunga sino ai piedi, ma sopra di essa vestono la cotta di
maglia del miles, e portano l’elmo con nasale e lo scudo appeso al collo, uno di quei
grandi scudi a mandorla (kite shield) che conosciamo così bene dall’arazzo di Bayeux. Il
confronto con l’analoga rappresentazione della schiera delle virtù (fig. 1.3) rende chiaro
che questa posizione in sé è appunto propria di Fortitudo, ma può essere estesa a tutte le
disposizioni virtuose in quanto ciascuna di esse, per potersi realizzare, richiede forza
d’animo e ferma determinazione.
17.1
17.2
Fig. 17 Primi esempi del Gesto di Forza - 17.1: Piede di crocifisso, bronzo, Germania, ante 1020, Fritzlar,
Domschatz und Museum des Sankt-Petri-Domes. 17.2: Herrada di Landsberg, Fortitudo e le sue parti,
dall’Hortus Deliciarum, fol. 204 r°, Alsazia, seconda metà del XII secolo, copia di E. Schweitzer, ca. 1848
da Alexander STRAUB, Gustave KELLER, Herrad von Landsberg. Hortus deliciarum, Strasbourg, 18791899, tav. LII.
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Del tema possediamo anche una versione maschile, del tutto analoga, che ritroviamo
per esempio nel già ricordato fonte battesimale bronzeo di Hildesheim, risalente
all’incirca al 1220 (fig. 18.1). Anche in questo caso Fortitudo, identificata dal titulus, è
un re in armi che regge con vigile cautela una spada snudata pronta a colpire e tiene lo
scudo ben stretto contro il fianco; rivelano il suo sesso i tratti del volto piuttosto rudi, e
sopratutto il cartiglio, che presentando una interessante variante di Proverbi 16, 32 «Vir
qui dominatur animo suo fortior est expugnatore urbium», sottolinea il carattere
innanzitutto morale della virtù, la quale secondo i teologi è «un vigore dell’animo, che
conduce conformemente alla ragione»31. In altri casi invece definire il sesso della
personificazione è decisamente difficile, anche perché il soldato giovane è
tradizionalmente rappresentato imberbe (fig. 18.2): restano tuttavia sorprendentemente
costanti non solo la posizione e gli attributi, ma anche alcuni tratti secondari, come il
cingolo che assicura l’elmo al collo.
18.1
18.2
Fig. 18 Gesto di Forza (con titulus) – 18.1: Fonte battesimale con raffigurazioni allegoriche, Hildesheim,
Sankt Maria, intorno al 1220; il testo che si legge nel cartiglio è un adattamento di Proverbi 16, 32: «Melior
est patiens viro forti, et qui dominatur animo suo expugnatore urbium». 18.2: Fortitudo, da Libellus
capitulorum, XII sec., Stuttgart, Württembergische Landesbibliothek, Cod.brev.128, fol. 10 r°.
Sebbene spesso il titulus manchi, lo ripeto, immagini di questo tipo sono sempre
facilmente e inequivocabilmente riconoscibili come raffigurazioni di Fortitudo grazie
alla concomitante presenza di quattro elementi: a) un personaggio, sia di sesso maschile
che femminile, normalmente elmato e coperto di cotta d’arme, il quale b) solo e al di
fuori di ogni contesto bellico, c) tiene una spada snudata in palo e d) si protegge il corpo
con lo scudo. L’isolamento, la posizione fissa e la contemporanea presenza della spada
brandita e dello scudo imbracciato bastano in genere per riconoscere con certezza in
figure di questo tipo incarnazioni di Fortitudo, tanto più che esser sovente si situano in
contesti significativi, come le serie di Virtù e Vizi sulla facciata delle chiese, e
presentano spesso un elemento concomitante che ricorre con regolarità: il leone o il
serpente-drago su cui si trionfa, calpestandoli o combattendoli, secondo lo schema
eroico del Cristo dell’età carolingia ottoniana, e più in particolare il dettato del Salmo
91,13 «Camminerai su aspidi e vipere, / schiaccerai leoni e draghi». Il rettile
normalmente si schiaccia col piede, mentre il rapporto col leone è più complesso,
31
Speculum morale, L. I, dist. LXXX, parte III.
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30
giacché questo animale è simbolo delle tentazioni demoniache, ma è al tempo stesso
custos iusticie nonché incarnazione del coraggio32.
19.1
19.3
19.2
19.5
19.4
Fig. 19 Fortitudo e il leone – 19.1: Fortitudo, Padova, Abbazia di S. Giustina, portale (distrutto), opera di
maestranze francesi, ca. 1175. 19.2: Capitello romanico con Fortitudo, verso il 1200, Museo archeologico di
Girona. 19.3: Amiens, Cattedrale, Fortitudo, facciata occidentale, ca. 1260. 19.4: Fortitudo, Strasburgo,
Cattedrale, statue del portale con virtù e vizi. 19.5: Giotto, Fortitudo, Padova, Cappella degli Scrovegni,
affresco, ca. 1306.
Questa situazione simbolicamente complessa produce una certa oscillazione nelle
raffigurazioni. In generale, quando il personaggio che rappresenta l’incarnazione della
32
Émile MÂLE, Le origini del gotico. L'iconografia medievale e le sue fonti, Milano, Jaca Book, 1986, p.
129: «Il leone raffigurato sullo scudo conferisce un significato estremamente chiaro. È forse necessario
allineare molti testi per dimostrare che il leone fu agli occhi dei simbolisti del Medioevo una tipologia del
coraggio? Il leone, dice Rabano Mauro, è per il suo coraggio il re degli animali; il libro dei Proverbi
afferma: “Il leone è il più coraggioso degli animali e non teme di confrontarsi con nessuno”. Nel XII
secolo il De bestiis ripete testualmente queste parole. (PL CLXXVIII, col. 23)»
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forza è di sesso maschile, lo si raffigura di norma mentre combatte contro la fiera, in cui
dunque prevale il valore negativo, come accade nello splendido rilievo del piedritto laterale
del perduto portale romanico di Santa Giustina a Padova (fig. 19.1), o in un gustoso
capitello del museo di Girona (fig. 19.2). Allorché invece la virtù appare in aspetto
femminile, il leone diviene semplicemente una divisa araldica che campeggia sul suo scudo,
e assume dunque un valore apertamente positivo (fig. 19.3-4). Con sintesi geniale entrambi
gli aspetti di questa duplicità leonina vennero rappresentati da Giotto nella Fortezza
della cappella degli Scrovegni a Padova (fig. 19.5). Ritratta come una formosa e robusta
matrona, Fortitudo regge non più una spada, ma una mazza da guerra, e si protegge con
un grande scudo – propriamente uno di quegli immensi scudi che proteggevano
balestrieri e fanti e portavano il nome di palvese, targone o tavolaccio – su cui
campeggia appunto un leone rampante, e contro il quale si spezzano i dardi dei nemici.
Sopra la lorica musculata che le protegge il busto, la donna porta una pelle di leone: è la
classica leonté, attributo di Eracle, che esattamente come l’eroe Fortitudo indossa con il
capo della fiera a guisa di elmo. Sullo zoccolo si legge: «Fortitudo ogni cosa atterra,
superando [lacuna] e, armata, impugnando una mazza, schiaccia le malvagità. Ecco, con
la forza uccide il leone, e si copre della sua pelle (‘En occidit vi leonem, eius pelle
tegitur’). Su tutti ha la meglio nello scontro, e in nessun caso è abbattuta».
20.1
20.2
20.3
Fig. 20 Varianti dello schema – 20.1: Andrea Pisano, Fortitudo, porta del Battistero di San Giovanni, Firenze,
1330-1336. 20.2 Fortitudo, Placca di altare portatile, verso il 1160, Augsburg, Städtische Kunstsammlung. 20.3:
Fortitudo con spada e laccio, Canterbury, Christ Church Cathedral, Transetto Nord-Est, (n. XVII) 1179 - 1180.
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Questa possente Fortitudo giottesca inaugura una variante specificamente italiana del
tema, in cui alla spada, che nel frattempo era divenuta appannaggio di altre virtù (e prima
fra tutte appunto Justitia) si sostituisce la mazza o il bastone: una ventina d’anni dopo
Andrea Pisano seguirà per esempio questo modello nelle porte del Battistero di Firenze (fig.
20.1). Una volta fissato, il tipo diede peraltro luogo anche ad altre varianti, generalmente
poco vitali, sia nella posizione, sia negli attributi, come dimostrano la Fortezza di un altare
portatile tedesco che brandisce lo scudo anziché proteggersi con esso (fig. 20.2), o quella
della cattedrale di Canterbury (fig. 20.3), che al suo posto tiene una corda.
21.1
21.2
Fig. 21 Persistenza – 21.1: Matthäus Greuter, Septima Petitio, incisione di Paul Fürst, ca.1635. 21.2:
Domenichino, Fortitudo, Roma, S. Carlo ai Catinari, affresco, 1630.
Resta da aggiungere, per concludere, che sebbene insidiato da forme concorrenti,
prima fra tutte quella in cui Fortitudo lotta a mani nude contro il leone, questo topos
iconico sopravvisse almeno sino al barocco. Illustrando, nel 1635, la settima richiesta del
Padre Nostro, Matthäus Greuter dava ancora una Fortitudo perfettamente rispondente al
modello medievale (fig. 21.1), se non fosse per le ali, che ne fanno una sorta di San
Michele in gonnella; e nelle vignette sottostanti inserisce un leone con il cartiglio “In
fortitudine” e quella colonna che nel frattempo era divenuta il più usuale degli attributi di
questa virtù. Cinque anni prima, affrescando i pennacchi della cupola di San Carlo ai
Catinari a Roma, Domenichino aveva osato di più, proponendo una Fortitudo-Atena (fig.
21.2); anch’egli seguiva in realtà da presso il vecchio schema, non solo dotando la Virtù
degli attributi di prammatica, la spada, lo scudo, l’armatura e l’elmo, ma del pari
corredandola del leone e della colonna, in modo da farne una sorta di concentrato
iconografico. Tanto più sorprendente, e per me inesplicabile, è il fatto che immagine
venga corredata dal cartiglio Humilitas.
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