IL PORTICO.
BIBLIOTECA DI LETTERE E ARTI
149.
Sezione: MATERIALI LETTERARI
Questo volume è pubblicato con il contributo
del Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova
ISBN 978-88-8063-627-4
© Copyright 2009 A. Longo Editore snc
Via P. Costa, 33 – 48121 Ravenna
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Printed in Italy
Luciana Borsetto
Andar per l’aria
Temi, miti, generi
nel Rinascimento e oltre
LONGO EDITORE RAVENNA
INTRODUZIONE
Nell’universo infinito della letteratura s’aprono sempre altre
vie da esplorare, nuovissime o antichissime, stili e forme
che possono cambiare la nostra immagine del mondo…
(Italo Calvino, Leggerezza)
Volendosene andar per l’aria a volo,
aveasi a far quanto potea più lieve.
(Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, XXIII 15, 1-2)
La condizione di decollo di Astolfo sul punto di mettersi in volo sull’ippogrifo
nel romanzo ariostesco, portando a compimento l’impresa ulissistica di Ruggiero e
insieme aprendola all’Africa favolosa di Senapo e delle Arpie sino a raggiungere lo
spazio cosmico del paradiso terrestre e il cielo della luna, è la leggerezza, la prima
virtù da salvare evocata da Italo Calvino nelle proposte al nuovo millennio delle sei
Lezioni americane.
A quell’aerea virtù del letterario e alle antiche favole alate di Pegaso, Perseo e
Medusa a essa connesse s’intonano insieme il primo capitolo del volume e il titolo
al volume assegnato. Nel percorso critico attraverso temi, miti e generi della comunicazione letteraria rinascimentale proposto, inclusivo di cronologiche dilatazioni
dentro e oltre la geografia culturale della Penisola, l’Andar per l’aria rende, per via
di metafora, ragione delle diverse modalità di sondaggio suggerite dal multiforme
universo esplorato, delle angolazioni assunte dallo sguardo nell’accostarlo, della focalizzazione su autori maggiori e minori, su stili e forme deputati di volta in volta a
dire l’immagine del mondo. La prospettiva d’insieme e di dettaglio offerta da tale
percorso prevede sondaggi sul genere e intrecci di tema e genere, di genere e mito,
sconfinamenti, transizioni, metamorfosi di temi e miti nel divenire del genere.
L’intreccio di tema e genere apre, nel primo capitolo, l’indagine sull’Andar per
l’aria in senso proprio configurato, alle tipologie e alle funzioni del volo nella tradizione cavalleresca espressamente dedicata. La missione salvifica del paladino inglese assetato di cielo dell’opus ariostesco vi è per lo più ignorata. Il volo che la
declina si esempla in gran parte su quelli interrotti di Ruggiero che la precedono.
Nell’elaborare il topos del viaggio ai limiti del mondo conosciuto, continuatori di
Ariosto e imitatori di Pulci e Boiardo, tra la prima e la seconda metà del Cinquecento, si confrontano sulla “funzione” proppiana del “trasferimento dell’eroe” nell’ignoto “altrove” dell’isola incantata perigliosamente raggiunto dal futuro
capostipite degli Estensi. Gli esiti “meravigliosi” della loro “ventura” non ne annullano il “dato di realtà” sotteso: il rassicurante paradigma cartografico della superficie terrestre, stagliato pressoché ovunque nella visione drammatico-grottesca
6
Introduzione
dischiusa dall’alto ai diversi “volatori” inesperti di volo abbozzati. Su quel paradigma, rappresentazione di spazi reali e simbolici in movimento cui in gran parte affidare il senso della nuova percezione dell’universo, si misurano le prove del genere
in analisi, impegnate a imitare, rifare o continuare, non senza stilistico décalage rispetto ai modelli, l’esperienza di questi, sino a oltrepassarne la soglia della tradizione
comunicativa in direzione dell’epica eroica e di quella sacra.
All’epica sacra, produttiva di voli cosmici di lunga durata nella storia del letterario, rinvia l’intreccio di tema e genere messo a fuoco dai poemetti degli angeli ribelli del secondo capitolo dove, prima e dopo la Liberata tassiana, sullo sfondo
apocalittico della rinnovata lotta tra Inferno e Cielo del secondo Cinquecento, del
nuovo malicidium da consumare contro eretici e infedeli, figura e scrittura delle
guerre guerreggiate dell’epoca (dall’assedio di Malta del ’65 all’impresa di Lepanto
del ’71) si trovano a coniugare insieme “meraviglioso” cristiano e “meraviglioso”
tecnologico: i moderni portenti dell’artiglieria intridendo di anacronistiche pesantezze gli aerei paludamenti gigantomachiaci della battaglia celeste rappresentata,
gli «empi ordigni» condannati da Ariosto nel IX del Furioso sottraendo spazio all’immateriale intemporalità di quest’ultima, come poi nel VI del miltoniano Paradise
lost, l’angelico conflitto adombrato dal Tasso nel IV del suo poema mettendo in
campo l’esecrabile contemporaneità.
La medesima temperie apocalittica, l’identico archetipico scontro tra Inferno e
Cielo all’insegna della Liberata presiede all’intreccio di tema e genere del terzo capitolo, incentrato sulle icone trionfali di Giuditta nell’epica del Seicento. L’aereo
scenario virgiliano del I dell’Eneide, ripreso dal Sannazaro nel I del De partu; dal
Tasso nel I del suo poema, presiede alla figurativa rivisitazione mariana dell’eroina.
La missione salvifica a lei trasmessa dall’arcangelo, come alla Vergine nel Vangelo
di Luca, ne prescrive femminea dolcezza e virile determinazione nel combattere,
sconfiggendole, l’empia intemperanza del barbaro Scita e l’hybris luciferina dell’eretico. L’apologetica assunzione a soggetto per eccellenza poetabile promosso a
suo riguardo dalla cultura cattolica del tempo le impone di coniugare insieme la
«beltà lasciva» della pagana Armida e la neglecta venustas della cristiana Sofronia,
l’una e l’altra intridendo dell’allegorico combattimento tra vizi e virtù in suo nome
inscenato sin dal IV secolo nella Psychomachia di Prudenzio.
Questo combattimento sottostà alla vicenda penitenziale del quarto capitolo, al
centro del quale, orchestrata insieme sull’intreccio di tema e genere e sulla metamorfosi del tema nella sua transizione da un genere all’altro, si pone tra gli anni Settanta
del Cinquecento e il primo ventennio del Seicento la riscrittura lirico-poematica
della vicenda spirituale del peccatore pentito, motivo ricorrente nel vasto repertorio
delle Rime spirituali e nelle raccolte di Lacrime del tempo dentro e oltre i confini
geografico-culturali della Penisola. La polarizzazione tra le due sponde dell’Adriatico in analisi mette in luce il fitto dialogo intertestuale intrattenuto a distanza, nella
resa del sacro soggetto, tra il più grande poeta del barocco raguseo, Ivan Gunduli,
il vescovo di Chioggia Gabriele Fiamma, e una delle voci più originali della Controriforma, il canonico regolare lateranense Gregorio Comanini.
Non alla metamorfosi poetica del tema, ma a quella del mito nella sua transizione
da genere e genere guarda, nel capitolo quinto, la parabola descritta, sul piano er-
Introduzione
7
meneutico non meno che formale, dalla trasposizione lirica e poematica, in sciolti
e in rima, delle favole antiche nel corso del Cinquecento. Gli esempi in analisi argomentano sui modi della ripresa, totale o parziale, della fonte classica deputata a
trasmettele, sulla forza coercitiva della convenzione di genere da questa impressa,
sulle nuove relazioni di senso, oltre di forma, stabilite dall’Auctor volgare nella riproduzione, sui recuperi frammentari, per emblematiche accensioni d’immagine,
per singoli loci retorico-figurativi da lui realizzati, così come sulle amplificazioni,
sulle aggiunte non di rado produttive di miti nuovi, sul dialogo intertestuale tra fonti
diverse di mediazione secondaria, sull’opera di contaminatio e di collage nel vario
riuso dei materiali.
Il sondaggio sul genere degli ultimi capitoli mette a fuoco la forte impronta lirico-drammatica assunta dall’egloga nella prima metà del Cinquecento grazie all’azione del congegno metrico sperimentato, l’endecasillabo sciolto, foriero di
conseguenze di rilievo nell’ambito della favola pastorale. Esso illumina inoltre
aspetti non secondari della ricezione adriatico-orientale del petrarchismo bembiano
e post-bembiano tra la prima e la seconda metà del secolo. Della caratterizzazione
lirico-drammatica dell’egloga rende testimonianza, nella disamina su temi e miti in
esso rifluiti, il liber di Girolamo Muzio, sottoposto ad analisi nell’ottavo capitolo.
Della fortuna adriatico-orientale del petrarchismo bembiano e post-bembiano rendono invece rispettivamente ragione la tradizione comunicativa in volgare italiano
inaugurata a Cattaro, a lungo estremo avamposto antiturco della Serenissima, dalle
Rime amorose (1532) di Giorgio Bizanti, sotto la specie dell’imitatio Petrarce
espressamente analizzate nel capitolo sesto; quella nel duplice codice, italiano e
croato, attivata nell’antica repubblica di Ragusa da Dinko Ranjina (Domenico Ragnina), le cui Rime (1563), non di rado in forte dialogo con i coevi Pjesni razlike
dell’autore, sono analizzate nel settimo.
Pur autonomi tra loro, gli otto studi che all’insegna dell’ariostesca metafora
dell’Andar per l’aria compongono il volume sono tra loro per più ragioni sottilmente
interconnessi: l’intreccio di tema e genere, di genere e mito, il sondaggio sul genere
che ne costituiscono i fili conduttori tessono di fatto le fila di un lavoro critico orchestrato dal fitto intersecarsi di linee di ricerca condotte nell’ultimo quinquennio,
e dal loro stesso divenire, aperto da linee di ricerca nuove nel frattempo profilatesi
all’orizzonte dell’esplorazione. Ringrazio coloro che in modi e in momenti diversi
le hanno a vario titolo aiutate, promosse, stimolate, condivise, o che con esse hanno
dialogato accogliendone le sfide in occasioni di pubblico dibattito e di confronto da
me o da loro proposte (Guido Baldassarri, Giancarlo Bettin, Danielle Boillet, Furio
Brugnolo, Adelin Charles Fiorato, Pietro Gibellini, Corinne Lucas, Marie-Françoise
Piéjus, Matteo Residori, Živko Nižić). Ai fili intrecciati dalla loro amicizia, in nome
innanzitutto della calviniana leggerezza, questo libro primariamente è dedicato.
AVVERTENZA
Dei contributi presenti nel volume sono inediti: «Trionfante» e «vittoriosa».
Icone di Giuditta nell’epica del Seicento, relazione tenuta al seminario di studio del
10-11 dicembre 2007 da me organizzato, promosso dal Dipartimento di Italianistica
dell’Università di Padova in collaborazione con l’UFR d’Etudes italiennes et roumaines (Université Sorbonne Nouvelle-Paris III) e intitolato a Giuditta e altre eroine
bibliche tra Rinascimento e barocco. Orizzonti di senso e di genere, variazioni, riscritture i cui Atti sono in fase di avanzato allestimento e Il «bello stil» della lingua
«peregrina». Sul microcanzoniere in italiano di Dinko Ranjina (1563), relazione
con titolo diverso e prospettiva “altra” di lettura tenuta nell’ambito della Giornata
di Studio 25 settembre 2008 Letteratura, arte, cultura tra le due sponde dell’Adriatico 2 (Književnost, umjetnost, kultura između dviju obala Jadrana 2), organizzata
dal Dipartimento di Italianistica (Odjel za talijanski jezik i književnost) dell’Università di Zara, i cui Atti sono in corso di allestimento, e in seguito ripresa nell’ambito
del Convegno internazionale di Studi 20 e 21 marzo 2009 Scrittori stranieri in lingua
italiana dal Rinascimento al Novecento organizzato dal Dipartimento di Romanistica dell’Università di Padova e tenutosi presso l’Università di Padova, i cui Atti
sono pure in fase di allestimento.
Sono inediti in Italia: «Prendi l’arme Michel!». Figura e scrittura della guerra
guerreggiata nei poemi degli angeli ribelli del secondo Cinquecento, lavoro in questa sede parzialmente riscritto, pubblicato in L’actualité et sa mise en écriture dans
l’Italie des XVe-XVIIe siècles, Actes du Colloque International (Paris, 21-22 octobre
2002) réunis et présentés par Danielle Boillet et Corinne Lucas, Université Paris III
Sorbonne nouvelle, C.I.R.R.I. (Centre interuniversitaire de recherche sur la Renaissance italienne, Lecemo Unité Associée au C.N.R.S.), vol. 26, 2005, pp. 173-189;
L’imitatio Petrarce nelle Rime amorose di Georgio Bizanti Catharense (Venezia
1532), uscito in Poslanje filologa. Zbornik radova povodom 70. rođendana Mirka
Tomasovića, a cura di Tomislav Bogdan e Cvijeta Pavlović, Zagreb, Sveučilište u
Zagrebu, Filozofski fakultet, Odsjek za komparativnu književnost, 2008, pp. 531542; «Andar per l’aria». Tipologie e funzioni del volo nella tradizione del romanzo
cavalleresco, uscito in Les espaces du poème chevaleresque et héroique, a cura di
Matteo Residori, Université Paris III Sorbonne nouvelle, C.I.R.R.I. (Centre interuniversitaire de recherche sur la Renaissance italienne, Lecemo Unité Associée au
C.N.R.S.), vol. 27, 2009, pp. 153-187; Il poemetto gondoliano del Prodigo e le ottave di Gregorio Comanini. Per un ritorno sulle «Suze sina razmetnoga» (1622),
pubblicato con varianti all’interno e nel titolo (Ivan Gundulić lettore di Gregorio Comanini. Per un ritorno sulle «Suze sina razmetnoga») in Letteratura, arte, cultura
tra le due sponde dell’Adriatico, Atti del Convegno di studi Nona, 3-4 novembre
2006 / Književnost, umjetnost, kultura između dviju obala Jadrana, Zbornik radova
s međunarodnog znanstvenog skupa Zadar – Nin, 3.-4. studenoga 2006, a cura di
Guido Baldassarri, Nikola Jakšić, Živko Nižić, Zara, Sveučilište u Zadru / Università
di Zara, 2008, pp. 109-130).
10
Avvertenza
Sono editi in Italia con variazioni all’interno e nel titolo: Favole antiche in sciolti
e in rima. Lirica e poemetto nel Rinascimento, pubblicato come La lirica e il poemetto nel Rinascimento. Riscritture del mito in Il mito nella letteratura italiana.
Opera diretta da Pietro Gibellini, I Dal Medioevo al Rinascimento, a cura di Gian
Carlo Alessio, vol. I, Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 425-460) e «Rade suonan le
canne». L’egloga in sciolti nel primo Cinquecento e il «liber» di Girolamo Muzio
(1550), pubblicato come L’egloga in sciolti nella prima metà del Cinquecento. Appunti sul «liber» di Girolamo Muzio in Miscellanea di Studi in onore di Giovanni
da Pozzo a cura di Donatella Rasi, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2004, pp. 123161. Un’edizione elettronica di ques’ultima versione a stampa si legge in «Chroniques italiennes», n. 72 (1/2003) - Série Web numéro 3 (http://www.univ-paris3.fr./
/recherche/chroniquesitaliennes). pp. 123-161).
Nei contributi del libro il corsivo dei testi citati è nostro; nei frammenti direttamente tratti da edizioni di Cinque e Seicento grafia e interpunzione si sono riportate
all’uso moderno. Le traduzioni, quando non diversamente indicato, sono della scrivente.
1.
ANDAR PER L’ARIA.
TIPOLOGIE E FUNZIONI DEL VOLO
NELLA TRADIZIONE DEL ROMANZO CAVALLERESCO
Piglierà il primo volo il grande uccello, sopra del dosso del suo
magno Cecero, empiendo l’universo di stupore, empiendo di
sua fama tutte le scritture, e groria eterna al nido dove nacque.
(Leonardo, Il primo volo1)
1. Lo spazio aereo attraversa le forme del romanzo cavalleresco caratterizzandosi
come spazio aperto in contrapposizione alla selva, alla foresta, luoghi chiusi e labirintici, allo stesso modo dei giardini o dei palazzi che a livello simbolico li riproducono. Anziché l’intrico di strade, foriere di incontri e avventure che hanno lo scopo
di occultare la visione della mèta, conducendo alla sua perdita o alla deviazione da
essa, nel volo umano che lo emblematizza dominano in genere le rotte, direzioni
vettoriali di movimenti di volta in volta “figura del desiderio” e della modernità,
ovvero del magico o del soprannaturale, divini o diabolici che siano. Al movimento
verticale verso il basso, il volo umano contrappone quello trasversale da un angolo
all’altro della terra; alla catabasi all’insegna di Omero, Virgilio, Claudiano, che da
Battista Spagnoli, Sannazaro e Vida arriva sino a Tasso e oltre2, contrappone l’anabasi nel segno di Dante e Leonardo, Antonio Diogene, Luciano e Galilei, che da
Ariosto giunge all’Adone del Marino3. Il volo umano è epifania del “meraviglioso”
1
LEONARDO, Scritti letterari, Milano, Biblioteca Univ. Rizzoli, 2002, p. 14. Il frammento è dal Codice sul
volo degli uccelli, manoscritto di 18 pagine, ricco di annotazioni, appunti e disegni redatto nel 1506 a Firenze.
2
La discesa dall’alto di Ermes-Mercurio nei classici (Omero, Virgilio, Claudiano) poi risemantizzata
negli scrittori cristiani attraverso la discesa dell’angelo Gabriele a Maria (Spagnoli, Sannazaro, Vida,
Tasso). Cfr. su questo G. BALDASSARRI, «Il modo e lo ordine di poema». Il Sannazaro, i «romanzi» e la
“Liberata”, in Cultura meridionale e letteratura italiana. I modelli narrativi dell’età moderna, “Atti dell’XI Congresso dell’Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e Letteratura italiana, a c. di P.
GIANNANTONIO, Napoli, Loffredo, 1985, pp. 107-117).
3
Sulla linea Dante-Marino-Galilei, e sia pure in una prospettiva tematica diversa da quella qui indagata,
cfr. S. ZATTI, Nuove terre, nuova scienza, nuova poesia: la profezia epica delle scoperte, in ID., L’ombra
del Tasso, Milano, Bruno Mondadori, 1996, pp. 146-207 (in particolare, pp. 189-197). Benché di segno
“altro”, il viaggio in cielo conta esempi letterari illustri nel ciceroniano Sommnium Scipionis (De Republica
VI) e in Marziano Capella (De nuptiis Philologiae et Mercurii (dove la Virtù, Mercurio e Apollo si elevano
attraverso le sfere celesti fino alla reggia di Iuppiter e Filologia diviene una dea e sale in cielo in una
lettiga), come pure nella Bibbia (Elia, II, Re, II, 1-13; Enoch, Genesi 5 24; Cristo, Marco 16 19; Luca 24,
51; Atti Apostoli I 9; Paolo, Atti Apostoli X 15); nel Libro della Scala (viaggi di ascensine di Muhammad),
forse alle origini della Commedia di Dante; nelle perdute Meraviglie di là da Tule di Antonio Diogene, alla
base della Storia vera di Luciano; nel II libro del Romanzo d’Alessandro.
12
Capitolo primo
ed esaltazione dell’esperienza, spazio mentale dell’ispirazione onirica, filosofica e
fantastica4 e spazio reale dell’ispirazione cartografica5. Nel corso del Rinascimento
esso connette le istanze formative della Bildung aristocratica6 e quelle eroiche della
difesa della cristianità e della conquista del nuovo mondo7, incrocia il confronto
umanistico tra letteratura e scienza, tra curiositas e auctoritas, tra sogno e realtà di
derivazione albertiana e lucianea8 e la dialettica tra passione e ragione, tra senno e
animosità, tra prudenza e pazzia, di cui si legge nei capitoli centrali dell’Encomium
di Erasmo (1509)9. Sottratto alla legge gravitazionale non meno che all’obbligo del
4
Per l’ispirazione onirica si pensi al nesso sogno-volo nel salto di Gradasso di Orlando innamorato
III VII 26 3-4 (per il quale cfr. infra), al nesso sogno-desiderio erotico nel volo di Angelica di Orlando
innamorato I I 17 1-2, 5-6 (per cui cfr. infra) o nel volo di Ruggiero di Orlando furioso X 114. Ispirazione onirica ironicamente dichiarata è anche quella di Ariosto in Orlando furioso XXXV 31, ma per
questa, come per i i canti XXXIII-XXXV (per i quali cfr. C. SEGRE, Da uno specchio all’altro: la luna
e la terra nell’«Orlando furioso», in ID., Fuori dal mondo. I modelli nella follia e nelle immagini dell’aldilà, Torino, Einaudi, 1990, pp. 101-114) si può ugualmente parlare di ispirazione filosofica e fantastica. Sul piano teorico, cfr. lo spazio dedicato all’aria e al volare da un filosofo epistemologo
dell’immaginario come Gaston Bachelard (Psicanalisi dell’aria. Sognare di volare. L’ascesa e la caduta, Milano, ed. Red 1988 e La poetica dello spazio, Dedalo, 1999) e alla categoria del fantastico (inclusiva del «meraviglioso» e dello «strano», perfettamente attagliati a una macchina per volare come
l’«ippogrifo, grande e strano augello» e al «camin cieco e strano» da lui percorso) analizzata da T. TODOROV, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 2000.
5
Come ha ben dimostrato A. DOROZLAÏ, Les sources cartographiques et le “Roland Furieux”: quelques
hypothèses autour de l’«espace réel» chez l’Arioste, in A. DOROZLAÏ, J. GUIDI, M. F. PIÉJUS, A. ROCHON, Espaces réels et espaces imaginaires dans le Roland Furieux, Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle 1991,
pp. 11-46 (CIRRI 19), pp. 11-46.
6
Pour le savoir du pilote necessario all’eroe cavalleresco per governarsi nelle impennate del desiderio, si potrebbe dire con Daniele Del Giudice di Atlante occidentale (Einaudi, 1985) e di Staccando
l’ombra da terra (Einaudi 1994). Cfr. P. BOITANI, Parole alate. Voli nella poesia e nella storia da Omero
all’11 settembre, Milano, Mondadori, 2004, pp. 215-220. Di fatto l’esemplarità eroica della tradizione
cavalleresca, assieme alle prove include la saggezza, l’autocontrollo del perfetto cavaliere, i cui prototipi
restano affidati ai modelli nobiliari Ruggiero e Astolfo di Ariosto, sui quali cfr. infra le pagine sul volo
a questi dedicate.
7
Attraverso il volo lunare, benedetto da Dio, di Astolfo, viene recuperato il senno dell’eroe Orlando,
necessario alla difesa della «santa sede» di Cristo di cui parla San Giovanni in Orlando furioso XXXIV
62-63; attraverso il volo atlantico di Eliodoro nella Genealogia di Girolamo Bossi (cfr. infra) sarà possibile la conquista del nuovo mondo.
8
Cesare Segre ha mostrato come l’Icaromenippo o il viaggio aereo di Luciano di Samosata, cui si
è ispirato anche Erasmo, sia alla base dei voli di Astolfo nel Furioso. Cfr. C. SEGRE, Leon Battista
Alberti e Ludovico Ariosto, in ID., Esperienze ariostesche, Pisa, Nistri Lischi, 1966, pp. 85-95 e L. PAMPALONI, Le «Intercenali» e il «Furioso»: noterella sui rapporti Alberti-Ariosto, in «Belfagor», 1974,
XXIX, n. 3, pp. 317-325; J. GUIDI, Imagination, maîtresse de vérité: l’épisode lunaire du Roland furieux,
in A. DOROZLAÏ, J. GUIDI, M. F. PIÉJUS, A. ROCHON, Espaces réels et espaces imaginaires dans le Roland
Furieux, cit., pp. 47-85.
9
Soprattutto XXXII-XXXV. Nonostante si ritenga possibile la conoscenza dell’opera da parte
dell’Ariosto (cfr. R. MONTANO, Follia e saggezza nel «Furioso» e nell’«Elogio» di Erasmo, Napoli,
edizioni di Humanitas, 1942; C. OSSOLA, Métaphore et inventaire de la folie dans la littérature italienne
du XVIè siècle, in Folie et déraison à la Renaissance, Brussels: Colloque international, Fédération Internationale des Sociétés et Instituts pour l’Étude de la Renaissance (Brussels 1976), pp. 171-196; C.
SEGRE, Da uno specchio all’altro: la luna e la terra nell’«Orlando furioso», in ID., Fuori dal mondo. I
modelli nella follia e nelle immagini dell’aldilà, Torino, Einaudi, 1990, pp. 104-114), non vi è certezza
su di essa (cfr. G. FERRONI, Ariosto e la concezione umanisica della follia, in Atti dei Convegni Lincei.
Convegno nazionale su Ludovico Ariosto, Roma, 1974, pp. 73-92).
Andar per l’aria
13
verisimile, anche se le acute osservazioni scientifiche affidate da Leonardo al Codice
degli uccelli si stagliano pur sempre all’orizzonte culturale dell’epoca che vede nascere un’opera come il Furioso, e con esse quelle (IV sec. a. C.) sulla Locomozione
degli animali di Aristotele10 e (I sec. d. C.) della Naturalis historia di Plinio il Vecchio11, la sua improbabilità di accadimento trova la sua prima ragione di essere, la
sua esclusiva giustificazione nell’ordine del mito che unisce insieme Oriente e Occidente, Bibbia e classicità. Il «cielo della mitologia», come quello della religione
e della filosofia abbondantemente penetrato nelle fabulae antiche e medievali, è fitto
di «traffico aereo» afferma Daniele del Giudice nel suo saggio sulla Meccanica per
viaggi al limite del non conosciuto12. Un traffico in vario modo filtrato nella tradizione del romanzo cavalleresco, in tutte le sue fattispecie, prima, durante e dopo
Ariosto.
2. Intonato ai rapidi mutamenti di prospettiva che fin dalle prime battute ne governano la rappresentazione, il romanzo ariostesco, come scrive Corrado Bologna,
non dà corpo al luogo (la corte), e neppure al non luogo (la corte ideale), ma al movimento fuori del luogo, nello spazio puro dell’etere13. Nel volo che lo rappresenta,
lo spazio aereo diventa vera e propria palestra di volo nei confronti della tradizione
stessa nella quale si innesta. Volano, in questa tradizione, demoni e spiriti infernali.
Volano, trasportati dal vento, o a cavallo di demoni, incantatrici, negromanti e
maghe. La funzione del volo che li concerne, quando non compresa nello schema
“meraviglioso” del combattimento dall’alto14, del rapimento15, della fuga o dell’allontanamento16, è per lo più quella del viaggio-missione, proiezione del desiderio,
proprio o altrui, e sua immediata soddisfazione. Incantatrici, negromanti e maghe
spiccano in genere il volo da un luogo chiuso, da un impasse, da un limite, transi-
10
In De incessu animalium 1 704 a 10-16 e b 7-8; IV 705 b 33- 706a 1 Aristotele individua con
quanti punti minimi gli animali si muovono 4 705 b 33- 706a 1 e ne descrive la fattura e il funzionamento
secondo la dinamica dei fluidi impiegata per le navi. Osservazioni in materia consegna anche a Historia
animalium I 5, 490 a 26-b 6; De motu animalium, 698 a 26-27.
11
L’osservazione pliniana sul volo degli uccelli si poteva leggere fra l’altro nell’ed. dell’ Historia
naturalis con traduzione di Cristoforo Landino, pubblicata a Venezia per Bartolomeo de Zani de Portesio, sin dal 1498 (adi XII di Septembre).
12
Si legge in Il romanzo, a c. di F. MORETTI, vol. IV, Temi, luoghi, eroi, Torino, Einaudi, 2003, pp.
293-315 (cfr. in particolare p. 310).
13
Cfr. C. BOLOGNA, La macchina del «Furioso». Lettura dell’«Orlando» e delle «satire»,Torino,
Einaudi, 1998, p. 120. A proposito del tema qui trattato, cfr. anche le pp. 105-110, dedicate all’Aria.
14
Che si ritrova in Atlante contro Gradasso, Ruggiero e Bradamante in Orlando furioso II 49-56 e
IV 23-24, e in Ruggiero contro l’orca marina, X 100-110.
15
Che si ritrova in Atlante rapitore delle «belle donne» nel racconto dell’oste a Bradamante (ivi, IV
6) e nel rapimento di Ruggiero (46-50).
16
Angelica in braccio al vento in Boiardo («Soletta al vento me farò passare», Orlando innamorato
I, II 13 5. Si cita qui e in seguito da M.M. BOIARDO, Orlando innamorato (d’ora in poi sigla OI), ed. a
cura di G. ANCESCHI, Milano, Garzanti, 1978. Corsivo nostro qui e altrove negli altri casi di citazione.
Del tutto escluso, nel contesto magico cui si fa riferimento, lo schema meraviglioso dell’apparizione rivelatrice, come quella di Amore e le tre Grazie, tra le quali Pasitea, che appaiono a Ranaldo sospesi
nell’aria presso la fonte di Merlino in OI II XV 50-56.
14
Capitolo primo
tando da un angolo all’altro della terra, congiungendo spazi simbolici contrapposti,
e si tratta di percorsi lunghissimi compiuti in un attimo, o nel giro di un giorno, o
nel corso di una notte. Nel I libro dell’Innamorato, Malagise, trasportato dai demoni
evocati da Angelica, giunge all’istante dalla prigionia di lei, a Parigi, alla prigione
di suo padre, nel favoloso Catai:
Al fin delle parole, o in quello instante,
Fu Malagise per l’aere portato,
E, presentato a Galafrone avante [...]
(OI I 53 1-3)
impiega poi una notte per raggiungere, con l’identico mezzo, Barcellona allo scopo
di riportare il cugino Ranaldo alla bella donna, di lui fieramente innamorata:
Malagise un demonio ha tolto sotto,
E via per l’aria se ne va di botto.
(E va volando per la notte bruna) […]
E già son giunti presso a Barcellona
(Forse restava un’ora a farse giorno) [...]
(OI I V 23 7-8; 24 2; 25 1-2)
Fallita quella missione, Angelica in persona ne ripete il «corso», volando dalla
mattina alla sera in groppa a un demonio sino alla Rocca di Altaripa:
Angelica dal vento è via portata,
Sopra a un demonio, che ha la faccia nera,
A crudel rocca gionse quella sera.
(OI I IX 10 6-8)
dove, librata nell’ “aria” del desiderio, invano proferisce all’amato l’erotico invito
a saziare con lei, se mai l’ebbe, la voglia di volare :
Non te rincresca de venirmi in braccio
Che via per l’aria te possa portare […]
Te potrai fare de un alto disio sacio
Se mai ti venne voglia di volare […].
(OI I IX 17 1-2, 5-6)17
Una diversa missione nel VII del Furioso conduce Melissa a mettersi in volo in
groppa a un diavolo dantesco viaggiando dalla sera alla mattina per raggiungere
17
In OI I II 12-14 Angelica per negromanzia si fa portare dal vento per l’aria sottraendosi al desiderio di Ferraguto e alla sua vista.
Andar per l’aria
15
dalla Francia l’isola di Alcina, nell’India orientale:
[…] un palafren fece apparir la sera,
ch’avea un piè rosso, e ogn’altra parte nera.
Credo fusse un Alichino o un Farfarello
che da l’inferno in quella forma trasse;
e scinta e scalza montò sopra a quello […]
Poi con tal fretta andò, che la matina
si ritrovò ne l’isola d’ Alcina.
(OF VII 49 7-8; 50 1-3 7-818)
In tutti questi casi, altri dello stesso segno se ne potrebbero citare, la rotta è una
indistinta linea trasversale che mai si trasforma in visione, o veduta, sia pure ristretta,
dall’alto, mai si traduce in evento diegetico rilevante nell’economia globale dell’opera, mai si apre al racconto della sua stessa avventura. La straordinarietà del
volo che la concerne è interamente affidata a un esile reticolo di dati, dove i luoghi
di destinazione e di partenza si sommano alle stringate indicazioni del tempo impiegato a congiungerli. Allo spazio dilatato del percorso («Vedrai di terra uno infinito
spacio / Sotto a’ tuoi piedi in un punto passare» promette Angelica a Rinaldo per invogliarlo a volare con lei in OI I IX 17 3-4) corrisponde uno spazio ristretto di scrittura. Uno spazio ben più dilatato di scrittura si apre nelle più complesse tipologie di
volo umano realizzato da cavallereschi eroi «volatori» di per sé non inscritti nella
categoria del magico. Sono queste, per gli itinerari reali e simbolici “altri” che vi si
registrano, per la mappa degli attraversamenti connessi allo strumento del volo e all’identità del protagonista, per l’avventura cui talora danno luogo, che qui innanzitutto si vorrebbe considerare. Esse conoscono una singolare fioritura in alcune prove
del romanzo cavalleresco impegnate, tra la prima e la seconda metà del Cinquecento,
a imitare, rifare o continuare, con un décalage sia pure marcato sotto il profilo della
realizzazione artistica, l’esperienza del Pulci, del Boiardo e dell’Ariosto, sino ad oltrepassare la soglia della loro stessa tradizione comunicativa in direzione dell’epica
eroica.
Le configurazioni del tema in questa produzione minore o minima forniscono indicazioni di rilievo non solo sulla “macchina per volare” trovata dal narratore, sulla
natura e rappresentazione del volo in relazione al pilota che lo governa, sulla funzione narrativa e simbolica da esso svolta nell’episodio narrato, ma anche sulla fortuna del modello che ne sta alla base, sul paradigma immaginativo e fantastico da
tale modello veicolato, sulla sua disponibilità a duplicarsi, transitando, di poco o di
molto variato, di autore in autore nel corso del tempo. Una minima sequenza di
esempi, ricavati da un breve, provvisorio sondaggio nel genere, si incaricherà in
qualche modo di illustrarlo. Ciò che riporta innanzitutto, per cenni, per brevi fram-
18
Si cita qui e altrove da L. ARIOSTO, Orlando furioso (d’ora in poi sigla OF), Prefazione e note di
L. CARETTI, Torino, Einaudi, 1971.
16
Capitolo primo
menti testuali, ad alcuni canti “alati” del Furioso, non senza, per il dialogo sotterraneo che vi si registra, qualche loro preliminare accostamento al XXV cantare del
Morgante e al VII Canto del III libro dell’Innamorato.
3. Nel XXV cantare del Morgante, com’è noto, si parla di un salto, non di un
volo: il salto di Rinaldo dall’Africa alla Spagna in direzione Roncisvalle sopra il
diavolo Astarotte entrato in Baiardo a «trattar l’aria come lieve uccello» (st. 225 4)19.
Quel salto smisurato, nello stile pulciano della dismisura, non soltanto si configura
in gran parte come un volo, non a caso viene a suo riguardo ironicamente evocata
la hybris di Fetonte («[…] va sù alto / da dir: – Fetonte più basso ebbe il curro », M
XXV 226 3-4)20, ma del volo umano in quanto aerea traversata di spazi aperti simbolicamente connotati e successivamente fatti oggetto di scrittura narrativa, dissemina più di una traccia. In groppa ad Astarotte entrato in Baiardo, il paladino
Rinaldo, fervido ammiratore di Dante, in viaggio dal fiume Bagrade a Gibilterra,
vede dall’alto i luoghi «dov’Ercule segnò li suoi riguardi / acciò che l’uom più oltre
non si metta», come si legge in Inferno XXVI 108-109:
Passato il fiume Bagrade ch’io dico,
presso allo stretto son di Giubilterra,
dove pose i suoi segni il Greco antico […].
(M XXV 277 1-4)
I voli di Ruggiero e Astolfo sull’ippogrifo nel Furioso faranno variamente riferimento a quei segni. Ruggiero, trasportato dal corsiero volante nell’isola di Alcina,
lasciandosi «distante / tutta l’Europa» (OF VI 17 5-6), esce «per molto spazio il
segno che prescritto / avea già ai naviganti Ercole invitto» (ivi, 7-8), e quando riesce
ad abbandonare quell’Eden di terribili meraviglie è nella sua direzione che si propone di tornare: aerea circumnavigazione compiuta invece da Astolfo nel suo tragitto
“meraviglioso” a Senapo. «Vide» infatti «le Gade», dice di lui il narratore, «e la
mèta che pose / ai primi naviganti Ercole invitto» prima di disporre la rotta verso
«l’Africa» (OF XXIII 98 1-2).
In groppa al suo infernale ma innocuo nocchiero, il paladino del Pulci instaura
un aereo dialogo umanistico sul senso del limite legato a quella «meta». Nel corso
di 17 ottave, il suo interlocutore diventa insieme il magico motore del volo e il teologo, il naturalista, il geografo in grado di smentire il valore di quel limite e di guidarlo virgilianamente nella selva dei dubbi che tale smentita può suscitare:
Disse Astarot: – Un error lungo e fioco [...]
19
Si cita qui e in seguito da L. PULCI, Morgante (d’ora in poi sigla M), ed. a cura di D. DE ROBERTIS,
Firenze, Sansoni, 1984.
20
E per Ricciardetto che lo segue su Farfarello l’esperienza di Icaro: «Ricciardetto ebbe paura e riprezzo, / perché tanto alto si vide di botto / che si trovò con Farfarello al rezzo, / e dubitò, ché si vide
il sol sotto / come s’e’ fussi tra ’l cielo e lui in mezzo; / e ricordossi di Icaro del botto / per confidarsi
alle incerate penne; / ma con fatica alla sella s’attenne» (M XXV 248).
Andar per l’aria
17
fa che si dice: «d’Ercul le colonne»
e che più in là molti periti sonne.
Sappi che questa opinione è vana
perché più oltre navicar si puote,
però che l’acqua in ogni parte è piana,
benché la terra abbi forma di ruote.
(M XXV 228 5, 7-8; 229 1-4)
Se anche diversamente orientato, se anche innanzitutto legato al Somnium albertiano, e all’archetipo lucianeo che lo sottende, il dialogo filosofico tra San Giovanni
e Astolfo sul senso delle cose terrene viste dal cielo della luna a bordo del carro
d’Elia del XXXIV del Furioso21, come quello, un secolo più tardi, tra Mercurio e
Apollo nel X dell’Adone mariniano che ad esso si ispira, si inscrive nella stessa prospettiva aerea, antigravitazionale del dialogo pulciano22. Qualche continuatore di
Boiardo, imitatore di Ariosto, come si evince nel breve sondaggio qui appresso riportato, manterrà nel suo poema, sia pure completamente prosciugata, stravolta e
mutata di segno, la funzione conoscitiva di quell’aerea prospettiva.
Il salto di Rinaldo del Pulci è un volo mentale fortemente voluto dall’eroe, nel
quale, è stato detto, sull’ultimo scorcio del Quattrocento si proietta l’ulissismo dantesco dell’autore, erede della «lungimiranza scientifica» del circolo mediceo dove
si trova a gravitare, assieme al cosmografo Paolo Toscanelli, dedicatario delle Intercenales di Alberti, e al filosofo Lorenzo Bonincontri, il primo teorico della futura impresa di Colombo, il secondo commentatore dell’Astronomicon di Manilio e
dell’opera di Tolomeo23. All’insegna di tale ulissismo, trasportato da Baiardo-Astarotte per il cielo di Gibilterra, l’eroe pulciano, un decennio prima della scoperta
dell’America, può così anticiparne l’evento ai lettori del Morgante, dando ali a un
desiderio di volo volto a inserire gli spazi per definizione aperti della scienza nelle
chiuse trame del poema narrativo:
[…] io voglio andar que’ paesi cercando
e passar questo mar dov’Ercul erra,
ché vivere e morir vuolsi apparando […]
(M XXV 245 3-5)
Nel Furioso si passerà a volo quel mare, ciononostante senza “ricercare” e ritrovare i realia geografici situati nel suo concreto al di là: nella terza redazione del
poema (OF XV 22 5-8), il viaggio condotto sulle loro tracce verrà soltanto profetizzato nell’ambito della nuova “ideologia della conquista” legata alla celebrazione
21
Per il quale cfr. C. SEGRE, , Da uno specchio all’altro: la luna e la terra nell’«Orlando furioso»,
cit., pp. 107-108.
22
Per il quale cfr. S. ZATTI, Nuove terre, nuova scienza, nuova poesia: la profezia epica delle scoperte, cit., pp. 189-197.
23
Cfr. G. NAVA, Il tema del nuovo mondo nella poesia italiana, in «Allegoria», V, 15, n. s., 1993,
p. 48.
18
Capitolo primo
ariostesca di Carlo V24. Declinata dalla medesima celebrazione, sul crinale della tradizione cavalleresca da me presa in esame, un eroe passerà quel mare, raggiungendo
via aria il nuovo mondo sia pure involontariamente e per volere divino25.
4. Di un altro salto, assai meno geograficamente, scientificamente e teologicamente smisurato di quello pulciano, ma forse non meno gravido di conseguenze sul
piano della navigazione aerea in seguito penetrata in questa tradizione parla Boiardo,
narrando dell’avventura di Gradasso nel canto VII del III libro dell’Innamorato. Un
cavallo scaturisce dal frassino che egli abbatte per aprirsi un varco nella selva prospicente la fontana delle Naiadi. Appena se lo vede davanti, il re di Sericana gli si
accosta «con molto ardimento», dando «di mano» alla sua «briglia bella, / senza
contrasto», saltandogli «ne la sella», «animoso», afferma il narratore, ma privo di
senno. Non ha posto abbastanza attenzione al motto di Fiordelisa, che inutilmente
ha tentato di renderlo accorto alla vista di qualche stranezza nel farsi largo con forza
nel chiuso groviglio silvestre:
Vince ogni cosa la animositate
ma condurla con senno è di mestiero […]
(OI III VII 16, 5-6)
La «bestia vana» subito s’impenna, sale vertiginosamente, lo trasporta «per
l’aria» come in sogno, e tanto «camina e monta ad alto» che la «scala strana» della
rovinosa discesa da tanta altezza intravista lo riempie non poco di terrore26 prima di
precipitarlo in balia delle acque narcotizzanti delle Naiadi, che mai avrebbero dovuto
accoglierlo:
Subito prese quel destriero un salto,
né poscia in terra più se ebbe a callare;
per l’ aria via camina e monta ad alto,
come tal volta un sogna di volare.
Battaglia non fu mai né alcuno assalto,
qual potesse Gradasso ispaventare;
ma in questo, vi confesso, ebbe paura,
veggendose levato in tanta altura;
perché ne l’aria cento passi o piue
l’avria portato quella bestia vana.
Il baron spesso riguardava in giue,
ma a scender gli parea la scala strana.
24
S. ZATTI, Nuove terre, nuova scienza, nuova poesia: la profezia epica delle scoperte, cit., pp.
163-166.
25
Cfr. infra il volo di Eliodoro nella Genealogia della gloriosissima casa d’Austria (1560) di Girolamo Bossi.
26
Dello stesso tipo di quello provato da Ricciardetto nel salto citato sopra Gibilterra nel romanzo
del Pulci (cfr. supra nota 20).
Andar per l’aria
19
Quando così bon pezzo andato fue
e ritrovosse sopra alla fiumana,
cader si lascia la incantata bestia;
nel fiume se atuffò senza molestia.
(OI III VII 26-27)
Neppure in questo caso siamo in presenza di un volo, ma del tragitto dissennato
di Ruggiero sull’ippogrifo dai Pirenei all’isola di Alcina tra il IV e il VI del Furioso
quest’aerea ipostasi boiardiana, collocata in uno dei più importanti punti di sutura
tra i due poemi, come direbbe il Sangirardi27, è più che un’insegna. Lo scarto realizzato dall’Ariosto nei confronti del predecessore consiste nell’inserire la dialettica
senno-animosità che la determina in un processo figurativo e dinamico “altro”, in
uno spazio dilatato e in movimento, dove l’esperienza dell’«andar per l’aria», sulla
straordinaria macchina volante da lui inventata lasciandosi alle spalle il Baiardo del
Pulci e il Rabicane del Boiardo e incrociando ironicamente il mitologico Pegaso
con gli ippogrifi dell’VIII ecloga virgiliana («iungentur iam grypes equis», Bucolicon liber VIII 27), comporta un’ironica inchiesta sul desiderio di volo e sull’arte di
volare28, sul freno della prudenza quale frutto prezioso da cogliere dall’erasmiana
pazzia che ogni volo umano rende possibile29:
Or di Frontin quel animoso smonta
(Frontino era nomato il suo destriero),
e sopra quel che va per l’aria monta
si legge ai primi tre versi dell’ottava 46 nel IV dell’Ariosto che, nell’epiteto «animoso» rivolto a Ruggiero dissemina una delle tessere fondamentali dell’avvertimento di Fiordelisa a Gradasso nel romanzo del predecessore, fornendo ai lettori la
chiave interpretativa del «folle» volo del capostipite degli Estensi, il quale, sul punto
di immettersi nella sua prima straordinaria avventura aerea, «con li spron […] adizza
il core altiero» dell’alato destriero e quello:
corre alquanto, et indi i piedi ponta,
e sale inverso il ciel, via più leggiero
27
G. SANGIRARDI, Boiardismo ariostesco. Presenze e trattamento dell‘Orlando Innamorato nel Furioso, Pisa, Maria Pacini Fazzi, 1993.
28
Inchiesta quale esperienza conoscitiva, che, come ben illustra Sergio Zatti, si articola nel passaggio
sperimentale dal cercare al ritrovare. Cfr. S. ZATTI, L’inchiesta e alcune considerazioni sulla forma del
poema, in ID., Il Furioso fra epos e romanzo, cap. II, Lucca , Pacini Fazzi, 1990.
29
Se, a p. 54 e sgg della Macchina del Furioso cit., Corrado Bologna parla dell’influenza che può
avere esercitato sull’Ariosto l’attenzione umanistica per le maschere della Follia, in Da uno specchio
all’altro: la luna e la terra nell’«Orlando furioso» cit, p. 110, Cesare Segre sottolinea invece la centralità
del senno, inteso come capacità di regolare e condurre a buon fine le cose umane derivata allo scrittore
di Ferrara dal Somnium di Leon Battista Alberti, contenuto nelle Intercenales. La pazzia nell’Alberti è
il contrario del senno, afferma Segre; diversamente in Erasmo, che «tramite il paradosso, sposta incessantemente la frontiera, e persino la valutazione tra i due termini opposti» (C. SEGRE, Da uno specchio
all’altro: la luna e la terra nell’«Orlando furioso» cit., pp. 110-111).
20
Capitolo primo
che ’l girifalco, a cui lieva il capello
il mastro a tempo, e fa veder l’augello. (ivi 5-8)
I paragoni ornitologici, segnatamente quelli concernenti i voli in altezza dei rapaci, svolgono funzione di verità nella mancanza totale di verisimiglianza di cui si
intride, in questo e in altri aerei frammenti del poeta ferrarese, il “meraviglioso” abbozzato30. Più leggero del falcone reale cui il mastro falconiere toglie al momento
opportuno il cappuccio invitandolo a prendere il volo attratto dalla preda, l’ippogrifo
dunque sale, «né può Ruggier frenarlo» (OF IV 49 5)31; il desiderio di volo che l’ha
indotto a cavalcarlo affrontando l’avventura degli spazi aperti del cielo dopo la
chiusa prigione nell’irto castello sui Pirenei, sorvegliato da Atlante32, assieme all’arte
del volare, manca completamente della meta per sperimentarla. Nonostante la costanza che caratterizza lo spirito guerriero del personaggio, il suo creatore lascia
ironicamente indovinare in questo modo tutta l’imbarazzante situazione critica in
cui, inesperto di rotte non meno che di navigazione aerea, viene a trovarsi:
Ben che Ruggier sia d’animo constante,
né cangiato abbia il solito colore,
io non gli voglio creder che tremante
non abbia dentro più che foglia il core.
(OF VI 17 1-4)
5. Di tale inesperienza cercherà di far tesoro l’eroe nel VI del Furioso, dopo essersi
accomiatato da Astolfo, nel quale – metamorfosato in mirto ad opera di Alcina –, per
primo s’imbatte non appena approdato all’isola che di questa prende il nome. Edotto
e «instrutto» dal paladino inglese sulla perigliosità della maga, col proposito di fuggire
la sin troppo facile strada che al suo chiuso giardino del piacere conduce, nuovo Ercole
al bivio egli pensa di evitare il difficile cammino alla virtù che porta alla sorella di lei,
la «fata prudente» Logistilla, per gli spazi aperti dell’aria appena sperimentati, ma il
dubbio che il «grande e strano augello» (OF VI 18 1) da lui dissennatamente cavalcato
non gli obbedisca al freno del morso finisce per trattenerlo dal rimettersi in sella. Egli
possiede ora una direzione, se anche non ancora una meta, possiede il desiderio di
30
Per quanto chi viaggia ai limiti del non conosciuto, nel poema ariostesco, si serva di macchinari
liberati dall’obbligo del verosimile. Nessun dettaglio naturalistico può annullare l’improbabilità del
loro viaggio, unicamente garantita dall’ordine del mito con cui si confronta.
31
La chimerica creatura che lo rapisce velocissima e leggera come l’aquila obbedisce solo all’esperto governo di un altro maestro, il negromante, il rapitore, il cavaliere armato, mezzo Perseo,
mezzo Medusa, che prima di venire clamorosamente sconfitto dall’ingegno e dall’arte di Bradamante,
per un intero mese ne ha domato il carattere, facendolo un docile Pegaso alle sue dipendenze dopo
averlo magicamente attratto dai favolosi monti Rifei allo scopo di servirsene come formidabile macchina
di attacco e di difesa contro chiunque osi scalfire l’impenetrabilità della prigione-labirinto costruita per
sottrarre l’eroe alle insidie del mondo.
32
Per cui si potrebbe forse anche pensare a Ruggiero come a un eroe claustrofobico, in ciò assimilabile all’Ulisse dantesco di cui parla Guglielmo Gorni in Lettera come numero, ovvero L’ordine delle
cose in Dante, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 194.
Andar per l’aria
21
volo; gli manca la perizia del pilota in grado di governarlo:
Venne al cavallo, e lo disciolse e prese
per le redine, e dietro se lo trasse;
né, come fece prima, più l’ascese,
perché mal grado suo non lo portasse.
Pensò di rimontar sul suo cavallo,
e per l’aria spronarlo a nuovo corso:
ma dubitò di far poi maggior fallo;
che troppo mal quel gli ubidiva al morso.
(OF VI 57 1-4; 58 1-4)
Liberato da Melissa dal giardino-prigione, al cui fascino maligno non ha potuto
alla fine sottrarsi, e seguendo alla lettera le istruzioni della liberatrice, alla «fata prudente» giungerà, con Astolfo, quattro canti più avanti, inteso come lui a «riveder
Ponente» (OF X 65 4), come lui dalla «fata prudente» apprendendo l’arte di volare,
allo stesso modo di Bellerofonte da Pallade Atena nel mito di Pegaso ricordato da
Pindaro nella XIII Olimpica33 e l’indicazione a farne uso per primo, tornando per
primo agli «aquitani liti» provvisto del giusto morso per frenare e dirigere la corsa
dell’eccezionale volatore. Sarà lei a mostrargli:
[…] come egli abbia a far, se vuole
che poggi in alto, e come a far che cali;
e come, se vorrà che in giro vole,
o vada ratto, o che si stia su l’ali […]
(OF X 67 1-4)
così che tutti gli «effetti» che soleva fare «il cavallier […] di buon destriero in piana
terra», tutti «facea Ruggier», che «mastro […] per l’aria» divenne «del destrier
ch’avea le penne» (ivi 5-8 ). Avviatasi col viaggio di andata in Oriente del futuro capostipite degli Estensi nel IV e nel VI canto del Furioso, l’inchiesta sull’arte del
volo e sul desiderio di volare affida dunque il suo sviluppo diegetico al X canto,
proseguendo con il viaggio di ritorno in Occidente dell’eroe, istruito dalla prudente
Logistilla. A partire dall’interruzione forzata in Bretagna dell’itinerario, dopo la discesa a Londra con vista sui preliminari d’imbarco di Scozzesi, Irlandesi e Inglesi
alla volta di Francia in difesa di Parigi assediata (OF X 73-90); la visione dall’alto
33
Cfr. Per Senofonte e per Corinto 85-95 (sulla doppia vittoria di Senofonte alla LXXIX olimpiade,
ricordata fra l’altro da Diodoro, Dionisio di Alicarnasso e Strabone), dove si legge di Pegaso che aveva
testimoniato un tempo il valore e il privilegio di Bellerofonte. Il primo eroe corinzio l’aveva domato con
l’aiuto di Pallade. Da essa aveva avuto il fregio aureo del morso. Ciò gli aveva consentito di cavalcarlo
a lungo, combattendo fra l’altro contro la Gorgone. Non seguito da Pindaro, il mito vuole che Bellerofonte non conoscesse tuttavia la misura e che lanciandolo al cielo ne fosse disarcionato. Così in Orazio
(Carminum lib. IV 11 26-31), dove l’episodio diventa simbolo del limite umano, rasentando il confine
dell’abuso, della contraddizione e della follia.
22
Capitolo primo
dell’Irlanda (ivi 92), il combattimento con l’orca per il salvataggio di Angelica (ivi
101-111)34, l’erotico trasporto nei confronti della bellissima donna (ivi 114-115),
foriero della rinuncia alla meta prefissata:
Non più tenne la via, come propose
prima, di circundar tutta la Spagna,
ma nel propinquo lito il destrier pose,
dove entra in mar più la minor Bretagna […]
(ivi 113 1-4)
dell’arresto dell’ippogrifo (ivi 114, 1-3) e del ritorno di questo da Astolfo («Fe’ il volante destrier, con maraviglia / di chi lo vide, al mastro suo ritorno (OF XXII 25 56), che meglio del giovane saracino, grazie alle istruzioni della «fata prudente», se
n’è fatto maestro35, è l’inchiesta sulla missione del volo e sul nuovo, magnifico pilota
deputato a inverarla, a dominare l’aperto spazio aereo del poema. Entrambe le inchieste sono del tutto ignorate dalla tradizione boiardiana e ariostesca qui presa in
esame. Nel breve sondaggio appresso riportato si guarda al volo di andata di Ruggiero per la costante da esso rappresentata in quanto rapimento in cielo dell’eroe:
l’effetto Ganimede di cui narra Virgilio in Aeneis V, 254-255 («praeceps ab Ida /
Sublimem pedibus rapuit Iovis armiger uncis»)36 è chiaramente inscritto nella prospettiva aerea apertasi agli occhi di Bradamante alla vista della portentosa salita
dell’amato:
Ciò che già inteso avea di Ganimede
ch’al ciel fu assunto dal paterno impero,
dubita assai che non accada a quello,
non men gentil di Ganimede e bello.
(OF IV 47 5-8)
ci si modellizza sull’incompiuto volo di ritorno per la funzione narrativa assunta
dalla varia geografia che lo concerne, relativa ai realia sorvolati. Teleguidato da
Atlante, il volo di andata al falso paradiso delle Indie orientali – il suo tracciato ironicamente disposto lungo la latitudine del tropico del Cancro, «verso ove cade a
punto / il sol, quando col Granchio si raggira» (OF IV 50 3-4), non può non richiamare l’itinerario di Colombo –, è il viaggio senza tempo della volontà del mago,
volta ad allontanare il giovane saracino dall’Europa gravida di guerre e dalla morte:
E questa opera fu del vecchio Atlante,
di cui non cessa la pietosa voglia
34
Modellato sul salvataggio di Andromeda da parte di Perseo in Metamorfosi IV 663-777. Cfr. D.
JAVICH, Affiliazioni alle «Metamorphoses» di Ovidio, in ID., Ariosto classico. La canonizzazione
dell’«Orlando Furioso», Milano, Mondadori, 1999, p. 141.
35
Cfr. su Astolfo, G. FERRERO, Astolfo (storia di un personaggio), in «Convivium», XXIX (1961),
pp. 515-530.
36
Si cita da VIRGILIO, Eneide, Introduzione e traduzione con testo a fronte di R. CALZECCHI ONESTI,
Torino, Einaudi, 1967, 5a ed.
Andar per l’aria
23
di trar Ruggier del gran periglio instante:
di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l’ippogrifo avante,
perché d’Europa con questa arte il toglia […].
(OF IV 45 1-6)
Nell’aereo tragitto forzatamente percorso, un rigido rettilineo preceduto da una
tesa verticale (il volo avviene «per linea dritta e senza mai piegarsi», OF VI 19 2,
dopo che Ruggiero «sì ad alto vien, ch’un picciol punto / lo può stimar chi da la
terra il mira», OF IV 50 1-2), non una visione si offre all’occhio dell’inconsapevole
viaggiatore, solo l’iniziale prospettiva dall’alto, connessa alla vertiginosa salita dagli
avallamenti dei Pirenei («di sotto rimaner vede ogni cima / et abbassarsi in guisa, che
non scorge / dove è piano il terren né dove sorge», OF IV 49 6-8), seguita da quella
sull’immensa distesa marina spazzata dai venti, di rado interrotta dall’emersione
qua e là dell’asciutto («sempre» infatti «l’ippogrifo il tenne / sopra il mare, e terren
vide di rado», OF X 69 3-4), la prospettiva finale della discesa essendo visivamente
percepita solo dall’ippogrifo nel suo lento planare sull’isola incantata, a tal punto
“meravigliosa”, che se anche quel grande uccello avesse esplorato tutto il mondo,
afferma ironico il narratore, non avrebbe potuto vedere luogo più «giocondo» e
«gentile»:
Non vide né ’l più bel né ’l più giocondo
da tutta l’aria ove le penne stese;
né se tutto cercato avesse il mondo,
vedria di questo il più gentil paese,
ove, dopo un girarsi di gran tondo,
con Ruggier seco il grande augel discese [...].
(OF VI 20 1-6)
Parziale repêchage pulciano, la rima tondo: mondo37, indicativa delle aeree circonvoluzioni dello straordinario esploratore alato sopra il chiuso mondo “altro” della
maga richiama, relativizzandoli e miniaturizzandoli al contempo, gli spazi geografici
aperti sui quali si intratterrà in seguito l’Ariosto nel dire dei viaggi più o meno fantastici dei suoi magnifici esploratori senz’ali del cielo e della terra. È quanto accade
innanzitutto nello stesso volo di ritorno in Occidente di Ruggiero: viaggio consapevolmente esperito dall’eroe, condotto per via del tutto diversa rispetto al «camin
cieco e strano» (OF VI 19, 8) dell’andata:
Quindi partì Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe’ già suo mal grado […]
(OF X 69 1-2)
37
Vale la pena di ricitare M XXV 227: «Passato il fiume Bagrade ch’io dico, / presso allo stretto
son di Giubilterra, / dove pose i suoi segni il Greco antico, / Abila e Calpe, a dimostrar ch’egli erra / non
per iscogli o per vento nimico, / ma perché il globo cala della terra, / chi va più oltre, e non truova poi
fondo, / tanto che cade giù nel basso mondo». Ma la rima tondo: mondo è presente anche in OI I 15,
51; 17, 59; 20, 44; II 16, 45; III 2, 42.
24
Capitolo primo
intrapreso inoltre assai più per «il piacer ch’avea di gire / cercando il mondo» (OF
X 72 3-4), facendo «batter le penne» al suo alato destriero «di qua di là, dove più
gli era a grado» (OF 69 5-6) che per il «desire / di ritornare a Bradamante presto»
(OF X 72 1-2). Si tratta infatti di una periegesi asiatico-europea messa in atto in più
mesi e per tappe successive («E spese giorni e mesi in questa via», OF X 73 5) col
preciso disegno di osservare da vicino la terra e il mare («sì di veder la terra e il mar
gli cale», OF X 73 6), sino a raggiungere di nuovo la Spagna e le fatidiche colonne,
punto di svolta fondamentale del primo involontario percorso in direzione dell’India,
così da concludere «tutto il cominciato tondo», avendo, come il sole, «girato il
mondo», afferma il narratore, che nel dire riprende, riportate ad altro significato, le
citate parole rima del VI del poema:
Al venir quivi, era, lasciando Spagna,
venuto India a trovar per dritta riga,
là dove il mare oriental la bagna;
dove una fata avea con l’altra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
che quella dove i venti Eolo instiga,
e finir tutto il cominciato tondo,
per aver, come il sol, girato il mondo.
(OF X 70)
Questo volo ironicamente intonato all’Ulisse dantesco38 (le spie intertestuali Spagna: bagna, omaggio ai celebri versi di Inferno XXVI 103-105: «L’un lito e l’altro
vidi infin la Spagna, / fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, / e l’altre che quel mare
intorno bagna», sono quanto mai significative in tal senso), ma tutto giocato all’interno del vecchio ecumene e mai portato a compimento:
Quinci il Cataio, e quindi Mangiana
sopra il gran Quinsaì vide passando:
volò sopra l’Imavo, e Sericana
lasciò a man destra; e sempre declinando
da l’iperborei Sciti a l’onda ircana,
giunse alle parti di Sarmazia: e quando
fu dove Asia da Europa si divide,
Russi e Pruteni e la Pomeria vide.
(OF X 71)
verrà, come sopra si scriveva, ripreso nel canto XXXIII da Astolfo, che, sulla base
degli stessi ulissistici presupposti (sanzionati fra l’altro dalle medesime spie intertestuali: «Spagna»: «bagna»: «Spagna»: «Bretagna»; «Spagna»: «montagna»; «Spagna»: «Campagna»), completerà con esso l’itinerario terrestre e marittimo seguito
al proprio ritorno dall’isola di Alcina39, animato, come il futuro capostipite degli
P. BOITANI, L’ombra di Ulisse. Figure di un mito, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 66.
Cfr. E CERULLI, Il volo di Astolfo nell’Etiopia nell’«Orlando Furioso», in «Rendiconti dell’Accademia dei Lincei», s. VI, vol. VIII, 1932, pp. 19-38.
38
39
Andar per l’aria
25
Estensi, da un solo desiderio, che l’Ariosto enfatizza in una nuova ironica ripresa
della citata testualità del VI e X canto
[...] cercar la terra e il mar, secondo
ch’avea desir, quel ch’a cercar gli resta,
e girar tutto in pochi giorni il mondo [...]
(OF XXII 26 3-5)
ironizzando al contempo su Ruggiero, che tale desiderio a ogni costo si era per primo
invano proposto di perseguire:
Poi che de’ Galli ebbe il paese scorso
da un mare a l’altro e da Pirene al Reno,
tornò verso ponente alla montagna
che separa la Francia da la Spagna.
Passò in Navarra, et indi in Aragona,
lasciando a chi ’l vedea gran maraviglia.
Restò lungi a sinistra Taracona,
Biscaglia a destra, et arrivò in Castiglia.
Vide Gallizia e ’l regno d’Ulisbona,
poi volse il corso a Cordova e Siviglia;
né lasciò presso al mar né fra campagna
città, che non vedesse tutta Spagna.
Vide le Gade e la meta che pose
ai primi naviganti Ercole invitto.
Per l’Africa vagar poi si dispose
dal mar d’Atlante ai termini d’Egitto.
Vide le Baleariche famose,
e vide Eviza appresso al camin dritto.
Poi volse il freno, e tornò verso Arzilla
sopra ’l mar che da Spagna dipartilla.
Vide Marocco, Feza, Orano, Ippona,
Algier, Buzea, tutte città superbe,
c’hanno d’altre città tutte corona,
corona d’oro, e non di fronde o d’erbe.
Verso Biserta e Tunigi poi sprona:
vide Capisse e l’isola d’Alzerbe
e Tripoli e Bernicche e Tolomitta,
sin dove il Nilo in Asia si tragitta.
Tra la marina e la silvosa schena
del fiero Atlante vide ogni contrada.
Poi diè le spalle ai monti di Carena,
e sopra i Cirenei prese la strada;
e traversando i campi de l’arena,
venne a’ confin di Nubia in Albaiada.
26
Capitolo primo
Rimase dietro il cimiter di Batto
e ’l gran tempio d’Amon, ch’oggi è disfatto.
Indi giunse ad un’altra Tremisenne,
che di Maumetto pur segue lo stilo.
Poi volse agli altri Etiopi le penne,
che contra questi son di là dal Nilo.
Alla città di Nubia il camin tenne
tra Dobada e Coalle in aria a filo.
Questi cristiani son, quei saracini;
e stan con l’arme in man sempre a’ confini.
(OF XXXIII 96 5-8; 97-101)
Per la funzione narrativa svolta dall’«ispirazione cartografica» che lo governa,
è soprattutto questo volo, assai più di quello cosmico inscritto nelle prove eccezionali del nuovo esploratore della terra e del cielo, a diventare paradigmatico nella
tradizione da me esaminata. Non agli spazi allegorici, filosofici e fantastici del viaggio-missione dello straordinario paladino al Paradiso terrestre e nella valle della
Luna (canti XXXIII-XXXIV del Furioso)40, ma agli spazi reali da lui prima sorvolati
completando con il proprio l’itinerario aereo di Ruggiero, prolungato verso l’Africa
favolosa di Senapo e delle Arpie, guarderanno in genere imitatori di Boiardo e continuatori di Ariosto tra la prima e la seconda metà del Cinquecento elaborando il
topos del viaggio ai limiti del mondo conosciuto. Sarà proprio la funzione narrativa
svolta dall’ispirazione cartografica ariostesca, attiva nel poeta del Furioso nella figurazione degli itinerari aerei non meno che in quella dei viaggi per mare, come
esemplarmente ha mostrato Alexandre Dorozlaï41, a dare consistenza ad alcuni dei
voli orchestrati nei loro romanzi dagli autori da me esaminati, senza che in nessun
caso in essi si profili, ironica come nel Furioso, la figura dell’ulisside moderno,
senza che mai riescano a trasmettere l’entusiasmo del Ferrarese nel contemplare il
mondo dall’alto muovendosi con lo sguardo alla velocità del pensiero sopra gli spazi
aerei di un microscopico mappamondo o di un piccolissimo rettangolo di carta42.
6. È quanto accade, in forme diverse, in continuatori del Boiardo del terzo decennio del Cinquecento come Francesco Tromba da Gualdo e Marco Guazzo, autori
rispettivamente, nel 1528, di Draga de Orlando Innamorato, e dell’Opera nova intitolata la Fede. Ma è quanto accade anche in imitatori del Boiardo e continuatori
dell’Ariosto dei decenni successivi: nel II libro dei Trionfi di Carlo di Francesco
de’ Lodovici, del 1535, nella Continuazione dell’Orlando furioso di Sigismondo
Sui quali, oltre a C. SEGRE, Fuori dal mondo, cit., cfr. J. GUIDI, Imagination maîtresse de vérité:
L’épisode lunaire du «Roland Furieux», in Espaces réels et espaces imaginaires dans le «Roland furieux», cit., pp. 47-85.
41
A. DOROZLAÏ, Les sources cartographiques et le Roland Furieux: quelques hypothèses autour de
l’«espace réel» chez l’Arioste, cit.
42
«Penché sur son planisphère, le poète embrasse du regard le monde entier: dominant cet espace
figuré à l’échelle réduite, ses yeux parcourent, à la vitesse de la pensée, des distances mesurables en
pouces (qui sont la traduction des milles ou des lieues d’une géographie grandeur nature)» (ivi, p. 11).
40
Andar per l’aria
27
Paolucci, del 1543, nell’Amadigi di Bernardo Tasso, del 1560, nell’Artemidoro di
Mario Telluccini, del 156643. Il libro II di Draga de Orlando innamorato di Francesco Tromba da Gualdo44 presenta, al canto VIII, uno statico volo senza tempo del signore d’Anglante sopra i tre continenti del vecchio mondo, minuziosamente descritti
nel corso di 41 stanze da Elia al paladino mentre questi gli grava sul dorso appoggiandosi ora al piede destro, ora a quello sinistro a ogni cambio di direzione. La
verga del santo, che funge insieme da «bossol» e «carta disegnata», gli mostra l’arte
del «divino geometra» con didascalica pedanteria, mettendogli sotto gli occhi gli
innumerevoli territori del creato, e tutto il volo, sottratto alla sua dinamica consistenza aerea, si riduce al catalogo dei luoghi reali e immaginari delle carte di Tolomeo, con aggiunte stilizzate sugli usi e i costumi del popoli nutrite di storici e
mitologici dettagli alla maniera del Mandeville45. Il sermone didattico di Elia,
estrema, residuale evocazione, forse, di quello di San Giovanni ad Astolfo nel cielo
della luna sul carro del profeta, presenta con sistematica gradatio i principali lineamenti della superficie terrestre: esclusi i mari, menzionando i fiumi, le montagne, i
popoli e le città dei tre continenti, all’Asia dedicando 22 ottave, all’Africa 3, all’Europa 14. Così nelle stanze d’apertura:
Tutta la terra è partita in tre parte,
per nome dico, e non toccare el mare;
e vole el geometra con sua arte
che una sia per doie a non mancare;
le qual, se l’ochio tuo potrà portarte,
con questa verga te credo mostare,
ma se dove t’ho ditto tu andarai,
ch’un altro mondo sia tu crederai.
Or questa è l’Asia, barone onorato,
e de tutta la terra è la mità,
quale te mostro tutta a questo lato
che più appresso a nui vedi che sta;
l’altra mità, baron da Dio mandato,
sensa doi parte, questa e quella là,
Africa questa, e la Europa è quella,
temperata, abondante, altiera e bella.
43
Ringrazio Giancarlo Bettin per i materiali sul volo messimi a disposizione, estrapolati dai testi da
lui acquisiti nell’ambito della sua tesi di dottorato (Per un repertorio dei temi e delle mutazioni del poema
epico-cavalleresco) discussa con Ginetta Auzzas (Dipartimento di Italianistica, Università di Padova,
a.a. 2001-2002) e ora in G. BETTIN, Per un repertorio dei temi e delle convenzioni del poema epico e cavalleresco: 1520-1580, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2006 (Memorie, 113).
44
F. TROMBA DA GUALDO, El secondo libro della Draga de Orlando (d’ora in poi Draga), Perugia,
Bianchino del Leone, 1528. L’esemplare, consultato in microfilm, si trova presso la Biblioteca Trivulziana di Milano (segn. Triv. H 2056).
45
Giovanni di Mandeville (ca. 1300-1372). I suoi racconti più o meno fantastici di viaggi compiuti
in levante, in India ed in Cina, godettero di vasta risonanza alla fine del Medioevo e durante tutto il secolo XV secolo, parallelamente all’interesse del tempo per la geografìa in generale, e per l’opera di Tolomeo in particolare.
28
Capitolo primo
Grande il paese, el tuo guardar vien manco,
però, de Dio cavaliere e barone,
posa el pe’ destro tuo sul mio pe’ manco,
e mostrarote tutte le regione
de qua fin dove el sol el mar fa bianco,
e puoi da mezzo dì a settentrione
con questa verga che mi vedi in mano;
e così fece el senator romano.
(Draga II 8 29-31)46
Questo enciclopedismo straripante e onnivoro, che chiude in uno schema cartografico unitario, dopo averne azzerato ogni dinamismo, l’intera geografia delle traversate dei due grandi volatori ariosteschi, finisce per organizzare anche la scena
del volo di Erculpezzato nel II canto dell’Opera nova intitolata la Fede di Marco
Guazzo47, benché in questo caso l’attenzione del lettore sia ugualmente portata sul
movimento impresso al volo dal vento, il viaggio aereo configurandosi come il ratto
sopra una nuvola dell’eroe, scampato (da solo) a una tempesta di mare come la nave
volante nella Vera historia (I 9-10) di Luciano approdata all’isola celeste degli Ippogipi. Se lo scenario mosso del volo è alla base della rappresentazione dinamica
del «volatore», dipinto «quale ugello / che sopra l’ali posando respira» (Fede II 63
5-6), la staticità dello schema cartografico contrassegna quella dell’itinerario aereo:
per tre giorni (il tempo subisce l’influenza della distesa miniaturizzata si potrebbe
dire, traducendo Doroslaï48) l’eroe viene infatti sbalzato sopra la nube da una parte
all’altra del vecchio mondo, ma sempre con sistematica ratio, in modo da poter sostare sui tre continenti mostrati a Orlando da Elia in Draga de Orlando innamorato
giusto il tempo per poterli cartograficamente «essaminare». Il vento, che «ciascadun
senso / tremar» gli fa (Fede II 62 5-6), soffiando sulla nuvola lo fa girare dapprima
al di sopra dell’Europa, trattenendolo per quattro ottave sopra di essa:
Sopra Europa un tempo quel aggira
e tutta a suo bel modo l’essamina,
l’insule Vernia e Alvion remira
e l’una e l’altra Ispania gli è vicina,
dico le tre; ei le circonda allora,
non già di poco sopra li dimora.
(Fede II 61 3-8)
46
Qui e altrove del testo direttamente citato dalla cinquecentina vengono normalizzate grafia e interpunzione.
47
M. GUAZZO, Opera nova de antiqui cavallieri d’armi e d’amore intitolata la Fede (d’ora in poi
Fede), Venezia, Bindoni e Pasini 1528. Si tratta del IV libro del Belisardo (cfr. M. GUAZZO, Belisardo
fratello del conte Orlando, Venezia, Zoppino, 1525 in tre libri e 29 canti con numerazione progressiva),
stampato a parte in nove canti. L’esemplare, consultato in microfilm, mutilo dell’ultimo fascicolo, si
trova presso la Biblioteca Estense di Modena: segn. 28.LL.47. Nel citato Belisardo, alla fine del III
libro, l’eroe riusciva a scampare a una tempesta di mare e veniva lasciato su una nuvola.
48
A. DOROZLAÏ, Les sources cartographiques et le «Roland Furieux»: quelques hypothèses autour
de l’«espace réel» chez l’Arioste, cit., pp. 11-12.
Andar per l’aria
29
poi con gran furore lo sospinge per «poca dimora» sopra l’Africa, dove rimane infatti
un’ottava:
In Africa con gran furor lo spense
e Mauritania vide Cesariense.
E l’altra Mauritania vide ancora,
Numidia, Africa, Cirenaica certo,
Marmarica e do Egitti vide allora,
due Libie, due Etiopie […],
(Fede II 62 7-8, 63 1-4)
infine lo spinge per tre ottave «sopra Asia la Magna» e qui, sotto l’incalzare del soffio, le traiettorie di volo si velocizzano e si scompigliano come carte mosse dall’aria.
Dall’Irlanda il paladino vola sull’Albania, sull’Armenia, sulle quattro Sirie, sulle
tre Arabie, sulla Mesopotamia, sull’India, per finire alle colonne d’Ercole, da dove
finalmente riesce a liberarsi della nuvola, mentre questa sorvola un alto monte (dopo
tanta profusione di nomi non meglio precisato, si potrebbe forse pensare alla catena
dell’Atlante), aggrappandosi con le mani alla cima di un dirupo, ciò che offre la
giusta chiave di lettura all’aerea geografia dei luoghi, ironicamente rivisitata dall’autore nello stile paradossale di Luciano assai più che all’insegna dell’Ariosto,
anche se è senz’altro il paradigma cartografico ariostesco (si veda anche solo OF X
92 1: «E vide Ibernia fabulosa» nell’incipit del frammento qui appresso riportato)
a ispirarne la scrittura:
Ibernia vide, come Turpin dice;
dopo Albania, Armenia la maggiore,
Cipro, che nel gran mar ha la radice,
le quattro Sirie, e tre Arabie in poche ore,
la Petrea, la Diserta, e la Felice;
Babilonia, ove nacque il grande errore,
Mesopotamia, Asiria si vede anco,
Susiana, Media, Persia d’ogni fianco.
Partia, le due Carmanie, e Margiana,
Ircania, Sace e le due Scizie vide,
Serica, Battriana, e Soliana,
e l’Indie due, che’l gran Gange divide,
Aracosi anco, e la gran Trapobana,
e le colonne che già pose Alcide.
Pur via passando, anci nel ritornare,
ei delibrosi al tutto liberare.
Mentre la nube un alto monte passa,
pur costeggiando della cima alquanto,
a un diruppato sasso giust’abbassa,
e con le man a quel s’avinchia tanto,
che la nube sforciata al tutto il lassa,
30
Capitolo primo
né di tenirlo in sé se dà più vanto.
Non dimandar se in sù alcia la testa,
se de sua libertà mena gran festa.
(Fede II 64-66)
Scenari dinamici altri, ma medesimo paradigma cartografico, rappresentano gli ingredienti di base del volo di Rinaldo che si legge nei Trionfi di Carlo in terzine di
Francesco de’ Lodovici, del 1535, e di quello di Astolfo nella Continuazione di Orlando furioso di Sigismondo Paolucci, del 1543. Nel primo caso ci troviamo di fronte
alla continuazione della materia dell’Anteo gigante, interessante esempio, negli anni
Venti del Cinquecento, di poema all’insegna di una tradizione romanzesca arcaizzante, ma, come ricorda Alberto Casadei, volto, in senso boiardiano, al moderno49;
nel secondo a un seguito vero e proprio dell’opera del Ferrarese. Nel romanzo del Lodovici assistiamo al caso «maraviglioso» di un rapimento provvidenziale dell’eroe
che ha la pura e semplice funzione di velocizzarne via aria la quête amorosa. In quello
del Paolucci, una battaglia celeste sferrata contro l’eroe dai suoi aerei nemici ha lo
scopo di sottrarlo al compimento del suo disegno per disporlo a una nuova avventura.
Nell’un caso come nell’altro si tratta di tipologie poco variate di volo rispetto a quelle
ariostesche, i cui paradigmi immaginativi fondamentali si stagliano con evidenza all’orizzonte della scrittura.
Nei Trionfi di Carlo (prima parte del libro I)50 Rinaldo vola per dodici ore afferrato
dagli artigli di un mostruoso dragone alato uccisore di elefanti, mentre dal Marocco,
bandito da Carlo, decide di recarsi al Cataio a incontrare la bella ebrea di cui per
fama si è innamorato («’nnamorato m’hai [Amore] dov’io son ora / d’una ch’è pur
da me troppo lontana, / io son in Libia, ed ella in Catacora», Trionfi XCIII 127-129).
Il mostro lo afferra e, come l’ippogrifo nel primo volo di Ruggiero, lo trascina ruotando in un’erta verticale sino alle stelle («rotando s’alzò sino alle stelle», Trionfi
XCIII 115) che molto ricorda quella di Atlante nel suo combattimento con Gradasso
nel II del Furioso («Sin alle stelle il volator trascorse » OF II 52 1), seguita da un rettilineo verso levante («prese ’l viaggio suo verso levante / dove lo finì poi sempr’in
via retta», Trionfi XCIII 128-129), sorvolando il Nilo, il mar Rosso, l’Arabia, il mare
di Persia, il Gange, sino agli estremi confini dell’India, mai raggiunti neppure da
Alessandro nei suoi mitici viaggi dentro i confini del mondo («Fin ne l’India ove
mai non fu Alexandro», Trionfi XCV 120):
Prese Rinaldo con gl’ artigli suoi,
e rotando s’alzò verso le stelle
com’aquila suol far tolta da noi,
49
Cfr. A CASADEI, Riusi e rifiuti del modello dell’«Innamorato» tra il 1520 e il 1530, in ID., La fine
degli incanti. Vicende del poema epico-cavalleresco nel Rinascimento, Milano, Franco Angeli, 1997, p.
40.
50
F. DE’ LODOVICI, I trionfi di Carlo (d’ora in poi Trionfi),Venezia, Bindoni e Pasini, 1535. L’esemplare, consultato in microfilm, si trova presso la Biblioteca Comunale d Treviso (segn.: II.21.16). Qui
e negli esempi seguenti di volo interpunzione e grafia della cinquecentina citata vengono riportate agli
usi odierni.
Andar per l’aria
31
né poteva ’l guerrier sue braccia snelle
punto adoprar, ch’era a le spalle preso […]
[…] quand’ei fu tanto
quanto gli parve nel ciel alto asceso,
si lasciò andare a riscia in altro canto
con quel furor che suole andar saetta
mossa qua giù fra noi dal regno santo,
e per caso andand’ei con tanta fretta,
rese il viaggio suo verso levante,
dove lo finì poi sempr’in via retta
né mise in terra mai l’onghiute piante,
né abbandonò al guerrier mai ’l duro dosso
finch’ei non fu di là di Garamante,
d’Arabia Felice e di quell’onde
da cui il lito di Persia vien percosso,
poscia più oltre ancor del terren donde
corre Indo fiume e di quel dove Gange,
partendo ambedue l’Indie, in mar s’asconde […].
(Trionfi XCIII 114-118, 122-137)
Nella Continuazione dell’Orlando Furioso del Paolucci51 lo scenario è diverso.
Non Ruggiero, ma Astolfo va per l’aria sull’ippogrifo a volo teso e a freno sciolto
e con una meta precisa: raggiungere velocemente Carlo («su l’ippogrifo a volo andarne, e’ tenta / ogni camin più brieve», Continuazione XL 7 4-5), meta subito interdetta dalla furia combinata di Noto e delle Arpie, decise a vendicarsi del paladino
inglese per essere state, nel romanzo ariostesco, da lui rinchiuse all’inferno («in
l’aria poco alzossi, ch’altro poi / trovò contrario a’ desideri suoi, Continuazione XL
7 6-8). Il volo di Astolfo del Paolucci si fonda su un’ironica legge del contrappasso
che rovescia in negativo l’esito delle imprese compiute dal paladino inglese nell’opera del predecessore. La felice missione aerea compiuta da Astolfo presso l’africano Senapo, uno dei luoghi fantastici al pari di quelli reali legittimamente inseriti
nelle carte di Tolomeo alla base delle aeree trasvolate del Furioso52, si trasforma,
nella sua Continuazione, in autentica peripezia, lo spazio dell’aria non essendo più,
come nel romanzo del Ferrarese, il luogo aperto delle traversate (del combattimento
e della vittoria), e neppure un libero spazio solcato dalla rotta del desiderio, ma uno
spazio chiuso, abitato da mostri, governato dall’ostilità degli elementi:
51
S. PAOLUCCI FILOGENIO, Continuatione di Orlando Furioso, con la morte di Ruggiero (d’ora in
poi Continuazione), 1543. L’esemplare, consultato in microfilm, si trova presso la Biblioteca Marciana
di Venezia (segn.: 92.C.174).
52
Il ricordo del misterioso sovrano etiope cui forse l’Ariosto si sarebbe ispirato, altrimenti ricordato
come Prete Gianni (cfr. J. DELUMEAU, Il regno del Prete Gianni, in ID., Storia del Paradiso, Il giardino
delle delizie, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 97-128; trad. it. di Une histoire du Paradis. Le jardin ds délices, Paris, 1992 a cura di L. Grasso), figura già sul planisfero disegnato da Angelino Dalorto nel 1325.
Cfr. E. CERULLI, Il volo di Astolfo nell’Etiopia nell’«Orlando Furioso», cit., p. 27.
32
Capitolo primo
El vindice allor Noto, e fier’ Arpie,
mentr’ei mirando più pensoso stava,
a l’alato destrier le larghe vie
chiudon soffiando, che suspeso errava
su le sferzate penne: che con pie
voci, Astolfo mercé n’adimandava
al Ciel pietoso, e con solemne voto;
tra sé riderne spesso udiase Noto.
(Continuazione XLI 16)
Per un tempo imprecisato il paladino viene sbalzato da un luogo all’altro del
cielo come l’eroe sulla nuvola del Guazzo. Con lui l’ippogrifo erra in altezza sferzato
dal vento come un uccello dalle ali bagnate («Qual calendrino in l’aer sol sovente /
da impetuoso vento combattuto», Continuazione XL 19, 1-2), mentre l’aria si addensa di umidi vapori, il giorno non si distingue dalla notte, il mondo ridiventa caos:
Repiena è l’aria de vapor intorno,
umidi, e sol caligin par si veggia:
notte non sembra, e non rassembra giorno,
ché teme il mondo un caos tornar deggia.
Rotagli intorno senza alcun soggiorno,
né gli val che mercede alcuna chieggia,
né spera di salute, o quiete mora,
men scerne s’è meridie, sera, o aurora.
(Continuazione XLI 18)
Come l’eroe virgiliano in Aen. I 81-130, canovaccio figurativo di base nell’aerea
rappresentazione, Astolfo guarda pensoso alla sventura che lo coglie impotente. Le
vie larghe del cielo si sottraggono alla sua fuga non meno che alle sue libere traversate, ed è a questo punto che, a meglio rappresentare lo scenario sconvolto in cui egli
si dibatte, ma anche a scioglierne il nodo della peripezia, entra in azione lo schema
cartografico del Furioso, nel volo in altezza addetto a mimare le elementari cognizioni astronomiche e cosmografiche del De sphaera mundi di Giovanni Sacrobosco
e dello Speculum Naturale di Vincent de Beauvais; in quello in discesa rivolto alla
cartografia di Tolomeo, sul modello di Francesco Tromba da Gualdo e di Marco
Guazzo. Sbalzato alle stelle dalla furia di Noto, il paladino, assieme alle due Orse,
vede infatti intero lo Zodiaco:
Suspeso in aria […], ora l’Ariete
da Frisi tolto, or d’Europa il Toro,
or le doe forme Geminate e liete,
el paventoso Cancro, ed or, qual oro,
el Lion rubicondo […]
ed ora […]
l’umida e fredda Virgine si vede […]
(Continuazione XLI 21 1-7)
ma quando Noto cala il soffio, facendo scendere l’ippogrifo, ai suoi occhi comincia
Andar per l’aria
33
a profilarsi la veduta aerea delle terre temperate, seguita da quella, a volo d’uccello,
dei fiumi, dei monti, delle città:
[…] l’Ydaspe, il Gange, il Mauro, e l’Indo vede
e delle Cinque zon l’intiera sede.
Discerne l’habitabili de quelle,
l’inabitate delle Cinque ancora […]
Gl’Appennini trascorse e i Pirenei,
ora sormonta il gran superbo Atlante,
or gli alti Caspi ed or gli Cirenei,
or Gibilterra se rimira avante […]
Vede l’Icar, l’Egeo, vede l’Eufrate,
il Gange, il Nilo, il gran Danubio ed ora,
per obliqu’onda ed or dritte contrate […],
le cittade e le terre […].
(Continuazione XLI 23 7-8; 24 1-2; 25 1-4; 26 1-4)
La ricorrenza dello schema cartografico ariostesco nei voli prodotti nei loro romanzi da continuatori dell’Innamorato o imitatori del Furioso nei primi decenni del
Cinquecento mostra, come si vede, tutta la forza paradigmatica della sua funzione
narrativa primaria, volta a circostanziare, delimitandolo, lo spazio e talora il tempo
del volo, mentre dà luogo alla loro aerodinamica rappresentazione, aprendola non
di rado a vera e propria avventura. Lo schema, è bene ricordarlo, ricorre anche negli
ariosteschi Cinque Canti, dove si legge del volo di Gano e compagni sulla nave incantata disegnata da Gloricia attorno agli eroi dormienti per farli giungere nel giro
di una notte all’isola di Alcina:
Lasciando Ptolomaide e Berenice
e tutt’Africa dietro, e poi l’Egitto,
e la deserta Arabia e la Felice,
sopra il mar Eritreo fecion traghitto.
Tra Persi e Medi e là, dove si dice
Battra, passan, tenendo il corso dritto,
tuttavia fra oriente e tramontana,
e lascian Casia a dietro a Sericana.
(Cinque canti I 8953)
Se anche le visioni offerte dal paradigma su Persi ed Eritrei ricordano in parte
quelle legate al viaggio in Occidente di Astolfo voluto per primo da Logistilla nel
canto XV del Furioso54, siamo a una sorta di duplicazione del volo di Ruggiero al-
53
Si cita da L. ARIOSTO, I cinque canti [ca. 1519, poi in Orlando furioso, Venezia, 1545], a cura di
L. CARETTI, Torino, Einaudi, 1977.
54
Cfr. «Più tosto vuol che volteggiando rada / gli Sciti e gl’Indi e i regni nabatei, / e torni poi per
34
Capitolo primo
l’isola di Alcina orchestrato da Atlante nel IV dell’opera. Radicalmente diverso nei
fini, il volo di Gano ha in comune con esso anche il teso rettilineo della traiettoria,
proiezione della volontà dell’incantatrice («tenendo il corso dritto», Cinque canti I
89 7), e l’assimilazione totale della navigazione aerea a quella marina («e per l’aria
ne va come legno unto / a cui nel mar propizio vento spira», si legge nel Furioso (IV
50 5-6); «e verso il ciel ne va come per l’onda / suol ir nocchier che l’aura abbia seconda» nella giunta dei Cinque Canti I 87 7-855).
Nella prima metà del Cinquecento, un solo volo, tra quelli da me considerati, si
sottrae completamente al fortunato paradigma cartografico ariostesco: quello di Rinaldo al Parnaso nell’Agrippina di Pier Mario Franco del 153356, legato come sembrerebbe, in esclusiva, alla Vera historia di Luciano. Allo stesso modo del volo di
Erculpezzato nella Fede di Marco Guazzo, l’eroe viene rapito sopra una nuvola sospinta dal vento nel corso di una tempesta (in questo caso notturna) di mare, ma la
fabula di Luciano che sottostà all’episodio del Guazzo incide qui assai più radicalmente sull’intera vicenda. Per un giorno e una notte Rinaldo affronta l’esperienza
dello spazio aereo sconvolto a bordo della nave nella quale si trova e assieme al suo
equipaggio. Sospesa in aria a vele spiegate, la nave continua a veleggiare sopra la
nuvola per il cielo stellato mentre il vento senza posa la sferza, ovunque tuoni e folgori risuonano e nessuno può comprendere ove sia il mare:
Trovossi allor la nave al ciel stellato
sopra la nube con le sarte e velle,
grand’era il vento, crudo e disperato
che scorrer fa la nave sopra quelle,
questo par a ciascun mirabil fatto
che si discerne il ciel carco di stelle
e folgori si sente e tonizare
e vanno a vella e non si vede il mare.
(Agrippina VI 74)
Il narratore onnisciente, che invoca il soccorso della Musa dell’Astronomia per
salire lui stesso sopra la nuvola e mettere in scrittura quanto vi accade («Or […] /
[…] mi convien sopra le nubbe andare, / ma tant’alto salir io già non oso / senza
l’alto suffragio adimandare, / perché l’ingegno mio cotanto è grosso, / che non potria
la nubbe penetrare. / Urania dunque in mio soccorso imploro, / che mi conduchi al
suo sublime coro», Agrippina IX 35), dapprima ironicamente argomenta sul “meraviglioso” dell’evento, opponendo alla sua inverosimiglianza (pesantezza della nave
a fronte della leggerezza della nuvola), l’autorità di Turpino:
così lunga strada / a ritrovare i Persi e gli Eritrei» (OF XV 12 1-4).
55
Secondo una topica che era già dantesca. Cfr. M. CORTI, Percorsi dell’invenzione. Il linguaggio
poetico e Dante, Torino 1993, p. 151; G. STABILE, Navigazione celeste e simbolismo lunare in «Paradiso» II, in «Studi Medievali», serie III, XXI (1980), pp. 97-140.
56
P.M. FRANCO, Agrippina, Venezia, Aurelio Pincio, 1533. L’esemplare, consultato in microfilm,
si trova presso la Biblioteca Comunale di Treviso (segn.: II. 6.I.2).
Andar per l’aria
35
Non è possibil già (dirà qualcuno)
che la nubbe sustenga ’l peso grave,
ma di Turpin qui le ragion’adduno,
qual dice: – Se ne l’acque una gran nave
giace di sopra (come vede ognuno),
perché sopra le nubbe inique e prave,
essendo fatte d’acqua ed aer spesso,
tenir non si potrà quel peso istesso?
(Agrippina VI 75)
disquisendo sulla resistenza del corpo all’attrito dell’aria, secondo considerazioni
alla spicciolata che non poco richiamano quelle ben altrimenti formulate da Leonardo nel codice degli uccelli:
Ancor dice Turpino, e mostra ingegno,
che ’l vento grande su le nubbe spesse
con tanta forza respingeva il legno
che già non pol callar se ben volesse […]
(Agrippina VI 76 1-4)
quindi presenta ai lettori i discorsi angosciati della ciurma, che solo all’indomani si
scopre a navigare per l’aria senza comprendere né dove si trova, né come possa
uscire dalla strana avventura:
Dunque, con questo novo navicare
tutta la nave va girando intorno,
credendo ancor di ritrovarsi in mare;
ma poi che fu scoperto il nuovo giorno,
e per l’aria vedendose volare,
ogniun divenne sbigotito e storno,
né san che far, o che partito prendere,
ché via non hanno di poter discendere.
(Agrippina IX 37)
L’ironia del Franco nel rappresentare la situazione sta tutta nel sottolineare la
fermezza d’animo di Rinaldo a fronte dello spaesamento e del terrore dei naviganti
nel vedersi trasportati senza meta negli spazi ampi del cielo e senza poter rispondere
alle molte questioni da loro sollevate sul destino stabilito da Dio nei loro confronti.
Onde ciascun piangendo si lamenta
di questo caso cosi orrendo e strano;
il timido patron trema e paventa
e ben confida il lor futuro danno.
Tutta la turba, misera e scontenta,
posta s’atrova in doloroso affanno.
Solo Rinaldo, la persona accorta,
spera di ben, e i marinar conforta.
(Agrippina IX 38)
36
Capitolo primo
Una piccola inchiesta filosofica, alla maniera di Luciano, viene da essi collegialmente condotta sul perché della loro salita, sulla natura e funzione della nave che li
ha rapiti in alto, sulla perigliosità del salto che diversamente da quello del Rinaldo
pulciano possono da un momento all’altro, precipitando, sperimentare. Chiosando
ironicamente le affermazioni di Rinaldo, che intreccia nel suo dire proverbialità
spicciola e dettato dantesco e attribuisce il volo a precisa disposizione divina («el
non si move / una vil frasca, una minuta foglia / senza la voluntà del sommo Iove,
/ ch’ogni grazia giù scende di sua voglia / ma in una parte più e meno altrove»,
Agrippina IX 39 2-6), uno di loro sostiene che Dio intende mutare con una nuova
la vecchia nave rotta che si dice veleggiasse per il cielo, accenno indiretto alla fonte
lucianea della vicenda; un altro che intende mutare in uccelli i marinai; un altro che
il volo di questi finirà in salto mortale, se non all’inferno, come il precipitare fatale
degli angeli nella caduta di Apocalisse 12 7-9; un altro che mai avrebbe avuto termine la navigazione celeste. L’assenza di visione di cui si argomenta, prima che la
nave volante s’incagli, andandosi in mille pezzi a schiantare sul Parnaso («che sol
sopra le nubbe era rimaso», commenta ironico il narratore in Agrippina IX 44 7-8,
altrettanto ironicamente ragguagliando sul fatto che mentre tutti, saltati a terra, prendono la via della discesa, la vetta paradisiaca viene raggiunta dal solo Rinaldo, salitovi a ritrovare il profetico San Giovanni del XXXIV del Furioso), supplisce, dal
punto di vista diegetico, alle visioni offerte altrove dal paradigma cartografico ariostesco. Di questo paradigma Rinaldo e i compagni di volo, nel romanzo del Franco,
ignorano tutte le certezze.
Nella prima metà del secolo, come si è visto, sono queste visioni-certezze per lo
più a dominare la rappresentazione dello spazio aereo, rendendolo suscettibile di
racconto. Nei decenni successivi il paradigma cartografico resiste, come nell’Artemidoro in 43 canti sull’eponimo favoloso capostipite dei Medici di Mario Teluccini,
del 1566, ma la sua funzione narrativa tende a svuotarsi, assunto com’è a semplice
cliché decorativo. Così nei voli-missione di Floridante sul cavallo alato Aquilino, o
sul carro dorato della fata Argea nell’Amadigi di Bernardo Tasso di sei anni antecedente. Nel romanzo del Teluccini, che elabora narrativamente il mito scientifico
degli Antipodi, il paradigma rappresenta lo spazio ampio di volo, «or sopra terra, or
sopra l’onde», di Regina, figlia di Carlo, principessa del popolo di cui, avvalorando
la concezione della pluralità dei mondi che autorità come Aristotele, Agostino e Lattanzio da sempre avevano negato57, parla Astarotte a Rinaldo nel XXVI Morgante:
Antipodi appellata è quella gente;
odia il sole e Iuppiter e Marte,
e piante ed animal, come voi, hanno,
e spesso insieme gran battaglie fanno.
(Morgante XXV 231 5-8)
57
Sul mito scientifico degli Antipodi, popolo che vive a testa in giù e gambe in su in un continente
simmetrico dall’altra parte del globo e a cui Tommaso Stigliani farà ancora riferimento riferendosi al
Mondo nuovo nell’omonimo poema da lui pubblicato nel 1628, cfr. G. MORETTI, Gli Antipodi. Avventure
letterarie di un mito scientifico, Parma, Pratiche, 1994.
Andar per l’aria
37
Trainato dai grifoni Eto e Piroo, gli alati destrieri del Sole di Metamorfosi II 153,
e guidato da Malco, il carro dorato della maga Umbria, assieme all’amato Selvaggio,
trasporta per l’aria l’illustre viaggiatrice del simmetrico continente situato sull’altra
parte del globo, aprendole dall’alto la visione delle terre tra Europa e Asia sorvolate,
accostate a sera per passarvi la notte, come nell’esperienza di volo di Ruggiero al
suo ritorno in Occidente nel X del Furioso.
Non crediate, Signor, che però stia
per sì lungo camin sempre su l’ale:
ogni sera all’albergo se ne gìa,
schivando a suo poter d’alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via,
sí di veder la terra e il mar gli cale.
Si legge in Ariosto (OF X 73 1-6), e in Teluccini, che per via intertestuale in più
luoghi lo ricorda a chiusura di Artemidoro XVI 81 3-858:
Disse Regina: – Io vo che tu procuri
Malco ogni sera, per non gire in vano,
d’alloggiamento, pria che ’l dì s’oscuri,
e ch’or a destra, or a sinistra mano,
or sopra terra, or sopra l’onde sproni,
insin che in India giungono i grifoni.
Sul carro di Umbria, la principessa in volo-missione nel «nostro mondo» allo
scopo di liberare il fratello Artemidoro dall’aereo castello-prigione fatto costruire
dalla maga, raggiunta la Gallia Cisalpina, fa ruotare il carro verso Nord-Ovest e,
con un solo giro, riprendendo in parte l’itinerario interrotto di Ruggiero, sorvola
«mezza Europa», portandosi dal mar d’Adria e dall’«Ercolea riviera» all’Inghilterra,
alla Scozia, all’Irlanda:
Malco il desir de la donzella intese,
fece come suol far l’aquila altera,
che dopo molti giri, a la fin preso
dritto il cammin, va dov’andar più spera,
girò veloce il carro, col gran peso,
dal mar d’Adria a l’Ercolea riviera,
scorse Inghilterra, Ibernia, e Scozia a volo;
meza Europa girò a un giro solo.
(Artemidoro XVI 83)
58
M. TELUCCINI SOPRANNOMINATO IL BERNIA, Artemidoro, dove si contengono le grandezze degli Antipodi. All’Illustrissimo, ed eccellentissimo signore, il Signor Don Francesco De Medici principe di Toscana (d’ora in poi Artemidoro), Venezia, Domenico e Giovan Battista Guerra, 1566. L’esemplare,
consultato in microfilm, si trova presso la Biblioteca Braidense di Milano (segn.: Rari Castiglioni 18).
38
Capitolo primo
Lo farà poi, in direzione contraria al corso apparente del sole, di nuovo ruotare,
tenendo la rotta verso le ricche contrade del levante, qua e là sorvolate a velocità ridottissima («fa che Malco a drittura camina, / o che girando ’l fren, l’aria attraversi»), prendendo «diletto» dalla visione dall’alto della loro multiforme diversità
territoriale, mentre tenta di imbattersi nel magico castello «alto ne l’aria» dov’è segregato il fratello:
Scorre d’Europa la Sarmazia e lassa
il gran scitico mar molto lontano.
Indi su l’asiatica trapassa,
poi de’ Moscovi e Permi il monte e il piano,
e de’Circassi, vagheggiando passa;
riman meravigliato ogni occhio umano.
Vide oltre la Meotide Mallea,
Colchi, dove Giason furò Medea.
Tal diletto a mirar prende Regina
del nostro mondo i paesi diversi
che fa che Malco a drittura camina,
o che girando ’l fren, l’aria attraversi.
Vede Mesopotamia, e Palestina,
Assiri, Medi, Parti, Ircani e Persi;
d’Armenia e Siria vid’ogni pendice,
e l’Arabia diserta e la felice.
Vuol girar tanto la fanciulla vaga,
che s’abbatta per sorte a quel castello
ch’alto ne l’aria fabricò la maga
per liberar l’amato suo fratello.
(Artemidoro XVII 3-4; 5 1-4)
Nell’aperto spazio di volo dell’eroina, le visioni offerte dal paradigma cartografico ariostesco – un elenco di popoli e luoghi reali e leggendari del nostro mondo
ricco di specificità denominativa –, hanno la funzione di riflettere l’affascinata prospettiva di sguardo dell’esploratore-pilota della tradizione romanzesca con cui il Teluccini negli anni Sessanta del Cinquecento si trova ancora intensamente a dialogare
rappresentando le multiformi meraviglie del mondo simmetrico59. Non così in Bernardo Tasso. Nel suo romanzesco e mitologico poema, le visioni offerte dal paradigma ariostesco sono solo paesaggistica ouverture alle imprese dell’eroe che in
seguito prendono il sopravvento, la loro essenziale mise en abîme. Nel canto XLIV,
59
All’altezza degli anni Sessanta del Cinquecento il Teluccini chiude, in un certo senso, il cerchio
aperto sugli Antipodi dal Morgante del Pulci. Non sembra ad ogni modo casuale che il suo poema venga
indirizzato a un Medici, il cui casato, interessato sin da subito alle imprese e ai miti del Mundus Novus,
poteva risultare sensibile allo sviluppo diegetico di una materia ancora non del tutto cavallerescamente
sperimentata, cui poteva forse assicurare il giusto favore del pubblico.
Andar per l’aria
39
un erto itinerario in altezza sul destriero alato Aquilino con vista vertiginosa sulle
costellazioni, tra le quali Andromeda, sin dal X del Furioso connessa alle prove spaziali di Perseo del IV delle Metamorfosi60, seguito da una traversata a diporto con
amena veduta a volo d’uccello sui colli di Toscana fa da esordio alle prove di Floridante sul Monte della Fama:
Tre volte andò sotto l’Orsa gelata
e vide la corona e’l pigro Arturo;
di Berenice ancor la chioma ornata;
il Delfin ch’Arion menò securo;
la donna, ch’a Perseo fu tanto grata […]
Comincia per lo cielo ire a diporto
mirando sotto i piè città e castella;
i fiumi errar per calle lungo e torto;
i colti colli, la fiorita e bella
campagna […]
(Amadigi XLIV 7 1-5; 14 1-561)
mentre nel canto LXXXII una lunga trasvolata mediterranea sul carro di Argea introduce la riconquista, sul monte Atlante, del magico occhio delle figlie di Forco, avventurosamente sottratto alle due temibili sorelle del IV delle Metamorfosi
trentacinque canti prima:
Vide appresso nel Carpazio seno
l’antica Rodi […]
passò il fecondo e gran regno di Creta […]
ed alla destra man quasi reina
era Palermo, Peloro e Lilibeo
Sicilia dominante la marina […]
Poi giunto a Malta, presa indi la via
che ben sapea l’auriga al suo cammino
a Cartagine andò di Barbaria […]
E Tunisi passato oltra, e Bugia […].
(Amadigi LXXXII 36 1-2; 37 1; 39 1-3; 40 1-3, 5)
Quest’ ultima veduta aerea, del tutto ignorata nel volo della dormiente Floriana
sul carro di Medea all’isola del Piacere in Rinaldo X 30-35 di Torquato Tasso, di soli
due anni posteriore al romanzo del padre (1562), come anche nel volo del dormiente
60
61
Cfr. Ovidio Metamorfosi IV 663-743 e D. JAVICH, Affiliazioni alle Metamorphoses di Ovidio, cit.
Si cita da B. TASSO, Amadigi [1560], Venezia, Antonelli, 1831.
40
Capitolo primo
Rinaldo sul carro di Armida al giardino-prigione nelle Isole fortunate nel XIV della
Liberata, di un decennio più tardo, nel volo della maga musulmana al castello di lei
nell’infeconda riva del Mar morto, a distruzione del giardino-prigione avvenuta nel
XVI, risulta produttiva di segno, nel XV, della navigazione mediterranea di Carlo e
Ubaldo sulla navicella della Fortuna in rotta verso le omonime isole:
Vide appresso nel Carpazio seno
L’antica Rodi […]
Passò il fecondo e gran regno di Creta […]
Ed alla destra man quasi reina
Fra Palermo, Peloro e Lilibeo
Sicilia dominante la marina […]
Poi giunto a Malta, presa indi la via
Che ben sapea l’auriga al suo cammino
A Cartagine andò di Barbaria […]
E Tunisi passato oltra, e Bugia[…]
Rodi e Creta lontane inverso al polo
non scerne […]
Tripoli appar su ’l lido, e ’ncontra a questa
giace Malta […]
Nel curvo lido poi Tunisi vede […]
A lui di costa la Sicilia siede,
ed il gran Lilibeo gli inalza a fronte
Or quivi addita la donzella a i due
guerrieri il loco ove Cartagin fue […]
Trovar Bugia […]
(Amadigi LXXXII 36 1-2; 37 1; 39 1-3; 40
1-3, 5)
(Gerusalemme Liberata XV 17 1-2; 18 5-6;
19 1, 5-8; 21 3)62
Siamo sulla linea sottile di confine tra generi nella quale l’eroico memore di
Aen. III 698-706, finisce per debordare nel romanzo, attratto dal fascino delle sue
avventurose e digressive peregrinazioni. Non a caso, come bene ha messo in luce la
critica, le ottave successive del canto tassiano (24-32) mostrano in maniera evidente
la loro dipendenza strutturale dalla tradizione ariostesca e pulciana, di cui costituiscono almeno in parte la risposta63. Strumento della provvidenza divina, la «mirabil
nave» del testo di Torquato sembra letteralmente volare passando sicura «tra legno
e legno» per poi scomparire alla vista come aquila lanciata in ardite verticali verso
il sole:
[…] come aquila sòle
tra gli altri augelli trapassar secura
e sorvolando ir tanto appresso il sole
che nulla vista più la raffigura,
così la nave sua sembra che vòle [...]
(GL XV 14 1-5)
ma si tratta di ottica illusione; la legge dell’epica eroica incentrata sulla compatibilità
tra “verosimile” e “meraviglioso” che ne governa l’immagine le nega l’esperienza
completa dell’«andar per l’aria» fatta propria dalla tradizione del romanzo. Questa
esperienza, relativamente ai materiali esaminati individua, negli anni Sessanta del
62
63
167.
Si cita da T. TASSO, La Gerusalemme liberata, a cura di L. CARETTI, Bari, Laterza, 1961.
Cfr. S. ZATTI, Nuove terre, nuova scienza, nuova poesia: la profezia epica delle scoperte, cit. p.
41
Andar per l’aria
Cinquecento, una sorta di invalicabile spartiacque tra le due tradizioni. Sulla linea
sottile di confine che le unisce e insieme le separa, una sutura sembrerebbe tuttavia
ravvisarvisi, rilevata tra le altre e degna di menzione nel breve excursus qui proposto
sul tema: l’aerea traversata atlantica di Eliodoro, paladino di Carlo, che si legge
nella Genealogia della gloriosissima casa d’Austria in 10 canti di Girolamo Bossi,
del 1560, edita parte nel 1557 e dedicata a Filippo II re di Spagna64. La straordinaria
avventura dell’eroe del Bossi, nell’opera antenato illustre di Carlo V, solo in apparenza potrebbe rappresentare il romanzesco rilancio, a quasi un secolo di distanza,
dell’ulissismo dantesco del Rinaldo pulciano, e sia pure con le parole del IV del Furioso sul volo-rapimento di Ruggiero all’isola di Alcina ripronunciato:
E in poco d’ora il fiume, e Francia insieme
si lascia dietro, e tiene il camin dritto
per l’onde salse, ove le parti estreme
al mondo già prescrisse Ercol invitto,
v’arriva, e passa, e proprio a mira preme
l’onde non tocche avanti, ov’è prescritto
salir più in alto al sol, che aviene a punto
quando col granchio gira ricongiunto.
(Genealogia II 50)
per linea dritta (VI 19 2)65
il segno che prescritto
avea già ai naviganti Ercole invitto (VI 17 78)
ove cade a punto
il sol, quando col Granchio si raggira (IV
50 3-4)
Si tratta di un viaggio di segno profondamente diverso. Come Ruggiero nell’inconsapevole volo di andata al mondo virtuale delle Indie Orientali, Eliodoro non è
spinto da umanistica o pre-umanistica curiositas di conoscere mondi “altri”, né sa
dove possa condurlo il suo «andar per l’aria» su un battel volante senza nocchiero66
che inizialmente «fende a volo / l’acqua» (Genealogia II 47 6-7) come un odierno
aliscafo («manco vola / saetta d’arco al destinato segno», «va più presto assai, / che
dire, e che pensar si possa mai», Genealogia II 48 4-5; 49 7-8) e mentre viene suo
malgrado trasportato oltre le Colonne d’Ercole, nella stessa direzione del futuro capostipite degli Estensi nel poema dell’Ariosto, molto teme per la morte infame che
ne può venire, priva del nome e dell’onore che solo le armi possono dare:
Odia un morir sì brutto e inonorato,
teme col corpo estinto che sopito
nel profondo del mare eternamente
il nome resti incognito a la gente.
(Genealogia II 55 5-8).
64
G. BOSSI, La genealogia della gloriosissima casa d’Austria al serenissimo e invittissimo re catolico, Filippo d’Austria, suo signore (d’ora in poi Genealogia), Venezia, Giovan Battista e Melchiorre
Sessa, 1560. L’esemplare, consultato in microfilm, si trova presso la Biblioteca Braidense di Milano
(segn.: XX.IX.64).
65
Nel volo di Astolfo, continuazione di quello di Ruggiero: camin dritto OF XXXIII 97 6.
66
In OI I VIII 1 Ranaldo giunge a Palazzo zoioso su una nave «che ha il nocchier che non appare»,
mentre in OF XLIII 52 8 la barca di Rinaldo sul Po «vola» («pel fiume andò come per l’aria augello»).
42
Capitolo primo
Il suo tragitto dall’Europa all’America, cui forse non sono del tutto estranei né
il terzo libro della Syphilis del Fracastoro, venuto a mandare nel 1557, né le Navigazioni e viaggi del Ramusio, scomparso nel 1553, non nell’involontaria scoperta
dell’isola perigliosa della maga del IV e VI del Furioso tuttavia si inscrive, ma nella
legittimazione provvidenziale della scoperta per la conquista del nuovo mondo del
XV, che così recita nella terza e ultima redazione dell’opera, enunciando la profezia
di Andronica ad Astolfo con le citate parole rima del IV e del X:
Altri lasciar le destre e le mancine
rive che due per opra erculea fersi;
e del sole imitando il camin tondo,
ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
(OF XV 22 5-8)67
Dal punto di vista narrativo, l’episodio ricalca il consueto schema dell’aereo rapimento dell’eroe per sottrarlo al proprio destino. Ma lo schema è rovesciato e rivisitato in chiave negativa. A orchestrare la traversata è ancora un mago, il Malagigi
della tradizione pulciana e boiardiana, ma incline a trasformarsi nell’Idraote o nell’Ismeno di tassiana memoria piuttosto che a modellarsi sul paterno Atlante dei poeti
di Scandiano e di Ferrara, con l’ultimo dei quali pure mantiene più di un tratto figurativo in comune:
Onde conchiuse, accada che si voglia,
di volere adoprar l’ingegno e l’arte,
che quel ch’ordisce il ciel vieti e si toglia
e da questo pensier mai non si parte.
Pens’egli con qual via d’Europa il toglia,
se pon de l’arte sua tanto a le carte
Eliodoro che ’l mandi sì lontano,
che mora, o che tornar ne speri in vano.
E questa opera fu del vecchio Atlante,
di cui non cessa la pietosa voglia
di trar Ruggier del gran periglio instante:
di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l’ippogrifo avante,
perché d’Europa con questa arte il toglia.
(OF IV 45 1-6)
(Genealogia II 43)
Il suo magico sapere non deriva dall’arcana saggezza di spiriti neutri rispetto a
Satana e a Dio come l’Astarotte pulciano, e neppure dalla straordinaria «dottrina»
negli «incanti d’ogni sorte» (OF VII 44, 3-4) del domatore dell’ippogrifo, ma da un
vero e proprio emissario del maligno, che gli fa credere l’eroe designato alla futura
discendenza di Casa d’Austria foriero di sventura per le sorti della cristianità e lo
convince a bandirlo per sempre dall’Europa e dal mondo68.
Su tale profezia cfr. ancora S. ZATTI, Nuove terre, nuova scienza, nuova poesia: la profezia epica
delle scoperte, cit., p. 165). Cfr. inoltre A. CASADEI, “Nuove terre e nuovo mondo”: le scoperte geografiche nel c. XV, 18-27, in Stategia delle varianti. Le correzioni storiche del terzo «Furioso», Lucca, Pacini-Fazzi, 1988, p. 81.
68
«Disse il malvagio: – Se Marfisa resta / sposa d’Eliodoro, un giorno uscire / deve del sangue loro
67
Andar per l’aria
43
La fiera intenzion, l’empio desire
era del negromante che dovesse
per l’incognito mar tant’oltra gire,
che rimaner disperso egli n’avesse,
e poi miseramente al fin morire;
e se pur questo il ciel non permettesse,
segua tanto del sol il cammin tondo,
che lasci Europa in tutto, e ’l nostro mondo.
(Genealogia II 52)
Dio assume invece in proprio la ventura del «valoroso» e «pio cavaliero» e del
suo magico volo lungo il «cammin tondo» del sole, e realizzando in anticipo la citata
profezia di Andronica ad Astolfo del XV del Furioso, per via intertestuale espressamente accostata69, fa del suo volo di allontanamento dal «nostro mondo» e dalla
vita un viaggio di scoperta e ritrovamento di un «altro mondo70:
Vola in obliquo, e in giro si disserra
con l’aria tratto dal girar del cielo,
e a poco a poco par che scorga terra
in guisa come a gli occhi avesse un velo;
indi chiaro comprende che non erra,
scaccia in tutto dal core e sgombra il gielo
de la paura, e certa in lui s’aviva
la morta speme di salvarsi a riva.
Vola ratto la nave com’un vento,
v’arriva, e passa molte isole belle,
che in più modi nomar, sì come sento
a nostra etade gl’inventor di quelle;
rinova Eliodor alto lamento,
e più che mai si lagna de le stelle,
ché sempre il legno fugge, e sempre schiva
di prender porto, e di voltarsi a riva.
una tempesta, / che la cristianità farà languire. / E più d’ogn’altra parte afflitta e mesta, / che di quella
tempesta abbia a sentire, / Francia sarà, che più ne’ futuri anni / ne patirà percosse, ingiurie e danni». E
il narratore onnisciente aggiunge: «Sapeva l’empio come in cielo ordito / quel connubio a salute era del
mondo, / e ch’indi un giorno al fin sarebbe uscito / chi la terra farebbe e ’l mar giocondo, / che col ferro
e la spada al fin sopito / ogni tumulto, e Marte messo al fondo, / e le virtù riposte al seggio loro, / faria
fiorire i santi giorni d’oro». E ancora: «Mille e più volte aveva il ver predetto / lo spirto a Malagigi del
futuro; / ed or depinto il falso il maladetto / gli aveva» (Genealogia II 27 2-9; 41 1-4). Di qui la decisione
del mago di rapire l’eroe sul battello volante.
69
Come del resto il proposito di Ruggiero nel X, che in qualche modo, e non solo per via intertestuale, la precorre. Cfr. supra.
70
Preposto alla celebrazione dell’impero di Carlo V. Nel canto V, la cui allegoria vuole espressamente significare che «sempre l’eterna providenzia tutte le cose de’ giusti dirizza, e termina a buon
fine» (Genealogia V Argomento), Eliodoro sarà accolto dalle ninfe dalle quali ascolterà l’elogio di Filippo II re di Spagna, dedicatario dell’opera.
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Capitolo primo
Pur finalmente cominciò a scoprire
isola no, ma un altro mondo pare,
onde che non si possa oltra più gire
si crede, e che finisca ivi quel mare.
(Genealogia IV 74-75; 76 1-4)
A un simile viaggio voluto da Dio avrebbe guardato Torquato Tasso nel primo
abbozzo del XV della Gerusalemme, aprendo alla navigazione atlantica l’itinerario
mediterraneo della navicella della Fortuna:
Così parlava, e le mai corse strade
solca fra l’Occidente e ’l mezzo giorno.
Già son dove ogni stella sorge e cade
e sempre gira egual la notte e ’l giorno […].
Vanno innanzi scorrendo, e già lor sorge
il polo cui l’Europa unqua non scorge.
Veggion duo merghi indi con l’ali molli
quasi radendo andar l’onda marina.
La fatal donna a i duo guerrier mostrolli
per segno che la ripa è già vicina.
Ed ecco di lontano oscuri i colli
scopron de l’umil terra peregrina;
lor nel petto un desio subito viene
di lasciar l’acque e di calcar l’arene71.
Ma la navigazione atlantica, per la via del mare non meno che per quella dell’aria
inventata dal Bossi, se poteva giustificarsi nell’ottica digressiva del meraviglioso
romanzesco intriso di attualità e di storia della terza redazione del Furioso, apparteneva alla tipologia degli erramenti che la poetica dell’eroico non tollerava72. La via
71
Si cita direttamente da T.J. CACHEY JR., Dal nuovo mondo alle isole fortunate: note sulla revisione
del c. XV della «Gerusalemme Liberata», in ID., Le Isole Fortunate. Appunti di storia letteraria italiana,
Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1995, p. 236.
72
Non a caso l’autore della Liberata circoscrisse «progressivamente l’avventura di Rinaldo entro
un luogo periferico ed eccentrico del mondo conosciuto» e la fece del tutto «scomparire» nella Conquistata (S. ZATTI, Nuove terre, nuova scienza, nuova poesia: la profezia epica delle scoperte, cit., p. 173);
non a caso nei Discorsi del poema eroico fece della metafora della navigazione atlantica una chiave di
lettura per significare gli invalicabili limiti della norma letteraria («Credono molti […] che de le scienze
e de l’arti più nobili sia avvenuto come de’ popoli, e de le province, e de le terre, e de’ mari, molti de’
quali non erano ben conosciuti da gli antichi, ma di nuovo son ritrovati oltre le colonne d’Ercole verso
Occidente […] rassimigliano costoro agli ammaestramenti de l’arte poetica e de la retorica a le mete
ed a’ segni i quali son posti per termini a’ timidi naviganti. Ma sì come io non biasimo l’ardire guidato
dalla ragione, così non lodo l’audacia senza consiglio, parendomi pazzia ch’altri voglia fare arte del caso,
virtù del vizio e prudenza della temerità, e tutto concedere alla fortuna, la qual ha minor parte nell’operazioni dell’ingegno che nelle fatiche del corpo; tutta volta in quelle medesime che si fanno con la parte
men nobile, cerchiamo di moderare i fortunosi avenimenti e di restringerli quasi sotto alcuna legge. Laonde molto più debbiamo considerare l’operazioni dell’intelletto, a cui sempre è proposto a guisa di
segno un obietto medesimo nel quale ci rimira: e questo è il vero, il quale non si muta giamai né sparisce
Andar per l’aria
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dell’aria rappresentava, all’altezza degli anni Sessanta del Cinquecento, l’estrema
possibilità di elaborazione narrativa di quel “meraviglioso”. Produttiva di segno
nella tradizione del romanzo sin dal XXV cantare del Morgante pulciano, la via
dell’aria aveva consentito a imitatori dell’Innamorato e continuatori del Furioso di
riattraversare, inventariare, visualizzare, rendendosi a vari livelli suscettibile di avventure e di racconto, gli spazi aperti e chiusi della terra e quelli del mare. Alla prospettica e dinamica rappresentazione dei loro universi reali e simbolici in movimento
aveva in gran parte affidato il senso stesso della nuova percezione del mondo.
a gli occhi della mente. Ma l’Orse si celano a coloro ch’avendo passato Abila e Calpe, navigano nell’ampissimo Oceano; nondimeno altre stelle sono in quello emispero con le quali essi deono reggere il
corso (altrimente non avrebbono arte alcuna del navigare), e possono in qualche modo schifare l’incostanza delle maritime cose con la costanza delle celesti» (T. Tasso, Discorsi del poema eroico, III, in
Discorsi dell’arte poetica e del poema eroico, a cura di L. Poma, Bari, Laterza, 1964, p. 61).