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Hermes. Il dio dell'astuzia

2018

29 Hermes Il dio dell’astuzia a cura di Giuseppe Lozza Grandi miti greci Collana a cura di Giulio Guidorizzi Published by arrangement with The Italian Literary Agency Vol. 29 – Hermes © 2018 Out of Nowhere S.r.l., Milano © 2018 RCS MediaGroup S.p.A., Milano È vietata la riproduzione dell’opera o di parte di essa, con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata dall’editore. Tutti i diritti di copyright sono riservati. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge. Edizione speciale per il “Corriere della Sera” pubblicata su licenza di Out of Nowhere S.r.l. Il presente volume deve essere venduto esclusivamente in abbinamento al quotidiano “Corriere della Sera” CORRIERE DELLA SERA STORIE n. 29 del 24/7/2018 Direttore responsabile: Luciano Fontana RCS MediaGroup S.p.a. Via Solferino 28, 20121 Milano Sede legale: via Rizzoli 8, 20132 Milano Reg. Trib. N. 28 del 25/01/2010 ISSN 2038-0844 Responsabile area collaterali Corriere della Sera: Luisa Sacchi Editor: Martina Tonfoni Il racconto del mito di Giuseppe Lozza Variazioni sul mito di Luigi Marfé Concept e realizzazione: Out of Nowhere S.r.l. Progetto grafico e impaginazione: Marco Pennisi & C. S.r.l. Coordinamento editoriale e redazione: Flavia Fiocchi Indice Introduzione 7 di Giulio Guidorizzi Il racconto del mito 15 di Giuseppe Lozza Genealogia 78 Variazioni sul mito 83 di Luigi Marfé Antologia 119 Per saperne di più 133 Introduzione Nella gran solarità delle divinità greche, Hermes è una creatura notturna. Si manifesta in particolare nell’ombra, e la sua natura è dunque essenzialmente lunare: nacque di notte in un luogo segreto (una caverna), è colui che conduce i sogni e guida le anime nell’Ade. È anche un divino imbroglione, dato che sotto il suo patronato si trovano il furto (anch’essa operazione notturna) e il guadagno, lecito o illecito, e si diverte a imbrogliare anche i suoi seguaci. Una simpatica canaglia, si potrebbe dire. Nelle piazze, nelle strade e davanti alle porte delle case sorgevano le “erme”, cioè i busti in pietra del dio (in genere, con un prolungamento fallico applicato al basamento); a lui era attribuito anche l’epiteto di agoraios vale a dire “protettore della piaz- 7 GRANDI MITI GRECI za”, il luogo del commercio e del guadagno. Hermes favoriva l’arricchimento improvviso, fatto di ingegno commerciale, non quello prodotto dalla fatica paziente del lavoro. Mercanteggio e guadagno sono frutto di mediazione, incontri, relazioni astute e intelligenti in cui la parola e la trovata ingegnosa occupano il posto determinante. La versione cittadina di Hermes come protettore delle piazze e delle loro attività è lo sviluppo di una divinità primitiva dei campi e dei monti, per questo si collocava la sua nascita in una regione appartata e pastorale, tra i monti dell’Arcadia: Maia, sua madre, figlia del titano Atlante, viveva in una grotta del monte Cillenio e lì Zeus la poteva visitare in segreto con tutta calma sfuggendo alla sorveglianza della moglie gelosa. Maia generò un figlio davvero speciale: un dio scaltro, intelligente, capace di ogni furto e astuzia, un dio come ancora ne mancavano nella famiglia olimpica. Già nella prima notte di vita il neonato divino compì un furto che lo rese subito noto al mondo per quello che sarebbe poi stato: sgusciò fuori dalla culla e rubò le vacche di Apollo. In questo modo egli apparve subito come il briccone divino, amico dei pastori, patrono delle razzie, protettore dei ladri e 8 HERMES padre di altri scaltri bricconi come Autòlico, “il vero lupo”, famoso per furti e spergiuri. Dalla sua famiglia nacque poi l’astuto per eccellenza, Ulisse. Il primo atto di Hermes lo qualifica nello stesso tempo come dio notturno, il dio dell’astuzia, patrono di chi cerca con tutti i mezzi, di chi tenta di accrescere le sue sostanze: commercianti, ladri, servi trafficoni che cercano di migliorare il loro stato. Non un dio aristocratico, ma popolare, a portata di tutti, come l’indiano Ganesha. Hermes era prima di tutto (come suo figlio Pan) il dio dei pastori, capace di accrescere le greggi, incrementando la fertilità delle giovenche ma anche con mezzi meno onesti, favorendo razzia del bestiame altrui. Che Hermes fosse collegato alla sfera della fecondità lo segnala anche l’attributo che gli veniva associato sulle erme disperse per le strade, il fallo; a Cillene, sua patria, si venerava come Hermes un fallo di pietra posto sulla base di una colonna (Pausania, 6, 26, 5), certo in rapporto alle sue caratteristiche di patrono della fecondità e dell’accrescimento delle mandrie. Hermes è per questa sua natura il mediatore divino, colui che sa in un attimo associare parole e 9 GRANDI MITI GRECI azioni. Perciò gli dèi gli affidano i compiti più delicati, ed è con un certo divertimento che il dio si sporca le mani con gli uomini per favorirne alcuni e ingannarne altri. Il suo compito è di portare messaggi dall’Olimpo alla terra; in Omero, era Iris (figura naturalistica più che divina, dato che s’identifica con l’arcobaleno) a fungere da messaggera divina, ma già nell’Odissea questo compito viene assegnato a Hermes che grazie alla sua astuzia è in grado di portare a buon fine i compiti che gli sono assegnati. Il dio non è solo un messaggero, ma un fido e astuto amico che mette la sua scaltrezza al servizio degli altri dèi, e in particolare di Zeus. Fu Hermes a guidare Priamo, nella notte, sino alla tenda di Achille, addormentando le sentinelle; fu lui a scendere in un istante fino all’isola di Calipso per convincere la dea a lasciar partire Ulisse. Hermes interviene per chiudere i cento occhi di Argo con la magia del suo flauto (perciò un suo epiteto era Argifonte, “uccisore di Argo”). Hermes ha la capacità di apparire prodigiosamente e di svanire in un attimo, quando ha finito il suo compito (la sua velocità era indicata dai calzari alati che l’iconografia gli attribuiva); naturalmente, possiede poteri magici. 10 HERMES Con la sua bacchetta (il caduceo) addormenta e ridesta chi vuole; conosce il segreto delle erbe e dona infatti a Ulisse la magica erba moly con cui lo difenderà dagli incantesimi di Circe. Hermes come psicopompo (“conduttore delle anime”) guida gli spiriti dei morti sino alla loro dimora definitiva, facendo in modo che non si smarriscano e non si aggirino per il mondo come fantasmi: è lui appunto il patrono delle strade e degli incroci. Prima di trafiggersi, Aiace invoca infatti la scorta di Hermes (Sofocle, Aiace, 832); è lui a guidare nell’Ade i pretendenti uccisi da Ulisse. Sulle tombe a volte si scolpivano delle erme e nell’ultimo giorno delle feste Antesterie ad Atene, quando si riteneva che le anime dei morti per un giorno tornassero sulla terra e poi ricomparissero nell’Ade, si sacrificava solamente a Hermes Sotterraneo (“Chtònios”). Allo stesso modo, Hermes conduce dalla tenebra notturna i sogni alla vista dei mortali e per questo si usava intagliare i letti con zampe a forma del viso del dio per richiamare il buon sogno sui dormienti. Prima di andare a dormire, l’ultima libagione era per Hermes perché conducesse sogni belli. 11 Il racconto del mito Sculpture of Hermes in the Vatican Museum, Rome, Italy. La nascita Come molte altre divinità olimpiche, Hermes nacque da un’infedeltà coniugale di Zeus, il re degli dèi. In questo caso la fanciulla prescelta per soddisfare il suo amore fu Maia, una ninfa figlia del titano Atlante (colui che sulle possenti spalle reggeva il peso del cielo). Strano nome per una giovane attraente, dato che Maia è in greco una donna anziana, una levatrice o addirittura una “nonnina”, come epiteto affettuoso e familiare; così Ulisse chiama Euriclea nel canto XIX dell’Odissea, quando l’anziana nutrice lo lava e riconosce la sua identità dalla cicatrice di una ferita alla gamba che l’eroe aveva ricevuto da ragazzo durante una battuta di caccia; identità che per il momento era 15 GRANDI MITI GRECI necessario tenere celata, in modo che egli fosse riconosciuto solo in un secondo tempo da Penelope e potesse compiere con maggiore sicurezza la sua vendetta. Nelle Fenicie di Euripide, l’ultimo grande poeta tragico greco, Zeus chiede un oracolo alla Notte chiamandola proprio «Maia». Nella mitologia greca è anche una delle sette Pleiadi, tutte figlie di Atlante, che reggeva la volta celeste, trasformate in colombe (peleiades) e poi in costellazione per sfuggire all’inseguimento del cacciatore Orione, che voleva possederle. In realtà sembra quindi che Maia fosse in origine legata al cielo e all’oscurità. Infatti a lei Zeus si univa durante la notte in una grotta appartata del monte Cillene, in Arcadia, la regione forse più selvaggia e boscosa della Grecia ma anche quella più tipicamente pastorale non solo nella realtà storico-sociale (e da questo punto di vista il riferimento a Hermes è immediato), ma pure in una lunghissima tradizione letteraria destinata a giungere almeno fino all’Europa del Settecento. La speranza di Zeus era evidentemente che la gelosa consorte Hera di nulla si accorgesse. Non era del resto un fatto insolito: il sovrano e padre degli dèi amava unirsi spesso alle ninfe figlie dei Titani, sicché la nascita di Hermes non ebbe 16 HERMES nulla di eccezionale: anche altre due divinità maggiori quali Apollo e Artemide nacquero da un’altra ninfa, Letò, figlia del titano Ceo. Ma eccezionale fu il comportamento del neonato Hermes. Il poeta anonimo, autore di un lungo Inno a Hermes che gli antichi non esitarono ad attribuire a Omero stesso, mentre noi non sappiamo ascrivergli nessuna sicura paternità e siamo alquanto incerti sulla sua datazione, descrive la straordinaria precocità del divino infante, che si rivela immediatamente ingegnoso e astuto: «Nato all’aurora, a mezzogiorno suonava la lira, / e dopo il tramonto rubò le vacche di Apollo arciere / nel giorno in cui lo generò Maia veneranda, il quarto del mese».* La madre Maia lo avvolse nelle fasce, come ogni altro bimbo; ma egli, a dispetto di ogni verosimiglianza (il mito non bada a simili minuzie, non è mai realistico e calato nel tempo degli esseri umani), si comporta già come se fosse cresciuto, e in un momento di distrazione della madre balza fuori dalla culla ed esce dalla grotta, protettiva certo ma anche castrante, per andare in cerca di avventure – e in questo il poeta si mostra profondamente psicologo; quale giovane vorrebbe rimanere * Qui e altrove la traduzione dei passi dell’Inno è di F. Cassola. 17 GRANDI MITI GRECI sempre bambino alle dipendenze della propria madre? Del resto, a parte considerazioni psicoanalitiche forse un poco salottiere, il tema della precocità divina non è esclusivo di Hermes: basti ricordare l’impresa di Eracle, che in culla strozza i serpenti mandati da Hera a ucciderlo; o ad Atena, che balza fuori armata dalla fronte di Zeus; e gli esempi potrebbero essere anche altri. È un modo a cui il mito ricorre largamente per distinguere con chiarezza inequivocabile la natura divina da quella umana. Il poeta anonimo, autore di un lungo Inno a Hermes che gli antichi non esitarono ad attribuire a Omero stesso, mentre noi non sappiamo ascrivergli nessuna sicura paternità e siamo alquanto incerti sulla sua datazione, descrive la straordinaria precocità del divino infante, che si rivela immediatamente ingegnoso e astuto: «Nato all’aurora, a mezzogiorno suonava la lira, / e dopo il tramonto rubò le vacche di Apollo arciere / nel giorno in cui lo generò Maia veneranda, il quarto del mese». 18 HERMES L’invenzione della lira e della siringa Appena fuori dalla soglia della grotta, Hermes, intenzionato a rubare le vacche di Apollo perché affamato di carne (ma soprattutto, come verrà chiarito poco dopo, per fondare il rito sacrificale), s’imbatte in una tartaruga. È un autentico colpo di fortuna (e per i Greci la tartaruga era appunto considerata un portafortuna), che ben si addice alla sua natura di divinità imprevedibile: non a caso i Greci chiamavano hermaion appunto un’occasione fortunata che si presenta senza essere cercata. Ben lieto di un presagio che gli appare favorevole, ritorna nella grotta portando con sé l’animale e rapidamente lo squarta. Poi, nel guscio svuotato fissa due asticelle, a cui tende sette corde fatte di budello di pecora, creando quello strumento che i Greci stessi chiamavano lira, o cetra, uno strumento destinato a produrre meravigliose sonorità: «Ecco già un segno molto fausto per me: non lo dispregio. / Salve, amica della mensa, dall’amabile aspetto, che accompagni la danza; / tu appari benvenuta: donde vieni, o bel giocattolo? / Tu indossi un guscio variegato, tartaruga che vivi sui monti; / ebbene, io ti prenderò e ti porterò a casa; in 19 GRANDI MITI GRECI qualche modo mi sarai utile, / e non ti trascurerò: anzi tu gioverai a me prima che a ogni altro. / È meglio stare in casa: c’è pericolo fuori. / Tu certo sarai per me una difesa contro il sortilegio funesto, / da viva; e se poi tu morissi, allora sapresti cantare a meraviglia». Infatti su quello strumento il giovanissimo Hermes, che evidentemente già conosceva, o forse aveva inventato, il plettro con cui pizzicare le corde (ma su questo l’Inno nulla dice), si mise a cantare gli amori di Zeus e della madre Maia, rendendosi in tal modo il primo cantore di se stesso; singolare performance, dato che egli canta solo per se stesso, non alla presenza di uno o più uditori. Ma una seconda, più consueta, seguirà, come vedremo. Veramente, gli antichi attribuivano l’invenzione della lira a sette corde al poeta e cantore Terpandro, vissuto nel settimo secolo a.C. e attivo in ambiente spartano; ed è questo un elemento che permette di datare, come termine post quem la composizione dell’Inno. Secondo altri mitografi, tale strumento sarebbe stato inventato da cantori mitici, fra i quali il celeberrimo Orfeo. Ma il dio è nella mitologia inventore anche di uno strumento a fiato, la siringa (syrinx), ossia uno strumento a fiato composto di 20 HERMES molte canne in numero dispari (fino a nove) di lunghezza diseguale, che diverrà lo strumento pastorale per eccellenza: Hermes lo regalerà al figlio Pan e diverrà dunque noto anche come “flauto di Pan”. In questo caso il poeta dell’Inno sembra compiacersi di mescolare elementi culturali diversi: sappiamo infatti che lo strumento a corda e lo strumento a fiato furono in qualche modo considerati rivali, o almeno alternativi, nell’estetica musicale dei Greci antichi; più nobile la lira, consacrata ad Apollo, molto meno la siringa e l’aulòs, comunemente chiamato flauto ma in realtà più simile alla meccanica e alla sonorità del moderno oboe. A tale proposito è significativo un esempio molto noto: Atena, la dea vergine uscita dal capo del padre Zeus, un giorno, mentre lo suonava, si specchiò in un corso d’acqua, ma, vedendo il suo volto deformato dal rigonfiamento delle guance, adirata lo gettò via e maledisse chi l’avesse suonato dopo di lei. Il flauto fu però raccolto dal sileno Marsia, che sfidò Apollo a una gara musicale. Facile indovinare l’esito: Apollo con la sua lira lo sconfisse e lo scorticò vivo… Strumenti diversi che si legarono anche a generi letterari diversi: la lira alla poesia epica e, appunto, lirica sia monodica che corale 21 GRANDI MITI GRECI (pensiamo a poeti come Saffo, Alceo, Pindaro); l’aulòs soprattutto all’elegia e al giambo, illustrati da Archiloco, Mimnermo, Teognide e numerosi altri. Notissimo il passo del canto IX dell’Iliade, in cui Achille, seduto nella sua tenda, canta, accompagnandosi con la lira, «le gesta degli eroi». Non dobbiamo meravigliarci che il più valoroso di tutti gli eroi si dedicasse a tale attività, perché il professionismo virtuosistico in ambito musicale si affermò solo a partire dalla fine del V secolo, sebbene i poemi omerici stessi testimonino l’esistenza di veri e propri cantori di corte, quali, nell’Odissea (ma nessuno nell’Iliade) Femio e Demodoco. Di fatto, l’Inno attribuisce a Hermes, come si è detto, l’invenzione di entrambi gli strumenti, anche se poi nella mitologia greca protettore della musica è soprattutto Apollo, non a caso definito Musagete, ossia “guida delle Muse”. In ogni caso, sarà proprio con il suono della syrinx che Hermes riuscirà ad addormentare e a uccidere a colpi di pietra Argo, un mostro dai molti occhi, che sorvegliava Ino, amata da Zeus e trasformata in una bianca giovenca; impresa che farà guadagnare a Hermes uno dei suoi epiteti più costanti, Argheifonte, ossia appunto “uccisore di Argo”. 22 HERMES Il furto delle vacche di Apollo Ma Hermes, immediatamente dopo avere inventato la lira («E mentre cantava, già nella sua mente meditava altre imprese») mette subito in atto un secondo progetto: depone la lira nella culla, esce di nuovo dalla grotta – egli è un dio mobilissimo per eccellenza, e per questo raffigurato sempre, nelle rappresentazioni vascolari e scultoree, come un adolescente – e con un viaggio rapidissimo al calar del sole giunge in Pieria, nell’attuale Macedonia meridionale, decisamente lontana dall’Arcadia, la terra dove sul monte Elicona avevano sede le Muse. Non per caso proprio lì Apollo, che delle Muse era la guida, conservava le sue greggi, una splendida mandria di vacche: non dimentichiamoci che il mito riflette spesso una società molto arcaica, e quella greca fu del resto sempre in prevalenza agricolo-pastorale; dunque le greggi erano per gli dèi, come per i sovrani, un bene essenziale, una vera e propria fonte di ricchezza. Non è casuale nemmeno il fatto che Autolico, il nonno di Ulisse, l’eroe scaltrissimo per eccellenza, fosse figlio di Hermes e pure lui si dedicasse a varie forme di furto, fra le quali appunto l’abigeato, addirittura 23 GRANDI MITI GRECI ai danni di Sisifo, così astuto a sua volta da tentare di ingannare la Morte. Hermes era ben deciso a rubarle, e così fece, fabbricando per se stesso sandali vegetali, fasciando gli zoccoli degli animali con arbusti che impedissero di lasciare tracce e facendoli procedere alla rovescia, mettendosi in coda anziché alla testa del gregge. Tutto ciò avviene di notte, perché Hermes, come Apollo osserverà, è «compagno della notte nera», propizia alle sue imprese di molto dubbia trasparenza. Ma dove le portò? Non alla sua grotta sul monte Cillene, come sarebbe stato logico, bensì piuttosto lontano, presso le rive del fiume Alfeo, che scorreva in prossimità di Pilo, nel Peloponneso nord-occidentale. Altra incongruenza, di cui l’autore dell’Inno non si cura: egli e il suo pubblico sapevano benissimo che quel territorio era particolarmente pianeggiante, fertile e propizio al pascolo. Non solo: esso era teatro di altre vicende analoghe di abigeato, e dunque il luogo più adatto a nascondere le vacche rubate ad Apollo. Comunque all’alba, dopo il suo furto audace, Hermes è già di ritorno alla grotta che lo aveva visto nascere e si rimette nella culla, rannicchiandosi sotto le coperte nella speranza di essere passato inos- 24 HERMES servato. Ma la madre Maia lo rimprovera, proprio come una madre qualsiasi rimprovererebbe un figlio ragazzino tornato a casa troppo tardi la notte, ed è singolare e attraente nell’Inno pseudomerico tale mescolanza di incolmabile distanza mitica e di realistica quotidianità comica. «Che fai, furbacchiotto? E da dove arrivi qua in piena notte, svergognato? Io sono proprio convinta, in verità, che ben presto, coi fianchi stretti in legami inestricabili, fra le mani del figlio di Latona ripasserai per quella porta, invece di briganteggiare senza freno, d’ora in poi, per le vallate. Torna là donde sei venuto! Grande tormento ti ha generato tuo padre per gli uomini mortali e per gli dèi immortali». A lei Hermes rispondeva con amabili parole: «Mamma, perché cerchi di spaventarmi, come se fossi un bambino ancora infante, che nel suo animo ha poca esperienza di mariolerie, timido, che teme i rabbuffi della madre? Io invece mi darò alla più lucrosa delle arti provvedendo a me e a te per sempre; né, soli fra gli dèi immortali, tollereremo di restare qui, come 25 GRANDI MITI GRECI tu vorresti. È meglio vivere per sempre in compagnia degli immortali, ricco, prospero, e ben nutrito, che starsene a casa in questa spelonca fumosa; e, quanto al prestigio, io otterrò gli stessi diritti di cui gode Apollo. Se poi mio padre non me li darà, in verità io, per mio conto, mi adoprerò per diventare il re dei ladri: ne sono capace». Anzi, egli si dichiara addirittura in grado di saccheggiare il santuario delfico, ricco di oggetti preziosi. In verità, queste parole sono importanti, perché esprimono una delle caratteristiche fondamentali della figura divina di Hermes: egli fu sempre, infatti, venerato come divinità protettrice dei ladri e, con facile quanto sarcastico passaggio, dei commercianti. Circolava la leggenda che egli avesse rubato perfino il tridente a Poseidone, a Efesto la tenaglia da fabbro, ad Apollo non solo le vacche ma anche l’arco, ad Achille il cadavere di Ettore, alla sua stessa madre i vestiti… Evidenti esagerazioni comiche di una fama che comunque a Hermes sempre rimase legata. Resta l’incongruenza logica del fatto che il dio, appena nato, disponesse di minugia per le corde della lira pri- 26 HERMES ma di avere rubato le vacche di Apollo; ma il poeta omerico non badava a simili considerazioni: saranno i mitografi posteriori, come lo Pseudo Apollodoro, ormai in età imperiale romana, a tentare di mettere le cose a posto rovesciando la sequenza dei due momenti. Ma sua madre non fa cenno a un’altra impresa fondamentale di Hermes fanciullo: l’istituzione del sacrificio agli dèi dell’Olimpo. Non contento di essersi impadronito della mandria di Apollo, con una sorta di accendino vegetale, ossia sfregando l’un con l’altro due legnetti, fece sprigionare il fuoco, divenendo inventore non solo del sacrificio ma anche dell’espediente atto a fare sprizzare il fuoco: quel fuoco che secondo un altro filone mitografico il titano Prometeo avrebbe donato agli uomini. I due, Hermes e Prometeo, si troveranno a confrontarsi nella tragedia di Eschilo, Prometeo incatenato, allorché Hermes avrà ormai assunto il ruolo diventato per lui caratteristico, ossia quello di messaggero degli dèi, in quel caso di Zeus, e tenterà di indurre il titano, incatenato a una roccia del Caucaso, a più miti consigli. Scoperto il fuoco, elemento civilizzatore per eccel- 27 GRANDI MITI GRECI lenza, egli immediatamente squartò due vacche, separò la carne e il grasso dalle ossa e le divise in dodici parti uguali, una per ciascuna divinità olimpica; ma non si cibò delle carni, perché esse non potevano divenire nutrimento per gli dèi, ai quali erano riservati l’ambrosia e il nettare. Così Hermes divenne anche colui che istituì i sacrifici, elemento indispensabile nella religione greca come in qualsiasi altra, sia pure in forme diverse. Da ciò a un Hermes cuoco divino il passo non era lungo, ed effettivamente egli è spesso presentato, soprattutto dai poeti comici, come cuoco, coppiere e servitore degli altri dèi, rispetto ai quali sembra non trovarsi esattamente sullo stesso piano; e certo non è mai un dio temibile come Zeus, Apollo, Ares o Poseidone; ma forse proprio per questo Hermes fu particolarmente amato dalle classi più umili della società greca. In tutto ciò il giovanissimo dio dimostra un’attività instancabile: «passava da un lavoro all’altro», commenta l’Inno omerico; un’attività che lo caratterizza sempre nelle nostre fonti antiche. La dimensione temporale, come si è già avuto occasione di osservare, non esiste nel mondo divino, contrassegnato non 28 HERMES dall’eternità in senso ebraico-cristiano (gli dèi greci conoscono una nascita come gli esseri umani), ma dall’esenzione dal dolore e dalla morte; è comunque indubbio che Hermes si dimostri eccezionalmente rapido: in due giorni dalla sua nascita scende dalla culla, trova una tartaruga, ne ricava uno strumento musicale, va a rubare le vacche di Apollo, inventa il fuoco e il rito sacrificale: un ottimo record, per così dire! Io invece mi darò alla più lucrosa delle arti provvedendo a me e a te per sempre; né, soli fra gli dèi immortali, tollereremo di restare qui, come tu vorresti. È meglio vivere per sempre in compagnia degli immortali, ricco, prospero, e ben nutrito, che starsene a casa in questa spelonca fumosa; e, quanto al prestigio, io otterrò gli stessi diritti di cui gode Apollo. Se poi mio padre non me li darà, in verità io, per mio conto, mi adoprerò per diventare il re dei ladri: ne sono capace». 29 GRANDI MITI GRECI Hermes o Prometeo? Vale la pena di soffermarsi un poco sull’atto del sacrificio compiuto dal dio infante. La narrazione dell’Inno è in effetti singolare, perché a Hermes sembra essere attribuita la scoperta del rito sacrificale e anche del fuoco, o meglio dell’accensione del fuoco. Chiunque sappia qualcosa di mitologia greca, ricorderà facilmente come, nella tradizione più diffusa (ma le tradizioni mitiche non sono mai univoche) gli uomini dovessero il dono del fuoco al titano Prometeo, al quale pure si attribuiva generalmente l’invenzione dei sacrifici mediante i quali gli esseri umani potessero entrare in contatto con il mondo divino per propiziarselo o per placarlo. Questo, almeno, assicura Esiodo, il più antico poeta epico dopo Omero. Prometeo, come Hermes, è un ingannatore, un trickster, per usare un termine ormai entrato nel patrimonio concettuale degli antropologi e degli storici delle religioni. Inventando i sacrifici, egli aveva ben separato le ossa, avvolte nel grasso, dalla carne delle vittime raccolta nel ventre dell’enorme bue sacrificato, lasciando a Zeus la scelta della porzione. Il re degli dèi, ingannato dal grasso, 30 HERMES scelse di fatto le ossa, mentre agli umani rimase la carne. Da allora agli dèi sarebbe spettato il fumo dei sacrifici e agli uomini sarebbero toccate le carni; non è casuale che nell’Inno Hermes, per quanto affamato, non tocchi le carni delle vacche sacrificate, perché egli stesso è un dio, sebbene i suoi attributi non siano ancora stati veramente riconosciuti, come poi avverrà quando davanti a Zeus egli acquisterà il favore del padre, di Apollo e degli altri dèi. Adirato, Zeus per ritorsione tolse agli uomini il fuoco: quell’elemento indispensabile alla cottura dei cibi, alla metallurgia e alla possibilità di riscaldarsi, dunque elemento chiave di incivilimento, capace di separare in maniera definitiva gli uomini dagli altri animali. Ma Prometeo, a quel punto, inserì una scintilla di fuoco in un bastoncino lungo e sottile di nartece e lo portò di nascosto agli uomini, imbrogliando dunque il padre degli dèi per la seconda volta. Il castigo di Zeus fu terribile e si abbatté sia sugli uomini sia su Prometeo. Egli ordinò infatti alle altre divinità di creare la prima donna, bellissima e attraente, Pandora, dal fascino irresistibile; appunto a Hermes toccò il compito di instillare nel suo animo menzogne e inganni. Pandora fu inviata con un vaso a Epi- 31 GRANDI MITI GRECI meteo, “l’improvvido”, fratello di Prometeo, “il previdente”. Il vaso venne aperto, e da esso uscirono tutti i mali che affliggono gli esseri umani; sul fondo rimase soltanto la Speranza, unica consolazione per gli infelici mortali. Prometeo venne incatenato sul monte Caucaso, e ogni giorno un’aquila gli rodeva il fegato, che ogni giorno ricresceva, affinché il suo tormento non avesse mai fine. Tutto questo racconto, dove è evidente l’ostilità che Zeus nutre verso il genere umano, così come la misoginia propria della cultura greca, sembra però ignorato, almeno in apparenza, nell’Inno a Hermes, dove è il giovanissimo dio a inventare i sacrifici e ad accendere il fuoco per bruciare gli animali offerti. A ben vedere, non accade tuttavia esattamente la stessa cosa: Hermes, più che inventare il rito, gli attribuisce un ordine, tagliando le carni in dodici porzioni corrispondenti ciascuna a uno dei dodici dèi dell’Olimpo e stabilendo così l’onore che spettava a ciascuno, compreso lui stesso; Hermes non inventa tanto il fuoco, quanto piuttosto il metodo di produrlo, sfregando due pezzi di legno. E del resto egli non solo è un trickster come Prometeo, ma gli è anche parente, dato che la madre Maia è figlia di Atlante, fratello di Prometeo. 32 HERMES Dunque i legami fra i due sono stretti a livello genealogico, e la narrazione contenuta nell’Inno è in qualche misura complementare, più che veramente alternativa, a quella esiodea certo più nota. Soprattutto, mentre in Esiodo il titano Prometeo vuole deliberatamente ingannare gli dèi a vantaggio del genere umano, Hermes non ha alcuna intenzione ostile, ma semmai grazie alla sua techne si pone come mediatore fra gli dèi e gli uomini, imponendosi subito come il dio della comunicazione, della reciprocità relazionale, della mediazione. A questo proposito, non si può dimenticare come invece Prometeo, in quanto benefattore dell’umanità e soprattutto avversario del re degli dèi, abbia conosciuto grande fortuna nelle lettere e nelle arti per tutto il corso della cultura europea, esaltato soprattutto in età illuministica e romantica come il ribelle per eccellenza. Nel Prometeo incatenato di Eschilo (ma la paternità della tragedia è discussa), il titano non esita a definire Hermes, mandato a lui da Zeus, «valletto, servo, portaordini di Zeus, più stolto di un ragazzo». Ma sappiamo come nella tragedia conclusiva della trilogia Prometeo si risolvesse a riconciliarsi con Zeus e il suo supplizio conoscesse una fine. 33 GRANDI MITI GRECI Inventando i sacrifici, egli aveva ben separato le ossa, avvolte nel grasso, dalla carne delle vittime raccolta nel ventre dell’enorme bue sacrificato, lasciando a Zeus la scelta della porzione. Il re degli dèi, ingannato dal grasso, scelse di fatto le ossa, mentre agli umani rimase la carne. Da allora agli dèi sarebbe spettato il fumo dei sacrifici e agli uomini sarebbero toccate le carni; non è casuale che nell’Inno Hermes, per quanto affamato, non tocchi le carni delle vacche sacrificate, perché egli stesso è un dio, sebbene i suoi attributi non siano ancora stati veramente riconosciuti, come poi avverrà quando davanti a Zeus egli acquisterà il favore del padre, di Apollo e degli altri dèi. Per la verità, Hermes, quale viene presentato nell’Inno, si sovrappone, almeno parzialmente, anche a Efesto, inteso tradizionalmente come il dio della metallurgia e dunque del fuoco (ma pure Prometeo, secondo Eschilo, è inventore della metallurgia: il mito greco non teme sovrapposizioni di questo ge- 34 HERMES nere fra le prerogative di divinità diverse). Qui, infatti, egli è semplicemente e solo en passant ricordato come simbolo della fiamma stessa, ma nulla più: non è lui a provocare l’incendio che consumerà le vittime sacrificali. Tutte queste figure divine sono però accomunate dal possesso della metis, ossia dell’intelligenza pratica, dell’accortezza, spesso associata o finalizzata a un inganno ma molto apprezzata nella cultura greca, soprattutto in età arcaica, e tale da rivelarsi appunto in una techne, ossia in un’abilità artigianale. Ciò vale anche per l’invenzione della lira dal guscio della tartaruga, con un procedimento sul quale il poeta dell’Inno si sofferma compiaciuto, con particolari che rivelano la natura ingannatrice del dio, il quale esorta la tartaruga a entrare spontaneamente nella grotta per poi ucciderla crudelmente al fine di svuotarne il guscio; e non va dimenticato che per i Greci anche gli artisti erano equiparati ai technitai, ossia agli altri artigiani: un carpentiere non era considerato essenzialmente diverso da un musicista o da uno scultore, perché tutti quanti erano dediti ad attività pratiche, non teoretiche. Se nel mondo omerico il cantore è ispirato dalle Muse, ora il poeta, pur tenendo sempre presente 35 GRANDI MITI GRECI Mnemosine, la madre delle Muse, appare tuttavia soprattutto in possesso di un’abilità tecnica, che potenzialmente potrebbe non essere disgiunta da un valore commerciale: nell’Inno Apollo stesso dichiara che il suono della lira inventata da Hermes val bene le cinquanta vacche rubategli dal dio fanciullo. E non è una frase generica, perché nella società greca arcaica le mandrie e le greggi avevano un prezzo, costituivano una vera e propria merce di scambio, come i poemi omerici frequentemente attestano. Il dibattito Apollo si accorse del furto solo alla mattina del giorno seguente e si mise alla ricerca del ladro; ma niente da fare: le vacche non si trovavano, sembravano scomparse nel nulla! Tuttavia, avvertito da un presagio, si diresse verso Pilo e lì riconobbe le tracce delle vacche; seguendole a ritroso, giunse al monte Cillene ed entrò nell’ampia grotta dove si trovavano Maia ed Hermes. Questi tentò di raggomitolarsi sotto le coperte della culla, ma Apollo lo scoprì e lo interrogò minacciosamente. Bugiardo fino all’ulti- 36 HERMES mo, Hermes si dichiara innocente e ignaro. Ma Apollo non si lascia ingannare, anzi gli predice il suo futuro: «Questo privilegio, senza dubbio, avrai anche in futuro tra gli immortali: sarai chiamato per sempre il re dei furfanti». Fra i due si instaura un vero e proprio dibattito, anzi un doppio dibattito: il primo soltanto fra loro due e il secondo, più tardi, quando Apollo lo costringerà a seguirlo sull’Olimpo, alla presenza di Zeus e degli altri dèi. È evidente l’analogia con la prassi della discussione di una causa processuale, una delle peculiarità più costanti e gravide di conseguenze della cultura greca, dove il potere del pensiero e della parola, la contrapposizione di tesi opposte sono onnipresenti: dai dibattiti dei sofisti alla filosofia di Platone, alla storiografia di Erodoto e Tucidide, all’oratoria politica e giudiziaria vera e propria. Una prassi evidentemente illustrata per noi soprattutto dalle fonti di provenienza ateniese; più difficilmente concepibile in società oligarchiche e aristocratiche come Sparta, dove il diritto di parola e il potere decisionale della collettività erano assai più limitati. È pur vero che poi nell’Inno la contesa fra Hermes e Apollo viene risolta dalla decisione di Zeus, padre e sovrano degli dèi. Cammi- 37 GRANDI MITI GRECI nando e discutendo, le due divinità giungono sull’Olimpo a difendere ciascuno la propria causa davanti al padre Zeus. Comica è l’autodifesa di Hermes, che proclama la sua assoluta sincerità; come avrebbe potuto, lui «nato ieri», essere ladro di buoi come «un uomo vigoroso»? Apollo invece è un giovane nel fiore degli anni. Del resto, gliel’avrebbe impedito il suo profondo rispetto per Elio, il dio sole, e per gli altri dèi; e conclude giurando la sua innocenza non per Zeus (sarebbe stata un’empietà) ma «per il portico riccamente adorno degli immortali». Zeus, naturalmente, sapeva già ogni cosa e, anziché rimproverare quel figlio così bugiardo e scaltro, si compiace della sua furbizia – anche questo un tratto tipicamente greco, che trova il suo culmine letterario nella figura di Odisseo, che da Hermes, l’abbiamo già ricordato, discendeva attraverso il nonno Autolico, il cui nome vale “lupo autentico”, ben noto per la sua malvagia disonestà e anche, come il nonno Hermes, per l’abigeato. Ancora una volta, l’episodio mitico rispecchia una realtà storica, quella processuale, che trovò il suo massimo sviluppo – o almeno per noi moderni le più chiare testimonianze – nell’oratoria giudiziaria del IV secolo a.C., ma anche in molti 38 HERMES passi di tragedia e di commedia, dove due avversari espongono le loro tesi in forma appunto di dibattimento giudiziario vero e proprio. Un dibattito in cui il giovanissimo Hermes si dimostra in realtà ottimo difensore di se stesso (e così infatti avveniva nella prassi giudiziaria, in cui le due parti dovevano esporre le proprie ragioni senza l’assistenza legale di terzi, anche se i loro discorsi erano in genere preparati da professionisti della parola). È stato osservato dai lettori più attenti come il discorso del giovanissimo Hermes obbedisca fedelmente perfino alla precettistica retorica che avrebbe trovato la sua piena applicazione nei grandi oratori attici del IV secolo: Lisia, Isocrate, Demostene. Zeus, che nella scena dell’Inno funge da giudice supremo, non può che ammirare in cuor suo l’abilità retorica del figlio fanciullo, «vedendo che si difendeva con abilità ed eloquenza», ma, ridendo di quelle parole menzognere, gli ordina di mettersi in cammino e di guidare Apollo al luogo in cui aveva nascosto le vacche. Hermes deve obbedire e guida il fratello alle rive del fiume Alfeo, presso Pilo di Messenia, nel Peloponneso. Proprio lì, in una caverna, erano custodite le vacche di Apollo: tutte 39 GRANDI MITI GRECI tranne le due che il fanciullo aveva scuoiato per il sacrificio. Apollo rimane sbalordito vedendo le pelli appese, ed è preoccupato: meglio che Hermes non cresca più, altrimenti diventerebbe veramente troppo pericoloso; così decide di legarlo con vimini, ma questi, per volontà del dio fanciullo, misero radici ai suoi piedi e immobilizzarono anche le vacche tutt’intorno. Come placare Apollo? Hermes lo sapeva bene. Imbracciò la lira, toccò le corde con il plettro, e accompagnandosi con quello strumento si mise a cantare, postosi alla sinistra del fratello maggiore. Quel suono e quel canto rasserenarono immediatamente il dio arciere, conquistato dalla divina armonia della musica. Hermes canta evocando una cosmogonia e celebrando gli dèi immortali e la Terra, la loro origine, le loro prerogative «secondo il rango e la nascita di ognuno», e in primo luogo Mnemosine, la dea della memoria. Già, perché solo da lei i poeti epici potevano ottenere la garanzia della veridicità di ciò che cantavano: l’autore dell’Inno omerico a Hermes ne era consapevole e nella tradizione epica ormai illustre voleva ascriversi, piuttosto che presentare il suo canto come qualcosa di interamente nuovo, e Mnemosine è 40 HERMES anche madre delle Muse, le divinità protettrici delle arti. L’operazione che Hermes compie è speculare al sacrificio, in cui aveva riservato dodici porzioni in corrispondenza dei dodici dèi: Hermes viene sempre presentato come ordinatore e celebratore del pantheon olimpico. Il canto risultò così irresistibile che Apollo fu preso dal desiderio di possedere quello strumento meraviglioso. Certo, egli era già la guida delle Muse stesse e sapeva cantare accompagnato dall’aulòs. Eppure, prima di quel momento Apollo non aveva mai udito suoni così dolci e dunque chiede a Hermes in dono la lira, disposto a lasciargli in cambio la sua mandria: la potenza di quella musica gli sembra tale da «raggiungere tutte insieme tre cose: la gioia, l’amore e il dolce sonno». È una definizione del valore della musica, che a noi moderni sembra decisamente riduttiva, perché nega la sua autonomia, il suo valore in quanto arte. Ma certo il pubblico antico non la pensava così, e bisognerà giungere molto avanti nei secoli perché l’arte venga apprezzata in quanto tale. Del resto, in Grecia la musica era quasi esclusivamente vocale, e al testo veniva attribuita un’importanza molto maggiore che all’accompagnamento musicale, sebbene 41 GRANDI MITI GRECI qui il poeta metta in rilievo la dolcezza delle sonorità dello strumento a corde. Ancora una volta, l’episodio mitico rispecchia una realtà storica, quella processuale, che trovò il suo massimo sviluppo – o almeno per noi moderni le più chiare testimonianze – nell’oratoria giudiziaria del IV secolo a.C., ma anche in molti passi di tragedia e di commedia, dove due avversari espongono le loro tesi in forma appunto di dibattimento giudiziario vero e proprio. Un dibattito in cui il giovanissimo Hermes si dimostra in realtà ottimo difensore di se stesso (e così infatti avveniva nella prassi giudiziaria, in cui le due parti dovevano esporre le proprie ragioni senza l’assistenza legale di terzi, anche se i loro discorsi erano in genere preparati da professionisti della parola). Così le due divinità giungono a un’equa spartizione: ad Apollo, dio della poesia e della divinazione, il 42 HERMES prezioso e incantevole strumento; a Hermes la prerogativa di diventare il dio dei pastori e delle greggi. Ma perché Apollo, che già conosceva l’aulòs, desidera tanto la cetra? Dietro quest’episodio si cela quella vera e propria controversia, già ricordata, che opponeva i due strumenti l’uno all’altro nel favore degli uomini e degli dèi, che degli esseri umani sono in definitiva lo specchio. Ecco perché la lira divenne, anche nell’iconografia, lo strumento privilegiato di Apollo. L’Inno a Hermes non fa che riflettere questa ideologia, e a Pindaro, il più grande poeta lirico greco, toccherà il compito di celebrare splendidamente nella prima Pitica il potere della musica, simbolo di armonia e di ordine, tale da placare perfino l’aquila appollaiata sullo scettro di Zeus; e in quel passo «la cetra d’oro» sarà «possesso comune di Apollo e delle Muse». Apollo è dunque disposto a concedere molti onori al dio fanciullo, fra i quali la verga del pastore e il caduceo, ossia un bastone alato con due serpenti attorcigliati, caratteristico degli araldi; gli altri attributi che rendono immediatamente riconoscibile Hermes sono i sandali alati – quindi diversi da quelli vegetali frettolosamente fabbricati dal dio neonato – e il cappello basso a tesa larga, tipico dei 43 GRANDI MITI GRECI contadini, dei marinai e dei pescatori, detto pétaso: un’altra caratteristica che avvicina Hermes alle classi sociali più umili, mentre Apollo è una divinità fortemente aristocratica. Hermes chiede al fratello anche il dono della divinazione; ma questa Apollo non può concederla, almeno nelle sue manifestazioni più alte. Tuttavia gli riconosce una sorta di divinazione minore, ossia il controllo sulle Trie, tre ninfe sorelle figlie di Zeus, che mangiando il miele sul monte Parnaso sanno predire la verità attraverso l’interpretazione del lancio di piccoli sassi: a esse i devoti di Hermes potranno rivolgersi. E l’accordo fra i due fratelli si conclude con la promessa solenne, ma anche un po’ comica, di non derubarsi a vicenda. In realtà, tutta la vicenda è profondamente inverosimile: Apollo, il dio veggente e oracolare per eccellenza, non si sarebbe potuto ingannare, e tanto meno avrebbe avuto bisogno di chiedere informazioni sulle modalità del furto e sul luogo in cui le sue vacche fossero custodite. Ma anche Sofocle, il secondo grande poeta tragico del V secolo a.C., gioca su questa inverosimiglianza nel dramma satiresco I cercatori di tracce, giunto a noi molto lacunoso, dove si narra come il dio, profondamente adirato, anzi furi- 44 HERMES bondo, ricorresse all’aiuto di Sileno, creatura dalla coda equina ma per il resto di forma umana caratterizzata da un fallo eretto, e dei suoi seguaci, i Satiri, creature mostruose metà uomini e metà caproni, che si diedero alla caccia delle greggi. Sia Sileno sia i Satiri si contraddistinguevano per l’erotismo sfrenato e per i legami frequenti con le Ninfe, come loro divinità della natura: delle sorgenti, dei fiumi, degli alberi, dei boschi. Trasformatisi in segugi, in cercatori di tracce appunto, in un primo tempo sembrò che anch’essi fossero votati al fallimento, ma, giunti in Arcadia presso la grotta della ninfa Cillene, udirono una musica meravigliosa eseguita su una lira, che tradì la presenza del ladro bambino. Egli però nega il furto della mandria, e a questo punto per noi il testo sofocleo si interrompe; è molto probabile che si giungesse comunque a una riconciliazione, come nell’Inno omerico, fra Hermes e Apollo, tanto più che il genere del dramma satiresco non prevedeva un finale tragico. Certo non si trattava di un furto qualsiasi: dell’abigeato, ossia, appunto, del furto di bestiame, abbiamo già sottolineato la gravità e la frequenza nel mondo arcaico greco, e come siano molti i miti che lo narrano a proposito di eroi e divinità diversi, miti 45 GRANDI MITI GRECI legati soprattutto proprio alla Grecia occidentale e al filone epico gravitante intorno all’area di Pilo, come in anni recenti gli studiosi hanno dimostrato. Semmai, l’originalità dell’Inno a Hermes consiste nel fatto di avere saldato quell’episodio con l’invenzione della lira e il dono ad Apollo. Invenzione attribuita a Hermes tutt’altro che univocamente: tradizioni diverse la attribuivano a Orfeo, il celeberrimo cantore trace sposo di Euridice, o ad altri cantori mitici o addirittura ad Apollo stesso. Apollo è dunque disposto a concedere molti onori al dio fanciullo, fra i quali la verga del pastore e il caduceo, ossia un bastone alato con due serpenti attorcigliati, caratteristico degli araldi; gli altri attributi che rendono immediatamente riconoscibile Hermes sono i sandali alati e il cappello basso a tesa larga, tipico dei contadini, dei marinai e dei pescatori, detto pétaso: un’altra caratteristica che avvicina Hermes alle classi sociali più umili, mentre Apollo è una divinità fortemente aristocratica. 46 HERMES Hermes dio dei pastori A questo punto l’Inno presenta una lacuna evidente, dopo la quale una conclusione frettolosa ricorda appena quella che invece è una prerogativa essenziale di Hermes, ossia il suo profondo aggancio con il mondo pastorale, sebbene già molto significativa, da tale punto di vista, sia l’impresa di rubare la mandria di Apollo. Hermes è, in particolare, il dio che favorisce la fecondità delle greggi, non tanto di loro protettore in quanto tali; e non è un caso che la verga pastorale gli sia donata da Apollo, il quale pure conserva il suo potere, non sempre benefico, sulle greggi: basterebbe pensare alla pestilenza che colpisce uomini e animali per volere di Apollo e che costituisce la premessa dell’Iliade. Egli è dunque il protettore dei pastori, dei ladri e dei commercianti: un bel ventaglio di attività non esattamente armoniche tra loro; ma è caratteristica precipua di ciascuna divinità olimpica la poliedricità di attributi e di inclinazioni nel rapporto con gli esseri umani. Hermes non si caratterizza per la sua irresistibile potenza, come Apollo, Ares, Poseidone, Atena, Artemide, Afrodite. È piuttosto, 47 GRANDI MITI GRECI come è stato definito, «un dio minore», ma senza che ciò implichi una svalutazione. Egli è il protettore della gente umile, come appunto i pastori o i commercianti (attività largamente praticata ma poco stimata dai Greci) o addirittura, lo si è già ricordato, i ladri. Ma è anche, come tutte le divinità greche, infido: «rare volte soccorre, infinite volte inganna, nella notte oscura, le stirpi degli uomini mortali». Quale dio dei pastori, egli è strettamente affine a Pan, dio pastorale per eccellenza, venerato specialmente in Arcadia; ma, secondo una notizia riferita da Plutarco, erudito e biografo del I-II secolo d.C., al tempo dell’imperatore Tiberio si pensava che Pan fosse figlio di Hermes e di Penelope, talvolta identificata con la moglie di Odisseo; dunque, come figlio di un dio e di una donna mortale, egli stesso non un dio bensì un eroe soggetto alla morte. Ma è una speculazione mitografica tarda, che forse noi potremmo spiegare come simbolo della vegetazione che nasce, muore e rinasce. È anche il dio dei cacciatori e dei pescatori, e sa essere talvolta terribile; non ama mostrarsi agli esseri umani, ma preferisce far udire la propria voce o il suono della siringa, il suo strumento preferito. Se 48 HERMES Pan non va oltre tale sfera, Hermes ha competenze più ampie e diverse; Pan ha un aspetto in parte ferino, con i suoi piedi di capra e i due corni sulla fronte, mentre Hermes è esclusivamente antropomorfo; Pan preferisce rimanere invisibile fra i boschi e i monti dell’Arcadia, mentre Hermes è un dio socievole, che accompagna l’uomo. Tuttavia anche Pan predilige la musica e il suo strumento, la siringa, spesso chiamata appunto flauto di Pan, e come tale diviene il soggetto privilegiato dei poeti bucolici in Grecia e a Roma: Teocrito, Virgilio, Mosco e Bione. Non è un caso che fra i numerosi figli di Hermes, frutto delle sue unioni con le Ninfe, ci sia anche Dafni, il patrono – se così si può dire – della poesia pastorale; e il medesimo nome porta l’innocente innamorato di Cloe in quello che è forse il più celebre fra i romanzi greci, Gli amori di Dafni e Cloe, attribuito a un non meglio identificato Longo Sofista e ambientato in una campagna arcadicamente pastorale. Romanzo che ebbe enorme fortuna e fu tradotto egregiamente nel Cinquecento da un fine letterato quale Annibal Caro, che molto si dedicò allo studio e alle traduzioni dei classici greci e latini. 49 GRANDI MITI GRECI È il protettore della gente umile, come appunto i pastori o i commercianti (attività largamente praticata ma poco stimata dai Greci) o addirittura, lo si è già ricordato, i ladri. Ma è anche, come tutte le divinità greche, infido: «rare volte soccorre, infinite volte inganna, nella notte oscura, le stirpi degli uomini mortali». Quale dio dei pastori, egli è strettamente affine a Pan, dio pastorale per eccellenza, venerato specialmente in Arcadia. Hermes guida dei viventi e dei morti L’Inno omerico, che rimane per noi la fonte principale su Hermes, lascia tuttavia in ombra una caratteristica precipua della sua figura: quella di messaggero, che invece già i poemi omerici, in particolare l’Odissea, conoscevano. Nell’Iliade il compito di comunicare agli esseri umani i decreti divini è preferibilmente affidato a una divinità minore come Iris. Tuttavia, nel secondo canto, allorché il poeta traccia la storia dello scettro di Agamennone, il capo 50 HERMES supremo degli Achei, si dice che Zeus l’aveva consegnato a Hermes, il quale a sua volta lo diede a Pelope, il capostipite dei Pelopidi (o Atridi), da cui Agamennone stesso discendeva. Questa narrazione sposta la figura di Hermes in un ambito molto diverso da quello pastorale per metterla in contatto con le grandi famiglie aristocratiche del mito greco. Nel quinto canto, Afrodite, ferita da Diomede, viene consolata dalla madre Dione, che le ricorda altri casi in cui una divinità ebbe a soffrire per colpa di esseri umani, e fra gli altri Ares, il dio della guerra, che fu fatto prigioniero da due giganti e rimase incatenato per tredici mesi, finché Hermes riuscì a “rubarlo”. Così si esprime Omero, e questo ci sorprende assai poco, perché il furto – l’abbiamo già visto – è caratteristica peculiare di Hermes fin dalle sue primissime avventure. Tuttavia egli non partecipa mai alla lotta che si scatena intorno alle mura di Troia se non per il breve momento in cui si scontra con Letò, la madre di Apollo, il massimo protettore dei Troiani, e solo incidentalmente viene dichiarata la sua appartenenza al gruppo delle divinità che favorivano gli Achei. Dobbiamo leggere in questa vicenda la rivalità fra Hermes e Apollo, che più tardi verrà narrata 51 GRANDI MITI GRECI ampiamente dall’autore dell’Inno a Hermes? Difficile dirlo, ma certo sembra di scorgere un nucleo narrativo molto antico. Di fatto, occorre giungere all’ultimo canto per vederlo assumere un ruolo protagonistico. Achille ha ormai ucciso Ettore, ma, non ancora placato, per dodici giorni trascina il cadavere del nemico intorno alla tomba di Patroclo, l’amico ucciso da Ettore stesso. Gli dèi però, in particolare Apollo e Zeus, ne provano pietà ed elaborano un piano accorto: Iris andrà a indurre Teti a placare l’animo del figlio, e poi si recherà da Priamo per consigliargli di spingersi fino alla tenda di Achille con un ricchissimo riscatto per il cadavere di Ettore: il vecchio sovrano non dovrà temere nulla, perché sarà accompagnato da Hermes. La moglie Ecuba è disperata e non vorrebbe lasciar partire il marito per una missione così pericolosa, anzi folle: andare a implorare lo spietato Achille, proprio colui che aveva ucciso il loro figlio più valoroso, l’unico vero baluardo di Troia? Che cosa avrebbe potuto sperare? Ma Priamo è decisissimo a partire, confidando nelle parole di Iris e in un segno favorevole inviato da Zeus. Ed è qui che Hermes assume, per la prima volta nel poema, un ruolo fondamentale. Evidentemente, senza il suo 52 HERMES aiuto, il re non avrebbe potuto passare inosservato alle guardie dell’accampamento acheo e giungere fino alla tenda di Achille. Ma il dio, manifestandosi sotto le sembianze di un bellissimo e nobile adolescente, conquista subito la fiducia del vecchio re inerme, che da lui si lascia guidare al campo acheo; là, Hermes con la sua verga magica addormenta i guardiani e conduce il vecchio re fino alla tenda di Achille – è il fascino della primissima gioventù e della bellezza fisica, che i Greci avvertirono sempre come irresistibile. Solo a quel punto Hermes gli rivela la sua natura divina, ma poi scompare, perché non è opportuno che un dio si manifesti nelle sue vere sembianze ai mortali. Così si rende possibile l’incontro fra Priamo e l’uccisore di suo figlio, certamente uno fra gli episodi più straordinari del poema. In quest’unico caso nell’Iliade il ruolo di Hermes appare essenziale e dunque tanto più eccezionale. Nell’Odissea, invece, Iris è del tutto assente, mentre gli interventi di Hermes sono numerosi, ed è lui in sostanza il principale intermediario fra gli dèi e gli uomini da un lato e fra le divinità stesse dall’altro. Era lui, narra il poeta, il dio messaggero per definizione, a essere stato mandato da Egisto per vo- 53 GRANDI MITI GRECI lontà di Zeus ad avvertirlo di non commettere adulterio con Clitemnestra e di non uccidere Agamennone; ma invano. Hermes messaggero – si narra in altro passo dell’Odissea – «che all’opere di tutti gli uomini dà grazia e splendore». Ancora dall’Odissea veniamo a sapere dello stretto legame fra Hermes e Autolico, il nonno materno dell’eroe, «che tra i mortali eccelleva / per ruberie e spergiuri: un dio gli fece simile dono, / Ermete, che a lui gradite cosce bruciava / d’agnelli e capretti; perciò lo aiutava, benigno». Soprattutto, a Hermes tocca l’incarico di ingiungere a Calipso, la ninfa figlia di Atlante e Pleione, che teneva Ulisse quasi prigioniero del suo amore sull’isola remota di Ogigia – collocata nell’estremo Occidente presso le colonne d’Ercole, ossia lo stretto di Gibilterra – di lasciar libero l’eroe di tornare a Itaca. Anche in questo caso Hermes appare come una divinità che non assume decisioni proprie, ma piuttosto 54 HERMES si presta a eseguire la volontà altrui, ed è in sostanza benefico. Questa volta, Calipso dovrà cedere al comando di Hermes, rappresentante di Atena e di Zeus, e la missione di Hermes otterrà dunque il risultato decisivo di sbloccare l’azione del poema: Odisseo, per consiglio della ninfa stessa, costruirà una zattera con la quale, nonostante l’ostinata collera di Poseidone, sbarcherà finalmente a Scheria, l’isola felice dei Feaci, che gli concederanno generosa ospitalità e lo accompagneranno finalmente a Itaca. Non meno rilevante era stato, prima ancora, il suo ruolo, quando Odisseo e i compagni erano approdati sull’isola della maga Circe, figlia di Elio, il dio sole, e sorella di Medea, che pure abitava su un’isola sperduta talora identificata presso l’attuale Circeo. Costei aveva trasformato in porci quasi tutti i compagni, ma l’eroe vuole comunque affrontarla. Poco prima di giungere allo splendido palazzo di Circe, ecco venirgli incontro – ancora una volta, come nell’Iliade, sotto le sembianze di un bellissimo adolescente – il dio Hermes dalla verga dorata (il cosiddetto caduceo), con un dono prezioso: l’erba magica detta moly, capace di renderlo immune dai sortilegi; un’erba dalla radice nera e dal fiore bianco come lat- 55 GRANDI MITI GRECI te. È ancora Hermes a spiegare a Odisseo cosa dovrà fare dopo essere sfuggito al sortilegio di Circe: fare l’amore con lei e costringerla a giurare di liberare i compagni facendoli ritornare esseri umani. Questo infatti avverrà. Ormai giunto sano e salvo a Itaca, viene accolto dal fedele porcaro Eumeo, il quale offre in sacrificio un grosso maiale, lo divide in sette parti e consacra la prima alle ninfe e a Hermes: un particolare che rivela come già nel mondo omerico Hermes fosse considerato figlio di Maia e dunque particolarmente legato alle ninfe; Hermes messaggero – si narra in altro passo dell’Odissea – «che all’opere di tutti gli uomini dà grazia e splendore». Ancora dall’Odissea veniamo a sapere dello stretto legame fra Hermes e Autolico, il nonno materno dell’eroe, «che tra i mortali eccelleva / per ruberie e spergiuri: un dio gli fece simile dono, / Ermete, che a lui gradite cosce bruciava / d’agnelli e capretti; perciò lo aiutava, benigno». E noi già sappiamo come Hermes fosse considerato il protettore dei ladri! Molto diverso appare il suo compito nell’ultimo canto del poema. I pretendenti di Penelope sono ormai già stati uccisi da Odisseo e Telemaco, e il compito di condurre nell’Ade le loro anime tocca appunto a 56 HERMES Hermes, solo qui nei poemi omerici presentato nella veste di psicopompo, per usare il termine greco, che significa appunto “guida delle anime”. Egli non è un dio della morte, semplicemente svolge anche per le anime dei morti il medesimo ruolo che gli abbiamo visto svolgere per i vivi. Del resto, le divinità greche non hanno mai una sola dimensione: l’ambiguità, anzi la molteplicità fa parte della loro essenza costitutiva. Da questa funzione di accompagnatore si sviluppa quella di araldo, e dunque Hermes è anche il dio della parola, del discorso e della sua interpretazione: è il dio dell’ermeneutica, appunto; e come tale fu assai apprezzato, soprattutto dai mitologi e dai filosofi nella tarda antichità, al punto da essere ritenuto nonno di Pitagora; ma già da uno dei primissimi interpreti di Omero, Teagene di Reggio, vissuto nel VI secolo a.C., Hermes fu ritenuto il dio della parola, della persuasione, dell’eloquenza, ma spesso, anche in questo campo, di un’eloquenza ingannatrice fino allo spergiuro. E d’altronde può anche essere messaggero di pace: per questo la mutilazione delle erme parve particolarmente grave e il culto di Hermes trovò grande voga durante la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.). Egli non è un dio guerriero, 57 GRANDI MITI GRECI ma collabora con gli altri olimpi nella lotta contro i Giganti e i Titani, protegge Hera dalla lussuria dei Sileni, libera Ares dalle catene; assiste Eracle nelle sue imprese e lo accompagna nell’Ade. Il culto di Hermes A Hermes, come alle altre divinità greche maggiori, si dedicavano altari e statue, ma peculiari del suo culto sono le cosiddette erme, blocchi di pietra quadrangolari. Esse vengono intese come pietre di confine e come indicatori delle strade: strade che spesso, nelle città greche, conducono all’agorà, ossia alla piazza del mercato, e dunque Hermes è anche intimamente connesso alle attività che nel mercato si svolgono. Sappiamo come in tempi remoti fosse abitudine dei viandanti ammucchiare sassi ai bordi delle strade con la medesima funzione delle erme; talvolta segnavano pure un luogo di sepoltura, e ammucchiare sassi era probabilmente un rito catartico analogo alla lapidazione di un colpevole. Sicuramente antichissima, l’usanza di ammucchiare sassi a scopo rituale si riscontra in culture anche molto di- 58 HERMES verse e lontane nel tempo e nello spazio da quella greca: dall’Asia all’Italia preromana ed etrusca, all’Europa scandinava. Da quella fase più arcaica si sviluppò l’usanza di collocare questi blocchi quadrati di pietra forniti di una testa, in genere barbuta, del dio Hermes e di un fallo eretto, evidente simbolo di fecondità, ma anche inteso come portafortuna e difensore dai fantasmi. Nello stesso tempo, Hermes sa anche aprire le porte delle case, appunto in quanto protettore dei ladri. Collocate lungo le vie e i crocicchi o accanto alle porte delle abitazioni, esse non mancavano in quasi nessun centro abitato importante, e quasi certamente rappresentavano uno stadio intermedio fra quello, antichissimo, in cui il dio era identificato semplicemente da un blocco di pietra o da un mucchietto di sassi, e la completa antropomorfizzazione caratteristica delle divinità greche, in questo caso sintetizzata – se così si può dire – dalla presenza di una testa e di un fallo. Hermes, lo sappiamo, è un dio di proverbiale rapidità: i suoi calzari dorati e alati lo portano dovunque in un baleno. Luciano di Samòsata, poligrafo del II secolo d.C., nei suoi irriverenti Dialoghi degli dèi, fa esclamare a Hermes: «Ma quanto ho da fa- 59 GRANDI MITI GRECI re!»; tuttavia nel culto non è fra le divinità maggiormente onorate. Hermes godette però di grande venerazione fra i ceti popolari e fra i giovani, e originariamente dovette essere legato alla fecondità degli esseri umani, nonché, poi, a quella degli animali, tanto che in alcune località egli fu onorato semplicemente sotto forma di fallo. Costante accompagnatore delle Ninfe, egli è protagonista di molte avventure amorose, da cui nacquero altrettanto numerosi figli. Particolarmente notevole la sua unione con Afrodite, dalla quale nacque Eros. Tutte caratteristiche che legittimano l’intensa devozione dei giovani greci per questo dio veramente giovanile: inquieto, mobile, propenso ai piaceri sessuali, ingannatore, ben poco solenne. Hermes e Afrodite nascono nello stesso giorno, il quarto del mese; e secondo certe tradizioni mitografiche la dea sarebbe stata sua madre, anziché sua amante; ma nella mitologia greca spesso accade che i due ruoli in qualche misura si sovrappongano, sicché la madre si trasforma in amante. Hermes, come il figlio Eros, è un dio che predilige le palestre, notoriamente luoghi di incontri amorosi per giovani e meno giovani, e anche gli sport gli sono cari: grande corridore e discobolo, 60 HERMES egli viene invocato soprattutto dagli adolescenti e dai giovani perché conceda loro la vittoria; e non è certo un caso che in età imperiale romana gli venisse attribuita un’amante, figlia di un re dell’Arcadia, di nome Palestra! Come patrono dell’amore egli è invocato, insieme a Eros, nei papiri magici. Non dimentico del suo ruolo di accompagnatore, è lui a condurre Anchise da Afrodite e Euridice da Orfeo, ed è ancora lui a vendere come schiavo Eracle alla regina di Lidia Onfale, come un vero e proprio mezzano. Così è naturale che egli sia anche capace di propiziare la fecondità fra gli animali, soprattutto fra quelli domestici o comunque utili all’uomo. L’ariete e il caprone gli sono consacrati, non senza connotazioni rituali oscene. Ecco perché, come abbiamo già osservato, egli è il dio dei pastori, le cui greggi può aumentare o ridurre a suo piacimento. Più raramente il potere di Hermes si estende agli animali selvaggi, quali leoni e cinghiali. Le erme furono sempre circondate da venerazione e rimasero il simbolo più caratteristico del culto di Hermes, sicché tanto maggiori furono lo scandalo e lo sconcerto degli Ateniesi, quando, nella primavera del 415 a.C., ormai in procinto di salpare per la 61 GRANDI MITI GRECI spedizione contro Siracusa, essi trovarono inaspettatamente le erme mutilate. Tucidide, il grande storico contemporaneo a quegli avvenimenti, si diffonde a narrare la vicenda. Ciò diede infatti avvio a una clamorosa inchiesta, caratterizzata da accuse e delazioni ma mai chiarita del tutto. Comunque, fra i colpevoli dell’atto sacrilego fu additato anche Alcibiade, ricchissimo e prestigioso uomo politico e generale, che si apprestava a guidare il contingente ateniese in Sicilia. Già partito dalla città, ma richiamato per rendere conto della vicenda, Alcibiade, prevedendo una quasi sicura condanna, preferì sottrarsi al giudizio, andò in esilio e passò dalla parte di Sparta, la città arcinemica di Atene, provocando un grave danno alla sua patria. Egli fu poi richiamato negli ultimissimi anni della guerra, quando ormai era troppo tardi per evitare la sconfitta, e morì di morte violenta lontano dalla patria. Sulle erme il dio fu in un primo tempo raffigurato barbuto, ma poi anche imberbe, così come il fallo dopo il VI secolo non sempre fu rappresentato eretto, e ci si avviò alla realizzazione di ulteriori tratti sempre più antropomorfici. Ma certo le erme più caratteristiche e genuine rimangono per noi quelle più arcaiche. Realizzate in 62 HERMES pietra o in bronzo, poste su una base oppure direttamente sul terreno, talvolta provviste di epigrafi, le loro dimensioni erano assai variabili: alcune a grandezza d’uomo, altre invece molto basse. E non mancano neppure erme bicefale o tricefale, che permettevano di vedere l’immagine del dio da più lati. Potevano essere collocate dovunque, non solo sulle strade o nei crocicchi, bensì anche davanti alle porte e nei cortili delle case o nei ginnasi e nelle palestre, nelle biblioteche come sulle tombe. Spesso si ornavano con ghirlande di fiori, rami d’albero e frutti, specialmente fichi secchi, prezioso nutrimento per i viandanti più poveri. E se è vero che con l’andare del tempo esse furono dedicate anche ad altre divinità, per esempio a Dioniso, Eracle e Pan, le erme rimasero però l’oggetto di culto specifico e privilegiato del dio Hermes, sempre venerate in particolare dal popolino, molto meno da chi, come Alcibiade, appartenesse all’élite colta e disincantata delle città. I devoti toccavano, per propiziarsi il dio, la testa, la barba, il fallo, un po’ come i devoti cristiani di oggi toccano le immagini dei santi o della Vergine Maria. Data la presenza evidente del fallo, si credeva che esse favorissero in qualche modo i legami amorosi, e come 63 GRANDI MITI GRECI tali erano venerate dai giovani e anche dai meno giovani; del resto, non bisogna mai dimenticare che Hermes è un dio raffigurato sempre con un aspetto giovanile: è, in un certo senso, veramente il loro dio. Hermes godette però di grande venerazione fra i ceti popolari e fra i giovani, e originariamente dovette essere legato alla fecondità degli esseri umani, nonché, poi, a quella degli animali, tanto che in alcune località egli fu onorato semplicemente sotto forma di fallo. Costante accompagnatore delle Ninfe, egli è protagonista di molte avventure amorose, da cui nacquero altrettanto numerosi figli. Particolarmente notevole la sua unione con Afrodite, dalla quale nacque Eros. Hermes è anche colui che dà e toglie il sonno e i sogni: «ispiratore di sogni» lo definisce appunto l’Inno omerico a lui dedicato; e una sua immagine si metteva nella camera da letto, così come a lui si libava prima di andare a dormire. È evidente come dal son- 64 HERMES no alla morte il passo sia breve, soprattutto secondo la mentalità dei Greci, che spesso equiparano letterariamente l’uno all’altra; e dunque Hermes può essere, occasionalmente, un dio della morte. In Eschilo l’espressione «lo raggiunge Hermes» significa “lo raggiunge la morte”, in genere però una morte improvvisa, mentre quella che conclude una lunga sofferenza è piuttosto appannaggio di Persefone, la regina dell’Ade, ossia dei morti, per eccellenza. E se la morte è concepita come un viaggio, ecco che Hermes si presta naturalmente, come abbiamo visto, ad accompagnare il morto nell’Ade, appunto come psicopompo, una funzione che già Omero ben conosceva. Hermes e Atena accompagnano Eracle nell’Ade verso lo scontro con Cerbero, il cane infernale dalle molte teste; ma è ancora Hermes, insieme a Gea (la Terra) e a Plutone, a essere invocato, nei Persiani di Eschilo, affinché l’anima di Dario, re dei Persiani, ritorni momentaneamente sulla terra. Anche questo è un compito in un certo senso subordinato: Hermes si pone sempre al servizio di un dio o di un eroe, come quando accompagna Eracle nell’impresa di riportare alla luce Alcesti. Sono testimonianze letterarie che rimandano, probabilmente, a credenze an- 65 GRANDI MITI GRECI tichissime. Un rapporto, questo con il mondo degli Inferi, che viene molto esaltato nei riti magici e superstiziosi della tarda antichità; e allora Hermes apparirà sempre accanto a Persefone, Ecate, le Erinni, Gea e Ade. Nei papiri magici della tarda età imperiale romana Hermes si trasforma addirittura nel “capo di tutti i maghi”, nel signore degli spiriti capace di distruggere la prosperità, di annientare la fecondità, di obnubilare la ragione, sicché grande diventa il suo ruolo nelle formule di maledizione. Hermes è ormai assimilato a un negromante e finirà per giocare un grande ruolo nel sincretismo complesso fra politeismo pagano tradizionale, credenze egizie e semitiche, eresie cristiane. È il terreno su cui nasce la figura di Hermes “tre volte grandissimo” (trismeghistos). Siamo, evidentemente, ben lontani ormai dalla luminosità vitale e a tratti giocosa dell’Inno omerico. Ma anche queste sono testimonianze della perdurante vitalità del culto di Hermes e della sua capacità metamorfica, e vale la pena di soffermarsi un poco proprio su questa figura di Hermes Trismeghistos. La sua origine si rinviene nel dio egizio Thoth, il dio della scrittura, delle misure e dei numeri, delle invenzioni, ed è an- 66 HERMES che maestro di Iside; egli è, insomma, il depositario della sapienza divina per eccellenza. Proprio per la sua grande capacità inventiva i Greci, che sempre amarono identificare con le proprie le divinità degli altri popoli con cui entrarono in contatto, soprattutto quelle degli Egizi a cui riconoscevano un’antichità veneranda superiore alla loro,* non tardarono, soprattutto a partire dalla conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno con il successivo insediamento della dinastia dei Tolemei, a identificarlo appunto con Hermes, il dio inventivo per eccellenza. Essi fondarono anche una città egizia che portava il nome del dio, Ermopoli (Hermoupolis), la città di Hermes appunto. A lui in età augustea si attribuì l’invenzione delle lettere dell’alfabeto, del culto divino, dell’astrologia e della musica. Cicerone crede di sapere che, dopo l’uccisione di Argo, il mostruoso custode di Ino, il dio sia fuggito dall’Arcadia in Egitto e lì abbia introdotto «le lettere e le arti». Sono elaborazioni tarde, evidentemente, che però contribuirono a trasformare il primitivo dio delle greggi e dei pastori in un dio della parola e della ragione. Ciò * «Voi Greci siete sempre ragazzi, un vecchio fra voi non esiste», esclama un sacerdote egizio a Solone nel racconto del Timeo di Platone. 67 GRANDI MITI GRECI permise di identificarlo, in ambito ebraico, niente meno che con Mosè, che avrebbe ricevuto il nome di Hermes «a causa dell’interpretazione (hermeneia) delle sacre scritture». Ci troviamo evidentemente ormai nell’ambito di un sincretismo senza più freni, che continuò a complicarsi fino alla fine del mondo pagano e anche oltre, con notevoli connotazioni magiche e alchemiche, dove elementi del pensiero greco, soprattutto platonico, si mescolano con credenze religiose e superstiziose egizie e con speculazioni assai azzardate sul piano razionale, per non dire selvaggiamente fantasiose. Se un principio unitario in questa massa si può ravvisare, esso consiste nel dualismo platonico fra spirito e materia, con il fine di elevarsi sopra quest’ultima, intesa come principio malefico, mediante la purificazione e la speculazione; ma solo pochi eletti possono sottrarsi agli inganni della materia e giungere alla purezza dello spirito. In sostanza è una dottrina salvifica, di cui evidentemente l’uomo tardoantico sentiva urgente necessità e che segnò poi il trionfo del cristianesimo, che ebbe l’accortezza, grazie a Paolo di tarso, di estendere a tutti i suoi fedeli la speranza della salvezza e della resurrezione della carne. 68 HERMES questa figura di Hermes Trismeghistos. La sua origine si rinviene nel dio egizio Thoth, il dio della scrittura, delle misure e dei numeri, delle invenzioni, ed è anche maestro di Iside; egli è, insomma, il depositario della sapienza divina per eccellenza. Proprio per la sua grande capacità inventiva i Greci, che sempre amarono identificare con le proprie le divinità degli altri popoli con cui entrarono in contatto, soprattutto quelle degli Egizi a cui riconoscevano un’antichità veneranda superiore alla loro,* non tardarono, soprattutto a partire dalla conquista dell’Egitto da parte di Alessandro Magno con il successivo insediamento della dinastia dei Tolemei, a identificarlo appunto con Hermes, il dio inventivo per eccellenza. A lui venne attribuita una quantità incredibile di scritti teologici, astrologici e astronomici che sarebbero stati noti anche a Pitagora e a Platone. Da que* «Voi Greci siete sempre ragazzi, un vecchio fra voi non esiste», esclama un sacerdote egizio a Solone nel racconto del Timeo di Platone. 69 GRANDI MITI GRECI sta massa di scritti, in realtà certamente di origine tarda, nacque l’idea di Hermes come iniziatore di una cultura difficile e misteriosa, ermetica appunto, che nei secoli successivi rimase appannaggio della sua figura divina e ne rappresentò, per così dire, l’ultima trasformazione. Tutti noi sappiamo come un testo particolarmente arduo sia facilmente definito “ermetico”: basterebbe ricordare quella corrente che dominò la poesia italiana per qualche decennio e che fu, appunto, definita “ermetismo”. Ebbene, l’origine di questo appellativo rimanda, come si è detto, all’interpretazione tardoantica della figura di Hermes. La discendenza di Hermes Si è già ricordato come Hermes, simile in questo a tutte le altre divinità maschili del pantheon greco, si abbandonasse molto volentieri all’unione con donne mortali, sicché ampia fu la sua discendenza. Fra i molti figli che il mito gli attribuisce vale la pena di ricordare almeno un essere assai singolare, l’Ermafrodito. Questi deve il suo nome, evidentemente, al fatto di essere nato dall’unione fra Hermes e Afrodi- 70 HERMES te. Sua caratteristica precipua è l’ambiguità sessuale: né veramente maschio né veramente femmina, egli è raffigurato come un giovane adolescente, ossia di quell’età in cui tale ambivalenza è più plausibile e frequente. A tale ambiguità la sensibilità dei Greci fu molto affine: i poeti ammirano la bellezza quasi verginale di un adolescente, gli artisti attribuiscono spesso tratti femminei ai corpi dei giovani, che dopo la severa età arcaica vengono rappresentati quasi sempre interamente nudi, ma in cui gli attributi evidenti della virilità non contrastano con la delicata bellezza dei tratti del volto e del petto. I Greci conobbero e venerarono ad Amatunte, città situata sulla costa meridionale di Cipro, perfino una Afrodite barbuta, di fatto maschile, non femminile, che il commediografo Aristofane chiamava Afrodito; per non parlare di certi riti che nella prima notte di nozze imponevano alla ragazza di indossare abiti maschili e al giovane abiti femminili, in uno scambio apparente di ruoli a cui poi l’unione sessuale poneva termine, sicché l’uno diventava veramente uomo e l’altra veramente donna. Del resto, Achille adolescente, confinato dalla madre Teti sull’isola di Sciro, una delle Sporadi, per impedirgli di partecipare alla 71 GRANDI MITI GRECI guerra di Troia, si accosta all’amata Deidamia in abiti femminili per non destare in lei sospetti e si rivelerà nella sua vera natura solo al momento della desiderata e inevitabile unione sessuale con la giovane. Vale forse la pena di ricordare come alcuni protagonisti di saghe mitiche celebri, per esempio l’indovino Tiresia, mutassero sesso: nel suo caso, per avere assistito all’accoppiamento di due serpenti. Omero ed Esiodo ignorano ancora divinità androgine, ma in piena età classica l’androginia conosce notevole fortuna, forse anche per influsso di culti androgini di origine microasiatica: basti pensare al celebre mito narrato nel Simposio di Platone. In origine esistevano tre sessi: quello maschile, quello femminile e l’androgino. L’essere umano, di forma sferica, provvisto di due facce, quattro gambe e quattro braccia, sarebbe stato diviso da Zeus in due parti; ma avrebbe conservato il rimpianto e il desiderio di ricostituire l’unità originaria: di qui il desiderio delle due metà maschili di riunirsi l’una con l’altra, e allo stesso modo delle due metà femminili e dell’androgino; e dunque dell’esistenza dell’omosessualità maschile, di quella femminile e della coppia uomo-donna. Giustificazione mitica dell’omoses- 72 HERMES sualità, che pure Socrate condanna alla fine del dialogo in nome di una spiritualità superiore che ravvisa la coincidenza fra il bello e il bene metafisico. Ma torniamo all’Ermafrodito. A lui si lega soltanto un mito, narrato distesamente da Ovidio, poeta latino di età augustea, nelle Metamorfosi, preziosissimo repertorio poetico che ispirò per secoli e secoli letterati e artisti. Presso Alicarnasso – e non casualmente l’ambientazione è dunque collocata nell’Asia Minore – sgorgava la fonte Salmacide, che, narra Ovidio, aveva il potere di snervare e rammollire chi le si accostasse. Ermafrodito, fino a quel momento allevato, come il padre, dalle Ninfe sul monte Ida, divenuto quindicenne, se ne va peregrinando per il mondo, giungendo anche in Licia e in Caria, due regioni anch’esse dell’Asia Minore, e arriva alla fonte Salmacide. Del bellissimo ragazzo si innamora la ninfa omonima: lo attira nell’acqua e si unisce a lui; il suo desiderio di rimanere per sempre avvinta al ragazzo si realizza appunto nella fusione corporea dei due amanti. Da quel momento in poi, Hermes e Afrodite conferirono alle acque di quella sorgente il potere di rendere effeminato qualunque uomo vi si bagnasse. Comunque sia, Ermafrodito rimanda allo 73 GRANDI MITI GRECI stretto legame cultuale, attestato in molti luoghi della Grecia, fra Hermes e Afrodite; e il suo culto rimase sempre legato alla sfera sessuale, anche matrimoniale ma più spesso calato in un contesto dichiaratamente osceno: le testimonianze artistiche raffigurano Ermafrodito come un bellissimo adolescente, dotato del membro maschile ma di un petto femminile, nel corteggio dionisiaco, oppure insieme a Eros, ai Satiri e a Pan. Del resto anche quest’ultimo è un dio pastorale per eccellenza, secondo molte fonti figlio di Hermes e di Penelope, la moglie di Odisseo: a lei almeno fanno riferimento Erodoto e Platone; per altri mitografi, madre di Pan sarebbe stata una ninfa omonima dell’Arcadia. Anche a lui è dedicato un Inno omerico, assai più breve, però, rispetto a quello dedicato a Hermes. Del padre Pan condivide molte caratteristiche: è un dio dei pastori, e dunque anche dei cacciatori e perfino dei pescatori; ma non ama farsi scorgere, anzi può essere pericoloso, soprattutto se disturbato durante il suo sonno meridiano. Come Hermes, ama la musica e il suo strumento d’elezione è la siringa, talvolta chiamata appunto “flauto di Pan”. Il suo aspetto non è completamente antropomorfo: l’Inno ricorda il suo piede caprino e le 74 HERMES sue due corna, nonché il corpo irsuto, così brutto nell’insieme che la madre, dopo averlo partorito, lo abbandonò inorridita. Fu Hermes, il padre, a raccoglierlo e a portarlo con sé sull’Olimpo. Zeus e gli altri dèi lo accolsero con benevolenza, anzi con gioia, e per questo ricevette il nome di Pan (in greco significa “tutto”), avendo provocato piacere a tutti gli dèi. Il suo culto sembra essere nato in Arcadia, dove maggiormente si diffuse anche in età classica, mentre altrove nel mondo greco rimase piuttosto marginale; maggiore fu la sua fortuna nella letteratura, soprattutto nella poesia pastorale. Famosa la leggenda narrata da Plutarco secondo cui un navigante greco, al tempo di Tiberio, giunto presso le coste dell’Acarnania – equivalente, grosso modo, all’attuale Epiro – udì una voce forte e misteriosa, nell’assoluto silenzio della natura, esclamare: «Il grande Pan è morto!». A quel punto si levò un gemito universale, quasi che la natura tutta fosse in lutto. È chiaro a noi moderni che il racconto narra in sostanza la morte e la rinascita di un dio, secondo uno schema probabilmente semitico diffuso nella mitologia greca anche a proposito di Adone, il bellissimo adolescente amato da Afrodite, cantato da Saffo e 75 GRANDI MITI GRECI ripreso dai poeti bucolici. Come abbiamo osservato nel caso di Hermes, anche qui in età imperiale romana dovette agire un forte sincretismo, che nulla ha a che vedere con la semplice divinità agreste del nucleo mitologico originario. E tuttavia questa lunga evoluzione è testimonianza della persistente vitalità di Hermes: una vitalità che in fondo non si esaurì completamente nemmeno con il trionfo del cristianesimo, allorché gli antichi dèi furono sbalzati dai loro troni per lasciare il posto a un unico dio crocifisso e risorto, e le “favole antiche” tanto rimpiante da Leopardi sembrarono rivivere soltanto nella nostalgia letteraria di pochi. 76 Statue of Hermes and the Goddess Roma in Colonna Square of Rome, Italy. 77 Genealogia di Hermes Gea + Urano Crono + Rea Metis + Zeus + Hera Atena Ares Efesto + Apollo + Leto + Artemide + Maia Hermes + Semele 78 Dioniso dai genitali di Urano Afrodite Poseidone Ade Demetra Estia Ho preso la genealogia di Atena, perché è fatta nello stesso modo e ha le stesse voci! 79 Variazioni sul mito 81 Archaeological Museum of Olympia. Group of Zeus and Ganymede Statue of Hermes holding God Dionysos, found at the archaeological museum of ancient Olympia in Greece Hermes – si legge ne La vana fuga dagli Dei (On Paranoia, 1985) del filosofo e psicanalista statunitense James Hillman – sarebbe un dio che si «situa sui confini»: una figura di soglia, di passaggio, attraverso cui esplorare porzioni dell’immaginario altrimenti inaccessibili, destinate a rimanere segrete. Del resto, di tutti gli dèi dell’antichità, Hermes è senza dubbio quello che esibisce più facce: dio della parola e quindi dei messaggi, ma anche delle menzogne; dio del viaggio, e quindi dei commerci, ma anche dei ladri. La tradizione lo ha inoltre collegato nel tempo allo sviluppo dell’ermeneutica e alla tradizione ermetica, con cui (in parte) condivide l’etimologia. Nelle storie del mito, Hermes appare solitamente nelle vesti di messaggero, coinvolto in una 83 GRANDI MITI GRECI innumerevole quantità di vicende, dagli amori di Zeus alle peripezie degli eroi epici. Come altre divinità, il suo nome latino è diventato quello di un pianeta, il più vicino al Sole, cui talvolta fu anche associato, e per conseguenza anche di un giorno della settimana, il mercoledì. Naturale, dunque, che la figura di Hermes sia stata al centro di molte riprese nelle letterature e nelle arti figurative e performative dei secoli successivi, dal Medioevo alla modernità, e che moltissimi autori, da Dante a Shakespeare, da Shelley a Kleist, da Jung a Serres, abbiano deciso di chiedere proprio al suo personaggio di rispondere alle domande del proprio tempo. Allegorie medievali Con l’editto di Tessalonica (380 d.C.), il paganesimo fu sostituito dal cristianesimo come religione ufficiale dell’impero romano. Gli antichi culti furono abbandonati e si aprì allora una nuova stagione, che scelse nuovi oggetti di venerazione. Era impensabile, tuttavia, poter accantonare un intero immagina- 84 HERMES rio di storie, credenze e riti da un giorno all’altro. La memoria degli antichi dèi, apparentemente abbandonati all’oblio, trovò il modo di sopravvivere in nuove forme. Un potente strumento di riconfigurazione simbolica, che permetteva di reinterpretare alla luce del cristianesimo quel deposito di storie che, nel tempo, era venuto a formare la mitologia classica fu l’allegoria, che nei primi secoli dell’età cristiana divenne la lettura dominante del mito classico. Un’interpretazione allegorica della figura di Hermes si legge nei Mythologiarum libri (Libri di mitologia, V-VI secolo d.C.) di Fulgenzio, grammatico vissuto in Africa settentrionale, al tempo del regno barbarico dei Vandali, che vi si erano insediati prima ancora della caduta dell’impero romano d’Occidente. Fulgenzio collegava il nome latino di Mercurio al commercio (da mercium-curum), mentre quello greco di Hermes alla traduzione (da ermeneuse). Il suo trattato elenca gli elementi che contraddistinguono il dio: i calzari alati (poiché un mercante è sempre di corsa); il caduceo (scettro che dà potere, ma può anche ferire, come i serpenti che vi sono aggrovigliati); l’elmo (poiché le vere intenzioni di un mercante so- 85 GRANDI MITI GRECI no sempre celate a suoi acquirenti); il gallo (poiché è all’alba che il mercante si sveglia per i suoi affari). In quanto dio dei messaggi, Hermes – secondo un’etimologia popolare, scorretta, ma significativa – venne messo in relazione alla tradizione dell’ermeneutica, vale a dire all’arte dell’interpretazione. Il messaggero degli dèi è anche colui che meglio di tutti conosce il linguaggio e i suoi possibili usi. Già Fulgenzio, come in tempi moderni avrebbe scritto Hillman, presentava Mercurio come figura di soglia: «Si dice che passi tra un regno e l’altro, quello più alto (il cielo) e quello più basso (la terra), poiché a volte sale su attraverso i venti, mentre altre si tuffa nel basso mondo attraverso le tempeste» (Libro I). Un’altra opera enciclopedica, addirittura precedente, composta nel periodo più convulso della caduta dell’impero romano, che ebbe grande fortuna nel Medioevo e che fa riferimento al dio fin dal titolo, fu il De nuptiis Philologiae et Mercurii (Il matrimonio di Filologia e Mercurio, V secolo) di Marziano Capella, che era vissuto anch’egli in Africa settentrionale, esercitando l’avvocatura a Cartagine. Il De nuptiis è un testo allegorico, in parte in versi e in parte in prosa, al modo della satira menippea, 86 HERMES con uno stile molto elaborato, denso di metafore. L’impiego dell’allegoria come strumento didattico lo rese un testo fondamentale per i secoli successivi, fino almeno al XII secolo, anche perché stabilì il canone delle arti liberali che sarebbe servito per l’organizzazione dei saperi e del loro apprendimento. Nei primi due libri si racconta la storia del corteggio e delle nozze di Mercurio – personificazione della ricerca intellettuale – che dopo essere stato rifiutato dalla Saggezza, dalla Profezia e dall’Anima, sposa la giovane Filologia – personificazione dell’apprendimento – resa immortale dalla protezione degli dèi. Tra le ancelle di Filologia ci sono le sette arti liberali: la Grammatica (una vecchia signora con un coltello per raschiare via gli errori), la Dialettica, la Retorica (una donna con un lungo abito ornato di figure retoriche), la Geometria, l’Aritmetica, l’Astronomia e l’Armonia (musicale). Al banchetto nuziale erano presenti anche altre due arti – Architettura e Medicina – che tuttavia non vennero considerate nel novero delle sette, poiché riferite a un orizzonte esclusivamente sensibile e intramondano. Nella prospettiva di Marziano Capella e di Fulgenzio l’eredità del paganesimo veniva in sostanza 87 GRANDI MITI GRECI ripensata in una prospettiva allegorica, che attraverso gli dèi antichi dava forma narrativa a un nuovo discorso simbolico, più adatto ai tempi, di natura filosofica. In quanto dio dei messaggi, Hermes – secondo un’etimologia popolare, scorretta, ma significativa – venne messo in relazione alla tradizione dell’ermeneutica, vale a dire all’arte dell’interpretazione. Il messaggero degli dèi è anche colui che meglio di tutti conosce il linguaggio e i suoi possibili usi. Un ruolo, in questo processo di riconfigurazione dell’immaginario, ebbe anche l’astronomia, le cui conoscenze allora si mescolavano con quelle dell’astrologia. A ogni pianeta venne dato il nome di un dio, nella versione latina. Mercurio diede così il proprio nome al più piccolo dei pianeti, che era anche il più veloce nel suo circolo intorno alla terra, il che veniva letto, allegoricamente, a riprova della lesta astuzia del dio. «La stella che in greco è chiamata Stilbos e che i pagani associano a Mercurio 88 HERMES (ragione per cui anche un giorno della settimana prende nome da lui) ha un corso più rapido di tutti gli altri pianeti e completa il suo circolo ogni sette», osservava Fulgenzio, «mentre Saturno impiega vent’otto anni e Giove dodici; per questo anche in Lucano si legge: “E Mercurio si fermò dal suo rapido moto”». L’adesione a questo tipo di credenze fu a lungo così forte che nemmeno la consapevolezza della loro radice pagana poté intaccarle. In particolare a Mercurio, in età medievale, venne tradizionalmente attribuita un’influenza sulle facoltà relative all’intelligenza, all’astuzia, e all’apprendimento degli uomini. Si può dire, in questo senso, che, nell’onomastica dei cieli, gli dèi antichi trovarono una breccia per rientrare a pieno diritto nell’immaginario collettivo. Nella Commedia, per esempio, Dante dà il nome di Mercurio al secondo cielo del suo paradiso (Paradiso, V-VII), in cui il poeta incontra gli spiriti dei beati che agirono spinti dal desiderio di gloria terrena, come l’imperatore Giustiniano. Il sovrano bizantino – che sulle prime non è riconosciuto dal poeta – si presenta narrando la sua vita e la sua azione politica: l’emanazione del Corpus Iu- 89 GRANDI MITI GRECI ris Civilis, l’adesione al monofisismo e poi il ritorno alla fede, la riconquista dell’Occidente grazie alle imprese del generale Belisario. Mercurio diede così il proprio nome al più piccolo dei pianeti, che era anche il più veloce nel suo circolo intorno alla terra, il che veniva letto, allegoricamente, a riprova della lesta astuzia del dio. «La stella che in greco è chiamata Stilbos e che i pagani associano a Mercurio (ragione per cui anche un giorno della settimana prende nome da lui) ha un corso più rapido di tutti gli altri pianeti e completa il suo circolo ogni sette», osservava Fulgenzio, «mentre Saturno impiega vent’otto anni e Giove dodici; per questo anche in Lucano si legge: “E Mercurio si fermò dal suo rapido moto”». Giustiniano ricorda allora il ruolo dell’impero nella storia, voluto da Dio per governare sul mondo, secondo la teoria dei due soli, espressa da Dante nel De Monarchia (1312-1313) e si lancia in un’invettiva 90 HERMES contro le discordie civili che dilaniano l’Italia del tempo di Dante. Del resto, già in precedenza, nell’Inferno, l’immagine pagana di Mercurio potrebbe essere servita per modellare alcuni tratti del messo celeste che aveva consentito a Dante di entrare nella città di Dite (Inferno, IX). La sua stessa funzione di “messo” divino e la “verghetta” con cui egli si occupa dei dannati parrebbero rimandare a Mercurio e al suo caduceo: «Ahi quanto mi parea pien di disdegno! / Venne a la porta, e con una verghetta / l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno» (Inferno, IX, 88-90). Qualche anno più tardi, nel De Genealogia deorum gentilium (1360), Giovanni Boccaccio – rielaborando in maniera originale tutta una tradizione di versioni allegoriche medievali – descrisse Mercurio come «messaggiero dei Dei et loro interprete; onde con diversi ornamenti lo dipingono, accioché per quelli s’intenda la varietà dei suoi Affari». Tra il Mercurio pianeta e il Mercurio divino, osserva Boccaccio, si può scorgere una somiglianza che dipende dalla “pieghevole natura” di entrambi: la varietà del clima dell’astro allude alla molteplicità di interessi del dio, cui sono attribuite innumerevoli quali- 91 GRANDI MITI GRECI tà: «chiarezza et oracoli di Poeti, eloquenza et memoria d’historie, credenza, bellezza, bontà di disciplina, sottigliezza d’ingegno, scienza di cose future, Aritmetica, Geometria et Astrologia». E inoltre la conoscenza di tutte le cose celesti e terrene, e «dolcezza di ragionamenti, velocità et disio di signoria» (Libro II). In tutta la tradizione francese – dal Roman de la Rose (XIII secolo), lungo poema allegorico iniziato da Guillaume de Lorris (1237) e portato avanti da Jean de Meung (1275-1280), all’Ovide moralisé (Ovidio moralizzato, XIV secolo), anonima traduzione, o forse meglio riscrittura delle Metamorfosi ovidiane, fino all’Êpitre d’Othéa (1401) di Christine de Pizan, scrittrice francese di originale italiana, che immaginò una lettera di una dea, Othea indirizzata a un giovane Ettore, con consigli sulla sua educazione, Hermes faceva invece la sua comparsa a partire dal racconto della storia di Io. La vicenda – tra i miti legati alla figura di Hermes che ebbero maggior fortuna in età moderna – narra dell’amore di Zeus per Io, una bellissima ninfa che fu trasformata in giovenca per evitare la gelosia di Hera, e affidata alla guarda di Argo Panoptes, gigante dai cento occhi, che non dormiva mai. 92 HERMES In seguito, il re degli dèi mandò a liberarla proprio Hermes, che con il suono di una sua melodia, che narrava la storia di Pan e Siringa, riuscì a far addormentare Argo e a ucciderlo. A quel punto il dio messaggero riportò a Zeus la fanciulla, che riprese la forma umana dopo aver traversato il Bosforo, mentre Hera decorò con gli occhi di Argo la coda dell’animale a lei sacro, il pavone. Pochi anni più tardi, sempre nella prima metà del XV secolo, la storia di Hermes entrò anche nella storia dell’arte, a partire dai rilievi che Antonio di Pietro Averlino, detto il Filarete, fece per i battenti bronzei della porta della chiesa di San Pietro a Roma (1433-1445). La porta di Filarete mostra la presenza di elementi ancora tardo-gotici che convivono con le nuove tendenze antiquarie e classicheggianti. Sui battenti bronzei sono raffigurati gli episodi mitologici di Mercurio, Argo e Io (Metamorfosi, I, 624-723) e di Mercurio e Batto (Metamorfosi, II, 688). Batto era il pastore che aveva visto Hermes rubare gli armenti di Apollo e che, dopo aver promesso il silenzio in cambio del dono di una giumenta, non seppe resistere all’offerta maggiore che gli venne 93 GRANDI MITI GRECI fatta dallo stesso dio che, sotto mentite spoglie, lo stava mettendo alla prova. Indignato per il tradimento, Hermes trasformò in pietra il malfidato pastore. Nell’opera di Filarete il passaggio al nuovo paradigma umanista e rinascimentale non parve aver ancora trovato un equilibrio formale perfetto, tanto che l’opera fu criticata da Giorgio Vasari nelle Vite (1568). Ma per la ricezione moderna di Hermes si stava ormai aprendo una nuova stagione. Hermes e le arti A margine della Primavera (1478-1482) di Sandro Botticelli, in una posizione defilata sulla sinistra, è possibile riconoscere la figura di Hermes, con il cappello alato e il caduceo: in questo caso, il dio rappresenta il guardiano del giardino sacro a Venere, che spazza via le nuvole e la pioggia che – secondo la lettura neoplatonica dell’opera – non devono entrare a turbare l’ideale felicità del luogo. La riscoperta della cultura classica nel Rinascimento stava riportando l’attenzione su soggetti mitologici e, in questa cornice, i diversi episodi legati 94 HERMES alla storia e al personaggio di Mercurio godettero, a partire dal XVI secolo, di una notevole fortuna tanto nelle arti figurative quanto in ambito letterario. Il mitografo Vincenzo Cartari, erudito reggiano, operante alla corte estense, ne Le imagini con la spositione dei dei degli antichi (1556), avrebbe spiegato questa ripresa dei soggetti classici, osservando come gli dèi antichi fossero il frutto di una trasposizione di ciò che gli uomini non avrebbero saputo spiegare altrimenti: «I Poeti furono i primi, come dice Aristotele, che scrissero degli dèi [...] et in questo modo favoleggiando fecero Dèi gli Elementi, le Stelle, il Sole, e la Luna». Si trattava di una ripresa della tradizione evemerista, che cercava di dare una spiegazione razionale alla nascita del senso del sacro: il discorso religioso era dunque rifunzionalizzato in una chiave didattica, come spiegazione filosofica e morale. Un ruolo centrale, in questo contesto di ripresa della classicità, ebbe la scoperta di alcune statue di divinità pagane risalenti all’età romana, come, per esempio, l’Apollo del Belvedere (II secolo d.C.), rinvenuta verso la fine del XV secolo, che divenne proprietà del cardinale Giuliano della Rovere e fu poi 95 GRANDI MITI GRECI trasferita, dopo l’ascesa di questi al soglio pontificio, nel Cortile delle Statue del Belvedere, in Vaticano. A margine della Primavera (1478-1482) di Sandro Botticelli, in una posizione defilata sulla sinistra, è possibile riconoscere la figura di Hermes, con il cappello alato e il caduceo: in questo caso, il dio rappresenta il guardiano del giardino sacro a Venere, che spazza via le nuvole e la pioggia che – secondo la lettura neoplatonica dell’opera – non devono entrare a turbare l’ideale felicità del luogo. Tra le statue del Belvedere ce n’era anche una che rappresentava Hermes, risalente sempre al II secolo d.C., che fu ritrovata intorno al 1540 nei giardini che circondano Castel Sant’Angelo, a Roma. Acquistata da papa Paolo III, la statua per lungo tempo fu considerata rappresentare Antinoo, il favorito dell’imperatore Adriano. Si tratta invece del dio Hermes, che è raffigurato nella funzione di psicopompo, vale a dire di guida dei defunti verso l’aldilà. Il dio è rap- 96 HERMES presentato mentre attende l’anima del morto, con lo sguardo mesto rivolto verso il basso; in spalla ha un mantello da viaggio che porta ripiegato sul braccio. Già nel XVI secolo, nell’ambito della scultura, si possono ricordare numerose rappresentazioni di Hermes, come, per esempio, le statue realizzate da Jacopo Sansovino (1540-1545), da Benvenuto Cellini (1546-1553) e da Giambologna (1564). L’opera di Sansovino fu realizzata per la loggetta alla base del campanile di San Marco a Venezia, ideata per accogliere i patrizi prima di accedere alle sedi di governo della repubblica veneziana. La statua di Mercurio, riconoscibile dal cappello alato, decora una delle quattro nicchie della loggetta, insieme a quelle di Minerva, di Apollo e dell’allegoria della Pace. Cellini – che in quegli stessi anni si stava occupando della statua di Perseo, che poi sarebbe stata esposta in piazza della Signoria a Venezia – preparò invece un bronzo in cui il dio, dotato di calzari alati, è sul punto di sollevarsi in volo. La posa plastica – un piede già sollevato, le braccia alzate nell’aria, il volto che guarda il cielo – lo presentano icasticamente come dio della leggerezza. 97 GRANDI MITI GRECI Anche il bronzo del fiammingo Jean de Boulogne, detto il Giambologna, è raffigurato nell’atto di volare. In questo caso, il dio è riconoscibile anche da un altro simbolo della sua iconografia, vale a dire il caduceo. Il dito che indica il cielo pare quasi mostrare l’anelito a liberarsi dal peso della corporeità. Ancora più ricca, soprattutto tra XVI e XVII secolo, fu la tradizione pittorica legata all’immagine del dio. Il mondo delle corti era uno spazio dominato da rigide regole sociali e da un galateo di dissimulazioni: il corretto impiego della parola poteva portare in alto o far cadere nella scala sociale. È naturale che Mercurio, in quanto dio della comunicazione, fosse reputato una figura allegorica di massima importanza. La disciplina che si occupava di intrecciare immagini e significati simbolici era allora l’emblematica. In questa lunga tradizione – si pensi per esempio a un’opera come gli Emblemata (1531) di Andrea Alciato – a Hermes furono associate, metaforicamente, l’eloquenza, la saggezza, l’astuzia. Sulla base della tradizione antica e medievale, l’emblematica codificò anche l’insieme degli attributi iconografici riconducibili a ciascuna divinità, stabilendo così le forme condivise per dare forma sen- 98 HERMES sibile al divino e per renderlo riconoscibile nelle arti figurative. A Hermes furono attribuiti pressappoco gli stessi elementi già elencati a suo tempo da Fulgenzio: l’elmo alato, il caduceo, i calzari alati. Tra le rappresentazioni legate al dio si possono ricordare Venere con Mercurio e Cupido di Correggio (1525), che insegna a Eros, insieme alla madre Afrodite, a leggere. La madre porta il bimbo dal dio dei messaggi, che seduto gli mostra un foglio su cui gli indica delle parole scritte. Un pittore che si è sempre dimostrato molto attratto dalla figura di Hermes è stato senza dubbio Tintoretto, che realizzò un ottagono per il palazzo dei conti Pisani a San Paterniano con l’episodio mitologico di Mercurio e Argo (1541). La tavola ritrae il momento dell’uccisione, e la prospettiva dal basso accentua drammaticamente il potere che il dio ha sul mostro, ormai sul punto di morire. Qualche decennio più tardi, lo stesso Tintoretto avrebbe poi realizzato una serie di affreschi allegorici per il Palazzo ducale di Venezia (1577-1578) in cui Hermes compare insieme alle Cariti, antiche divinità considerate personificazione della grazia e della bellezza. In questo caso, Hermes rappresente- 99 GRANDI MITI GRECI rebbe lo spirito commerciale, il sapere e l’eloquenza del popolo veneziano. Mercurio, Erse e Aglauro è invece il soggetto di una tela di Veronese (1576-1580). L’episodio del mito narra la storia dell’amore del dio per la bella Erse, contrastato dalla sorella di lei, Aglauro, che viene atterrata da Mercurio con il caduceo e poi trasformata in sasso. Veronese corredò la sua raffigurazione di una fitta serie di riferimenti allegorici. Intorno a Erse, per esempio, si scorgono diversi elementi che indicano l’amore virtuoso, come l’immagine di Atena che la sovrasta. Ai piedi della donna, un buffo cagnolino guarda indispettito la sorella invidiosa. Pieter Paul Rubens (1611) ed Hendrik Goltzius (1615) rappresentarono la consegna da parte di Hermes degli occhi di Argo a Hera, che in questo modo può ornare la coda del pavone. Di fattura curatissima, nel dipinto di Rubens, appare soprattutto l’ampio piumaggio del volatile, sul punto di ricevere i cento occhi del mostro ucciso dal dio. Grande appassionato di soggetti mitologici, Rubens dipinse in seguito anche un Hermes che addormenta Argo (1636-1638). In questo caso il dio, riconoscibile dal cappello alato, suona il flauto, mentre il 100 HERMES guardiano di Io cade addormentato contro il tronco di un albero e la giovenca, con occhio fin troppo umano, ammirata dalla musica, pare aver già compreso ciò che sta per accadere. Sempre nel XVII secolo, lo stesso soggetto sarebbe stato al centro del Mercurio e Argo (1659) di Diego Velázquez, che diede al mito un’interpretazione molto originale. Mentre Rubens aveva insistito sulla diversità tra l’eroico Mercurio e il vile Argo, qui al contrario la forza drammatica del quadro dipende dalla somiglianza tra i due personaggi, di cui non vediamo gli occhi, l’uno mentre è addormentato e l’altro mentre, dopo aver finito di suonare, tira fuori la spada, pronto al delitto. Il furto da parte di Mercurio degli armenti di Apollo fu scelto da Claude Lorrain come soggetto per due quadri (1645-1646 e 1660), in cui in realtà l’episodio mitologico non serviva ad altro che ad animare la rappresentazione di un paesaggio. Un proposito analogo spinse, in quegli stessi anni, Salvator Rosa a concentrarsi, in Paesaggio romantico con Mercurio e Argo (1660), su un altro momento della storia del dio per rappresentare in realtà un panorama, nello stesso tempo della natura e dell’anima. 101 GRANDI MITI GRECI Un pittore che si è sempre dimostrato molto attratto dalla figura di Hermes è stato senza dubbio Tintoretto, che realizzò un ottagono per il palazzo dei conti Pisani a San Paterniano con l’episodio mitologico di Mercurio e Argo (1541). La tavola ritrae il momento dell’uccisione, e la prospettiva dal basso accentua drammaticamente il potere che il dio ha sul mostro, ormai sul punto di morire. Qualche decennio più tardi, lo stesso Tintoretto avrebbe poi realizzato una serie di affreschi allegorici per il Palazzo ducale di Venezia (1577-1578) in cui Hermes compare insieme alle Cariti, antiche divinità considerate personificazione della grazia e della bellezza. In questo caso, Hermes rappresenterebbe lo spirito commerciale, il sapere e l’eloquenza del popolo veneziano. È impossibile, naturalmente, esaurire in questa sede tutte le rappresentazioni pittoriche del dio. Si può notare tuttavia come spesso Hermes comparisse insieme ad altre divinità: Afrodite, Apollo, Atena. 102 HERMES Un’incisione di Goltzius, Unione di Atena e Mercurio (XVI secolo) presenta le due divinità con i simboli che l’emblematica attribuiva loro: nel caso di Mercurio il caduceo e il cappello alato. Un quadro di Nicolas Poussin, Venere e Mercurio (1625), presenta invece le due divinità, mentre guardano la lotta di Eros, l’amore spirituale, e Anteros, l’amore sensuale, con le zampe di capra. Nel secolo successivo, infine, Tiepolo raffigurò Mercurio in diverse occasioni, sempre in volo, mentre recava i messaggi degli dèi, come nell’affresco per la Villa Valmarana di Vicenza in cui comunica a Enea, che si tiene la fronte sconsolato, di lasciare Cartagine e Didone (1757). Mercurio, Mercuzio La storia di Hermes a teatro inizia con la farsa di Hans Sachs, poeta e drammaturgo tedesco, che in Mercurius, ein Gott der kaufleut (Mercurio, dio dei mercanti, 1526) scelse, tra le tante caratteristiche del dio, quella di protettore dei commerci. Sulla stessa scia si possono considerare anche le commedie di 103 GRANDI MITI GRECI Francesco Antonio Arezzo del 1672 e di Anne Moduit de Fatouiville del 1682. Quest’ultimo testo, Arlequin Mercure galant (Arlecchino, Mercurio galante, 1682), appare molto originale perché l’autore collega la figura di Mercurio a quella di Arlecchino, e nella comicità propria della commedia dell’arte fa parlare il dio in un misto di francese e italiano, decisamente espressivo. Una presenza non diretta, ma certamente importante, nella produzione teatrale di William Shakespeare è quella che Hermes gioca nel Romeo and Juliet (1595), grazie a un personaggio che prende il nome proprio dal dio, vale a dire Mercuzio, lo sfortunato amico di Romeo. Mercuzio rappresenta l’irresponsabilità, il principio di piacere su quello di realtà, la possibilità dell’evasione, della fuga, del divertimento. Per tutta l’opera, Mercuzio cerca di distrarre Romeo dalla sua malinconia, e lo invita a credere nella sostanza dei sogni: È vero, parlo di sogni frutto di una mente oziosa, generati da nient’altro che una vana fantasia, fatta da una sostanza tenue come l’aria e più incostante del 104 HERMES vento, che ora anela al gelido grembo del nord, e quando si arrabbia da là comincia a soffiare con le gote rivolte al sud grondante di rugiada.* Mercuzio – come il dio da cui prende il nome – era per Shakespeare sinonimo di leggerezza. Il suo modo di stare nel mondo si mostra chiaramente fin dai primi verbi che impiega: to dance, to soar, to prickle (“ballare”, “levarsi”, “pungere”), del tutto opposti alla gravità delle pene d’amore che affliggono Romeo. Nella sua avventatezza, Mercuzio viene a lite con Tebaldo, che lo uccide, prima di essere a sua volta ucciso da Romeo, che invano si era opposto fino a quel momento all’esplodere della violenza, poiché sperava in una possibile riconciliazione tra la sua famiglia e quella di Giulietta. Non è un caso se, nella sua versione postmoderna della storia di Romeo e Giulietta, William Shakespeare’s Romeo + Juliet (Romeo + Giulietta di William Shakespeare, 1996), il regista australiano Baz Luhrmann abbia presentato Mercuzio come un giovane afro-americano che alla festa dei Capuleti si presen* W. Shakespeare, Romeo and Juliet, I, 4, vv. 96-103. 105 GRANDI MITI GRECI ta vestito da drag-queen: versione estrema di quel principio di piacere già tracciato nell’originale. In The Merry Wives of Windsor (Le allegre comari di Windsor, 1597-1598), Shakespeare si riferì a Mercurio come al “messaggero” per antonomasia (II, 2, v. 80). Con lo sviluppo, a partire dal XVII secolo, della stampa periodica, molti giornali – come il Mercurius politicus 1659) in Inghilterra e il Mercure galante (1672) in Francia – avrebbero preso il nome dal dio. In seguito, sempre in Inghilterra sarebbero stati fondati The Impartial Protestant Mercury (1681), e The London Mercury (1682), in Francia, Le Mercure de France (1724), in America The Newport Mercury (1758), in Germania Der Teutsche Merkur (1773). Ancora oggi il quotidiano più diffuso in Cile si chiama El Mercurio. All’inizio del XVIII secolo, in Francia, il termine “mercure”, come nome comune, cominciò a indicare quello di giornale, come mostra un’osservazione del filosofo francese Pierre Bayle: «il nome dei mercuri o delle altre pubblicazioni che meriterebbero questo nome si è moltiplicato a tal punto che sarebbe ormai tempo di raccontarne la storia» (da Réponses aux questions d’un provincial, 1706). 106 HERMES La tradizione ermetica Hermes era tradizionalmente collegato al sapere alchemico. Nel Medioevo questa disciplina era considerata come una scienza della natura, che metteva a disposizione di chi ne padroneggiava i segreti un sapere magico diverso e pericoloso, ai limiti della negromanzia. Attraverso le loro manipolazioni, gli alchimisti cercavano il segreto della pietra filosofale, capace di risanare la corruzione della materia, donare l’elisir di lunga vita, offrire conoscenza, trasmutare i metalli vili in oro. A questa tradizione rimanda anche uno dei maggiori miti moderni, vale a dire la leggenda di Faust, il saggio che rinuncia alla sua anima in cambio di vent’anni di felicità, stringendo un patto con il diavolo, Mefistofele, che gli concede i suoi servigi prima di privarlo dell’eternità. Nel corso del tempo, questa storia avrebbe dato luogo a un canone di opere che parte dal Doctor Faustus (1600) di Christopher Marlowe, e giunge, attraverso il Faust (1808; 8131) di Johann Wolfgang Goethe e il Mefistofele (1868) di Arrigo Boito, fino al Doktor Faustus (1947) di Thomas Mann. 107 GRANDI MITI GRECI Il legame tra Hermes e la tradizione di un sapere esoterico diverso da quello ufficiale era del resto ancora più antico. Per tutto il Medioevo e durante l’età rinascimentale, si credette alla storia di un mitico saggio che avrebbe portato lo stesso nome del dio: Ermete Trismegisto. Secondo un’interpretazione di tipo evemerista, Trismegisto veniva considerato figlio del dio Hermes, mentre la tradizione della cabala lo immaginava come un personaggio contemporaneo di Mosè. Ermete Trismegisto significa “Ermete il tre volte grandissimo”. La leggenda assimilava Hermes, dio greco della comunicazione, a Thot, dio egizio delle lettere e gli attribuiva il cosiddetto “corpus hermeticum”, vale a dire una serie di testi filosofici risalenti al IV secolo d.C. Una parte di questi testi ebbe circolazione in Occidente già in età medievale, mentre altri divennero noti soltanto intorno alla metà del XV secolo, e furono tradotti in latino dal filosofo fiorentino Marsilio Ficino. Intorno alla mitica figura di Ermete Trismegisto si sviluppò una corrente filosofica detta appunto della “tradizione ermetica”, di ispirazione neoplatonica, che vi vedeva il modello per un discorso sul 108 HERMES rapporto tra il sacro e il divino basato su un’assoluta trascendenza, che poteva essere colmata soltanto attraverso quello slancio conoscitivo simile a quello che Giordano Bruno avrebbe chiamato dell’“eroico furore”. Il sogno di un sapere in grado di cogliere le segrete analogie tra le cose, da raggiungere non razionalmente, ma attraverso un atto creativo, non poteva non suscitare l’attenzione della generazione romantica. In Inghilterra, Percy Bisshe Shelley avrebbe scritto un Hymn to Mercury (1818-1822), traducendo l’omonimo Inno omerico. Qualche anno più tardi, in Germania, Eduard Mörike avrebbe invece tradotto in tedesco nel 1840 l’ode che aveva dedicato al dio il poeta latino Orazio (Odi, I, 10). Mercurio fu anche il soggetto di un quadro di William Turner del 1836. Il pittore inglese tornò sull’episodio dell’addormentamento di Argo; i personaggi, in questo caso, sono immersi in un paesaggio decisamente più grande di loro, in cui la campagna, da cui sullo sfondo si intravede il mare, è profusa di luce. I contorni sfumati, indistinti, tra gli oggetti invitano al sogno, come le note che Mercurio suona ad Argo. 109 GRANDI MITI GRECI Anche il mondo della musica dedicò la sua attenzione alla figura di Hermes. A questo proposito, si possono ricordare, già in età barocca, l’intermezzo La Speranza guidata da Mercurio (1615) per la Veglia delle Grazie, di Gabriello Chiabrera, con musiche di Jacopo Peri, e il torneo e lo spettacolo Mercurio e Marte (1628) di Claudio Achillini, con musiche di Claudio Monteverdi. Più tardi, il personaggio di Mercurio avrebbe fatto la propria comparsa nelle opere Les Troyens (1856-1858) di Hector Berlioz, che segue il racconto virgiliano e rievoca il momento in cui il dio messaggero ricorda a Enea di lasciare Cartagine, e in Orphée aux Enfers (1858) di Jacques Offenbach. Sulla soglia della coscienza Di tutte le vicende del mito collegate a Hermes, senza dubbio quella che più ha attratto gli scrittori di teatro dalla prima modernità a oggi è stata quella della seduzione, da parte di Zeus, di Alcmena, la giovane e bella moglie di Anfitrione, che mai avrebbe tradito il marito senza l’inganno predisposto dal dio. Fin dalla versione plautina del mito, Mercurio 110 HERMES accompagna il re degli dèi nella sua avventura terrena: mentre Giove veste i panni di Anfitrione, Mercurio impersona a sua volta Sosia, il servo del re. Lo scrittore francese Jean Giraudoux, tra gli autori di una riscrittura del mito, intitolata Amphitryon 38 (1929), sostenne appunto che prima della sua ne erano state fatte almeno trentasette, e che la trentottesima non sarebbe stata certo l’ultima. Questa lunga tradizione comprende testi come Lodovico Dolce, Il marito (1545), Luís de Camoes Anfitriões (1587), Jean Rotrou, Les Sosies (1636), Molière, Amphitryon (1668) John Dryden, Amphitryon (1691), Heinrich von Kleist, Amphitryon (1803) e Peter Hacks, Amphitryon (1968). La materia del mito, che riflette sull’intrusione del divino nella sfera più intima dell’uomo, è stata a volte intesa da questi autori nel suo aspetto più comico, come ad esempio nella riscrittura di Molière, in altri casi invece nel senso del tragico, come ad esempio nella versione di Heinrich von Kleist. Nelle varie versioni del mito di Anfitrione, le scene che coinvolgono questi Mercurio e Sosia propongono agli spettatori una riflessione sul rapporto tra l’identità personale e il riconoscimento degli altri. 111 GRANDI MITI GRECI Nel momento in cui Mercurio sostiene di essere lui l’autentico Sosia, il servo di Anfitrione – il cui nome non a caso è diventato oggi un nome comune, “sosia”, appunto, non per indicare l’originale, ma la copia – vede messo in discussione il proprio io, e ne resta drammaticamente sopraffatto. Pochi anni prima dell’Amphitryon 38 di Jean Giraudoux, l’irlandese Sean O’Casey aveva proposto invece una nuova rilettura del mito di Zeus e Io. La sua pièce Juno and the Paycock (Giunone e il pavone, 1924) trasformava la moglie del signore degli dèi in una contadina irlandese circondata di uomini buoni a nulla, a dimostrazione di una trasformazione in atto nei rapporti di forza tra i sessi. Dello stesso anno è un balletto con coreografia di Léonide Massine e allestimento di Pablo Picasso, scritto dal francese Erik Satie, Mercure (1924). Di particolare interesse appare la reinterpretazione del mito del pittore spagnolo: disegnando le scene del balletto, infatti, Picasso attribuì al dio le sembianze di una celebre maschera italiana, Arlecchino, ritratto nel sipario con Pulcinella. In quegli stessi anni, tuttavia, a interrogarsi sulla figura di Hermes, in quanto dio della parola 112 HERMES e della comunicazione, fu soprattutto la psicoanalisi. Fin dal tempo di Sigmund Freud, del resto, l’immaginario mitologico era stato impiegato per spiegare spinte che si muovono tra le diverse componenti della psiche umana – l’Es, l’Io e il SuperIo –, quale deposito di narrazioni capaci di cogliere, seppur in maniera non scientifica, pulsioni che la psicoanalisi avrebbe potuto in seguito spiegare razionalmente. Se Freud diede la sua attenzione ad altre storie – come quelle di Edipo o di Elettra – fu senz’altro lo svizzero Carl Gustav Jung a mettere al centro del proprio discorso Hermes. Per Jung il suo ruolo di messaggero tra i regni e di guida per l’aldilà rendeva Hermes una sorta di dio dell’inconscio, il mediatore archetipico tra la coscienza e la regione dell’inconscio, guida per quel viaggio nell’interiorità in cui consisteva lo stesso processo psicoterapeutico. Nella storia della poesia contemporanea, si può ricordare infine la raccolta dell’americano Radcliffe Squires, Fingers of Hermes (Le dita di Hermes, 1965), in cui l’antico si lega al moderno, in una serie di liriche che spaziano dalla brevità epigrammatica al sinuoso racconto di una ricerca introspettiva. 113 GRANDI MITI GRECI Un dio di confine Se Hillman, come si è detto, considerava Hermes un dio di confine e dei confini, in anni recenti anche un altro studioso, il francese Michel Serres, si è dedicato a lungo alla storia di questa divinità, scegliendo il suo nome per intitolare una serie di saggi – cinque volumi, usciti tra il 1969 e il 1984 – che riguardano le regole della comunicazione e i rapporti tra umano e non umano nel mondo di oggi. I saggi di Serres invitano al confronto tra quelle che un tempo si chiamavano le due culture – quella umanistica e quella scientifica – alla ricerca di una possibile convergenza, di un sapere integrato, che sia basato sulla traduzione e sull’interferenza reciproca, di cui Hermes, in quanto dio messaggero, potrebbe essere la guida ideale: «Distinguere tra la scienza da una parte e il mito dall’altra non è il modo giusto di pensare entrambe le cose. In ogni mito, tradizione millenaria o pensiero primitivo, la porzione di scienza è probabilmente altrettanto significativa della porzione di mitologia di cui è circonfusa ogni scienza» (Feux et signaux de brume: Zola, 1975). 114 HERMES Tra gli estimatori italiani del pensiero di Serres c’era senz’altro Italo Calvino, che a sua volta diede alla figura di Mercurio un ruolo essenziale nelle sue Lezioni americane (1988), le lectures che avrebbe dovuto tenere ad Harvard nel 1985, e che rimasero incompiute a causa della morte prematura. La figura di Mercurio – «con le ali ai piedi, leggero e aereo, abile e agile e adattabile e disinvolto» – era per Calvino un modello di “leggerezza”, vale a dire di quel valore proprio dell’uomo e dell’artista che sa cavalcare la complessità del mondo senza lasciarsene sommergere. Se Vulcano indica la ponderatezza di chi con pazienza attende di raggiungere un perfetto equilibrio nel suo lavoro, Mercurio è invece immagine dell’uomo che sente l’urgenza del tempo e della realtà, e accetta di confrontarsi con l’imperfezione. Il lavoro dello scrittore, naturalmente, secondo Calvino, doveva tener conto di entrambi: «La concentrazione e la craftmanship di Vulcano sono le condizioni necessarie per scrivere le avventure e le metamorfosi di Mercurio. La mobilità e la sveltezza di Mercurio sono le condizioni necessarie perché le fatiche interminabili di Vulcano diventino portatrici di significato, 115 GRANDI MITI GRECI e dalla ganga minerale informe prendano forma gli attributi degli dèi, cetre o tridenti, lance o diademi». Tra gli estimatori italiani del pensiero di Serres c’era senz’altro Italo Calvino, che a sua volta diede alla figura di Mercurio un ruolo essenziale nelle sue Lezioni americane (1988), le lectures che avrebbe dovuto tenere ad Harvard nel 1985, e che rimasero incompiute a causa della morte prematura. La figura di Mercurio – «con le ali ai piedi, leggero e aereo, abile e agile e adattabile e disinvolto» – era per Calvino un modello di “leggerezza”, vale a dire di quel valore proprio dell’uomo e dell’artista che sa cavalcare la complessità del mondo senza lasciarsene sommergere. In un altro testo dello stesso periodo, I Would like to Be Mercutio… (Vorrei essere Mercuzio…, 1984) Calvino scrisse non a caso che il suo personaggio preferito era proprio lo shakespeariano Mercuzio: 116 HERMES Vorrei essere Mercuzio. Delle sue qualità ammiro soprattutto la leggerezza, in un mondo pieno di brutalità, la fantasia sognante – come poeta della Regina Mab – e al tempo stesso la saggezza, la voce della ragione in mezzo agli odii fanatici fra Capuleti e Montecchi. Egli si attiene al vecchio codice della cavalleria a prezzo della vita forse solo per ragioni di stile, eppure è un uomo moderno, scettico e ironico: un Don Chisciotte che sa benissimo che cosa sono i sogni e che cos’è la realtà, e li vive entrambi a occhi aperti. Un personaggio di confine, sulla soglia tra il sogno e la realtà, simbolo della leggerezza, come il dio da cui prendeva il nome. 117 Antologia 119 Hermes & Pegaso – particolare Andrea Mantegna - Il Parnaso (1496-97) La nascita di Ermes e l’invenzione della lira Il testo fondamentale per i miti legati al dio Hermes è certamente l’Inno omerico a lui dedicato. Sulla paternità omerica gli antichi non avevano dubbi; noi invece lo attribuiamo a un poeta anonimo probabilmente attivo nel VI secolo a.C., quindi alla fine dell’età arcaica e sulle soglie di quella classica. Esso è uno dei più ampi fra i trentatré che compongono la raccolta, e anche uno dei più felici sul piano artistico, dove le vicende del dio vengono narrate con grande vivacità e immediatezza. Meriterebbe di essere letto integralmente, ma di seguito ecco almeno un passo fondamentale. O Musa, canta Hermes, figlio di Zeus e di Maia, signore di Cillene e dell’Arcadia ricca di greggi, messaggero veloce degl’immortali, che Maia generò, la ninfa augusta dalle belle trecce, unendosi in amore [con Zeus. Ella sfuggiva il consesso degli dèi beati, dimorando nell’antro ombroso, dove il Cronide era solito unirsi con la ninfa dalle belle trecce, nel buio [della notte – mentre il dolce sonno teneva Hera dalle bianche [braccia –, celandosi agli dèi immortali e agli uomini mortali. Ma quando fu attuato il disegno del grande Zeus, 121 GRANDI MITI GRECI e per lei la decima luna si stabilì nel cielo, il dio portò alla luce il fanciullo, e la sua opera fu palese: allora ella generò un figlio dalle molte arti, dalla mente [sottile, predone, ladro di buoi, ispiratore di sogni, vigile nella notte, che sta in agguato alle porte; egli ben [presto avrebbe compiuto gesta famose al cospetto degl’immortali. Nato all’aurora, a mezzogiorno suonava la lira, e dopo il tramonto rubò le vacche di Apollo arciere, nel giorno in cui lo generò Maia veneranda, il quarto [del mese. Egli, quando balzò fuori dal grembo immortale della [madre, non giacque a lungo inerte nella sacra culla, ma saltò in piedi, e si diede a cercare le vacche di Apollo, varcando la soglia dell’antro dalla volta sublime. Là fuori trovò una tartaruga, e ne trasse gioia infinita: in verità, Hermes fu il primo che creò una tartaruga [canora. Quella gli si parò di fronte presso l’uscita della corte, pascendosi, davanti alla casa, dell’erba rigogliosa, e zampettando placidamente: il veloce figlio di Zeus rise al vederla, e subito disse: «Ecco già un segno molto fausto per me: non lo [dispregio. Salve, amica della mensa, dall’amabile aspetto, che [accompagni la danza; tu appari benvenuta: donde vieni, o bel giocattolo? Tu indossi un guscio variegato, tartaruga che vivi sui [monti; 122 HERMES ebbene, io ti prenderò e ti porterò a casa; in qualche [modo mi sarai utile, e non ti trascurerò: anzi tu gioverai a me prima che a [ogni altro. È meglio stare in casa: c’è pericolo fuori. Tu certo sarai per me una difesa contro il sortilegio [funesto, da viva; e se poi tu morissi, allora sapresti cantare a [meraviglia». Così disse, e, sollevatala a due mani, subito si diresse dentro la casa, portando l’amabile [giocattolo. Poi, spingendo con una lama di grigio ferro, estrasse la polpa della tartaruga abitatrice dei monti. Come quando un rapido pensiero attraversa l’animo di un uomo che travagliano numerosi affanni, o quando balena dagli occhi la luce dello sguardo, così il glorioso Hermes pensava insieme le parole e gli [atti. Tagliati nella giusta misura steli di canna, li infisse Nel guscio della tartaruga, perforandone il dorso. Poi, con la sua accortezza, tese tutt’intorno una pelle [di bue; e tese sette corde di minugia di pecora, in armonia fra [loro. E quando l’ebbe costruito, reggendo l’amabile giocattolo, col plettro ne saggiò le corde, una dopo l’altra: quello [sotto la sua mano diede un suono prodigioso, e il dio lo seguiva col suo [dolce canto cimentandosi nell’improvvisare, così come i giovani, 123 GRANDI MITI GRECI in festa, durante i banchetti, si sfidano con strofe [pungenti: cantava di Zeus Cronide e di Maia dai bei calzari, come un tempo s’incontravano nell’amplesso amoroso, e così celebrava la propria nobile stirpe; esaltava poi le ancelle e la splendida dimora della ninfa, e i tripodi nella casa, e i numerosi lebeti. E mentre cantava, già nella sua mente meditava altre [imprese. Portata la concava lira nella sua sacra culla ve la depose; egli poi, desiderando cibarsi di carne, balzò fuori dalla sala odorosa, per mettersi in vedetta, macchinando nella sua mente un inganno fuori del [comune, quali ne preparano i ladri nel corso dell’oscura notte. Il Sole si era già immerso nell’Oceano, sotto la terra con i suoi cavalli e il carro, quando Hermes giunse di corsa ai monti ombrosi della Pieria, dove i sacri buoi degli dèi beati avevano le loro stalle, e pascolavano negli amabili prati non toccati dalla falce. Fra quelli il figlio di Maia, dalla vista acuta, uccisore [di Argo, separò dall’armento cinquanta vacche dal muggito [profondo. Quindi le spingeva attraverso il terreno sabbioso, con [una strana andatura, rovesciando le orme; egli non dimenticava l’arte [dell’inganno, e invertiva le tracce degli zoccoli: quelli anteriori [dietro, quelli posteriori davanti; egli invece procedeva di fronte. 124 HERMES E senza indugio, sulla sabbia marina, intrecciò con [vimini sandali inauditi, impensati, opera meravigliosa, unendovi tamerici e rami di mirto. Quando ebbe messo insieme una bracciata di rami freschi, abilmente ai piedi legò i sandali leggeri col loro fogliame, che egli, il glorioso uccisore di Argo, aveva raccolto, per celare il suo ritorno dalla Pieria, come chi si affretta per un lungo cammino con mezzi [originali.* Apollo e Sileno Nel prologo del suo dramma satiresco, I cercatori di tracce, Sofocle (496-406 a.C.) espone con chiarezza i termini della questione, in chiave comico-grottesca, così com’è grottesco che il grande dio Apollo debba ricorrere al servizio di creature semidivine ma lussuriose e infide come Sileno e i suoi Satiri. A tutti quanti i numi e a tutti gli uomini lancio un bando e prometto un guiderdone [perché non posso tollerar che resti senza castigo un furto ond’io son vittima]. apollo: * Inno a Hermes, vv. 1-86, trad. F. Càssola, in Inni omerici, Mondadori, Milano 1975 125 GRANDI MITI GRECI Le mie vacche lattaie, i miei vitelli, le mie giovenche son tutte sparite, e invan le cerco: abbandonato han tutte di nascosto la greppia ed il presepe, rese, non so per quale arte, invisibili. Niun dei mortali e niuno degli effimeri abile a tale impresa avrei creduto, né che rompesse a tanto ardire. E adesso che il fatto pur seguì, preso dal cruccio, vo’ attorno, e cerco, e lancio un bando in regola, ché niuno il fatto ignori, ai numi e agli uomini. [Alle tribù giunsi dei Traci, ai Tessali, alla terra beota, al suol dei Dori: nelle impervie regioni eccomi adesso della Ninfa Cillene. Ora, se qui v’è bifolco ad udirmi, o pecoraro, o carbonaro, o satirello alpestre figlio di Ninfa, a tutti quanti annuncio: chiunque scopra il ladro di Peone, per lui c’è pronta subito la taglia]. Sileno: Appena udii che tu gridavi, appena t’udii lanciare ad alta voce il bando, con quella fretta che si può richiedere ad un vecchietto, o Febo, mi lanciai di corsa qui, per farti un buon ufficio. E se conduco a termine la caccia, cinga un araldo alla mia fronte l’oro [che tieni pronto, innanzi alla tua soglia. E i figli miei, ch’han gli occhi aguzzi, aiuto Daranno a me, se la promessa serbi. apollo: Trovami i bovi, ed io ti darò l’oro. 126 HERMES Avrai la greggia. Ma sanziona il patto. Chi me li reca, prende il premio; è pronto. E un altro dono al primo aggiungerò. sileno: Un altro dono ancora? E quale, dunque? apollo: Tu coi figliuoli tuoi sarete liberi.* sileno: apollo: La mutilazione delle erme In questi celebri capitoli viene delineata con chiarezza la situazione di confusione e di smarrimento in cui la decapitazione delle erme, avvenuta nella primavera del 415 a.C., gettò la città di Atene, già provata dai contrasti fra le fazioni che da decenni la laceravano. La posizione di Tucidide, molto vicino ai centri del potere oligarchico, è chiaramente favorevole ad Alcibiade, in qualche misura il delfino di Pericle e in quel momento l’esponente antidemocratico di maggiore spicco. 27. (1) In questo frattempo le erme di pietra che si trovavano nella città di Atene (secondo l’uso locale hanno forma quadrata e sono numerose negli atri delle case private e nei templi) furono per la maggior parte mutilate nel volto durante una sola notte. (2) Nessuno * Il teatro greco. Tutte le tragedie, trad. E. Romagnoli, Sansoni, Firenze 1970 127 GRANDI MITI GRECI conosceva gli autori di tale fatto, ma vennero ricercati mediante la promessa di ingenti taglie a spese dello Stato e fu inoltre decretato che se qualcuno fosse stato a conoscenza di qualche altra empietà commessa, chiunque lo volesse, cittadino, straniero o schiavo, la denunciasse in modo sicuro. (3) Considerarono il fatto di maggiore importanza di quanto non fosse realmente: sembrava infatti un presagio per la spedizione e che avesse avuto luogo come frutto di una congiura volta a rivoluzionare la situazione politica e ad abbattere la democrazia. 28. (1) Da parte di alcuni meteci e di alcuni servi fu presentata una denuncia che non aveva nulla a che fare con le erme, ma riguardava alcune precedenti mutilazioni di statue, avvenute a opera di giovani tra scherzi e vino, e la celebrazione di misteri realizzata per scherno in case private; di questi fatti fu accusato anche Alcibiade. (2) Colsero al volo queste accuse quanti gli erano massimamente ostili (visto che era loro d’ostacolo nel comandare sul popolo con sicurezza e pensavano che, se l’avessero scacciato, avrebbero potuto primeggiare), ed enfatizzarono il fatto, gridando in giro che lo scherno dei misteri e la mutilazione delle erme erano avvenuti per abbattere la democrazia e che nulla di ciò era stato fatto senza Alcibiade, adducendone come prova le sue altre azioni illegali contro i comportamenti democratici. 29. (1) Egli sul momento si difese dalle delazioni ed era pronto a sottoporsi a un giudizio, prima di salpare, per appurare se avesse mai commesso qualco- 128 HERMES sa del genere (erano infatti già stati conclusi tutti i preparativi): se aveva compiuto qualcuna di quelle azioni, avrebbe subìto la punizione, se invece fosse stato assolto, avrebbe mantenuto il comando. (2) E scongiurava di non accogliere le calunnie su di lui mentre era via, ma di giustiziarlo se era colpevole, e diceva che era più prudente non inviarlo a una simile impresa gravato da una tale accusa, prima di avere emesso una sentenza. (3) I suoi nemici però, temendo che l’esercito lo appoggiasse se il dibattimento si fosse svolto subito, e che il popolo fosse indulgente nei suoi confronti, rispettando il fatto che grazie a lui gli Argivi e alcuni dei Mantineesi partecipavano alla spedizione, cercavano di dissuadere e sconsigliare che ciò avvenisse, sobillando anche altri oratori, i quali sostenevano che Alcibiade doveva salpare ora e non ritardare la partenza, e che sarebbe poi tornato per farsi giudicare in un giorno stabilito: volevano che egli tornasse richiamato da un’accusa ancora più grave, che avrebbero preparato facilmente durante la sua assenza, e che così fosse processato. Fu dunque stabilito che Alcibiade partisse.* * Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI 27-29, trad. P. Rosa, Foschi, Milano 2016 129 Per saperne di più 131 ? Particolare di un vaso a figure rosse (circa 480-470 a.C.) che raffigura Achille, Priamo, Ermes (nella foto) e Odisseo. HERMES Manuali di mitologia R. Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1963 P. Grimal, Dizionario di mitologia greca e romana, Paideia, Brescia 1987 G. Guidorizzi, Il mito greco, voll. 2, Mondadori, Milano 2009 K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, Il Saggiatore, Milano 1962 Fonti letterarie Inni omerici, a cura di F. Càssola, Mondadori, Milano 1975 Apollodoro, Biblioteca, a cura di G. Guidorizzi, commento di J. Frazer, Adelphi, Milano 1995 133 GRANDI MITI GRECI Igino, Miti, a cura di G. Guidorizzi, Adelphi, Milano 2000 Fulgenzio, Mythologiarum libri Saggi C. Brillante, L’invenzione della lira nell’Inno omerico a Hermes, in «SCO», 47, 1999 N.O. Brown, Hermes the thief. The evolution of a myth, Literary Licensing, New York 1969 L. 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Turner, Mercurio e Argo, Tate, London Geografia mitica Templi dedicati a Hemes erano diffusi in tutta la Grecia, ma il più importante per il culto del dio era l’antichissima città di Feneo in Arcadia, situata alle pendici del monte Cillene, dove si tenevano gli Hermaia, celebrazioni in suo onore. A Roma, al dio erano dedicati i Mercurialia: il 15 maggio, poiché in quel giorno dell’anno 495 a.C. era stato consacrato al dio un tempio sul colle Aventino. I mercanti, di cui egli era protettore, si radunavano nei pressi di una fontana non lontana dalla Porta Capena e qui, con indosso solo una tunica, si purificavano alla fonte. 136 HERMES Risorse online Greek Mythology Link (www.maicar.com/GML) E. Pellizer, G. Tedeschi, Gruppo triestino di ricerca sul mito e la mitografia (https://grmito.units.it) 137 Finito di stampare nel mese di luglio 2018 a cura di RCS MediaGroup S.p.A. presso Grafica Veneta, Trebaseleghe (PD) Printed in Italy