RIVISTA DI DIRITTO INTERNAZIONALE
ISSN 0035-6158
Anno XCIX Fasc. 2 - 2016
Pierfrancesco Rossi
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO
INTERNAZIONALE
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
DELLA REPUBBLICA POPOLARE
CINESE
Estratto
Milano • Giuffrè Editore
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO
DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE
SOMMARIO: 1. Introduzione. — 2. La Costituzione della Repubblica popolare cinese e
il diritto internazionale. L’atteggiamento restrittivo verso il diritto internazionale
e la mancanza di riferimenti alla consuetudine internazionale. — 3. Le disposizioni costituzionali sul procedimento di conclusione dei trattati e il loro impatto
sull’applicazione interna del diritto pattizio. — 4. Le ipotesi di applicazione
diretta di trattati internazionali nelle fonti subordinate alla Costituzione. — 5.
Segue. I tentativi di utilizzare le fonti sub-costituzionali per ricavare principi
generali relativi alla posizione dei trattati nell’ordinamento della Repubblica
popolare cinese. Critica. — 6. La prassi giurisprudenziale sull’applicazione diretta
dei trattati: limiti e contraddizioni. — 7. Considerazioni conclusive.
1. I trentotto anni finora trascorsi dall’avvio della c.d. politica
della porta aperta hanno visto aumentare drasticamente il coinvolgimento della Repubblica popolare cinese (RPC) nei rapporti internazionali, con la conseguenza che si sono moltiplicate le occasioni di
interazione tra diritto interno e diritto internazionale (1). Sebbene
l’influsso esercitato da quest’ultimo sia stato particolarmente intenso
soprattutto nell’ambito del diritto dell’economia (2), si può affermare,
più in generale, che non vi sia settore dell’ordinamento che non risenta
almeno potenzialmente degli impegni internazionali assunti dalla Cina.
Si comprende, dunque, quanta rilevanza pratica abbia assunto
l’analisi delle modalità con cui si realizza l’adattamento dell’ordinamento della RPC al diritto internazionale. È di cruciale importanza, più
precisamente, stabilire a quali condizioni il diritto internazionale possa
diventare parte dell’ordinamento della RPC, quale rango esso acquisti
Questo scritto è stato sottoposto a referaggio.
(1) Prima dell’avvio delle riforme economiche, nel 1978, la Cina era parte di
circa venti organizzazioni internazionali, oggi di oltre centotrenta; similmente, da non
più di trenta accordi multilaterali si è passati a oltre trecento. Per questi dati v. XUE,
Chinese Contemporary Perspectives on International Law. History, Culture and International Law, Recueil des cours, vol. 355, 2012, p. 79.
(2) CAVALIERI, Il diritto nella Cina socialista e postsocialista, in La Cina verso la
modernità (a cura di Samarani e Scarpari), Milano, 2012, p. 494.
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nella gerarchia delle fonti interne e se sia suscettibile di applicazione
diretta da parte dei giudici cinesi.
Né la Costituzione della RPC né le fonti sub-costituzionali forniscono una risposta a queste domande. L’unica questione di diritto
internazionale affrontata dal testo costituzionale è quella della disciplina del riparto delle competenze tra gli organi statali nel procedimento di conclusione dei trattati. Nella Costituzione non è dato invece
rinvenire né una indicazione sulla posizione dei trattati nell’ordinamento interno, né un riferimento espresso al diritto internazionale
generale. Le fonti di rango subordinato alla Costituzione, dall’altro
lato, si limitano a disciplinare solo alcuni profili relativi all’applicazione
giudiziale dei trattati internazionali, la quale (anche in seguito ad alcune
circolari emanate dalla Corte suprema che hanno impedito l’applicazione diretta di intere categorie di trattati) a ben vedere risulta confinata — salvo eccezioni di secondaria importanza — ai trattati di diritto
internazionale privato (e di diritto uniforme). Infine, nemmeno la
giurisprudenza, il cui operato è fortemente condizionato dalla mancanza di indipendenza dal potere politico, ha offerto un contributo alla
soluzione dei quesiti in oggetto.
A fronte delle limitate indicazioni fornite dal diritto positivo e di
una prassi giurisprudenziale estremamente scarna, la dottrina cinese,
che ha iniziato a occuparsi di questo tema solo in tempi relativamente
recenti (3), ha compiuto numerosi tentativi di ricostruire in termini
generali il rapporto tra l’ordinamento della RPC e il diritto internazionale. Tra le varie posizioni espresse, particolare interesse riveste l’opinione di chi ritiene sia configurabile un ingresso automatico nell’ordinamento cinese di tutti i trattati conclusi dalla RPC (4).
Si dimostrerà però come, alla luce dei dati emergenti dalla prassi,
una simile ricostruzione non appaia convincente. Il quadro che è invece
possibile ricavare è quello di un ordinamento in cui l’applicazione
interna del diritto internazionale è di regola realizzata attraverso interventi legislativi ad hoc, mentre è da escludere qualsiasi automatismo
nell’ingresso del diritto internazionale nell’ordinamento statale. Questo
atteggiamento di tendenziale chiusura nei confronti del diritto internazionale deve essere posto in relazione con due fattori: le peculiarità
della cultura giuridica cinese, la quale risente tuttora dell’influsso di
(3) Basti per il momento ricordare che l’insegnamento del diritto internazionale
è stato riattivato nelle università cinesi solo a partire dal 1979: v. CHIU, Chinese Views
on the Sources of International Law, Harvard Int. Law Journal, 1987, p. 290.
(4) Per un’analisi dettagliata di tali posizioni si veda infra nel testo, in particolare
i paragrafi 3 e 5.
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concezioni ereditate dall’epoca imperiale e dal periodo maoista, e il
contesto politico-ideologico della Cina contemporanea, che condiziona
pesantemente le attività dell’esecutivo, degli organi legiferanti e della
magistratura, oltre che il dibattito dottrinale. In particolare, nel corso
dell’intera trattazione si evidenzierà il pervasivo impatto della politica e
dell’ideologia sulla posizione assunta dalla RPC nei confronti del diritto
internazionale, che appare ispirata a un’accentuata volontà di protezione della sovranità nazionale.
Alla luce di quanto sopra, il presente lavoro fornirà un’analisi delle
disposizioni costituzionali e sub-costituzionali che appaiono rilevanti ai
fini della definizione del rapporto tra ordinamento della RPC e diritto
internazionale, avendo cura di chiarire le ragioni del diverso interesse
mostrato verso il diritto internazionale consuetudinario — del tutto
ignorato sia nella legislazione che in dottrina — e verso quello pattizio.
Verranno di volta in volta analizzate e sottoposte a critica le teorie
dottrinali che, fondandosi sulle menzionate disposizioni, argomentano
nel senso dell’automatico ingresso dei trattati nell’ordinamento interno,
e si dimostrerà come il rapporto tra i due sistemi giuridici sia improntato a una rigida separazione. Si evidenzieranno poi i numerosi punti
deboli della attuale prassi cinese in materia di applicazione del diritto
internazionale e si tenterà, in conclusione, di fornire alcune indicazioni
sui possibili sviluppi futuri della materia in esame.
2. La questione di quale rapporto intercorra tra l’ordinamento
internazionale e quello cinese non è chiarita nella Costituzione (Xianfa)
della RPC (5), risalente al 1982 (6), la quale manca di qualsiasi indicazione espressa sul punto. Tale caratteristica la rende un caso pressoché
isolato tra le costituzioni contemporanee (7). Sebbene le soluzioni in
concreto adottate dipendano dalle più varie motivazioni di ordine
storico e culturale e dalla tradizione giuridica di ciascuno Stato, è infatti
riscontrabile una consolidata tendenza dei testi costituzionali a occu(5) Una traduzione ufficiale in inglese della Costituzione è disponibile in
www.npc.gov.cn/englishnpc/Constitution/node_2824.htm.
(6) La Costituzione è stata finora oggetto di quattro revisioni, approvate nel
1988, nel 1993, nel 1999 e nel 2004, a proposito delle quali v. RINELLA, Cina, Bologna,
2006, p. 81 ss. Per un’analisi dei rapporti tra le tre precedenti costituzioni maoiste (del
1954, 1975 e 1978) e la Costituzione del 1982 si veda JONES, The Constitution of the
People’s Republic of China, Washington University Law Quarterly, 1985, p. 707 ss. Cfr.
anche CHEN, The Revision of the Constitution in the PRC, China Perspectives, n. 53,
2004, disponibile in chinaperspectives.revues.org/2922.
(7) CASSESE, Modern Constitutions and International Law, Recueil des cours, vol.
192, 1985, p. 437.
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L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
parsi, quantomeno sotto alcuni profili, della questione dell’applicazione
interna del diritto internazionale (8).
È stato sostenuto che il silenzio della Costituzione sia stato il frutto
di una scelta consapevole e che esso debba essere interpretato come un
segno della neutralità della Costituzione sulle modalità di applicazione
interna del diritto internazionale: il testo costituzionale del 1982, cioè,
avrebbe integralmente demandato la determinazione di tali modalità
alla successiva prassi legislativa e giurisprudenziale (9). Se è del tutto
condivisibile ritenere che la questione dell’ingresso delle norme internazionali nell’ordinamento interno sia stata consapevolmente ignorata
dai costituenti, appare però riduttivo leggere questa scelta come un
segno della neutralità della Costituzione sul punto. Il silenzio costituzionale va al contrario interpretato alla luce dell’atteggiamento complessivo mostrato dalla Carta nei confronti dell’ordinamento internazionale, atteggiamento che, ben lontano dall’effettuare un bilanciamento tra esigenza di protezione della sovranità nazionale e istanze
internazionalistiche (10), risolve la dicotomia nel senso di una assoluta
prevalenza della prima sulle seconde (11). Interpretato in un’ottica
sistematica, è forse possibile scorgere nel silenzio costituzionale non un
(8) BARTOLINI, A Universal Approach to International Law in Contemporary
Constitutions: Does It Exist?, Cambridge Journal of Int. and Comparative Law, 2014, p.
1287 ss. Cfr. VERESHCHETIN, New Constitutions and the Old Problem of the Relationship
between International Law and National Law, European Journal of Int. Law, 1996, p.
40, per considerazioni riguardanti in particolare le costituzioni dei Paesi dell’Europa
dell’Est e dell’Asia centrale nati con il crollo dell’Unione sovietica, sulle quali cfr. anche
ALBI, EU Enlargement and the Constitutions of Central and Eastern Europe, Cambridge,
2005, pp. 31-32, e KORKELIA, New Trends Regarding the Relationship between International and National Law (With a Special View Towards the States of Eastern Europe),
Review of Central and East European Law, 1997, p. 227. Per analoghe conclusioni
relativamente alle costituzioni emanate a partire dal secondo dopoguerra v. WILSON,
International Law in New National Constitutions, American Journal of Int. Law, 1964,
p. 432 (« the continuing practice of making reference to international law in national
constitutions has not produced any one form of wording that has found general
adoption »). Sul tema, in senso conforme a quanto qui sostenuto, v. in generale
CASSESE, op. cit., p. 333 ss.
(9) WANG, Guojifa de jige wenti [Alcune questioni di diritto internazionale], in
Wang Tieya wenxuan [Opere scelte di W.T.] (a cura di Deng), Pechino, 1993, p. 230.
(10) Per un’ampia trattazione della concezione cinese del principio di sovranità
nazionale si veda CHAN, China, State Sovereignty and International Legal Order, Leiden,
2015. L’a. riscontra l’esistenza di « an enduring mentality on the part of China, the
Chinese leadership and the Chinese people that China has been a victim of international law and an imposed international order, from which it must guard itself
externally and internally » (p. 16).
(11) AHL, Chinese Law and International Treaties, Hong Kong Law Journal, 2009,
p. 737 ss., parla di « rigid dogma of sovreignty [which] implies that international
obligations will only be accepted reluctantly » (p. 739). Si tratta, in effetti, di un
orientamento ideologico adombrato fin dal preambolo della Costituzione, che si apre
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segno di neutralità, ma una precisa opzione nel senso di escludere
l’ingresso delle norme internazionali nel diritto interno, quantomeno
laddove esse non siano recepite con un intervento del legislatore.
Le ragioni di quanto detto vanno ricercate nelle peculiarità della
cultura giuridico-politica cinese e nell’ideologia dominante al tempo
della stesura della Costituzione, così come, in parte, ancora oggi. La
nuova dirigenza del Partito comunista cinese guidata da Deng Xiaoping (12), sotto la quale fu redatta la nuova Costituzione, pur avendo
dato avvio fin dal 1978 a un intenso programma di riforme economiche
e giuridiche (13) non si spinse mai fino a contestare radicalmente le
fondamenta dell’ideologia di Mao Zedong (14), costituendo da un
punto di vista formale la diretta prosecuzione del vecchio regime. La
Costituzione del 1982 risente quindi di una continuità ideologica
almeno parziale con l’era del totalitarismo maoista (15), durante la
quale, sotto l’iniziale influsso della prima dottrina sovietica (16), il
diritto internazionale diventò il bersaglio di radicali critiche ideologiche (17).
È inoltre possibile identificare anche un secondo ordine, più
risalente, di motivazioni storiche dietro l’atteggiamento di tendenziale
chiusura nei confronti del diritto internazionale cristallizzato in Costituzione, insieme con il corrispondente accento posto sull’indipendenza
e sulla sovranità nazionali. Il riferimento va al fatto che, nel corso del
diciannovesimo secolo e fino alla metà del ventesimo, il diritto internazionale fu percepito in Cina come uno strumento di dominio semisul tema degli « heroic struggles » del popolo cinese per la liberazione dall’imperialismo e per la conquista dell’indipendenza nazionale.
(12) CAVALIERI, Il diritto nella Cina socialista, cit., p. 452; cfr. BENTINELLI, Verso lo
Stato di diritto in Cina. L’elaborazione dei principi generali del codice civile della
Repubblica popolare cinese dal 1949 al 1986, Milano, 1989, p. 12.
(13) SAICH, La ricerca di una forma idonea: lo Stato socialista dopo il 1949, in La
Cina verso la modernità, cit., p. 155 ss.
(14) Cfr. sul tema CHEN, Chinese Law: Towards an Understanding of Chinese
Law, Its Nature and Development, The Hague, 1999, p. 41 ss.
(15) Si veda in proposito il preambolo della Costituzione, in cui si legge ad es.:
« [u]nder the leadership of the Communist Party of China and the guidance of
Marxism-Leninism and Mao Zedong thought, the Chinese people of all nationalities
will continue to adhere to the people’s democratic dictatorship and follow the socialist
road [...] ».
(16) CASSESE, op. cit., pp. 362-363.
(17) Per un’analisi delle posizioni riscontrabili nella Cina maoista in merito al
diritto internazionale v., in generale, COHEN, CHIU, People’s China and International
Law. A Documentary Study, Princeton, 1974. Cfr. anche CHIU, Chinese Attitudes
Toward International Law in the Post-Mao Era, 1978-1987, The Int. Lawyer, 1987, p.
1132 ss., e, dello stesso autore, The People’s Republic of China and the Law of Treaties,
Cambridge, Mass., 1972.
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coloniale, utilizzato dalle potenze occidentali per imporre, tra le altre
cose, l’apertura del mercato cinese al commercio con l’estero e l’adozione forzata di istituti giuridici di origine straniera (18). I trattati
conclusi in quel periodo divennero noti in Cina, per queste ragioni,
come « ineguali » (19). Le innovazioni giuridiche introdotte in tal modo
diedero luogo a fenomeni di rigetto di marca nazionalistica e furono
infine totalmente cancellate quando, con la proclamazione della Repubblica popolare nel 1949, l’ordinamento repubblicano — a sua volta
edificato sulle ceneri di quello imperiale — fu integralmente abrogato (20). Si aggiunga, infine, che l’idea stessa di diritto internazionale
— basata, almeno formalmente, sulla reciproca uguaglianza degli Stati
— appariva difficilmente conciliabile con il pensiero cinese tradizionale, che percepiva la Cina come un’entità in una posizione di assoluta
preminenza nelle relazioni tra Stati (21).
Le disposizioni della Costituzione del 1982 sono, in conclusione, il
precipitato degli orientamenti ideologici e culturali appena analizzati.
Le basi marxiste e maoiste della propria cultura giuridica, insieme al
condizionamento prodotto dal ricordo degli abusi dell’epoca dei trattati ineguali, non potevano non portare i costituenti del 1982 a considerare il diritto internazionale come uno strumento essenzialmente
diretto a governare le relazioni esterne degli Stati e non a penetrare
negli ordinamenti statali. Si consideri, inoltre, come il problema del(18) Per ampie disamine di questo periodo storico si vedano WANG, International
Law in China: Historical and Contemporary Perspectives, Recueil des cours, vol. 221,
1990, p. 237 ss., e ANTONELLI, Il processo di modernizzazione del diritto cinese, in La Cina
verso la modernità, cit., p. 408 ss. Cfr. anche CAVALIERI, La legge e il rito. Lineamenti di
storia del diritto cinese, Milano, 1999, p. 116.
(19) La nozione di « trattato ineguale » fu utilizzata in Cina (oltre che in Unione
sovietica) per indicare « any treaties that imposed unilateral obligations on China and
rendered unilateral rights for the European powers » (CHEN, State Succession Relating
to Unequal Treaties, Hamden, 1974, p. 29). Così precisata, dunque, tale nozione non
si riferiva a una generica sproporzione degli obblighi in capo alle parti contraenti. In
questo secondo senso il concetto di ineguaglianza dei trattati era invece stato utilizzato
in Occidente, come, ad es., da VATTEL, Le droit des gens3, Amsterdam, vol. I, 1775, p.
212.
(20) SABATTINI, SANTANGELO, Storia della Cina, Milano, 2011, p. 560; CAVALIERI, Il
diritto nella Cina socialista, cit., p. 443; CRESPI REGHIZZI, La storia del diritto cinese in un
manuale per l’insegnamento, Quaderni Fiorentini, 1985, p. 559; CHEN, Chinese Law, cit.,
p. 36.
(21) WANG, International Law in China, cit., p. 221 ss.; COHEN, CHIU, People’s
China, cit., p. 5. L’idea della superiorità cinese nelle relazioni tra Stati è ancor oggi
adombrata dal nome cinese della Cina: Zhongguo, « Paese di mezzo » o « Paese
centrale ». Sulla persistenza, nel diritto della RPC, di elementi propri del pensiero
giuridico cinese tradizionale si veda, in generale, FARAH, L’influenza della concezione
confuciana sulla costruzione del sistema giuridico e politico cinese, in Identità europea e
politiche migratorie (a cura di Bombelli e Montanari), Milano, 2008, p. 193 ss.
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l’applicazione interna del diritto internazionale dovesse apparire all’epoca di limitata importanza pratica, non essendo in alcun modo
prevedibile, dopo decenni di isolamento, l’entità degli obblighi internazionali che sarebbero stati assunti dalla Cina negli anni successivi.
Ha una chiara matrice ideologica anche la mancanza, nel testo costituzionale, di qualsiasi riferimento espresso alla consuetudine internazionale. Ciò si inserisce nel solco della tradizionale diffidenza nutrita
verso questa fonte sia — in una prima fase — dai Paesi socialisti (22) sia
dai Paesi in via di sviluppo (23). Vero è che alcune disposizioni costituzionali potrebbero essere lette come dei riferimenti al diritto internazionale generale: si tratta, in particolare, della formulazione, contenuta
nel preambolo della Costituzione, dei c.d. cinque principi di coesistenza
pacifica (parte del manifesto ideologico dei Paesi non allineati fin dalla
Conferenza di Bandung del 1955) (24), insieme ad altri passi dello stesso
preambolo (25). Per quel che interessa in questa sede, è sufficiente evidenziare che, qualsiasi lettura si dia di queste disposizioni e del loro
rapporto con il diritto internazionale generale, sarebbe scorretto tentare
di trarne conseguenze sul piano dell’ordinamento giuridico interno, in
quanto esse non fanno che fissare generici indirizzi di politica estera.
Peraltro, il preambolo ha nel complesso natura retorica e propagandistica
ed è dubbio che abbia carattere giuridicamente vincolante (26).
(22) CASSESE, op. cit., pp. 361-363. Cfr. anche KRYLOV, Les notions principales du
droit des gens (La doctrine soviétique du droit international), Recueil des cours, vol. 70,
1947, p. 441 ss. Si noti che l’art. 29 della Costituzione sovietica del 1977 conteneva un
esplicito riferimento al rispetto dei principi di diritto internazionale generalmente
riconosciuti, oltre che dei trattati internazionali conclusi dall’URSS. Ciò dimostra come
« international custom was no longer considered harmful or dangerous by Soviet
authorities » (CASSESE, op. cit., p. 380). La ragione per cui in Cina è mancata una
« riconciliazione » con il diritto internazionale generale va ricercata nella rottura dei
rapporti con l’Unione sovietica e nel conseguente ingresso della RPC nel blocco dei
Paesi non allineati.
(23) CASSESE, op. cit., p. 366.
(24) Essi compaiono nel preambolo della Costituzione in questa forma: « China
[...] adheres to the five principles of mutual respect for sovereignty and territorial
integrity, mutual non-aggression, non-interference in each other’s internal affairs,
equality and mutual benefit, and peaceful coexistence in developing diplomatic relations and economic and cultural exchanges with other countries ».
(25) Si veda, per es.: « China consistently opposes imperialism, hegemonism and
colonialism, works to strengthen unity with the people of other countries, supports the
oppressed nations and the developing countries in their just struggle to win and
preserve national independence and develop their national economies, and strives to
safeguard world peace and promote the cause of human progress ».
(26) Sulla questione se il preambolo della Costituzione del 1982 abbia lo stesso
valore giuridico del resto del testo costituzionale v., per una risposta positiva, PU,
Xianfa xuyan de jiben tedian [Le caratteristiche fondamentali del preambolo della
Costituzione], Zhangzhi yu falü congkan [Politics and Law Serial], 1982, n.1; in senso
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L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
3. La Costituzione mostra un atteggiamento parzialmente diverso
nei confronti del diritto internazionale pattizio. Pur non occupandosi
dei loro effetti giuridici interni, infatti, la Carta menziona espressamente i trattati negli articoli 67 (paragrafi 14 e 18), 81 e 89. A parte
l’art. 67, par. 18, che autorizza la proclamazione dello stato di guerra in
attuazione di un trattato internazionale che preveda l’obbligo di difesa
collettiva contro un aggressore, le citate disposizioni disciplinano alcuni
aspetti del procedimento di conclusione dei trattati. In particolare,
l’art. 89 assegna al Consiglio di Stato (Guowuyuan, cioè il Governo) la
competenza a concludere accordi internazionali, mentre l’art. 67 richiede che il Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo (ANP, Quanguo Daibiao Dahui) (27) autorizzi la ratifica di trattati
di particolare rilevanza (28); ratifica che, in base all’art. 81, compete al
Presidente della Repubblica (Zhuxi). Tale procedimento ha poi ricevuto più puntuale disciplina con l’approvazione, nel 1990, della Legge
sulla procedura di conclusione dei trattati (Dijie tiaoyue chengxu fa).
Parte della dottrina cinese ritiene che dalle menzionate disposizioni
possano comunque ricavarsi, seppure indirettamente, delle indicazioni
negativo ZHANG, Jinyibu yanjiu xin xianfa, shishi xin xianfa [Ulteriori contributi allo
studio e all’applicazione della nuova Costituzione], Zhongguo Faxue [China Legal
Science], 1984, n. 1. Nel senso della mancanza di valore giuridico dei preamboli
costituzionali v. in generale KELSEN, General Theory of Law and State, Cambridge,
Mass., 1945, p. 260, e ZOLLER, Droit constitutionnel2, Paris, 1998, p. 219.
(27) L’ANP, « the highest organ of State power » (art. 57 Cost.), è un organo
monocamerale pletorico composto da circa tremila deputati, eletti con mandato
quinquennale dalle assemblee provinciali. Il va sans dire che il funzionamento reale
dell’ANP, che è formalmente titolare del potere legislativo (art. 58 Cost.) e di altre
estesissime funzioni (art. 62 Cost.), è del tutto sottomesso alla disciplina di partito: si
consideri che il Partito comunista cinese ha un proprio gruppo politico-legale che
esercita un pervasivo controllo sull’attività legislativa (v. CHEN, Chinese Law, cit., p.
114). Poiché l’ANP si riunisce in sessione plenaria solo una volta all’anno (art. 61
Cost.), per assicurare la continuità dell’attività legislativa la Costituzione prevede
l’esistenza di un Comitato permanente a composizione ristretta (art. 57 Cost.), che ha
poteri quasi del tutto sovrapponibili a quelli della plenaria (art. 67 Cost.).
(28) Per la precisione, è richiesta la ratifica di « treaties and important agreements ». Si consideri in proposito che in Costituzione la parola tiaoyue (« treaties »)
indica solo i trattati destinati a disciplinare materie di particolare rilevanza formale o
politica, mentre nella categoria degli « agreements » (in cinese xieding) rientrano tutti
gli altri trattati (in senso ampio). Cfr. LI, The Effect of Treaties in the Municipal Law of
the People’s Republic of China: Practice and Problems, Asian Yearbook of Int. Law, vol.
4, 1995, p. 187 ss. I trattati per i quali è obbligatoria l’autorizzazione alla ratifica sono
più precisamente elencati nell’art. 7 della Legge sulla procedura di conclusione dei trattati.
Per una traduzione ufficiale in inglese di tale legge e di tutte quelle che verranno citate
si veda il sito dell’ANP, http://www.npc.gov.cn/englishnpc/Law/Frameset-index.html.
Si noti però che i testi tradotti in inglese non sono sempre aggiornati. Un esteso e liberamente consultabile database di leggi della RPC è fornito dal sito della WIPO,
http://www.wipo.int/wipolex/en/profile.jsp?code=CN.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
433
riguardo alla posizione dei trattati nel diritto interno. Secondo questi
autori, essa potrebbe essere determinata effettuando un paragone tra il
procedimento legislativo e quello di conclusione ed eventuale ratifica
dei trattati: un argomento che, in quest’ottica, potrebbe essere utilizzato sia per affermare che i trattati costituiscono una fonte dell’ordinamento della RPC, sia per stabilire quale sia il loro rango nella
gerarchia delle fonti interne.
È stato infatti affermato che la somiglianza tra il procedimento di
ratifica e il procedimento legislativo implicherebbe che i trattati e le
leggi ordinarie occupino la stessa posizione nella gerarchia delle
fonti (29). Ciò ovviamente presuppone che si sia già risolta in senso
positivo la questione — logicamente preliminare — se i trattati facciano
o meno parte dell’ordinamento interno cinese. La dottrina in esame
sottolinea, in particolare, come i due procedimenti coinvolgano gli
stessi organi dello Stato: in base alla Costituzione, infatti, il Comitato
permanente dell’ANP è competente sia per l’approvazione delle leggi
che per la decisione di procedere alla ratifica, quando necessaria (30). Al
Presidente della Repubblica, inoltre, spettano sia la promulgazione
delle leggi che la ratifica dei trattati, da effettuarsi entrambe sulla base
delle decisioni del Comitato permanente (31).
In base a questa teoria, dunque, i trattati ratificati sarebbero una
fonte dell’ordinamento della RPC del tutto equiparata alle leggi e il
procedimento di ratifica costituirebbe, si potrebbe dire, una species del
(29) WANG, International Law in China, cit., p. 328; LI, GUO, China, in International Law and Domestic Legal Systems (a cura di Shelton), Oxford, 2011, p. 187; SHAO,
The Theory and Practice of the Implementation of International Law in China, in
Implementation of Law in the People’s Republic of China (a cura di Chen), The Hague,
2002, pp. 198-199; NIE, IIDA, The Enforcement of Intellectual Property Rights in China,
London, 2006, p. 160; JIANG, Guojifa yu guoji tiaoyue de jige wenti [Alcune questioni
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Fazhi Jiangzuo [Corsi del Comitato permanente dell’ANP sul sistema giuridico], n. 14,
disponibile su www.npc.gov.cn; SUN, Cong Zhongguo rushi kan WTO xieyi zai Zhongguo fayuan de shiyong [L’applicazione degli accordi WTO nelle corti cinesi a partire
dall’ingresso della Cina nel WTO], Falü Shiyong [Application of Law], 2000, n. 9,
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ZHU, Guoji tiaoyue zai Zhongguo guonei de shiyong yanjiu [Studio sull’applicazione dei
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Jiaoliu » [Accademia Cinese di Scienze Sociali, « Scambio mondiale di scienze sociali
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biaozhun yu guoneifa de xietiao [Sull’armonizzazione del diritto interno con gli
standard internazionali sull’applicazione della pena di morte], Faxue Pinglun [Rivista
di studi giuridici], 2003, n. 6, pp. 73-74.
(30) V. art. 67 Cost., che elenca le competenze del Comitato permanente, in
particolare i paragrafi 2, 3 e 14.
(31) V. rispettivamente gli articoli 80 e 81 Cost.
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L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
genus « procedimento legislativo ». Per alcuni, logica conseguenza di
ciò sarebbe la inutilità, in linea di principio, di qualsiasi provvedimento
interno che desse esecuzione a un trattato, in quanto « [t]he internal
effect of treaties comes immediately upon promulgation of the President of the PRC » (32).
Altro corollario di questo tipo di approccio, inoltre, è che anche il
rango di un trattato non sottoposto a ratifica dipenderebbe dall’organo
statale che lo abbia stipulato (33). Per i trattati che, in conformità all’art.
8 della Legge sulla procedura di conclusione dei trattati, sono sottoposti
all’approvazione del Consiglio di Stato, esso sarebbe pari a quello dei
regolamenti emanati da tale organo, i quali, nella gerarchia delle fonti
della RPC, si trovano in posizione subordinata alla Costituzione e alle
leggi approvate dall’ANP o dal Comitato permanente (34). Un rango
ancora inferiore, analogo a quello dei regolamenti ministeriali, sarebbe
occupato dagli accordi internazionali previsti dall’art. 9 della Legge
sulla procedura di conclusione dei trattati, per i quali non è richiesta né
la ratifica presidenziale né l’approvazione del Governo (35).
Questa tesi, però, non è convincente. Le disposizioni della Costituzione e della Legge sulla procedura di conclusione dei trattati cui fa
riferimento la dottrina in esame altro non fanno che individuare quali
organi dello Stato, e a quali condizioni, possano impegnare internazionalmente la RPC. Ritenere che l’intervento di tali organi debba essere
equiparato a un’attività di produzione legislativa o regolamentare,
ricavandone di conseguenza un’ipotetica gerarchia interna dei trattati
stipulati dalla Cina, travalica sia la lettera sia lo scopo di tali disposizioni (36) e non appare conforme alla ricostruzione in chiave sistematica, fornita in precedenza, dell’atteggiamento della Costituzione verso
il diritto internazionale.
In secondo luogo, la dottrina in esame non chiarisce in quale modo
gli ipotetici effetti interni della ratifica di un trattato si legherebbero ai
(32) WANG, International Law in China, cit., p. 329. Si noti l’utilizzo, da parte
dell’a., del termine « promulgation » con riferimento alla ratifica dei trattati, mentre
esso è utilizzato in Costituzione esclusivamente con riferimento alle leggi. Tale scelta
lessicale rispecchia l’opinione, criticata infra nel testo, secondo cui la promulgazione
delle leggi e la ratifica dei trattati condividerebbero la medesima natura giuridica e
spiegherebbero effetti analoghi nell’ordinamento cinese.
(33) LI, GUO, op. cit., pp. 187-188; ZHU, op. cit.; DONG, Guoji fa zai Zhongguo de
shiyong [L’applicazione del diritto internazionale in Cina], Wuhan Daxue Xuebao
[Wuhan University Journal], 2002, n. 3, p. 352.
(34) V. art. 89 Cost. e art. 56 ss. della Legge sulla legislazione (Lifa fa), approvata
nel 2000.
(35) Sui regolamenti ministeriali v. art. 71 della Legge sulla legislazione.
(36) V. in questo senso SHI, The Application of Treaties in China: Practice,
Problems and Prospects, AALCO Journal of Int. Law, 2012, p. 133.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
435
tempi dell’entrata in vigore del trattato sul piano internazionale. Considerare il procedimento di ratifica alla stregua di un procedimento
legislativo potrebbe in astratto portare alla (certamente indesiderabile)
conseguenza di considerare il trattato come efficace nell’ordinamento
statale indipendentemente dalla sua vigenza a livello internazionale. Si
tratta di un punto cruciale che meriterebbe maggiore approfondimento, ma che sembra trascurato dalla dottrina in esame.
Peraltro, non vi sono elementi per affermare che l’attività normativa degli organi statali sia vincolata al rispetto della presunta gerarchia
interna dei trattati, la cui esistenza è sostenuta dalla tesi qui criticata. Se
così fosse, bisognerebbe concludere, ad esempio, che l’attività regolamentare del Consiglio di Stato sia vincolata al rispetto dei (soli) trattati
sottoposti a ratifica, perché di rango superiore ai regolamenti governativi. A ben vedere, non vi sono però conferme che l’attività normativa
dei vari organi della RPC sia esercitata nel rispetto di un simile
ipotetico rango gerarchico interno. Inoltre, non è nemmeno ipotizzabile, nel sistema cinese, che la magistratura eserciti un controllo sul
rispetto di una presunta gerarchia tra trattati e atti normativi statali, per
esempio disapplicando un regolamento governativo che contrasti con
un trattato sottoposto a ratifica: ciò richiederebbe che il trattato fosse
applicabile dal giudice, o, quantomeno, invocabile in giudizio, una
possibilità che è da escludere in assenza di un atto normativo interno
che ne autorizzi l’applicazione (37). Si aggiunga, del resto, che negli
scritti degli stessi autori che sostengono la tesi qui criticata si rinviene
l’affermazione che l’applicazione interna dei trattati internazionali non
può avvenire senza atti legislativi ad hoc, e che è esclusa in qualsiasi caso
l’applicazione diretta di intere categorie di trattati, come per esempio
quelli sui diritti umani (38).
A tale proposito, non può essere ignorato che, a seguito della
riforma costituzionale del 2004, l’attuale formulazione dell’art. 33, par.
(37) XUE, JIN, International Treaties in the Chinese Domestic Legal System,
Chinese Journal of Int. Law, 2009, p. 305. Cfr. anche NOLLKAEMPER, National Courts and
the International Rule of Law, Oxford, 2011, pp. 13 e 55, che sottolinea (p. 13) come
i tribunali cinesi « play no role whatsoever » nell’assicurare il coordinamento tra
ordinamento cinese e diritto internazionale. Si aggiunga poi, più in generale, che la
magistratura cinese tende a non disapplicare nemmeno i regolamenti governativi che
contrastino con leggi approvate dal Comitato permanente, in evidente violazione della
gerarchia delle fonti interne: v. CLARKE, China’s Legal System and the WTO: Prospects
for Compliance, Washington University Global Studies Law Review, 2003, vol. 2, p. 103.
(38) LI, GUO, op. cit., pp. 169-172. Riguardo alla non applicabilità dei trattati sui
diritti umani v. anche XUE, JIN, op. cit., p. 309, e GUO, Implementation of Human Rights
Treaties by Chinese Courts: Problems and Prospects, Chinese Journal of Int. Law, 2009,
p. 166.
436
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
3, della Costituzione recita: « [l]o Stato rispetta e garantisce i diritti
umani ». Benché questa disposizione rivesta una indubbia rilevanza, sia
simbolica sia di indirizzo per la successiva attività legislativa, non ci si
può però spingere al punto da ritenere che essa consenta per se
l’ingresso nell’ordinamento cinese dei trattati sui diritti umani di cui la
Cina è parte. Ciò principalmente per due ragioni. In primo luogo,
perché, come detto, i trattati sui diritti umani non sono direttamente
applicabili in giudizio e trovano applicazione interna solo mediante
adattamento in forma ordinaria (39), ciò che ha portato la dottrina
cinese più avveduta ad affermare che « international conventions on
human rights do not have direct legal force in domestic law » (40). In
secondo luogo, perché lo stesso testo costituzionale nella sua interezza
non è invocabile o applicabile in giudizio (41).
In conclusione, appare maggiormente conforme all’impostazione
ideologica della Costituzione ritenere che in Cina il piano dell’assunzione dell’impegno internazionale e quello dei suoi effetti giuridici
interni, « the process of forming international obligations » e « the
process of performing the obligations » (42), restino rigidamente separati. Questo assunto trova peraltro conferma nella prassi legislativa e in
quella giurisprudenziale, che verranno analizzate nei successivi paragrafi.
4. Anche nelle fonti di rango inferiore alla Costituzione la questione del rapporto tra diritto internazionale (rectius, come detto:
trattati internazionali) e ordinamento interno non è affrontata in termini generali, né sul piano dei procedimenti interni di adattamento né
sul piano del rango dei trattati nell’ordinamento interno. Nella prassi
legislativa cinese è al contrario riscontrabile un approccio caso per caso:
le indicazioni fornite dal diritto positivo riguardano esclusivamente il
profilo dell’applicabilità diretta dei trattati; si limitano, cioè, a stabilire
le condizioni perché determinati trattati o determinate categorie di
trattati possano trovare applicazione in giudizio.
(39) XUE, JIN, op. cit., p. 309: « such treaties are usually applied through
domestic legislation ».
(40) Ibid.
(41) AHL, Exploring Ways of Implementing International Human Rights Treaties
in China, Netherlands Quarterly of Human Rights, 2010, p. 379; LI, GUO, op. cit., pp.
161-162. La non applicabilità in giudizio è caratteristica tipica delle costituzioni degli
Stati socialisti, testi « normally regarded as general guidelines for the action of State
bodies and citizens », e dei Paesi in via di sviluppo: v. CASSESE, op. cit., p. 348.
(42) WHEARE, Legislations2, London, 1968, pp. 115-116.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
437
Occorre subito specificare, tuttavia, che la disciplina legislativa in
materia di applicazione diretta di trattati internazionali deve essere
integrata dagli interventi effettuati dalla Corte suprema, sia mediante
pronunce giurisdizionali che mediante la redazione — spesso congiuntamente con organi dell’amministrazione — di minuziosi commentari
alle leggi dal valore sostanzialmente normativo: le c.d. « interpretazioni
giudiziarie » (sifa jieshi) (43). Pur in assenza di qualsiasi indicazione
legislativa in tal senso, infatti, la Corte ha proibito in termini assoluti
l’applicazione diretta di alcune categorie di trattati, come per esempio
dei trattati sui diritti umani (44), degli accordi dell’Organizzazione
mondiale del commercio (OMC) (45), organizzazione di cui, com’è
noto, la RPC è diventata membro nel 2001 (46), e dei trattati bilaterali
d’investimento (47).
Tra le disposizioni di legge che autorizzano l’applicazione diretta di
trattati internazionali occorre distinguere due differenti tipologie. In un
primo gruppo rientrano le disposizioni che consentono l’applicazione
di un trattato o una categoria di trattati espressamente individuati. Si
tratta però di previsioni di dettaglio e di limitata portata applicativa. Si
veda, ad esempio, l’art. 23 del Regolamento sull’utilizzo dei simboli della
Croce Rossa (Hongshizi biaozhi shiyong banfa), adottato congiuntamente dal Consiglio di Stato e dalla Commissione militare centrale nel
(43) La possibilità che la Corte suprema renda « interpretation on questions
concerning specific application of laws and decrees in judicial proceedings » è oggi
prevista dall’art. 32 della Legge organica sui tribunali del popolo (Renmin fayuan zuzhi
fa), ma trae origine da un istituto di tarda epoca imperiale: nel 1906, quando fu istituita
la Corte suprema dell’Impero (Daliyuan), si stabilì che il presidente della Corte avesse
il potere di produrre interpretazioni astratte della legge e che il loro contenuto fosse
vincolante per i giudici di livello inferiore (ANTONELLI, op. cit., p. 431). Attualmente i
sifa jieshi hanno efficacia vincolante per le corti di livello inferiore per via della struttura
fortemente gerarchica della magistratura cinese, che la rende somigliante alla pubblica
amministrazione: v. AHL, Chinese Law, cit., pp. 748-749 e CHEN, Chinese Law, cit., p.
106 ss.
(44) XUE, JIN, op. cit., p. 305.
(45) Si veda l’« interpretazione giudiziaria » del 2002 denominata Provisions of
the Supreme People’s Court on Several Issues Concerning the Hearing of International
Trade Administrative Cases, il cui art. 7 dispone che, in cause amministrative relative al
commercio internazionale, i giudici applichino « PRC laws, administrative regulations,
and local regulations issued by the local legislatures [...] », escludendo dunque
l’applicazione di trattati internazionali. La traduzione inglese del documento citato è
disponibile nel sito www.lawinfochina.com/display.aspx?lib=law&id=2545&CGid=.
(46) Sull’impatto dell’adesione all’OMC sul sistema giuridico cinese si vedano, ex
multis, FARAH, Five Years of China’s WTO Membership, Legal Issues of Economic
Integration, 2006, p. 263 ss., e CAVALIERI, L’adesione della Cina alla WTO: implicazioni
giuridiche, Lecce, 2003.
(47) SHAN, China and International Investment Law, in Regionalism in International Investment Law (a cura di Trakman e Ranieri), Oxford, 2013, p. 221.
438
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
1996, il quale stabilisce: « [i]f there is anything concerning the protective use of Red Cross signs not covered in these Provisions, the relevant
provisions of the Geneva Conventions and their Additional Protocols
shall apply » (48).
La seconda tipologia fornisce indicazioni di maggiore rilievo.
Alcune leggi approvate dal Comitato permanente e alcuni regolamenti
emanati dal Consiglio di Stato includono infatti disposizioni che, alle
condizioni di cui subito si dirà, autorizzano l’applicazione diretta dei
trattati internazionali senza specificare espressamente a quali trattati
esse facciano richiamo. L’ambito applicativo di simili disposizioni va
dunque determinato in via interpretativa, e a tal fine appare rilevante
che tutte le disposizioni in esame prevedano, come requisito per
l’applicazione giudiziale di un trattato, la sussistenza di elementi di
transnazionalità. L’espressa esclusione dell’applicazione diretta dei
trattati nei casi meramente interni è un dato imprescindibile per gettare
luce su quali tipologie di trattati siano, nelle intenzioni del legislatore,
effettivamente applicabili in giudizio e quali, al contrario, ne siano
escluse. Quanto poi alle condizioni poste dalle disposizioni in esame
perché l’applicazione diretta sia possibile, è solitamente richiesto che il
contenuto di un trattato concluso dalla Cina risulti in contrasto con una
disciplina interna di volta in volta individuata. Simili disposizioni, in
altri termini, pongono un criterio per la risoluzione di eventuali antinomie.
La prima legge a contenere una disciplina di questo tipo è stata la
Legge di procedura civile (Minshi susong fa) (49), approvata in via
sperimentale nel 1982. L’art. 189 del testo originario prevedeva: « [i]f
an international treaty concluded or acceded to by the People’s Republic of China contains provisions that differ from provisions of this
Law, the provisions of the international treaty shall apply, except those
on which China has made reservations ». La legge è stata sottoposta a
estese revisioni nel corso degli anni, l’ultima delle quali risale al 2012,
ma il contenuto dell’art. 189 è confluito senza modifiche nell’art. 260
del testo vigente.
Come detto, l’applicazione dei trattati è espressamente esclusa nei
casi che non presentino elementi di transnazionalità. L’art. 260 è infatti
inserito nella Parte Quarta della legge, intitolata « [s]pecial provisions
for civil procedure of cases involving foreign elements », e analogo
(48) La traduzione inglese si legge in XUE, JIN, op. cit., p. 304. Il testo in cinese del
regolamento è disponibile nel sito http://www.moh.gov.cn/mohzcfgs/pfg/200804/29
357.shtml.
(49) XUE, JIN, op. cit., p. 303.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
439
campo applicativo era previsto per l’art. 189 del previgente testo. La
nozione di « cause civili straniere » (shewai minshi anjian nell’originale
cinese) include, come precisato dalla Corte suprema: i casi in cui una o
entrambe le parti siano cittadini stranieri o apolidi, oppure persone
giuridiche o enti stranieri; i casi in cui almeno una parte risieda
abitualmente in uno Stato estero; quelli in cui l’oggetto della domanda
si trovi al di fuori del territorio della RPC; infine, quelli in cui i fatti
costitutivi, modificativi o estintivi della situazione giuridica siano avvenuti al di fuori della RPC (50).
Successivamente al 1982, disposizioni formulate in modo del tutto
analogo sono state inserite in numerose altre fonti (a quanto risulta,
ventuno leggi e dieci regolamenti amministrativi) (51). Di particolare
rilevanza è stato l’inserimento di una analoga disposizione nei Principi
generali di diritto civile (Minfa tongze), emanati nel 1986 e tuttora
vigenti, il cui art. 142, par. 2, prevede che qualora, in una causa civile
con elementi di estraneità, emerga un contrasto tra un trattato di cui la
Cina è parte e qualsiasi legge della RPC in materia di diritto civile, il
trattato debba prevalere sulla disciplina interna difforme (52). Le altre
leggi in cui è stata inserita un’analoga disposizione riguardano settori
dell’ordinamento tra i quali rientrano, oltre al diritto civile e alla
procedura civile, il processo amministrativo, il diritto commerciale, la
cooperazione giudiziaria, l’arbitrato e la protezione dell’ambiente (53).
Il fatto che simili disposizioni facciano genericamente riferimento
ai trattati internazionali di cui la Cina è parte lascia però da chiarire la
questione di quali trattati possano trovare effettiva applicazione.
Esclusi i trattati la cui applicazione diretta è certamente impedita dai
menzionati interventi della Corte suprema, occorre considerare che
l’applicazione diretta è ammessa solo in casi che presentino elementi di
(50) Si veda l’art. 1 della Interpretation of the Supreme People’s Court on Issues
Regarding the Application of the Act of the People’s Republic of China on the Law
Applicable to Foreign-related Civil Relations (trad. inglese di Aquironi), in Diritto del
commercio int., 2013, p. 910 ss. Di identico contenuto l’art. 522 della recentissima
(2015) Zuigao Renmin Fayuan guanyu shiyong « Zhonghua Renmin Gongheguo Minshi
susongfa » de jieshi [Interpretazione della Corte suprema sull’applicazione della Legge
di procedura civile della RPC], disponibile in cinese nel sito http://www.chinacourt.
org/law/detail/2015/01/id/148091.shtml. I documenti qui citati rientrano nella categoria, sopra menzionata, delle c.d. interpretazioni giudiziarie.
(51) SHI, op. cit., p. 127.
(52) « If any international treaty concluded or acceded to by the People’s
Republic of China contains provisions differing from those in the civil laws of the
People’s Republic of China, the provisions of the international treaty shall apply, unless
the provisions are ones on which the People’s Republic of China has announced
reservations ».
(53) XUE, JIN, op. cit., p. 304.
440
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
estraneità, nonché il fatto che le leggi di maggiore rilevanza (tra le quali
emergono, per l’ampiezza del loro campo applicativo, i Principi generali) che contengono simili disposizioni riguardino il settore del diritto
civile. Alla luce di ciò, appare chiaro che il principale — se non unico
— campo applicativo di tali disposizioni riguarda l’applicazione di
trattati internazionali in materia di diritto sostanziale uniforme e di
norme di conflitto uniformi.
Una simile delimitazione del campo applicativo delle disposizioni
in esame trova conferma nella prassi giurisprudenziale. Tra i trattati che
hanno trovato applicazione diretta ad opera dei tribunali cinesi rientrano, ad esempio, la Convenzione di Varsavia del 12 ottobre 1929 per
l’unificazione di alcune regole relative al trasporto aereo internazionale,
nonché il Protocollo modificativo di tale Convenzione firmato all’Aja il
28 settembre 1955; la Convenzione di New York del 1958 per il
riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze arbitrali straniere; la
Convenzione di Guadalajara del 18 settembre 1961, supplementare alla
Convenzione di Varsavia, per l’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale eseguito da persona diversa dal vettore
contrattuale; e la Convenzione delle Nazioni Unite dell’11 aprile 1980
sui contratti di vendita internazionale di merci (54).
Occorre inoltre notare che la RPC si è dotata, nel 2010, di una
Legge sul diritto applicabile ai rapporti civili con elementi di estraneità
(Shewai minshi guanxi falü shiyong fa), la quale ha riformato in modo
organico il diritto internazionale privato (in senso stretto) della RPC:
essa disciplina il diritto statale applicabile in ambiti come matrimonio
e rapporti familiari, successioni, diritti reali, obbligazioni e diritti di
proprietà intellettuale (55). Sebbene tale legge non contenga alcuna
indicazione riguardo al rapporto tra le proprie norme e i trattati di cui
la Cina è parte, essa « appartient sans aucun doute aux lois chinoises en
matière civile », ragion per cui può trovare applicazione l’art. 142, par.
2, dei Principi generali (56). Le disposizioni dei trattati, perciò, come
confermato dalla Corte suprema in una « interpretazione giudiziaria »,
(54) Ibid., p. 310, e CAI, International Law, Domestic Courts, and the Rise of
China, 2015, disponibile nel sito http://iilj.org/courses/documents/Cai.pdf, p. 12.
(55) Sulla Legge sul diritto applicabile ai rapporti civili con elementi di estraneità
si vedano in generale CHEN, La nouvelle codification du droit international privé chinois,
Recueil des cours, vol. 359, 2012, p. 87 ss. (con una traduzione della legge in francese
a p. 272 ss.) e CAVALIERI, FRANZINA, Il nuovo diritto internazionale privato della
Repubblica popolare cinese. La legge del 28 ottobre 2010 sul diritto applicabile ai rapporti
civili con elementi di estraneità, Milano, 2012 (con una traduzione della legge in italiano
a p. 215 ss.; trad. di D’Attoma).
(56) CHEN, op. cit., p. 256.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
441
prevalgono sulla legge in esame, e ciò « encompasses all kinds of
internationally uniform provisions aimed at regulating transnational
situations [...], no matter whether they are conflict-of-laws provisions
or uniform substantive provisions » (57).
Meno chiaro è invece il campo applicativo delle disposizioni in
esame al di fuori del settore del diritto civile. È stato in effetti osservato
come i casi di applicazione di trattati diversi da quelli di diritto
internazionale privato siano marginali (58). Una eccezione alla regola
appena menzionata è fornita da una recente pronuncia di prima istanza
nel caso Dong c. F.D., confermata in appello dalla Seconda Corte
intermedia del popolo di Shanghai (59). In un caso concernente l’affidamento di due figli di genitori divorziati, in cui sia i minori che il padre
erano di cittadinanza tedesca, per affermare il proprio obbligo di
garantire la massima protezione ai due minori, la Corte ha applicato —
a quanto risulta, d’ufficio — la Convenzione sui diritti del fanciullo, che
la Cina ha ratificato nel 1993. Per applicare la Convenzione, la Corte ha
invocato — e ciò non desta sorpresa — i predetti Principi generali e la
Legge sul diritto applicabile ai rapporti civili con elementi di estraneità.
Quel che invece rappresenta un unicum nella prassi cinese, come è stato
segnalato in dottrina (60), è il fatto che sia stato applicato un trattato
avente ad oggetto diritti umani. L’unicità di questa pronuncia, pur
meritevole di attenzione, non permette però di considerarla come
un’inversione di tendenza rispetto alla regola della non applicabilità in
giudizio dei trattati sui diritti umani, regola che, come detto, è stata
sancita espressamente dalla Corte suprema.
Sempre a conferma del numero limitato di ipotesi di applicazione
di trattati non di diritto internazionale privato, si prenda come ulteriore
esempio l’art. 72 del testo della Legge sul processo amministrativo in
vigore dal 1990 al 1º maggio 2015. Questo articolo, inserito nel capitolo
X della legge, intitolato « Administrative Procedure Involving Foreign
(57) FRANZINA, CAVALIERI, The 2012 “Interpretation” of the Supreme People’s Court
of China Regarding the 2010 Act on Private International Law, Diritto del commercio
int., 2013, p. 891 ss., p. 896; cfr. art. 4, Interpretation of the Supreme People’s Court on
Issues Regarding the Application of the Act of the People’s Republic of China on the Law
Applicable to Foreign-related Civil Relations, cit.
(58) CAI, International Law, cit., p. 12.
(59) Sentenza della Corte popolare del Distretto di Jing’an, Shanghai, Dong c.
F.D., n. 1816/2012 e sentenza della Seconda Corte intermedia popolare di Shanghai,
F.D. c. Dong, n. 1661/2013. Il testo della decisione d’appello è consultabile in cinese nel
sito http://www.shezfy.com/view/cpws.html?id=88883.
(60) Si veda il commento di ZHU, Seconde Cour intermédiaire populaire de
Shanghai, 23 septembre 2013, Hu’erzhongminzi nº 1661, Revue générale de droit int.
public, 2014, pp. 943-945.
442
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
Interests », prevedeva, sul modello della Legge di procedura civile, che
« [i]f an international treaty concluded or acceded to by the People’s
Republic of China contains provisions different from those found in
this Law, the provisions of the international treaty shall apply, unless
the provisions are ones on which the People’s Republic of China has
announced reservations ». Sennonché, alcune tra le principali tipologie
di trattati a cui la lettera della disposizione sembrava astrattamente
riferirsi risultavano, in realtà, non direttamente applicabili: in particolare, come detto, ciò valeva e vale tuttora per i trattati sui diritti umani,
per gli accordi OMC e per i trattati d’investimento. La teorica possibilità di utilizzare l’abrogato art. 72 per invocare in giudizio queste
ultime due categorie di trattati era stata fin dal 2002 neutralizzata da
un’« interpretazione giudiziaria » della Corte suprema che aveva disposto che la decisione delle controversie in materia amministrativa riguardanti il commercio internazionale avrebbe dovuto basarsi solo sul
diritto interno della RPC (61). Sebbene il principale obiettivo di questa
« interpretazione giudiziaria » fosse impedire l’applicazione diretta degli accordi OMC, la Corte ha specificato che l’ambito applicativo
dell’« interpretazione » doveva intendersi esteso anche alle controversie in materia di investimenti (62).
A queste condizioni, l’ambito applicativo dell’art. 72 risultava
notevolmente ridimensionato. Per un raro esempio di applicazione di
un trattato nel corso di un processo amministrativo si può citare la
decisione della Corte distrettuale di Haidian nel caso Beijing Moon
Village c. Municipalità di Pechino (63). La Municipalità di Pechino aveva
multato (e le aveva ritirato la licenza commerciale) una società cinese,
la Beijing Moon Village (BMV), che aveva acquistato la (pretesa)
proprietà di parti del suolo lunare da una società americana, la Moon
Embassy Company, rivendendole poi a cittadini cinesi. Nel corso del
processo amministrativo promosso dalla BMV, l’amministrazione (con
un’argomentazione poi accolta dalla Corte) aveva invocato gli articoli 1
e 2 del Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 per dimostrare
che il suolo lunare non era suscettibile di appropriazione privata e che
(61) Provisions of the Supreme People’s Court on Several Issues Concerning the
Hearing of International Trade Administrative Cases, cit., art. 7.
(62) SHAN, China and International Investment Law, cit., p. 221. Dello stesso
autore v. anche The Legal Framework of EU-China Investment Relations: A Critical
Appraisal, Oxford, 2005, pp. 109-110.
(63) Sentenza della Corte distrettuale di Haidian, Pechino, del 9 novembre 2006,
nel caso Beijing Moon Village Astronautics Science and Technology Co Ltd v. Beijing
Municipal Administration for Industry and Commerce, disponibile nel sito
http://opil.ouplaw.com, ILDC 846 (CN 2006), con commento di ZHU.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
443
di conseguenza le attività commerciali della BMV erano illegali. Sebbene non risulti che l’amministrazione lo avesse espressamente invocato, il fondamento di questa decisione deve essere visto nell’art. 72
della Legge sul processo amministrativo.
Degno di nota è il fatto che la decisione in commento sia stata
salutata come il primo caso di applicazione di un trattato in una
controversia sorta in Cina tra due parti entrambe cinesi (64). Nonostante l’assenza di parti straniere, tuttavia, esso resta un caso con
elementi di estraneità, perché i pretesi diritti sul suolo lunare erano stati
ceduti alla BMV da una società americana e anche — si potrebbe
argomentare — perché l’oggetto dei contratti stipulati dalla BMV si
trovava ben al di fuori del territorio della RPC. Si consideri, in ogni
caso, che l’importanza di tale decisione non deve essere sopravvalutata,
e ciò per due ragioni.
In primo luogo, perché, in un sistema in cui la magistratura non è
indipendente dal potere politico, la Corte è probabilmente stata condizionata dal fatto che il trattato fosse invocato da una amministrazione, e non da un privato, a tutela di interessi pubblicistici. Volendo
trarre delle conseguenze ulteriori, il caso in oggetto potrebbe addirittura essere considerato sintomatico della circostanza per cui l’applicazione di un trattato in Cina sia sottoposta a limiti meno stringenti
quando esso è invocato da un organo dello Stato, rispetto ai casi di
diretta azionabilità da parte di privati (65). Si consideri, tuttavia, che le
disposizioni di legge cinesi qui analizzate non distinguono espressamente tra l’invocabilità di trattati in giudizio da parte di privati e da
parte di organi statali, per cui non sembra possibile ricavare una regola
in materia che sia di applicazione generale nell’ordinamento della RPC.
Il fatto che un trattato possa essere invocato con più facilità da organi
statali che da privati, e che ciò possa avvenire finanche in ipotesi non
specificamente contemplate a livello normativo, non può che essere
considerato come un effetto della stretta interazione tra il potere
politico, la magistratura e gli altri organi statali.
(64) Ibid., v. commento di ZHU.
(65) Una simile modalità applicativa presenterebbe alcune analogie con l’applicazione degli accordi OMC nell’ordinamento statunitense: in base alla Section 102,
paragrafi (b)(2)(A) e (c)(1), dell’Uruguay Round Agreement Act del 1994, infatti, gli
accordi OMC, benché non self-executing e non invocabili da privati, sono tuttavia
invocabili da parte degli organi federali per far dichiarare l’invalidità di leggi statali e
per difendere la legittimità delle proprie misure. Si veda sul punto PICONE, LIGUSTRO,
Diritto dell’Organizzazione mondiale del commercio, Padova, 2002, p. 552. Sulla
distinzione tra applicabilità diretta da parte degli organi interni dello Stato ed efficacia
diretta dei trattati, intesa come idoneità a produrre diritti e obblighi in capo ai privati
sul piano interno, v. ibid., p. 544.
444
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
In secondo luogo, il caso Beijing Moon Village c. Municipalità di
Pechino non può essere preso a modello della prassi giudiziale della
RPC perché è ipotizzabile che una simile decisione non potrebbe essere
più resa. L’art. 72, infatti, è stato espunto dal nuovo testo della Legge
sul processo amministrativo. Non si è trattato, peraltro, di un caso
isolato, perché analoga sorte è spettata all’art. 46 della abrogata Legge
sulla tutela dell’ambiente (Huanjing baohu fa), in vigore dal 1989 al 1º
gennaio 2015, il quale prevedeva che « [i]f an international treaty
regarding environmental protection concluded or acceded to by the
People’s Republic of China contains provisions differing from those
contained in the laws of the People’s Republic of China, the provisions
of the international treaty shall apply, unless the provisions are ones on
which the People’s Republic of China has announced reservations » (66).
Queste recenti modifiche legislative segnalano forse un nuovo
indirizzo del legislatore cinese volto alla tendenziale eliminazione delle
disposizioni che (astrattamente) autorizzano l’applicazione di trattati
internazionali diversi da quelli di diritto internazionale privato. La
casistica è però ancora troppo limitata perché si possa parlare di un
nuovo orientamento legislativo. Inoltre, non è nemmeno possibile
affermare con certezza se le modifiche in esame siano state dovute alla
volontà di estendere ulteriormente la discrezionalità del legislatore in
materia di applicazione interna dei trattati o se, piuttosto, possano
avere giocato un ruolo considerazioni del tipo di quelle qui effettuate
intorno alla scarsità — o per meglio dire, alla mancanza — di ipotesi in
cui tali disposizioni potevano spiegare effetti, risultando essere poco
più che delle semplici clausole di stile.
5. Sulla base di quanto detto, sono da respingere i tentativi
compiuti in dottrina di utilizzare le disposizioni appena analizzate per
ricostruire una disciplina generale del rapporto tra diritto internazionale e ordinamento della RPC.
Numerosi autori ritengono infatti che esse costituirebbero una
prova del fatto che i trattati stipulati dalla Cina entrino automaticamente a far parte dell’ordinamento cinese (67); a giustificazione di ciò è
(66) Il nuovo testo della Legge sul processo amministrativo è disponibile in cinese
nel sito http://www.spp.gov.cn/sscx/201502/t20150217_91466.shtml; quello della Legge sulla tutela dell’ambiente nel sito http://zfs.mep.gov.cn/fl/201404/t20140425_
271040.htm.
(67) LI, The Role of Domestic Courts in the Adjudication of International Human
Rights: A Survey of the Practice and Problems in China, in Enforcing International
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
445
stato affermato che l’applicazione interna di un trattato presupporrebbe necessariamente che esso abbia acquisito validità interna (68). In
altri casi, da tali disposizioni viene ricavato il principio che l’applicazione prioritaria dei trattati sarebbe, nell’ordinamento della RPC, la
modalità ordinaria di soluzione dei conflitti tra trattati e leggi interne (69), o che la superiorità dei trattati sul diritto interno costituirebbe un « general principle » (70) o la « prevailing practice » della
RPC (71).
È agevole dimostrare l’infondatezza di queste opinioni. In primo
luogo, appare del tutto arbitrario estrarre principi generali da disposizioni che si occupano di settori giuridici ben definiti. Ogni legge
contenente una simile disposizione delimita anche i confini del suo
ambito applicativo, confermando che si tratta di discipline speciali (72).
A proposito, peraltro, di ambito applicativo, la dottrina qui criticata
trascura del tutto le limitazioni all’applicazione diretta dei trattati
internazionali poste dalla Corte suprema, nonché il fatto che il novero
dei trattati direttamente applicabili si riduca, a ben vedere, a coincidere
quasi totalmente con i trattati di diritto internazionale privato, salvo
sporadiche eccezioni.
Per di più, le conclusioni della dottrina in esame, oltre che
arbitrarie, sono anche incoerenti. Non si comprende, infatti, quale
Human Rights in Domestic Courts (a cura di Conforti e Francioni), The Hague, 1997,
pp. 339-340; LI, Tiaoyuefa Gailun [Introduzione al diritto dei trattati], Pechino, 2003,
p. 316; ZHAO, Guoji tiaoyue zai Zhongguo falü tixi zhong de diwei [La posizione dei
trattati nel sistema giuridico cinese], Faxue Yanjiu [Chinese Journal of Law], 2010, n.
6, p. 192; TANG, Guojifa yu guoneifa de guanxi ji guoji tiaoyue zai Zhongguo guoneifa
zhong de shiyong [Il rapporto tra diritto internazionale e diritto interno e l’applicazione
dei trattati nel diritto interno cinese], Faxue Yanjiu [Chinese Journal of Law], 2003, p.
179; LI, GUO, op. cit., pp. 168-169; ZOU, International Law in the Chinese Domestic
Context, Valparaiso University Law Review, 2010, pp. 938-939; ZHANG, Domestic Effect
of the WTO Agreement in China. Trends and Implications, Journal of World Investment,
2002, pp. 923-924.
(68) LI, The Effect of Treaties, cit., p. 196: « [a]lthough Article 238 [l’attuale art.
260 della Legge di procedura civile] itself cannot be said to grant municipal validity to
a treaty, the authorization for direct application presupposes such validity ». V. anche
ZUO, Zhijie shiyong tiaoyue wenti yanjiu [Studio sulla questione dell’applicazione
diretta dei trattati], Faxue Yanjiu [Chinese Journal of Law], 2008, n. 3, p. 94.
(69) SUN, op. cit.
(70) CAI, China, in The Legal Protection of Foreign Investment. A Comparative
Study (a cura di Shan), Oxford, 2012, p. 253.
(71) ZOU, Chinese Approaches to International Law, in China’s International
Relations in the 21st Century: Dynamics of Paradigm Shifts (a cura di Hu, Chan e Zha),
Lanham, 2000, pp. 180-181.
(72) XUE, JIN, op. cit., p. 305; XUE, HU, FAN, National Treaty Law and Practice:
China, in National Treaty Law and Practice (a cura di Hollis, Blakeslee e Ederington),
Leiden, 2005, p. 164.
446
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
sarebbe la necessità di sancire in singole leggi la superiorità dei trattati
sul diritto statale, così come di consentirne espressamente l’applicazione in giudizio, se si trattasse di principi generali dell’ordinamento
validi per qualsiasi trattato e qualsiasi legge. L’esistenza stessa di questo
genere di disposizioni indica piuttosto che, in loro assenza, un trattato
non potrebbe essere applicato da un giudice cinese (73). Né si potrebbe
in proposito obiettare che il rinvio operato da simili disposizioni
avrebbe valore puramente « narrativo »; sarebbe cioè superfluo, perché
la norma richiamata sarebbe applicabile anche in sua assenza, ma
avrebbe la funzione di indirizzare l’operatore giuridico alla corretta
individuazione della norma applicabile (74). Nella prassi, come detto,
non vi sono casi di applicazione di trattati in assenza di una disposizione di legge che espressamente la autorizzi. Ciò appare come un
argomento di per sé sufficiente per escludere una configurazione
« narrativa » delle disposizioni in esame.
Nonostante quanto detto, le posizioni dottrinali qui criticate, che
ipotizzano che l’ingresso dei trattati nell’ordinamento della RPC sia
generalizzato e automatico, sono state saltuariamente recepite in modo
acritico anche in parte della dottrina occidentale (75). Si è giunti,
talvolta, a prese di posizione quantomeno singolari, come, ad esempio,
che l’ordinamento della RPC seguirebbe l’orientamento « monista » (76): una terminologia il cui utilizzo non può che destare profonda
perplessità, considerando come tale nozione suggerisca l’idea, per nulla
corrispondente alla realtà, di un sistema giuridico estremamente aperto
alla penetrazione del diritto internazionale. Questa idea, peraltro, si è
finora prestata in Cina a un utilizzo strumentale e ideologico, volto a
negare a priori la stessa possibilità che il diritto della RPC possa trovarsi
in contrasto con il diritto internazionale e a propagandare un’immagine
(73) CLARKE, op. cit., p. 101.
(74) Sul concetto di rinvio « narrativo » v. in generale AMOROSO, I rinvii al diritto
internazionale e comunitario nelle recenti codificazioni di settore, Riv. dir. int. priv. proc.,
2008, p. 1029 ss.
(75) Si vedano per es. FRANCK, THIRUVENGADAM, International Law and
Constitution-Making, Chinese Journal of Int. Law, 2003, pp. 487-489; SLOSS, Domestic
Application of Treaties, in The Oxford Guide to Treaties (a cura di Hollis), Oxford,
2012, pp. 373-374; NOLLKAEMPER, op. cit., pp. 73 e 133; RUOTOLO, L’applicazione interna
degli accordi OMC, la prassi occidentale e la peculiarità di alcuni Paesi emergenti, in
L’ascesa delle economie emergenti. Implicazioni economiche e giuridiche (a cura di
Guerrieri, Lorizio e Novi), Milano, 2010, p. 340.
(76) SLOSS, op. cit., p. 373. Affermano che la RPC apparterrebbe agli ordinamenti
« monisti » anche ZHAO, op. cit., p. 191, e PENG, Guoji tiaoyue zai guonei shiyong zhong
de zhidu jianghua ji qi jiejue [L’irrigidimento del sistema di applicazione interna dei
trattati e la sua soluzione], Zhongguo Faxue [China Legal Science], 2014, n. 3, p. 294.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
447
del modo in cui la Cina attua i propri obblighi pattizi caratterizzata da
efficienza e immediatezza.
In conclusione, appare condivisibile l’opinione di chi ritiene che
l’applicazione del diritto internazionale nella RPC non sia improntata
ad alcun automatismo e si realizzi esclusivamente attraverso atti legislativi o regolamentari, emanati o riformati ad hoc (77). Ciò avviene, più
nel dettaglio, o mediante procedimento ordinario (cui la dottrina cinese
solitamente fa riferimento come « trasformazione ») (78) o tramite le
disposizioni, appena analizzate, che autorizzano l’applicazione diretta
di trattati. Poiché il profilo dell’ingresso delle norme internazionali
nell’ordinamento interno non viene affrontato da queste disposizioni
— le quali, come detto, parlano solo di applicazione (79) — si aprono
a riguardo due scenari interpretativi: in particolare, si potrebbe ipotizzare che l’atto legislativo che autorizza l’applicazione determini contestualmente l’ingresso della norma internazionale nell’ordinamento interno, oppure che vi sia applicazione del trattato internazionale senza
previa assunzione di validità interna. Non essendo la questione chiarita
a livello normativo, entrambe le soluzioni appaiono astrattamente
sostenibili. Tuttavia, l’eccezionalità delle ipotesi di applicazione diretta
e l’assenza di ulteriori effetti interni delle disposizioni pattizie direttamente applicabili fanno propendere per la seconda ipotesi ricostruttiva:
vale a dire, che l’applicazione diretta delle norme internazionali abbia
luogo senza che esse divengano parte dell’ordinamento cinese. Si
consideri, comunque, che tale questione sembra avere carattere essenzialmente teorico e che una soluzione diversa da quella qui prospettata
non avrebbe alcun impatto sulle ipotesi di applicazione diretta, le quali,
come detto, sono stabilite a livello normativo.
6. Un’analisi della giurisprudenza conferma come dalle disposizioni esaminate in precedenza non possano essere ricavati principi di
ordine generale e che le ipotesi di applicazione diretta di trattati
internazionali conservano carattere settoriale e tendenzialmente eccezionale.
La nozione di conflitto tra trattato e normativa statale è infatti
interpretata restrittivamente: la tendenza, cioè, è nel senso di estendere
(77) XUE, JIN, op. cit., p. 305 ss.
(78) Cfr. SHI, op. cit., p. 140, che riporta anche quanto dichiarato nel 2000
dall’allora segretario del Comitato permanente dell’ANP, Li Peng: « China applies
treaties by transforming treaty rules into domestic laws ».
(79) WAN, SHI, YANG, DENG, Guoji tiaoyue fa [Diritto dei trattati], Wuhan, 1998,
p. 190.
448
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
quanto più possibile il campo applicativo del diritto interno. Con la sua
sentenza nel caso Mentresor c. Ferrero, per esempio, la Corte suprema
ha chiarito come i giudici debbano applicare la normativa statale in
tutti i casi in cui essa e il diritto internazionale pattizio appaiano
riconciliabili (80). Inoltre, un trattato non è solitamente applicato ex
officio da un giudice cinese. La parte, oltre a invocarlo espressamente,
deve avere pure cura di specificare quali siano i profili di incompatibilità tra esso e la disciplina interna altrimenti applicabile (81).
D’altra parte, però, vengono fatti rientrare nelle ipotesi di conflitto
tra trattato e normativa interna, che giustificano l’applicazione diretta
delle norme internazionali, i casi in cui il diritto interno non si occupi
di una questione disciplinata da un trattato, di modo che quest’ultimo
possa acquisire una « gap-filling function » (82). Può essere ricondotta
a questa categoria la menzionata decisione nel caso Beijing Moon
Village c. Municipalità di Pechino.
In termini generali, le modalità di applicazione diretta dei trattati
nella RPC presentano molti punti poco chiari e appaiono largamente
criticabili. In primo luogo, consentire l’applicazione dei trattati ai soli
casi con elementi di estraneità conduce inevitabilmente a esiti discriminatori nei confronti dei cittadini cinesi (83); ma non è tutto. Condizionare l’applicazione di un trattato all’accertamento di un contrasto
con la normativa interna significa presupporre, da parte del giudice,
un’attività interpretativa della norma internazionale così come di quella
statale. È assai dubbio, tuttavia, che una simile attività interpretativa
possa essere compiuta in autonomia da un giudice cinese, almeno
ragionando a stretto rigore di diritto (84). Quanto all’interpretazione del
diritto statale, infatti, l’art. 42 della Legge sulla legislazione riserva la
competenza in materia al Comitato permanente dell’ANP, cioè allo
stesso organo legislativo, mentre l’art. 32 della Legge organica sui
tribunali del popolo (Renmin fayuan zuzhi fa) assegna alla Corte suprema il potere di rendere interpretazioni su questioni specifiche
riguardanti l’applicazione del diritto. In principio, dunque, nel sistema
(80) Sentenza della Corte suprema del popolo del 24 marzo 2008, Mentresor
(Zhangjiagang) Food Co. Ltd. v. Italian Ferrero s.p.a. and Zhengyuan Marketing Co. Ltd.,
disponibile nel sito http://opil.ouplaw.com, ILDC 1493 (CN 2008), con commento di
ZHU.
(81) HUANG, Direct Application of International Commercial Law in Chinese
Courts: Intellectual Property, Trade, and International Transportation, Manchester
Journal of Int. Economic Law, 2008, p. 120.
(82) Ibid., p. 113.
(83) SHI, op. cit., p. 155.
(84) LI, GUO, op. cit., p. 178. Cfr. anche ZHANG, Chinese Contract Law: Theory
and Practice, Leiden, 2006, p. 341.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
449
cinese anche il potere interpretativo della Corte suprema ha un ruolo
subordinato rispetto a quello del legislativo, tanto che l’art. 43 della
Legge sulla legislazione prevede che essa possa richiedere interpretazioni al Comitato permanente. Se si è sviluppata una prassi diversa,
nella quale le c.d. interpretazioni giudiziarie della Corte hanno acquistato un’importanza primaria nel sistema giuridico della RPC, è essenzialmente per ragioni pratiche (85). Questi atti, peraltro, ricoprono una
funzione insieme normativa e interpretativa.
Anche la possibilità di interpretare i trattati va incontro, per i
giudici cinesi, a forti limitazioni. Il potere di interpretare un trattato
spetterebbe, in principio, all’organo statale che lo ha concluso (86). Non
a caso, è previsto che, qualora il contenuto di un trattato risulti
ambiguo, un giudice possa richiedere, tramite la Corte suprema, un
chiarimento al Ministero degli esteri (87).
Questi problemi di ordine teorico vengono nella prassi risolti
attraverso i costanti interventi (formalmente) interpretativi della Corte
suprema e degli organi dell’amministrazione, che istruiscono i giudici
di livello inferiore sui casi e le modalità di applicazione di un trattato;
ciò che di fatto solleva un giudice dalla necessità di rilevare un conflitto
tra norma interna e norma internazionale. Quel che preme sottolineare,
tuttavia, è che in Cina le modalità di determinazione dell’esistenza di un
simile conflitto possono risultare differenti da quanto avverrebbe in
altri sistemi giuridici, perché, nei fatti, questa determinazione non è
affidata ai singoli giudici, ma è, al contrario, centralizzata. È evidente
che un siffatto meccanismo lascia un’amplissima discrezionalità alle
autorità cinesi rispetto alla individuazione di un’antinomia e, conseguentemente, all’applicazione di un trattato.
Un’altra critica — seppur minoris generis — che può essere
sollevata è che, nel consentire l’applicazione di un trattato solo in caso
di antinomia, le disposizioni in parola sono con tutta evidenza ispirate
all’idea che, se il contenuto della normativa interna è sostanzialmente
identico a quello del trattato, sarebbe indifferente applicare l’uno o
l’altro. Ciò non è però scontato, laddove si consideri, ad esempio, che
a trattati e leggi interne possono applicarsi diversi criteri interpreta(85) DICKS, The Law-Making Functions of the Chinese Judiciary: Filling Holes in
the Civil Law, in Comparative Law in Global Perspective: Essays in Celebration of the
Fiftieth Anniversary of the Founding of the SOAS Law Department (a cura di Edge),
Ardsley, 2000, p. 243.
(86) SHI, op. cit., p. 150.
(87) XUE, JIN, op. cit., p. 317.
450
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
tivi (88). Inoltre, non viene chiarito se, in caso di conflitto, il trattato
debba o meno essere applicato nei soli limiti in cui contrasti con il
diritto statale; ciò può dar luogo a notevoli incertezze applicative,
conducendo a una possibile frammentazione della disciplina applicabile e a un’applicazione di singole norme del tutto avulsa dal relativo
contesto normativo (89).
In conclusione, l’approccio basato sull’esistenza di un conflitto
normativo come presupposto dell’applicazione diretta di un trattato
sembra possedere molti più difetti che pregi, e appare costruito con
l’intenzione di ridurre al massimo le ipotesi di applicazione del diritto
internazionale. Per le ragioni esposte, è certamente auspicabile un
abbandono di tale sistema in favore di soluzioni che garantiscano una
maggiore certezza del diritto. Allo stato, tuttavia, bisogna notare come,
anche nell’unico ambito in cui l’applicazione del diritto internazionale
in Cina è regolata da norme giuridiche, la discrezionalità delle autorità
cinesi in materia risulti, nei fatti, per niente compressa.
Relativamente alla prassi giurisprudenziale, un’ultima notazione è
necessaria con riguardo alla possibilità che alcuni trattati internazionali
trovino applicazione indiretta operando come parametro di interpretazione conforme della normativa interna. È interessante notare che il
principio di interpretazione conforme ha ricevuto una formulazione
espressa nella già menzionata « interpretazione giudiziaria » del 2002
che ha escluso l’applicabilità diretta degli accordi OMC (90). L’art. 9,
infatti, prevede uno specifico obbligo in capo al giudice di interpretare
la normativa interna applicabile in conformità con le disposizioni di un
trattato, laddove essa sia suscettibile di più interpretazioni e almeno
una di esse sia in contrasto con il trattato.
Tale articolo, benché riferito alle sole cause amministrative riguardanti il commercio internazionale, presenta indubbia rilevanza sistematica e lascia aperta la possibilità che accordi non direttamente
applicabili (quali sono gli accordi OMC) trovino quantomeno applicazione indiretta nei tribunali cinesi (91). Il principio di interpretazione
conforme è stato peraltro oggetto di attenzione crescente nella dottrina
cinese (92). Pur con la necessaria cautela, dovuta alla difficoltà di
(88) ZUO, op. cit., pp. 94-95.
(89) LI, GUO, op. cit., p. 178.
(90) Provisions of the Supreme People’s Court on Several Issues Concerning the
Hearing of International Trade Administrative Cases, cit.
(91) ZHANG, Direct Effect of the WTO Agreement: National Survey, International
Trade Law & Regulation, 2003, n. 9, p. 35 ss.
(92) Si veda per es. KONG, Tongyi jieshi yuanze yu WTO falü de sifa shiyong [Il
principio di interpretazione conforme e l’applicazione giudiziale del diritto OMC],
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
451
reperimento della giurisprudenza interna, sembrerebbe però che le
applicazioni finora ricevute da tale principio siano limitate a trattati che
sarebbero comunque suscettibili di applicazione diretta (93). L’applicazione del principio in esame riveste comunque un sicuro interesse per
possibili analisi future della prassi della RPC.
7. Nel corso di questo lavoro si è in primo luogo evidenziato
come il testo costituzionale manchi di qualsiasi indicazione sulle modalità di adattamento dell’ordinamento della RPC al diritto internazionale e si sono criticati i tentativi, compiuti in dottrina, di utilizzare le
disposizioni costituzionali disciplinanti il procedimento di conclusione
degli accordi internazionali per affermare l’ingresso automatico di tali
fonti nell’ordinamento interno cinese. Si sono poi esaminate le fonti di
grado inferiore alla Costituzione, riscontrando anche in esse la mancanza di una disciplina generale relativa all’applicazione interna del
diritto internazionale; esse si limitano infatti a consentire l’applicazione
solo di determinate tipologie di trattati internazionali, principalmente i
trattati di diritto internazionale privato. In conseguenza, si è dimostrato
come anche dalle indicazioni fornite da queste fonti sia impossibile
ricavare, come hanno fatto alcuni autori, che i trattati costituiscano
fonti dell’ordinamento interno cinese. Si è quindi arrivati alla conclusione che l’applicazione del diritto internazionale nell’ordinamento
della RPC sia possibile solo mediante un’attività legislativa ad hoc.
L’importanza attribuita all’esigenza di tutela della sovranità e la fitta
rete di cautele posta intorno all’applicazione interna del diritto internazionale sono emerse come le principali caratteristiche della prassi
cinese nella materia in esame.
L’assenza di regole giuridiche di portata generale in materia di
adattamento lascia una discrezionalità pressoché assoluta al legislatore
e al Governo (94), mentre la magistratura è completamente estromessa
dal controllo di conformità della normativa interna con il diritto
Fazhi Ribao [Legal System Daily], 14 ottobre 2001, p. 3. Al tempo della pubblicazione,
l’a. era giudice presso la sezione amministrativa della Corte suprema. V. anche HUANG,
op. cit., p. 121 ss.; ZOU, International Law in the Chinese Domestic Context, cit., pp.
941-942; LI, The Effect of Treaties, cit., pp. 216-217.
(93) HUANG, op. cit., p. 123. Gli esempi riportati dall’a. (relativi, peraltro, a cause
civili e non a casi amministrativi) contengono richiami, a fini interpretativi, alla
Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale e alla Convenzione
di Bruxelles per l’unificazione di alcune regole in materia di collisione tra navi.
(94) Si veda ibid., p. 108: « [...] an ambiguous hierarchy between treaties and
domestic laws is deliberate. [...] such an ambiguity creates flexibility and leaves
discretions for legislators and courts to decide how to implement treaties in China
[...] ».
452
L’ADATTAMENTO AL DIRITTO INTERNAZIONALE
internazionale. Ciò costituisce un aspetto problematico della prassi
cinese. Una simile discrezionalità, infatti, può certamente condizionare
il corretto adattamento del diritto cinese al diritto internazionale,
soprattutto in campi politicamente sensibili come quello dei diritti
umani (95).
Parte della dottrina cinese auspica che la posizione dei trattati
nell’ordinamento della RPC venga chiarita in Costituzione, o quantomeno che indicazioni in materia siano inserite in leggi dal contenuto
generale come la Legge sulla legislazione o la Legge sulla procedura di
conclusione dei trattati (96). Ciò è sicuramente da condividere, ma
potrebbe non essere sufficiente. Se pure la Costituzione stabilisse, ad
esempio, che i trattati che vincolano la Cina diventino automaticamente
parte dell’ordinamento interno (più difficile, per i motivi sopra esposti,
che ciò avvenga per il diritto internazionale generale), le possibilità di
una loro applicazione giudiziale resterebbero comunque molto incerte
in assenza di ulteriori interventi legislativi, regolamentari o della Corte
suprema che espressamente autorizzassero l’applicazione diretta del
diritto internazionale. La stessa Costituzione, del resto, è considerata
non applicabile in giudizio (97).
Muovendosi nel solco della dottrina che ha sottolineato la centralità del ruolo dei giudici interni nell’applicazione del diritto internazionale (98), si può ritenere che una modifica nella configurazione dei
rapporti tra ordinamento cinese e diritto internazionale, nel senso di
una reale apertura del primo nei confronti del secondo, potrebbe essere
raggiunta con una diminuzione degli spazi di discrezionalità di cui
godono legislativo ed esecutivo e con un parallelo maggior coinvolgimento della magistratura, sia nell’applicazione giudiziale del diritto
internazionale, sia nel controllo della conformità del diritto interno con
gli obblighi pattizi assunti dalla Cina. È tuttavia evidente che, affinché
ciò si realizzi, sarebbe necessario un profondo mutamento culturale che
riguardi non solo l’atteggiamento verso il diritto internazionale, ma
anche questioni prettamente interne come la preparazione tecnica dei
(95) Riguardo all’adattamento del diritto della RPC ai trattati sui diritti umani,
per una breve rassegna di alcuni seri « gaps in implementation » v. per es. ZOU,
International Law in the Chinese Domestic Context, cit., p. 944 ss.
(96) PENG, op. cit., p. 294 ss.; SHAO, op. cit., p. 210; GUO, op. cit., pp. 163-164;
ZUO, op. cit., p. 95; TANG, op. cit., p. 179; WANG, Minque guoji tiaoyue zai woguo
guoneifa shang de weijie [Chiarire il rango dei trattati nel nostro ordinamento],
Guangming Ribao [Guangming Daily], 22 luglio 2012, disponibile nel sito
http://epaper.gmw.cn; ZHAO, op. cit., p. 193.
(97) AHL, Exploring Ways, cit., p. 379; LI, GUO, op. cit., pp. 161-162.
(98) CONFORTI, Diritto internazionale10, Napoli, 2012, p. 8 ss.; NOLLKAEMPER, op.
cit., pp. 6 ss. e 25-26.
NELL’ORDINAMENTO GIURIDICO CINESE
453
giudici, l’indipendenza della magistratura, il « centralismo democratico » (minzhu jizhongzhi) (99) e, in definitiva, l’estensione del controllo
esercitato dal Partito comunista cinese sugli organi dello Stato.
Ci muoviamo però nel campo dei meri auspici. Nel 2014, nel corso
delle discussioni intorno ad alcuni emendamenti alla Legge sulla
legislazione, alcuni deputati dell’ANP hanno proposto di inserire nella
legge un chiarimento sullo status dei trattati nell’ordinamento della
RPC, ma la proposta ha incontrato l’opposizione di quanti ritenevano
che in tal modo il sistema giuridico avrebbe perso flessibilità. Il nuovo
testo della Legge sulla legislazione, approvato nel marzo del 2015, resta
in silenzio sul tema (100).
PIERFRANCESCO ROSSI
Abstract. — This article analyses the application of international law in the legal
system of the People’s Republic of China. It is a widespread opinion among Chinese
commentators that international treaties would automatically become part of domestic
law by the time of ratification (or signature, in the case of executive agreements).
However, this view is contrary to both the letter and the ideological framework of the
Constitution — which is silent over the status of international law in the domestic legal
order — and finds no confirmation in the practice of State organs.
An analysis of legislation and domestic judicial practice shows that the application
of international law is grounded on ad hoc legislation. Sub-constitutional sources do not
deal with the issue of the domestic application of international law in general terms and
only provide for the direct judicial application of some international treaties, mostly
concerning private international law matters. Because of their special character and of
the limits surrounding the direct application, these provisions do not mirror a general
principle of Chinese law. As a confirmation, the direct application of entire categories
of treaties, such as human rights treaties, has been expressly barred by the Supreme
People’s Court.
In conclusion, this study argues that, as a general rule, international law cannot be
deemed to be part of the Chinese legal system. This reflects the importance attached by
China to the protection of its sovereignty.
(99) V. art. 3 Cost.
(100) CAI, International Law, cit., p. 8. Il nuovo testo della Legge sulla legislazione
è disponibile in cinese nel sito http://www.gov.cn/zhengce/2015-03/18/content_
2834713.htm.