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L'unico elemento reale. Il cinema sotto la pelle

L’unico elemento reale Il cinema sotto la pelle Di: Lorenzo Tomassini tomassini.lorenzo@gmail.com 1 2 Indice Introduzione pag. 4 1 Merleau-Ponty e la nuova ontologia pag. 8 2 Neuroscienze e cinema. La simulazione incarnata pag. 21 3 La simulazione incarnata e la MDP pag. 37 4 Il post cinema pag. 60 Conclusioni pag. 65 Bibliografia pag. 68 Filmografia pag. 70 3 Introduzione La ricerca deve le sue origini ad un film, Mulholland Drive di David Lynch, in particolare alla scena del Club Silencio. Quando vidi il film per la prima volta, la sequenza mi lasciò interdetto per la sua profonda ambiguità. Qualche tempo dopo mi capitò durante la preparazione di un esame, di leggere un libro di Paolo Bertetto, Lo specchio e il simulacro. Nel libro vi era un capitolo interamente dedicato alla sequenza di Mulholland Drive. Dopo una veloce descrizione della scena Bertetto dimostra come la sequenza e in particolare l’intervento del presentatore attivi nel film una chiara espressione del rapporto tra spettacolo e spettatore. Il canto della donna in playback si rivela un’illusione, la lacrima è disegnata sul suo volto, è finta. Vere sono invece le lacrime delle due spettatrici Betty e Rita, le loro emozioni. La sequenza mette in luce, tramite un’evocazione metaforica in chiave meta-cinematografica, il dispositivo nel rapporto con lo spettatore, interrogandosi sulla realtà dell’immagine. Il progetto di tesi ha proprio questa come domanda: Qual è l’unica realtà dell’immagine? La risposta fornitaci da Bertetto al riguardo è, la forza che l’immagine esercita sullo spettatore. Basandosi su questa affermazione, la ricerca di tesi vuole interrogare quel processo che ordina i dati sensoriali che l’individuo riceve dall’esterno, la percezione. 4 Il progetto problematizza il rapporto tra l’individuo e l’immagine, di finzione e non, riportando al centro del dibattito come nucleo di investigazione il corpo. Il corpo verrà interrogato nel corso della ricerca da più discipline come neuroscienze. la Il filosofia, dialogo l’estetica tra teso questi apparentemente lontani, è a neuroscienze possano contribuire e le settori, dimostrare come fattivamente le ad affrontare temi a lungo dibattuti in ambito filosofico ed estetico, circa le emozioni provocate dalle immagini di finzione come quelle cinematografiche. Il cinema all’interno della ricerca, è contemporaneamente un punto di partenza e di arrivo. È un punto di partenza, perché è per le neuroscienze la forma d’arte che più riproduce condizioni simili alla realtà quotidianamente vissuta. Questo dà la possibilità di simulare grazie alle diverse tecniche come il stilistiche modo di l’atto guardare della visione, influenzi il dimostrando contenuto della visione che l’osservatore trae dall’esperienza reale. Ed è invece un punto di arrivo, perché lo studio neuroscientifico delle tecniche cinematografiche fornisce dati considerevoli provocano sullo sull’effetto che i differenti spettatore, restituendoci stili risposte importanti nel campo dell’estetica. Interrogando rapporto con il processo la realtà nell’interazione con neuroscientifica ha i percettivo dell’uomo quotidianamente mondi dimostrato di finzione, che la sia vissuta la nel che ricerca differenza tra questi due mondi è solo dimensionale, non categoriale. Il settore in cui si inserisce la ricerca viene definito Estetica sperimentale ovvero quella branca dell’estetica 5 che compie studi nel campo dell’arte analizzandola da un punto di vista psicofisico. La ricerca introduce il tema della percezione riacquisendo le dimostrazioni filosofiche di un fenomenologo francese, Merleau Ponty. Il primo capitolo è interamente dedicato al contributo del filosofo riguardo il rapporto tra conoscenza e percezione in relazione al ruolo del corpo. Nell’elaborazione della sua fenomenologia della percezione Merleau Ponty intende rifondare il paradigma fino ad allora impiegato dalla filosofia, basato sulla scissione tra percepito e percipiente, interrogando il processo percettivo e dimostrando l’inscindibilità del soggetto e dell’oggetto per creare una nuova ontologia che riabiliti il sensibile. L’interrogazione filosofica si conclude con un ripensamento radicale del corpo come suolo della coscienza congiunto tramite un’unione percettiva intercorporea al corpo del mondo. La riabilitazione filosofica del corpo ha fornito le basi per un dialogo tra scienze cognitive e fenomenologia della percezione. L’ introduzione del concetto di intercorporeità nella filosofia di Merleau Ponty ha dato i supporti necessari per lo sviluppo di alcuni esperimenti condotti dalle neuroscienze agli inizi degli anni novanta. Il secondo capitolo riprende determinate scoperte portate a termine dalle neuroscienze, come ad esempio quelle dei neuroni canonici o dei neuroni specchio per approfondire l’argomento centrale della tesi, la simulazione incarnata. I neuroscienziati hanno dimostrato come tramite un meccanismo di rispecchiamento, messo in atto dai neuroni specchio e modulato dal grado di empatia, vi sia una 6 costruzione del senso del sé e della comprensione dell’altro guidato da un meccanismo di simulazione motoria su base biologica espresso da alcuni circuiti celebrali destinati alla coordinazione del sistema motorio. Sono stati alcuni rilevamenti effettuati tramite innovative tecniche di indagine a dimostrare come i neuroni destinati alla coordinazione degli atti motori si attivino se l’azione viene eseguita, osservata, udita o immaginata. Nel terzo capitolo la simulazione incarnata verrà accostata alla percezione cinematografica. I neuroscienziati hanno dimostrato come il “ riuso” di determinati circuiti celebrali sia estendibile anche alla visione di immagini di finzione e di azioni prodotte da attori. In particolare mi soffermerò sulle varie tecniche di ripresa cinematografica utilizzate nei film per creare un maggiore coinvolgimento motorio nello spettatore. Le posizioni delle neuroscienze e la fenomenologia convergeranno al fine di capire come la nostra corporeità riesca a comprendere le diverse tecniche stilistiche. Alcuni esperimenti eseguiti su spettatori dimostreranno come una comprensione intercorporea e pre-riflessiva invalidi una percezione cinematografica basata invece su una rappresentazione linguistica messa in atto dalla mente durante la visione. Il quarto ed ultimo capitolo si concentrerà su quella che è stata la diffusione del cinema nell’era dei nuovi media. L’aspetto percettivo sarà interrogato alla luce delle nuove forme di spettatore modulate sui cambiamenti radicali che il cinema ha subito nel corso degli ultimi vent’anni. 7 Merleau Ponty e la nuova ontologia Che cos’è la fenomenologia? È una filosofia trascendentale che pone fra parentesi, per comprenderle, le affermazioni dell’atteggiamento naturale, ma è anche una filosofia per la quale il mondo è sempre “già là” prima della riflessione, come una presenza inalienabile, una filosofia tutta tesa a ritrovare quel contatto ingenuo con il mondo per dargli infine uno statuto filosofico. 1 Prima di esporre il contributo teorico che la filosofia della percezione di Merleau Ponty ha fornito al problema del rapporto tra conoscenza e percezione, bisognerebbe spendere qualche parola preliminare sulle differenze che caratterizzano razionalismo ed empirismo in riferimento al ruolo gnoseologico da attribuire alla percezione. Fu infatti in seguito alla rottura del paradigma realista ed oggettivista tipico della filosofia antica, per cui l’uomo può conoscere la realtà mediante la percezione come qualcosa che gli rimane esterno ed autonomo, che ci si rese conto del carattere soggettivo-mentale della conoscenza del mondo offerta dalla percezione. Per questo motivo la domanda su cui si è concentrata la filosofia moderna non è più stata: Cosa posso conoscere conformandomi dall’interno a una realtà obbligatoriamente oggettiva? Ma: Come posso, a partire dai miei atti mentali, conoscere la realtà? Questo è stato il problema fondamentale della filosofia moderna che coinvolse tanto Cartesio, quanto Locke e Hume. Nonostante entrambe le correnti filosofiche, razionalismo ed empirismo, confermino antica che il presupposto pone inevitabilmente il della soggetto filosofia conoscitivo come ricettivo e passivo, rispetto ad una realtà esterna attiva con effetti inevitabili sugli organi di senso, la 1 M. Merleau Ponty, Fenomenologia della percezione, Milano, Bompiani, 2003. p. 13-14. 8 questione fondamentale della filosofia moderna è proprio l’ambiguità della percezione stessa messa in luce dalla dicotomia tra razionalismo ed empirismo. Il razionalismo iniziato da Cartesio ha posto l’accento sul carattere ambiguo della dimostrando come essa rivelare vero contenuto il tenda percezione ad della sensibile, occultare realtà, più che elevando a così come unica forma di conoscenza oggettiva, la ragione. Per il razionalismo abbandonare univoco la Cartesiano realtà guidato esterna dalla non in si nome prospettiva di tratta un di approccio intellettualista, mentale e razionale ma di codificare la realtà a partire da principi a priori e innati che rivelino quella verità incontrovertibile derivati dal omessa divenire dalla falsità inarrestabile e dagli della errori percezione sensibile. Posizione che si ricollega alla tradizione Platonica, in cui solo il pensiero astratto è in grado di cogliere la realtà effettiva dotandola di un significato universale. Rispetto al razionalismo la corrente filosofica definita empirismo, si è approcciata alla conoscenza sensibile con fiducia, affidandole il compito di disvelatrice della realtà. L’empirismo, razionalismo rifiuta che dall’esperienza, per di accettare pone principi interpretare la la metafisica astratti, del sciolti realtà. Questo non significa che l’empirismo sfiducia totalmente il momento intellettuale ma lo ritiene secondario. Per l’empirismo il processo razionale è inevitabilmente il frutto dell’esperienza sensibile, quella conoscenza che lega l’uomo al mondo. La conoscenza non può che venire dall’esperienza, ci sono le sensazioni all’origine dei processi mentali dell’uomo, 9 ed è proprio grazie alle sensazioni che il soggetto inizia il processo di elaborazione delle idee ad opera dell’intelletto. È proprio questa la differenza tra le due correnti della filosofia moderna, la sensazione è l’opposto di qualsiasi idea astratta, perché è pensata per essere un contenuto qualitativo unico non universalizzabile. Nello sviluppo della filosofia della percezione, MerleauPonty si oppone al paradigma fin correnti filosofiche sopra ora impiegato dalle due descritte, scardinando quel presupposto dato per scontato per cui il percepito ed il percipiente sono considerate due cose distinte, andando ad interrogare il processo stesso, la percezione, esplorato sia dal razionalismo che dall’empirismo solo ed esclusivamente tramite i filtri dei suoi poli opposti, il vissuto mentale e la realtà esterna, o meglio il punto di vista del soggetto e dell’oggetto. Per chiarire tornerò meglio ampiamente la posizione all’interno del del filosofo, capitolo, mi su cui sembra rilevante proporre un estratto dall’introduzione di Senso e non senso scritta da Enzo Paci: Una posizione come la precedente non è per Merleau-Ponty né realistica ne idealistica. Egli pensa che l’idealismo e il realismo siano delle astrazioni. Tutta la sua opera è una continua rivendicazione di un “modo d’essere”, come egli dice, che non cade mai ne in una posizione idealistica ne in una posizione realistica. Espresso in un altro modo ciò vuol dire che non si può porre un dualismo assoluto tra il soggetto e l’oggetto: soggetto ed oggetto sono uno nell’altro e non è mai possibile separarli, così come non è possibile separare l’anima dal corpo. Il soggetto non è un osservatore assoluto, distaccato dal mondo; l’oggetto non è una realtà trascendente distaccata dal modo con cui gli uomini lo percepiscono, anche se è vero che gli uomini, proprio attraverso la percezione, si rendono conto che c’è una realtà anche quando l’uomo non percepisce nulla. 10 Ma di ciò, si noti, si rendono conto sempre e soltanto a partire dalla percezione. 2 Le parole chiare di Enzo Paci riguardo quella che è stata una delle riflessioni di Merleau-Ponty sul rapporto tra conoscenza e percezione ci danno la possibilità di mettere in risalto un ulteriore punto prima di esporre nella sua la filosofia della percezione. Come ha espresso intitolata “ Il Antonino primato Firenze ontologico della tesi percezione in Merleau Ponty”. Affinche la filosofia non ricada negli errori del pensiero riflessivo, ovvero considerare il pensiero come coincidenza o come adeguazione all’essere oggettivo, sarà allora necessario che essa si installi in una dimensione in cui gli strumenti della riflessione non si sono ancora imposti, ossia in quella dimensione dell’esperienza in cui sia l’essenza che l’esistenza, sia il soggetto che l’oggetto, sono ancora “mescolati” e non sono tuttavia rigidamente distinti. La filosofia immettersi soggetto deve nel ed separazione il ripensare crocevia, nel mondo, nello riflessiva, il suo luogo “oggetto”, d’incontro spazio immettersi 3 in tra precedente quel deve il alla rapporto che non richiede una “percezione analitica, […] quella dello scienziato che osserva o del filosofo che riflette” ma cercare di avvalersi dell’esperienza di quelle due discipline come l’arte e la letteratura, che prima di lei hanno saputo esprimere quella trasformazione nel rapporto tra 2 uomo e mondo, tra interno ed esterno, mettendo in M. Merleau Ponty, Senso e non senso, Milano, il Saggiatore/Net, 2004. p. 11 3 Antonino Firenze, Il primato ontologico della percezione in Merleau Ponty, Università di Urbino, 2008. p. 35 11 risalto il loro rapporto, esaltandone l’insieme, descrivendone le forme in cui si manifesta. L’essere effettivo, presente, ultimo e primo, la cosa stessa sono per principio colti per trasparenza attraverso le loro prospettive, si offrono quindi solo a qualcuno che vuole non già averli, ma vederli, non tenerli come in una pinza, o immobilizzarli come sotto l’obiettivo di un microscopio, ma lasciarli essere, e assistere al loro essere ininterrotto; a qualcuno che si limita a restituire loro il vuoto, lo spazio libero che essi ridomandano, la risonanza che esigono. Questo passo fondamentale riportato nel libro 4 di Mauro Carbone, Sullo schermo dell’estetica, ci dà la possibilità di inoltrarci nella ricerca sulla percezione di MerleauPonty. Il suo punto di partenza è, come ho premesso, l’abbandono del dualismo cartesiano tra anima e corpo; La necessità, per riabilitare la riflessione filosofica, di abbandonare gli strumenti che le erano stati forniti e che erano stati i mezzi delle due correnti prima citate per affermarsi nuovamente nella piega in cui le “ esperienze non siano ancora state “elaborate”, che ci offrano mescolati, il “soggetto” e “ l’oggetto”, l’esistenza e l’essenza”5. La ricerca realizzare che è fenomenologico Merleau-Ponty quella della di si propone approfondire percezione come appunto uno collegamento di studio tra i due mondi abitualmente disgiunti, quello della coscienza e del mondo naturale, per attuare in pieno un ripensamento della soggettività, con l’intento di creare una nuova ontologia che riabiliti il sensibile. 4 Mauro Carbone, Sullo schermo dell’estetica: la pittura, il cinema e la filosofia da fare, Milano, Mimesis Edizioni, 2008. p. 50 5 M. Merleau Ponty, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 2003, p. 316 12 L’indagine espressa nella sua prima opera, LA STRUTTURA DEL COMPORTAMENTO e più compiutamente nell’opera centrale del filosofo LA FENOMENOLOGIA DELLA PERCEZIONE, vuole adottare un nuovo metodo in grado di cogliere le risorse espressive che si del reale, recuperando offrono all’individuo l’evidenza tramite delle le sue cose vedute prospettiche, in un’ottica precategoriale del rapporto tra soggetto e oggetto, per una comprensione della percezione quale modalità originaria della coscienza, avendo come base l’esperienza stessa. La percezione viene così definita come trascendenza della cosa, che si manifesta tramite la sua apparenza fenomenica. L’interesse del filosofo è di interrogare il senso dell’essere del mondo a partire dalle incongruenze legate all’esperienza percettiva. Secondo Merleau-Ponty tutto questo è possibile attraverso un ripensamento della soggettività incarnata in un corpo vivente, da un punto di vista esistenziale come ETRE AU MONDE ( essere al mondo ), come rapporto concreto tra soggetto incarnato e corporeità del mondo, come continuo coinvolgersi di ambiente e individuo, relazionati tra loro tramite un orizzonte visivo in costante cambiamento. Il rapporto originario, inscindibile, tra corporeità percettiva e corpo del mondo è allora destinato ad essere rappresentato dalla percezione. Il luogo non localizzabile, dove non esiste il prevalere di uno dei due poli sull’altro, un luogo che precede la riflessione e che va considerato nella sua totalità, dove ogni singola parte svolge un ruolo indispensabile, dandosi nella percezione attraverso il corpo, come centro di esperienza vissuta. È proprio tale esperienza, intesa come esperienza percettiva del mondo, che si vuole interrogare. 13 Nascondersi gli occhi per non vedere un pericolo è, si dice, non credere alle cose, credere soltanto al mondo privato. Significa invece credere che ciò che è per noi è assolutamente, che un mondo che noi siamo riusciti a vedere senza pericolo è senza pericolo, e dunque credere nel modo più intenso che la nostra visione va alle cose stesse. Forse questa esperienza ci insegna meglio di qualsiasi altra che c’è la presenza percettiva del mondo: non, ciò che sarebbe impossibile, affermare e negazione della stessa cosa sotto lo stesso rapporto, giudizio positivo e negativo, o, come dicevamo prima, credenza e incredulità; al di qua dell’affermazione e della negazione, al di qua del giudizio – opinioni critiche, operazioni ulteriori, essa è la nostra esperienza, più vecchia di qualsiasi opinione, di abitare il mondo mediante il nostro corpo, la verità con tutti noi stessi, senza che ci sia da scegliere e nemmeno da distinguere tra la certezza di vedere e quella di vedere il vero, poiché essi sono per principio una medesima cosa, - fede, dunque e non sapere, perché il mondo non è mai separato dalla nostra presa su di esso perché più che affermato, esso è assunto dissimulato, non confutato. La presenza Merleau-Ponty come “ e, più che svelato, non è 6 percettiva come ovvio del Fede mondo viene percettiva”, definita momento da genetico che precede ogni giudizio ed opinione. Definita appunto fede e non sapere sul mondo, proprio perché per il filosofo francese c’è sempre un latente, una dimensione opaca, nella presenza c’è sempre un’assenza, un invisibile nel visibile. […] secondo l’ontologia sensibile disegnata il Le visible et l’invisible, quando il soggetto corporeo sensiente entra in contatto con il mondo sensibile mediate la percezione, sperimenta sempre la percezione di qualcosa, di un visibile, ma simultaneamente sente a relativa “impercezione ” del campo o orizzonte, di quell’invisibile che ogni percezione implica ma non esplicita. 6 7 Ivi p. 105-106 7 Antonino Firenze, Il primato ontologico della percezione in Merleau Ponty, Università di Urbino, 2008. p. 27 14 Il soggetto senziente interrogato nell’esperienza percettiva, percepisce il fenomeno dalla sua prospettiva che svela e allo stesso tempo nasconde un insieme non totalizzabile di profili parziali, in cui ogni percezione risulta in continuo mutamento, in un reale troppo fragile per essere definito una volta per tutte. La perdita, da parte della percezione, dello statuto di falsità o veridicità, dà la possibilità di affermare l’assoluta co-appartenenza che ogni percezione ha con il mondo, rendendo ogni percezione vera. Il reale rapporto viene con il così riscoperto senziente, solo solido nella solo nel suo congiunzione tra senziente e sensibile. Se si vogliono delle metafore, sarebbe meglio dire che il corpo sentito e il corpo senziente sono come il diritto e il rovescio o, anche, come due segmenti di un unico percorso circolare che, in alto, va da sinistra a destra e, in basso, da destra a sinistra, ma che è un unico movimento nelle sue due fasi. Orbene, tutto ciò che si dice del corpo sentito si ripercuote sull’intero sensibile di cui esso fa parte e sul mondo. Se è un unico corpo nelle sue due fasi, il corpo si annette il sensibile intero, e con lo stesso movimento annette se stesso a un “Sensibile in sé. Tale congiunzione termine Chiasma. filosofo francese è Con un 8 definita questo da Merleau-Ponty termine ripensamento vi è radicale da con parte del il del dualismo tra soggetto ed oggetto, che si evolverà nello sviluppo di una nuova ontologia, descritta solo in parte nella sua opera incompiuta e pubblicata solo postuma, causa l’improvviso decesso, Il visibile e l’invisibile. 8 M. Merleau Ponty, Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 2003. p. 332 15 Alla base della nuova ontologia, vi è un ripensamento del corpo proprio del soggetto. Il corpo viene inteso come un corpo che risulta essere simultaneamente un soggetto ed oggetto. Il filosofo non intende più interrogare il rapporto tra l’individuo e mondo a partire dal soggetto che percepisce qualcosa di percepito ma il luogo d’incrocio, tra queste due entità, in cui si manifesta quella che Merleau-Ponty definirà una Co-appartenenza originaria tra sensibile e senziente. Il corpo del soggetto sarà così interrogato come il luogo di una continua transizione e trascendenza, come nucleo, che percepisce in modo originario l’incessante trascendere della corporeità del mondo, su quel suolo dove non avviene la distinzione tra soggetto ed oggetto, un suolo comune ad entrambi, definito Carne del mondo e non pensabile da una soggettività distaccata ma pensato a partire da quella generalità che ne costituisce il tessuto ontologico. Il Chiasma rinvio appare di continua una tra così come generalità soggetto e incrocio, corporea oggetto, il di in vicendevole un’esperienza cui non si può l’impossibilità di determinare chi percepisce e chi è percepito. Una congiunzione che esplicita distinguere tra interiorità ed esteriorità, tra vedere ed essere visti, tra visibile ed invisibile, tra toccante e toccato. All’interno della sua ontologia Merleau-Ponty interroga oltre al rapporto tra pensiero e linguaggio ,in relazione al metodo rapporto espressivo che vige della tra filosofia, vedente e anche visibile lo stretto definito in maniera esemplare dal filosofo stesso “come se fra noi e 16 il visibile ci fosse una relazione altrettanto stretta che 9 quella fra il mare e la spiaggia.” Secondo Merleau-Ponty, all’interno del Chiasma, il legame tra vedente e visibile si manifesta in un continuo rimando tra l’uno e l’altro, in uno scambio di ruoli. Lo statuto di visibilità destinata al visibile risulta estendibile anche al vedente, facendo anch’esso parte di quell’orizzonte visibile, si cala all’interno del mondo delle cose come cosa stessa, come imparentato carnalmente ad esso. Proprio da questa ontologica tra comunione, vedente e da questa visibile, reversibilità Merleau-Ponty fa emergere il paradosso dell’Essere che la sua ricerca vuole dimostrare. Interrogando la centralità del rapporto tra il vedente e il visibile, ne emerge che l’Essere del visibile non è, se non “ fuori di se stesso” e il soggetto può accedere ad esso riconoscendosi tramite l’esperienza della visione. Insito in questo paradosso Chiasmatico, che il filosofo specifica come paradosso dell’Essere, si dimostra come la percezione di un soggetto del mondo che lo circonda, essendo lui stesso una “cosa tra le cose”, non avviene se non attraverso percepire e una l’essere reciproca indistinzione percepiti, tra vedere tra ed il essere visti. Per spiegare meglio il principio di reversibilità da cui emerge il paradosso dell’essere, penso sia utile citare un passo 9 del Visibile e Invisibile in cui Merleau Ponty Ivi p. 317 17 riprende un noto esempio di Husserl il padre della fenomenologia, l’esempio della mano toccata-toccante: […]e infine un autentico tatto del tatto, quando la mia mano destra tocca la mia mano sinistra intenta a palpare le cose, in virtù del quale il “soggetto toccante” passa alla condizione di toccato, discende nelle cose, cosicché il tatto si effettua dal cuore del mondo e come in esse. Fra il sentimento massiccio che io ho del sacco in cui sono chiuso, e il controllo dall’esterno che la mia mano esercita sulla mia mano, c’è altrettanta differenza che fra i movimenti dei miei occhi e i mutamenti che essi producono nel visibile. E poiché, reciprocamente, ogni esperienza del visibile mi è sempre stata data nel contesto dei movimenti dello sguardo, lo spettacolo visibile appartiene al tatto né più né meno delle “qualità tattili”. Dobbiamo abituarci a pensare che ogni visibile è ricavato dal tangibile, ogni essere tattile è promesso in un certo qual modo alla visibilità; e che c’è sopravanzamento, sconfinamento, non solo fra il toccato e il toccante, ma anche fra il tangibile e il visibile che è incrostato in esso, così come, reciprocamente, il tangibile stesso non 10 è un nulla di visibilità, non è privo di esistenza visiva. Riprendendo l’esempio di Husserl, il filosofo francese esplicita il rapporto di reversibilità del visibile e del tangibile in relazione all’essere percettivo non scisso tra senziente e sensibile ma come un continuo scambio tra il soggetto e l’oggetto, come la mano che tocca ( destra ) e allo stesso tempo viene toccata ( sinistra ) perché appartiene allo stesso corpo. Merleau-Ponty ci mostra questa indistinzione percettiva, quella tra i due sensi solo apparentemente separati, come appartenente preliminare, ad un un essere essere intercorporeo, affidato ad ad una un essere percezione generalizzata in cui il corpo ed il mondo condividono un luogo comune, una stessa sostanza, definita la Carne. 10 Ivi p. 323-324 18 È proprio nell’intreccio, quello che Merleau-Ponty ha definito Chiasma o luogo di transito tra soggetto e mondo che vi è un’implicazione di entrambi, una co-appartenenza alla stessa materia. L’intreccio è comprensibile se si capisce cosa il filosofo intende con il termine Carne. La carne non è materia, non è spirito, non è sostanza. Per designarla occorrerebbe il vecchio termine “elemento”, nel senso in cui lo si impiegava per parlare dell’acqua, dell’aria, della terra e del fuoco, cioè nel senso di una cosa generale, a mezza strada fra l’individuo spazio-temporale e l’idea, specie di principio incarnato che introduce uno stile d’essere in qualsiasi luogo se ne trovi una particella. In questo senso la carne è un “elemento” dell’Essere. 11 Nella Carne sua essere ricerca la nozione l’intreccio, il invisibile, ed definisce, rimasta come fondamentale rapporto è con cosa incompiuta, per inscindibile il termine generale, la risulta comprendere tra visibile “elemento” “a mezza che ed la tra strada” l’individuo e l’idea. È strano che il filosofo utilizzi un termine tipico della sfera animale per dell’essere, in identificata anche identificare questa come sua invece ricerca Carne del il la mondo, fondamento carne viene ovvero come elemento incarnato che da la possibilità di intrecciare il corpo del mondo e il corpo del soggetto in un luogo già definito dal filosofo con il termine Chiasma. In questo luogo, nel “tra”, la Carne funge da spessore, da elemento co-appartenente, offre la possibilità di far compenetrare la carne del soggetto in quella del mondo, mostrando 11 l’essere sensibile grezzo da cui entrambi Ivi p. 335-336 19 provengono, quello spessore definito “elementare” che rivela la loro derivazione originaria, l’essere sensibile del mondo. Così, dove non avviene la separazione metafisica tra soggetto e oggetto, la soggettività viene spodestata della sua capacità di interiorità impossessarsi derivante del mondo dall’intelletto come per una essere riabilitata in una visione di interrogazione continua, in quanto sede della reversibilità di cui fa originariamente parte. Riprendendo il discorso d’inizio capitolo è chiaro come nella filosofia esistenzialista Merleau-Pontiana, vi è una ricerca basata sulla volontà da parte della filosofia di superare quell’impasse dualistico, tipico della tradizione filosofica moderna, nella scissione tra intellettualista ed empirista, nel loro rapporto con il corpo. Con la fenomenologia di Merleau-Ponty il corpo non è più inteso né come essere pensante e involucro di uno spirito, com’era nella tradizione oggetto sensibile, come intellettualistica, né invece corrente era nella come empirista. Il corpo è invece ripensato, nella sua funzione di suolo della coscienza riproponendo in sempre intercorporeità cui quella percettiva essa unione stessa si chiasmatica annulla il manifesta, che nella dualismo, restituendoci quello che verrà definito successivamente, un soggetto incarnato. 20 Capitolo 2° Neuroscienze e Cinema. La simulazione incarnata La filosofia fenomenologica, l’esistenzialismo intuizioni a in merleau-pontiano, livello filosofico ha particolare fornito che danno quelle oggi la possibilità di sviluppare, attraverso dei dati empirici, una branca delle neuroscienze cognitive. È stato proprio Merleau-Ponty con lo sviluppo di una nuova ontologia, ambito basata su percettivo, una ad riabilitazione introdurre del il corpo concetto in di intersoggettività come intercorporeità. La sua filosofia fenomenologica mette al centro della ricerca la percezione e definisce il corpo, in particolar modo il suo rapporto con il mondo e con gli altri, come unico mezzo di comprensione per un’originaria fonte di conoscenza. La seconda metà del ventesimo secolo è stata segnata dallo sviluppo delle neuroscienze, negli anni ottanta la ricerca si è diffusa su larga scala, apportando delle svolte rivoluzionarie nel rapporto tra individuo e mondo. Le neuroscienze rappresentano l’insieme delle scienze che si occupano di studiare il sistema nervoso. Tramite un approccio metodologico, basato su le innovative tecniche di indagine, le neuroscienze, hanno la possibilità di studiare dalle singole cellule nervose, al funzionamento complessivo del cervello umano. Le neuroscienze hanno iniziato a investigare ambiti come l’economia, l’estetica il e marketing la ma filosofia, anche il campo ridefinendo dell’arte, alcuni tratti distintivi del rapporto tra l’uomo e il mondo e portando 21 innovazioni significative sul tema dell’intersoggettività umana. La prospettiva scelta per lo sviluppo della ricerca di tesi, riprende neuroscienze, la posizione espressa da di una Vittorio branca Gallese delle e Michele Guerra nel libro “ Lo schermo empatico”. La modalità di approccio dei due ricercatori alla metodologia di indagine delle neuroscienze cognitive sul cervello, è tesa ad d’interdipendenza distaccandosi materia, al includere tra dalla fine “ lo cervello, semplice di “ rapporto corpo e del cervello analisi gettare stretto nuova luce mondo” come sul tema dell’intersoggettività”.12 La posizione dei due ricercatori è tesa, tramite le ultime scoperte delle neuroscienze, a dare al corpo “ la consapevolezza pre-riflessiva di sé e degli altri” e di intenderlo come “ la radice e la base su cui si sviluppa ogni forma di cognizione esplicita e linguisticamente mediata dagli oggetti stessi.”.13 Il punto di vista dei due ricercatori si basa su dei presupposti innovativi. Il corpo è visto in una duplice veste, il cervello, inteso come quello che Husserl definiva Korper ( il corpo materiale ) il corpo studiato dalla fisiologia, viene integrato con il corpo come Leib, cioè il corpo vivo dell’esperienza, nel mondo e con gli altri, circoscrivendo così il sistema cervello-corpo. Il secondo presupposto naturalizzazione si basa sulla dell’intersoggettività”. necessità Al di fine “ di ritenere valido l’approccio neuroscentifico per l’analisi 12 Vittorio Gallese e Michele Guerra, Lo schermo empatico, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015. p. 36 13 Ibidem p. 36 22 del corpo, l’intersoggettività è ripensata a partire dalle sue componenti sub-personali sensori-motorie e affettive. Il terzo ed ultimo presupposto riguarda invece l’approccio che la ricerca riportata nel testo, ha mantenuto nei confronti degli esperimenti effettuati su una specie non umana ma ad essa molto vicina. La prospettiva assunta viene definita comparativa, dando ai due ricercatori la possibilità di appoggiarsi agli strumenti di indagine spesso utilizzati su specie non umana ma caratterizzati da risultati più efficaci per velocità e possibilità di sperimentazione. Prima di esporre le innovazioni che la ricerca neuroscientifica ha apportato alla percezione e alla sfera dell’intersoggettività umana, vorrei ripercorrere brevemente il percorso di come le neuroscienze si sono lentamente emancipate dal cognitivismo classico e dalle teorie evoluzionistiche, ovvero da quelle teorie che nel loro approccio, prima all’uomo e poi all’arte, sono state giustamente tacciate di riduzionismo. Il cognitivismo classico è un indirizzo della psicologia scientifica che si pone come obiettivo quello di studiare l’uomo, considerando i suoi processi mentali come modelli che elaborano le informazioni e reagiscono di conseguenza. I meccanismi e i processi mentali, possiedono una loro coerenza logica interna e sono ritenuti reali anche se non strettamente corrispondenti a strutture o processi celebrali. Molte delle idee del cognitivismo provengono dalla grande diffusione che ha avuto la cibernetica vi è una corrente in particolare e l’informatica, che ha sostenuto l’analogia tra il metodo di elaborazione e processazione delle informazioni del computer e le operazioni della 23 mente umana, la corrente si chiama HIP. ( Human Information Processing ). Per il cognitivismo l’esperienza sociale diviene il luogo, dove la mente astratta dispiega la sua razionalità. Tutti gli aspetti che coinvolgono l’essere umano nel corso della sua esistenza, l’azione, l’espressione, l’emotività, la ricezione, la comprensione delle espressioni creative e non, ogni sfera che compone l’essere umano, obbediscono a quella rappresentazione linguistica messa in atto dalla mente durante l’espressione. Un altro classico aspetto e che che ha contraddistingue influenzato a lungo il il cognitivismo programma di ricerca delle neuroscienze riguarda il rapporto tra azione percezione e cognizione.14 Il modello come due percettivo facoltà cognizione, intende distinte provenienti l’azione e e periferiche ognuna da la percezione divise differenti dalla circuiti celebrali distinti a loro volta. Il flusso, che connette le tre azioni, ha inizio da quelle descritte come “aree associative”, queste ricevono le informazioni dagli organi sensoriali e le processano, ( percezione ) trasformandole in una rappresentazione percettiva del mondo; Le aree associative forniscono poi gli input influenza all’apparato il mondo cognitivo, tramite ( cognizione l’attivazione del ) che sistema motorio con la produzione di movimenti ed azioni ( azione ). Questo è il processo utilizzato dal cognitivismo secondo cui ogni essere umano percepisce, conosce e si muove nello spazio. Il sistema motorio sembra essere un mero controllore di movimenti, privo di ogni ruolo percettivo. 14 Cfr Lo schermo empatico, p. 39. 24 Il cognitivismo sembra così perdere di vista “ il legame disinteressandosi“ cervello-corpo”, della dimensione esperenziale dell’esistenza umana” 15 , avvicinando sempre di più l’essere umano e il suo corpo, di cui il cervello fa parte, ad un computer, che traduce tutto quello che riceve, anche le espressioni artistiche come i mondi di finzione cinematografici, in modelli linguistici utili a spiegare quello che pensa e prova. Per quel che riguarda la psicologia evoluzionistica invece, la mente umana ha subito nel corso dell’evoluzione delle modifiche dettate dal suo valore adattivo e sembra, oggi, suddivisa in moduli cognitivi, ognuno deputato a svolgere un determinato compito. Questo portato ha localizzare i molti moduli neuroscienziati cognitivi a dei quali ricercare all’interno del e cervello umano, andando così a ridurre l’intera vita dell’individuo ad una mera collaborazione tra moduli. Il riduzionismo è anche viziato dall’eccessiva fiducia che alcune branche delle neuroscienze, come le due appena citate, ripongono nelle innovative tecniche di indagine. Nonostante la Fmri ( risonanza magnetica funzionale ) non sia l’unica tecnica di indagine sperimentale, essa sembra essere ancora sperimentazioni la più sull’uomo, utilizzata, ma allo almeno stesso tempo per le la più limitata per velocità di misurazione e per quantità di neuroni in attività misurabili. È stata invece, effettuata su la specie misurazione non umana dei a singoli dare i neuroni maggiori risultati. 15 Ibidem p. 39 25 Uno degli sviluppi più incisivi nel campo della ricerca neuroscientifica, riguarda la funzione sul lobo che svolge il sistema motorio. Alcune ricerche del 2001 frontale, il lobo destinato all’attività motoria, hanno apportato notevoli innovazioni alla suddivisione del lobo stesso. La scoperta, in breve, ha dimostrato che un’area del lobo prefrontale, l’area insieme di aree ognuna connessa 6 di Brodmann, distinte, ad non altre si è un’unica zone rivelata area differenti un compatta, del lobo frontale, del lobo parietale inferiore e del cervelletto. La ricerca ha così fornito ai neuroscienziati la possibilità di rettificare il ruolo del sistema motorio, affidando a quello che per anni è stato il sistema destinato a svolgere movimenti una nuova nozione, quella di scopo. In sintesi, i neuroscienziati hanno scoperto che il sistema motorio non svolge movimenti, o meglio, non solo, ma atti motori. La differenza tra le due definizioni è sottile ma indispensabile. Mentre il movimento è la dislocazione di più parti corporee come aprire e chiudere una mano, un atto motorio consiste nell’utilizzare un’azione, per quei conseguire movimenti uno scopo per compiere motorio come afferrare, rompere e manipolare un oggetto. La ricerca ha dimostrato come indipendentemente dall’arto scelto per compiere l’atto motorio, l’attivazione dei neuroni premotori, i neuroni destinati al controllo degli atti motori, ha come comune denominatore non il movimento in sé, quanto lo scopo dell’atto, il suo finalismo. Il finalismo degli atti motori è legato anche ad un’altra ricerca, effettuata sui neuroni che popolano l’area 26 premotoria F5 del macaco e successivamente riproposta sull’uomo attraverso la tecnica della Brain Imaging. I neuroni in questione sono stati definiti dai ricercatori “ neuroni canonici”. La ricerca ha portato alla luce un aspetto rivoluzionario del sistema motorio nel suo rapporto con gli oggetti che quotidianamente circondano l’uomo. Il risultato della l’osservazione instaurare ricerca di un un ha dimostrato oggetto rapporto, il con programma come, cui è durante possibile motorio si attiva anche se l’azione non si compie. L’osservazione di un oggetto, pur in un contesto che non prevede con esso alcuna attiva interazione, determina l’attivazione del programma motorio che impiegheremmo Vedere significa se simulare volessimo interagire automaticamente cosa quell’oggetto; significa simulare un’azione potenziale. Il rapporto percepiti che non comunemente si stabiliamo esperisce solo con l’oggetto. faremmo con 16 con gli nella oggetti loro pura visibilità. Nel nostro rapportarci ad essi, attraverso una simulazione sistema definita motorio la “ incarnata” possibile mappiamo interazione nel che nostro potremmo avere con quegli oggetti. Così, grazie percezione, si alla “simulazione sviluppa anche incarnata”, una forma durante la preliminare di azione che subissa la percezione visiva. Gli approfondimenti della ricerca neuroscientifica sull’area F5 del lobo prefrontale hanno portato, per la prima volta, una descrizione di un’altra popolazione di neuroni, i neuroni specchio. 16 Ivi p. 55 27 Fu proprio tra gli anni ottanta e novanta che un gruppo di ricercatori dell’università di Parma, coordinato da Giacomo Rizzolatti e composto da Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio Gallese e Giuseppe di Pellegrino, portò alla luce la scoperta dei neuroni specchio della corteccia premotoria. Durante un esperimento condotto sulla corteccia frontale inferiore di un macaco, in cui erano studiati i neuroni specializzati prese per nel caso, controllo davanti della mano, all’animale, un una ricercatore banana da un cesto appositamente sistemato per alcuni esperimenti. L’azione, vista dal macaco, fece reagire la strumentazione collegata al cervello dell’animale, rivelando così l’esistenza dei neuroni specchio. Questi esperimenti furono ripetuti anche sull’uomo. Affidando la ricerca alle più fini tecniche di indagine come la Fmri o la Brain imaging sono state localizzate le aree precise dei neuroni specchio umani. La funzione principale, che contraddistingue i neuroni specchio, è quella di attivarsi sia quando un individuo compie un atto motorio, sia quando lo stesso individuo osserva un altro individuo, eseguire un gesto simile. La scoperta dei neuroni specchio è fondamentale, perché ha mostrato la base neurofisiologico di che “ un per la meccanismo prima connessione tra due individui diversi”. Il ruolo svolto spiegazione di dai neuroni quello che volta mostra la 17 specchio significa funzionale ha fornito realmente una osservare un’azione compiuta da un altro essere umano. Il meccanismo osservare 17 dei un’azione neuroni a specchio livello ha percettivo, rivelato che significa “ Ivi p. 57 28 anche simularla col proprio sistema motorio, nel proprio sistema motorio”.18 Il meccanismo nella sfera dei neuroni specchio porta dell’intersoggettività. la simulazione Pertanto diviene incarnata estremamente rilevante per la comprensione di tutte le forme di intersoggettività 19 mediata, proprie della finzione narrativa, come quella dei film Un’ulteriore specchio alcune caratteristica con il azioni carattere della è il rapporto sonoro che quotidianità o dei neuroni contraddistingue della finzione cinematografica. La percezione del sonoro è un componente fondamentale che contraddistingue molte azioni. Anche sentendo solo il suono delle dita che battono sui tasti di un computer, un libro che viene sfogliato, una matita che immaginare casca per l’evento, terra abbiamo la l’azione alla quale possibilità questi di suono corrispondono. Alcuni test effettuati sull’area F5 di un macaco, hanno dimostrato come indistintamente se lo stesso l’azione neurone viene si osservata, attivi eseguita o semplicemente udita.20 Risultati simili sono stati riconosciuti anche nel cervello di un essere umano. Il suono delle azioni prodotte dal nostro corpo attiva, in chi le ascolta, la rappresentazione motoria delle stesse azioni tramite una forma di simulazione. Questo ha portato l’intersoggettività i si neuroscenziati esprime tramite a una dire forma che di intercorporeità. 18 19 20 Ibidem p. 57 Ivi p. 58 Cfr Lo schermo empatico, p. 62 29 Il meccanismo di simulazione sembra essere la base neurobiologica delle forme di sintonizzazione con l’altro, a partire dalle quali si costruisce il senso del sè e la comprensione dell’altro. La nostra apertura al mondo e l’intenzionalità dei nostri processi mentali, cioè il loro essere riguardo qualcosa, sono costituite e rese possibili da una primitiva intenzionalità motoria. Il sistema motorio, essendo depositario delle nostre potenzialità di relazione pragmatica con il mondo, ci predispone potenzialità alla motorie, in relazione quanto con esso. intenzionali, Queste cioè stesse dirette agli oggetti potenziali del nostro agire, ci definiscono come sé corporei intenzionali. Le 21 scoperte specchio, sistema anche neuroscientifiche, hanno portato motorio in nel i quella ricercatori processo relazione come alla di a dei interrogare simulazione capacità di neuroni il incarnata, condivisione e comprensione delle emozioni e sensazioni altrui. Uno dei meccanismi rispecchiamento più messo efficaci, in atto per dai l’attivazione neuroni di specchio, è l’espressione delle emozioni tramite mimica facciale. La mimica facciale, studiata dagli anni cinquanta del ventesimo secolo dalla Cinesica, la scienza del linguaggio del corpo, è neuroscientifiche stata volte la a base di dimostrare alcune come ricerche entrasse in funzione il rispecchiamento nel momento dell’osservazione di determinate emozioni. Nel momento in cui osserviamo un individuo esprimere una determinata emozione tramite la mimica facciale, i muscoli del volto di chi sta guardando si attivano e simulano internamente l’emozione che stanno osservando, questo dà la possibilità, non solo di comprendere ma anche di rivivere quella determinata emozione. 21 Ivi p. 64 30 Alcune dei Ricerche neuroni altrui è compresa “ neuroscientifiche, grazie alla specchio, hanno dimostrato che prima di tutto costituita e il riutilizzo attraverso neurali su cui si persona di quella fonda data la degli nostra emozione. l’emozione direttamente stessi scoperta l’azione ha messo siano in Osservare evidenza indissolubilmente circuiti esperienza come legate la e in un altrui significa anche simularla internamente”. La scoperta prima emozione 22 percezione che e osservare significa simulare. È infatti un intero gruppo di strutture celebrali ad attivarsi, nel momento in cui vi è sia la comprensione che la volontaria imitazione di quelle emozioni, esse sono la corteccia premotoria ventrale, l’insula e l’amigdala. Questo ci porta a capire che in realtà la condivisione ma soprattutto avviene la comprensione tramite comportamenti una che delle emozioni decifrazione chi osserva, o altrui non associazione di riconosce e avvicina a modelli cognitivi validi a-priori o addirittura a schemi propri. La comprensione di emozioni e sensazioni è prima di tutto un processo, sviluppato neurobiologica e intercorporeo, che significato dei per questo ci principalmente viene fornisce comportamenti definito un accesso altrui, su base incarnato e diretto al unendo insieme percezione ed azione; Un moto, che ci dà la possibilità di comprendere gli altri non tramite una traduzione in termini linguistici di ciò che riceviamo ma tramite un 22 Ivi p. 67 31 collegamento corporeo innato, calibrato anche sul nostro grado di empatia personale. Per capire gli scopi e le intenzioni motorie degli altri non abbiamo necessariamente linguistico. bisogno Il più intenzioni agli assistiamo al direttamente di delle altri; metarappresentarle volte attribuiamo semplicemente comportamento molti non degli contenuti in le un formato esplicitamente comprendiamo. altri, possiamo intenzionali Quando coglierne sensori-motori ed emozionali, senza avere la necessità di rappresentarli esplicitamente 23 come tali attraverso il mezzo linguistico. Le ricerche sui neuroni specchio, hanno così evidenziato che un insieme di circuiti neurali viene riutilizzato nell’azione, nell’imitazione, nella percezione e in minore intensità anche nell’immaginazione. Quando un’azione non viene prodotta ma solo osservata essa viene comunque simulata. I neuroscienziati non si sono limitati solo allo studio del processo di simulazione ( incarnata ) che si attiva quotidianamente nell’osservazione dell’agire altrui, questo “ riuso “ non è limitato a quella realtà ma è estendibile anche alla comprensione della realtà narrativa mediata, come ad esempio una narrazione cinematografica. L’interesse delle neuroscienze per l’arte ha avuto inizio con Semir Zeki, un neurobiologo turco che nel 1967 ha pubblicato il suo primo articolo, e il primo libro nel 1993 con il titolo La visione dall’interno. Arte e cervello ( Universle Bollati Boringhieri, 2007 ). Si deve a neuroscienze 23 lui la creazione che ha interrogato di la quella branca corteccia delle visiva in Ivi p. 27 32 relazione all’immagine in particolar modo alla rappresentazione pittorica, la neuroestetica. Le neuroscienze non hanno limitato la loro ricerca al campo pittorico, dalla metà del ventesimo secolo in poi, la teoria del cinema si è servita delle ricerche in ambito cognitivo per sviluppare quella che fino ad oggi è stata la teoria che più ha influenzato la percezione in ambito cinematografico, La Grand Theory. Teoria di stampo americano ispirata ai paradigmi semiotici e strutturalisti e declinata su modelli di psicoanalisi lacaniani, ha perduto la sua efficacia nell’ambito degli studi sui film, quando a metà degli anni ottanta le ricerche di David Bordwell e Noel Carroll hanno sviluppato una teoria che attingendo al cognitivismo si è guadagnata il ruolo di successore creando la: che hanno Post Theory: Reconstructing Film Studies. In realtà, creare le un innovazioni rapporto tra film più e provveduto spettatore a basato sull’intero coinvolgimento corporeo, sono arrivate con la crescita della filosofia fenomenologica del cinema, che ha avuto come capostipite una filosofa americana di nome appoggia alla Vivian Sobchak. La filosofia tradizione fenomenologica filosofica al portata cinema avanti si da Husserl e da Merleau-Ponty. Partendo dal rapporto tra percezione e corpo esposto nella filosofia di tradizione fenomenologica e usufruendo delle neuroscienze e progressivamente dei loro affermando metodi un d’indagine nuovo paradigma si sta basato appunto sulla cognizione/ simulazione incarnata. La proposta, espressa per la prima volta nel libro “ Lo schermo empatico” e ripresa a mia volta nella tesi, opera una sorta di “ fenomenologizzazione” delle neuroscienze. 33 La proposta portata avanti da Vittorio Gallese e Michele Guerra cerca di focalizzare l’attenzione su gli aspetti legati all’esperienza esperisce, nel che mondo quotidianamente reale e nel mondo ognuno della di noi finzione narrativa. La simulazione incarnata fornisce la base per una nuova teoria di percezione neurobiologici, come del film basata su meccanismi quelli dei neuroni specchio, che assottigliano la differenza tra i mondi di finzione e non, decretando così una distinzione dimensionale più che categoriale. L’ipotesi che avanziamo è che l’esternalizzazione astraente fornita dalla rappresentazione del reale, in primis quella permessa dal linguaggio, affondi le sue radici nel trascendere il corpo rimanendone all’interno, secondo il procedimento proprio della simulazione incarnata. Le neuroscienze ci hanno permesso di comprendere come il confine tra immaginato ciò sia che molto chiamiamo meno reale netto di e il quanto mondo si possa immaginario pensare, e […] esperire un’emozione e immaginarsela si fondano su attivazioni dei circuiti neurali in parte identici. Analogamente vedere e immaginare di vedere, agire ed immaginare di agire, condividono l’attivazione di circuiti celebrali in parte comuni. 24 Così, grazie alla simulazione incarnata, fondata sul riuso di alcune strutture celebrali strettamente legate al sistema motorio, che si attivano sia se l’azione viene eseguita, imitata, semplicemente osservata o immaginata è stato possibile sviluppare un nuovo modello di percezione delle immagini basato su una interazione tra lo spettatore ed il film del tutto nuova. Lo spettatore visto da una prospettiva cognitiva, deve solo ed esclusivamente sospendere la sua incredulità, e 24 Ivi p. 72 34 vedere il film convincendosi che quello che vede non è falso. Questo per la prospettiva fenomenologica non è possibile, ridurre la visione di un film ad un puro conflitto di credenze sul mondo è assolutamente limitativo per lo studio sulla percezione filmica. Per la prospettiva fenomenologica e neuroscientifica, lo spettatore in realtà instaura con il film, un “ coinvolgimento corporeo a più livelli di meccanismi legati alla percezione del mondo reale”. Sono proprio percezione quei del 25 meccanismi mondo reale neurali che vengono legati alla riutilizzati durante la visione di un film, il coinvolgimento dello spettatore ha origine proprio dalla comprensione dei movimenti e dei sentimenti degli attori, tramite quella che è considerata la simulazione da parte del sistema motorio dei movimenti osservati. Vi è così, non solo un coinvolgimento mentale, volto a tradurre i movimenti e le intenzioni delle scene con una forma linguistica dettata dalla mente ma un vero e proprio coinvolgimento corporeo/intercorporeo, modulato, in parte, anche sul grado abitualmente di nella empatia, realtà, proprio tramite il come riuso accade delle strutture celebrali prima descritte. Il coinvolgimento cinematografica si dello spettatore può riassumere, durante da una l’esperienza prospettiva fenomenologica, come un vero e proprio “ corpo a corpo” tra lo spettatore e il film. Il “ riuso “ di questi circuiti celebrali che portano al coinvolgimento 25 corporeo dello spettatore, sarebbero Ivi p. 76 35 facilitati anche da una forma di narrazione che richieda da parte di chi osserva una partecipazione “ attiva “. Una delle chiavi di lettura che ha contraddistinto la Grand Theory e la prospettiva computazionale cognitivista è stata l’empatia. In una approccio neuroscientifico alla percezione del film, l’empatia gioca un ruolo solo secondario, modulando in base alla capacità empatica del soggetto solo ed esclusivamente il suo grado di coinvolgimento ma non il coinvolgimento stesso, che invece è fondato su un meccanismo di base neurobiologica. L’empatia è sempre stata la chiave su cui si fonda la narrazione tipica del cinema classico, la ricerca per una nuova teoria, ha dovuto scardinare questa visione della ricezione basata cinematografica esclusivamente spalancare invece, su da parte una ricezione anche a dello spettatore, empatica, livello per narrativo, l’importanza, per il coinvolgimento dello spettatore, di una narrazione sottodeterminata, ambigua ed aperta. Questa forma narrativa, cara ai film d’autore, darebbe la possibilità allo spettatore di instaurare un rapporto differente con il film. Lo spettatore, percependo l’ambiguità dell’immagine, proietterebbe delle modalità proprie, attingendo ai propri metodi relazionali, e ai trascorsi mnemonici, per vivere insieme al film un finale incerto. Nel capitolo successivo approfondirò le scoperte che le neuroscienze hanno apportato alla percezione cinematografica, riportando alcuni esperimenti effettuati su soggetti sottoposti alla visione di film, concentrandomi in particolare sui metodi di ripresa. 36 3° capitolo La simulazione incarnata e la MDP “Quello che si presenta ai nostri occhi è una intentio dell’anima”. Aristotele In un film il movimento di macchina è una tra le componenti più importanti con cui un regista sceglie di lasciare la propria impronta autoriale. La sceneggiatura, la fotografia, il montaggio, sono tutti mezzi di espressione fondamentali per la creazione di un film ma per un regista il movimento della macchina da presa resta sicuramente il tratto con cui può lasciare un’impressione, creare uno stile molti registi proprio ed automaticamente distinguersi. Nella storia determinati del cinema movimenti di macchina un hanno loro fatto di elemento distintivo, creando quel “ come “, nel loro approccio al racconto, hanno trovato il modo esatto per imprimere forza e senso visivo a quel “ cosa “ rappresentato dalla sceneggiatura. La prima distinzione che riguarda i movimenti di macchina è quella messa in atto da molti registi in alcuni film o in alcuni periodi della loro carriera cinematografica, la scelta della macchina fissa. In un film, la scelta di non muovere la macchina da presa, è un elemento stilistico che riporta agli albori del cinema, visto che in quel periodo vi era una scarsità di mezzi, ma soprattutto la totale inesistenza di una 37 grammatica cinematografica affermata sviluppatasi solo dopo diversi anni dalla scoperta del mezzo. Non solo, in realtà, la scelta della macchina fissa sembra oggi essere destinata a soddisfare un pubblico di nicchia, di addetti ai lavori, i registi che operano in questo modo spesso risultano acclamati dalla critica e dal circuito dei festival cinematografici ma non dal grande pubblico. La scelta statica, in termini narrativi ha invece un grande significato spesso molto rispettato, si cerca di mantenere un rapporto di stasi con il visibile, mostrando l’assurdo dell’esperienza, enfatizzando una sacralità che invita ad uno scomparire sguardo totalmente contemplativo, il mezzo si meccanico cerca per di far porre lo spettatore in una posizione debole, lasciandolo indifeso e inerme di fronte allo svolgersi degli eventi narrati. Oggi sono moltissimi gli autori che scelgono una staticità della macchina da presa, un autore contemporaneo che ha colpito per il suo stile è sicuramente Roy Andersson, che con il film: Un sull’esistenza, Bruegel Il dimensione piccione titolo ispirato vecchio, teatrale seduto ha ad messo della su un lo messa un ramo quadro riflette di spettatore in scena, in Pieter in una stretto rapporto con una riflessione sulla durata temporale, tutto equilibrato da un perfezionismo maniacale soprattutto nei confronti della fotografia e dell’interpretazione degli attori. Nonostante molto la macchina ricercato registi hanno e fine, scelto di fissa sia nella far un storia diventare tratto del il stilistico cinema molti movimento di macchina, un vero e proprio gesto riconoscibile a molti, con cui il regista ci porta nel suo film, nel suo cinema, nella sua visione. 38 Oggi risulta quasi impossibile rinunciare alla dinamicità della macchina da presa in un film, i manuali per registi come i grandi critici rilevano che il pubblico ritiene degne di attenzione quelle opere che li coinvolgono con il movimento. Robert Zemeckis, noto regista e sceneggiatore americano ha creato una differenziazione dei movimenti di macchina che si possono trovare in un film. La distinzione, non avviene tanto nel tipo di movimento e di come si può riprodurre quanto nella scelta stilistica che include molte tipologie di film e di movimenti di macchina. Le categorie in cui Zemeckis ha riassunto i movimenti di macchina sono essenzialmente tre: - Movimenti di macchina generati da fattori esterni - Movimenti di macchina generati da fattori interni - Campi totali in movimento Il primo, definito movimenti generati da fattori esterni, è il più comune ed è quel movimento subordinato ai movimenti del personaggio, di macchina è se la macchina da presa non si muovesse quel personaggio uscirebbe di campo. Il secondo, movimenti generati da fattori interni, è invece quel movimento dettato da ciò che il personaggio vede e sente, sono le sue reazioni, i modi in cui si approccia riguardano agli i eventi narrati sentimenti o i nel film, desideri ma soprattutto interni di un personaggio, la psicologia, i rapporti nei confronti della storia stessa o degli altri personaggi. 39 La terza categoria riguarda invece quei totali, definiti anche Establishing shot, solitamente statici, utilizzati per introdurre una scena, che vengono animati per favorire l’accesso dello spettatore all’ambiente in cui si svolgerà la narrazione. Tutta la letteratura che ruota intorno allo studio dei movimenti di macchina ha da sempre cercato di esporre ciò che metaforicamente rappresentassero e di come riuscissero a coinvolgere il pubblico. Dalla metà del ventesimo secolo in poi, con l’avvento del cognitivismo nella teoria cinematografica relativa alla percezione dello spettatore, si è capito che il movimento di macchina favorisce un’immedesimazione equivalente ad 26 una “ azione proiettata “. Per lo spettatore il senso di coinvolgimento è esaltato dal fatto che possiedono i un movimenti della comportamento macchina con da presa caratteristiche antropomorfiche. Il coinvolgimento macchina da presa apparentemente dello spettatore interpreta e tridimensionale si come è maggiore, muove un nello vero e se la spazio proprio corpo umano. Furono alcune ricerche portate a termine da David Bordwell a sottolineare l’importanza di reinterpretare tramite i movimenti di macchina il comportamento di un intero organismo, questo restituirebbe allo spettatore il senso della profondità spaziale sia statica che dinamica, identica a quella vissuta quotidianamente. Rudolf Arnherim, nello spiegare la “macchina da presa mobile”, diceva, negli anni trenta, che grazie a questa possibilità il regista poteva 26 Ivi p. 144 40 provocare sensazioni stordimento, la soggettive vertigine, nello spettatore l’ubriachezza, il senso come di “ cadere lo e di sollevarsi” ma soprattutto che “ il regista cinmatografico può fare ciò che risulta molto difficile a quello di teatro, ossia mostrare il mondo dal punto di vista dell’individuo, assumere l’uomo come centro del suo cosmo” L’uomo di cui parlava Arnheim altri non è che la mdp. 27 Distaccandoci dal cognitivismo, spicca tra la letteratura dedicata ai filosofa movimenti di fenomenologica macchina, già un citata saggio nel di una precedente capitolo, Vivian Sobchack. È stata proprio lei a portare al cinema alcune categorie utilizzate nella filosofia fenomenologica da Merleau- Ponty, dando la possibilità ai neuroscienziati di compiere esperimenti sulla percezione dello spettatore rispetto ai movimenti di macchina. La teoria di Vivian Sobchack risale agli inizi degli anni novanta, e parte dal presupposto che nonostante la macchina da presa sia in grado di andare oltre le nostre possibilità visive, “ il suo comportamento venga primariamente percepito come capace di esprime ed abitare lo spazio in modo umano piuttosto che meccanico”.28 Per questa motivazione i movimenti di macchina rispecchiano due concetti della filosofia fenomenologica, proprio come nella filosofia di Merleau-Ponty: il concetto di embodiment e di intenzionalità. Il concetto di Intenzionalità si può trovare già in alcuni testi risalenti all’antica grecia, Aristotele in primis. È alla fine del XIX secolo che Brentano, un filosofo tedesco, maestro di Husserl, riprende il concetto e lo introduce nella psicologia occidentale. 27 28 Ibidem p. 144 Ivi p. 146 41 Bretano afferma che la coscienza si definisce per il fatto di essere intenzionale, L’intenzionalità ovvero, dirige la diretta verso coscienza qualcosa; verso qualcosa, dandole senso. Con Husserl rigida, fu l’intenzionalità proprio lui ottiene a una ridefinire struttura la più coscienza, considerando il fatto che essa non potesse esistere in un vuoto soggettivo, ma solo quando è “ coscienza di qualcosa”. La coscienza non solo non può essere separata dal mondo degli oggetti, ma allo stesso tempo costituisce quel mondo. Nel suo tendente direzionarsi verso l’occuparci la dei verso qualcosa, risoluzione nostri cari, dei essere incline, nostri lavori, l’attenzione verso noi stessi, crea la realtà in quanto la modifica, la modella tramite l’intenzionalità. Il concetto di embodiment invece risale al XXI secolo, il suo significato utilizzato comprensione direttamente da letterale Vivian Sobchack intercorporea nella è nostra e “incarnato”, per risalire pre-riflessiva coscienza che e viene a quella introiettata suscitano i movimenti di macchina. Lo spettatore riconosce e comprende, in modo intersoggettivo e preriflessivo, la camera come un soggetto che condivide i modi della sua stessa esistenza ed esplicita i codici materiali e cinetici di una coscienza incarnata ed intenzionale […] A questi livelli, che sono più originari e fondamentali, la mdp stabilisce con il film che vediamo una relazione incarnata che appare unica, trasparente e del tutto simile a quello che noi intessiamo con il mondo dal quale guardiamo il film. 29 29 Ibidem p. 146 42 Vivian Sobckack, riprendendo la filosofia Merleau-Pontiana in relazione alla coscienza, afferma che il nostro rapporto e allo stesso tempo il movimento della macchina da presa abbia a che fare con un “ io posso “ rispetto ad un “ io penso “. Questo “ io posso “ della macchina da presa si estrinseca nel suo movimento in uno spazio antropologico abitato da un corpo che apre a sua volta la strada a possibili riflessioni astratte che ricadono nel “ io penso “. La definizione riguardo i che la movimenti fenomenologa relativi americana fornisce all’intenzionalità della macchina da presa, nella loro distinzione tra “ io posso “ e “ io penso “ e in relazione al coinvolgimento dello spettatore, sembra molto vicina a quella fornitaci da un noto accademico italiano che ha descritto l’esperienza filmica come una continua distinzione tra due forme quella di “ eccesso “ e di “ riconoscimento “. La distinzione operata da Francesco Casetti è volta a descrivere con “eccesso” proprio quelle forme che hanno a che fare con un tipo di coinvolgimento che tocca direttamente lo spettatore, che in qualche modo sovrasta la possibilità di controllo razionale, espresso da quei movimenti abitare corporeo riguarda di lo e macchina spazio da così colpirci inconsapevole, quelle vicini sequenze in mentre che al nostro modo il ci “ modo di pre-riflessivo, riconoscimento” restituiscono la possibilità di gestire e articolare, quindi comprendere, i significati e le emozioni in modo tale da tornare ad avere “ tutto sotto controllo”. All’interno di un film risulta fondamentale la capacità da parte del regista di saper articolare questa dialettica in modo tale da riuscire a modulare l’immedesimazione dello 43 spettatore, essere in grado di intuire dove queste forme di eccesso funzionano e dove invece occorre che le pratiche di riconoscimento entrino in gioco per dare la possibilità allo spettatore di mantenere forme filmiche un contatto continuo. Il dialogo spesso in tra queste quelle che due vengono definite si Peak esaudisce sequences, ovvero, sequenze-picco. Si trovano in ogni film e danno la possibilità allo spettatore di allentare l’immedesimazione e afferrare i significati. Una sequenza scelta dai due ricercatori Vittorio Gallese e Michele Guerra ne “ Lo schermo empatico”, è una Peak sequence di un noto film americano, Notorious di Alfred Hitchcock. La scena in questione è uno dei picchi narrativi in cui è importante che il coinvolgimento dello spettatore sia intenso. Il film è uno dei capolavori del “ maestro del brivido”, e la scena selezionata è quella in cui Alicia, su richiesta di Devlin, deve sottrarre una chiave dal mazzo del suo amante Sebastian, capo di un’organizzazione nazista. La scena inizia con un establishing shot della lussuosa villa di Sebastian, sperduta in un’elegante riserva. Dopo una breve inquadratura in interno che ritrae un vaso di fiori ed un orologio a pendola, una dissolvenza incrociata ci trasporta in una delle stanze private, sullo sfondo si intravede un letto in disordine, dei violini eseguono note acute e introducono in figura intera Alicia che in uno scuro abito da sera si sistema gli orecchini, la macchina è fissa e Alicia, la bellissima Ingrid Bergman ci sfila davanti, fino ad arrivare in primo piano per poi guardare fuori campo. 44 L’inquadratura successiva è una soggettiva, che ci mostra sullo sfondo una porta socchiusa, su cui, dall’interno, viene proiettata un ombra umana in movimento, capiamo facilmente che Sebastian è in quella stanza, sembra un bagno; La macchina da presa torna ad inquadrare, sempre in primo piano Alicia, che abbassa lo sguardo e sgrana gli occhi, di nuovo la soggettiva che si scopre non essere fissa, inizia infatti avvicina al piano del camera, il movimento un movimento tavolino è di macchina davanti complesso, la che porta sinuoso si della e piega leggermente verso sinistra, termina su un dettaglio, il mazzo di chiavi da dove Alicia deve prendere la chiave. E proprio quando il mazzo di chiavi è a portata di mano, scopriamo che Alicia è ancora ferma sulla porta, ancora ad osservare la scena cercando il coraggio per fare il primo passo, è un’inquadratura in controcampo, con le spalle alla porta socchiusa a mostrarcela ancora ferma. Adesso la donna si avvicina al tavolino dove sono poggiate le chiavi e di conseguenza alla macchina da presa, prende le chiavi dal tavolino, un dettaglio ci mostra il complicato gesto da eseguire per sfilare la chiave dal mazzo ma nel frattempo la voce di Sebastian dal bagno raggiunge Alicia, si è accorto che lei è nella camera adiacente. L’ombra proiettata sulla porta continua a muoversi, e la voce si fa ancora più presente, Alicia riesce nella sua impresa, tavolino, poggia e si nuovamente il mazzo di allontana di soppiatto, chiavi mentre sul un controcampo ci mostra Sebastian che in accappatoio esce dal bagno e la raggiunge per abbracciarla. L’obiettivo di Hitchcock in questa scena è proprio quello di portare lo spettatore ad un grado di suspense tale da divenire quasi insostenibile. 45 Ciò che sembra però essere l’asso della manica del regista è proprio la possibilità di fare quel movimento di macchina che da soggettiva, mima, come se fosse un corpo umano, il movimento di Alicia verso le chiavi, fino a porle lì, davanti ai suoi occhi, quando in realtà, sono solo davanti ai nostri occhi. Noi siamo lì, nella scena, ma in particolar modo davanti l’oggetto che afferrarlo, il protagonista vogliamo desidera, afferrarlo, possiamo vogliamo quasi prenderlo per lei, cercare di aiutarla per sbrigare la cosa velocemente in modo tale da poter tornare in uno stato di tensione più bassa. E invece no, Alicia è ancora lì, ferma sulla porta e guarda il mazzo di chiavi. Il movimento corporeo mimato dalla macchina da presa, non è quindi il vero a proprio atto fisico del personaggio, ma una proiezione delle sue intenzioni, la direzione della sua attenzione, una simulazione del suo movimento che Hitchcock fa fare solo alla macchina da presa e quindi, allo spettatore, non è Alicia a muoversi, siamo noi, tramite lo sguardo del regista, a simulare l’azione. Hitchcock utilizza suspense, al questo fine di movimento sottolineare al fine di l’impotenza creare dello spettatore rispetto alle possibilità dei personaggi, per includerci a livello corporeo nella scena senza poter realmente agire, una vera e propria simulazione. Questo è uno dei tanti casi in cui, per creare suspense non viene utilizzato il montaggio, ma un movimento di macchina in cui viene simulata l’immanenza di un corpo umano in movimento che da allo spettatore una forma di coinvolgimento psichico ma soprattutto fisico. La descrizione di questa Peak sequence ci da più o meno l’idea di cosa voglia dire “ movimento umano della 46 macchina da presa” e dell’unione, nel movimento, dell’intenzionalità, ovvero delle intenzioni, dei desideri dei personaggi e di embodiment, come relazione incarnata tra personaggio e spettatore. Nel cinema riesce a eccesso contemporaneo calibrare “ e “ un cineasta perfettamente riconoscimento”, la che a mio avviso dialettica creando delle tra “ sequenze- picco con un ritmo incredibilmente coinvolgente è Paolo Sorrentino. Tralasciando carattere nostrana la sua poetica, espressionista, tramite borderline, la volta ad deformazione intimamente quotidianamente basata sembrano su dal esprimere di distanti destinati temi la realtà personaggi spesso dalla a forte realtà vivere e che mostrata tramite una lente di ingrandimento che mira a investigare la psicologia dei personaggi, di cui cerca di raccontare i desideri, tramite una raffigurazione visiva che ha scelto il grottesco e l’onirico come riferimento formale, resta esemplare nel suo cinema il ruolo preponderante che assume la macchina da presa. È quasi impossibile non riconoscere un film girato da Paolo Sorrentino, come alcuni tra i più grandi cineasti della storia del cinema, Sorrentino sembra possedere un rigore formale lanciato verso un’estetizzazione del visibile e una iperrealtà assolutamente inconfondibile. In sintesi, la mia idea è che lo stile, prima ancora di avere a che fare con la bellezza, deve raggiungere qualcosa che non saprei definire bene, ma ha a che fare con la potenza. Per esempio in questo Céline è utile. Ci sono delle pagine di Céline che prima di essere significative per la bellezza o la precisione, sono estremamente potenti. Forse la potenza è più un sentimento che un concetto. Allora, 47 il mio tentativo è ogni volta di giungere a questo sentimento di potenza, e questo forse mi deriva dalle letture fatte in gioventù. Ad esempio Nietzsche, certo rielaborato in modo mio. La potenza di cui parla Sorrentino 30 si traduce in una sintesi che si pone come obiettivo quello di coinvolgere i sensi nel modo alimentando più con il incisivo ritmo la e completo perfetta possibile, dialettica tra l’eccesso e il riconoscimento. Paolo sorrentino sequenze-picco effettuati, affida a a spesso funambolici volte, con il racconto movimenti meccanismi di di alcune macchina, sofisticati, come Dolly o Louma, altre, soprattutto per i piani sequenza con cui il regista firma ogni film, con la Steadicam. Sono diverse manipola delle e le trovate struttura sequenze, in la stilistiche con narrazione, particolar modo cui alcune nel film Sorrentino volte La sono grande bellezza ci sono dei passaggi in cui la macchina da presa si avventura in una ricerca di volti e di corpi, avvicinamenti a volte bruschi altre volte più calibrati a cercare gli sguardi e i movimenti rivolti alla macchina da presa. A questa ricerca, i personaggi del film reagiscono, allo sguardo della macchina, che li sorprende e li illumina. Una sequenza come questa si può trovare in un capolavoro del cinema, 8 ½ di Federico Fellini, quando, nella parte iniziale del film, la telecamera ci mostra per la prima volta i bagni termali dove Guido sta passando il suo periodo di riposo; La sequenza è accompagnata da La cavalcata delle Valchirie di Richard Wagner e rivolge lo sguardo a tutti i frequentatori delle terme, i personaggi non solo guardano in macchina ma sorridono, salutano e si 30 Pierpaolo De Sanctis, Domenico Monetti, Luca Pallanch, Divi & Antidivi, il cinema di Paolo Sorrentino, Laboratorio Gutenberg, 2010. p. 32 48 mostrano come se venissero colpiti da uno sguardo che li eccita. Lo sguardo in macchina è un aspetto frequente nei film di Paolo Sorrentino, vi è un uso ricorrente anche della voce fuori campo, protagonista che durante spesso i rappresenta suoi monologhi la voce interiori del e del rallenty. Queste soluzioni cercano di stilistiche, enfatizzare un presenti nei frangente suoi della film, vita del personaggio apparentemente banale e quotidiano, imponendo invece, un’aura di visione. Anche la soluzione del rallenty mostra la ricerca del regista di ancorare l’immagine alla soggettività di uno sguardo, un rapporto personale con il tempo che si allinea a ciò che sente il personaggio. Nel rallenty di Titta de Girolamo, il protagonista de Le conseguenze dell’amore, quando vede la cameriera dell’albergo scendere le scale per entrare nella hall o nella scena iniziale del film, L’amico di famiglia, in cui Geremia, viscido strozzino di una cittadina sul litorale laziale, sbircia pallavoliste, il dalla finestra regista tenta, della sua tramite camera una delle distorsione temporale, di descrivere il personaggio proprio dalla sua particolare condizione visiva. Nel film, Il divo, il rallenty viene usato dal regista come una vera e propria procedura del racconto, utilizzato sistematicamente per accentuare la dimensione simbolica di un certo evento e di guardare la scena in una dimensione che vive fuori dal tempo. Una sequenza cardine in cui viene utilizzata la tecnica del rallenty è quella in cui il settimo governo Andreotti viene presentato alla stampa. 49 La sequenza viene girata da Sorrentino con l’uso di due carrelli posti in campo e controcampo uno rivolto verso la schiera di politici che da un totale, da cui emerge tutto l’immobilismo politico e sociale di un potere che cura solo i propri interessi, si arriva ad un primo piano del neo eletto presidente del consiglio, freddo e apatico, l’altro rivolto ai flash dei giornalisti che con la solita foga fotografano un evento che assomiglia allo still life pubblicitario. L’utilizzo del rallenty diventa per Sorrentino un concreto motivo stilistico volto ad enfatizzare gli spazi e le figure, creando delle immagini di una tensione compositiva fuori dal comune. L’utilizzo che ne è stato fatto nel cortometraggio La partita lenta ( 2009 ), durante la partita di rugby, vuole dimostrare come questo mezzo sia per il regista un mezzo con cui plasma la propria materia, amplificando l’impatto drammaturgico e il coinvolgimento dello spettatore. Ma il coinvolgimento a livello prettamente sensoriale, che possiamo chiamare esprime al anche massimo incarnato o dell’intensità intercorporeo, nella si performance tecnica che il regista mette in atto con i piani sequenza. Il coinvolgimento corporeo avviene tramite una dialettica calibrata tra punto di vista soggettivo ed oggettivo. I piani sequenza girati da Sorrentino riescono a coinvolgere chi guarda facendo dialogare l’eccesso ed il riconoscimento sopradescritti. È la steadicam a produrre il movimento che si differenzia dalla classica macchina a mano per un movimento sinuoso, ottenuto grazie dell’operatore, calibrato da all’ancoraggio che un del meccanismo grazie ad un braccio insieme di molle, al corpo meccanico attudisce le imperfezioni dovute ai passi, mimando un movimento umano. 50 L’invenzione risale alla metà degli anni settanta, un cineasta americano di nome Garrett Brown rivoluzionò il mondo del cinema quando introdusse questo nuovo meccanismo. Esemplare, perché riconosciuta come migliore applicazione fino allora, fu di Stanley Kubrik nel film Shining. Uno dei piani sorprende sequenza per più affascinanti, coinvolgimento e che complessità meglio è il lunghissimo tragitto che ne Le conseguenze dell’amore, il protagonista Titta de Girolamo percorre dalla sua camera d’albergo, al salone delle conferenze dove ad aspettarlo, c’è il boss mafioso a cui ha sottratto una valigia colma si soldi. Durante spesso il piano ruolo, da sequenza la sguardo macchina oggettivo da o presa cambia riconoscimento, quando gli scagnozzi del boss prelevano Titta dalla sua stanza, in ascensore, quando lo spazio angusto non permette che un primissimo piano su Titta ( Toni Servillo) di più o meno 40 secondi, che grazie allo sguardo basso e il respiro in aumento ci trasmette tutta la pressione psicologica, a sguardo soggettivo, quando la macchina da presa nel corridoio personaggio, durata che anticipando del porta la tragitto, sua alla sala, camminata portando supera il tutta la scagnozzi e per altri inservienti dell’hotel a guardare il nostro personaggio, ma essendo una falsa soggettiva, lo sguardo è direttamente rivolto alla macchina Casetti chiama eccesso, da la presa, questo sensazione di è quello che coinvolgimento che ci porta ad una estrema immedesimazione; ci accompagna una marcia funebre, è un patibolo. Il personaggio torna a precederci quando ormai siamo nella sala, quasi davanti alla schiera dei boss mafiosi che attendono il nostro arrivo. La macchina da presa, inquadra 51 di nuovo Titta che si siede davanti al boss; La macchina si sistema sulla spalla del boss creando un’inquadratura in controcampo su Titta, che confessa le sue azioni. Un altro piano sequenza molto potente a livello di immedesimazione, anche per l’unicità della situazione, è quello che conclude il film Il Divo. Il film, che racconta una parte della vita di Giulio Andreotti, si conclude con l’inizio del processo che vede indagato l’ex presidente del coniglio. La scena ha inizio con un passaggio di Giulio Andreotti nel corridoio che precede la sala del tribunale dove si svolgerà guardia il processo, del corpo, alla un sua destra fotografo lo vi è la anticipa fedele scattando delle fotografie, la macchina da presa lo segue. Subito prima dell’entrata nell’aula, mentre vengono aperte le porte dell’aula, personaggio, davanti a la creando quattro la macchina falsa secondini da presa soggettiva ci supera che, accompagna il passando fin dentro l’aula. La macchina da presa ancora in soggettiva compie un breve percorso panoramico, due fotografi scattano velocemente le ultime foto tavolo prima dell’inizio dell’accusa, Bosetti, lancia in del Scalfari, camera uno processo, davanti interpretato sguardo da al Giulio fulminante, la schiera di avvocati e assistenti dell’accusa rivolgono i loro sguardi direttamente in camera, mostrando disprezzo per il personaggio. Andreotti ci avvocati, la supera macchina di da nuovo, presa stringe si le mani allontana, una degli voce annuncia l’entrata del giudice, che sedendosi da il via a procedere, il movimento compie un giro di 360° per tornare sulla figura di Andreotti, ormai seduto al tavolo della difesa che impassibile ascolta le parole del giudice. Una 52 voce fuori campo responsabilità inizia del male, una riflessione l’immagine sulle lentamente perde colore, fino a diventare un tetro bianco e nero sul volto del personaggio che impassibile guarda nuovamente in macchina. È attraverso questo continuo scambio tra vedute oggettive, che danno la possibilità allo spettatore di organizzare lo spazio e di conoscere il personaggio, di empatizzare con lui, e vedute soggettive, dove avviene l’immedesimazione, che lo spettatore viene catapultato all’interno della scena. Per quanto riguarda l’immedesimazione ma soprattutto la relazione fisica che si instaura tra quanto compare sullo schermo e chi l’osserva, un esperimento condotto da Vittori Gallese e Michele Guerra ha misurato l’impatto di alcuni movimenti di macchina sul cervello degli spettatori. L’ipotesi portata avanti dai due ricercatori mira a connotare la relazione fisica tramite un punto di vista motorio, facendo rientrare le risposte degli spettatori al comportamento della meccanismi di macchina da presa simulazione all’interno incarnata dei prodotti dall’attivazione dei neuroni specchio. La finalità dell’esperimento, specificata nel libro, ha due chiavi di lettura, da un lato è possibile capire come il modo di approcciare fisicamente una scena della nostra vita quotidiana percepirla, influenzi dall’altro ci la nostra dimostra come capacità il cinema di sia stato in grado di sviluppare delle tecniche stilistiche 53 che vogliono “ mimare “ quindi, riproporre, la capacità di aumentare l’effetto dei processi di simulazione. In relazione volto a al mezzo dimostrare comprendere le cinematografico, come la diverse nostra tecniche 31 l’esperimento corporeità stilistiche riesca è a relative all’utilizzo dei modi di muovere la macchina da presa. Lo studio effettuato tramite EEG ( elettroencefalogramma ) ha dato la possibilità di capire come e perché differenti tecniche di ripresa ottengono sullo spettatore differenti effetti.32 L’esperimento consiste nel mostrare ad un gruppo di spettatori la scena in cui un attore o un’attrice in piedi di fronte ad un tavolo afferra un bicchiere. La scena è stata ripresa con quattro metodi differenti: - Con una macchina da presa fissa, posta a due metri e sessanta dalla scena - Muovendo una lente dello zoom, stringendo sul personaggio - Muovendo la macchina da presa tramite un carrello, in avvicinamento - Utilizzando una Steadicam, producendo un movimento in avvicinamento I quesiti a cui l’esperimento cercava di rispondere erano due: 31 Cfr Vittorio Gallese e Michele Guerra, Lo schermo empatico, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015. p. 158 32 Cfr Lo schermo empatico, p. 160 54 - Il meccanismo dei neuroni specchio risponde diversamente se l’azione di afferrare un bicchiere da parte di un attore è ripresa tramite una macchina da presa fissa e una macchina da presa in movimento? - I neuroni specchio rispondono diversamente rispetto ai modi diversi di muovere la macchina da presa? I risultati hanno dato una risposta affermativa ai nostri quesiti. La riduzione muovendo della la mdp distanza verso tra spettatore l’attore o e l’attrice scena filmata, filmati, ottenuta determina una maggiore attivazione del meccanismo di simulazione motoria espresso dai neuroni specchio […] tra le tipologie di movimenti la Steadicam è risultata la più efficace nell’evocare l’attivazione del meccanismo dei neuroni specchio. I risultati 33 hanno dimostrato come la Steadicam, effettuando movimenti che più degli altri si avvicinano alla reale esperienza, fisica e temporale, di un movimento corporeo, produce movimenti che vengono percepiti come più naturali e perciò in grado di provocare nello spettatore la sensazione di camminare verso la scena. Tra tutti i filmati che mostravano una riduzione della distanza tra lo spettatore e la scena filmata, solo quelli che simulavano la visione “ naturale “ di un osservatore che si avvicina camminando alla scena osservata evocavano una forte simulazione motoria rispetto a quelli che riprendevano la scena con una mdp fissa. […] Tale andamento temporale è modulato dalla somiglianza tra i movimenti effettivi della mdp e la normale visione di una scena quando si cammina verso di essa. La congruenza tra la tecnica di ripresa ( Steadicam ) e la normale esperienza percettiva produce la massima intensità della simulazione motoria. […] Il nostro studio fornisce per la prima volta solide basi neurofisiologiche 33 alla straordinaria capacità della Steadicam di Ivi p. 164 55 generare negli spettatori una sensazione di immersione nello spaziotempo del film, favorendo la nostra immedesimazione con la prospettiva della mdp in virtù dell’incorporazione dei movimenti, grazie alla loro simulazione specchio. incarnata, promossa dall’attivazione dei neuroni 34 L’esperimento provochi dimostra una come sorta spettatore di l’utilizzo movimento all’interno della Steadicam indipendente della scena, dello prodotto dall’attivazione della simulazione motoria. Lo scambio tra movimenti di macchina generati da fattori esterni ed interni, come quelli prodotti nei piani sequenza citati dai film di Paolo Sorrentino, provocano nello spettatore un’immedesimazione ed una continua scissione tra visioni oggettive e soggettive, ed è proprio l’utilizzo della Steadicam a creare la migliore relazione tra coinvolgimento motorio e movimento di macchina. L’intenzionalità simulazione da e la parte soggettività degli del spettatori film dei sono fondate movimenti di sulla macchina, suggerendo che l’immanenza della soggettività cinematografica riposi in grande misura sulla natura corporea del film e della sua fruizione. 35 Tralasciando il lavoro relativo al suono, messo in atto dal regista partenopeo, utilizzato come ulteriore motivo stilistico per nutrire le immagini di una maggiore energia espressiva, durante l’impressione aprirsi anche che alla la il visione di lavoro contrappuntistico possa di e conquista un suo altri film sensi si ha al coinvolgimento di altre percezioni. 34 35 Ivi p. 166 Ivi p. 169 56 La tattilità, ad esempio, è una delle componenti tirate in gioco da la capacità spettatore sembra cui macchina la del manipolata tridimensionalità da regista. dai visione continui presa della La movimenti racconta messa in dello con l’illusoria scena, dando l’impressione di poter toccare le immagini con gli occhi. Questo collegamento tra visibilità e tattilità, scatenato dall’energia visuale emanata dal registro stilistico del regista trova le sue basi empiriche in alcuni risultati dimostrati dalla ricerca neuroscientifica. Una teoria proposta da Laura Marks ha evidenziato come il tatto non fosse solo una componente umana ma anche relativa ai film, alle immagini. Nel libro The skin of the film, la Marks mette in luce come i film possono essere ritenuti sensibili come la pelle. Le immagini, definite, “tattili” espongono lo spettatore nell’atto della visione ad una “ visualità aptica “ ( Haptic Visuality ), ovvero alla sensazione di toccare il film con i propri occhi.36 Come aveva intuito Merleau-Ponty nelle sue pagine relative alla tattilità della visione, preannunciando che “ ogni visibile è ricavato dal tangibile, ogni essere tattile è promesso in un certo qual modo alla visibilità” la nostra percezione visiva delle esperienze tattili conduce all’attivazione del sistema somatosensoriale e di quello motorio. Ricerche neuroscientifiche cervello della specie hanno umana e dimostrato non le come aree nel visive rispondono anche a stimoli tattili e acustici. 36 Cfr Lo schermo empatico, p. 232 57 Questo ha dato la possibilità di sostituire il modello ritenuto valido dal cognitivismo classico basato su un processo di “ associazione “ con quello sviluppato dalle neuroscienze basato su una integrazione multimodale. I risultati sensoriali empirici e motori suggeriscono sono come i intrinsicamente sistemi multimodali, quindi in grado di elaborare informazioni provenienti da differenti modalità sensoriali. I circuiti celebrali sembrano esprimere da un punto di vista neurale un livello di descrizione personale, come quello fenomenico, che ci dimostra quotidianamente come le interazioni del nostro corpo con il mondo e con gli altri è di fatto multimodale. Per esempio: ogni azione che compiamo con il nostro corpo contiene non solo ovvie componenti motorie, come movimento, ampiezza, direzione, forza, e così via, ma anche svariati contenuti percettivi, come la visione della nostra mano quando stiamo per afferrare una tazzina di caffè, l’immagine posizione iniziare del della nostro l’azione, la tazza, braccio la propriocezione e della nostra mano posizione della tazzina relativa al rispetto alla momento al di nostro corpo, il senso di pressione e calore esercitato dalla tazzine sulle nostre dita che l’afferrano, il suono prodotto dal movimento di rotazione del cucchiaino che mescola lo zucchero nel caffè, l’aroma che ne promana. La stessa logica si applica al tatto. La modalità sensoriale del tatto, sia quando esperita soggettivamente sia quando vista sperimentare dagli altri, è sostenuta da processi dinamici di integrazione multimodale, che comprendono del sistema corticale motorio somatico e viscerale. Sono stati proprio degli studi Fmri a l’attivazione 37 dimostrare come l’osservazione di una persona che viene toccata attiva una parte delle stesse aree celebrali che si attivano quando ad essere toccato è il nostro corpo. 37 Ivi p. 224 58 Questa tendenza di “ riuso” di alcune aree celebrali, già esposta nella simulazione incarnata rispetto alla visibilità, avviene durante l’osservazione di ogni tipo di contatto, sia esso una parte corporea o un oggetto, non ha importanza cosa viene toccato ma l’osservazione del contatto. Non solo, l’attivazione di questi processi neurali avviene anche durante la lettura di metafore linguistiche a contenuto tattile. I risultati delle ricerche dimostrano come la sensazione di voler toccare le immagini, i corpi, gli oggetti ha origine nella simulazione incarnata messa in atto da i neuroni specchio. 59 4° capitolo Il post-cinema Dopo aver approfondito la percezione cinematografica da un punto di vista neuroscientifico e filosofico, ho scelto di incentrare mediazione l’ultimo e capitolo fruizione che la sulle nuove rivoluzione forme di digitale ha portato con sé, interrogando la persistenza del cinema in un era definita “post-cinemtografica” in cui il cinema ha subito delle profondamente conseguenze modificare molte travolgenti, caratteristiche vedendosi che lo rendevano unico. Un quadro lucido ed esauriente della nuova condizione del cinema l’ha fornita Francesco Casetti nel suo libro più recente, La galassia Lumière ( Bompiani, 2015 ). Il critico ha offerto un panorama completo di quelle che sono state le trasformazioni mediali della settima arte alla luce della rivoluzione digitale, dimostrando come vi sia stato in prima istanza, un assottigliamento del mezzo cinematografico. Riprendendo un frammento di Walter Benjamin, Casetti ha descritto l’evoluzione del mezzo cinematografico, dimostrando come il tessuto dell’esperienza cinema ovvero l’insieme delle modalità con cui un’opera attua la sua mediazione ha lentamente perso, con il passare degli anni, spessore e compattezza, acquistando invece una maggiore “ leggerezza”. L’opera non cambia in sé, ma si modificano profondamente i modi della sua accessibilità. Questo porterebbe secondo Casetti una nuova disponibilità e immediatezza dell’opera, che ormai spogliata di ogni 60 resistenza ideale si mostra come una presenza più familiare, mostrando i suoi veri tratti. Il cinema sembra spogliarsi di quella pesantezza che lo legava ai metodi produttivi, agli studios e alle grandi sale, all’insieme di vincoli e norme, diventando più facile e diretto sia dal punto di vista della produzione che della fruizione. Il cinema espandendosi e “ rilocandosi” in nuovi ambienti e devices, come ad esempio smartphone e tablet risulta così a portata di mano. Il diradarsi dell’atmosfera che lo circonda ne mette in luce la vera natura. Scopriamo sempre di più che cosa il cinema è, che cosa ha voluto essere, e che cosa avrebbe potuto essere. Non più protetto dallo spessore dell’istituzione esso ci parla pienamente di sé. Siamo dunque ben lontani da ogni idea di decadenza. Il cinema rilocato sembra rappresenta quel momento di assottigliamento del medium che consente una disponibilità ma anche una penetrazione dell’oggetto nella nostra esperienza. 38 Un secondo elemento che Casetti riporta nel suo libro per avvalorare la persistenza del cinema riguarda invece le strategie di riconoscimento, ed è definito dall’autore come Il paradosso del riconoscimento. Come tutte le tecnologie anche il cinema dalla sua nascita ha avuto il suo processo di sviluppo segnato da vari gradi. Il riconoscimento è ciò che fa essere una cosa quella che è e questo può avvenire solo tramite un processo sociale. Per quanto riguarda il cinema, il valore del mezzo non viene attribuito tanto al momento della sua scoperta 38 Francesco Casetti, La galassia Lumière, Sette parole chiave per il cinema che viene, Milano, Saggi Bompiani, 2015. p. 318 61 quanto al momento in cui è emerso un vero e proprio riconoscimento sociale. L’apparizione di qualsiasi tecnologia apre semplicemente la strada a diverse stabilizzazione possibilità, delle procedure ad che essa si segue una trasformano in pratiche ricorrenti, per avere in fine un vero e proprio riconoscimento della “ personalità “ e consapevolezza delle “ facoltà” del mezzo. Nella fase finale, qualsiasi tecnologia, compreso il cinema, si trasforma in una istituzione. Questo è quello che secondo Casetti sta accadendo adesso, il cinema ci chiede di confermarlo e riconoscerlo, qualsiasi sia la sua veste. Anche se questo può voler dire operare una forzatura, scendere a compromessi rinunciando al fatto di non avere una sala buia differenze ad esempio, manipolando cerchiamo quello che di minimizzare abbiamo le davanti, per renderlo di nuovo compatibile. In questo modo, inventiamo una continuità 39 , accettiamo le diversità del cinema per avvalorare di nuovo la sua esistenza, non pretendiamo che sia uguale, allarghiamo il quadro per includere altre possibilità, per tenerlo in vita e per emozionarci ancora. Una delle più evidenti modifiche apportate dai cosiddetti nuovi media, modificato, riguarda almeno quell’aspetto in parte, con che già era l’avvento stato della televisione, la posizione dello spettatore. Il secolo del cinema ci aveva abituati ad uno spettatore statico, fermo di fronte allo schermo, concentrato a vedere il movimento proiettato. 39 Ivi p. 322 62 Il primo passo avvenuto con spettatore verso una l’arrivo restava nuova dello seduto, posizione schermo ma con e mobilità è televisivo, lo possibilità di la modificare il flusso di informazioni e contenuti. Le tecnologie hanno digitali modificato diffusesi la nel concezione ventunesimo dello secolo spettatore, ricollocandolo in quella che è stata definita l’era postcinematografica e post-televisiva, gli schermi sono comparsi su autobus treni e aerei, e , viste le dimensioni ormai drasticamente ridotte, possono essere giro anche senza fili, questo ha dato vita ad portati in una doppia mobilità, quella dello spettatore e dello schermo. La comparsa di laptop e smartphone, ha portato una modifica integrale di quella che era la posizione dello spettatore cinematografico. Il tema della posizione dello spettatore sembra essere legato non solo ad un discorso relativo al luogo dove il film viene visto, la sala, ma risulta decisivo anche in termini percettivi. La staticità fisica prodotta dalla “situazione cinematografica”, risulta determinante per comprendere lo sdoppiamento dell’esperienza che vive lo spettatore tramite la simulazione incarnata. La rivoluzionaria forma di esperienza prodotta dai nuovi dispositivi portatili ( smartphone e tablet ), come hanno descritto Vittorio Gallese e Michele Guerra nel libro “Lo schermo empatico”, è legata al tipo di “relazione pragmatica” che favoriscono i dispositivi. Il dispositivo è manipolabile, richiede un’interazione motoria che non si limita alle ripetute digitazioni che si possono effettuare anche con un telecomando a distanza. L’interattività che si mette in pratica con i nuovi media è legata al contatto tattile con l’immagine. 63 L’immagine che guardiamo diviene per la prima volta anche la traduzione di un nostro atto motorio intenzionale, come quando divaricando le dita che strisciano sullo schermo. ingrandiamo l’immagine 40 Questa relazione tra l’intenzione dello spettatore ed il film crea una nuova fusione tra l’immagine e il movimento, instaurando una vera e propria relazione fisica che avviene tramite il tatto. Grazie ai nuovi dispositivi si realizza quello che nel precedente capitolo avevo descritto come una sensazione. Secondo i due ricercatori de Lo schermo empatico, l’intervento tattile, di ingrandimento e rimpicciolimento, prodotto dal contatto con la superficie dello schermo, da la possibilità alle immagini di assorbire le nostre intenzioni che modificandosi, amplificherebbero il nostro coinvolgimento corporeo già in atto grazie alla simulazione incarnata. La relazione che si instaura tra dispositivo e corpo non è più esclusivamente oggettiva, l’interazione corporea porta ad una inscrizione fisica del soggetto con l’oggetto. Secondo Hansen, spodesta il l’introduzione linguaggio dal suo dell’esperienza della realtà, esperienza mondo una corporea. La del delle nuove ruolo mettendo nuova tecnologie di al visualità dominante centro non della digitali vettore nostra linguistica, ma 41 rivoluzione digitali, tecnologica riporta il corpo affermata e dai l’interazione nuovi media motoria al centro del rapporto tra individuo e realtà. 40 Vittorio Gallese e Michele Guerra, Lo schermo empatico, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2015. p. 236 41 Ivi p. 265 64 Conclusioni La ricerca esposta nella tesi ha cercato di interrogare la percezione tramite l’uso di più discipline e di mostrare come l’individuo, si relaziona sia con il mondo reale che con il mondo dell’immaginario o di finzione. Dalla ricerca fenomenologica di Merleau Ponty, è emerso come nella percezione del mondo e degli altri vi sia un collegamento inscindibile, realizzato attraverso il corpo, in cui il soggetto e l’oggetto s’intrecciano. Le intuizioni del filosofo sono state dimostrate da quelle scoperte neuroscientifiche, in particolare dalle indagini sul sistema motorio. Le scoperte dei neuroni canonici e specchio hanno verificato una comprensione dell’agire altrui fondato su base corporea, tramite quella che nella tesi è stata definita simulazione incarnata. La simulazione ha dimostrato come la comprensione dell’agire altrui abbia un’origine neurobiologica. I neuroni del sistema motorio normalmente utilizzati per compiere atti motori, si attivano nonostante l’azione non venga eseguita in prima persona ma soltanto vista eseguire. L’attivazione, di questi neuroni dell’aria pre motoria che danno il via alla simulazione incarnata, avviene se l’azione viene eseguita, vista, udita e immaginata. I comportamenti, le emozioni e sensazioni altrui, sono compresi prima di tutto attraverso un processo che riutilizza gli stessi circuiti neurali su cui si fonda l’esperienza in prima persona di quell’emozione, sensazione o azione. 65 Le scoperte hanno portato alla luce cosa accade quando un’emozione viene osservata, dimostrando che l’osservazione dell’emozione provoca anche una simulazione istantanea di quella data emozione, questo ha portato i neuroscienziati ad unire due processi che si credevano separati, la percezione e l’azione e a stabilire che osservare significa simulare. La simulazione incarnata diviene così una funzione neurobiologica fondamentale per la sfera dell’intersoggettività, anche quella mediata, proprie della finzione narrativa, come quella cinematografica. Durante la percezione cinematografica il rapporto che lo spettatore instaura con i personaggi è lo stesso. La simulazione incarnata si attiva, avviene un “ riuso “ di quei circuiti celebrali normalmente usati nella quotidianità per comprendere comportamenti ed emozioni. Le neuroscienze oltre a chiarire i meccanismi percettivi che s’instaurano durante la visione di un film, hanno saputo fornirci delle risposte considerevoli a proposito dei movimenti di macchina, entrando in quella disciplina che è l’estetica sperimentale cinematografica. Un esperimento in particolare ha dimostrato come l’immedesimazione dello spettatore durante la visione di un film è maggiore se il movimento della MDP ripropone delle caratteristiche antropomorfiche, ovvero se la macchina da presa interpreta e si muove nello spazio apparentemente tridimensionale come un vero e proprio corpo umano, realizzando quello che Vivian Sobchack definisce “ l’io posso” della macchina da presa. Così avviene l’immedesimazione, il corpo interpretato dalla MDP mostra l’immanenza di un corpo che grazie ad uno sguardo e ad un movimento con caratteristiche umane riesce 66 a scomparire e a immergere lo spettatore nello spazio tempo del film. Lo studio dei neuroscienziati fornisce per la prima volta le basi neurofisiologiche delle capacità della Steadicam di favorire l’immedesimazione con la prospettiva della MDP. L’immedesimazione si basa su la capacità dei neuroni specchio di incorporarsi ai movimenti provocati dal mezzo; movimenti così simili al nostro agire quotidiano. L’esperimento dimostra come l’utilizzo della Steadicam provochi una sorta di movimento indipendente dello spettatore all’interno della scena, prodotto dall’attivazione della simulazione motoria. Il coinvolgimento dello spettatore durante l’esperienza cinematografica si può così riassumere, come un vero corpo a corpo tra lo spettatore ed il film. 67 Bibliografia Braga, Paolo, Dal personaggio allo spettatore Il coinvolgimento nel cinema e nella serialità televisiva americana, Franco Angeli, Milano, 2003. Carbone, Mauro, Sullo schermo dell’estetica La pittura, il cinema e la filosofia da fare, Mimesis, Milano, 2008. Casetti, Francesco, La galassia Lumière Sette parole chiave per il cinema che viene, Saggi Bompiani, Milano, 2015. Dalmasso, Anna Caterina, Il cinema come reversibilità di percezione ed espressione. http://riviste.unimi.it/index.php/MdE/article/download/454 5/4635. Dalmasso, Anna Caterina, Il rilievo della visione Movimento, profondità, cinema. http://www.academia.edu/1961048/Il_rilievo_della_visione._ Movimento_profondit%C3%A0_cinema_ne_Le_monde_sensible_et_l e_monde_de_l_expression_2010. 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