Tavola Rotonda su Il romanzo in prosa tra Francia e Italia: stato
della questione e nuovi percorsi di lavoro
Relatori: Fabrizio cigni, Roberto Tagliani,
Lino Leonardi, claudio Lagomarsini
Quello che intendiamo presentare è il punto dei lavori che all’interno della branche italiana della S.I.A. si stanno conducendo sulla
tradizione del romanzo arturiano in prosa. ci è sembrato opportuno
infatti non trascurare anche in quest’occasione un ambito della diffusione della materia bretone che, vista la mole delle testimonianze
coinvolte e le relazioni che esse intrattengono con altri testi e generi,
nonché con altri dominii disciplinari e linguistici (codicologia, storia
dell’arte, storia della lingua), è in continuo aggiornamento. In particolare, gli ultimi, intensi decenni di studi dedicati soprattutto alle
traduzioni-adattamenti, così rilevanti dal punto di vista linguistico e
redazionale per la loro antichità e diffusione, hanno fatto maturare
i tempi anche per una riconsiderazione critica delle loro tradizioni
complessive in lingua originale, e per una valutazione più ponderata
del valore storico-letterario e del peculiare contesto in cui, di volta
in volta, ogni copia, ogni volgarizzamento ha visto la luce. corte,
città, comune si configurano, a metà del sec. XIII, come luoghi di
produzione e/o di ricezione interlinguistici che certo non guardano
alle frontiere nazionali post-medievali (superfluo rimandare ai destini paralleli della lirica provenzale, della letteratura mediolatina) 1.
Riteniamo che è in questa prospettiva storica e geografica che debbano essere affrontate anche le tradizioni, dirette e indirette, di due
romanzi come il Tristan in prosa e il Guiron le Courtois, quest’ultimo
peraltro ancora inedito, per comprendere appieno i loro meccanismi testuali, sia genetici che evolutivi.
le ‘Versioni’ del ROMAN DE TRISTAN in ProsA. La disponibilità del
testo completo da una parte, e lo studio di vecchi e nuovi reperti
dall’altra 2, spinge a una nuova impostazione delle ricerche che veda
1
cfr. a questo riguardo anche Lo spazio letterario del Medioevo. 2. Il Medioevo
volgare, dir. P. BoitAni, M. MAncini, A. VàrVAro, vol. I, t. II.
2
Ultime in ordine di tempo: k. BusBy, “Text and Image in the Getty Tristan, Los
Angeles, J. Paul Getty Museum, MS Ludwig XV, 5.”, in Medieval Manuscripts, Their
228
tAVolA rotondA
all’opera un auspicabile coordinamento di forze. In particolare,
le conclusioni cui giungono le due pubblicazioni più recenti del
testo completo del romanzo, rispettivamente secondo il ms. 2542
della Österreichische nationalbibl. di Vienna (a partire del par. 92
dell’analyse di e. Löseth) 3 e tutto il secondo tomo del fr. 756-757
della BnF di Parigi 4, suggeriscono ulteriori scavi: innanzitutto
intorno al milieu di origine di questo codice, la cui facies linguistica
e redazionale lo rende un prodotto isolato nella tradizione francoitaliana del romanzo; quindi sulle relazioni tra le due versions
principali, la I (valida a partire come è noto da Löseth, par. 184) e
la II, delle quali i suddetti manoscritti si configurerebbero rispettivamente come i più completi rappresentanti. L’analisi della presenza
intermittente della Queste del Saint Graal nei codici che tramandano
anche la seconda parte della storia, e in particolare nei fr. 1628, 758
e 104 della BnF, tre manoscritti di notevole antichità, frammentari
ma spesso contenenti lezioni e tratti genuini, sembra tuttavia isolare
ancora di più la posizione del testo tramandato dal fr. 756-757, la cui
redazione il Löseth giudicò breve e migliore - sempre a partire dal
par. 184 – solo in base a ragioni interne al suo riassunto critico 5. Si
rivaluterebbe allora il risultato di e. Baumgartner in merito alla cen-
Makers and Users: A Special Issue of Viator in Honor of Richard and Mary Rouse,
Turnhout 2011, pp. 1-25. d. de cArné - y. greuB, Le fragment de Nancy du Tristan en
prose, XXIIIrd Triennial Congress of the International Arthurian Society, Bristol, 25-30
July 2011 (comunicazione orale).
3
e. löseth, Le roman de Tristan, le roman de Palamède et la compilation de
Rusticien de Pise, Paris 1891.
4
Ph. MénArd (dir. e ed.), Le Roman de Tristan en prose, tt. I-IX, Genève 19871997; Ph. MénArd (dir.), Le Roman de Tristan en prose (Version du manuscrit fr.757 de
la Bibliothèque Nationale de Paris), tt. I-V, Paris 1997-2007.
5
In generale la questione è ripresa da e. Polley, La retransmission de la “Queste”
Vulgate par le” Tristan” en prose, in «Questes», n. 11, pp. 17-25. Per aspetti peculiari
cfr. invece L. leonArdi, Il Torneo della Roche Dure nel “Tristan” in prosa: versioni a
confronto (con edizione dal ms. B.N., fr. 757), in «cultura neolatina», LVII (1997), pp.
209-251; f. MorA, D’un manuscrit à l’autre. Récriture et créativité dans deux manuscrits de la version brève du “Tristan en prose”: le combat de Tristan et de Palamède
devant le roi Galcodin, in Par les mots et les textes. Mélanges … Claude Thomasset, a
cura di d. James-Raoul e O. Soutet, Paris 2005, pp. 551-561; B. MillAnd-BoVe, “La
damisele (…) qui sa seror desheritoit». Enjeux d’une récriture dans le ‘Tristan en prose’,
in «Romania», cXVII (1999), pp. 78-97; f. MorA, La tentation de la nouvelle dans le
roman en prose du XIIIe siècle: l’épisode du compagnonnage d’Eugenés et de Galaad
dans la version brève du “Tristan en prose”, in Devis d’amitié. Mélanges N. Cazauran,
Paris 2002, pp. 25-37 ; d. JAMes-rAoul, Rhétorique de l’entrelacement et art de régir la
fin: le cas du Tristan en prose (Ms. Vienne 2542), in «PRIS-MA», XV/2, 29 (1999), pp.
85-111.
IL
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FRANCIA
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ITALIA
229
tralità e alla diffusione nel corso del sec. XIII di un’unica versione, la
V.II, a giudizio della studiosa ben rappresentata dal ms. fr. 335-336
della BnF di Parigi, successivamente reintegrata con ulteriori episodi della Queste (vale adire V.III, della quale, di fatto, il ms. di Vienna
scelto come base dell’edizione Ménard è un rappresentante) 6.
Quanto al testo della prima parte del romanzo, il lavoro intrapreso a
suo tempo da R.L. curtis 7, che aveva portato alla ribalta il ms. 404 della
Bibl. Municipale di carpentras (penalizzato per forza di cose nell’edizione Ménard) e il suo gruppo di appartenenza, formato in prevalenza
da codici di origine italiana, che si caratterizzava per l’assenza di interpolazioni, può essere rivalutato ora dalle recenti ricerche codicologiche
intorno alla tradizione “meridionale” (o italo-iberica) del romanzo, nella
quale le copie francesi approntate in Italia 8 occupano appunto un ruolo
preminente. Per citare un esempio, il sottogruppo formato dal ms. fr.
12599 della BnF di Parigi e dal ms. fr. 750, della stessa biblioteca, che
riportano, tra gli altri, episodi della prima parte del romanzo entrambi
a partire dal par. 59 del Löseth e che sono uniti dal medesimo entrelacement delle avventure di Brunor li noir, il Vallet à la Cotte Maltailliée,
trova una collocazione crono-geografica plausibile all’interno di un quadro di rapporti mediterranei tra Stati crociati e Repubbliche marinare
(Genova) grazie anche alle indagini che parallelamente sono state approfondite sulla tradizione franco-italiana del Tresor di Brunetto Latini 9.
6
e. BAuMgArtner, Le «Tristan en prose». Essai d’interprétation d’un roman médiéval, Genève 1975; ead., Histoire d’Helain le Blanc: du “Lancelot” au “Tristan” en prose,
in Et c’est la fin pour quoy sommes ensemble: hommage a Jean Dufournet: litterature,
histoire et langue du Moyen Age, Paris 1993, t. I, pp. 139-148.
7
r.l. curtis, Le Roman de Tristan en prose, vol. I, München 1963; vol. II, Leiden
1976; vol. III, cambridge 1985. Sostenitrice di una doppia paternità del romanzo
sulla base dei prologhi ed epiloghi diversi in cui compaiono Luces del Gat ed Hélie
de Boron, espose le sue idee al riguardo di V.I e V.II in: Les deux versions du Tristan
en prose: examen de la théorie de Löseth, in «Romania», LXXXIV (1963), pp. 390-398;
eAd., Who wrote the „Prose Tristan”? A new look at an old problem, in «neophilologus»,
LXVII, 1983, pp. 35-41).
8
c. AlVAr, Tristanes italianos y Tristanes castellanos, in «Studi Mediolatini e
Volgari», XLVII (= Testi, generi e tradizioni nella Romania medievale, I, Atti del VI
convegno della SIFR, Pisa, 28-30 settembre 2000, a cura di F. cigni e M.P. Betti),
pp. 57-75; J.M. luciA MegíAs, Literatura caballeresca catalana: de los testimonios a la
interpretación (un ensayo de crítica ecdótica), in «caplletra», 39 (2005), pp. 231-256;
M.l. cuestA torre, La lanza herbolada que mató a Tristán: la versión castellana medieval
frente a sus correlatos franceses e italianos (cap. 80 del “Tristán de Leonís” de 1501), in
Medievalismo en Extremadura: estudios sobre literatura y cultura hispánicas de la Edad
Media, a cura di J. cañas Murillo, F. J. Grande Quejigo, J. Roso díaz, 2009, pp. 499-514.
9
In particolare intorno all’archetipo cui farebbero capo manoscritti come il
fr. 726 della BnF di Parigi e il ms.L.II.3. della Biblioteca della Biblioteca Real de
230
tAVolA rotondA
La posizione di questi manoscritti all’interno della classificazione Löseth-Baumgartner è stata sempre bifronte a causa del contenuto frammentario, o meglio antologico, di parti iniziali (giovinezza di
Tristano), centrali (torneo di Loverzep) e finali (morte degli amanti,
senza la Queste) del romanzo 10. Identificata tuttavia la V.I con il
solo fr. 757, che contiene la seconda parte del romanzo del Löseth,
ma considerata in extenso, un confronto serrato delle stratificazioni
redazionali permette di classificare le redazioni dei restanti codici
copiati in Italia in modo più congruo rispetto ai codici di origine
francese, completi o frammentari, tutti appartenenti a V.II o alle sue
interpolazioni successive. Si scopre cioè che: nessun manoscritto
di origine francese appartiene a V.I, mentre nessuno di quelli italiani che farebbero capo a questa “versione” riporta il romanzo per
intero, eccetto appunto il 756-757. Più opportuno mi sembra allora
classificare i manoscritti di origine italiana come rappresentanti di
una VII.a (con le dovute differenziazioni 11), considerandoli latori di
una redazione di origine francese che in qualche modo fa sempre i
conti con la Queste nella seconda parte, anche eliminando le parti
ritenute superflue, poiché si scoprono dei punti di contatto e delle
analogie di stratificazione con manoscritti antichi del romanzo, di
origine francese, come i tre codici che ho citato all’inizio, nei quali,
anche seguendo solo l’analyse del Löseth, si può assistere a un processo di primitiva ciclizzazione 12.
Fabrizio Cigni
San Lorenzo de l’escorial: cfr. f. zinelli, Sur les traces de l’atelier des chansonniers
occitans IK: le manuscrit de Vérone, Biblioteca Capitolare, DVIII et la tradition méditerranéenne du ‘Livres dou tresor’, in “Medioevo romanzo”, XXXI (2007), pp. 7-69; id.,
Tradizione ‘mediterranea’ e tradizione italiana del “Livre dou Tresor”, in A scuola con
ser Brunetto. Indagini sulla ricezione di Brunetto Latini dal Medioevo al Rinascimento.
Atti del convegno internazionale di studi (Università di Basilea, 8-10 giugno 2006),
a cura di I. Maffia Scariati, Firenze, sisMel-edizioni del Galluzzo, 2008, pp. 35-89.
10
M. J. heiJkAnt, La tradizione del Tristan in prosa in Italia e proposte di studio
sul Tristano Riccardiano nijmegen, 1989; d. delcorno BrAncA, Tristano e Lancillotto
in Italia. Studi di letteratura arturiana, Ravenna 1998.
11
Ad esempio il fr. 1434 della BnF di Parigi risulta copiato nella Francia settentrionale ma assemblato in Italia: cfr. R. zAnni, Il Tristan en prose tra Francia e Italia:
note su Bnf fr. 94 e Bnf fr. 1434, c.s. (devo il dattiloscritto alla cortesia dell’autrice).
12
Per ulteriori approfondimenti mi permetto di rimandare al mio Per un riesame
della tradizione del Tristan in prosa alla luce di vecchie e nuove edizioni, con nuove
osservazioni sul ms. Paris, BnF, fr. 756-757, in Culture, livelli di cultura e ambienti nel
Medioevo occidentale (Bologna, 5 - 8 ottobre 2009), Atti del VII convegno triennale
della Società Italiana di Filologia Romanza (S.I.F.R.), a cura di l. Formisano e G.
Giannini, c.s.
IL
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FRANCIA
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ITALIA
231
il ROMAN DE TRISTAN in ProsA e l’itAliA: Questioni APerte. La fortuna italiana del Tristan en prose è di gran lunga superiore – specie sul côté volgare – a quella accordata al Guiron o al Lancelot,
principalmente a causa del tipo narrativo attuato dal Tristan, più
lineare e categorizzabile rispetto a quello di altri romanzi in prosa.
Organizzato per accrescimento paratattico e giustappositivo di un
nucleo centrato sul protagonista e le sue aventures, il romanzo
impiega moderatamente l’entrelacement e si presta con maggior
facilità di altri ad una circolazione in forma antologica. Generato
in Francia, il romanzo giunse in Italia nel pieno duecento, penetrando nelle corti settentrionali (ove il francese godeva di prestigio
letterario), in quelle meridionali (su impulso angioino) e presso i
municipi toscani, specie in area pisana e lucchese. Qui iniziarono
a prodursi e diffondersi copie in lingua d’oïl che oggi rappresentano circa un quarto della tradizione testuale superstite. Quasi
contemporaneamente si svilupparono, in Toscana, i primi tentativi di rielaborazione letteraria dei materiali francesi: nacquero
opere come la Compilazione arturiana di Rustichello, o raccolte
come quella del ms. fr. 12599 della Bibliothèque nationale di
Parigi 13, che testimoniano la necessità di riordinare e semplificare una mole di materiali narrativi così abnorme, propendendo
per una ricezione antologica, compendiata e persino contaminata
con altre narrazioni arturiane. La selezione 14, dedotta dai testimoni superstiti, sembrerebbe rispondere ad una precisa “regia”,
focalizzata su alcuni punti nevralgici della biografia tristaniana:
la giovinezza dell’eroe e il suo ingresso nel contesto arturiano
(Löseth §§ 19-74a); il soggiorno degli amanti alla Joyeuse Garde e
il torneo di Louveserp (Löseth §§ 338b-384); il ritorno di Tristano
in cornovaglia, la morte degli amanti e il lutto della corte di Artù
(Löseth §§ 534-551 e 568-570).
La tendenza centonatoria s’intensificò col sorgere delle traduzioni italiane che, dall’ultimo scorcio del duecento fino al Quattrocento
inoltrato, si diffusero tra Toscana e Veneto, costituendo un corpus
di indubbio valore letterario, oltreché linguistico. La conservazione
13
Sul quale si veda F. cigni, Guiron, Tristan e altri testi arturiani. Nuove osservazioni sulla composizione materiale del ms. Parigi, BNF, fr. 12599, in «Studi mediolatini
e volgari», 45 (1999), pp. 31-69.
14
Già segnalata in F. cigni, Roman de Tristan in prosa e “compilazione” di
Rustichello da Pisa in area veneta. A proposito di una recente edizione, in «Lettere italiane», XLVII/4 (1995), pp. 598-622, alle pp. 604-605; cfr. anche d. delcorno BrAncA,
Tristano e Lancillotto in Italia. Studi di letteratura arturiana, Ravenna 1998, pp. 73-76.
232
tAVolA rotondA
di un numero così rilevante di testi non è dovuto a singolare fortuna, ma racconta di una familiarità del pubblico italiano – cortese e
mercantile – con il Tristan, preferito al pur conosciuto e apprezzato
Lancelot. La scelta non pare influenzata da accidenti fortuiti della
tradizione manoscritta; si dovrà perciò ritenere che il Tristan si sia
meglio adattato alle esigenze del nuovo contesto sociale di quanto non abbia fatto il Lancelot, che si mantenne lettura prediletta
degli ambienti culturali e sociali più elevati (si pensi a dante o alle
corti settentrionali), ma nella facies linguistica originale. Il Tristan,
invece, divenne facile appannaggio della classe borghese, economicamente in espansione e desiderosa di leggere, possedere e fare
proprie – anche in senso linguistico – quelle che Folena definì «le
fluviali prose di romanzi francesi» 15.
Il corpus dei testi italiani, vario per genesi, cronologia e provenienza 16, comprende così versioni più o meno ampie del romanzo (il
Tristano Riccardiano 17, il Tristano Riccardiano 1729 18 e il Tristano
Veneto 19), ma anche antologie contaminate con altre narrazioni
arturiane (il Tristano Panciatichiano 20), ampi rimaneggiamenti e
riscritture in chiave attualizzata (la Tavola Ritonda 21 e il Tristano
Palatino 556, noto anche come Tavola Ritonda padana 22), unitamente a forme di circolazione autonoma di singoli episodi della
15
G. folenA, La cultura volgare e l’umanesimo cavalleresco nel Veneto [1964], in
Id., Culture e lingue nel Veneto Medievale, Padova 1990, pp. 377-394, a p. 387.
16
Ometto, per brevità, indicazioni di maggior dettaglio; per un quadro agile
ed aggiornato sulla questione, mi permetto di rinviare all’Introduzione della nuova
edizione critica da me curata de Il Tristano Corsiniano, Roma 2011, pp. 12-23, e alla
bibliografia ivi citata.
17
Il Tristano Riccardiano, a cura di e.G. Parodi, Bologna 1896, rist. anast. a cura
di M.-J. Heijkant, Parma 1991; nuova edizione critica in Il romanzo di Tristano, a cura
di A. Scolari, Genova 1990.
18
Il testo è stato trascritto da Y. grAttoni, Il romanzo di Tristano del codice
Riccardiano 1729. Saggio di edizione critica, tesi di laurea, Università degli studi di
Milano, a.a. 2003-04.
19
Il libro di messer Tristano (“Tristano Veneto”), a cura di A. donadello, Venezia
1994.
20
Il Tristano Panciatichiano, edited and translated by G. Allaire, cambridge 2002.
21
La Tavola Ritonda o l’Istoria di Tristano, I. Prefazione, Testo dell’opera; II.
Illustrazioni, a cura di L.F. Polidori, Bologna 1864-1866; ristampata, con rari interventi sul testo critico e annotazioni di tenore divulgativo, da M.-J. Heijkant (La Tavola
Ritonda, Milano-Trento 1997) e da e. Trevi (La Tavola Ritonda, Milano 1999).
22
edizione facsimilare del manoscritto, accompagnata dalla trascrizione del
testo: Tavola Ritonda. Manoscritto Palatino 556, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.
Trascrizione e commenti, a cura di R. cardini, Roma 2009.
IL
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233
vicenda (il Tristano Corsiniano e il lungo frammento di Todi 23) e ad
una non irrilevante costellazione di sopravvivenze frammentarie (i
lacerti della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia 24 e della nazionale
di Firenze 25, i brevi brani trascritti nello Zibaldone da Canal 26) che
ci raccontano di una corposa e varia tradizione perduta.
I Tristani italiani sono al tempo stesso testi letterari e monumenti
di lingua: in questa duplice veste sono stati, da sempre 27, studiati,
suscitando il loro maggior interesse per il dato filologico e linguistico piuttosto che per quello letterario. Sebbene i lavori di daniela
delcorno Branca 28, Fabrizio cigni 29 e di Arianna Punzi 30 abbiano
affrontato numerose questioni letterarie relative a molti di questi
testi, è rimasto fino ad oggi vigente l’impianto entro cui sono stati
collocati dal primo, pionieristico, quadro di sintesi che li ha riguardati, premesso da Parodi all’edizione ottocentesca del Riccardiano.
da allora, si è fatta molta strada: questo secolo di studi ha consentito di approntare edizioni affidabili pressoché per tutti i testi citati31; rimane da capire quanto l’apparire delle stesse abbia mutato,
corretto o meglio precisato la valutazione tradizionale dei singoli
testimoni e dell’intero corpus. Si deve infatti osservare che gli studi
hanno privilegiato una prospettiva d’indagine che ha individuato
un preciso asse “evolutivo” della letteratura tristaniana, che parte
dal Riccardiano e giunge alla Tavola Ritonda, per poi trasmettersi
23
G. PArAdisi, A. Punzi, Il Tristano dell’Archivio di Stato di Todi. Edizione, in
«critica del testo», V/2 (2002), pp. 541-556.
24
G. sAVino, Ignoti frammenti di un Tristano dugentesco, in «Studi di filologia
italiana», XXXVII (1979), pp. 5-17.
25
g. AllAire, Notizie di manoscritti. Un nuovo frammento del Tristano in prosa
(Bibl. Naz. Firenze, ms. Nuovi Acquisti 1329, maculatura 44), in «Lettere italiane»,
LIII/2 (2001), pp. 257-277.
26
Zibaldone da Canal, manoscritto mercantile del sec. XIV, a cura di A. Stussi,
Venezia 1967.
27
A partire dal capostipite, il Riccardiano, che – è bene ricordarlo – fu pubblicato
nella Collezione di opere inedite e rare della commissione per i Testi di Lingua.
28
d. [delcorno] BrAncA, I romanzi italiani di Tristano e la Tavola Ritonda, Firenze
1968; eAd., Tristano e Lancillotto, cit.
29
F. cigni, Tristano e Isotta nelle letterature francese e italiana, in Tristano e Isotta.
La fortuna di un mito europeo, a cura di M. dallapiazza, Trieste 2003, pp. 29-129.
30
A. Punzi, Tristano. Storia di un mito, Roma 2005.
31
Manca ancora una nuova edizione critica della Tavola Ritonda, ma sono noti e
focalizzati i problemi dell’edizione Polidori (S. guidA, Per il testo della Tavola Ritonda.
Una redazione umbra, in «Siculorum Gymnasium», 32 (1979), pp. 637-667; delcorno
BrAncA, Tristano e Lancillotto, cit., pp. 99-113); per il Riccardiano 1729 disponiamo
della citata trascrizione, largamente affidabile anche se ancora inedita, curata da
Ylenia Grattoni.
234
tAVolA rotondA
a Boiardo e Ariosto. In questo schema, i frammenti superstiti della
tradizione sono stati spesso considerati dei “luoghi geometrici” di
un ideale piano euclideo, e valutati più a partire dalla vicinanza o
dalla distanza rispetto a quella linea evolutiva piuttosto che studiati
come testimonianze di una “lingua letteraria” destinata ad un “pubblico” (per evocare la ben nota clausola auerbachiana).
Rimangono ancora aperti alcuni interrogativi di fondo, che mi
permetto di elencare per fornire una traccia alla discussione, evocando alcuni degli auspicati nuovi percorsi di lavoro che questa tavola rotonda ci sollecita ad individuare. Il primo riguarda lo statuto
letterario del corpus in quanto tale: questa costellazione di testi, pur
nella sua estrema varietas, dovrà trovare una giustificazione storica
e ideologica che, superata la mera classificazione dei rapporti tra
i superstiti, risponda ad una questione cruciale: se, cioè, quanto è
rimasto sia frutto di meri accidenti di trasmissione o se, al contrario,
dal corpus emerga, in certo modo, una lettura italiana del romanzo,
affatto diversa da quella delle corti francesi, nelle quali il modello fu
concepito. ciò è tanto più cruciale quando si consideri come persino
i lacerti più miseri e inconsistenti mostrino, accanto all’urgenza di
traslitterare il testo, precise intenzioni – talora semplici velleità – di
natura letteraria. Una seconda questione riguarda le modalità di
selezione dei materiali. come sappiamo, il Roman de Tristan racconta l’ingresso di un personaggio esterno, e per certi versi, estraneo
– Tristano – in un mondo dai contorni cortesi solidi e tradizionali,
rappresentato della corte arturiana. Tristano non nasce, ma diventa cavaliere della Tavola Rotonda proprio a partire dal Roman de
Tristan en prose. La parabola formativa di questo personaggio avrà
pur avuto, nel Medioevo dei comuni toscani, delle città e delle corti
padane, qualche significato identificativo; avrà risposto a qualche
esigenza culturale – cui, forse, si dovrà addebitare la preferenza
accordata dalla tradizione italiana al côté epico-militare della trama
romanzesca, rispetto a quello amoroso e magico. Il terzo quesito
concerne il modello (o, per meglio dire, i modelli): da quale romanzo
si è irradiata la tradizione italiana? da quale versione (o da quali versioni) ha preso le mosse? e non mi riferisco, con ogni evidenza, alla
vexata quaestio relativa alle versions, sulla cui consistenza Fabrizio
cigni ha segnalato più di un plausibile dubbio, quanto piuttosto a
stringenti rapporti testuali tra le tradizioni manoscritte oitanica e
italiana. Se accettiamo di discutere la scansione cronologica – ma
anche ideologica – delle tradizionali versions secondo l’asse LösethBaumgartner, e di riconoscere una probabile genesi più fluida dei
materiali in nostro possesso, occorrerà pur chiedersi quali fossero
– materialmente, ma ancor più ideologicamente – i modelli su cui
IL
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ITALIA
235
lavoravano i volgarizzatori italiani, quale fosse la loro morfologia
testuale e quale tradizione “intermedia” abbiano generato. Si tratta
di una generazione “ad albero”? O di una genesi casuale, derivata
dalla disponibilità di manoscritti più o meno fortuita? O ancora –
come io propendo a credere – un’origine poligenetica e polimorfa,
che risponde a precise sensibilità culturali condivise dal pubblico
cui le singole “traduzioni” si rivolgono? non è un caso – ce lo ha
insegnato daniela delcorno Branca – che i testi italiani prediligano
alcune sezioni precise del romanzo, obliterando completamente
altri aspetti dell’opera. ciò è sufficiente a delineare il profilo di un Ur
modello (ancora francese o già italiano? e se italiano, d’area toscana
o veneta?) da cui sono nate le differenti traduzioni? Un quarto problema è inerente alla modalità di organizzazione dei materiali. Si
è detto che il passaggio dal Roman ai volgarizzamenti fa progressivamente venir meno l’immanenza dell’entrelacement – che conserva
fondamentalmente tre ambiti di impiego: nelle formule di esordio
(del tipo Ora dice lo conto…), in quelle di sospensione (ora lascia
lo conto a parlar di…) o in quelle di validazione, anticipazione ed
esplicazione di snodi narrativi per intervento del narratore (e chi
si domandasse chi si fosse, dirò che…). Si è parlato di procedure di
estrapolazione, di segmentazione e montaggio degli episodi. Ma si
tratta di percorsi di semplice trivializzazione, destinate ad un pubblico meno colto e raffinato, o di scelte precise nella conservazione e
nell’omissione, secondo un gusto letterario e un’idea di pubblico, sul
tipo di quelle già individuate da cesare Segre nelle chansons de geste
e nelle Folies Tristan, per le quali si è impiegata la categoria dell’enucleazione 32? Riuscire a stabilire questo è importante; si è, infatti,
discusso a lungo sull’autorialità vera o presunta del Tristan francese,
ma non si è mai focalizzato con precisione – eccezion fatta per la
Tavola Ritonda – il ruolo culturale dei traduttori: meri traslitteratori
di testi già selezionati da volontà altrui (o peggio, da meri accidenti di trasmissione), o selettori, rifacitori e nuovi interpreti di una
lectura della leggenda tristaniana e della funzione del personaggio
di Tristano? Un’ultima riflessione riguarda la possibilità (mostrataci da almeno due esperienze editoriali recentissime) di aprire un
nuovo fronte multidisciplinare di studi, nella direzione di una storia
della ricezione (anche materiale) dei testi, criticamente descritti e
studiati come prodotti culturali. Quel capolavoro editoriale che è
32
c. segre, Un procedimento della narrativa medievale: l’enucleazione, in
Italica et Romanica. Festschrift für Max Pfister, hrsg. von G. Holtus, J. Kramer und
W. Schweickard, 3 voll., Tübingen 1999, III, pp. 361-367.
236
tAVolA rotondA
l’edizione fac-simile del Palatino 556, ma anche – con ben più modeste ambizioni, l’edizione del Corsiniano corredata dalla riproduzione
in dVd del manoscritto – sono lo stimolo più recente a proseguire
una linea – inaugurata dall’edizione della Grant Queste di Udine 33 e
continuata con l’edizione del testimone parigino della Compilazione
arturiana di Rustichello 34 – volta ad approfondire il contesto costituitivo e ricettivo di questi materiali. Filologia, linguistica, paleografia, codicologia, critica letteraria, storia dell’arte e della miniatura,
storia sociale e del costume hanno paternità comune e condivisa
nell’analisi di questi testi, che prima di essere romanzi, o storie, sono
dei libri, dei manufatti che recano insieme tracce del gusto e del
pensiero degli uomini del nostro tardo Medioevo.
Roberto Tagliani
il ciclo di GUIRON LE COURTOIS : testo e trAdizione MAnoscrittA. un
Progetto in corso 35. dopo un lungo silenzio, che durava senza molte
interruzioni dai lavori di cinquant’anni fa di Alberto Limentani e
Roger Lathuillère, il ciclo romanzesco di Guiron le Courtois, uno dei
grandi corpora del Medioevo romanzo ancora inediti, è tornato alla
ribalta degli studi filologici e critici 36. Ben tre tesi di dottorato sono
state discusse e pubblicate negli ultimi mesi, e la loro diversa impostazione assicura un fronte aperto di nuove prospettive di ricerca,
anche in vista dell’edizione del testo 37.
33
La Grant Queste del Saint Graal. Versione inedita della fine del XIII sec. del ms.
Udine, Biblioteca arcivescovile, 177, a cura di A. Rosellini, Udine 1990.
34
Il romanzo arturiano di Rustichello da Pisa, edizione critica, traduzione e commento di f. cigni; premessa di V. Bertolucci Pizzorusso, Pisa 1994, che riproduce il
ms. Parigi, BnF, fr. 1463.
35
Al progetto, sotto la direzione di Lino Leonardi e Richard Trachsler, collaborano al momento Fabrizio cigni, nicola Morato, claudio Lagomarsini, Francesco
Montorsi; sostegno finanziario è stato messo a disposizione dalla Fondazione ezio
Franceschini di Firenze e dall’Universität Göttingen. L’assenza di nicola Morato alla
Tavola Rotonda di Pisa fu dovuta a motivi di forza maggiore: quanto segue è il risultato di una riflessione comune.
36
Dal «Roman de Palamedes» ai «Cantari di Febus-el-Forte». Testi francesi e italiani del
Due e Trecento, a cura di A. Limentani, Bologna 1962; r. Lathuillère, «Guiron le Courtois»:
étude de la tradition manuscrite et analyse critique, Genève 1966. Unico tentativo editoriale
uscito nel frattempo: «Guiron le Courtois». Une anthologie, textes édités, traduits et présentés par s. AlBert, M. PlAut et f. PluMet, dir. r. trAchsler, Alessandria 2004.
37
n. MorAto, Il ciclo di «Guiron le Courtois». Strutture e testi nella tradizione
manoscritta, Firenze 2010; s. AlBert, «Ensemble ou par pieces». Guiron le Courtois
IL
ROMANZO IN PROSA TRA
FRANCIA
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da uno di questi lavori, realizzato da nicola Morato nell’ambito
della Scuola di dottorato europea in Filologia romanza dell’Università di Siena, è nato il progetto che oggi presentiamo, con l’intenzione
di sottoporre a discussione in particolare le ragioni per cui abbiamo
impostato la ricerca sul Guiron secondo un modello filologico diverso da quello prevalentemente adottato per i testi antico-francesi, e in
particolare per i romanzi in prosa: da Alexandre Micha editore del
Lancelot (1978-1983) fino a Philippe Ménard editore di due redazioni
del Tristan (1987-1997; 1997-2007) – modello del resto già implicito
per il Guiron nella tesi di Lathuillère. Per il Lancelot e per il Tristan
lo studio della tradizione manoscritta, assai complesso anche per
l’estensione dei testi, oltre che per il numero dei testimoni e per l’entropia del macrotesto, non è arrivato a fornire una guida sicura per
l’elaborazione di un’edizione critica. Le ricerche di Alexandre Micha
e elspeth Kennedy hanno individuato una redazione corta e una
redazione lunga del Lancelot, e hanno discusso la questione dei loro
reciproci rapporti; la tesi di emmanuèle Baumgartner ha delineato
i confini delle differenti redazioni del Tristan, senza poterne chiarire
le priorità di composizione. In entrambi i casi si sono sì definiti i
testi che bisognava pubblicare, ma non si è ricostruita la genealogia
dei manoscritti che ne sono i testimoni.
Il momento della scelta ecdotica è dunque stato separato
dall’analisi della tradizione manoscritta: l’impossibilità di uno stemma ha portato a selezionare – secondo una prassi peraltro assai
diffusa – un cosiddetto “manoscritto di base”, cioè uno stadio puntuale della trasmissione del testo, sottoposto a “controllo” e quindi
a correzione solo in caso di errori “evidenti”. e anche per il Guiron,
l’analisi di Lathuillère era fondata sull’idea che un solo manoscritto,
BnF fr. 350, rappresentasse il testimone più integro e fedele della
version de base del romanzo, e da questa impostazione è derivato
il progetto di Venceslas Bubenicek di stabilire l’edizione su questo
manoscitto 38.
Ora, questa prassi ecdotica del manoscritto-base solleva, a mio
avviso, notevoli problemi di ordine metodologico; se ne è discusso nel frattempo a Firenze, nel seminario annuale di «Medioevo
Romanzo», a cui posso dunque rinviare senza soffermarmi ulterior-
(XIIIe-XVe siècles): la cohérence en question, Paris 2010; B. WAhlen, L’Écriture à
rebours. Le Roman de Méliadus du XIIIe au XVIIIe siècle, Genève 2010.
38
«Guiron le Courtois». Édition critique de la version principale, Ms B.N.F. f. fr.
350, par V. BuBenicek, Thèse d’habilitation, Université de Paris IV-Sorbonne, 1998.
238
tAVolA rotondA
mente 39. Ma nel caso del Guiron la nostra difficoltà a seguire questa
prassi così ben consolidata (e “politicamente corretta” nel contesto
della filologia francese fin dalla metà del secolo XX) 40 ha la sua origine in due fatti molto concreti.
1. Una verifica su 350 ha rivelato importanti difficoltà a considerarlo un candidato plausibile per il ruolo di manoscritto-base:
sono all’opera diversi copisti, italiani e francesi, che attingono a
fonti diverse, configurando un testimone tecnicamente composito
e, almeno in parte, contaminato 41.
2. La natura testuale specifica del Guiron lo configura come un
ciclo di almeno tre unità originarie (Roman de Meliadus, Roman de
Guiron, Suite Guiron), la cui identità è di per sé instabile, e si definisce solo nella complessità delle diramazioni genealogiche della
tradizione.
Questa profonda dipendenza strutturale del testo dallo sviluppo
della sua tradizione rende necessario, ancor più che per altre opere
medievali, adottare un modello ecdotico che possa rappresentare,
e non escludere, la complessità della tradizione stessa. da queste
difficoltà è nata l’idea di provare ad affrontare il problema-Guiron
da una nuova prospettiva (o dovrei meglio dire “vecchia”, per evitare
confusioni con la cosiddetta new philology): è possibile pensare a
una soluzione ecdotica che dia conto dell’evoluzione diacronica del
romanzo in prosa? Vorrei qui brevemente indicare le linee metodologiche del nostro approccio – che del resto non fa altro che tentare
una ridefinizione del rapporto pasqualiano tra storia della tradizione e critica del testo, anche alla luce di uno dei punti difficili dello
strutturalismo ‘classico’, cioè la dialettica di sincronia e diacronia
– seguendo le tre tappe del lavoro filologico: i manoscritti, il testo
critico, e tra quelli e questo la genealogia della tradizione.
1. i MAnoscritti. La scoperta circa la natura composita di 350
è stata rivelatrice. Occorre tornare a un esame diretto dei manoscritti, rinnovarne la descrizione, verificarne i dati codicologici, la
datazione, le stratigrafie linguistiche: tutti elementi che possono
39
Rimando in particolare a l. leonArdi, Il testo come ipotesi (critica del manoscritto-base), in «Medioevo romanzo», XXXV (2011), pp. 5-34.
40
È sufficiente scorrere le introduzioni ai volumi delle maggiori collezioni di testi
antico-francesi (TLF, cFMA, Lettres gothiques) per verificare la frequenza con cui è
applicato questo istituto.
41
n. MorAto, Un nuovo frammento del Guiron le Courtois. L’incipit del ms. BnF fr.
350 e la sua consistenza testuale, in «Medioevo romanzo», XXXI (2007), pp. 241-285.
IL
ROMANZO IN PROSA TRA
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239
avere conseguenze importanti non solo per la conoscenza della
tradizione, ma naturalmente anche per la soluzione del problema
ecdotico. ci sembra dunque indispensabile allestire un nuovo catalogo dei manoscritti del Guiron (comprendendovi i frammenti che
continuano ad emergere), e affiancarlo con un database in linea che
consenta ricerche incrociate 42. È una parte del progetto nella quale
speriamo di coinvolgere competenze diverse, vista l’importanza di
fattori come il corredo miniato o l’impasto linguistico per definire
le coordinate geo-cronologiche e culturali di ciascun testimone di
questa tradizione.
2. lA geneAlogiA dellA trAdizione. Tuttavia, una recensio dei
manoscritti del Guiron che non si ponga il problema dei rapporti
genealogici che intercorrono tra i diversi stati testuali rischia di
restare muta di fronte alle scelte ecdotiche. È vero che, dopo i tentativi falliti di Micha sul Lancelot, è stato assai difficile pensare alla
tradizione del romanzo francese in prosa in termini di stemmatica.
Forse l’unica eccezione è stato il lavoro sull’Estoire del Saint Graal
compiuto da Jean-Paul Ponceau per la sua edizione (1997), con la
determinazione addirittura di due stemmi diversi per le due parti
dell’opera (secondo l’ipotesi che essa circolasse in origine in due
volumi). Altrimenti, per trovare edizioni stemmaticamente fondate
si deve risalire alla prima metà del secolo XX, con la Queste del Saint
Graal a cura di Albert Pauphilet (1926) e soprattutto con la Mort
le roi Artu a cura di Jean Frappier (1936): entrambe costruite su
modelli filologici che hanno mostrato i loro limiti, e tuttavia ancora
presenti come punto di riferimento non definitivamente superato
nelle nuove edizioni recenti, rispettivamente di Fanni Bogdanow
(2006) e di david Hult (2009).
Anche per il Guiron, come per il Lancelot e per il Tristan,
Lathuillère aveva negato la possibilità di uno stemma. Le conferme negative procurate dai suoi seguaci, soprattutto da Bubenicek,
sostanzialmente partono dal presupposto che considera 350 come
punto di riferimento per orientare l’analisi delle varianti, non distinte dagli errori, e giudicate appunto sulla base della loro maggiore o
42
Punto di partenza saranno naturalmente i sondaggi di f. cigni, Per la storia del
«Guiron le Courtois» in Italia, in «critica del Testo», VII (2003), pp. 295-316, e Mappa
redazionale del «Guiron le Courtois diffuso in Italia», in Modi e forme della fruizione
della «materia arturiana» nell’Italia dei sec. XIII-XIV. Atti del convegno (Milano, 4-5
febbraio 2005), Milano 2006, pp. 85-117.
240
tAVolA rotondA
minore rispondenza al testo di 350 43. Ma dopo aver svelato la contaminazione che è all’origine di questo manoscritto, il problema può e
deve essere affrontato da una prospettiva diversa. non senza nostra
sorpresa, nicola Morato per il Meliadus e claudio Lagomarsini per
una parte delle suites compilative hanno potuto elaborare ipotesi
stemmatiche molto solide, fondate unicamente sugli errori condivisi
dai manoscritti, e utilizzando le varianti comuni a conferma dei raggruppamenti già individuati 44. nel primo caso, la disarticolazione
della varia lectio denunciata da Lathuillère si è rivelata dipendere
dalla problematicità di 350: una volta eliminata la sua centralità,
i dati testuali hanno mostrato una sostanziale stabilità nell’individuare famiglie e raggruppamenti (paradossalmente più nei piani
alti, evidentemente ancora statici, che nei piani bassi, dove ormai
la tradizione è attiva). nel secondo caso, la disponibilità della fonte
delle compilazioni (la Suite del ms. Arsenal 3325) ha consentito un
riscontro sicuro per individuare errori e innovazioni imputabili alle
diverse diramazioni della tradizione manoscritta (si veda qui oltre
l’intervento di Lagomarsini).
3. il testo critico. cosa vuol dire operare con uno stemma, in
questo tipo di tradizione? La nostra idea è di verificarne l’applicabilità per la costituzione del testo, e per farlo occorrerà prima di tutto
mettere da parte la nozione di manoscritto-base, così come è stata
applicata dalla filologia romanza degli ultimi decenni. Al suo posto,
sarà da recuperare la nozione di manoscritto di riferimento per la
veste linguistica del testo (“manuscrit de surface” si potrebbe definirlo, derivando la formula da un’espressione di Jacques Monfrin,
che l’aveva utilizzata un quarto di secolo fa, senza alcuna eco né
tanto meno successo nella filologia francese) 45. Per surface di un
43
V. BuBenicek, À propos des textes français copiés en Italie: le cas du roman
de «Guiron le Courtois», in Atti del XXI Congresso Internazionale di Linguistica e
Filologia Romanza (Palermo, 18-24 settembre 1995), Tübingen 1998, vol. 7, pp.
59-67.
44
La dimostrazione rispettivamente in MorAto, Il ciclo di «Guiron le Courtois»
cit. (cfr. anche id., Poligenesi e monogenesi del macrotesto nel «Roman de Meliadus»,
in Culture, livelli di cultura e ambienti nel Medioevo occidentale. Atti del convegno
della SIFR (Bologna, 5-8 ottobre 2009), in corso di stampa), e nella tesi di dottorato
di c. lAgoMArsini, in corso di elaborazione presso la Scuola di dottorato europea in
Filologia romanza dell’Università di Siena.
45
J. Monfrin, Problèmes d’édition de textes, in Actes du XVIIIe Congrès international de linguistique et philologie romanes (Aix-en-Provence, 29 août-3 septembre 1983),
t. ix. Critique et édition des textes, Aix-en-Provence 1986, pp. 351-364, alle pp. 354-355.
IL
ROMANZO IN PROSA TRA
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241
testo intendiamo ciò che la tradizione filologica italiana definisce
forma, quella anglosassone accidentals, insomma la sua dimensione
linguistica: grafia, fonetica, morfologia, fino a fatti più complessi
come l’ordine delle parole. Per questo aspetto, è indispensabile un
manoscritto di riferimento al quale affidarsi. La scelta non sarà
peraltro facile, al contrario. Il criterio che siamo orientati a privilegiare non è alla fine l’omogeneità linguistica, né l’altezza della datazione: rispetto a questi dati pur così importanti è preferibile quella
che A. Varvaro definisce la “competenza” stemmatica propria di un
manoscritto, cioè la sua autorità testuale nel quadro della genealogia della tradizione, autorità nei confronti delle tappe anteriori della
vita del testo.
Tuttavia, il manoscritto così individuato non sarà il nostro
“manoscritto-base”: il testo critico se ne allontanerà non soltanto
nei casi in cui esso presenti errori “evidenti”, ma ovunque il suo
testo risulti isolato, minoritario nella logica dello stemma, e quindi
sia da esso giudicato innovatore rispetto alle sue fonti. Un testo
critico così stabilito richiede un apparato che dia conto delle scelte
operate, offrendo al lettore tutte le varianti presenti nelle diverse
famiglie dello stemma, attraverso almeno una scelta rappresentativa
dei testimoni di ciascuna (otto su diciassette, nel caso del Meliadus),
superando la prassi che si limita a una scelta di varianti non sistematicamente registrate.
L’edizione critica sarà dunque un sistema che si prefigge di rappresentare l’insieme della tradizione testuale per ciascuna unità del
ciclo di Guiron, puntando a ricostruire, più che un originale di cui è
discutibile la stessa esistenza, lo stadio più alto della tradizione che
lo stemma di volta in volta consente di attingere. Per certi versi, questo programma di lavoro consiste in una riformulazione del modello
classico della filologia di scuola italiana, riformulazione la cui novità – oltre a numerosi e non trascurabili aggiornamenti – consiste
in primo luogo nella sua applicazione alla grande tradizione dei
romanzi in prosa antico-francesi. e ci si potrebbe chiedere, ci siamo
chiesti, se valga la pena di mettere in opera un sistema così oneroso
di analisi, e non piuttosto limitarsi a un’edizione del manoscritto
350 come quella che Bubenicek aveva programmato a suo tempo.
Ma sono convinto che il nostro tentativo, per quanto complesso,
lungi dall’essere la riesumazione di una filologia ormai invecchiata,
possa al contrario aprire una nuova prospettiva di studio per uno
dei fenomeni più significativi e complessi della tradizione letteraria
europea.
Lino Leonardi
242
tAVolA rotondA
dAllA SUITE GUIRON
“coMPilAzione guironiAnA”: Questioni
Gli studi più recenti sul cosiddetto
Guiron le courtois – nome generico d’una selva disomogenea di
romanzi cavallereschi, enfances, genealogie e compilazioni – hanno
identificato, a monte dell’imponente fabbrica narrativa, una struttura ciclica articolata in tre branches principali: Roman de Meliadus,
Roman de Guiron e Suite Guiron 46. da queste nuove indagini, nel
2009, ha preso le mosse un progetto di edizione critica complessiva,
le cui linee generali sono esposte da Lino Leonardi nel contributo
che qui sopra si legge.
Il terzo romanzo del ciclo di Guiron 47 – orizzonte specifico delle
ricerche che sto attualmente conducendo 48 – è testimoniato esclusivamente da due manoscritti esemplati in Italia 49, relatori degli
episodi Lath. §§161-209, 251-255 50. di particolare rilevanza risulta il
fatto che alla «fortuna» di tale romanzo 51 (di per sé sopravvissuto in
AllA
PreliMinAri e strAtegie d’AnAlisi.
46
Al ciclo nel suo complesso è dedicato lo studio di n. MorAto, Il ciclo di Guiron
le Courtois. Struttura e testo nella tradizione manoscritta, Firenze 2010. A conclusioni tutto sommato analoghe (ma senza considerare la terza branche) giunge s.
AlBert, “Ensemble ou par pièces”. Guiron le courtois (XIIIe-XVe siècles): la cohérence
en question, Paris 2010. Alla prima branche del ciclo guarda il lavoro di B. WAhlen,
L’Ecriture à Rebours. Le Roman de Meliadus du XIIIe au XVIIIe siècle, Genève 2010.
Mi permetto di rinviare, per considerazioni di dettaglio, ad una mia recensione delle
ricerche di Morato e Albert: c. lAgoMArsini, Romans, manuscrits, structures cycliques.
Repenser «Guiron le courtois», in «Acta Fabula» (mars 2011), dossier critique :
«Poétiques médiévales: lire, inventer, composer», <http://www.fabula.org/revue/
document6227.php>.
47
Sulle peculiarità di questa versione cfr. innanzi tutto r. lAthuillère, Un exemple de l’évolution du roman arthurien en prose dans la deuxième moitié du XIIIe siècle,
in Mélanges offerts à Pierre Jonin, Aix-en-Provence 1979, pp. 389-401. Un ampio studio
si legge ora in MorAto, Il ciclo cit., cap. IV.4.
48
nel quadro di queste indagini mi accingo a discutere una tesi di dottorato in
Filologia Romanza (dir. prof. Lino Leonardi, Università di Siena).
49
Oltre ad A1 [=Paris, Bibl. de l’Arsenal, 3325] e 5243 [= Paris, BnF, n.acq.fr.
5243], risulta esigua la testimonianza del frammento Mod1 [= Modena, Archivio
di Stato (framm. non catalogati)]; quanto alla Suite contenuta nel terzo tomo di T
[=Torino, Biblioteca nazionale e Universitaria, 1622], si tratta di una copia diretta
di A1.
50
La paragrafazione preceduta dalla sigla “Lath” rimanda, com’è noto, al riassunto analitico di lAthuillère, Guiron le Courtois. Étude de la tradition manuscrite et
analyse critique, Genève 1966. Un precedente studio dei codici parigini del Guiron si
trova in appendice a e. löseth, Le roman en prose de Tristan, le roman de Palamède
et la Compilation de Rusticien de Pise. Analyse critique d’après les manuscrits de Paris,
Paris 1891 [reprint: Genève 1974].
51
Per un quadro generale su questa tradizione cfr. MorAto, Il ciclo cit., cap. V.2
(“La fortuna della «Suite Guiron»”).
IL
ROMANZO IN PROSA TRA
FRANCIA
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243
forma puntiforme ed incompleta) sia pure riconducibile una massa
di episodi problematicamente distribuiti in una dozzina di testimoni
confezionati tra Francia e Italia fra la fine del sec. XIII e la metà del
XV 52. I materiali confluiti in questa tradizione di secondo grado
sono frutto, appunto, d’una compilazione di alcuni estratti della
Suite Guiron. Rispetto ad essa gli episodi d’arrivo si caratterizzano
per una peculiarità redazionale: estraendo dalla fonte alcuni récits
enchâssés, i compilatori (o il compilatore) hanno contestualmente
adattato la voce narrante – omodiegetica e di secondo grado – ad un
contesto in cui le avventure, ridisposte secondo un nuovo ordine,
sono relate da un narratore eterodiegetico di primo grado. In altre
parole: laddove un’avventura della Suite è riferita in prima (o in
terza) persona da un cavaliere arturiano, nell’episodio compilato è
invece il narratore esterno a fare da relatore (sempre in terza persona).
L’interesse primario della nostra tradizione di secondo grado 53
– che proporrei di indicare sinteticamente con l’etichetta globale
di “compilazione guironiana” – risiede, mi pare, nelle contingenze
della sua trasmissione manoscritta, ovvero nelle modalità d’incastro del macrotesto: alcuni dei suoi testimoni contengono infatti,
oltre agli episodi estrapolati dalla Suite, anche la Compilation di
Rustichello da Pisa; altri manoscritti, benché privi della compilazione del pisano, appartengono, dal punto di vista materiale, al ben
52
Si tratta dei manoscritti (e frammenti) seguenti, per i quali impiego il nuovo
sistema di siglatura proposto da Morato: 340 = Paris, Bibliothèque nationale, fr. 340;
355 = Paris, Bibliothèque nationale, fr. 355; 358 = Paris, Bibliothèque nationale,
fr. 358; Be = Berlin, Staatsbibliothek, Preußischer Kulturbesitz, Hamilton 581;
Bo1 = Bologna, Archivio di Stato, Raccolta mss., busta 1 bis, n. 11, 12, 13; C =
cologny-Genève, Fondation Martin Bodmer, 96 I-II; Fi = Firenze, Biblioteca Medicea
Laurenziana, Ash. 123; L3 = London, British Library, Add. 36673; N = new York,
Pierpont Morgan Library, M 916; T = Torino, Biblioteca nazionale e Universitaria,
1622; Vat = città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reg. Lat. 1501; O
= Oxford, Bodleian Library, douce 383. nella tradizione sono incluse due stampe
cinquecentine: Jan (= Gp) = denys Janot, Meliadus de Leonnoys, Paris 1533; Vér =
Antoine Vérard, Gyron le courtois, avecques la devise des armes de tous les chevaliers de
la Table Ronde, Paris [1501]. Un episodio comune a tutta la tradizione (Lath. §§223224) si legge anche in un testimone delle Prophecies de Merlin: 5229 = Paris, Bibl, de
l’Arsenal, 5229.
53
Uno sguardo d’insieme, di taglio narratologico, è offerto da MorAto, Il ciclo
cit., capp. V.2, V.3. di questi episodi esiste un’edizione parziale, leggibile nella tesi
di dottorato di John Fligelman Levy (Berkeley 2000), che tuttavia non è giunta a
pubblicazione: si tratta peraltro di un’edizione del solo ms. 340 (occasionalmente
“controllato” con 355 e Be), che prescinde quindi dall’approccio ai problemi che mi
propongo d’illustrare in questo contributo.
244
tAVolA rotondA
noto gruppo dei “codici pisano-genovesi”, di cui fa parte pure il più
antico manoscritto rustichelliano pervenutoci (BnF fr. 1463) 54. A
tutta la tradizione è comune poi una “cellula” narrativa, Lath. §§
223-224, avente per protagonista Segurant le brun «le chevalier
au dragon», valoroso rampollo della casata dei Bruns le cui avventure risultano sparse, nelle attestazioni più antiche, in una serie
di compilazioni cavalleresche circolanti in Italia sullo scadere del
duecento (Prophecies de Merlin di Richart d’Irlande, Prose Yvain,
silloge arturiana del ms. BnF fr. 12599) 55. Un modello della nostra
compilazione è senz’altro disponibile, infine, all’“editore” medievale
della Tavola Ritonda, che si apre infatti con un abregé di due episodi
(charrette di Guiron e torneo alla Plaigne de l’Ombre), che si leggono
nella sezione iniziale di alcuni dei nostri manoscritti.
Sarebbe troppo complesso presentare qui nel dettaglio l’assetto
macrotestuale secondo il quale le avventure compilative si trovano
disposte nei codici in questione 56. Quel che si può sommariamente
anticipare è che, nel puzzle delle giustapposizioni, sono identificabili
alcune progressioni ricorrenti 57, che fanno ipotizzare l’esistenza di
un nucleo compilativo originario che è andato soggetto, di strato in
strato, ad incrostazioni di materiali in testa ed in coda, ma anche a
radicali découpages e rimontaggi. Le indagini cui sto sottoponendo
questa compilazione rientrano quindi, in primo luogo, nel campo
metodologico della cosiddetta “filologia delle strutture” e nello studio dei problemi stratigrafici della mise en recueil.
Un primo approccio è stato necessariamente di tipo stemmatico:
un’analisi della trasmissione delle serie compilative nella tradizione
ha fatto luce non solo sulla fisionomia dell’archetipo ma anche sulle
54
Mi limito a segnalare l’ultimo lavoro sull’argomento: f. cigni, Manuscrits en
français, italien et latin entre la Toscane et la Ligurie à la fin du XIIIe siècle: implications codicologiques, linguistiques et évolution des genres narratifs, in Medieval
Multilingualism. The Francophone World and its Neighbours, Proceedings of the
2006 conference at the University of Wisconsin-Madison, a cura di ch. Kleinhenz K. Busby, Turnhout 2010, pp. 187-217.
55
citazioni e cammei si trovano, tra l’altro, nella Tavola Ritonda toscana e nella
Compilation di Rustichello, per non parlare delle sezioni segurantiane che si leggono
nelle redazioni ad attestazione unica di 358-C e L3-T. Alla (apparentemente tardiva)
“Segurantiade” del ms. 5229 della Bibl. de l’Arsenal, è dedicato il saggio di n. koBle,
Un nouveau Ségurant le Brun en prose? Le Manuscrit de Paris, Arsenal, Ms 5229, un
roman arthurien monté de toutes pièces», in Le Romanesque aux XIVe et XVe siècles, a
cura di d. Bohler, coll. “eidôlon” n. 83, Bordeaux 2009, pp. 69-94.
56
cfr. le tavole dei contenuti dei mss.: MorAto, Il ciclo cit., pp. 223-225.
57
Morato ha per primo circoscritto le tre sequenze principali, indicate con le
sigle S1, S2, S3 (cfr. MorAto, Il ciclo cit., pp. 225 sgg.).
IL
ROMANZO IN PROSA TRA
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245
fasi intermedie di smontaggio/rimontaggio e di taglio/aggiunta dei
vari blocchi. Soprattutto si è trattato di chiarire a quale livello (e
secondo quali modalità) è avvenuto l’incontro di questa compilazione guironiana con l’altro famoso florilegio, a dominante tristanianolancelotiana, confezionato da Rustichello. nella definizione degli
stemmi – malgrado il generale scetticismo che tocca le possibilità
di applicare la stemmatica a tradizioni “dinamiche” come quelle dei
testi arturiani in prosa – siamo soccorsi dallo statuto speciale dei
nostri testi, ovvero dal loro essere di secondo grado rispetto ad un
testo di partenza (la Suite Guiron) largamente collazionabile. Si è
potuto, quindi, almeno in parte, condurre una «recensio ex fonte»,
non dissimile da analoghe applicazioni già sperimentate per testi in
prosa 58.
Proponendomi di localizzare con maggior precisione il milieu
in cui la Suite Guiron è stata sottoposta all’estrazione compilativa,
ho proceduto, in seconda istanza, ad un esame linguistico e stilistico del testo di arrivo. Sul piano della lingua sono da valutare con
attenzione alcuni casi di diffrazione di varianti che si producono in
presenza di un probabile italianismo d’archetipo, e dev’essere quindi
spiegata l’occorrenza di alcune forme franco-italiane non altrove
attestate se non nel lessico rustichelliano (come, ad esempio, l’impiego al maschile di nonnain, che, ignoto al francese, si riscontra
esclusivamente nella Compilation e nel Devisamant dou monde).
Per quanto concerne la definizione di uno “stile compilativo”,
bisogna innanzi tutto stabilire in quali sezioni del testo il compilatore adatta passivamente la fonte ed in quali zone interviene
invece autonomamente. A questo proposito, posso anticipare che il
compilatore si rivela particolarmente interventista (dando luogo a
veri e propri rimaneggiamenti) ogniqualvolta si trova ad affrontare
58
Su questa traccia metodologica sto preparando un lavoro sulla storia della
tradizione della Compilation rustichelliana rivisitata alla luce del Tristan. Per gli
studi pregressi penso invece, soprattutto, allo stemma – ancora assai discusso dalla
critica – che per la Queste del Saint Graal propose Albert Pauphilet, impiegando
l’Estoire del Graal come riscontro esterno per l’episodio della nave di Salomone (cfr.
A. PAuPhilet, Études sur la Queste del Saint Graal, attribuée à Gautier Map, Paris
1921 [poi: Genève 1980]). Ma si può ricordare la più recente recensio del Tresor di
Brunetto Latini, condotta da Beltrami con ampio ricorso alle fonti: cfr. P.g. BeltrAMi,
Per il testo del Tresor: appunti sul’edizione di F.J. Carmody, in «Annali della Scuola
normale Superiore di Pisa», XVIII (1988), pp. 961-1009; id., Tre schede sul Tresor,
in «Annali della Scuola normale Superiore di Pisa», XXIII (1993), pp. 115-190; id.,
“nota al testo” di Brunetto lAtini, Tresor, ed. P.g. BeltrAMi - P. sQuillAcioti - P. torri
- s. VAtteroni, Torino 2007.
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tAVolA rotondA
la descrizione di un duello singolare tra cavalieri: le modalità della
riscrittura – ed il suo cristallizarsi secondo uno schema ed un lessico
ben codificati – sono quindi da valutarsi in un’ottica intertestuale,
che permetta di porre in relazione il “duello compilativo” con un suo
eventuale modello tipologico 59.
In definitiva, credo che sarà solo con il contributo sinergico di
più strumenti – stemmatica in primis, stilistica e dialettologia storica – che si potranno finalmente descrivere i percorsi di trasmissione
e le articolazioni strutturali di una tradizione complessa, che, situata ai confini di un imponente “ciclo” romanzesco, ha trovato nel
“ri-ciclo” di materiali preesistenti (letterariamente non eccelsi) una
produttiva strategia di sopravvivenza, garantendosi così una significativa diffusione sull’arco di oltre due secoli.
Claudio Lagomarsini
59
Alla questione ho dedicato un saggio, in corso di stampa su «Medioevo
Romanzo».