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SPERIMENTAZIONE E DIFFUSIONE
DEL CALCESTRUZZO ARMATO IN ITALIA:
IL CONTRIBUTO DEL GENIO MILITARE
FRANCESCA TURRI, EMANUELE ZAMPERINI, VIOLA CAPPELLETTI
Università degli Studi di Pavia, Pavia, Italia
francesca.turri@unipv.it emanzamp@yahoo.com
Keywords: cemento, calcestruzzo, calcestruzzo armato, Genio militare, caserme
Summary
In the last three decades of the 19th century, in Italy the cement production started and grew. In
these years cement was widely used in civil and military employment. The officers of the Engineers
Corps were active in the experimentation of new construction materials and used widely cement concrete, e.g. for the construction of fortifications and for barrack pre-cast decorations.
In 1890-1910, the use of reinforced concrete spread in Italian constructions; it started to be used for
floors because of its characteristic of high stiffness, which avoids vibrations, and of its good resistance
in case of fire. Later on, it had been used also for frame structure, especially for buildings with large
span or heavy loads (warehouses, stables and riding schools).
Some officer of the military Engineers had a fundamental role, both theoretical and experimental,
in the development of reinforced concrete. Among them, general Caveglia and lieutenant colonel Marrullier had a key role. The former developed new computation methods and patented new construction
techniques for floors and foundations. The latter introduced the study of reinforced concrete in the
Scuola di Applicazione di Artiglieria e Genio in Turin, and promoted the spreading of reinforced concrete in civil engineering with his Guida pratica per la costruzione degli edifizi con speciale riguardo
al cemento armato.
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1. Introduzione
Nel periodo che seguì l’Unità d’Italia, gli ufficiali del Genio militare, aggiornati sulle sperimentazioni e innovazioni straniere relative alle tecniche e ai materiali da costruzione, svolsero un’importante
opera di divulgazione scientifica e tecnica, attraverso la traduzione dei saggi teorici e sperimentali
pubblicati nei diversi paesi europei, l’illustrazione dei risultati raggiunti e lo svolgimento di prove e
verifiche di laboratorio, settore nel quale essi stessi erano all’avanguardia in Italia.
Per le possibilità di impiego in opere civili e fortificazioni, il Genio militare dimostrò particolare interesse per il cemento, materiale del quale si stavano sperimentando le potenzialità. Le conoscenze
acquisite e le esperienze sviluppate, condussero in seguito alcuni ufficiali ad elaborare teorie di calcolo
originali e a proporre nuove soluzioni costruttive in calcestruzzo armato.
2. Avvio dell’industria dei cementi in Italia
Nel 1893 il capitano del Genio Agostino Arlorio scrisse il manuale sui Cementi italiani, in cui compendia le conoscenze consolidate e fornisce i risultati di prove sperimentali, condotte da lui stesso, sui
materiali italiani a confronto con quelli esteri, al fine di certificarne la qualità1. Da questo libro, presentato dall’editore Ulrico Hoepli come la prima pubblicazione completa edita in Italia, sono tratte le informazioni sulle fasi iniziali dell’industria dei cementi.
Negli anni Sessanta dell’Ottocento in Italia l’impiego dei cementi era ancora limitato, a causa dei
«poco soddisfacenti risultati» ottenuti (Arlorio 1893, p. 263-4), per le condizioni non appropriate di
conservazione (inizialmente i cementi esteri erano venduti in pacchi dai droghieri), l’inesperienza dei
muratori, le modeste conoscenze tecniche, e il costo elevato del materiale d’importazione.
Solo dopo che furono note le esperienze e le applicazioni realizzate all’estero, iniziarono ad operare
in Italia le prime fabbriche di produzione o lavorazione dei cementi. In seguito le principali aziende,
per migliorare la qualità dei prodotti e contenere l’importazione, avviarono studi e ricerche presso i
laboratori di prova dei propri impianti produttivi, guidati da «personale dirigente pratico e molto istruito» (Arlorio 1893, p. 265); l’uso del cemento cominciò a diffondersi e consolidarsi e la produzione si
attestò sugli standard qualitativi dei prodotti esteri.
Nel 1872 fu istituita la Società Italiana dei cementi e delle Calci Idrauliche con sede in Bergamo,
con stabilimenti in Lombardia e Veneto; nel 1877 fu fondata a Casale Monferrato la Società Anonima
Fabbrica di Calce e Cementi per la fabbricazione di cementi Portland naturali. A queste imprese, che
mantennero anche in seguito un ruolo primario, si aggiunsero nel decennio successivo altre aziende,
insediate in Piemonte (nella zona di Casale Monferrato, dove si sfruttavano i ricchi banchi di calcare
marnoso) e in Lombardia, ma anche in Toscana, Emilia e Lazio. Nel breve periodo 1877-1890 la produzione, inizialmente molto modesta, arrivò a superare le 60.000 tonnellate annue2 (Arlorio 1893, p.
265).
Gran parte dei consumi di cementi e calci idrauliche riguardava ancora impieghi tradizionali per
malte da intonaci, strati di rivestimento e protezione, ma in breve si affermarono altri usi civili, avviando l’industria dei prodotti cementizi.
3. Impieghi civili dei calcestruzzi e delle malte di cemento
Nel periodo di sviluppo edilizio che seguì l’Unità d’Italia, la produzione di cemento fu destinata
principalmente alla costruzione di opere pubbliche e infrastrutturali: strade, ferrovie, gallerie, porti,
canali, impianti idroelettrici, insieme alle reti di acquedotti, fognature urbane, distribuzione del gas e
dell’elettricità.
L’epidemia di colera di Napoli (1884) aveva evidenziato le gravi carenze sanitarie delle città italiane, in cui la mancanza di condutture per l’acqua potabile e di fognature per lo smaltimento delle acque
nere creava condizioni favorevoli allo sviluppo di malattie endemiche per la popolazione. Nasceva
allora l’ingegneria sanitaria, le cui problematiche venivano affrontate in trattati, manuali e periodici in
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Italia e all’estero3. Tra il 1887 e il 1889, con l’emanazione della nuova legge sanitaria (1888), oltre
ottocento comuni del Regno avevano richiesto prestiti per interventi d’igiene urbana: tra essi 140 riguardavano lavori stradali e fognari, 313 condotte d’acqua, 287 opere cimiteriali.
I condotti forzati in cemento di derivazione delle acque potabili, gettati sul posto o prefabbricati in
appositi cantieri, venivano in genere preferiti ai condotti liberi coperti, assicuravano una buona resistenza alla pressione idrica, inoltre garantivano un’ottima durata, una migliore conservazione della
purezza delle acque e costi minori rispetto alle tubazioni in ferro, ghisa, terracotta smaltata e lamiera
rivestita di catrame, che vennero rapidamente soppiantate. Nel corso degli anni 1880 erano già state
realizzate le condotte libere di Reggio Emilia, Padova, Chieti, quelle forzate di Cuneo, Napoli e Ferrara, città che nel 1890 vantava il primato della più lunga conduttura d’acqua d’Europa (57 km)4.
Contrariamente a quanto avveniva all’estero, solo Milano e Cuneo avevano già costruito impianti di
fognatura moderni e poche altre città avevano già progettato la loro realizzazione: tra esse Torino (lavori completati nel 1893), Napoli, Reggio Emilia, Spezia, Massa Carrara5. Rispetto ai tradizionali sistemi in muratura, le canalizzazioni con corrente d’acqua continua in tubi di cemento garantivano elevate prestazioni in termini di solidità, resistenza, impermeabilità, durata ed economicità, e potevano
essere prodotte in forme ovoidali o circolari grazie alla plasmabilità del materiale.
Le malte di cemento venivano impiegate anche per i rivestimenti interni dei pozzi neri e delle canalizzazioni di scarico delle latrine, cui conferivano caratteristiche di impermeabilità e resistenza chimica.
Importanti lavori riguardavano l’impermeabilizzazione dei canali d’irrigazione ed anche di opere
speciali, come l’«intonaco perfettamente stagno» del bacino di prova dei modelli delle navi per la Direzione del Genio Militare a La Spezia (1887) (Arlorio 1893, p. 296). Si realizzavano inoltre protezioni degli argini fluviali e lavori portuali, con fondazioni subacquee in «getti di calcestruzzo colato in
forme o liberi», e opere di difesa costruite con massi prismatici artificiali di cemento6.
Ai lavori idraulici si affiancava la realizzazione dei lastricati stradali di cemento, che offrivano soluzioni economiche, durevoli, di facile manutenzione e pulizia, comode per pedoni e carri. Dotati di
pendenza adeguata, si gettavano sopra uno strato di ghiaia battuto con la mazzaranga su terreni costipati, e si finiva il lavoro con malta di cemento e sabbia7. Queste soluzioni si applicavano anche a marciapiedi e porticati, o a grandi superfici come aie, scuderie, magazzini, rimesse e laboratori.
Nei fabbricati, talvolta si sostituivano le voltine laterizie con voltine in cemento8, interposte tra putrelle in ferro; più raramente si costruivano volte in cemento a copertura di locali e anche archi per
ponti. Queste strutture sfruttavano la resistenza a compressione del calcestruzzo valorizzando la monoliticità del materiale, richiedendo minore mano d’opera rispetto alle strutture in muratura, aumentando
la velocità di costruzione e assumendo facilmente forme convenienti alla stabilità.
Negli edifici di abitazione, chiese, scuole, caserme e ospedali, erano d’uso comune mattonelle per
pavimenti di cemento compresso, semplici, a intarsio, a mosaico, colorate, a disegni, di forme quadrate, rettangolari, esagonali e dimensioni variabili, offerte a catalogo dalle ditte produttrici, «solide quanto il marmo» per realizzare «pavimenti sani, eleganti ed economici» (Arlorio 1893, p. 102).
Dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla prima Guerra Mondiale una certa importanza assunse
anche la produzione di elementi decorativi per gli edifici, realizzati in apposite forme o stampi, in stabilimento o gettati direttamente in cantiere, con cementi impastati con sabbie silicee, granitiche o calcari di vari colori (ed eventualmente con l’aggiunta di coloranti), poi rifiniti con accurati lavori di martellina, scalpello, levigatura. Arricchivano le facciate con stipiti, architravi, modiglioni, balaustre, fregi, bassorilievi, frontalini con gocciolatoi, davanzali, bugne, zoccoli, declinando tutto l’apparato decorativo dell’eclettismo ottocentesco. Si eseguivano anche statue, panchine, arredi da giardino, imitando
le pietre naturali con costi inferiori.
Spesso anche le decorazioni dei fabbricati militari, sobrie, economiche e durevoli, venivano realizzate in cemento: nella Caserma di Artiglieria Valfrè ad Alessandria (1889) cavallerizza, casermette e
comando sono decorate con stipiti, architravi, mezzelune e parapetti delle finestre, fasce, «cornici e
cornicioni di coronamento costituiti da modiglioni ed archetti alla foggia delle piombatoie dell’epoca
medievale» (Arlorio 1893, p. 110). Nella caserma di Artiglieria Duca d’Aosta a Casale Monferrato
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(iniziata nel 1911) le decorazioni in cemento propongono motivi figurativi9. I pezzi, realizzati in cantiere, erano applicati con l’ausilio di staffe in ferro, corde, ferri di ritegno per gli elementi aggettanti,
con anime metalliche negli architravi.
4. Utilizzo del calcestruzzo nelle fortificazioni permanenti
Nella seconda metà dell’Ottocento la tecnica delle fortificazioni, che non differiva molto da quella
dei secoli precedenti, fu rapidamente superata dall’introduzione delle artiglierie a canna rigata, con
potenza di fuoco aumentata e gittata notevolmente più precisa dei sistemi precedenti. A partire dagli
anni 1860 si rese perciò necessario il radicale ripensamento delle fortificazioni con l’esclusione delle
cinte continue in muratura laterizia o lapidea, completate da terrapieni, a vantaggio del sistema a campo trincerato, costituito da forti staccati realizzati con masse di calcestruzzo di grosso spessore. Gli
ingegneri militari ritenevano che, per la costruzione delle fortificazioni, ormai fossero affidabili solo «i
metalli (ferro, acciaio, ghisa) per le torri o parti offensive delle opere: il calcestruzzo di cemento per le
grandi masse di protezione e di ricovero» (Arlorio 1893, p. 136).
La costruzione di opere di rinforzo per le strutture esistenti, diventate obsolete, richiedeva un impiego di risorse troppo ingente, per divenire sistematico.
Il progressivo incremento della potenza delle artiglierie portò ad elaborare studi e soluzioni successivi; il basamento era sempre realizzato in calcestruzzo, la copertura poteva essere fissa a cupola
anch’essa in conglomerato (spesso sostenuta all’interno da grossi profilati metallici svolgenti funzione
di cassaforma), o girevole costituita da una calotta metallica a protezione delle artiglierie. Nonostante
alcune sperimentazioni svolte all’estero, in Italia la struttura in calcestruzzo armato non prese piede.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, l’impiego di nuove artiglierie di potenza molto superiore alle precedenti, causò infine l’abbandono dei forti realizzati in calcestruzzo, troppo facilmente individuabili e incapaci di reggere all’attacco.
5. Prime applicazioni del calcestruzzo armato: il contributo dei militari
Fin dagli anni 1880, la Rivista di Artiglieria e Genio fu tra i periodici tecnici italiani che diedero
maggior spazio ad articoli riguardanti i nuovi sistemi costruttivi in calcestruzzo di cemento armato
coperti da brevetto (Monier, Hennebique, ecc.), illustrando le sperimentazioni e l’impiego che se ne
faceva negli stati (inizialmente Francia, poi anche Belgio, Germania e Austria) in cui questa tecnica
aveva già trovato una certa diffusione in edilizia, specialmente nella realizzazione di solai, passerelle,
ponti ed altre strutture inflesse10.
Dai primi studi e dalle prime applicazioni straniere emergevano l’elevata rigidezza, che consentiva
di eliminare le vibrazioni negli orizzontamenti, l’ottimo comportamento in caso di incendio,
l’igienicità e la durabilità del materiale.
L’interesse del Genio militare per questa tecnica innovativa non si limitò alla registrazione e diffusione di studi stranieri: la rivista pubblicò infatti nel 1896 il resoconto delle prove sperimentali eseguite dalla Direzione territoriale del Genio militare di Napoli11 e nel 1898 uno dei primi contributi italiani
in materia, l’articolo del tenente colonnello Girolamo Figari, contenente una teoria sulla resistenza
delle costruzioni in calcestruzzo armato (Figari 1898)12.
In questo studio Figari trascurava del tutto il contributo del calcestruzzo in zona tesa; il contributo
in zona compressa era invece valutato aumentando la tensione di sicurezza delle barre di armatura determinato dell’impedimento offerto dal calcestruzzo alla dilatazione trasversale dell’acciaio13. Lo studio proponeva inoltre un’analisi comparativa del costo di due travi di uguale resistenza, una in calcestruzzo armato, l’altra a doppia T in acciaio, arrivando alla conclusione che la prima consentisse un
risparmio di circa il 60%.
Ulteriori sperimentazioni e prove di carico su solai in calcestruzzo armato furono svolte presso i
cantieri di ospedali militari e caserme, nei quali il Ministero della Guerra aveva disposto di impiegare
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la nuova tecnica e, in maniera sistematica, presso la direzione del Genio di Roma, sotto la guida del
colonnello Caveglia.
Tenendo conto dei risultati sperimentali ottenuti e della letteratura tecnica del tempo, Caveglia elaborò una teoria di calcolo originale e brevettò un sistema costruttivo, rinunciando ai diritti di privativa
a favore delle amministrazioni dello Stato14. Sulla base degli esperimenti di Considère, Caveglia considerava le deformazioni limite di rottura e le resistenze unitarie del calcestruzzo, a trazione e a compressione, differenti e superiori in presenza di armatura rispetto alle parti non armate. Nella sua teoria
considerò anche il contributo del calcestruzzo a trazione, imponendo di contenere le deformazioni al
lembo teso entro il limite di rottura del conglomerato. Questo lo portò a rinunciare a gran parte della
resistenza espressa dalle barre di armatura tese, e spinse a preferire l’impiego di armature in ferro, meno resistente ma più economico, invece che in acciaio15. Nel calcolo della resistenza della sezione il
comportamento dell’acciaio era considerato elastico lineare; per il calcestruzzo si faceva invece ricorso
a un grafico non lineare ed alle tabelle relative ai valori di sforzo, deformazione e modulo elastico secante; a favore di sicurezza il modulo elastico secante, calcolato per il calcestruzzo più sollecitato a
compressione (o a trazione), era esteso a tutto il calcestruzzo con tensioni dello stesso segno.
Il metodo di calcolo proposto da Caveglia, paragonato al sistema empirico di Hennebique, portava
a un significativo risparmio di armatura e di calcestruzzo16, e quindi di peso proprio. Il sistema garantiva ampi margini di sicurezza, infatti «Da esperienze fatte ad oltranza è stato dimostrato che i solai del
sistema del Gen. Caveglia possono sostenere carichi da 7 ad 8 volte e più, quelli di sicurezza, prima
che se ne determini la rovina, e carichi doppi e tripli di quello di sicurezza, prima che si manifestino
lesioni capillari negli spigoli dove è massimo lo sforzo di tensione» (Marzocchi 1904, p. 31).
La teoria di Caveglia, pubblicata nel 1900, estesa l’anno successivo alle solette nervate, e corredata
da numerose tabelle per facilitare il calcolo progettuale, fu subito inviata a tutte le direzioni del Genio17. Ad essa fecero riferimento le prescrizioni per l’impiego del cemento armato nelle opere militari,
emanate a più riprese dall’Ispettorato delle costruzioni del Genio, che furono le prime norme italiane
in materia.
L’autorevolezza che Caveglia godeva in ambito militare, l’abbondanza dei dati sperimentali proposti e l’economicità della tecnica costruttiva, consentirono una rapida diffusione dell’impiego del calcestruzzo armato nei solai degli edifici costruiti dal Genio militare sul territorio nazionale e in particolare
a Roma18.
Precorrendo i tempi rispetto al contesto italiano, negli anni successivi Caveglia estese la sua teoria e
le sue sperimentazioni anche ad altri elementi costruttivi: pilastri e puntoni di incavallature soggetti a
pressoflessione (Caveglia 1904) e strutture di fondazione (Caviglia 1906). Studiò inoltre sistemi di
prefabbricazione di elementi di orizzontamento, che prevedevano la realizzazione a piè d’opera di solette per solai nervati, nei quali le travi potevano essere realizzate in opera (per garantire un vincolo
ottimale con le murature) oppure essere anch’esse «di riporto». Successivamente propose un sistema di
travi cave a sezione rettangolare o trapezia (simili a quelle del sistema Siegwart) da porsi in opera affiancate a formare estradosso ed intradosso piani, completate da un getto di calcestruzzo per renderle
solidali (Caveglia 1905; Marzocchi 1907).
Anche al di fuori dell’ambito militare l’interesse per il calcestruzzo, legato principalmente alle potenzialità di riduzione dei costi dei solai, era notevole e in progressiva crescita soprattutto da parte di
professionisti e imprese. Viceversa l’ambiente accademico era restio a studiare un materiale il cui
comportamento si discostava così fortemente dalla teoria dell’elasticità. Fu solo nel 1900 che Camillo
Guidi, docente di Scienza delle Costruzioni, tenne al Regio Politecnico di Torino le prime lezioni universitarie sul calcolo delle strutture in calcestruzzo armato 19.
Con l’estendersi dell’impiego del calcestruzzo armato a ditte non specializzate, in molte amministrazioni e nell’opinione pubblica si creò una certa diffidenza, dovuta ai numerosi casi di danni o crolli
di strutture già in esercizio, o addirittura ancora in costruzione. Spesso questi erano causati da imperizia tecnica, scarsa qualità dei conglomerati e delle armature dovute alla speculazione, talvolta anche
dal fatto che gli impresari, per liberarsi dai costi legati ai sistemi costruttivi brevettati, modificavano
arbitrariamente posizione e quantità delle armature.
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L’Associazione italiana per gli studi sui materiali di costruzione promosse quindi l’elaborazione di
una normativa per l’impiego del cemento armato che, approvata a Perugia nel congresso del 1906, nel
1907 fu recepita dalle Prescrizioni normali per l’esecuzione delle opere di cemento armato, emanate
con circolare del Ministero dei Lavori Pubblici.
Questa normativa, in linea con quella francese dell’anno precedente, determinò un valore fisso per
il modulo elastico del calcestruzzo, indipendentemente dalla composizione, e stabilì di non tener conto
della sua resistenza a trazione.
Il colonnello Marzocchi, in un articolo pubblicato sul Giornale del Genio Civile, sostenne ancora il
metodo di Caveglia, giudicandolo più preciso e sufficientemente sicuro, come testimoniato dalle numerose applicazioni ed esperienze sperimentali, e reputò che si potesse continuare ad applicarne la
teoria, ritenendo «fuori di dubbio» che la normativa italiana non escludesse la possibilità di utilizzare
metodi più precisi (Marzocchi 1907, p. 666).
Tuttavia già nel 1908 il tenente colonnello Emilio Marrullier propose un nuovo metodo di calcolo,
illustrato nella dispensa sulla teoria del calcestruzzo armato per la Scuola di Applicazione di Artiglieria
e Genio (Marrullier 1908), poi confluita nella Guida pratica per la costruzione degli edifizi, molto
diffusa anche in ambito civile (Marrullier 1911). Se da una parte il metodo del Marrullier si adeguò
alla normativa italiana non tenendo conto della resistenza a trazione del conglomerato, dall’altra se ne
discostò valutandone attentamente il comportamento non lineare a compressione20 attraverso l’uso di
un modulo elastico medio, e fornendo formule per la posizione della risultante di compressione nel
calcestruzzo.
Questo manuale, riedito ripetutamente fino al 1925 per tener conto delle successive modifiche normative, presentava numerose applicazioni del calcestruzzo armato alle costruzioni civili – fondazioni
continue e discontinue, pilastri, solai, scale e coperture – ma anche a serbatoi e silos, dimostrando
l’avvenuta affermazione della tecnica costruttiva.
Oltre agli aspetti legati al calcolo strutturale gli articoli ed i manuali prestavano particolare attenzione alle operazioni di confezionamento e messa in opera del calcestruzzo armato, che influenzano le
prestazioni di resistenza, e soprattutto di durabilità delle opere. Fino ai primi decenni del Novecento il
calcestruzzo era di norma confezionato con una quantità d’acqua molto contenuta, in modo tale che
l’impasto «pur sembrando asciutto all’apparenza, sia tale che stretto tra le palme delle mani conservi la
forma ed acquisti apparenza quasi pastosa»21. Il getto veniva eseguito per strati successivi «ben battuti
ed assestati con mazzeranghe» e le armature erano poste in opera al raggiungimento dello strato di
calcestruzzo in cui dovevano trovarsi. Talvolta, per migliorare l’aderenza con il resto del conglomerato
e per evitare che si potessero formare dei vuoti, le barre metalliche erano avvolte in una malta cementizia messa in opera con la cazzuola, prima di proseguire con il getto dei successivi strati di calcestruzzo. Si otteneva così un materiale molto compatto e omogeneo, tanto che lo stato di conservazione delle
opere realizzate si dimostra spesso migliore di quello degli edifici prodotti nella seconda metà del Novecento.
6. La conoscenza dei manufatti in calcestruzzo armato: valori, significati, prospettive.
Dallo studio dell’evoluzione delle opere in calcestruzzo armato e della cultura scientifica e tecnica
che le ha prodotte emerge una storia di sperimentazioni ed elaborazioni teoriche, ancora poco conosciuta, nonostante alcuni recenti studi in proposito. La scarsa conoscenza ha portato a trascurare la
rilevanza culturale dei primi edifici, nei quali non erano ancora sviluppate le potenzialità formali che
hanno reso il calcestruzzo armato materiale simbolo del Movimento moderno e del Novecento.
Questi edifici, di cui non si riconoscono le specificità, costituiscono oggi importanti testimonianze
dell’evolversi della tecnica costruttiva nel passaggio dalla fase pionieristica della sperimentazione alla
pratica consolidata del fabbricare.
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L’interesse per queste costruzioni, abbandonate all’incuria, trasformate o addirittura demolite, mira
a comprenderne appieno i valori e le logiche costruttive, e appare strumento utile di conoscenza per
interventi di conservazione.
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Note/Notes
1
Le analisi sulla resistenza dei cementi a trazione e compressione furono condotte utilizzando 5110 solidi di prova relativi a
22 tra cementi naturali e artificiali, a lenta e a pronta presa, di cui 11 esteri «notoriamente di ottima e buona qualità» (Arlorio
1893 p. 299). Alle prove di resistenza Arlorio affiancò le analisi chimiche fatte eseguire presso il Laboratorio di Chimica
Industriale del Regio Museo Industriale Italiano di Torino.
2
L’importazione di cemento raggiunse 585.940 quintali nel 1887, per poi diminuire negli anni successivi.
3
In Italia un ruolo importante fu svolto dai periodici di tipo tecnico, in particolare L’ingegneria sanitaria, diretto dall’ing. F.
Corradini, L’ingegnere igienista, Il monitore tecnico e la Rivista di Artiglieria e Genio, che pubblicò numerosi articoli sulle
latrine, le docce, e sulla ventilazione e l’igiene delle caserme.
4
Tuttavia il primato nella realizzazione di acquedotti spettava alla Francia, dove in 36 anni, coi soli cementi della zona Grenoble-Isère, erano stati costruiti oltre 1500 chilometri di condotte idriche.
5
Negli anni 1880 alcune tra le più importanti città d’Europa - Francoforte sul Meno, Varsavia, Pietroburgo, Marsiglia, Berlino, Monaco di Baviera, Londra, Parigi, Vienna, Magonza, Bruxelles - avevano già avviato lavori sistematici di fognature
(lunghe anche 150-180 km); i progetti erano stati presentati all’Esposizione Italiana di Architettura di Torino (1890).
6
Porti marittimi. Monografia illustrata del Ministero dei lavori pubblici, Tipografia Pirola, Milano 1905.
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TURRI, ZAMPERINI, CAPPELLETTI
7
Talvolta si usava una finitura con inerti misti silicei e calcarei che degradandosi in maniera differenziata mantenevano nel
tempo la necessaria scabrosità della superficie.
8
Le voltine sopra ferri a T per luci da 0,80 a 1,20 m, piane con fori longitudinali di alleggerimento e spessore di 12-14 cm,
oppure con intradosso a volta e spessore 6-8 cm, portavano carichi tra 1700 a 2400 kg/m2, come specificato in Società Italiana dei Cementi e Calci Idrauliche, Officine dell’Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo 1903, p. 163.
9
Il progetto della caserma di Alessandria si deve al colonnello Trincheri; dal 1885 al 1891 le fasi di costruzione furono dirette
dal capitano del Genio Cappa. Il progetto della caserma Duca d’Aosta (poi Bixio) di Casale Monferrato si deve al tenente
colonnello Lussiana.
10
Sul sistema Monier fu pubblicato un articolo nel 1887 e un secondo, più ampio e ricco di esempi, nel 1890; nel 1893 la
rivista illustrò i solai Hennebique; nel 1899 l’ufficiale del Genio Felice Pasetti fece un ampio resoconto su tutti i più diffusi
sistemi coperti da brevetto e sulle applicazioni del cemento armato alle varie parti dell’edificio, alle opere marittime ed alle
fortificazioni.
11
La Direzione del Genio militare di Napoli nel dicembre del 1895 fece costruire due solai realizzati secondo il sistema Hennebique e li sottopose a prove di carico statiche e dinamiche e ad una prova di resistenza al fuoco, ottenendo risultati ritenuti
molto positivi (Solai sistema Hennebique, 1896).
12
Cfr. Iori 2001, p. 55.
13
Nella prima parte dell’articolo Figari studiò l’interazione trasversale tra calcestruzzo e acciaio, determinata dall’aderenza
tra i due materiali, che, generando uno stato di coazione triassiale, consentiva di raggiungere livelli di sollecitazione superiori
alla resistenza delle armature d’acciaio prese singolarmente. L’analisi dello stato di sollecitazione del calcestruzzo in zona
tesa arrivava però a determinare l’impossibilità di tener conto di questo contributo positivo, a causa delle discontinuità dovute
alla formazione nel calcestruzzo di fessure perpendicolari all’asse della trave.
14
Cfr. Marzocchi 1903, p. 498.
15
Con l’espressione ferro si indicava l’acciaio dolce, ovvero con basso tenore di carbonio.
16
Prima che la teoria del Caveglia fosse pubblicata, il capitano del Genio Nicoletti Altimari fu incaricato di progettare i solai
dell’Ospedale militare della Marina a Taranto, per i quali adottò il metodo Hennebique, eseguendo i calcoli strutturali con il
metodo empirico proposto dall’impresa francese. A seguito della pubblicazione dell’opera di Caveglia volle confrontare i
risultati dei due metodi di calcolo, ottenendo significative riduzioni negli spessori delle solette rispetto al metodo empirico.
17
Per quanto riguarda le nervature dei solai, invece, la prima formulazione del Caveglia non tenendo conto della collaborazione della soletta, portava a dimensioni maggiori di quelle fornite dalle regole di Hennebique. Nel 1901, per ottimizzare
l’impiego delle risorse anche nel caso di solai nervati, Caveglia pubblicò un’appendice alla sua teoria in cui estendeva il suo
sistema di calcolo alle travi con sezione a T (Nicoletti Altimari 1901, p. 416).
18
Marzocchi (1904, p. 45) cita edifici costruiti a Milano, Piacenza, Modena, Bologna, La Spezia, Fano e Taranto. Fa inoltre
riferimento ai solai delle caserme Cavour e Umberto I e dei padiglioni aggiunti all’Ospedale militare del Celio, e di alcuni
magazzini di casermaggio; Gini 1907 cita le applicazioni del calcestruzzo armato fatte nell’insediamento militare presso Porta
San Lorenzo a strutture di fondazione nervate, alla copertura con archi ribassati di una scuderia (con prefabbricazione di
alcuni componenti), e ad un grande serbatoio per l’acqua.
19
Guidi ebbe modo di visitare ripetutamente i cantieri della Società Giovanni Antonio Porcheddu, concessionaria per il nord
Italia del Sistema Hennebique con sede a Torino; successivamente condusse una serie di prove su strutture in calcestruzzo
armato presso i laboratori del Politecnico di Torino (Iori, p. 64 e 98-99).
20
Marrullier considera che la legge di legame sforzi-deformazioni possa essere definita dalla formula: σn = A i in cui σ è lo
sforzo, i la deformazione, n ed A sono due costanti dipendenti dal tipo di conglomerato.
21
Nel caso si utilizzassero inerti perfettamente asciutti, Marzocchi suggerisce l’impiego di 22÷25 litri di acqua ogni 50 kg di
cemento (Marzocchi 1904, p. 25).
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