SI FA PER RIDERE
Quante volte abbiamo sentito la frase “si
fa per ridere”, pronunciata da chi aveva
appena preso in giro qualcuno? A volte,
quando si è in compagnia, viene l’impulso
di dire battute, di provocare risate, anche
a danno di altri, vittime più o meno
consapevoli dell’ironia del burlone di turno. Poi spesso ci si rende conto, anche un attimo
dopo, di avere forse esagerato, di avere magari offeso qualcuno e quindi ci si giustifica con la
frase “si fa per ridere”. Se si fa per ridere, allora va bene. È tutto perdonato.
Quando Roberto Benigni, nei suoi monologhi ai tempi del governo di Berlusconi, faceva satira
sull’allora Presidente del Consiglio, concludeva le battute con un “Silvio, si fa per ridere, eh!”
tanto per mettere le mani avanti e scongiurare magari qualche querela per diffamazione. Per
quanto, anche in quelle scuse dirette a Silvio si scorgeva una sottile e velata ironia, riguardo
alla suscettibilità del personaggio (qualcuno forse ricorderà il cosiddetto “editto bulgaro” di
Berlusconi, che escluse per anni Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi dalla
televisione italiana). Ma se si fa per ridere, allora tutto è perdonato...
Ne siamo così sicuri?
Una risata vi seppellirà
I fatti di Parigi dello scorso gennaio, la strage compiuta dai
fondamentalisti islamici alla redazione di Charlie Hebdo
sembrano purtroppo negarlo. Quei fatti hanno suscitato un
nuovo dibattito sul problema della libertà di satira, che
peraltro è un problema vecchio quanto le società umane,
perlomeno quanto lo sono quelle sottomesse al potere e alla
prepotenza.
Infatti, mentre la tragedia ha origini nell’antica Grecia, la
comicità – in quanto stile letterario – nasce invece sotto l’Impero Romano e le prime opere
satiriche erano scritte in latino.
Nella democrazia ateniese il cittadino sceglieva, con piena responsabilità di decisione tra il
bene e il male, e per le scelte sbagliate la colpa ricadeva su di lui: da qui il senso delle
tragedie greche.
Roma invece era governata da un potere forte e centralizzato, che decideva del destino dei
cittadini, ai quali non restava molto spazio di scelta. Ciò che era giusto o sbagliato veniva
stabilito dal potere, e la trasgressione o il disaccordo erano puniti o emarginati. Si dovevano
eseguire gli ordini come delle marionette, con scelte individuali ridotte o inesistenti e l’unica
possibilità per i cittadini comuni era obbedire,
comportarsi e agire – appunto - come marionette. La
comicità nacque quindi come reazione del popolo,
come sfogo all’imposizione di un comportamento
omologato. Il personaggio comico era quello che non
riusciva a realizzare il modello richiesto, “normale”.
Oppure, che voleva a tutti costi impersonare il ruolo
dettato dalla normalità, ma con risultati goffi e
ridicoli. In questo caso era il modello stesso, quindi,
quello del potere costituito, che veniva preso in giro.
Questo ruolo della comicità è rimasto pressocché
invariato nei secoli. Chi non ricorda Charlie Chaplin
nei panni del Grande Dittatore?
Un’altra frase storica legata al rapporto tra ironìa e
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potere, è la celebre "Una risata vi seppellirà". Questa frase ha avuto origine tra la fine
dell'Ottocento e gli inizi del Novecento ed era lo sberleffo degli anarchici quando venivano
arrestati. E' stata poi ripresa dai movimenti di protesta, sia nel 1968 che nel 1977. Il motto
completo degli anarchici francesi recitava: «La fantasia distruggerà il potere e una risata vi
seppellirà». Gli anarchici ponevano l'accento sulla prima parte, cioè sulla fantasia al potere
capace di distruggere le vecchie regole della politica. Successivamente, la frase è stata
rimaneggiata e usata per sbeffeggiare le forze dell'ordine durante gli arresti.
La risata quindi è stata utilizzata come espressione di complicità, in una vera e propria
risata rivoluzionaria, con l’obiettivo di "infastidire il potere". Se ne deduce dunque che
fantasia e allegria aiutano ad affrontare la vita, grazie al loro effetto liberatorio. Sono utili
armi per affrontare i problemi e per proporre idee nuove.
Che ridere facesse bene lo avevamo intuito da tempo: lo sapevano i giullari, i buffoni di corte
incaricati di divertire il re, gli unici autorizzati a sbeffeggiarlo pur di strappare un sorriso. La
risata è l’espressione per eccellenza della gioia e della felicità. Lo dice pure un vecchio
proverbio: ridere fa buon sangue.
Oggi la conferma ci arriva anche dalla scienza: ridere fa bene al cuore. La risata è un vero e
proprio farmaco: stimola la produzione di ormoni come adrenalina e dopamina, che a loro
volta liberano endorfine ed encefaline, in grado di migliorare l’efficienza del sistema
immunitario. Sembra provato che le persone allegre vivano più a lungo.
Riso animale
Ma il dono dell’ilarità non è stato concesso solo all’uomo, come si credeva fino a poco tempo
fa: anche gli animali ridono. Per molti anni si è pensato che riconoscere emozioni negli
animali fosse solo una forma di antropomorfizzazione e anche la risata è stata ritenuta a
lungo un’espressione esclusiva dell’uomo. Ma negli ultimi anni i ricercatori hanno dimostrato
che anche gli animali provano emozioni e ridono (quasi) come noi. Certo, la conformazione dei
muscoli facciali e delle corde vocali non permettono agli animali di farsi risate come gli
umani, ma loro ridono quando sono felici e lo fanno con altri mezzi: muovendo la coda,
girandosi vorticosamente, saltando, sguazzando nell'acqua (come i delfini).
La capacità di ridere precede, nello sviluppo cerebrale, quella di parlare; emerge molto presto
nel neonato e probabilmente anche nell’evoluzione del cervello di altri mammiferi. I circuiti
neurali della risata, infatti, si ritrovano in regioni “antiche” del cervello.
Chi ha un cane, sa benissimo come anche i nostri
amici a quattro zampe sappiano ridere. Essendo
l’uomo un animale sociale gregario esattamente
come il cane, ed essendosi le due specie evolute
insieme, hanno sviluppato un linguaggio
comune. Non dovrebbe dunque sorprenderci che
il cane sia in grado di provare ed esprimere le
nostre stesse emozioni. Quindi anche i cani sono
capaci di ridere: durante l’invito al gioco tirano
indietro gli angoli della bocca mostrando la
lingua, e appare sul viso un’espressione
sorridente, spesso accompagnata da una particolare respirazione. L’ascolto di questo speciale
ansimare provoca in altri cani (soprattutto nei cuccioli) l’istinto di prendere dei giocattoli o
saltellare gioiosi verso un compagno, confermando così che la risata li spinge a cercare un
momento di gioco e rinforza i comportamenti sociali.
Insomma, la risata trasmette emozioni positive e ha il potere di contagiare chiunque: crea
un’interconnessione tra gli individui, a qualsiasi specie essi appartengano. Da qui nasce
quell’impulso che dicevamo all’inizio, di fare gli spiritosi quando si sta in compagnia.
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C’è ridere e ridere
Esistono però diverse gradazioni e modalità di ridere e sorridere. C’è il ridere “spontaneo”,
che va dal sorriso sommesso della felicità e della gioia, alla risata allegra di buonumore, a
quella comica e ironica, fino alla cattiveria del riso sarcastico e cinico. Poi c’è il ridere
“attivato”, cioé l’invito e l’istigazione alla risata, e anch’esso può spaziare gradualmente
dall’umorismo all’ironia, alla satira, sino a degenerare all’invettiva e all’offesa. Spesso i
confini tra l’uno e l’altro di questi modelli di divertimento possono essere molto labili,
relativi, impercettibili. È facile travalicarli senza accorgersene. Abbiamo già visto che anche
gli animali ridono, ma la loro “risata” – a parte la manifestazione fisica e corporale,
completamente diversa da quella umana – è sempre di gioia e allegria; mai ironica o
sarcastica. Il nostro cane non riderà sicuramente se gli raccontiamo una barzelletta o se ci
vede scivolare su una buccia di banana. Forse, nemmeno sorride per la gioia di vivere o per la
felicità di avere noi e nessun altro come padrone. Ma di certo scodinzolerà e mugolerà di gioia
se ci vede prendere la pallina per giocare con lui.
Anche tra le diverse culture umane, e tra i singoli individui, le differenze tra i modi di ridere
sono enormi. Lo abbiamo visto in modo tragico all’inizio dell’anno, coi fatti già citati di Parigi
e di Charlie Hebdo. Quello che è satira e pura ironia per gli uni, è vista invece come grave
offesa e vilipendio da altri. O non è vista per niente. A parte rari casi di grandi talenti,
l’ironia non è universale: l’umorismo inglese di solito lascia del tutto indifferenti gli italiani,
così come la comicità italiana non è sempre apprezzata in America.
Anche all’interno di uno stesso Paese ci sono differenze. Molti italiani del nord, ad esempio,
non amano la comicità di Totò, mentre i cabarettisti
milanesi non sono così divertenti per gli italiani del
sud. Ma in questi casi le differenze linguistiche e
dialettali giocano un ruolo fondamentale, soprattutto in
caso di ironia e umorismo verbale.
All’epoca del cinema muto il problema non si poneva,
attori come Charlie Chaplin o Buster Keaton erano
universalmente apprezzati, così come i comici odierni
“volutamente” muti, i mimi alla Jacques Tati o quelli
che si esprimono in linguaggi corporali o surreali, come
Dario Fo e Mr. Bean.
Dalle comiche alla guerra
Una caratteristica della comicità è quella di essere piatta come un fumetto, mancando di
profondità sia spaziale che psicologica. I personaggi comici non hanno un particolare
background, non hanno storia né cultura. Spesso non hanno nemmeno una famiglia, li
vediamo soli, o in coppia o magari con un cane. Sono solo marionette, e a volte si muovono
anche come tali, come facevano Charlot o il primo Totò.
Le loro commedie sono, appunto, commedie, e non drammi o tragedie, i loro bisogni sono
basilari (fame, sete, sonno) nulla di pù profondo. Dunque anche lo spazio è piatto, a due
dimensioni. Ed è luminoso: se avete notato, la comicità non si sviluppa mai di notte, al buio.
Non c’è mai oscurità in un film comico, ma sempre luce. Il buio potrebbe essere angosciante,
mentre queste commedie servono solo per ridere, mai per spaventare o denunciare, non c’è
alcuna “morale della favola” o utopia.
Eppure, per contraddizione, i comici ridono poco, e mai di se stessi. L’ilarità scaturisce solo se
il comico vive in modo drammatico la propria situazione. Non si vedrà mai un personaggio
comico divertirsi per essersi accorto del ridicolo in cui è caduto. Sarebbe una situazione
“normale” e quindi perderebbe tutta la sua verve ed efficacia. Infatti, la comicità nasce
proprio dal contrasto, dallo squilibrio tra ciò che ci si aspetta (“normale”) e ciò che sorprende,
che è fuori luogo.
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Lo stesso conflitto vale anche per l’abbigliamento, che deve esser ridicolo pur se elegante. I
già citati Totò e Chaplin vestono con frac e bombetta, ma i pantaloni sono troppo corti, la
giacca troppo stretta, gli stessi personaggi non si comportano come ci si aspetterebbe da chi
veste così (l’abito fa il monaco, in realtà). Oliver Hardy, in bombetta e frac anche lui come
l’amico Stan Laurel, gioca con la sua cravatta come se fosse un bambino.
Il livello più elementare di comicità è quello indotto dalla
gag meccanica, fisica, gestuale, in cui si ride per il semplice
gesto in sé; come scivolare su una buccia di banana, o
mettere in testa un cappello al contrario. La gag narrativa
nasce da equivoci e malintesi, si ride perché si segue una
trama, come quando scopriamo alla fine l’esistenza di una
comoda strada, dopo che Laurel e Hardy hanno faticato
tutto il film per trasportare un pianoforte su una ripida
scalinata. La gag psicologica, poi, gioca sui doppi sensi e
sulle contraddizioni, fa sapere al pubblico ciò che il
protagonista non sa, basata più sui dialoghi, in cui si ride
per avere ascoltato e pensato; come in un dialogo in cui un
interlocutore parla della propria mucca e l’altro è convinto
che stia parlando della moglie, dialogo che va avanti a lungo
senza che si chiarisca l’equivoco.
La piattezza e la bidimensionalità cominciano ad assumere spessore e volume man mano che
dalla comicità procediamo verso l’umorismo e l’ironìa, che richiedono più riflessione e più
profondità di pensiero. E siamo ancora alla risata innocente, neutra. Ma, come dicevamo,
dall’ironia alla satira il passo può essere molto breve, quando si individua un oggetto, un
obiettivo da prendere di mira, da deridere. Con conseguenze che, come abbiamo visto,
possono essere drammaticamente gravi, sebbene involontarie e non cercate. La volontà
invece di “far male” si esprime con molta chiarezza nel sarcasmo e nel cinismo, che
cominciano a essere una dichiarazione di guerra, seppure sul piano della risata, o meglio del
ghigno, con chiara volontà di lotta e di vittoria, col rischio di travalicare nell’invettiva e
nell’odio.
Le risate degli italiani
E gli italiani sanno ridere? Si direbbe di sì, anzi sembrerebbe che gli italiani prendano tutto
per ridere e niente sul serio. Berlusconi ha condito i suoi tanti anni di governo con
barzellette, scenette e boutades per strappare risate e sorrisi, mentre celebri comici sono
diventati trascinatori di folle e fondatori di movimenti politici, come Beppe Grillo. Inoltre
tanti comici, così come tanti programmi di satira, sembrano
oggi rappresentare forse un’opposizione e una critica più
seguita e affidabile di tante altre opposizioni politiche
cosiddette “serie”.
In realtà la risata italiana, ultimamente, più che da ironia e
comicità pura, nasce soprattutto dallo scetticismo e dal
cinismo, per colpa delle vicende politiche del Belpaese, che
spesso superano la satira, rendendola inutile. Ad esempio, il
personaggio inventato da Antonio Albanese, il politico
corrotto e senza scrupoli Cetto La Qualunque, è diventato
presto datato e superato dalla realtà, dai veri politici seduti
nel parlamento o presenti nel governo. Le recenti cronache
hanno rivelato una realtà ancora più grottesca e paradossale
di quella ipotizzata da Albanese.
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Anche l’imitazione fatta da Maurizio Crozza del senatore Antonio Razzi, passato con gran
disinvoltura e opportunismo dall’Italia dei Valori di Di Pietro (centro-sinistra) alla destra di
Berlusconi per interessi personali e per lucro (“Te lo dico da amico: pensa a farti la grana...”),
è stata una “macchietta” ridicola ma di tale successo che lo stesso Razzi ha cominciato lui
stesso a imitare la propria parodìa fatta da Crozza.
Si fa per ridere
La risata, o meglio il bisogno di ridere, esiste dunque in natura come espressione di gioia e
felicità per un appagamento avvenuto o preannunciato e per condividerla, e in un modo o
nell’altro la si trova in tutte le forme viventi. Nell’uomo, così come molti altri fenomeni della
nostra specie, la risata si è sviluppata, evoluta e infine degenerata, seguendo lo stesso nostro
percorso sociale e culturale. L’allegria, la comicità, l’umorismo, la satira, l’ironìa, sono emerse
nella cultura umana nel corso dei secoli e da espressione ancestrale di emozioni e sentimenti
si sono evolute a strumento di aggregazione sociale, ad arma di difesa e poi ad arma di offesa.
Sembra di seguire lo stesso percorso di altri campi della cultura umana, come la tecnologia
che, dai primi utensili creati per la caccia e la pura sopravvivenza, si è evoluta nella
fabbricazione di armi sempre più letali, per guerre sempre più micidiali e universali.
Persino uno sport così amato e popolare come il calcio ha subìto questa involuzione: da
innocente gioco con la palla tra giovani spensierati si è ridotto in pochi decenni ad un
business miliardario, pretesto di violenze, scandali e corruzione.
A proposito di corruzione, che dire della politica? L’organizzazione statale era sorta migliaia
di anni fa per regolare la vita comunitaria di popolazioni che si erano stabilite in villaggi,
dopo che il passaggio all’agricoltura e all’allevamento le aveva convertite da nomadi in
stanziali. Da questo nobile intento iniziale, il governo delle prime comunità si è via via
trasformato in fonte di privilegi, lotta di potere e di conquista, oppressione, sfruttamento,
fino a ridursi alla politica che conosciamo, che non ha quasi più nulla della nobiltà originale.
Tanto che oggi la classe politica, più che ordine e disciplina, fa ormai venire in mente
piuttosto frode e disonestà.
Come a quell’automobilista che, mentre parcheggiava a Roma vicino a Montecitorio, al Vigile
che gli diceva: “Scusi, non può lasciare qui la macchina, c’è il passaggio dei Deputati” rispose
tranquillo: “La ringrazio, ma non c’è problema: sono assicurato contro il furto”.
Tengo a precisare, se ci fosse qualche politico che legge, che si fa per ridere!
Louis Petrella
Fonti fotografiche:
Charlie Hebdo (Je suis Charlie)
ArcadiaClub.com (Charlie Chaplin ne “Il grande dittatore”)
Petsblog.it (cane che ride)
Biografieonline.it (Totò)
TheRedList.com (Laurel & Hardy)
Cetto.it (Cetto Laqualunque)
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