CASE E NON-CASE
POVERTÀ ABITTATIVE IN TOSCANA
A cura della Fondazione Giovanni Michelucci
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CASE E NON-CASE
POVERTÀ ABITATIVE IN TOSCANA
A cura della Fondazione Giovanni Michelucci
SEID
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I
Fondazione Giovanni Michelucci Onlus
Presidente
Giancarlo Paba
Direttore
Corrado Marcetti
Coordinatore delle attività di ricerca
Nicola Solimano
Comitato Scientiico
Claudia Conforti, Cristiano Coppi, Mauro Cozzi, Adriana Dadà, Silvano D’Alto, Beniamino
Deidda, Giuseppe Faso, Giuseppe Germano, Ezio Godoli, Raimondo Innocenti, Alessandro Margara, Patrizia Meringolo, Giancarlo Paba, Massimo Pavarini, Camilla Perrone, Gianni Pettena, Ines
Romitti, Emilio Santoro, Antonio Tosi
Consiglio di Amministrazione
Roberto Agnoletti, Giulia Andreini, Duccio Brunelli, Michele Casalini, Gabriele Corsani,
Gianluca Giovannelli, Roberto Maggini
Copyright
Case e non-case. Povertà abitative in Toscana
A cura della Fondazione Giovanni Michelucci
© 2014 Seid Editori srl
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o trasmettere in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per fotocopia,
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dell’editore.
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Immagine di copertina: Giovanni Michelucci “La città variabile”, 1980. Archivio Fondazione
Michelucci - Disegno n. 1051
Cover design: Giovanni Napolitano
Isbn 978-888-89473696
INDICE
Prefazione Vinicio Biagi ................................................................................... 7
POVERTÀ, POLITICHE URBANE E WELFARE ABITATIVO
Povertà, ingiustizia spaziale, politiche urbane Giancarlo Paba .................... 11
1. “People prosperity vs place prosperity” ................................................... 11
2. Povertà vs miseria ................................................................................... 12
3. Ingiustizia sociale vs ingiustizia spaziale .................................................. 15
4. Capitale economico vs capitale spaziale .................................................. 17
5. Ricchezza della città e della natura .......................................................... 20
Quale sociale per le politiche abitative sociali Antonio Tosi ........................ 23
1. Il diicile “sociale” delle politiche abitative in Europa .............................
2. Il caso italiano: alla ricerca di una socialità delle politiche sociali ............
2.1 Raforzare le politiche abitative sociali ...............................................
2.2 Ridistribuire la socialità delle politiche ...............................................
2.3 Istituire un sistema di risposte per le situazioni più diicili ..................
3. Tre questioni per avviare una rilessione ..................................................
3.1 I marginali: fuori da questo sistema di politiche ..................................
3.2 Politiche ad hoc? ...............................................................................
3.3 La necessità di un welfare abitativo ...................................................
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Cara dolce casa. Come cambia la povertà in Italia dopo le spese abitative
Pietro Palvarini ...................................................................................... 37
1. Introduzione ..........................................................................................
2. Povertà economica e onerosità abitativa: verso un approccio uniicato ....
2.1 La questione delle spese abitative negli studi sulla povertà ....................
2.2 La questione delle spese abitative negli housing studies .........................
2.3 L’approccio del reddito residuo ...........................................................
3. La povertà prima e dopo le spese abitative: concordanze e discordanze ...
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Case e non-case
3.1 La povertà misurata con la metodologia tradizionale ..........................
3.2 La povertà misurata dopo le spese abitative .........................................
3.3 Le transizioni dentro e fuori la povertà generate dalla casa ..................
4. La casa come fattore di impoverimento: una nuova tipologia
della povertà ...........................................................................................
5. Diverse povertà, diversi rischi? ................................................................
6. Conclusioni ...........................................................................................
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POVERTÀ ABITATIVE IN TOSCANA
Paradossi urbani, paradossi umani Fondazione Michelucci ......................... 69
1. Abitanti senza case, case senza abitanti ................................................... 71
2. La povertà abitativa: nuove caratteristiche, nuove domande .................... 75
3. Il campo della ricerca: l’esclusione abitativa ............................................ 79
Gli immigrati e l’Erp: vincitori o vinti? Nicola Solimano ............................ 83
1. Una integrazione abitativa “incoerente” .................................................. 83
1.1 Costi e qualità dell’abitare ................................................................ 84
1.2 Le diicoltà di accesso ....................................................................... 86
1.3 Immigrati ed Edilizia residenziale pubblica ....................................... 86
1.4 Gli acquisti degli immigrati .............................................................. 88
1.5 Il disagio estremo e l’esclusione abitativa ............................................. 89
1.6 La Toscana ....................................................................................... 90
2. L’accesso degli immigrati all’Erp: i casi di Firenze, Livorno e Pisa ........... 91
2.1 I proili di disagio ........................................................................... 100
2.2 Disagi e svantaggi ........................................................................... 104
Gli sfratti, una questione non prorogabile Sabrina Tosi Cambini ............. 107
1.
2.
3.
4.
Note introduttive alla ricerca: obiettivi e metodologie ..........................
I dati nazionali. Un punto di partenza ..................................................
Gli sfratti nelle Province toscane ...........................................................
Gli strumenti a disposizione dei Comuni .............................................
4.1. Firenze ..........................................................................................
4.2. Pisa ...............................................................................................
4.3. Livorno ..........................................................................................
5. Gli sfratti e l’abitare precario ................................................................
6. Le interviste: storie abitative e fattori strutturali ...................................
6.1 Proilo sociale degli intervistati ........................................................
6.2 I costi abitativi ...............................................................................
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Indice
6.3 L’idoneità e l’inadeguatezza alloggiativa ..........................................
6.4 Il lavoro: precarizzazione, diminuzione, perdita ...............................
6.5 Il ruolo delle politiche nella crisi abitativa ........................................
6.6 Note conclusive ...............................................................................
Appendice. Interviste: traccia e categorie tematiche ....................................
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Abitare ai conini Nicola Solimano, Sabrina Tosi Cambini .......................... 151
1. Il rovescio della città .............................................................................
1.1 Deinizioni e disegno della ricerca ....................................................
2. Abitare precario in Toscana ..................................................................
3. Occupazioni di immobili e insediamenti non autorizzati ......................
3.1 Distribuzione nelle province ............................................................
3.2 Nazionalità coinvolte .....................................................................
3.3 Condizione professionale ..................................................................
3.4 Contatti con associazioni e Servizi ....................................................
3.5 La situazione nelle province toscane ..................................................
4. Progettare per l’esclusione abitativa ......................................................
4.1 Politiche per il disagio grave ............................................................
4.2 La città variabile: temporaneità, abitare leggero, autoproduzione ......
4.3 Le strategie progettuali ....................................................................
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Rom e Sinti in Toscana. “Un abitare amaro che non diventa casa”
Nicola Solimano, Sabrina Tosi Cambini ................................................. 177
1. Uno sguardo diverso .............................................................................
2. 2000-2013: una lettura di un decennio di politiche e interventi
in Toscana .............................................................................................
3. Il livello locale ......................................................................................
4. I villaggi e le aree per la residenza di Rom e Sinti ..................................
5. I villaggi temporanei ............................................................................
6. I progetti regionali “Rom Toscana” di Firenze e “Le Città Sottili”
di Pisa ..................................................................................................
7. L’inserimento in alloggi di Edilizia residenziale pubblica .......................
8. Rom romeni e insediamenti non autorizzati .........................................
9. Dopo l’“emergenza nomadi”: la Strategia nazionale e il Tavolo
regionale ..............................................................................................
10. Oltre i campi. “Pensare case” ................................................................
10.1 L’abitare di comunità .....................................................................
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Abitare ai conini
Nicola Solimano, Sabrina Tosi Cambini1
1. Il rovescio della città
Il Rapporto he Challenge of Slums pubblicato nel 2004 da UN-HABITAT,
l’Agenzia dell’ONU per gli insediamenti umani, ha permesso di avere, forse per
la prima volta, un quadro globale della crescita del processo di urbanizzazione.
Al momento del Rapporto, 2,8 miliardi di persone vivevano in aree urbane:
nel 2030 saranno 4,9 miliardi. Sei abitanti del pianeta su dieci vivranno quindi
nelle città. Soprattutto nelle megalopoli del cosiddetto “terzo mondo”: dei 2,1
miliardi di persone che andranno ad accrescere la popolazione urbana, infatti,
ci si aspetta che solo 28 milioni vadano verso i centri urbani dell’Occidente,
mentre quasi tutto l’aumento riguarderà i Paesi a basso reddito. In sostanza, il
Terzo Mondo cresce al ritmo di una città di un milione di abitanti ogni settimana. Questa evoluzione verso l’“urbanizzazione totale” è quasi arrivata al suo
culmine in Europa, così come in Nord America e nella maggior parte dei Paesi
del Sud America, mentre ogni nuovo incremento della popolazione interverrà
nelle città del mondo in via di sviluppo, le cui dimensioni raddoppieranno
da qui al 2030. Il grande movimento verso le aree urbane ha provocato – e
provocherà ulteriormente – la creazione di slum, termine che il Rapporto di
UN-HABITAT utilizza per deinire una complessa varietà di situazioni che in
altre lingue sono indicate con speciici nomi locali, e spesso con più di uno per
la stessa lingua.
Sebbene il termine slum sia applicato a una grande varietà di tipologie di
insediamento urbano, ciò che le accomuna è il fatto di essere delle aree caratterizzate da isolamento sociale ed economico, titolo di godimento o di permanenza
irregolare e condizioni sanitarie e ambientali al di sotto degli standard.
1
Il lavoro di ricerca è stato coordinato e condotto congiuntamente dagli autori. Nella scrittura
di questo report, i capitoli 1 e 4 sono di N. Solimano, i capitoli 2 e 3 sono di S. Tosi Cambini.
151
Case e non-case
Le popolazioni che abitano gli slums del mondo sono identiicabili in tre
gruppi sociali:
– ceti sociali autoctoni impoveriti;
– masse di inurbati (migrazioni interne ai singoli paesi);
– immigrati da altri paesi.
Nel caso italiano e toscano, è il terzo gruppo quello che è maggiormente coinvolto nell’abitare precario sebbene, come vedremo, anche la parte più debole della
popolazione italiana in grande diicoltà nell’accedere a un alloggio sia presente in
alcuni insediamenti e più in generale costituisca una parte non irrilevante dei senza
casa. Le principali determinanti di questa marginalizzazione di una parte dell’universo immigrato – indubbiamente la più debole dal punto di vista delle risorse –
risiedono nelle rigidità delle politiche migratorie nazionali, nella mancata predisposizione di modelli eicaci di accoglienza, e soprattutto nella odierna conigurazione
del sistema abitativo, che ne limita le possibilità di accedere a soluzioni alloggiative
stabili a prezzi sostenibili.
Accanto alla quota, assolutamente maggioritaria, di persone e famiglie di origine straniera che si è inserita positivamente nella società locale, esiste perciò una
crescente minoranza di gruppi di immigrati che, pur non vivendo una particolare
condizione di povertà e di marginalità, è costretta a reperire soluzioni abitative
informali e precarie.
La condizione di svantaggio nell’accesso alla casa degli immigrati riguarda
ogni grado della loro condizione economica e del loro inserimento sociale. Nonostante la grande varietà di condizioni, che d’altra parte rilette la varietà delle
igure e delle condizioni dell’immigrazione, il dato generale è una massiccia sovrarappresentazione degli immigrati in tutta la gamma delle situazioni di disagio
e di esclusione abitativa. Il dato più eclatante, però, riguarda l’incidenza della
componente immigrata nelle situazioni di più acuto disagio, ino all’esclusione
conclamata, e il fatto che queste situazioni riguardino non di rado anche immigrati che hanno un qualche lavoro e un qualche reddito (Tosi 2000).
Un’idea del carattere inedito e delle dimensioni di questo fenomeno è fornita da due dati: l’incidenza di situazioni di homelessness tra gli immigrati, e la
comparsa di insediamenti non autorizzati nelle grandi città e in generale in tutto
il territorio, abitati in larga parte da immigrati di recente arrivo. Situazioni marginali e transitorie di abitare improvvisato che riguardano gruppi di immigrati
nella prima fase del loro percorso di inserimento sociale e lavorativo, o nelle fasi
regressive dei percorsi migratori alla ricerca di una possibilità minima di sopravvivenza quotidiana.
Si è così assistito, a partire dagli anni 2000, a una intensiicazione dei fenomeni di insediamento informale o abusivo: non solo micro-insediamenti sparsi
152
Abitare ai conini
nelle aree meno visibili della città difusa, ma anche l’utilizzo di capannoni, di
aree industriali dismesse e immobili pubblici vuoti (anche nel centro delle città) e, nella costa, di ex-campeggi o tendopoli improvvisate nelle vicinanze delle
infrastrutture stradali e portuali. L’estendersi di questo fenomeno incontra i processi di marcata trasformazione del panorama urbano: in aree solitamente periferiche delle città (ma anche in parti dei centri storici), in una caotica dinamica
di deindustralizzazione e trasformazione urbana, si producono spazi di margine,
vuoti urbani abbandonati o in attesa di nuova destinazione, nei quali trovano
una possibilità di insediamento sfrattati, immigrati, persone e popolazioni dalla
cittadinanza diminuita e precaria, braccia da lavoro a basso costo e a pochi diritti.
In questo nuovo quadro in cui componenti signiicative dell’immigrazione
sono coinvolte in fenomeni di emarginazione ed esclusione sociale, emerge un
rischio speciico che riguarda in modo particolare i nuovi arrivi.
Oltre agli immigrati arrivati recentemente, vi sono poi persone appartenenti
a minoranze come i Rom rumeni, oppure emigrate per ragioni umanitarie, o
ancora gruppi che praticano forme inedite di “nomadismo transnazionale” e sono
alla ricerca di opportunità – per quanto precarie – ovunque queste si presentino
sullo scenario europeo. Inine, più trasversalmente, vi sono comprese persone
in condizione di irregolarità e occupate saltuariamente in settori ad alto tasso di
informalità, la cui condizione di “non autorizzati al soggiorno” complica l’accesso
all’alloggio e più in generale a condizioni di vita normali.
1.1 Deinizioni e disegno della ricerca
La deinizione di slum adottata da UN-HABITAT fa riferimento alla “presenza in un insediamento umano di dimensione variabile, caratterizzato da almeno
uno dei seguenti fattori”:
1. Mancato accesso ad acqua potabile;
2. Mancato accesso a servizi igienici (anche se collettivi):
3. Indisponibilità di suicienti superici abitabili interne all’alloggio;
4. Sistemazioni ediicate con materiali non durevoli;
5. Mancanza di certezza del titolo di godimento (secondo le normative vigenti).
Questo elenco di fattori – che a ini di misurazione statistica non prende
in considerazione le condizioni socio-economiche degli abitanti – è logicamente
ordinato: il criterio più immediato per distinguere un insediamento precario è
l’accesso ad acqua corrente non inquinata. In sequenza, si considerano poi uno
dopo l’altro i successivi indicatori.
Nella pratica dei risultati empirici conseguenti all’indagine condotta da
UN-HABITAT, sono i primi due – la mancanza di acqua e di servizi igienici – gli
indicatori che individuano il maggior numero di slum nel mondo.
153
Case e non-case
Questa proposta di classiicazione risente dell’esigenza di stime statistiche.
Gli indicatori citati sono stati scelti col ine di efettuare stime sulla base dei
Censimenti nazionali. Inoltre, è evidente che il termine slum, nel contesto internazionale, evoca insediamenti di grande ed anche grandissima dimensione alle
periferie delle megalopoli dei paesi in via di sviluppo: estesissime parti urbane
letteralmente autocostruite dalla popolazione inurbata o comunque marginale in
economie deboli o poverissime, e proprio per questo imparagonabili al contesto
toscano, dove il fenomeno degli insediamenti informali, comunque in drammatica crescita, assume ovviamente forme diverse e in parte già descritte.
La proposta di classiicazione avanzata da UN-HABITAT, che qui comunque
accogliamo nella sostanza (consente infatti di circoscrivere con un criterio eicace
un fenomeno che è in sé sfuggente per deinizione) deve perciò essere ricontestualizzata e soprattutto resa più lessibile.
L’indagine sull’abitare precario in Toscana, proponendosi obiettivi conoscitivi
di natura esplorativa oltre che di stima quantitativa dell’estensione del fenomeno,
accoglie dunque la proposta UN-HABITAT come criterio-guida, ma propone di
non considerare vincolante l’indicatore 3 (relativo al sovrafollamento) in quanto
estenderebbe inevitabilmente il raggio della nostra ricerca verso temi pur cruciali
come il disagio abitativo degli “alloggiati”, che tuttavia esulano dai più speciici
obiettivi conoscitivi che ci siamo dati, e per ragioni analoghe di circoscrivere
l’indicatore 5 a un’accezione ristretta, escludendo ad esempio quanti, destinatari
di un provvedimento esecutivo di sfratto, vedano compromessa la certezza della
disponibilità di un’abitazione.
Dalla rilevazione sono stati inoltre esclusi i “campi nomadi” e gli insediamenti di Rom e Sinti presenti stabilmente sul territorio da molti anni, oggetto da
tempo di una speciica rilevazione che la Fondazione Michelucci svolge per la Regione Toscana. La presente ricerca è infatti maggiormente indirizzata alle nuove e
relativamente inedite forme di abitare precario, che riguardano diferenti componenti dell’immigrazione (anche di origine Rom) e della marginalità sociale locale.
2. Abitare precario in Toscana
La Fondazione Michelucci, per conto dell’Assessorato al Welfare e alle Politiche abitative della Regione Toscana, ha svolto nel corso del periodo 20072012 una ricerca a cadenza annuale sui luoghi e le persone che abitano in situazioni precarie, irregolari o informali. Anche nel 2013 è stata svolta la mappatura, in gran parte direttamente sul campo, attraverso sopralluoghi – nei casi
più importanti, ripetuti in diversi periodi dell’anno – grazie anche al contatto
con interlocutori territoriali di natura diversa (associazionismo, Movimenti di
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Abitare ai conini
base, Uici comunali, Polizie municipali) in grado di fornire punti di vista e
fonti diferenti.
A seguito di una rilessione di natura teorico-pragmatica, si è deciso non solo
di far dialogare questo campo di ricerca con quello sulla condizione abitativa
dei Rom e Sinti in Toscana, ma di renderli – con le dovute speciicità – parti di
un’unica analisi sull’esclusione abitativa. Gli insediamenti Rom e Sinti – in particolare i campi uiciali e/o riconosciuti – infatti, non possono più essere trattati
come una presenza a se stante, ma al contrario come uno degli aspetti con cui ha
preso forma una delle più evidenti esclusioni abitative. Certamente le storie delle
persone e dei gruppi in condizioni di abitare precario sono diferenti, ma hanno
bisogno di essere collocate all’interno di una storia comune segnata da un mercato
della casa diicilmente afrontabile senza forme di sostegno da un sempre maggior numero di persone e da una carenza strutturale di alloggi sociali pubblici o
privati.
Questi fattori, infatti, sono decisivi anche nella valutazione delle possibili
soluzioni per afrontare un percorso abitativo fuori dal “campo nomadi”. Pensare il problema dei “campi” all’interno del problema casa, vuol dire anzitutto
afrontare la questione da un punto di vista abitativo scevro e alleggerito da
qualsiasi altro che sia di natura pedagogica-educativa o tantomeno di controllo
e di ordine pubblico. I “campi nomadi” hanno rappresentato per almeno due
decenni le situazioni di maggior disagio abitativo sul territorio toscano; rendere
parte i Rom e i Sinti di una storia comune ci aiuta ad afrontare anche le ultime
migrazioni dall’Europa dell’Est con un’ottica larga che le fa comprendere nei
più vasti lussi migratori.
Negli ultimi anni abbiamo visto nel discorso pubblico – delle istituzioni locali e dei mass-media – trattare gli insediamenti non autorizzati abitati da Rom
romeni con lo stessa categorizzazione utilizzata alla ine degli anni Ottanta per
i Rom provenienti dall’ex Jugoslavia, ancor più enfatizzata dall’inlusso della
cosiddetta “emergenza Rom” costruita su scala nazionale.
Se il numero di famiglie Rom in questi insediamenti è alto, altri immigrati
– soprattutto giovani provenienti dal Maghreb e dai paesi dell’Est europeo – ne
fanno parte in numero consistente, ma mentre per questi ultimi non si attiva
nessuno speciico schema stereotipico rispetto alla forma dell’abitare, per i Rom
l’insediamento diventa subito “campo”.
Dedicheremo il presente capitolo all’abitare precario come fenomeno che
interessa le nostre città ormai da tempo, fornendo uno sguardo d’insieme sul
territorio toscano, e nel prossimo ci focalizzeremo sulla condizione socio-abitativa
dei Rom e Sinti. I dati sugli insediamenti non autorizzati, quindi, comprendono
anche le situazioni informali riguardanti i Rom.
155
Case e non-case
Tab. 1 – Quadro generale riassuntivo delle situazioni di abitare precario in Toscana al
31/12/2013 (comprensivo delle situazioni di criticità dei Rom e Sinti)
Provincia
Persone in
occupazioni e
insediamenti
non autorizzati
Rom e Sinti
in insediamenti
“uiciali” o
“riconosciuti”
Villaggi
temporanei
Rom e Sinti
in aree private
alta/media
criticità**
Totale
Firenze
1.750
63
418
–
2.231
Pisa*
188
537
–
87
812
Prato
22
296
–
10
328
Pistoia
–
140
–
–
140
Livorno
192
50
–
–
242
Lucca
95
196
–
–
291
Massa Carrara
35
70
–
–
105
Arezzo
–
(area di transito)
–
–
–
Grosseto
50
–
–
–
50
Siena*
9
–
–
–
9
Totale
2.341
1.352
418
97
4.208
* Cfr. anche Tabella 2 del capitolo successivo “Rom e Sinti in Toscana”.
** La valutazione della criticità anche per le aree private si focalizza sulle dimensioni abitative per
cui sono esclusi gli eventuali contenziosi con le amministrazioni locali.
3. Occupazioni di immobili e insediamenti non autorizzati
L’abitare precario (o informale) è un fenomeno che si rende più visibile quando coinvolge un numero alto di persone e famiglie, ma che resta nascosto negli
interstizi della città quando si tratta di insediamenti piccoli o piccolissimi, costituiti a volte da ripari di fortuna.
La comparazione dei dati per annualità si è rivelata non solo utile per capire l’andamento del fenomeno, ma preziosa per valutare anche l’eicacia di alcuni approcci
rispetto ad altri nel tentativo di avviare a soluzione situazioni abitative precarie (si
veda, in particolare, il Rapporto sull’Abitare Precario anno 2010). Ad esempio, a
Firenze e nell’area metropolitana l’approccio contenitivo è chiaramente risultato improducente, inendo per spostare le persone da un Comune a un altro, da un’occupazione a un’altra, da un terreno a un altro (oltre che, e questo non è certo di secondo
piano, peggiorare le situazioni di vita già fortemente precarie). Signiicative, invece,
156
Abitare ai conini
sono state altre risposte, che partivano dal riconoscimento del diritto all’abitare (anche se con metodologie ed esiti diferenti), come quelle approntate nel 2010 per gli
abitanti dell’ex-Luzzi e per i cittadini provenienti dalla Somalia dopo Fosso Macinante2. Purtroppo, però, queste esperienze – che avrebbero potuto rappresentare un
approccio diferente per afrontare il fenomeno – non si sono evolute positivamente,
non hanno avuto caratteri di continuità, col rischio di vaniicare molti dei risultati
di breve periodo ottenuti. Inoltre, nei successivi anni le progettualità legate al rilascio
degli immobili occupati – nei casi in cui sono state attivate – si sono limitate a prassi
di “smistamento” delle persone in accoglienze straordinarie e temporanee. Laddove
c’è stato un approccio più progettuale – come nel caso del “secondo atto” dell’exLuzzi – si è optato per uno spostamento delle famiglie in Comuni piccoli molto
lontani da Firenze, una strategia che si era già rivelata non eicace per buona parte
delle famiglie coinvolte in alcuni precedenti progetti rivolti ai Rom.
Gli obiettivi della nostra ricerca sono di natura conoscitiva ed esplorativa di
un fenomeno che si presenta indubbiamente critico ed estremamente dinamico
da diversi punti di vista.
In questo lavoro di ricerca la Fondazione Michelucci è stata impegnata a vario
titolo nel tentativo di soluzione positiva di situazioni di abitare informale o irregolare. In tali situazioni abbiamo cercato sempre di costruire canali comunicativi
e terreni di confronto tra Istituzioni (Comuni, Regione, Prefettura), società civile,
terzo settore e abitanti di insediamenti precari o occupazioni. Un lavoro diicile,
in cui si sono evidenziate anche spinte e obbiettivi diversi (logiche contenitive del
fenomeno ma anche interessi immobiliari), che spesso hanno prevalso sulle ragioni e le condizioni che avevano creato quelle situazioni e sulle possibili soluzioni.
Le profonde trasformazioni all’interno del fenomeno dell’immigrazione, i
nuovi lussi dall’Est europeo, l’impoverimento di fasce della popolazione italiana,
la crisi delle tradizionali politiche sociali e abitative, l’insostenibilità degli aitti da
parte di un sempre maggior numero di famiglie italiane e straniere, sono elementi
di natura diversa che hanno concorso a caratterizzare le situazioni di abitare precario (ediici occupati, baracche, ripari di fortuna) come un fenomeno:
– ampio, che riguarda diferenti gruppi sociali, culturali, o persone di nazionalità diferenti, a volte accumunate da un particolare status giuridico (quello di
rifugiato, ad esempio),
– e dal carattere strutturale, che evidenzia la diicoltà di approcciarsi a esso con
gli strumenti consolidati.
Il 16 dicembre 2009 nell’ex scuola occupata di Viale Guidoni scoppia un incendio. Gli uomini
somali (150 circa) vengono portati nella struttura di Via del Fosso Macinante (senza acqua calda né
riscaldamento), per altri (compresi donne e bambini) si trova un’accoglienza temporanea presso una
struttura della Misericordia del Ponte di Mezzo e in un’altra a Sorgane.
2
157
Case e non-case
In questo scenario è necessario approfondire la relazione con le persone e le
famiglie presenti: lo scenario complesso necessita, infatti, di una descrizione e di
una comprensione articolata non solo dei fenomeni, ma della concretezza delle
situazioni di vita, che raccolgono in sé spesso soferenze (abitazioni insicure, dificili scelte legate alla migrazione, discriminazioni subite ecc.) ma anche notevoli
risorse presenti nelle persone e nelle relazioni familiari.
La parte di ricerca di approccio etnograico che si è svolta all’interno dell’ex
ospedale Luzzi si è concentrata principalmente sulla dimensione del vissuto delle
persone; così come – anche se con minor profondità data dai limiti delle risorse
temporali a disposizione – gli approfondimenti svolti a Pisa negli insediamenti
non autorizzati (ora non più esistenti a seguito di sgomberi) di Putignano e Cisanello. Chi sono le famiglie/persone che vivono in condizioni di abitare precario?
Quali storie di vita hanno? Quali carriere abitative? (Utilizziamo il concetto di
carriera come “organizzazione in sequenza di situazioni di vita”, Hannerz 1980).
Quali percorsi migratori? Quali le risorse interne? Quali risorse si sono costruite
sul territorio (relazionali e/o professionali)? Quali i signiicati che gli individui
attribuiscono all’ambiente nel quale vivono?3
Proprio la possibile emersione di queste risorse può diventare opportunità per
pensare soluzioni mirate e non generiche, percorribili e percepite come positive e
realistiche dai destinatari. Il raggiungimento di una conoscenza reciproca (tra chi
è in situazione di esclusione abitativa e chi è preposto alla ricerca di un tentativo
di risoluzione) permette – insieme a una progettualità non dettata dall’emergenza – di costruire realmente con le persone attraverso sperimentazioni locali delle
possibilità abitative e di insediamento su un territorio.
La permanenza e le presenze all’interno degli insediamenti non autorizzati o
delle occupazioni è spesso legata a fattori indotti dall’esterno. Anche per questa
ragione le stime e le informazioni illustrate di seguito debbono essere intese quali
ipotesi indicative dell’entità del fenomeno4.
La rilevazione ha compreso: i capoluoghi di provincia, i Comuni non capoluogo con un numero di abitanti rilevante (generalmente oltre i 20mila) e un
ulteriore campione di Comuni scelti perché collocati su assi viari, ferroviari o
stradali, di importanza, o comunque appartenenti ad aree, che potevano fare pensare a una eventuale presenza di insediamenti. Di seguito si fornisce un prospetto
riassuntivo del 2013 e in parte del 2014 (cfr. tabelle 2 e 3).
Si rimanda a: Fondazione Michelucci (2010a), (2010b); Marcetti, Paba, Pecoriello, Solimano
(2011).
4
Queste stime escludono le strutture di accoglienza – oggetto di un’indagine a sé della Fondazione Michelucci (2011) – e le sistemazioni delle persone che possiamo deinire “senza tetto” (cfr.
Fondazione Michelucci infra).
3
158
Abitare ai conini
3.1 Distribuzione nelle province
È opportuno sottolineare che la maggior parte degli insediamenti non autorizzati e delle occupazioni si localizzano nell’area metropolitana di Firenze e – con uno
stacco quantitativo notevole – a Livorno. Nei Comuni toscani in cui è stato svolto il
monitoraggio, qui suddivisi per provincia, abbiamo infatti una netta prevalenza delle
presenze (al 31 dicembre 2013 e al 15 giugno 2014) nel Comune di Firenze, che ammontano ad almeno 1.750 persone. Segue, a grande distanza, la provincia di Livorno
(per la quale sono stimate 192 persone), quindi Pisa (188), Lucca (95), Grosseto
(50), Massa e Carrara (35), Prato (22), Siena (9). Per i territori che non compaiano
nelle tabelle, nessuna presenza è risultata, sebbene ciò non signiichi che non vi siano
state delle situazioni di abitare precario magari soggette ad allontanamenti o comunque al momento non più esistenti. L’aumento delle presenze in città come Grosseto,
Massa e Carrara ci fa rilettere sull’espansione del fenomeno che inizia a toccare anche realtà più piccole, mentre l’aumento costante a Livorno rispecchia quanto messo
a fuoco per la questione degli sfratti (cfr. Tosi Cambini infra).
3.2 Nazionalità coinvolte
Nel caso toscano, è l’immigrazione a essere maggiormente coinvolta nell’abitare precario, sebbene anche la parte più debole della popolazione italiana, in
grande diicoltà nell’accedere a un alloggio, sia presente in alcuni insediamenti e
in particolar modo nelle occupazioni, e più in generale costituisce una parte non
irrilevante delle persone cosiddette “senza tetto”. Accanto, dunque, alla quota assolutamente maggioritaria di persone e famiglie di origine straniera che è riuscita
a costruirsi una situazione di sicurezza sociale, esiste una crescente minoranza di
gruppi che non necessariamente vivono una particolare condizione di povertà,
costretta a reperire soluzioni abitative informali e precarie. I gruppi maggiormente interessati dall’abitare informale e precario sono provenienti dall’Europa
dell’Est (in particolare dalla Romania) e dall’area del Maghreb. Spesso in questi
casi – specialmente se giunte in Italia da poco – le persone non possono fare
leva su una rete di relazioni capace di fornire soluzioni abitative provvisorie ma
comunque “semi-stabili”. L’abitare informale risulta così, da un lato, una dura
condizione necessaria di chi versa in condizione giuridica di soggiorno irregolare
o in stato di grave disagio economico, dall’altro funge da “luogo di transizione”
(anche in attesa di miglioramenti della propria condizione sociale e giuridica).
Inoltre, è da sottolineare come in tutte le tipologie di insediamento precario si
registri l’aumento di persone italiane. Trovarsi senza alloggio può essere una condizione breve e temporanea, a “intermittenza” o prolungarsi in modo indeinito.
Una particolare componente coinvolta – soprattutto a causa di percorsi istituzionali di accoglienza assolutamente non suicienti, nonostante l’apertura a
159
Case e non-case
Firenze del Centro Polifunzionale progetto PACI – è la migrazione “per ragioni umanitarie”: profughi, richiedenti asilo, rifugiati più o meno riconosciuti nel
proprio status di individui in fuga da persecuzioni, guerre, eventi calamitosi nel
proprio paese di origine5.
Inine, più trasversalmente, vi sono comprese persone in condizione di irregolarità e occupate saltuariamente in settori ad alto tasso di informalità, la cui
condizione di “non autorizzati al soggiorno” complica l’accesso all’alloggio e più
in generale a condizioni di vita dove i diritti fondamentali delle persone siano
tutelati e in cui la paura di essere espulsi non sia presente ogni giorno.
Una stima al ribasso di questo livello di “cittadinanza zero” – escludendo le
persone “senza tetto” e in questo paragrafo gli abitanti dei campi nomadi “uiciali” o “riconosciuti” e delle aree private in condizioni diicili – conta tra la ine del
2013 e il primo semestre del 2014, circa 2.350 persone in Toscana.
Tab. 2 – Quadro delle situazioni di abitare precario in Toscana eccetto Firenze al 31/12/2013
(per i Rom non sono compresi gli insediamenti uiciali e riconosciuti, aree private, villaggi)
Comune
tipologia
esistente
non esistente note
provenienza
Arezzo
insediamento non
autorizzato: ediicio
area industriale
10
sgomberato nel 2008
Follonica
insediamento non
autorizzato:
camper/roulotte
5
incendio nel 2008; adesso Romania
delibera 102/2013 per prg (Rom)
sociale e microarea
Follonica
insediamento non
autorizzato:
camper/roulotte
10
esistente: delibera
Romania
102/2013 per prg sociale e (Rom)
microarea (una famiglia è
quella dell’ex ilva)
Follonica
insediamento non
autorizzato: ediicio
15
esistente 2012
Italia,
Marocco,
Romania
Grosseto
insediamento non
autorizzato:
tende/baracche
7
esistente 2012
Est Europa
Grosseto
ripari di fortuna
14
varie
nazionalità
Grosseto
ediicio
4
Maghreb
Maghreb
5
Oltre il 90% dei RARU presenti nelle occupazioni a Firenze, intervistati e visitati dall’ Associazione Medici per i Diritti Umani, sono precedentemente stati coinvolti in percorsi o ospitati in
strutture di natura istituzionale (CARA, CPSA, SPRAR, Centro PACI ecc.).
160
Abitare ai conini
Comune
tipologia
Livorno
insediamento non
autorizzato: tende/
baracche
Livorno
insediamento non
autorizzato: tende/baracche
10
non più esistente
Livorno
insediamento non
autorizzato: ediicio
area industriale
14
sgomberato nel 2008
Livorno
Occupazioni Movimento
(vari immobili)
Piombino
insediamento non
autorizzato: ediicio
5
Piombino
insediamento non
autorizzato: camper
2
Portoferraio
insediamento non
autorizzato: tende/baracche
10
Portoferraio
insediamento non
autorizzato: ediicio
10
Portoferraio
roulotte
Collesalvetti
ediicio
5
non più esistente
Altopascio
Pietrasanta
Serravezza
camper
tende/baracche
tende/baracche
8
10
60
non più esistente
sgomberato nel 2008
non più esistente
Capannori
Forte dei
Marmi
Viareggio
ediicio
tende/baracche
5
17
sgomberato nel 2008
sgomberato luglio 2011
ediicio
20
Viareggio
tende/baracche
55
spostamento e sgombero
settembre 2011
non più esistente
Viareggio
tende/baracche
60
sgomberato nel 2008
Viareggio
ediicio
3
sgomberato febbraio 2013
(saltuariamente rioccupato)
Viareggio
insediamento non
autorizzato: roulotte
ripari di fortuna
Viareggio
Viareggio
insediamento non
autorizzato: roulotte e
camper
esistente
non esistente note
30
esistente 2012
160*
provenienza
Romania
(Rom)
Maghreb
Italia,
Maghreb,
Est Europa
sgomberato ottobre 2011
Romeni (solo
uomini)
Coppia italo
romena
sgomberato luglio 2009
2
Romania
Romania
(Rom)
Romania
(Rom)
Marocco
Romania
(Rom)
Romania
(Rom)
2
Rom romeni
13
Ungheria,
Slovacchia,
Romania,
Italia
Romania,
Italia, Bosnia,
Rom romeni
14
161
Case e non-case
Comune
tipologia
Viareggio
insediamento non
autorizzato: tende/
roulotte/camper
insediamento non
autorizzato: ediicio
insediamento non
autorizzato: ediicio
insediamento non
autorizzato: ediicio
baracche/roulotte
camper/roulotte
Viareggio
Viareggio
Viareggio
Viareggio
Viareggio
Massa
esistente
non esistente note
53
Romania
(Rom)
2
sgomberati
3
sgomberati febbraio 2013
5
sgomberati 2012
8
5
20
esistente 2012
esistente 2012
15
Massa
ripari di fortuna
Pisa
tende/baracche
158
Pisa
tende/baracche
36
esistente/saltuariamente
sgomberato
sgomberato tra il 2008 e
il 2011
non più esistenti
Pisa
insediamento non
autorizzato: ediicio
insediamento non
autorizzato: tende/baracche
insediamento non
autorizzato: tende/baracche
Occupazioni Movimento
(immobili)
5
non più esistente
Pisa
Pisa
Pisa
provenienza
11
38
36
Italia e
Marocco
Tunisia (solo
uomini)
Tunisia (solo
uomini)
Maghreb,
Senegal
Romania
(solo uomini)
Romania
(Rom)
Romania
(Rom)
Romania
(Rom)
Romania
(Rom)
Romania
(Rom)
Italia, Maghreb,
Est Europa
S. Giuliano
Terme
immobile
18
Romania
(Rom)
S. Giuliano
Terme
immobile
24
Romania
(Rom)
S. Giuliano
Terme
ediicio (ex ristorante)
8
Romania
(Rom)
S. Giuliano
Terme
insediamento non
autorizzato: tende/
baracche
40
esistente 2012
Cascina
insediamento non
autorizzato: ediicio area
industriale
10
esistente 2012
San Miniato
insediamento non
autorizzato: ediicio area
industriale
10
non più esistente
Maghreb
San Miniato
insediamento non
autorizzato: ediicio area
industriale
10
non più esistente
Maghreb
162
Romania
(Rom)
Abitare ai conini
Comune
tipologia
Santa Croce
sull’Arno
ediicio (2 alloggi
pubblici)
3
Prato
insediamento non
autorizzato: Ediicio
12
esistente 2012
Prato
ripari di fortuna (presenza
difuse)
20
esistente 2012
Prato
insediamento non
autorizzato: Ediicio
10
sgomberato nel 2008
Prato
insediamento non
autorizzato: Ediicio
10
sgomberato nel 2008
Siena
ripari di fortuna
12
sgomberato
Poggibonsi
insediamento non
autorizzato: camper/
roulotte
TOTALE
esistente
non esistente note
provenienza
Brasile,
Marocco
9
Romania
(Rom)
Italia,
Romania
429
Come si accennava più sopra, i paesi di provenienza vedono una larga
prevalenza della Romania, seguono il Marocco e altri paesi dell’Est europeo
e del Maghreb. I migranti dalla Somalia e in generale dall’Africa (fatta eccezione per il Nord di questo continente), altro gruppo consistente, si concentrano praticamente solo a Firenze, e in questo caso sono quasi tutti immigrati
RARU (richiedenti asilo o titolari di permessi di soggiorno per motivi umanitari o per protezione sussidiaria provenienti da Somalia, Eritrea ed Etiopia).
In diversi casi, queste persone hanno beneiciato per un periodo limitato di
tempo delle strutture aferenti allo SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) o di progetti analoghi, ma alla fuoriuscita da queste non
è stato possibile il reperimento di un alloggio – anche per la mancanza di un
reddito isso –, il che le ha portate verso sistemazioni precarie e a una richiesta
di aiuto verso il mondo dell’associazionismo, che anche i dati dei Centri di
Ascolto Caritas e l’Osservatorio sulla Strutture di Accoglienza della Fondazione Michelucci-Regione Toscana sottolineano. Nell’ultimo anno, inoltre,
rispetto a questa fascia di popolazione, si sono aggiunte molto persone che
erano rientrate nelle azioni approntate per la cosiddetta “Emergenza Nord
Africa”, ma la cui parabola è stata analoga a quella sopra delineata: inito il
periodo di accoglienza previsto (in questo caso anche perché terminate le risorse europee), dismissione dalle strutture al di là della presenza o meno di un
lavoro e/o di un alloggio a disposizione.
163
Case e non-case
Tab. 3 – Quadro delle situazioni di abitare precario a Firenze al 31/12/2013 e delle Occupazioni del Movimento di Lotta per la casa al 01/07/2014
Comune
tipologia
Firenze
ripari di fortuna (presenze
difuse, vari siti)*
155
Firenze
insediamento non
autorizzato: tende/
baracche (3 siti)*
insediamento non
autorizzato: ediicio*
Occupazioni Movimenti
(23 immobili pubblici e
privati + alloggi Erp**)
55
Firenze
Firenze
Tot. Comune di Firenze*
Campi Bisenzio
Sesto Fiorentino
Sesto Fiorentino
Scandicci**
presenze
insediamento non
autorizzato: ediicio area
industriale
insediamento non
autorizzato:tende/
baracche (3 siti)
Occupazioni Movimento
(2 palazzine adiacenti)
ripari di fortuna
150
1136
1496
8
Romania (Rom e non-Rom),
Maghreb, Senegal, Italia, Polonia,
Bulgaria, Moldavia
Marocco, Italia, Polonia, Romania
(Rom e non-Rom)
Romania (molti nuclei familiari) + 2
famiglie italiane
Paesi dell’Est europeo (in particolare
la Romania; Alcune famiglie Rom
montenegrine e kosovare), Maghreb,
Italia, Somalia,Etiopia, Eritrea, Ghana,
Senegal, Nigeria, una famiglia greca
Maghreb, Africa (giovani singoli)
90
Romania (Rom e non Rom),
Maghreb
80
18 alloggi. Famiglie italiane, studenti
italiani, famiglie Europa dell’est,
magrebine, 1 famiglia bielorussa,
1 famiglia peruviana. Nella maggior
parte provenienti dallo sgombero di
Viale Matteotti a Firenze
Marocco, Polonia, Romania (Rom e
non-Rom)
40
Totale solo area
metropolitana*
Totale Comune e area
metropolitana*
provenienza
218
1714
* Stime. Si segnala lo sgombero dell’ediicio in Via Accademia del Cimento il 1 luglio 2014
** Gli occupanti degli alloggi Erp si sono “ailiati” successivamente al Movimento
*** Si segnala lo sgombero dell’ex Cnr di Scandicci del 3 dicembre 2013 e quello della mattina
seguente in via Pelosi (immobile proprietà di Autostrada spa)
3.3 Condizione professionale
La condizione occupazionale delle persone è per la gran parte di lavoro
irregolare, soprattutto in edilizia per gli uomini. Le donne, quando occupate, svolgono perlopiù lavori di cura presso famiglie o di pulizie, la maggior
parte al nero. È diferente, però, la situazione all’interno delle occupazioni
dei Movimenti (e da occupazione a occupazione), ma soprattutto tra queste
164
Abitare ai conini
e gli insediamenti non autorizzati e dalle occupazioni non promosse da Movimenti. Difatti, negli insediamenti e in queste seconde occupazioni, molti
sono i casi di sostentamento tramite varie forme di mendicità, soprattutto
per quanto riguarda i romeni. La condizione di irregolarità del soggiorno,
le stesse condizioni di vita e sovente la povertà di competenze, ma anche la
semplice mancanza della residenza anagraica rendono diicoltosa se non impossibile per molti la ricerca di un’occupazione, a volte anche al nero. Inoltre,
da circa tre/quattro anni, dal nostro lavoro sul campo è emerso un ulteriore
problema legato alla remunerazione di manodopera prestata al nero. Molte
persone dell’area iorentina, pisana e livornese, in particolare dell’Est europeo, afermano come si sia molto elevato il rischio di non essere pagati a
ine lavoro – soprattutto nel campo dell’edilizia – e di aver avuto esperienze
ripetute in questo senso, tanto da essersi scoraggiati a volte nel ricercare altre
opportunità lavorative di questo tipo.
3.4 Contatti con associazioni e Servizi
Le occupazioni promosse e gestite a Firenze dal Movimento di lotta per la
casa mantengono un proprio sistema di contatti con alcune associazioni del
territorio e – anche se con certe diicoltà – con i Servizi territoriali. Inoltre,
con l’aggregazione maggiormente stabile di più famiglie e/o con la presenza di
reti di famiglie già consolidate, si innescano importanti pratiche di solidarietà
interna.
Negli anni 2000, con l’intensiicarsi di prassi e politiche a carattere sicuritario,
la situazione delle occupazioni si è sempre fatta progressivamente più diicile: da
tempo molte persone subiscono più di uno sgombero anche nel giro di pochi
mesi. A fronte di ciò e dei cambiamenti nella stessa popolazione degli occupanti
(cfr. Tosi Cambini infra), il Movimento di Lotta per la casa ha elaborato progetti e
proposte: dalla costituzione di cooperative di occupanti all’autorecupero, ino alla
partecipazione al bando sperimentale indetto dalla Regione nel 20126. Inoltre, tra
le ultime occupazioni, è da segnalare quella detta “delle donne”, ossia costituita
da sole donne (con o senza igli): il Movimento, infatti, ha colto una lacuna delle strutture di accoglienza sul territorio iorentino sia a livello quantitativo, sia
6
La Regione Toscana ha pubblicato il 23/05/2012 il bando “Misura E (Sperimentale): Progettazione e attuazione di interventi regionali pilota nel campo della bioarchitettura e bioedilizia e
di strutture alloggiative plurifamiliari di natura temporanea, che all’art. 1.C prevede “interventi di
autocostruzione o auto recupero di alloggi destinati alla locazione o altro titolo di godimento (in
cui) i soggetti attuatori sono cooperative o altri soggetti associativi senza scopo di lucro, costituiti
da singoli o nuclei familiari che intendano partecipare attivamente con il loro lavoro al processo di
autorecupero o autocostruzione”.
165
Case e non-case
a livello di organizzazione interna e dei regolamenti delle strutture esistenti in
quanto spesso poco compatibili con le esigenze di vita e relazionali delle donne
ospitate.
Per quanto riguarda le persone che abitano negli insediamenti non autorizzati, nell’ultimo biennio sembrano trovarsi in una condizione di ancora maggiore
isolamento: oltre, infatti, a un solo ed estemporaneo uso di Servizi di base come
il pronto soccorso sanitario, un certo abbandono di questi luoghi di buona parte
dell’associazionismo, fa cadere la possibilità di una interlocuzione con attori sociali del territorio.
A Pisa la spinta al controllo del territorio ha portato a una rilettura della
disponibilità all’accoglienza dimostrata ino alla seconda metà degli anni 2000,
con un parziale disimpegno dei Servizi nei confronti degli abitanti degli insediamenti non autorizzati. In questo contesto, l’associazionismo ha svolto un ruolo
di mediazione con le Istituzioni del territorio ottenendo a volte il riconoscimento
di alcuni diritti (come quello alla salute), all’interno di una vertenza per il riconoscimento della legittimità della presenza dei nuclei familiari.
A Livorno, il gruppo di Rom romeni abitanti nella zona di Via del Levante
ha subito nel corso degli anni numerosi sgomberi per cui, anche a seguito di un
nuovo grande cantiere edilizio, le persone si sono difuse nell’area e sul territorio
con una condizione di vita ancora più precaria. Tutto ciò, assieme al venir meno
dell’operatore sociale che nel corso del biennio 2009-2010 aveva svolto un ruolo
di collegamento fra gli abitanti di Via del Levante e i Servizi, ha fatto si che fra
questi non si sia instaurata una eicace relazione.
3.5 La situazione nelle province toscane
La principale distinzione che possiamo tracciare è quella tra immobili occupati tramite un movimento di base (il Movimento di lotta per la casa di Firenze,
Prendo Casa di Pisa e il Movimento antagonista livornese), e gli altri insediamenti, nei quali vivono gruppi spesso isolati dal contesto, in condizioni notevolmente
peggiori per quel che riguarda le sistemazioni e i rischi ambientali e interni. Si
tratta di insediamenti in ex fabbriche, in baracche autocostruite, ma anche di soli
ripari fatti con materiali di fortuna (materassi, cartoni, coperte) che si apprestano
la sera – nei dintorni di stazioni o aree verdi – per essere poi all’alba riposti in
angoli nascosti.
Si possono, così, distinguere almeno 3 diverse tipologie:
1. Le occupazioni di immobili legate a movimenti e associazioni nelle città di Firenze, Pisa e Livorno, numericamente preponderanti nella prima e in crescita
nelle altre, anche a causa dell’aumento del numero di sfratti esecutivi nonché
della lunga attesa per coloro che sono nelle graduatorie per gli alloggi Erp.
166
Abitare ai conini
Gli ediici occupati sono stabili ex produttivi, ex residenziali o la cui funzione
originaria era di natura sanitaria (in grande maggioranza nel capoluogo toscano). A Livorno spicca l’occupazione dell’ex Caserma Del Fante, a Pisa quella
– ormai pluriennale – della palazzina di proprietà dell’Azienda regionale per
il diritto allo studio universitario. Nel dato complessivo sono inserite anche
le occupazioni degli alloggi Erp, nelle quali nella maggior parte dei casi gli
abitanti si sono “ailiati” successivamente al Movimento7.
2. Insediamenti in baracche, ediici abbandonati (in particolare corpi di fabbrica in zone industriali), abitati nella maggioranza da immigrati dall’Europa dell’Est – in larga parte romeni (Rom e non Rom) e dal Maghreb
– suddivisibili a propria volta in base soprattutto alle dimensioni. Le caratteristiche principali sono la dinamicità/mobilità sul territorio (data soprattutto dalle pressioni, controlli e dalle azioni repressive) e la precarietà delle
sistemazioni, oltre alla particolare debolezza socio-economica delle persone
coinvolte.
3. Ripari di fortuna, in interstizi urbani o alle stazioni, che riguardano alcune persone provenienti dal Maghreb, dall’Est Europa, in particolare romeni
anche Rom, per i quali la strada diventa quasi una tappa obbligatoria della
propria esperienza migratoria. Spesso condividono alcuni luoghi urbani con
persone italiane che rientrano solo in parte nella presente rilevazione.
Per gli immigrati dal Maghreb (marocchini, tunisini), dall’Europa dell’Est
(romeni e bulgari non Rom) e africani (senegalesi, nigeriani) si tratta in prevalenza di uomini soli e occupati saltuariamente. Per alcuni piccoli gruppi di Rom
romeni si tratta di coppie imparentate che in molti casi hanno lasciato in patria
i propri igli.
Questo ultimo punto è importante: in particolare a Firenze, Livorno e in
alcuni luoghi a Pisa a causa della condizione fortemente precaria della situazione
abitativa, dei numerosi sgomberi subiti, il numero di minori sotto ai 14 anni presenti negli insediamenti non autorizzati è sceso ino a diventare esiguo8.
Mentre diversa è la situazione nelle occupazioni dei Movimenti, dove per la
presenza delle utenze, di uno stato strutturale degli immobili generalmente abbastanza buono, di un’organizzazione interna spesso funzionante e per l’esperienza
stessa dei Movimenti, la condizione di famiglia con igli minorenni e maggiorenni rappresenta quella più comune e – conseguentemente – le reti migratorie
possono espandersi ma anche trovare maggiori legami col territorio, a partire
dalla stessa scolarizzazione dei bambini (uno dei motivi principali per i quali ad
7
8
Per la diicile “tracciabilità” di queste occupazioni, il dato a riguardo è indicativo.
Fa eccezione la situazione di Via dell’Olmatello a Firenze.
167
Case e non-case
alcune occupazioni con Decreto di sequestro viene concesso dalla Magistratura
un ulteriore tempo è proprio per lasciare che i minori iniscano l’anno scolastico
senza drastiche interruzioni).
Le persone complessivamente coinvolte in azioni di sgombero sono state centinaia, e una parte di queste è stata allontanata più di una volta da luoghi diferenti. Infatti, spostamenti interni “non indotti” tra le diverse situazioni sembrano
piuttosto rari, mentre, viceversa, a seguito dell’intervento delle autorità alcuni
gruppi hanno sperimentato anche 4-5 trasferimenti.
Un ulteriore elemento di complicazione delle possibili soluzioni alle situazioni
di abitare precario viene dal nuovo Piano casa (DL 28 marzo 2014 n. 47)9, dove
all’articolo 5 “Lotta all’occupazione abusiva di immobili” si vieta alle persone occupanti senza titolo un immobile di chiedere la residenza e l’allacciamento a pubblici
servizi, prevedendo l’annullamento degli atti già emessi. Questo articolo, oltre l’evidente efetto di rendere più diicili eventuali soluzioni negoziate e di spingere verso
una condizione di illegalità gli insediamenti di abitare precario, contrasta con le
norme e le numerose sentenze della Cassazione che garantiscono il diritto oggettivo
e soggettivo alla residenza. Inoltre, vista la frequente e consistente presenza di minori nelle situazioni di occupazione e di abitare irregolare, vietare a costoro l’accesso a
beni fondamentali come l’acqua o il riscaldamento si pone in contrasto con norme
e convenzioni internazionali sulla tutela dell’infanzia.
“Art. 5. – 1. Chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedere la
residenza nè l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo e gli atti emessi
in violazione di tale divieto sono nulli a tutti gli efetti di legge. A decorrere dalla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, gli atti aventi a oggetto l’allacciamento dei
servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia issa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo, sono nulli, e pertanto non possono essere stipulati o comunque
adottati, qualora non riportino i dati identiicativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà,
il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare in favore della quale si richiede
l’allacciamento. Al ine di consentire ai soggetti somministranti la veriica dei dati dell’utente e il
loro inserimento negli atti indicati nel periodo precedente, i richiedenti sono tenuti a consegnare ai
soggetti somministranti idonea documentazione relativa al titolo che attesti la proprietà, il regolare
possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare, in originale o copia autentica, o a rilasciare
dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi dell’articolo 47 del testo unico di cui al decreto
del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
1-bis. I soggetti che occupano abusivamente alloggi di edilizia residenziale pubblica non possono partecipare alle procedure di assegnazione di alloggi della medesima natura per i cinque anni
successivi alla data di accertamento dell’occupazione abusiva.
1-ter. Sono fatti salvi, ino alla data del 31 dicembre 2015, gli efetti prodottisi e i rapporti
giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’articolo 3, commi 8 e 9, del
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23”.
9
168
Abitare ai conini
Nel contesto sopra delineato, il diritto alla città (di lefebvreiana memoria) e il
diritto alla casa si incontrano e, soprattutto grazie all’attività di movimenti e associazioni, danno vita a iniziative anche simboliche rivolte all’intero tessuto cittadino10.
4. Progettare per l’esclusione abitativa
Gli insediamenti dell’abitare precario sono difusamente considerati come
luoghi del degrado, dell’insicurezza, della criminalità e della devianza, prima ancora che dell’esclusione abitativa e dello svantaggio sociale, della povertà economica e dell’emarginazione.
La presa in carico dei “casi” risulta complicata dalla condizione giuridica irregolare di alcuni immigrati e nuclei familiari, e dalla mancanza della residenza
anagraica, che è il prerequisito indispensabile per accedere ai servizi di protezione
sociale maggiormente strutturati.
Se non altro per veriicare in maniera compiuta la possibilità di sviluppare una
progettualità di altra natura per l’abitare precario è necessario costruire una immagine di questi luoghi diversa da quella stereotipata tipica della comunicazione
mediatica e capace di rispettare la complessità del fenomeno di cui sono espressione: in questo modo si arriverebbe dunque non a negare ma piuttosto a rideinire i
problemi degli insediamenti irregolari, anche sui versanti (dove ve ne siano) che rinviano alla questione della sicurezza, dimensionandoli esattamente e spiegandoli con
riferimento alla situazione in cui si manifestano. A questo scopo bisogna sforzarsi
innanzitutto di adottare un altro sguardo su questi luoghi, che da una parte provi
ad assumere il punto di vista dei protagonisti e dall’altra sospenda (almeno temporaneamente) la preoccupazione di ricondurre al più presto il disordine all’ordine.
Diventa pertanto utile sviluppare percorsi di ricerca a ridosso di questi territori che spingano a entrare al loro interno e a stabilire contatti con chi li abita, a ricostruire i percorsi individuali e collettivi, a riconoscere le diferenze e le
speciicità tra le situazioni considerate, a provare a interpretare le ragioni che ne
determinano l’esistenza e le trasformazioni, a veriicare la disponibilità di alternative per chi li abita e così arrivare a esplorare le possibilità di azioni da mettere
Occupy Firenze in P.zza Ss. Annunziata a Firenze ha dato il via a un’assemblea pubblica,
costruendo un “abitare di protesta” e montando circa 30 tende. Questa esperienza – durata dall’11
al 29 novembre 2011, giorno in cui l’Assemblea ha sospeso i lavori e l’occupazione su pressione
del Comune – ha costituito un laboratorio sociale interessante, dove si sono incontrate persone
che vivono situazioni sociali diferenti fra loro e provengono da realtà diverse. In questo senso, il
Movimento di lotta per la casa, a partire soprattutto dalla metà del 2013, è riuscito a coinvolgere
nelle manifestazioni un ampio panorama dell’associazionismo iorentino, intessendo con esso un
dialogo rinnovato ed interessando la città di iniziative anche simboliche, come quella di maggio
2014 durante la quale sono state montate tende per tre notti in tre piazze diferenti.
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169
Case e non-case
in campo. Si tratta di costituire una mappatura sensibile, complessa e dinamica
del territorio dell’abitare precario, di renderlo intellegibile e quindi progettabile.
4.1 Politiche per il disagio grave
Sul versante delle politiche abitative, stenta a essere assunto pienamente il
tema del disagio grave: le misure tendono a concentrarsi sulla domanda della cosiddetta “fascia grigia”, e si traducono nella gran parte dei casi in oferte comunque inaccessibili per le fasce più povere. La necessità di un signiicativo rilancio
dell’edilizia sociale pubblica si è fatta strada tra mille resistenze e ripensamenti, e
l’oferta che ne deriva è al momento del tutto insuiciente.
Ma è necessario che le misure dirette alle fasce di disagio grave e gravissimo
trovino una loro speciica declinazione nelle politiche abitative e una loro forte integrazione con misure di carattere sociale. Questo richiede di riorganizzare
l’azione degli operatori pubblici (Regione e Comuni) in coerenza con le seguenti
esigenze: integrare tutte le competenze rilevanti – da quelle urbanistiche a quelle
socio-assistenziali – nella costruzione delle politiche abitative sociali; creare reti
verticali e orizzontali nel funzionamento amministrativo; redistribuire le competenze e l’organizzazione degli uici.
“In Italia è spesso difusa l’idea (o i diversi attori si muovono come se avessero questa
convinzione) che l’architettura per i poveri debba essere povera, mediocre, di scarso impegno progettuale, banale nei tipi, nei procedimenti costruttivi, nei materiali, nel grado
di originalità architettonica: insomma che la casa economica debba essere economica nel
senso di un’economia dell’intelligenza più che delle risorse [...] A una cittadinanza diminuita, sembra debbano corrispondere in modo naturale, una sub-esistenza e una condizione sub-abitativa, e queste condizioni sono destinate a durare nel tempo” (Paba 2011).
Una nuova oferta rivolta al disagio grave e all’esclusione deve prevedere
una gamma variabile si opportunità, che vanno dalle strutture per l’accoglienza
breve agli alloggi di inserimento; dalle case di coabitazione agli appartamenti per
famiglie.
4.2 La città variabile: temporaneità, abitare leggero, autoproduzione
Anche se è opinione comune che gli slum siano terreno fertile per il crimine,
il Rapporto he Challenge of Slums pubblicato da UN-HABITAT sostiene che la
loro esistenza in molte città procura dei beneici indiretti.
Per esempio, essi sono spesso il primo punto di sosta delle popolazioni che
emigrano verso la città; forniscono degli alloggi (per quanto impropri) tali da
poter permettere ai nuovi emigranti di risparmiare suiciente denaro per la loro
eventuale integrazione nella società urbana.
170
Abitare ai conini
Inoltre, la maggior parte degli abitanti di uno slum guadagna da vivere in
attività informali ma cruciali per molte città, fornendo quindi dei servizi che non
potrebbero essere facilmente disponibili tramite l’economia formale.
Sempre dal Rapporto emerge che, paradossalmente, risposte più complesse
ed eicaci arrivano da realtà urbane nelle quali bidonville e favelas sono enormemente più consistenti e difuse che nell’occidente. Queste politiche, che mettono
insieme possibilità di occupazione, sviluppo economico locale e miglioramento
delle condizioni abitative, cambiano radicalmente la condizione degli abitanti
delle bidonville che ino ad allora avevano lottato per la sopravvivenza, e trasformano luoghi e abitazioni degradate in alloggi ben mantenuti, dove le famiglie e
le comunità possono rinascere.
Gli autori del Rapporto ritengono inine che l’ammodernamento degli slum
esistenti è molto più eicace che la rilocazione dei loro abitanti altrove e il successivo abbattimento degli insediamenti negli slum. Quest’ultima soluzione può
creare infatti più problemi di quelli che tenta di risolvere. L’eliminazione e la
rilocazione distrugge senza necessità una grande quantità di alloggi in cui i poveri delle città possono permettersi di vivere, mentre le nuove case sono spesso
economicamente inavvicinabili per essi, con il risultato che le famiglie di sfollati
ritornano a una sistemazione arrangiata in forma di slum.
Nonostante la diversità dei contesti in cui queste interessanti esperienze sono
maturate, è il principio di fondo che ci sembra innovativo e trasferibile anche in
molti dei nostri contesti: aree ed ediici temporaneamente (e spesso molto a lungo)
non utilizzati che svolgono, anche in maniera informale o irregolare, una funzione
di accoglienza e di integrazione possono essere luoghi di progetto per la città.
Soprattutto nelle aree urbane maggiormente sature, dove le opportunità di
sviluppo dell’edilizia sociale o di altre forme di alloggiamento sono ormai ridotte
al minimo, non ci si può rassegnare all’idea che le residue possibilità di intervento
vengano interamente dedicate a funzioni economicamente rilevanti.
La dimensione delle forme di disagio e di esclusione abitativa non consente
di pensare che le risorse disponibili (edilizia pubblica, mercato, aitto calmierato,
oferte di emergenza) possano consentire un riassorbimento in tempi medi di
questo fenomeno. Neanche il solo sviluppo puramente quantitativo di edilizia
sociale (con il peso dei suoi limiti storici) potrà eicacemente agire verso queste
fasce, se non in misura minima.
Fronteggiare le nuove povertà abitative e l’abitare precario vuol dire oggi chiamare a un impegno progettuale straordinario e innovativo non solo gli enti e gli
operatori tradizionali delle politiche per la casa, ma anche quei soggetti e quelle
energie sociali impegnate sul terreno dell’inclusione, per la loro capacità di essere
vicini ai bisogni, di coniugare la dimensione relazionale con quella dell’eica171
Case e non-case
cia operativa, di interagire con i “mondi di vita” che sfuggono alla percezione e
all’azione delle istituzioni, e che ne fa soggetti privilegiati nella deinizione e nella
messa in campo di azioni rivolte alla fascia più vulnerabile della domanda di casa.
L’abitare precario e la necessità del suo superamento pongono quindi in questione l’intero sistema dell’oferta di edilizia sociale, nella sua dimensione quantitativa, nelle procedure di accesso, nella tipologia edilizia, nelle modalità e nei
costi di costruzione. Le dinamiche sociali e demograiche (dovute non solo all’immigrazione, ma anche a trasformazioni strutturali dell’economia e della società
locale) sono caratterizzate da una velocità e da una mutabilità che mal si concilia
con la pesantezza delle tradizionali attrezzature abitative, pensate quasi sempre
per essere “la casa per tutta una vita”.
Modularità, trasportabilità, lessibilità diventano le parole chiave di un nuovo modo di pensare l’abitare e l’insediamento urbano in una città in mutazione,
dove a pochi metri di distanza convivono ricchezza e povertà, produzioni di eccellenza e lavori di strada, rituali del consumo superluo e mancanza del necessario
per la sopravvivenza. Ritorna il richiamo michelucciano alla “città variabile”, a
una progettazione di spazi leggeri e lessibili, aperti alla trasformazione urbana e
sociale, ai bisogni delle persone che la abitano.
“I modelli di politiche abitative dovranno essere quindi ‘sensitive to diference’, in
grado di aderire ai bisogni speciici dei destinatari delle politiche, di interpretare le diversità dei desideri e dei bisogni delle vecchie e nuove cittadinanze, di costruire insieme
a essi le soluzioni, di trattare positivamente le forme di auto-produzione della casa autonomamente praticate, di rispondere ai diversi e spesso contrastanti aspetti di povertà e di
vulnerabilità abitativa” (Paba 2011).
4.3 Le strategie progettuali
La situazione dell’esclusione abitativa e dell’abitare precario ha caratteri inediti
e straordinari, ma ormai da considerare strutturali: la precarizzazione di molte famiglie italiane e straniere, le diicoltà di inserimento di parte della nuova immigrazione, l’arrivo di profughi da teatri di guerra e di discriminazione, ne costituiscono
gli elementi maggiormente critici. C’è bisogno di un nuovo modo di pensare e
progettare l’abitare e l’insediamento urbano in una città in mutazione, dove a poca
distanza convivono (senza incontrarsi) ricchezza e povertà estrema, produzioni di
eccellenza e lavori di strada, rituali del consumo superluo e mancanza dell’indispensabile per la sopravvivenza. Per fare questo è necessario andare oltre
“[...] il carattere indeterminato del fenomeno, la diicoltà di deinirne i contorni
quantitativi, l’incertezza delle descrizioni, la costrizione all’invisibilità (in due sensi: li
costringiamo a nascondersi e nello stesso tempo il nostro sguardo li ignora quando stan172
Abitare ai conini
no corposamente davanti a noi); l’inesistenza o la sostanziale ineicacia delle politiche
pubbliche; la repressione e il continuo processo di ridislocamento spaziale come politiche
predominanti, se non esclusive; la proliferazione di leggende metropolitane. Soprattutto
troviamo una caratteristica (socialmente costruita) che viene attribuita alla igura del povero e dell’emarginato: gli homeless sono nel modo in cui sono, nella loro otherness, per
una sorta di scelta di vita o di destino naturale; i loro comportamenti sono manifestazioni di una subcultura, non recuperabili, non trattabili; essi si riiutano di stare al gioco
normale della vita sociale; non hanno bisogno di casa, lavoro, famiglia, socialità, come
i cittadini ordinari; hanno bisogno di giacigli, elemosine, pasti e coperte” (Paba 2011).
Un rilancio dell’edilizia sociale e un indispensabile raforzamento delle misure sociali per l’accesso alla casa, per quanto auspicabili e importanti, non sono i
soli strumenti in grado di aggredire eicacemente i fenomeni di abitare precario
e di esclusione.
Sono necessari anche strumenti nuovi, in grado di essere messi in campo in
tempi rapidi, con risorse economiche limitate, con funzioni temporanee, con
scarso o nessun consumo di territorio, con la possibilità di essere utilizzati e riutilizzati in contesti variabili.
Le soluzioni adottate, per quanto rigorosamente temporanee, dovrebbero garantire una qualità dell’abitare che scongiuri il “già visto” dei campi profughi, dei
campi nomadi, del precario che si perpetua per anni ed anni.
Questi interventi – per essere realmente eicaci – devono far parte di un sistema strutturato di opzioni (prima emergenza, soluzioni temporanee, una gamma più vasta di opportunità di edilizia sociale, uso a ini sociali di patrimonio
inutilizzato, programmi sperimentali di autorecupero/autocostruzione, forme
di accompagnamento all’accesso al mercato) che non ne cronicizzi la presenza,
trasformando le aree transitorie in ghetti per poveri. Le soluzioni devono essere
messe a punto con la partecipazione dei destinatari degli interventi, che possono
essere protagonisti anche della loro realizzazione.
Bisogna innanzi tutto distinguere tra le situazioni di forte concentrazione,
che solitamente riguardano aree o ediici momentaneamente dismessi e/o in attesa di altra destinazione, dai piccoli insediamenti, più frequentemente allocati in
interstizi urbani o in piccoli ediici, con una modesta rilevanza numerica.
In questo secondo caso, soprattutto in presenza di una capacità di reddito
(anche potenziale) e di una condizione di soggiorno regolare o regolarizzabile,
è possibile attivare i tradizionali canali di accesso alla casa: da quelli “ordinari”
(edilizia residenziale pubblica, sostegno all’aitto) a quelli a maggiore accentuazione sociale (strutture individuali o familiari di accoglienza temporanea, accompagnamento lavorativo/abitativo, percorsi socio-assistenziali). In tutti questi casi,
è necessario che quanti vengano a contatto con persone o famiglie in condizioni
173
Case e non-case
di abitare precario (siano forze di polizia statale o municipale, associazioni di volontariato) segnalino ai Servizi territoriali il caso, in modo che si attivi un dovere
di intervento e responsabilità delle istituzioni locali e dei Servizi socio-sanitari.
Maggiormente problematiche e bisognose di risposte articolate si presentano
le situazioni di maggiore concentrazione, che si insediano in aree o ediici di una
certa consistenza e sui quali gravano solitamente progetti di riutilizzo che muovono consistenti interessi immobiliari e inanziari.
Le modalità di intervento possono seguire due strade:
1. il riuso progettato a ini sociali integrati dell’area o della struttura. È un percorso praticabile soprattutto in presenza di proprietà pubbliche o para-pubbliche, e soprattutto quando si tratta di ediici o complessi edilizi di una certa
consistenza, su cui è possibile far convergere risorse provenienti da diverse
fonti e per destinazioni tra loro integrate e compatibili;
2. la progettazione e la messa in opera di attrezzature temporanee e leggere. Si tratta
di un terreno inedito e sperimentale (almeno nei nostri contesti). Da mettere in
campo soprattutto quando gli insediamenti precari sono attestati in aree private
dismesse, e quando su queste aree c’è la prospettiva di interventi di riqualiicazione e nuova destinazione d’uso. Nella maggior parte dei casi il tempo che
intercorre tra la dismissione di precedenti funzioni su un’area o su ediici e l’inizio dell’intervento per la nuova destinazione d’uso è di molti anni. Una grande
quantità di risorse spaziali ed edilizie rimane senza utilizzo per un tempo che, se
sommato, è enorme; e durante il quale ediici e spazi degradano, le aree diventano terra di nessuno e difondono nell’immaginario sensazioni di insicurezza,
persone e famiglie vi si attestano in condizioni di forte precarietà, di incertezza,
di rischio igienico-sanitario. È pensabile che questi intervalli temporali siano lo
spazio di una progettualità fatta di attrezzature abitative leggere, poco invasive,
durabili, riutilizzabili in contesti successivi. Le innovazioni sul piano architettonico e tecnologico consentono di andare oltre la poco brillante esperienza dei
villaggi di emergenza visti sorgere dopo disastri e calamità naturali o in occasione
di emergenze umanitarie. I costi (economici e sociali) si presenterebbero enormemente inferiori rispetto alla ricaduta delle situazioni di abitare precario sul
sistema dell’oferta abitativa e sul sistema di protezione sociale.
Possiamo qui riassumere alcune parole chiave, utili alla formulazione di linee
di azione per il nostro contesto regionale (Solimano, Tosi Cambini 2011):
La sostenibilità. Le nuove tendenze dell’housing sociale indicano di non separare il tema dell’abitare a costi accessibili da quello della sostenibilità sociale e
ambientale attraverso la sperimentazione di soluzioni ecoeicienti e di nuove forme
di abitare. In particolare i progetti di autorecupero nascono spesso dalla volontà di
limitare il consumo di suolo e di sottrarre aree o ediici dismessi alla speculazione.
174
Abitare ai conini
Nuovi modelli dell’abitare. In conseguenza delle trasformazioni sociali e demograiche in corso emergono nuovi bisogni e nuove forme dell’abitare (abitare
collettivo, temporaneo, nomade, non standard ma basato su scelte intenzionali
etc.) che richiedono un diverso approccio della pianiicazione e delle politiche
abitative improntate a maggiore lessibilità rispetto ai modelli consolidati.
La pianiicazione aperta. La partecipazione sociale, la pianiicazione aperta
hanno un impatto profondo nelle modalità di produzione dell’housing, e contrastano la creazione di gated communities per le classi più abbienti a fronte di forme
di esclusione socio-spaziale delle classi più povere.
Politiche vicine alle persone. Le azioni di contrasto alla povertà abitativa non
devono limitarsi all’incremento delle opportunità di accesso alla casa, ma devono
costituire anche una opportunità di empowerment delle persone, di socialità e di
cooperazione, di insediamenti umani più vicini ai bisogni reali degli abitanti.
Una dialettica creativa tra istituzioni e movimenti. Spesso le innovazioni
nelle politiche sono l’esito di lotte dei movimenti per il diritto alla casa o dei movimenti ecologisti piuttosto che di progettualità istituzionale, che mostra spesso
un continuismo e una scarsa capacità di innovazione. L’apertura al dialogo con
queste forze all’interno della società è fondamentale per il rinnovamento delle
pratiche di trasformazione della città in direzioni non speculative.
Il terzo settore abitativo. La progettazione di risposte positive ai fenomeni
di abitare precario è una occasione per promuovere o potenziare lo sviluppo del
terzo settore e del sistema cooperativo che deve ritrovare i propri valori più genuini di mutualità e solidarietà.
Integrazione delle politiche. Il successo delle azioni di contrasto alle nuove
e vecchie povertà abitative è legato al raggiungimento della sicurezza della permanenza, all’accesso al credito che può avvenire attraverso diverse modalità (mutui
facilitati, microcredito, fondi di rotazione etc.) e alla integrazione con politiche
sociali, sanitarie e per il lavoro.
La casa variabile. Molte sperimentazioni interessanti si basano su una logica
incrementale promuovendo lo studio e la realizzazione di unità abitative minime
che hanno in se la possibilità di svilupparsi nel tempo man mano che la famiglia
trova le risorse per il miglioramento dell’abitazione.
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Gli autori
Vinicio Biagi
Coordinatore di area giunta regionale della Regione Toscana per le politiche di solidarietà
sociale e integrazione socio-sanitaria.
Pietro Palvarini
Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università di
Milano.
Giancarlo Paba
Professore di Pianiicazione territoriale dell’Università di Firenze e presidente del corso di laurea in Pianiicazione e progettazione della città e del territorio. È presidente della Fondazione
Michelucci.
Nicola Solimano
Coordinatore delle attività di ricerca presso la Fondazione Michelucci. È responsabile delle
attività di Osservatorio sociale che la Fondazione Michelucci svolge per la Regione Toscana.
Antonio Tosi
Professore di Sociologia urbana e di Politiche della casa nella facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Fa parte del Comitato scientiico della Fondazione Michelucci.
Sabrina Tosi Cambini
Ricercatrice presso la Fondazione Michelucci. Insegna Antropologia culturale nell’Università
di Verona.
SEID
E
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O
R
I
Negli ultimi dieci anni ai caratteri strutturali della nuova
questione abitativa – cambiamenti demografici, riduzione
dell’offer ta pubblica, crescita esponenziale della proprietà,
liberalizzazione e scarso controllo dei mercati dell’affitto –
si sono aggiunti gli eff
ffe
etti della crisi sociale ed economica.
La relazione tra i due piani – quello abitativo e quello
economico – si fa più stringente e diventa il nodo
centrale per le politiche di contrasto alla pover tà.
Nella città attuale i fattori territoriali e abitativi sono infatti un
luogo strategico per l’osser vazione delle nuove dinamiche
della disuguaglianza sociale. In par ticolare “l’abitare precario”
interroga in profondità i criteri, le priorità, le gerarchie che
presiedono alla programmazione urbana e allo sviluppo
della città, ma anche agli stessi ffo
ondamenti della convivenza
civile. E accade talvolta che proprio dai luoghi dell’abitare
precario, terre di nessuno dove si attesta la nuova pover tà
urbana, si può generare un “altrove concreto”, un processo
che esprime l’energia di cui la città vissuta ha bisogno per
ridisegnarsi a misura delle popolazioni che la abitano.
Le ricerche presentate in questo volume fanno par te
integrante della lunga collaborazione tra la Fondazione
Michelucci e la Regione Toscana sui temi delle pover tà abitative e sociali. Queste linee di ricerca-azione hanno inteso
restituire dignità progettuale a temi e a soggetti sociali rimasti spesso ai margini delle politiche e dell’azione pubblica.
La Fo
ondazione Michelucci viene costituita nel 1982 dall'architetto
Giovanni Michelucci e per statuto ha “lo scopo di svolgere
attività di ricerca nei campi dell’urbanistica, della architettura
moderna e contemporanea e dell’habitat sociale, con par ticolare riferimento alla qualità dell’abitare urbano, alle strutture
sociali e sanitarie, alle carceri e alle istituzioni educative e
formative, alla comunicazione intergenerazionale e interculturale”.
€ 24,00