QUADERNI FIORENTINI
per la storia del pensiero giuridico moderno
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VERSO LA GRANDE DICOTOMIA:
IL PERCORSO ITALIANO (*)
1. Una celebre voce di Norberto Bobbio, redatta nel 1981 per
l’Enciclopedia Einaudi, svela qual era, sino all’immediato ieri, la
precisa consapevolezza del nostro tema nel giurista continentale:
pubblico/privato rappresentano una « coppia dicotomica », una
« grande dicotomia », una distinzione idonea a « dividere un universo in due sfere, congiuntamente esaustive, nel senso che tutti gli
enti di quell’universo vi rientrano nessuno escluso, e reciprocamente
esclusive, nel senso che un ente compreso nella prima non può
essere contemporaneamente compreso nella seconda »; ed idonea
pure a « stabilire una divisione che è insieme totale, in quanto tutti
gli enti cui attualmente e potenzialmente la disciplina si riferisce
debbono potervi rientrare, e principale, in quanto tende a far
convergere verso sé altre dicotomie che diventano rispetto ad esse
secondarie » (1).
Non solo. Per Bobbio la grande dicotomia è divenuta tale
anche grazie al suo « uso costante e continuo, senza sostanziali
(*) Si pubblica qui la relazione tenuta all’Università di Trento, il 24 settembre
2015, al IV Congresso Nazionale SIRD: Il declino della distinzione tra diritto pubblico e
diritto privato, i cui Atti sono in corso di stampa. Ringrazio l’Associazione per la ricerca
in diritto comparato ed il suo Presidente, Prof. Michele Graziadei, per aver consentito
questa anticipazione.
(1) N. BOBBIO, Pubblico/privato, in Enciclopedia, vol. XIII, Torino, Einaudi,
1981, ora in ID., Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica, Torino,
Einaudi, 1985, p. 3. Alcuni materiali della voce erano stati anticipati nel 1974 nell’articolo La grande dicotomia, in Studi in memoria di Carlo Esposito, Padova, Cedam, 1974,
p. 2187 e ss., ora in ID., Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto,
Milano, Comunità, 1984, p. 145 e ss.
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mutamenti », nella storia del pensiero politico e sociale dell’Occidente. Si fa leva sull’estrema risalenza dei termini (il celebre passo di
Ulpiano è collocato nei primissimi paragrafi definitori del Digesto (2)), per avvalorare, come dato a priori, la suddivisione dicotomica del diritto, in pubblico e privato.
Non si tratta di una posizione isolata. Tutt’altro. Il civilista e
sociologo del diritto Jean Carbonnier ha insegnato la medesima
atemporalità della distinzione, ad intere generazioni di giuristi francesi: « tout le droit se divise en deux parties: droit public et droit
privé » (3). Olivier Beaud, commentando qualche anno fa questa
definizione, aggiungeva: è una distinzione che struttura l’ordine
giuridico nel suo insieme; si potrebbe dire che ne satura completamente lo spazio (4).
La dicotomia tra diritto pubblico e diritto privato rappresenta
quindi per la cultura giuridica continentale una grande bussola. Ed
appena le lancette iniziano a muoversi, subito il giurista si allarma;
ipotizza cataclismi o, in ogni caso, tempeste magnetiche che rischiano di sovvertire la sua stessa forma mentis; tempeste che
preconizzano Le déclin du droit, come intitola nel 1949 un libro
all’epoca celebre di Georges Ripert (5), segretario di Stato all’istruzione pubblica nei primi mesi del governo di Vichy, sottoposto ad
un duro processo di epurazione, ma personaggio pensoso ed osservatore attento delle trasformazioni strutturali a cavallo del secondo
conflitto mondiale (6).
2. Basta valicare le colonne d’Ercole della Rivoluzione francese, verso l’Antico regime, per vedere però che ben altre sono le
(2) Dig. I, 1, 1, 2. Inst., I, 1, 4.
(3) J. CARBONNIER, Droit civil, tome premier, Introduction à l’étude du droit et
Droit civil, Paris, Puf, 19656 (1a ed., 1955), p. 39.
(4) O. BEAUD, La distinction entre droit public et droit privé: un dualisme qui
résiste aux critiques, in La distinction du droit public et du droit privé: regards français et
britanniques. Une entente assez cordiale?, J.-B. Auby, D. Friedland (dir.), Paris, L.G.D.J.,
2004, p. 29 e ss.
(5) G. RIPERT, Le déclin du droit. Etudes sur la législation contemporaine, Paris,
L.G.D.J., 1949.
(6) Un sintetico, efficace, ritratto di Georges Ripert in J.-L. HALPÉRIN, ad vocem,
in Dictionnaire historique des juristes français: XIIe-XXe siècle, P. Arabeyre, J.-L. Halpérin, J. Krynen (dir.), Paris, Puf, 2007, pp. 669-670.
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grandi dicotomie che incanalano la riflessione giuridica: ius divinum/
ius humanum; ius civile/ius canonicum; ius commune/ius proprium;
ius inventum/ius positum...
La prima cosa che colpisce sono i vuoti lessicali. Ancora nel
corso del Settecento, nella letteratura giuridica italiana, il termine ius
publicum/diritto pubblico fa una estrema fatica a conquistare il
proscenio.
È un primo campanello di allarme che ci fa capire quanto sia
necessaria una ‘storia del diritto pubblico’, ma non nel senso di una
storia di una dimensione giuridica da sempre esistita ed immutabile,
ma al contrario come storia di un qualcosa che emerge, prende
forma, si sviluppa, certamente in connessione ed in funzione di
strutture statuali di comando e di governo del territorio, ma secondo
una varietà di tempi, di piste, di tappe, di contenuti, molto diversi tra
di loro.
La modernità europea ci consegna un percorso estremamente
frastagliato di emersione del pubblico.
L’Italia, in questo processo di emersione, non funge certo da
battistrada. Niente di paragonabile, nella penisola, alle trattazioni,
sempre più diffuse, a partire dal primo Cinquecento, nei territori
tedeschi, di uno ius publicum imperii romano-germanici, che — come
Michael Stolleis ci ha insegnato — segue l’intricata mappatura di
poteri imperiali, destinati ben presto ad illanguidirsi, e che tuttavia
trova alimento particolare in una già estesa respublica di letterati,
soprattutto in ambito protestante, ed è sospinto dalla necessità di
offrire una via di uscita al lacerante conflitto religioso (7).
Niente di paragonabile, neppure, al percorso francese di un
droit public, che al contrario già inizia a radicarsi all’interno dei
confini nazionali ed entro la nuova cornice dello Stato di giustizia e
che tra Bodin, Loyseau e soprattutto Domat (che a fine Seicento
intitola proprio al Droit public « La suite » de Les lois civiles dans
leur ordre naturel) comincia ad offrire una precisa radiografia giuridica dei rapporti tra monarchia e corpi. Una radiografia, beninteso,
operata attraverso l’impiego di lessici, categorie, istituti, tipici di
(7) M. STOLLEIS, Storia del diritto pubblico in Germania, tm. I, Pubblicistica
dell’Impero e scienza di polizia 1600-1800, Milano, Giuffrè, 2008, p. 123 e ss.; pp.
529-537.
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antico regime e funzionali alla descrizione e all’organizzazione di una
società corporata (8).
Niente di paragonabile, infine, in Italia, neppure a Settecento
avanzato, alla letteratura della Policeywissenschaft tedesca o del droit
de police francese (9).
Non c’è alcun spazio per questa tipologie di norme in un
celebre repertorio della giurisprudenza consulente, come le Practicae
conclusiones iuris di Domenico Toschi, ad inizio Seicento (10),
un’opera — come ha osservato Mario Ascheri — che costituisce
« un po’ il reticolo concettuale e la mappa toponomastica della
complessità e frammentazione del potere in età moderna » (11).
Un ramo dell’ordinamento definibile come ‘pubblico’ neppure
fa la sua comparsa nella classificazione delle « diverse sorti o specie
delle leggi », con cui si apre, nel 1673, il Dottor volgare di Giovan
Battista De Luca, che elenca: « la Divina, la naturale, quella delle
genti, la civile, la canonica, la feudale, e la particolare » (12): quest’ultima, certo, non più limitata agli statuti cittadini e dei diversi
corpi e collegi, ma ormai sempre più monopolizzata dalla legge che
« dal Prencipe sovrano si faccia per tutto il suo Principato » (13).
Vuoti lessicali significano anche persistente invisibilità della
dimensione pubblicistica. È un profilo che ha studiato in particolare,
(8) Ho cercato di ripercorrere questo itinerario in Alle origini della grande
dicotomia: « Le droit public » di Jean Domat, in Gli inizi del diritto pubblico, a cura di G.
Dilcher, D. Quaglioni, tm. III, Verso la costruzione del diritto pubblico tra medioevo e
modernità, Bologna, il Mulino-Berlin, Duncker & Humblot, 2011, pp. 679-696.
(9) Per uno sguardo di sintesi, L. MANNORI, B. SORDI, Storia del diritto amministrativo, Roma-Bari, Laterza, 20135, pp. 127-181.
(10) D. TUSCUS, Practicarum conclusionum iuris in omni foro frequentiorum...
tomus primus - tomus octavus et postremus, Romae, ex Typographia Stephani Paulini,
1605-8.
(11) M. ASCHERI, Le Practicae conclusiones del Toschi: uno schedario della
giurisprudenza consulente, in Giustizia e corpo sociale nella prima età moderna: argomenti
nella letteratura giuridico-politica, a cura di A. De Benedictis, I. Mattozzi, Bologna,
Clueb, 1994, p. 37.
(12) G.B. DE LUCA, Il Dottor Volgare, overo il compendio di tutta la legge civile,
canonica, feudale e municipale, nelle cose più ricevute in pratica; moralizato in lingua
italiana per istruzione, e comodità maggiore di questa provincia, Roma, Giuseppe Corvo,
1673, Proemio, cap. IV, p. 58.
(13) Ivi, Proemio, cap. IV, p. 66.
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a mio avviso, con notevoli risultati, Luca Mannori (14). Stato e poteri
pubblici, ovviamente esistono; sono pienamente effettivi. Anche nel
composito assetto istituzionale della penisola, quei poteri hanno
subito, almeno dall’inizio dell’età moderna, un rilevante processo di
concentrazione e di razionalizzazione. Iniziano persino a farsi carico
di compiti che noi definiremmo oggi materialmente amministrativi.
Quei poteri, tuttavia, non si esprimono con regole pubblicistiche di cui si avverta e si ammetta la specificità. La loro azione è calata
nei tradizionali modelli processuali, soffusa nel comune linguaggio
giuridico (che può essere quello della iurisdictio, dello ius universitatum, degli iura regalia) (15). Stato e poteri pubblici stentano a
condensarsi in un discorso di tipo teorico. Nell’atlante mentale dei
giuristi di antico regime non solo la grande dicotomia è ancora di là
da venire, ma lo spazio visivo fatica ad allargarsi verso una identità
giuridica propria e diversa da quella sottesa al diritto comune, verso
un possibile diritto pubblico, dunque, inteso come polo dicotomico
dell’ordine giuridico.
Non è ancora nelle corde dei nostri giuristi la grande dicotomia. Al contrario, è ancora forte l’onda lunga della lettura sedimentata del passo ulpianeo, risalente addirittura ad Azzone, secondo cui
« publicum et privatum non sunt species iuris, sed assignentur res,
vel personae, super quibus posita sunt iura » (16). Come spiegava
Francesco Calasso in un saggio fondamentale, pubblicato nel 1943
su Jus: « pubblico e privato non è il diritto, che è uno e inscindibile,
(14) L. MANNORI, Il sovrano tutore. Pluralismo istituzionale e accentramento
amministrativo nel Principato dei Medici (Secc. XVI-XVIII), Milano, Giuffrè, 1994, p. 17
e ss.; ID., Un’« istessa legge » per un’« istessa sovranità »: la costruzione di una identità
giuridica regionale nella Toscana asburgo-lorenese, in Il diritto patrio tra diritto comune e
codificazione (secoli XVI-XIX), a cura di I. Birocchi, A. Mattone, Roma, Viella, 2006, pp.
355-360; ID., Lo Stato del Granduca 1530-1859. Le istituzioni della Toscana moderna in
un percorso di testi commentati, Pisa, Pacini, 2015.
(15) L. MANNORI, Per una ‘preistoria’ della funzione amministrativa. Cultura
giuridica e attività dei pubblici apparati nell’età del tardo diritto comune, in « Quaderni
fiorentini », XIX (1990), p. 415 e ss.
(16) AZO, Summa Institutionum, Papiae, 1506, rist. anast., ex officina Erasmiana,
Augustae Taurinorum, 1966, I, 1 de iust. et iure, p. 348.
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ma i rapporti (res) o i soggetti (personae) su cui l’ordinamento
giuridico dispone » (17).
3. A metà Settecento iniziano i primi scossoni. Muratori, nel
1742, ha già passato in rassegna i Difetti della giurisprudenza; il ruolo
della legge e quello della opinio doctorum; ha radiografato, in stretta
connessione con la messa in discussione del sistema delle fonti del
diritto, i modi di funzionamento del potere giudiziario e la latitudine
dell’interprete (18). Proprio la critica della diretta capacità normativa
della scienza giuridica, in nome di una inedita « certezza del diritto », che ha qui il suo specifico momento di incubazione e che si
declina prima di tutto come certezza della legge, come infallibilità
del comando del legislatore (19), apre le primissime brecce verso
l’identificazione tra diritto e legge e verso il superamento dell’antico
pluralismo giuridico. Eppure, anche in quest’opera le aperture verso
un approccio dicotomico sono minime.
Solo nel Della pubblica felicità, il testamento che Muratori,
proprio a metà del secolo, consegna al secondo Settecento, si
iniziano almeno ad isolare una serie di saperi che si definiscono
appunto di diritto pubblico e che devono illuminare il principe e
l’uomo di governo.
Ora sarebbe bene che il principe istituisse una particolare accademia, in cui
studiassero le regole del saggio governo de’ popoli [...] Basta la giurisprudenza giustinianea ad un ordinario magistrato, deputato ad amministrare la
giustizia civile; ma per chi dee amministrare il principato come consigliere di
Stato sarebbe pur bene, anzi necessario, che egli sapesse anche una giurisprudenza superiore, cioè quella che insegna i primi princìpi della giustizia e
i doveri del principe verso de’ sudditi e de’ sudditi verso del principe, che sa
giudicare se le leggi stesse siano rette, o se altre maggiormente convenissero.
Chiamasi questo il gius pubblico, ampiamente trattato e insegnato nella
Germania e ne’ Paesi Bassi, ma trascurato per lo più dai giureconsulti
(17) Il saggio è stato ripubblicato in F. CALASSO, Gli ordinamenti giuridici del
Rinascimento medievale, Milano, Giuffrè, 19492. La citazione è a p. 285.
(18) L.A. MURATORI, De’ difetti della giurisprudenza, Venezia, Giambattista
Pasquali, 1742, cap. IV, Dei difetti esterni delle leggi e della giudicatura. Citiamo
dall’edizione Milano, Rizzoli, 1958, p. 39 e ss.
(19) P. GROSSI, Sulla odierna ‘incertezza’ del diritto, in « Giustizia civile », 2014,
4, pp. 926-29.
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italiani, che tutto il loro sapere restringono ai Digesti e al Codice e alla gran
filza degli ordinari autori legali (20).
Neppure 15 anni dopo, Beccaria dischiude ben altro scenario.
Anche in questo caso, in verità, l’approccio dicotomico è minimo. È
il « pubblico bene », il « ben pubblico », il « pubblico deposito » (21), non il diritto pubblico, a risuonare continuamente nelle
pagine del Dei delitti e delle pene. Eppure, il ripensamento copernicano del diritto di punire, del suo fondamento come dei suoi
limiti, passa questa volta attraverso un tuffo profondo nella tradizione contrattualistica europea e nell’intera letteratura politicogiuridica sei-settecentesca, da Grozio sino a Rousseau.
Il droit politique, cui Rousseau ha dedicato due anni prima di
Beccaria, nel 1762, il sottotitolo del Contrat social, sta diventando il
canale attraverso il quale inizia a scorrere, anche in Italia, la riscrittura degli assetti di antico regime e la progettazione, tra riforme e
rivoluzione, del nuovo ordine individuale del diritto.
Rousseau ne ha dato una definizione precisa: les lois politiques
sono le leggi che « regolano il rapporto del tutto con il tutto, o del
corpo sovrano con lo Stato » (22). Fra le diverse relazioni da considerare, la scelta del filosofo ginevrino è netta: « fra queste diverse
classi, le leggi politiche, che costituiscono la forma di governo, sono
la sola che rientri nel mio tema » (23).
Libertà politica; proprietà; imposta; contratto di conduzione;
fonti del diritto; potere giudiziario; rigenerazione del penale; rapporti centro-periferia; nuova costituzione del clero. Mai come in
questo momento, anche in Italia, costituzione esistente e costitu(20) L.A. MURATORI, Della pubblica felicità, oggetto de’ buoni principi, Lucca
[i.e. Venezia, s.n.], 1749. Citiamo dall’edizione a cura di Cesare Mozzarelli, Roma,
Donzelli, 1996, pp. 34-35.
(21) C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene, Livorno, Marco Coltellini, 1764. Citiamo
dalla Edizione nazionale delle opere, a cura di Gianni Francioni, Milano, Mediobanca,
1984, § II, pp. 30-31; § III, p. 34; § VI, p. 40; § VII, p. 45; § VIII, p. 47.
(22) J.-J. ROUSSEAU, Du Contract social; ou, Principes du droit politique, in ID.,
Œuvres complètes, III, Paris, Gallimard, 1964.
(23) J.-J. ROUSSEAU, Il contratto sociale, L. II, cap. XII, Della divisione delle leggi.
Citiamo dalla edizione italiana a cura di Valentino Gerratana, Torino, Einaudi, 1994,
pp. 74-75.
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zione da stabilire appaiono, al tempo stesso, così intrecciate, eppure
così distanti.
Il droit politique non è un ramo dell’ordinamento esistente;
non è una costola del tradizionale ius patrium; non è tanto meno una
disciplina accademica.
È solo la dimostrazione di una inedita circolazione culturale,
che si alimenta di fonti diversissime. La philosophie, da un lato, les
économiques, dall’altro, conoscono anche in Italia una penetrazione
capillare, che aggiorna i lessici politici, indirizza i sentieri riformatori, inizia a mettere in discussione le classificazioni tradizionali del
diritto.
Pochi anni dopo, nell’estate del 1780 — sono già alle spalle le
prime vicende delle colonie americane, di cui sarà un tramite
fondamentale nella penisola — Gaetano Filangieri potrà tranquillamente constatare che « la filosofia è venuta in soccorso dei governi
ed ha prodotto gli effetti più salutari ». Ed è ormai di fronte al
tribunale della pubblica opinione che « il libero filosofo » (24)
intraprende la riforma della legislazione e prepara i materiali utili per
coloro che governano. Materiali che si sono fatti ora propriamente
costituzionali e che si avvalgono di un ampio sguardo comparativo.
Si pensi alle critiche filangieriane al modello inglese di governo
misto, pericolosamente esposto, agli occhi del filosofo napoletano,
ad una possibile deriva monarchica: un modello che nella Scienza
della legislazione è consapevolmente mediato dalla lettura di Blackstone e degli « scrittori del diritto pubblico di questa nazione » (25).
Inizia lentamente a dischiudersi una dimensione costituzionale, sinora sconosciuta o ancora sommersa, sotto traccia, come sta
avvenendo in terra toscana, nei coevi ed ancor segretissimi primi
proponimenti costituzionali di Pietro Leopoldo (26).
(24) G. FILANGIERI, La scienza della legislazione, Libro primo, Delle regole
generali della scienza legislativa, Napoli, Stamperia Raimondiana, 1780. Citiamo dalla
edizione critica diretta da Vincenzo Ferrone, vol. I, a cura di Antonio Trampus, Venezia,
Centro Studi Stiffoni, 2004, Introduzione, p. 18.
(25) Ivi, vol. I, cap. XI, p. 107.
(26) B. SORDI, L’amministrazione illuminata. Riforma delle comunità e progetti di
costituzione nella Toscana leopoldina, Milano, Giuffrè, 1991, p. 293 e ss.; A. TRAMPUS,
Storia del costituzionalismo italiano nell’età dei Lumi, Roma-Bari, Laterza, 2009.
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Minime, ovviamente, le ricadute di tutto questo sugli insegnamenti giuridici. Le prime cattedre settecentesche di gius pubblico
restano immerse in una indistinta filosofia morale, o vengono confinate nei confini tradizionali della « legge particolare », dello ius
patrium (27), unica casella nella quale, tra antichi statuti cittadini e
nuova legislazione del principe, vengono veicolati, in un crescente
rigoglio legislativo, quegli che — soprattutto nel resto di Europa —
si definiscono gli ordini di polizia.
Non fanno eccezione, nonostante il titolo, gli Iuris publici
universalis sive juris naturae et gentium theoremata di Giovanni
Maria Lampredi, editi a Livorno tra il 1776 e il 1778, tributari in più
punti delle opere di Pufendorf e Wolff. Si tratta di uno dei primi
testi nel quale è possibile leggere una definizione del « diritto
pubblico speciale » come « il modo in cui una società particolare si
governa e la somma potestà si costituisce dal popolo » (28).
Ma non è questo l’oggetto del volume e delle lezioni pisane da
cui è scaturito. Non solo la trattazione trascende l’individualità del
singolo ordinamento positivo; non solo i teoremi che si elaborano
hanno taglio universalistico e sostanza filosofica, mirando a distinguere il giusto dall’ingiusto.
Quello che stenta ad emergere sono proprio i due rami contrapposti dell’ordinamento. Per essere più chiari, qui il problema
non è ancora di confini, di identità contrapposte, quanto piuttosto di
teoremi fondanti del diritto, di principi di diritto naturale, appunto,
cui l’ordine civile deve conformarsi.
Sulla dicotomia continua a prevalere una direttrice discendente, dall’universale allo speciale, dalla filosofia morale al diritto,
dal diritto naturale ad un diritto positivo, che è ancora in larga
misura diritto comune, a carattere prevalentemente privatistico.
(27) I. BIROCCHI, L’insegnamento del diritto pubblico nelle Università italiane nel
XVIII secolo, in Science politique et droit public dans les facultés de droit européennes
(XIIIe-XVIIIe siècle), a cura di J. Krynen, M. Stolleis, Frankfurt am Main, Klostermann,
2008, p. 54 e ss.
(28) G.M. LAMPREDI, Iuris publici universalis sive juris naturae et gentium
theoremata, tomus I, Liburni, Falurnus, 1776. La citazione è tratta dalla volgarizzazione
di Defendente Sacchi, Diritto pubblico universale, Milano, Silvestri, 18282, vol. I,
Prolegomeno, § 8, p. 34.
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4. Fughe in avanti, prudenti marce indietro, eclettismo accentuato di linguaggi e di modelli convivono strettamente nello scorcio
del secolo.
Sarà il triennio giacobino, aperto dalla trionfale campagna
d’Italia di Bonaparte, ad innescare improvvise accelerazioni e a
troncare questa insistita mescolanza di vecchio e nuovo.
La lingua politica italiana vive un epocale momento di trasformazione: un momento che un linguista del valore di Erasmo Leso ci
ha restituito anni fa in un atlante di rara efficacia (29). Fanno la loro
comparsa nuove terminologie elettorali, parlamentari, amministrative, a definire i nuovi luoghi ed i nuovi strumenti del potere:
costituzione, assemblee, codici, elezioni. C’è un’esplosione del pubblico, che si lega a nuovi lemmi: istruzione, opinione, spirito. Sta
prendendo definitivamente corpo anche in Italia quella sfera pubblica in merito ai pubblici affari che il Settecento ha a lungo
inseguito. In particolare, il concetto di costituzione, sin qui sostanzialmente marginale, fa il suo « vero ingresso nel lessico politico
italiano », divenendo « una delle parole chiave del nuovo linguaggio
rivoluzionario » (30).
Non è il momento dei giuristi: è al contrario un momento di
vorticoso alternarsi di politiche costituzionali, di esercizio concreto
di potere costituente, da parte di un popolo che, sia pur sotto
l’ombrello protettivo della « Costituzione della madre Repubblica
francese » (31), si dà finalmente « carattere politico » (32) e fa le
prime esperienze di instaurazione di un nuovo ordine costituzionale.
(29) E. LESO, Lingua e rivoluzione. Ricerche sul vocabolario politico italiano del
triennio rivoluzionario 1796-1799, Venezia, Istituto veneto di scienze, lettere e arti, 1991,
spec. p. 281 e ss.
(30) L. MANNORI, Costituzione. Note sulla emersione del concetto nell’Italia del
Settecento, in questo volume.
(31) Progetto di costituzione della Repubblica napoletana presentato al Governo
Provvisorio dal Comitato di Legislazione (aprile 1799), ed. a cura di Federica Morelli e
Antonio Trampus, Venezia, Centro Studi Stiffoni, 2008, p. 122.
(32) G. COMPAGNONI, Discorso sui governi provvisori letto nella sessione dei 2
gennaio (1797) del Congresso Cispadano in Reggio, ora in Gli Atti del Congresso
Cispadano nella città di Reggio: 27 dicembre 1796-9 gennaio 1797, a cura di Vittorio
Fiorini, Roma, Soc. Dante Alighieri, 1897, p. 163. Per una contestualizzazione, L.
MANNORI, Compagnoni, Giuseppe, in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX
secolo), Bologna, il Mulino, 2013, vol. I, pp. 565-68.
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Politiche bene espresse nelle opere più significative di questi anni, gli
Elementi di diritto costituzionale democratico di Giuseppe Compagnoni (33); il progetto di costituzione napoletana elaborato da Mario
Pagano (34).
Al valico del secolo, tra riforme e rivoluzione, il panorama
pubblicistico si anima, si complica; si arricchisce del linguaggio
costituzionale dei diritti, della divisione dei poteri, della rappresentanza, delle forme di governo (35). Ma i rovesciamenti di fronte sono
continui. Le vittorie della seconda coalizione aprono la strada ad una
pesante restaurazione. Compagnoni ripara fortunosamente in Francia; Pagano, il 29 ottobre del 1799, muore sul patibolo. Di lì a poco,
il 14 giugno del 1800, Marengo dischiude invece la porta, nella
penisola, all’ordine napoleonico.
Non c’è dubbio: il napoleonico terminer la révolution produrrà
assestamenti importanti nel droit politique. La costituzione rivoluzionaria è ormai alle spalle. Ci si incammina su sentieri lontani da
quelli giacobini. Il Tout devient droit public con cui Portalis ha
bollato, nello spirito rivoluzionario, « le désir exalté de sacrifier
(33) G. COMPAGNONI, Elementi di diritto costituzionale democratico ossia Principj
di giuspubblico universale, Venezia, Giustino Pasquali, 1797, rist. anast. a cura di Italo
Mereu, Milano, Spirali, 2008.
(34) Progetto di costituzione della Repubblica napoletana, cit., p. 122: « una
Costituzione che assicuri la pubblica libertà e che, slanciando lo sguardo nella incertezza
de’ secoli avvenire, guardi a suffogare i germi della corruzione e del dispotismo, è l’opera
la più difficile a cui possa aspirare l’arditezza dell’umano ingegno ».
(35) « Ma questo bel nome (di cittadino) risorge ora fra noi accompagnato dagli
alti diritti ch’esso annuncia; e la Costituzione che felicemente succede ad un sistema
d’imbecille atrocità, lo consacra solennemente per la felicità del popolo di queste
contrade. La libertà, l’eguaglianza, la sicurezza delle persone e delle fortune, vengono
proclamate in essa stabilmente; e su questi sacri ed eterni fondamenti sorgeranno le
auguste leggi che avremo quindinnanzi, le quali concorrendo ognuno di noi a formarle,
perché ognuno di noi concorrerà a nominare a legislatori gli uomini degni della nostra
fiducia, la sorte nostra assicureranno veracemente; e non avremo più che quelle leggi che
i nostri veri bisogni comanderanno; e saranno giuste, e saranno dolci, e saranno tutte
fondate sulla nostra libertà, e tenderanno tutte a conservarcela, e a conservarci con essa
l’eguaglianza, e la sicurezza delle persone e delle fortune; e se accada giammai che alcuna
non regga all’esperimento, non avremo desiderarne per lungo tempo l’emenda » (COMPAGNONI, Discorso pronunziato il dì 2 maggio 1797 nell’Università di Ferrara all’apertura
della nuova cattedra di diritto costituzionale democratico e giuspubblico universale, in ID.,
Elementi, cit., pp. XXIV-XX).
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violemment tous les droits à un but politique » (36), ha lasciato
spazio a la maxime de tous le pays et de tous les temps: au citoyen
appartient la propriété, et au souverain l’empire (37). Le lois constitutionnelles et politiques hanno avviato il loro incerto cammino verso
il costituzionalismo liberale, ma sono ormai definitivamente attestate
a disciplinare i rapporti tra governanti e governati e lo stesso Code
civil resta — anche per Portalis — « sous la tutelle des lois politiques » (38).
Cambia dunque di segno, ma non si arresta la prepotente
emersione del polo pubblicistico, ormai incamminato verso il costituzionalismo liberale. Parimenti, un inedito linguaggio amministrativo soggettivizza organi e separa funzioni, aprendo il campo ad
un’altrettanto inedita amministrazione generale dello Stato. Sta definitivamente emergendo un potere amministrativo che i giuristi
sinora non hanno ancora qualificato come tale. Già tracciato in
alcune scelte di sistema del costituzionalismo rivoluzionario, quel
potere è ormai perfettamente visibile nei grandi manifesti normativi
napoleonici, a partire dalla celebre legge del 28 piovoso anno VIII.
Anche di questa emersione, il Regno d’Italia sarà un laboratorio importante, per molti aspetti legato alla figura di Gian Domenico Romagnosi, uno straordinario poligrafo di transizione, dagli
interessi enciclopedici, che spazia dal diritto penale, al diritto pubblico universale — ultima propaggine dell’indirizzo settecentesco di
diritto naturale —, per lambire però, ormai a ridosso della Restaurazione, terreni nuovi come quelli della progettazione costituzionale
e del diritto amministrativo, sondando nuove classificazioni ed
articolazioni del diritto pubblico tra giusnaturalismo settecentesco e
costituzionalismo liberale (39). Un vero giurista della Restaurazione (40), che ricuce e ricompone eredità settecentesche, lasciti
(36) J.-E.-M. PORTALIS, Discours préliminaire du premier projet de Code civil,
Paris, Confluences, 1999, p. 15.
(37) Ivi, p. 73.
(38) Ivi, p. 25.
(39) L. MANNORI, Uno Stato per Romagnosi, I, Il progetto costituzionale, Milano,
Giuffrè, 1984, spec. p. 29 e ss.
(40) L. LACCHÈ, Il canone eclettico. Alla ricerca di uno strato profondo della
cultura giuridica italiana dell’Ottocento, in « Quaderni fiorentini », XXXIX (2010),
pp. 186-95.
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rivoluzionari e quelle prepotenti esigenze di moderazione che il
ritorno degli antichi sovrani inevitabilmente porta con sé.
In particolare, le sue Instituzioni di diritto amministrativo,
edite nel 1814 — opera nata da montaggi editoriali complessi ed
ancora momento di trapasso tra lessici divergenti —, già isolano
però, sin dal titolo — sul quale può vantare anche rispetto alla
Francia, una sicura primogenitura — una nuova identità giuridica,
costruendo un primo abbozzo sia di un soggetto istituzionale a cui
si dà un nuovo nome — l’amministrazione pubblica, contraddistinta
da una propria specifica struttura organizzativa —, sia di una nuova
attività — « le azioni interessanti tutta una società politica, eseguite
per autorità sovrana o propria o delegata sopra le materie appartenenti ed interessanti tutto il corpo politico o la sovranità medesima » (41) —: soggetto ed attività che pretendono e richiedono
distinzione ed autonomia rispetto a legislazione e giurisdizione.
Si dischiudono problemi nuovi di competenza, di riparto, di
confini, appunto, problemi enfatizzati e complicati dalla scelta del
modello del contenzioso amministrativo che poggia sulla sottrazione
dell’amministrazione al sindacato giudiziario.
Ma, soprattutto, inizia a delinearsi, per usare un termine caro
alla pubblicistica tedesca, un nuovo solido Träger der Souveränität;
un pilastro pubblicistico destinato a consolidarsi, a rafforzarsi, ad
ingrandirsi per tutto il corso del XIX e di buona parte del XX
secolo.
5. La grande dicotomia non vive però soltanto di una crescente visibilità del polo pubblicistico, definitivamente emerso nel
passaggio irreversibile tra la società di corpi e l’ordine individuale
del diritto. Nei suoi esiti più intransigenti, la strada del droit
politique neppure conduce alla grande dicotomia, conduce al contrario alla assoluta preponderanza del pubblico, alla sovranità assoluta di Rousseau, alla identità — e non alla distinzione — tra
governo e popolo. « La città rousseauviana — ha scritto Pietro Costa
(41) G.D. ROMAGNOSI, Instituzioni di diritto amministrativo, Milano, Cesare
Orena nella Stamperia Malatesta, 1814, § 1, p. 1 (citiamo dalla ristampa anastatica a cura
di Ettore Rotelli, Romagnosi 1814 « Instituzioni di diritto amministrativo », Bologna, il
Mulino, 2014, p. 211).
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in una densa pagina di sintesi — è assolutamente incompatibile con
quella rappresentazione dicotomica dell’ordine socio-politico che si
era fatta strada in Inghilterra e in Francia nel corso del Settecento:
un ordine delle proprietà [...] che il sovrano conferma e rafforza ».
Sono proprio « gli interessi individuali », per Rousseau, a minacciare
« l’integrità della città ideale » (42).
La grande dicotomia, al contrario, è sospinta proprio dall’onda
lunga della proprietà e della libertà, dall’onda lunga del progressivo
riconoscimento dell’autonomia e dell’indipendenza del soggetto individuale; è sospinta dalla pretesa della società civile di distinguersi
e separarsi da quello Stato (43) che ora si vuol costruire secondo « le
leggi della libertà » (44).
Trova una sedimentazione normativa nelle grandi dichiarazioni, a partire dall’art. 17 della Déclaration del 26 agosto 1789, e
soprattutto nel compiersi della codificazione civile, secondo i due
modelli, il Code civil del 1804 e l’ABGB austriaco del 1811, che
appartengono al diritto vigente dell’Italia di questi anni; l’Italia
napoleonica prima; il Lombardo-Veneto poi (45), mentre in Prussia
l’Allgemeines Landrecht, nel 1794, ancora coniuga e mescola pubblico e privato. Quella codificazione, sin dall’inizio, avvertita come
statuto immodificabile dei diritti civili e come principale fondamento normativo dell’ordine costituzionale dei privati (46).
(42) P. COSTA, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, vol. I, Dalla civiltà
comunale al Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1999, p. 538.
(43) In questo senso già la lucida indicazione di O. BRUNNER, Land und Herrschaft, trad. ital. a cura di Pierangelo Schiera, Terra e potere. Strutture pre-statuali e
pre-moderne nella storia costituzionale dell’Austria medievale, Milano, Giuffrè, 1983, p.
174: « la consueta distinzione di diritto pubblico e privato acquista un senso preciso solo
sul presupposto del moderno concetto di sovranità e della società civile, in quanto
contrapposta allo Stato sovrano ».
(44) I. KANT, Principi metafisici della dottrina del diritto, 1797, in ID., Scritti
politici e di filosofia della storia e del diritto, a cura di Norberto Bobbio, Luigi Firpo,
Vittorio Mathieu, trad. it. di Gioele Solari e Giovanni Vidari, Torino, Utet, 19652, p. 505.
(45) R. FERRANTE, Il problema della codificazione, in Il contributo italiano alla
storia del pensiero. Diritto, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2012, pp. 277-78.
(46) L. LACCHÈ, Il costituzionalismo liberale, in Il contributo italiano alla storia
del pensiero. Diritto, cit., p. 296.
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Trova infine le sue prime sedimentazioni teoriche negli alfieri
delle garanzie del mio e del tuo, da Kant a Portalis, a Constant (47).
Sarà proprio Kant ad offrire, nel 1797, nei Principi metafisici
della dottrina del diritto, dignità teoretica alla distinzione tra diritto
pubblico e diritto privato; a utilizzare la distinzione come base
sistematica della trattazione. Il suo celebre postulato del diritto
pubblico (48) scolpisce il dovere morale di uscire dallo stato di natura
per entrare in uno stato giuridico che sani le imperfezioni e le
provvisorietà del primo, e sancisca definitivamente la garanzia del
« mio e del tuo per mezzo di leggi pubbliche » (49).
Saranno però soprattutto le pagine celeberrime del System di
Federico Carlo di Savigny (un personaggio — si pensi a Baudi di
Vesme o a Federigo Sclopis — che ha un immediato successo
italiano (50)), ad elementarizzare tutto questo, nel 1840, per i giuristi
continentali, riprendendo il filo degli antichi lemmi ulpianei, ma
infondendovi i contenuti modernissimi dell’autonomia del soggetto
individuale e gettando così le basi fondanti della grande dicotomia.
Un Sistema — non per niente — del diritto romano attuale (51).
Scrive Savigny: « se passiamo in rassegna l’intero diritto, distingueremmo in esso due rami (zwei Gebiete): lo Staatsrecht (che
(47) B. CONSTANT, Principes de politique applicables à tous les gouvernements
représentatifs et particulièrement à la constitution actuelle de la France, Paris, Eymery,
1815, pp. 17-18: « L’universalité des citoyens est le souverain [...] Mais il ne s’en suit pas
que l’universalité des citoyens [...] puissent disposer souverainement de l’existence des
individus. Il y a au contraire une partie de l’existence humaine, qui, de nécessité, reste
individuelle et indépendante, et qui est de droit hors de toute compétence sociale. La
souveraineté n’existe que d’une manière limitée et relative. Au point où commence
l’indépendance de l’existence individuelle, s’arrête la juridiction de cette souveraineté ».
« Rousseau a méconnu cette vérité, et son erreur a fait de son contrat social, si souvent
invoqué en faveur de la liberté, le plus terrible auxiliaire de tous le genres de despotisme ».
(48) KANT, Principi metafisici della dottrina del diritto, cit., p. 493.
(49) Ivi, p. 422.
(50) L. MOSCATI, Da Savigny al Piemonte: cultura storico-giuridica subalpina tra la
Restaurazione e l’Unità, Roma, Carucci, 1984; ID., Italienische Reise: Savigny e la scienza
giuridica della Restaurazione, Roma, Viella, 2000.
(51) Un titolo che programmaticamente suggeriva « l’esistenza di un autentico
corto circuito fra passato e presente, fra soggettività degli antichi e individualismo dei
moderni » (A. SCHIAVONE, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Torino, Einaudi,
2005, p. 17).
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Vittorio Scialoja, nel 1886, ancora traduce come diritto politico) e il
diritto privato. Il primo ha per oggetto lo Stato ossia l’organica
manifestazione del popolo; il secondo l’insieme dei rapporti giuridici, in cui ciascun individuo esplica la propria sua vita, dandole un
particolare carattere » (52).
Il BGB è ancora di là da venire; lo sono pure la scientificizzazione del diritto pubblico, la presa di distanza dalle scienze sociali,
il metodo giuridico, la redazione di parti generali specificamente
pubblicistiche, in grado d’incrinare quel primato romanisticopandettistico, quasi inattaccabile per buona parte del XIX secolo.
La forma mentis del giurista continentale, a questo punto, può
però iniziare a ritenere che i due rami del diritto, quei due territori così
ben distinti da Savigny, appartengano ormai ad una bipartizione a
priori del diritto — costituiscano le due facce della luna giuridica —;
i due rami lungo i quali possono scorrere ed essere saldamente incanalate le più diverse contingenze.
Sarà il secondo Ottocento il momento della massima purezza
della dicotomia. Il momento della massima compattezza delle due
sfere. Il momento della massima nettezza dei confini. Lo Stato è
comando, autorità; è unità rigida. Tanto rigida, che la costruzione al
suo interno di diritti pubblici soggettivi non potrà che imboccare
sentieri accidentati e problematici. Al polo opposto, dominano
invece incontrastati la signoria della volontà, il diritto soggettivo, il
contratto (53).
Purezza, compattezza, semplicità tuttavia durano poco. Incombono le pesanti trasformazioni, che tanto impressionavano il
Georges Ripert che citavo all’inizio.
Per tutto il corso del Novecento (da Kelsen a Duguit, sino a
Gurvitch) la grande dicotomia sarà investita da un pesante fuoco di
fila di decostruzione teorica. Crescono a dismisura le zone grigie, le
terre di nessuno. Spunta il tertium genus del droit social. Si avvia la
(52) Sistema del diritto romano attuale, trad. ital. di Vittorio Scialoja, Torino,
Ute, 1886, volume primo, § 9, p. 49.
(53) Su questi universi irriducibili, emblematica la riflessione di Federico Cammeo. Ho cercato di ricostruirla in Le Pandette e il diritto amministrativo. Privato e
pubblico nell’itinerario giuridico di Federico Cammeo, in « Quaderni fiorentini », XXII
(1993), pp. 205-277.
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frammentazione disciplinare che rimescola continuamente le carte.
Si intrecciano tumultuosamente privatizzazioni del pubblico e pubblicizzazioni del privato. Si fa strada, a innescare nuove trasversalità,
una inedita indivisibilità dei diritti.
La grande dicotomia, così faticosamente creata, sta diventando
ormai un confine di facile trapasso (54).
(54) Al punto da spingere il giurista contemporaneo (con radicate e profonde
competenze storiografiche) ad interrogarsi sul possibile congedo dal diritto pubblico.
Emblematico D. GRIMM, Das öffentliche Recht vor der Frage nach seiner Identität,
Tübingen, Mohr, 2012, p. 57 e ss.