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lorenzo marInuccI LA VIA DEL SOLE: SPAZIO, VIAGGIO E CLIMA IN WATSUJI TETSURŌ È proprio del ilosofo essere pieno di meraviglia: e il ilosofare non ha altro cominciamento che l’esserne pieno Platone, Teeteto, 155 D Montagna, iume, erba, albero: tutto il mondo ci si mostra nel viaggio Shikō, Zokugoron 1. Spazio e pensiero Watsuji Tetsurō (1889-1960) è stato uno dei protagonisti del Novecento ilosoico giapponese; un luogo intellettuale e isico segnato da numerose contraddizioni, una sintesi profonda e originale di universalità e identità locale, un approccio radicale ai problemi della globalità contemporanea. Ciascuna di queste dimensioni si rilette nel suo pensiero. Fūdo 風土 (1935) è il titolo del volume che viene considerato generalmente il suo lavoro più esemplare, qui nella sua prima traduzione italiana. “Clima” o “milieu”, “ambiente umano”, “natura-cultura”, fūdo è letteralmente vento e terra, ed è con questo titolo che ci è parso giusto presentarlo. Il carattere ilosoico del progetto di Watsuji è esposto in modo netto in dalle prime righe del suo lavoro: “Lo scopo di questo libro è chiarire la natura del clima,1 inteso o come mo� mento strutturale dell’esistenza umana”. (p. 37) 1 風土性 fūdosei pu� essere tradotto anche “medialità”, “climaticità”, “qualità climatica”. Nel lessico ilosoico giapponese, 性 sei è stato impiegato come equivalente del tedesco -keit; tuttavia nel suo signiicato originale esprime l’individualità attiva di ci� che è vivente: tuttora ha per esempio sia il signiicato corporeo di “sessualità”, o quello spirituale di “carattere”, “personalità”. Fūdosei indica una 8 Vento e terra E tuttavia, lo studio ilosoico del clima presentato in Fūdo nasce at� torno a un’esperienza concreta, in cui evoluzione personale e rilessione fenomenologica sembrano saldate in dal principio. Watsuji comincia a rilettere sulla possibilità di una ilosoia del clima durante un soggiorno di ricerca in Europa (1927�28) e i due lunghi viaggi per nave dell’andata e del ritorno. I primi usi del verbo philosophein, osserva Halbfass nella sua ricostruzione dell’alterità indiana lungo la storia europea, descrive� vano dei viaggi di formazione e scoperta.2 Viaggio e ilosoia sono allora esperienze connesse in modo essenziale, nonostante la tentazione stan� ziale che ha caratterizzato l’evoluzione della seconda. Se la ilosoia è nel suo principio meraviglia (thauma, parola che include anche la sfumatura più minacciosa di “timore”), l’apertura del suo orizzonte deve essere la scoperta di qualcosa che va al di là del quotidiano, del normale. L’in� contro con l’estraneo, lo straniero – nel Soista platonico è proprio allo Straniero che è afidato il compito di scoprire il non-essere entro ciò che è diverso – è esso stesso il punto di partenza e la possibilità mancata del pensiero europeo. Ma anche partendo dall’altro lato della modernità e del globo e riper� correndo la storia politica e culturale del Giappone post-Meiji, la ten� sione tra apertura e alienazione del Giappone contemporaneo è visibi� le nel modo più netto nelle innumerevoli igure di scrittori o ilosoi in viaggio. Attraverso il soggiorno europeo di due giganti della letteratura come Mori Ōgai e Natsume Sōseki o nel lusso costante di ilosoi giap� ponesi nelle capitali universitarie europee (Tanabe, Kuki, Miki, lo stesso Watsuji), possiamo riconoscere proprio in questi viaggi, e nell’immer� sione nell’alterità di cui sono condizione, la possibilità e i problemi di una dimensione globale del pensiero – possibilità e problemi su cui il Giappone ha dovuto interrogarsi presto, e in profondità. 2 “natura del clima”, fondata sulla sua qualità generale, ontologica, e per� invariabilmente speciica, appartenente alla dimensione esistenziale del soggetto-società. La medialità è dunque contemporaneamente ontica e ontologica: costituisce (universalmente) un individuo e una comunità che sono costituzionalmente legati a qualcosa di non-necessario e non-universale: come riassume Berque, “one cannot be (ontologically) human except (ontically) in the guise of belonging to a certain milieu” (Augustin Berque, The question of Space, in Interpreting Japanese Society: Anthropological Approaches, a cura di Joy Hendry, Routledge, London – New York 1998, p. 61). Wilhelm Halbfass, India and Europe. An Essay on Understanding, State University of New York Press, Albany 1988, p. 6. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 9 Il viaggio di Watsuji, nel 1927, si pone quasi alla ine di questo mo� mento di apertura, in un’epoca in cui gran parte del lavoro di traduzione e importazione della cultura europea è già completato, e il compito de� gli intellettuali giapponesi sembra essere piuttosto una riscoperta della propria impronta culturale, o una sintesi originale di antico e moderno, occidentale e orientale. La stessa situazione biograica di Watsuji è ben diversa rispetto a quella dei suoi predecessori. Costretto a compiere que� sta esperienza decisiva già trentasettenne, sposato e da poco professore associato presso l’università di Kyoto, Watsuji non è particolarmente impaziente di trascorrere all’estero gli anni di ricerca praticamente ob� bligatori per accedere alla posizione di ordinario. E invece il suo diverrà uno degli ultimi grandi “viaggi verso ovest” che hanno scandito la storia giapponese, e uno dei momenti centrali della sua biograia umana e i� losoica. Watsuji lascia il porto di Kōbe a bordo della nave Hakusan Maru il diciassette febbraio del 1927, lungo una rotta che lo porterà a scoprire l’estate permanente dell’Asia tropicale, il drammatico scenario coloniale di Shanghai e Hong Kong, il deserto di “monti neri” della penisola araba, e una volta arrivato in Europa le capitali, il paesaggio, i musei, le case e le strade di Italia, Francia, Germania, Inghilterra. Quello di Watsuji è il viaggio di un accademico: ma più ancora del soggiorno di studio berlinese, ad avergli dato forma è una curiosità culturale dallo spettro più ampio, un desiderio di esplorazione che si è espresso con un movimento quasi conti� nuo.3 Qui sotto la ricostruzione di Inaga Shigemi:4 3 4 Uno dei passaggi più importanti del soggiorno europeo di Watsuji è il viaggio in Italia (dicembre 1927 – aprile 1928); le tracce di quest’esplorazione, centrali anche in Fūdo, sono state pubblicate nel 1950 come diario di viaggio indipendente, Itaria koji junrei; in traduzione italiana, Pellegrinaggio alle antiche chiese d’Italia, a cura di Oliviero Frattolillo, L’Epos 2005. Inaga Shigemi, “Japanese Philosophers Go West: The Effect of Maritime Trips on Philosophy in Japan with Special Reference to Watsuji Tetsurō”, in Japan Review 25 (2013), Kokusai Nihon Bunka Sentā, pp. 113-44. 10 Vento e terra A caratterizzare il lavoro di Watsuji in effetti è proprio la sua capacità di scrivere della ilosoia che parte da questa meraviglia per la varietà dell’e� sistente. Watsuji è stato un pensatore rigoroso, una igura di rilievo lungo tutto un quarantennio di storia intellettuale giapponese: eppure, anche nella colossale rilessione morale di Etica (in tre volumi, 1937, 1942, 1949) ed Etica come studio dell’umano (1934), la sua scrittura rimane perennemente aperta, caratterizzata da una forza centripeta che non ne intacca l’acume e la precisione. Watsuji è stato ilosofo, narratore, critico culturale, stori� co delle idee o dell’arte, pensatore politico, e uno straordinario autore di cronache di viaggio. È appunto rispetto a questa tendenza del suo pensiero ad allargarsi tanto nella forma quanto nel contenuto, che possiamo ricono� scere in Fūdo la sua opera più esemplare. Ciò che unisce su di un livello fondamentale il pensiero di Watsuji è il suo scoprire, nella moltitudine di aspetti diversi presenti del fenomeno umano, la particolare modalità di co� L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 11 esistenza di ciò che in esso è contemporaneamente separato e connesso – individuo e società, passato e presente, sé e altro, cultura e natura. Come vedremo, ciascuna di queste dualità è articolata attraverso una plasticità fondamentale: ciascuna di esse si pone contemporaneamente come tempo e come spazio. Nella sua introduzione, Watsuji spiega come tra le ragioni ad averlo spinto a scrivere Fūdo ci sia una insoddisfazione rispetto al pri� vilegio riservato alla temporalità da Heidegger: Ho cominciato a rilettere sulla questione del clima all’inizio dell’estate del 1927, a Berlino, mentre leggevo Essere e tempo di Heidegger. Avevo trovato il suo tentativo di cogliere la struttura esistenziale dell’uomo nella dimensione del tempo estremamente interessante, ma mi ero chiesto come mai, mentre il tempo era stato messo al centro del suo discorso in quanto struttura esistenziale del soggetto, non fosse stato dato alla dimensione dello spazio lo stesso ruolo di struttura esistenziale fondamentale. (p. 37) Questo tratto spaziale nella ilosoia giapponese del primo Novecento si può trovare non solo in Watsuji: dall’ambizioso progetto di una logica del luogo sviluppato da Nishida Kitarō,5 al gioco ininito di due linee parallele – in relazione eppure per sempre distinte – con cui Kuki Shuzō descrive il paradosso erotico�spirituale dell’iki,6 fascino “unicamente giapponese”. Il bisogno ilosoico di pensare la propria cultura attraverso la categoria dello spazio è probabilmente legato anche alla consapevolezza di essere un altrove rispetto alla dimensione unitaria e universale del pensiero europeo: il Giappone sarebbe allora “differente” nel senso derridiano, “posto altrove” in senso anche storico, linguistico, ilosoico. La différance è per Derrida il movimento della scrittura: un movimento nello spazio e contemporane� amente nel tempo in cui la piena presenza dell’idea e della parola vengono poste altrove, oltre la possibilità di un possesso totale.7 Il Giappone sarebbe in questo senso una cultura “differente” per eccellenza, strutturatasi attorno a due colossali importazioni culturali – quella cinese del VI�VII secolo, in cui assieme alla scrittura ideograica giungono gradualmente in Giappone 5 6 7 Nella logica del luogo Nisidha Kitarō, cercando di rilettere sulle assunzioni necessarie alla predicazione logica, scopre un elemento topico, appunto il luogo (basho) come universale fondamentale, contrapposto ad una visione logica fondata sulla coscienza di un soggetto astratto dal mondo. Cf. Luogo, a cura di Enrico Fongaro e Marcello Ghilardi, Mimesis, Milano 2012. Kuki Shuzō, La struttura dell’iki, a cura di Giovanna Baccini, Adelphi, Milano 1992. Cf. Jacques Derrida, “La différance”, in Id., Margini della ilosoia, tr. it. a cura di Manlio Iofrida, Einaudi, Torino 1997, pp. 25-57. 12 Vento e terra il buddhismo, la prosa e la poesia del continente, l’idea di società confucia� na; e più di mille anni dopo l’assorbimento traumatico della politica, della tecnica e della scienza occidentali che segna il paese durante la rapidissima modernizzazione dell’epoca Meiji (1868-1912). Watsuji nasce proprio a metà di questo periodo di transizione, nel 1989: e tanto nella sua biograia quanto nel suo pensiero si può riconoscere una traccia di questa posizione intermedia, in cui identità e contraddizione sono unite in modo essenziale. 2. I primi anni – il villaggio e la città Watsuji Tetsurō nasce il primo marzo del 1989 a Nibuno, un villaggio rurale nella prefettura di Hyōgo, assorbito già nel corso della sua vita dalla rapida espansione urbana della vicina Himeji. Figlio del medico locale Mizutarō e di sua moglie Masa, Watsuji descrive un’infanzia ancorata alla natura della campagna, al carisma tranquillo del padre, alla solidità dei rapporti familiari. Nel tentativo di autobiograia che occupa Watsuji negli ultimi anni di vita, questa infanzia diventa l’ultima occasione di una poetica dello spazio: “Il senso di gioia che provavo in quel tempo, giocando tra i campi di loto – in tutta la mia vita successiva, non c’è forse nulla di paragonabile ad esso”.8 Il rapporto con il paesaggio agricolo e umano dell’infanzia ha un valore anche al di là dell’ovvia nostalgia della vecchiaia: Watsuji è stato uno dei pochissimi intellettuali giapponesi formatisi negli organi di élite del sistema di educazione imperiale – il Primo Liceo Imperiale, e a partire dal 1909 l’Università Imperiale di Tokyo – ad aver vissuto concretamente in un Giappone agricolo ancora molto vicino alla vita tradizionale, prima di conoscere lo spazio culturale e umano della metropoli. Questa prima tensione anche sociale9 tra urbano e rurale è un’altra esperienza fondamentale nella formazione di Watsuji. Nello spazio rurale e fa8 9 Il lavoro autobiograico di Watsuji è stato pubblicato dal 1957 al 1960, l’anno della morte, sul mensile Chūōkōron, e intitolato appunto Jijoden no kokoromi (Un tentativo autobiograico; in Watsuji Tetsurō zenshū vol. 18). Sulla relazione tra lo spazio abitativo dei frammenti autobiograici e l’idea bachelardiana di poetica dello spazio, cfr. Sakabe Megumi, Watsuji Tetsurō: ibunka kyōsei no katachi, Iwanami Shoten, Tokyo 2000, p. 88-126. I compagni di Watsuji nel Primo Liceo e all’Università Imperiale diverranno in buona parte igure di spicco del mondo intellettuale di epoca Taishō (19121926) e Shōwa (1926-89): i ilosoi Amano Teiyū, Kuki Shūzō, Ōnishi Yoshinori, il teologo Iwashita Sōichi, il romanziere Tanizaki Jun’ichirō, il sociologo Toda Teizō. Il disagio di un adolescente di campagna improvvisamente circondato da L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 13 miliare di un villaggio Watsuji aveva vissuto concretamente l’identità concettuale e linguistica tra la casa tradizionale giapponese (ie 家) e la pluralità unitaria dei suoi componenti, unità di cui si sarebbe alimentata la propaganda militare degli anni Trenta. Ma nella città aveva potuto comprendere, e persino godere, di un anonimato e di uno straniamento che sono la prima condizione dell’incontro – e gli incontri edochiani di Watsuji includono igure dal carisma straordinario come Raphael von Koeber, Okakura Tenshin, Natsume Sōseki.10 La casa giapponese e la metropoli moderna sono i due poli dell’abitato umano descritti da Watsuji nel III capitolo di Fūdo: è proprio tornando dall’Europa che Watsuji scopre per la prima volta come nella metropoli giapponese questi due modelli si fossero incontrati senza capirsi ino in fondo. Kumano osserva a proposito come “la rilessione sullo spazio in Watsuji nasce dal suo intrecciare i ricordi del suo piccolo villaggio e il trafico della grande metropoli in qualcosa di nuovo, di differente”.11 Anche nelle pagine di Etica, Watsuji analizzerà la qualità dinamica dell’essere umano attraverso l’estensione spaziale del “passaggio” (交通 kōtsū) e dell’“informazione” (信 用 shinyō), che dai piccoli nodi di un villaggio si estende e si complica ino alla rete metropolitana o globale: Il mezzo di questo passaggio, nella sua essenza è “strada” (道 michi). Muo� vendosi su di essa, gli uomini si incontrano gli uni con gli altri, si connettono. Nel suo essere un mezzo di passaggio, essa è anche un canale di informazione. Il mezzo dell’informazione, nella sua essenza è “notizia”: qualcosa che si muove tra individui che rimangono fermi, mettendoli in contatto reciproco. Strada e notizia sono entrambe mezzi di “passaggio”: potremmo dire che la notizia è una “strada che si muove”, e la strada è una “notizia che resta ferma” […] La strada, nelle sua forma fondamentale, è proprio ciò che si produce da sé come traccia di questo 10 11 baroni e altri nobili (è il caso di Kuki e Iwashita) deve essere stato palpabile; e pare che il deinitivo abbandono da parte di Watsuji dell’idea di scrivere narrativa fosse legato anche a una certa suficienza di Tanizaki rispetto alle sue collaborazioni per la rivista universitaria Shinshichō. Raphael von Koeber (1848-1923), musicista e ilosofo russo-tedesco, è stato professore di ilosoia presso l’Università di Tokyo dal 1893 al 1914, contribuendo all’impronta internazionale di un’intera generazione di studiosi; Natsume Sōseki (1867-1916), generalmente considerato uno dei massimi narratori di epoca Meiji, fu allievo di Koeber e a sua volta una igura di enorme inluenza morale per la generazione di intellettuali immediatamente successiva; Okakura Tenshin (o Kakuzō) è un altro personaggio decisivo nelle trasformazioni culturali degli anni ’10: storico dell’arte e critico culturale, è tra i primi a sostenere l’urgenza di un recupero dell’estetica e della cultura tradizionali e la necessità di un’unità culturale asiatica. Kumano Sumihiko, Watsuji Tetsurō: bunjin tetsugakusha no kiseki, Iwanami Shoten, Tokyo 2009, p. 62. 14 Vento e terra passaggio. Ma se qualcuno ha percorso di frequente uno stesso sentiero, questo signiica già che in quel luogo c’è un “passaggio” di esseri umani. La strada espri� me cioè un contatto umano già storicamente realizzato, il suo senso non è limitato a una larghezza e a una lunghezza isiche. Possiamo ancora scoprire questa strada originaria nei piccoli, sottili sentieri di un villaggio di campagna, nelle strade che procedono lungo il ianco di una risaia, ino alla casa del proprio vicino...12 Queste strade di campagna che connettono casa e casa attraverso il gesto e la pratica del contatto, allargandosi ino a divenire le grandi arterie di una metropoli, sono l’espressione spaziale della fondamentale correlazione dell’umano espressa dalla parola 間柄 aidagara, sui cui Watsuji fonderà la propria etica.. Dii fronte all’immagine di una strada che è contemporaneamente interfaccia tra umano e umano e tra umano e naturale, un confronto con gli Holzwege di Heidegger pu� chiarire un altro aspetto della “mancanza di spazio” nel pensiero del ilosofo tedesco. Se pensiamo allo spazio della foresta, all’esperienza dello smarrimento (Irre) e all’apertura della radura (Lichtung) descritti da Heidegger nella prospettiva dell’Etica, queste strade che scompaiono nel bosco sono comunque una negazione della mobilità umana, della sua polarità tra abitazione e viaggio, spazio naturale e inurbamento. Il Dasein di Heidegger si perde e abita (la propria terra, il proprio linguaggio) ma ad accomunare queste due azioni è proprio la mancanza di “scambio”, di un movimento orientato che metta in comunicazione con l’altro. Ci� che rimane un problema costante nel pensiero di Heidegger è appunto l’apertura verso la differenza concreta, locale, dell’alterità geograica e culturale.13 L’altra critica netta che Watsuji rivolge a Heidegger nella prefazione di Fūdo è proprio legata all’insistenza sulla qualità individuale del Dasein, un altro risultato di questa sua incapacità di farsi spazio: 12 13 Watsuji Tetsurō, Etica (Rinrigaku) (vol. 1), Iwanami Shoten, Tokyo 2007, p. 241-242. L’esempio più eclatante è costituito dal dialogo con un visitatore giapponese di Da un colloquio nell’ascolto del linguaggio. Ma sul rapporto heideggeriano con una rilessione su spazio, viaggio e appartenenza, è di estremo interesse il diario del viaggio in Grecia del 1962 – il primo vero viaggio di Heidegger, all’epoca già settantaduenne. Inizialmente pensato come “ritorno all’origine” del proprio pensiero e della cultura occidentale, il viaggio in Grecia di Heidegger invece fa emergere il dubbio, e un certo smarrimento, di fronte a una estraneità concreta del paesaggio storico e naturale della Grecia presente: “Doubts arose again whether this essence, long cherished and often thought through, was a creature of fancy, without any connection with what actually had been.” (Martin Heidegger, Sojourns: The Journey to Greece, trad. di John Panteleimon Manoussakis, e pref. di John Sallis, State University of New York Press, 2005, p. 13). L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 15 A me sembra che il limite del lavoro di Heidegger stia proprio in questo punto: una temporalità che non è già da sempre connessa alla spazialità non è ancora un temporalità autentica. Heidegger si è fermato a essa, ed è per questo che il Dasein, nonostante tutti i suoi sforzi, non è mai andato al di là del singolo. (p. 37) 3. Essere-tra: l’umano come incontro La critica al primato del singolo e dell’ego nel pensiero europeo è l’intu� izione attorno a cui Watsuji arriverà a costruire anche la propria Etica, nel 1937: l’incipit dell’opera riprende la critica rivolta a Heidegger estendendola alla concezione generale dell’etica europea, e contrapponendole l’idea di un umano singolo e contemporaneamente collettivo (ningen) esposta in Fūdo: The essential signiicance of the attempt to descibe ethics as the study of ningen (人間 [umano]) consists in getting away from the misconception, pre� valent in the modern world, that conceives ethics as a problem of individual consciousness only (…) individualism attempts to consider the notion of the individual that constitutes only one moment of human existence and then sub� stitutes it for the notion of the totality of ningen. This abstraction is the origin of many sorts of misconception.14 Di fatto, questa posizione è il frutto di una evoluzione personale dello stesso Watsuji; così come la rilessione sullo spazio è legata alla dimensione del viaggio, della campagna, della città, l’idea di un essere umano costituito da un intreccio di relazioni è il punto di arrivo di un’evoluzione biograica. Negli anni dell’adolescenza e dell’università, l’interesse di Watsuji era gravitato infatti sulla igura di un poeta-eroe come Byron, e su due pensatori “asistematici” per eccellenza come Nietzsche e Kierkegaard, pensatori in cui l’impronta dell’individualismo europeo è presente in modo perentorio. Anche quando il suo progetto di tesi su Nietzsche viene riiutato dal rettore Inoue Tetsujirō15 (facendolo ripiegare su un elaborato in inglese discusso con von Koeber nel 1912, dal titolo “On Schopenhauer’s Pessimism and Salvation Theory”16) Watsuji continua a dedicarsi a queste 14 15 16 Una traduzione (parziale) dell’Etica (Rinrigaku) di Watsuji è Watsuji Tetsurō’s Rinrigaku: Ethics in Japan, a cura di Robert Carter e Yamamoto Seisaku, State University of New York Press, Albany 1996; la citazione è a p. 9. Cfr. Graham Parkes, “Early Reception of Nietzsche’s Philosophy in Japan”, in Nietzsche and Asian Thought, University of Chicago Press, Chicago 1996, pp. 192-193. Kumano, op. cit. p. 69-70. 16 Vento e terra igure di ilosoi-poeti, tanto da pubblicare due monograie di rilievo su di essi, rispettivamente nel 1913 e 1915.17 Il distacco dall’individualismo di Nietzsche e Kierkegaard è tuttavia accelerato da due eventi successivi alla laurea: la morte di Natsume Sōseki, che per Watsuji e per molti altri era stato durante gli anni dell’università una guida spirituale, e il matrimonio con Takase Teru, nel 1912. Teru è e rimarrà una presenza decisiva nella vita emotiva di Watsuji: persino durante il soggiorno europeo, questo contatto viene rinnovato quasi quotidianamente nella prosa vivacissima delle innumerevoli lettere scritte alla sposa lontana.18 Mentre il rapporto con Teru segnerà l’intera biograia di Watsuji, quello con Sōseki si trasforma subito in un distacco. Sōseki era stato tra i primi intellettuali giapponesi a riconoscere i limiti dell’individualismo europeo e di un’idea di società basata sul successo economico e il progresso tecnico; ed è subito dopo la sua scomparsa, nel 1916, che Watsuji comincia a interrogarsi sui limiti di un pensiero ancora modellato sul singolo individuo come quello di Nietzsche e Kierkegaard. Questo stesso periodo è segnato così da una riscoperta della società e della storia giapponesi: il risultato di questa svolta è la raccolta Guzō saikō (La resurrezione degli idoli, 1918), che contiene tra l’altro proprio un ritratto postumo di Sōseki scritto a pochi giorni dalla veglia funebre. L’opera che segna questa fase della produzione di Watsuji è per� la cronaca di viaggio nel passato giapponese, nello spazio storico e naturale di Nara, Koji junrei (Pellegrinaggio agli antichi templi, 1919). Un lungo pellegrinaggio per i templi dell’antica capitale in cui il Giappone accoglie e rielabora l’inluenza buddista diviene viaggio nel passato, nello spazio comune di una dimensione storica, sociale e religiosa. Dagli anni venti in poi, la ilosoia di Watsuji si rivolge così alla rilessione etica del buddhismo, alla storia dell’estetica giapponese, e quando nel 1925 comincia a insegnare nella cattedra di Etica all’Università di Kyoto (invitato dallo stesso Nishida), alcuni tratti del suo pensiero maturo sono già evidenti. Al ritorno dal viaggio in Europa Watsuji continuerà a insegnare 17 18 Niiche kenkyū, Uchida Rōkakuho, Tokyo 1913; Zeeren Kierukegooru, Uchida Rōkakuho, Tokyo 1915. Kokoku no tsuma e (A mia moglie nel paese natio), Kōdansha, Tokyo 1977. Anche Teru scriverà un libro di memorie sulla vita con Tetsurō: Watsuji Tetusrō to tomo ni, Shinchōsha, Tokyo 1967. Anche nella rilessione su “strada” e “notizia” dell’Etica, la parola rispecchia la strada nella sua capacità di contatto concreto, affettivo: e proprio nell’idea di questa “connessione attraverso la distanza”, ripercorsa nella trattazione dello spazio familiare nel III capitolo di Fūdo, si pu� forse riconoscere la traccia di una rapporto coniugale che nella sua profondità e serenità è probabilmente molto raro nella biograia di un ilosofo. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 17 all’università di Kyoto ino al 1934, tornando poi a Tokyo e continuando a lavorare al proprio sistema di etica ino al pensionamento del 1949.19 Il viaggio europeo è dunque un passaggio centrale nella ilosoia di Watsuji anche perché la tensione verso l’Occidente e il ricongiungimento con la propria tradizione intellettuale che caratterizzano gli anni della sua formazione si fanno esperienza concreta nel movimento del viaggio – una dialettica di allontanamento e ritorno che investe il viaggiatore con la ricchezza delle sue impressioni, il senso di nostalgia, la scoperta della propria “stranezza” al ritorno in Giappone. È dunque già a partire dagli anni venti, che lasciandosi alle spalle l’Übermensch nietzscheano, Watsuji comincia a scoprire uno “Zwischenmensch” asiatico: il giapponese 人間 ningen letteralmente è appunto “inter-uomo”, un “umano” concepito sia come singolo che come rete di relazioni storiche e sociali. Nell’introduzione di Fūdo Watsuji scrive: Quello che qui chiamo “umano” (人間 ningen) non è semplicemente “l’uomo” (anthrōpos, homo, homme, man, Mensch). L’umano è sì “l’uomo”, ma al tempo stesso è la società, come stato di unione o cooperazione dei singoli individui. Il carattere fondamentale dell’umano è questa sua dualità. (p. 49)20 La particolare unità di due momenti contemporaneamente connessi e antitetici è una delle tracce più inconfondibili del pensiero di Watsuji:21 19 20 21 Per una ricostruzione delle problematiche politiche legate agli anni del nazionalismo e alla difesa del sistema imperiale nel dopoguerra, cf. Oliviero Frattolillo, Watsuji Tetsurō e l’etica dell’inter-essere, Mimesis, Milano 2013. Il riconoscimento del ningen come movimento di una duplice negazione, in grado di passare dall’individuo alla comunità e dalla comunità all’individuo, in un movimento di perfezionamento non esauribile, sarà una delle tesi centrali dell’Etica. Non è però dificile riconoscere in questa nozione di fondo l’inluenza del pensie� ro di Nishida: già in un lavoro del 1911 come Zen no kenkyū (Uno studio sul bene, tr. it. a cura di Enrico Fongaro, Bollati Boringhieri, Milano 2007) Nishida aveva parlato di “autoidentità contraddittoria” (mujunteki dōitsu) di sé e altro, individuo e mondo. Pasqualotto sottolinea la duttilità di questo concetto in Nishida osser� vando che “l’idea dell’auto-identità contraddittoria si applica a ogni livello: l’io e il tu si riconoscono e si realizzano come auto�formazione del mondo storico e sociale, e i due ambiti si danno esistenza reciproca negandosi l’un l’altro; soggetto e oggetto, o interiorità soggettiva e ambiente esterno si realizzano determinandosi come contraddittori. Negandosi, l’ambiente dà forma all’individuo, che dall’am� biente appunto emerge, si distacca; a sua volta, negandosi, l’individuo dà forma all’ambiente, lascia a esso lo spazio di essere, lo determina scivolando per così dire sullo sfondo” (Giangiorgio Pasqualotto, Per una ilosoia interculturale, Mi� 18 Vento e terra tanto la sua etica quanto la rilessione sul clima partono proprio da questo “essere-tra”, e opposizioni come quella tra individuo e società, spazio e tempo, storia e clima, vengono ricomprese attraverso la qualità relazionale che ne è all’origine: “Se si parte considerando come essenza dell’umano questo carattere duplice della sua esistenza, dovrebbe essere subito chiaro perché è indispensabile osservare assieme la temporalità e la spazialità, distinte e contemporaneamente connesse (…) È proprio qui che la struttura spaziale�temporale dell’esistenza umana si manifesta come storicità e climaticità. Il carattere contemporaneamente comune e distinto di tempo e spazio è la base del carattere contemporaneamente comune e distinto di storia e clima” (p. 50) 4. Aida e aidagara Possiamo quindi dire che tanto in Fūdo, quanto nel proprio sistema etico Watsuji elabora ilosoicamente, in termini fenomenologici, una nozione di spazio-relazione che, espressa dal carattere 間 (che a seconda dei contesti pu� essere letto kan, aida o ma), è presente in vari aspetti della cultura giapponese.22 間 indica un intervallo, spaziale o temporale, che mette in relazione attraverso una separazione. Per esempio lo stesso spazio della casa giapponese è concepito, vissuto ed estetizzato come interfaccia variabile di questi spazi vuoti: la stanza (居間 ima “soggiorno”, 茶の間 chanoma “stanza da tè”) è abitata in quanto intervallo, vuoto relativo di ci� che è “in mezzo” (間 aida) alle mura e agli individui. In questo senso, condivide con la strada (道 michi) l’essere per essenza relazione. È questa qualità spaziale (e assieme temporale) a costituire la possibilità di un equilibrio dinamico tra mutamento e stasi: un simile intervallo (間 ma/aida) è la componente di fondo sia dello spazio (空間 kūkan) che del tempo (時間 jikan) intesi come elementi “contemporaneamente comuni e distinti” nell’esistenza umana.23 22 23 mesis, Milano 2008, p. 245): entrambi in questo senso sono i poli di una relazione locativa. L’inluenza di Nishida sul pensiero di Watsuji – che tuttavia non appar� tiene alla comunità accademica della Scuola di Kyoto – è presente in dagli anni della formazione, e attorno al 1916 Watsuji riprende la lettura di Uno studio sul bene; anche dagli scambi di lettere dei due ilosoi, è evidente la stima reciproca, e l’interesse con cui Nishida osserva il pensiero di Watsuji. Per una indagine del concetto di ma nell’estetica, nelle arti e nelle arti marziali giapponesi, cf. Ma: la sensibilità estetica giapponese, a cura di Luciana Galliano, Edizioni Angelo Manzoni, Torino 2004. È interessante notare inoltre come il termine 空間 kūkan, “spazio”, è composto dai caratteri 間 kan e 空 kū; il secondo da una parte indica il cielo isico (cf. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 19 Watsuji ritrova l’interfaccia di relazione umana (aidagara) sui cui è fondata la propria etica anche nella concezione di spazio esposta in Fūdo. Nella citatissima analisi del “freddo” nel primo capitolo, in cui vengono esposte le basi teoriche di tutta l’opera, l’Existenz heideggeriana viene ridescritta come apertura originaria verso uno spazio interno ed esterno che include tanto il mondo naturale quanto il rapporto con l’altro. La relazione con uno speciico clima umano, naturale e storico – fūdo – è possibile perché l’umano scopre se stesso “già fuori di sé”, già da subito immerso in questa interfaccia: Una comprensione esistenziale dell’essere umano non può essere raggiunta unicamente attraverso la “trascendenza” che struttura l’elemento del tempo. La trascendenza deve essere tale innanzitutto nel senso della scoperta dell’io attraverso l’altro, e poi del ritorno alla negazione assoluta attraverso l’unità del sé e dell’altro. L’ambito della trascendenza deve essere quindi l’“interfaccia” (aidagara) tra individuo e individuo. In altre parole l’aidagara, in quanto ambito in cui scopriamo il sé e l’altro, deve essere di per sé, originariamente, l’ambito di questo “uscire al di fuori” (ex�sistere). (p. 52) L’“ex�istente” originario, cio che è quanto piu originariamente “li fuo� ri”, non è dunque né una “cosa” né un “oggetto”, ma questa interfaccia: per Watsuji la stessa intenzionalità si innesta su questa intersoggettività pre-oggettiva, un corpo isico e sociale che ricorda il luogo nishidiano e la chora platonica: “Sentire il freddo è una esperienza intenzionale, ma all’interno di questa esperienza il noi è già fuori di noi: quello che facciamo è osservare il nostro io che emerge all’interno del freddo stesso (…) persino la struttura di questo “uscire al di fuori”, ancor prima di emergere in una “cosa” come il vento freddo, esiste grazie al suo presentarsi all’interno dell’io degli altri. Questa non è una relazione intenzionale, ma aidagara: “interfaccia”. A scoprire l’io nella sensazione di freddo e originariamente il noi inteso come aidagara (p. 44) Se l’interlocutore più esplicito nell’introduzione di Watsuji è Heideg� ger, in questo passaggio possiamo vedere come attraverso la nozione di aidagara Watsuji costruisce un modello etico-epistemico che si pone come alternativa anche alla riduzione husserliana. Persino in Ideen II (Id. n. 14 a p. 55), dall’altra la nozione di “vuoto” nel pensiero buddhista, che Watsuji pone al centro della sua relazione etica come duplice negazione di io e altro. Per un’analisi dell’idea buddhista di vuoto in Watsuji vedi Nagami Isamu, “The Ontological Foundation in Tetsurō Watsuji’s Philosophy: Kū and Human Existence”, in Philosophy East and West 31, no. 3: 279-96. 20 Vento e terra II, 143 sgg.), in cui Husserl comincia a concepire il corpo come un esse� re-tra, un’entità relazionale che si costituisce nell’ambivalenza tra tocca� re ed essere toccata (Id. II, 145), per Husserl il corpo è sempre corpo del singolo, determinato da un ego, e le sue stesse sensazioni quasi�oggettive sono concepite sotto forma di intenzionalità. Per Watsuji l’aidagara è primario proprio in quanto pone la relazione già all’interno del soggetto, attraverso una “carne” soggettiva che condivide con la spazialità dell’a� bitato e del naturale l’essere fondamentalmente relazione: per Watsuji, “anche il clima è corpo umano” (p. 52). A questo proposito Sakabe Me� gumi osserva: Ciò che afferma Watsuji è che la spazialità del “corpo” e del “clima” è una spazialità non estensionale, ma intensionale (come per l’onnipresenza della carne in Merleau�Ponty); in altre parole, in essa l’interno è al tempo stesso esterno, e l’esterno è al tempo stesso interno.24 Assieme alla nozione gemella di fūdo, è appunto l’aidagara che trova in questo primo capitolo alcune delle sue formulazioni fondamentali. In sede di traduzione è sembrato opportuno usare l’italiano “clima” e “interfaccia”; in ciascuno dei due termini giapponesi è per� presente un sovrappiù di signiicato legato al medium ideograico, innestato su una tradizione storica e speculativa. La stessa traduzione pu� divenire allora l’occasione di un confronto non solo linguistico, ma ilosoico. Aidagara è il rapporto che connette corpo individuale e sociale,25 climatico e storico; nel mantenerli separati, permette la loro interazione. Lo 24 25 Sakabe Megumi, Watsuji Tetsurō: Ibunka kyōsei no katachi, Iwanami Shoten, Tokyo 2000, p. 105. Da notare è che il giapponese 肉体 nikutai, “carne” è già presente nel testo di Fūdo, con un senso straordinariamente simile alla formulazione che ne darà Merleau-Ponty a distanza di un decennio in Fenomenologia della percezione (1945). Berque sceglie appunto di tradurre aidagara come “corps social”, mutuando la locuzione di Leroi-Gourhan: “C’est-à-dire cette part collective de l’être humain qui dépasse le topos <corps animal: personne individuelle> pour comprendere la chôra de son milieu” (Watsuji Tetsurō, a cura di Augustin Berque, Fudō: le milieu humain, CNRS Éditions, Parigi 2011 p. 43) La traduzione rende in modo eficace la dimensione sociale e locativa dell’aidagara; soprattutto considerato il senso strutturale di questa nozione, e l’afinità del ruolo dello strumento in Watsuji e Leroi-Gourhan. Tuttavia, utilizzare direttamente il termine sociale in una traduzione di aidagara rischia di mettere in ombra la dimensione individuale di questa relazione, il suo strutturare l’individuo in senso anche interiore, separandolo-connettendolo. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 21 stesso Watsuji sottolinea questa qualità osmotica: “Il corpo soggettivo ha in sé una struttura dinamica, così che nel suo essere singolo fa parte di un’unità più grande, e all’interno di questa unità si mantiene singolo” (p. 52). Come abbiamo già visto, 間 aida indica una distanza che connette; ma quale è allora il valore di 柄 gara? “Betweenness”, che è attualmente la traduzione inglese dell’aidagara di Watsuji, di fatto traduce solamente il primo signiicante (間). In realtà gara è una parola dal valore non meno complesso, e il senso della parola emerge proprio dalla relazione tra i due signiicanti. Quando fa riferimento alla qualità isica e personale di un singolo, gara è traducibile con volto o carattere; si pu� per� usare anche per descrivere delle circostanze esterne, collettive, un’inclinazione o uno stato di cose presenti in un contesto sociale o naturale. Un altro signiicato riguarda per� una possibilità di manipolazione: 柄 (in questo caso la lettura è e) è anche l’impugnatura di un utensile e la capacità di manovra concretizzata in esso (e non è un caso che, nel primo capitolo, Watsuji parlando di clima parta proprio dalla Zuhandenheit heideggeriana; 柄 è ci� che in un oggetto è concepito in relazione alla mano). Ciascuna di queste valenze è in un certo senso presente nel signiicato più frequente del carattere: disegno, motivo, igura. 柄 gara è il pattern di un tessuto o di un utensile – una relazione graica e materiale che si sviluppa lungo il suo spazio. Possiamo riconoscere così l’aidagara di Watsuji nella comune immersione in un clima afoso o freddo (e non è una caso, appunto, che un commento sul tempo sia il cliché di un saluto impacciato, un tentativo di trovare terreno comune tra estranei); in un sistema di rapporti familiari e amicali che attraversa un villaggio o una città; e persino lungo la supericie di un kimono giapponese, osservando i ritmi geometrici che si possono trovare su un oggetto d’uso quotidiano. Prendiamo per esempio il rinzugata o sayagata, uno dei motivi più popolari nella storia decorativa giapponese. Il modello del rinzugata è costituito attraverso una relazione ritmica; altro nome di questo disegno è appunto 万字つなぎ manjitsunagi, “a svastiche connesse”. Il singolo carattere benaugurante (卍 manji) ha una sua precisa localizzazione nello spazio, e rimane percepibile come singolo; contemporaneamente per� viene negato da una ripetizione e da una connessione con altri caratteri orientati in modo alternato, obliquo e speculare. Il risultato è un secondo disegno, in cui lo sfondo bianco racchiuso tra le linee diventa primo piano, sotto forma di una serie di incastri paralleli con un proprio orientamento speciico. Gara è dunque “igura”, nel senso inteso dalla Gestalt: una somma superiore all’insieme delle sue parti in cui la singola- 22 Vento e terra rità non scompare, ma crea qualcosa di nuovo e differente. La parola che si è utilizzata in questo volume come traduzione del giapponese è “interfaccia”: da una parte non si discosta troppo dall’inglese “betweenness”, e dall’altra condivide quattro aspetti centrali nella semantica giapponese: 1) il preisso “inter-” conserva letteralmente il giapponese 間 aida; 2) la qualità spaziale e corporea di 柄 gara, che pu� fare riferimento sia alla “faccia” del singolo corpo umano sia alla “superi supericie cie bidimensionale” e reiterabile di un modello graico; 3) il valore di circostanza, e quello di manipolazione; un’interfaccia è appunto la supericie di azione su contesto o un linguaggio eterogenei; 4) soprattutto, un’“interfaccia” condivide con l’aidagara di Watsuji l’essere separazione, membrana da due elementi o linguaggi disomogenei, e il costituire per�, e proprio per questo, l’elemento che separandoli connette e mette in comunicazione.26 26 Una formulazione alternativa di questi quattro concetti si può trovare esposta in: Silvano Tagliagambe, Epistemologia del conine, Il Saggiatore, Milano 1997. Il termine “interfaccia” vi si trova utilizzato solo in alcuni casi, ma la formulazione di “conine”, o “translucenza”, nel caso dell’analisi di Florenskij contenuta nel volume, assomiglia in più di un punto all’intuizione dell’aidagara in Watsuji. Un altro concetto (in modo simile alla “plique” de La double seance derridiana) che coglie in modo brillante il movimento di separazione�unione dell’aidagara è quello di cleavage sviluppato da Carl Matthew Johnson in Watsuji Tetsurō and the Subject of Aesthetics (tesi presentata presso University of Hawai’i, Manoa 2012): “I use the term “cleavage” because the word “cleave” is in the class of words known as auto�antonyms, along with “dust” (to sprinkle dust or to sweep away dust), “sanction” (to permit an act or to penalize it), and others. “Cleave” has two senses: to create a division and unite a division (…) A cleavage is a line of differentiation without separation. If there is a cleavage in a rock, we can see that the rock is divided into two, but at the same time the rocks are one. The same is true in the process of double cleavage in human existence. I am divided from the other, but our fundamental non�duality remains”. (testo disponibile in rete, presso http://carlmjohnson.net/dissertation/). L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 23 5. Fūdo e “clima” Fin qui abbiamo cercato di offrire un ritratto biograico di Watsuji, e chiarire come il concetto di aidagara connetta la rilessione etica e quella sul mondo naturale e culturale che struttura Fūdo. Per Watsuji, assieme all’aidagara è appunto l’elemento climatico a costituire un “momento costitutivo” (構造契機 kōzō keiki) nell’esistenza umana; tuttavia traducendo il giapponese fūdo con un termine europeo come “clima”, quali sono le implicazioni a cui ci troviamo davanti? Anche in questo caso il gesto della traduzione è un’opportunità ilosoica, e il confronto con una rilessione ilosoica asiatica permette di osservare da una diversa prospettiva – e in modo radicale – la nozione europea di “clima”. A quasi ottant’anni dalla comparsa di Fūdo, il “clima” ha un rilievo impensabile all’epoca della sua stesura: e la parola clima è sempre più spesso accostata ad altre come “emergenza”, o “crisi”. Al tempo stesso per� essa rimane Gerede, “chiacchiera” nel senso descritto dallo Heidegger di Essere e tempo; persino la prospettiva inquietante di un disastro ecologico non diventa un’occasione di comprendere autenticamente cosa il clima sia da un punto di vista ontologico.27 L’ambiente esterno dell’emergenza ecologica rimane un oggetto pre-compreso, concepito come spazio oggettivo e originariamente indipendente dall’umano, dal culturale, dal tecnico. L’unica relazione pensabile tra umano e naturale rimarrebbe dunque una determinazione causale; una realtà drammatica nel caso di un’inluenza umana sul clima, e una degenerazione culturale nei casi di “determinismo climatico”. La possibilità di un equivoco del genere non doveva essere sfuggita allo stesso Watsuji, che cerca di scongiurarlo in dalle prime righe dell’introduzione: Il nostro problema non è quindi quello di capire come l’ambiente naturale determini l’attività vitale dell’essere umano. Quello che viene normalmente considerato come ambiente naturale è qualcosa di oggettivo, separato dalla base concreta del climatico; quando si rilette sulla sua relazione con la vita umana anche l’attività vitale dell’uomo è già stata reiicata. (p. 37) 27 “Più che di comprendere l’ente di cui si discorre, ci si preoccupa di ascoltare ci� che il discorso dice come tale. L’oggetto della comprensione diviene il discorso, il sopra-che-cosa lo è solo approssimativamente e supericialmente. Si intendono le medesime cose, perché ci� che è detto è compreso da tutti nella medesima medietà”. Martin Heidegger Essere e Tempo, trad. it. a cura di Piero Chiodi, Longanesi, Milano 1976, §25 (p. 212). 24 Vento e terra Nonostante questa premessa, la correlazione tra interno ed esterno, corpo sociale e corpo climatico presentata in Fūdo è stata spesso ridotta a un esempio di determinismo climatico, o a un tentativo di fondare ilosoicamente l’eccezionalità culturale del Giappone. Watsuji espone perfettamente le radici di un simile equivoco. La reiicazione di umano e naturale separa dalla “base concreta” del climatico; e questo carattere “concreto” consiste appunto nella sua qualità soggettiva, sulla contingenza iniziale della propria identità personale e sociale, innestata in un singolo tempo e un singolo luogo. La perdita dell’aspetto soggettivo di una rilessione sul clima, il determinismo climatico e la reiicazione dei due poli di umano e ambiente, hanno origine in questo stesso problema. Berque, che pure osserva al proposito che “un lecteur non spécialmement porté à l’ontologie, et qui aura donc négligé les aspects théoriques de l’ouvrage, celui-ci ne laisse apparaître qu’une thèse déterministe”, è dell’idea che “la construction théorique à laquelle se livre le premier chapitre, verse effectivement à plus d’un égard dans le déterminisme quand il vient à l’illustration concrète”.28 Secondo Berque il limite della descrizione mediale di Fūdo consiste in una confusione tra ermeneutico e introspettivo: “Entre la subjectité d’autrui (shutaisei 主体性, subjecthood: le fait d’être sujet souverain de soi-même) et sa propre subjectivité (主観性, subjectiveness: le fait de n’être pas objectif)”.29 Le impressioni personali e “soggettive” legate all’esperienza del viaggio sostituirebbero così lo studio ermeneutico di un altro soggetto umano compreso nella propria alterità. Eppure, proprio la stessa qualità soggettiva della prosa di Watsuji viene citata da Pauline Couteau per difendere una tesi praticamente opposta: Couteau osserva infatti: “In his defence, the objectivity required for a true theory of determinism is simply not present in the work. Many of the statements cited as evidence of determinism are in fact closer to the subjective observations of a travel notebook than to the clear-cut assertions of a scientiic inquiry”.30 28 29 30 Watsuji, Berque, 2011, p. 14. Uno degli altri fattori menzionati da Berque è la presenza di una traduzione inglese originariamente pubblicata all’interno di un programma UNESCO (a cura di G. Bownas, Climate: a philosophical Study, 1960), segnata da numerosissimi problemi di aderenza e forma. Essa omette addirittura, senza peraltro farne menzione, il quinto capitolo Rilessioni storiche sullo studio del clima, che invece attraverso l’interpretazione di Hegel, Kant ed Herder, riporta il libro sullo stesso livello “teorico” del primo capitolo. Watsuji, Berque, op. cit. p. 22. Couteau, Pauline, “Watsuji Tetsuro’s Ethics of Milieu”, in James W. Heisig, ed., Frontiers of Japanese Philosophy, Nanzan Institute for Religion and Culture, Nagoya 2006, p. 274. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 25 La stessa soggettività viene utilizzata nel primo caso per indicare i limiti della pratica ermeneutica di Watsuji e il suo riscivolare nel determinismo, nel secondo per difenderla dalla stessa accusa, con il risultato per� di minimizzarne il valore speculativo, e ridurre il tentativo di una rilessione assieme teoretica e concreta a un semplice “taccuino di viaggio”. Ma è proprio attraverso l’esperienza soggettiva, come impressione climatica e come meraviglia legata al viaggio, che la determinazione climatica si mostra nel suo senso autentico di determinatezza: il valore spaziale del viaggio non pu� essere ridotto a “introspezione”, o “approfondimento del punto di vista di un medesimo sé” perché è solo attraverso l’esperienza di un incontro soggettivo con ci� che è differente da sé che la propria dimensione originaria viene deinita – contemporaneamente limitata e dotata di senso. Uno dei passaggi più “soggettivi” e contemporaneamente più ilosoici dell’intero volume è il momento in cui un “umano monsonico” (che è chiaramente il viaggiatore Watsuji), abituato da un’espressione poetica cinese divenuta proverbiale anche in Giappone a considerare “monti verdi” come cornice del proprio mondo, scopre una diversa modalità di esistenza umana nello scenario di un porto dello Yemen: Facciamo caso che l’umano di questi monti verdi si trovi un giorno ad attraversare l’Oceano Indiano e raggiunga la città di Aden, nella punta meridionale della penisola araba. Ciò che si trova davanti è il rosso cupo di aguzzi, selvaggi picchi che sembrano rafigurazioni concrete della parola cinese 突兀 tūwu, “nudo e scosceso”. Tutto il senso di vita, di vigore, la dolcezza, la purezza, la freschezza, la grandiosa armonia che l’umanità dei monti verdi può aspettarsi da una “montagna” qui è completamente assente (...) Qui l’umanità dei monti verdi trova l’altro. Esso non è il monte roccioso in senso unicamente isico, ma ciò che questa umanità dei monti verdi non è: un rapporto tra uomo e mondo che non è quello dei monti verdi. (pp. 82�83) “Determinazione” in Watsuji non ha quindi affatto un valore causale. In Fudō la parola “determinazione” è il giapponese 規定 kitei: ma kitei è la “determinazione” di una disposizione o forma speciica. Anche grai� camente, l’origine del carattere 規 rappresenta un compasso e un occhio, di fatto un’attività di misurazione. Kitei si potrebbe tradurre anche come “deinizione”: ma l’acquisizione di un valore semantico, è sempre, al con� tempo, determinazione in questo senso locativo. Finis e terminus sono le due parole latine con cui si sono espressi i conini geograici, ciò che dà forma a un territorio limitandone la forma e l’estensione: la determina� zione di Watsuji mi sembra corrispondere proprio a questo senso, al suo impegno teorico verso il particolare e lo speciico. Di fatto, non c’è alcun 26 Vento e terra fenomeno naturale e culturale che si dia al di fuori della propria particolare determinazione climatico�mediale: la generalità (ippansei) della natura e dell’umanità è qualcosa di completamente diverso dall’universalità (fuhensei) che ha ispirato il pensiero ilosoico e scientiico nella storia europea. Watsuji sostiene che l’elemento culturale nasce (産む umu) dal clima;31 ma la generazione è un rapporto organico, non causale. La determinazione di Watsuji può essere pensata come causa solamente nel senso aristotelico di causa formale, organizzazione concreta dei rapporti tra umano e climatico, tra umano e umano. La metafora della generazione è appropriata proprio perché essa contiene il senso dell’unicità e della speciicità di ciò che av� viene una sola volta e in un solo luogo.32 Il nesso causale (o inale) che alcuni lettori ascrivono – credo dunque a torto – ad alcuni passi di Watsuji considera questa “determinazione” in un senso che è invece espresso dal giapponese 決定 kettei, una “decisione” potenzialmente arbitraria; questo secondo termine è però assente tanto nello scheletro ilosoico quanto nella raccolta di osservazioni che compongono Fūdo. Simili equivoci hanno una radice duplice: da una parte il carattere perso� nale della prosa di Watsuji, che non solo non mira a fornire delle “clear-cut assertions”, ma pone in primo piano la soggettività del proprio autore, la sua personalità – e questo non per ingenuità metodologica, ma perché un autore eclettico come Watsuji deve essere stato acutamente consapevole del pro� blema nietzscheano dello stile nella scrittura ilosoica. L’altra dificoltà a cui un lettore europeo si trova davanti è l’apparente eterogeneità tra il rigore della premessa fenomenologica del primo capitolo e la descrizione di un paesaggio, o di più paesaggi. L’individualità del pensatore e del contenuto – la relazione tra lo stile e la personalità del singolo individuo o di una cultura e l’aspetto generale eppure speciico del mondo naturale – sono elementi che il testo ilosoico affronta con particolare dificoltà.33 Una risposta (sia pure parziale) a questi due problemi speculari la possiamo trovare proprio 31 32 33 È uno degli esempi di determinismo citati da Berque: op. cit. p. 23. Cfr. Tsuda Masao, Watsuji Tetsurō kenkyū Aoki Shoten, Tokyo 2014 p. 131: “Ci� che indica Watsuji in questo caso, è anche che se deiniamo (kitei) l’elemento storico come ci� che avviene nur einmalig, una volta sola, questa sua particolarità non è solamente quella di una deinizione storica, ma riceve un’altra determinazione decisiva [attaverso il clima]: potremmo dire che esso è anche einortlich, ‘in un unico luogo’”. Watsuji studierà questa contraddizione tra carattere particolare e idea universale di uomo attraverso un’analisi dell’idea di umanità in Kant, nel saggio Jinkaku to jinruigaku (Personalità e umanità), Iwanami Shoten, Kyoto 1938. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 27 esplorando la struttura interna della parola fūdo, tornando al suo essere let� teralmente “vento e terra”.34 Watsuji ne dà questa deinizione preliminare: Uso il termine giapponese fūdo 風土, “vento e terra”, per riferirmi al clima, ai fenomeni atmosferici, agli aspetti geologici, al tipo di terreno e alla sua conformazione, al paesaggio di una certa regione geograica. (p. 41) Una parola come “clima” è una traduzione adeguata? Questo elenco di aspetti meteorologici (il vento?) e geograici (la terra?) è concepito in modo unitario anche nella cultura europea? Non si tratta semplicemente di un problema di traduzione (che pure è compreso in esso): pensare che parlando di un fenomeno naturale ci si possa aspettare, o si possa partire da una certa universalità linguistica, è già un errore ilosoico, uno degli errori ilosoici che il volume di Watsuji cerca di affrontare.35 Cosa signiicano qui “vento” e “terra”, e in che modo il loro reciproco interfacciarsi produce il fenomeno del “clima”? Vento 風 e terra 土 sono due immagini naturali. Essi compongono persino visivamente un paesaggio minimo, simile alle vedute a inchiostro tipiche dell’arte sinogiapponese. L’ambito dell’umano e del naturale è ancora una volta relazione: il rapporto tra ci� che è mobile e ci� che è isso, tra il mutamento continuo del vento, che pure rimane uno, e la varietà locale di ci� che è terrestre, e si rivela all’umano nel tempo delle stagioni o nello spazio del 34 35 Una nota cautelare: la forza concettuale di termini come aidagara e fūdo non implica necessariamente una prospettiva logocentrica, o quell’“aura dell’autenticità” denunciata da Adorno ne Il gergo del’autenticità rispetto all’uso abissale della singola parola in Heidegger (che qui sarebbe addirittura ampliicato da un medium ideograico). L’utilizzo di parole autoctone è stato un passaggio obbligatorio per poter concepire un pensiero giapponese originale; tuttavia pur concentrando una rilessione ilosoica su parole dal carattere quotidiano, nel pensiero di Watsuji è dificile percepire l’ “aura logocentrica” denunciata da Adorno; anzi, l’articolazione linguistica è pienamente attiva in esse, e le coinvolge proprio in quel sistema di relazioni concrete e speciiche che per Adorno costituiscono l’“attrito del linguaggio”. Sulla non-universalità del linguaggio di fronte al mondo naturale, Kuki Shūzō nella premessa de La struttura dell’iki fa notare come persino nel caso di una parola come “cielo” - e non nel caso del giapponese, ma in esempi tratti da autori europei come Baudelaire, Keats e Kant – una differente pratica “poetica” colga anche in un fenomeno generale come il cielo aspetti completamente diversi. Kuki critica dunque nel saggio successivo Metaisica della letteratura (1941) il cielo stellato di Kant, che è già sottratto artiicialmente all’impressione soggettiva e trasformato in una garanzia di universalità naturale ed etica. 28 Vento e terra viaggio. La terminologia relativa al paesaggio in giapponese è appunto costituita a partire da da queste dualità: altri due termini che si riferiscono tanto al paesaggio naturale quanto alla sua elaborazione artistica sono per esempio 風景 fūkei, “vento e ombra” e 山水 sansui, “monti e acque”.36 Questa dualità naturale di mutamento e stabilità include per� la dimensione dell’umano in entrambi i propri poli. Il primo orizzonte dell’umano è appunto il terrestre (土 jp. do, ch. tŭ). La stessa parola “uomo” (homo) indica il suo rapporto con la “terra” (humus); è sulla terra che l’umano vive, agisce, e abita.37 Anche la “casa” appartiene infatti a questo ordine terrestre – il latino domus condivide lo stesso etimo, ancora più evidente nell’inglese home o nel tedesco Heimat. Territorio, umano, e spazio abitativo coesistono in questa dimensione di radicamento originale. Anche lo Heidegger della Kehre, nel 1932, dà una deinizione di “terra” enormemente più vicina alla visione spaziale di Fūdo, in cui si pu� persino riconoscere la complementarità di elementi connessi ed eterogenei che caratterizza il pensiero di Watsuji, o orientale in genere: L’unisono di quest’insuperabile pienezza noi lo chiamiamo la terra: e con ciò non intendiamo una massa materiale sedimentata e nemmeno il globo pla� netario, bensì l’unisono di mare e monti, di tempeste ed aria, di giorno e notte, gli alberi e l’erba, l’aquila e il destriero. Questa terra – che cos’è? Ciò che dispiega costante pienezza e purtuttavia si riprende sempre indietro e trattiene ciò che è dispiegato. La pietra grava, mostra il suo pensatore e proprio così si ritrae in se stessa; il colore si accende e resta tuttavia chiuso; il suono risuona e tuttavia non emerge nell’aperto.38 36 37 38 Sulla qualità concettuale del paesaggio, cfr. Carole Crumley: secondo Crumley, nella sua relazione con tempo e spazio umani il paesaggio diviene “the visual signature of a territory (a vista) that is partly formed by the people who inhabit it” (C. Crumley, “From Garden to Globe: Linking Time and Space with Meaning and Memory”, in The Way Wind Blows: Climate, History and Human Action, a cura di Roderick. J. Mackintosh, Columbia University Press, 2013). Anche la controversa etimologia del greco anthropos, storicamente connesso ad aner, “maschio”, è stata riportata dal recente studio di Garnier a un “ancien adjectif indiquant une position dans l’espace (soit *ἀθρωkʷóς “tourné vers le bas, inférieur, terrien”), substantivé par le recul de l’accent (d’où “terrien, humain”)”: Cfr. “Nouvelles rélexions étymologiques autour du grec ἄνθρωπος”, in Bulletin de la société de linguistique de Paris CII, 1 2008, 131-154). Martin Heidegger, Dell’origine dell’opera d’arte e altri scritti, a cura di Adriano Ardovino, Centro Internazionale di Studi di Estetica, Palermo 2004, p. 40. La versione raccolta nel volume corrisponde proprio alla prima stesura del lavoro, risalente al 1931-32. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 29 La particolare pienezza dell’umano e dell’abitato, che Heidegger con� sidera appunto come “trattenimento” e “chiusura”, è lo sfondo costante dell’“apertura di un mondo” garantita dalla messa�in�opera dell’arte. Nei termini di Fūdo il radicamento, la relazione concreta con la speciicità di un paesaggio, sono ciò a partire da cui l’appartenenza diviene opera (nel duplice senso di oggetto e attività), e si pone quindi contemporaneamente come identità e libertà: I vestiti, i bracieri, il bruciare carbone, le case, l’abitudine di ammirare i iori di ciliegio e i luoghi più famosi per farlo, dighe e canali, le strutture che aiutano le nostre case a resistere al vento, sono tutte cose che abbiamo inventato da noi, liberamente. (p. 46) L’appartenenza a un territorio deinisce, ma non vincola, perché è la condizione trascendentale di un’apertura a una pluralità di spazi isici e culturali: questa qualità dinamica (che in Heidegger rimane nascosta dalla metafora della terra) è rappresentata dal “vento”. La terra permane; ma nel vento emerge il carattere mobile, variabile, attivo e invisibile di quest’a� pertura individuale e collettiva. L’aria e l’atmosfera scandiscono assieme alla terra il tempo delle stagioni, lo scorrere storico e il movimento verso un altrove; il vento è essenzialmente un luire. Dire che l’essere umano possiede nella sua struttura ontologica un carattere climatico vuol dire che esso è contemporaneamente “terra” e “vento”, che vive questa duplicità del paesaggio nella sua stessa modalità esistenziale. A sua volta, il “vento” 風 (jap. fū, ch. fèng) indica sia in Cina e Giappo� ne un’ulteriore articolazione dell’umano: il carattere 風 fū è indicato sia per descrivere la personalità dell’individuo, l’“aria” o “stile” personale di un ar� tista che regolano la sua “ispirazione”, sia ciò che caratterizza la dimensione collettiva dell’umano, la sua “cultura”. All’inizio del Manoscritto nella gerla Bashō – che in Fūdo viene citato da Watsuji come “poeta asiatico” per eccel� lenza – chiama qualcosa di indicibile che avverte nel suo stesso corpo 風羅坊 Fūrabō: “eremita del el vento” o “garza che vola nel vento” (ma il termine asso� miglia molto anche all’ironico “vagabondo”, “viaggiatore”: 風来坊 fūraibō): Tra le cento ossa e i nove buchi di questo corpo c’è qualcosa; gli do un nome soltanto provvisorio, e lo chiamo Fūrabō. Ed esso è proprio come un brandello di stoffa leggera, che si lacera facilmente col sofiare del vento. Da lungo tempo egli ama la poesia comica; e alla ine ha deciso di farne il mestiere della sua vita.39 39 Bashō, Oi no kobumi; per una traduzione italiana, Piccolo manoscritto nella bisaccia, a cura di Lydia Origlia, SE Milano 2006; e Bashō, Poesie – haiku e 30 Vento e terra In questo senso il vento è un movimento interiore al soggetto umano e poetico, qualcosa di invisibile che determina propensioni e qualità del singolo individuo, e connette l’aspetto materiale della sua esistenza (il corpo solido ma cavo delle “cento ossa e i nove buchi”, un’espressione che Bashō riprende dallo Zhuangzi) con un elemento mobile, che trascende il singolo e lo spinge verso la creazione estetica e l’esperienza di un altrove.40 Ma oltre a essere simbolo della libertà del singolo, 風 fū sono anche le forme di vita di uno speciico gruppo etnico, gli usi e i costumi di un popolo, l’elenco di tutte le “libere invenzioni” menzionate da Watsuji. In questo secondo senso 風 corrisponde appunto alla totalità di una speciica cultura: in giapponese la distinzione tra case, mobili, vestiti, cibo “all’occidentale” o “all’orientale” è per esempio ancora espressa con i termini 和風 wafū (“vento giapponese”) e 洋風 yōfū (“vento occidentale”). ”). ). Tuttavia, nella parole e nella nozione europea di “cultura” troviamo invece un senso unicamente terrestre, agricolo (il latino colere, passato in inglese e nelle lingue romanze) o tecnico (ted. Bildung).41 In questo modello non solo rimane impensata la dialettica tra l’unicità dell’individuo e la speciicità collettiva della comunità, ma si costruisce una opposizione speciica tra mondo naturale e cultura umana. Ōhashi Ryōsuke osserva al riguardo: In questo caso c’è una differenza tra la concezione di natura in Oriente e in Occidente. Nel concetto europeo di “cultura”, l’esperienza del naturale insita in esso ha un signiicato fondamentale: colere, come abbiamo visto, implica una precisa modalità di confronto tra umano e naturale. Con il colere, con l’agricoltura, l’uomo ha cominciato a lavorare, dare una forma, e in deinitiva a sfruttare la natura. Qui troviamo la “tecnica” nel senso originario della parola greca techne, una straordinaria capacità dell’uomo sulla cui base egli ha sviluppato se stesso e reso la natura oggetto delle scienze naturali. Attraverso questa relazione l’uomo diventa già, come dice Cartesio, “padrone e signore della natura”, o con Kant, “scopo della natura”.42 40 41 42 scritti poetici, a cura di Muramatsu Mariko, Vita Felice, Milano 1996. Questa qualità trascendente del vento e dell’aria è riconoscibile anche nella dimensione metaforica di parole centrali nella tradizione ilosoica, estetica e religiosa occidentale: “ispirazione”, “anima”, “spirito”, “psiche” sono tutte originariamente connesse al signiicante del “vento”. E in questo senso, persino l’insistenza heideggeriana sulla necessità di un radicamento, di un ritorno alla terra e all’abitato, l’Heimat agricolo o pastorale di una cultura originaria, non è affatto un’alternativa reale al dominio della tecnica, proprio perché si situa nella stessa metafora fondamentale di costruzione e radicamento. Ōhashi Ryōsuke, Der “Wind” als Kulturbegriff in Japan, in Kultur. Hrsg. von S. Paul. Reimer Verlag, Berlino 1984, pp. 84-85. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 31 Nella modalità di comprensione o confronto (Weise des Verhältnisses) descritta da Ōhashi, la cultura diviene un prodotto interamente umano, di cui la natura è un polo passivo inteso come risorsa e come oggetto. In que� sta idea di cultura modellata sulla tecnica si possono già vedere in nuce la separazione tra umano e naturale, la riduzione del primo al soggetto singolo e culturalmente neutro dell’ego cartesiano, e la trasformazione del secondo nel mondo causale delle scienze naturali. Inoltre una volta costituita questa scissione tra umano e naturale, essa torna a rilettersi sul mondo umano attraverso scienze sociali modellate sull’obiettività di quelle naturali, che la� scerebbero come unica alternativa la causalità una teleologia etica o storica. Al contrario, una cultura pensata a partire dal carattere individuale�colletti� vo espresso dal vento e un mondo contemporaneamente culturale e naturale, dischiuso dal reciproco deinirsi di “vento” e “terra”, permettono di coglie� re le polarità presenti nell’esistenza umana – uomo/natura, tempo/spazio, singolo/collettività – attraverso una “modalità di relazione” che connette e separa assieme: aidagara. Possiamo dire che Fūdo è il tentativo di ripercor� rere in un primo contesto globale proprio questa doppia articolazione. Una parola come Fūdo, “vento e terra”, è il punto di partenza della rilessione di Watsuji anche perché contiene già al proprio interno ciascuna di queste determinazioni, esprimendole nel loro duplice valore ontico e ontologico. 6. Un “clima” secondo Watsuji La dificoltà di trovare un termine che corrisponda a questa ricchezza les� sicale in una lingua europea è evidente; Berque, nella sua introduzione alla traduzione francese di Fūdo (2011, pp. 14�21) dopo aver passato in rassegna i problemi nell’approccio traduttivo inglese, tedesco, spagnolo e cinese, sceglie di tradurre fūdo con il francese milieu, e parlare perciò di “medialità” (fūdosei): C’est effectivement comme géographe que j’ai choisi naguère de rendre le japonais fūdo par le français milieu. Les déinitions qu’en donne Watsuji concordent avec l’usage que l’école française (celle de Vidal de la Blanche et de ses disciples) a fait du terme “milieu”, qui était l’un de ses maitres mots.43 Questa intuizione lessicale coglie appunto il senso connettivo della pa� rola fūdo, il suo essere l’alveo di una relazione tra umano e naturale, storico e spaziale, qualcosa che è appunto “in mezzo” ai poli della nostra esistenza, 43 Watsuji, Berque, op. cit., p. 20. 32 Vento e terra e ciò “in mezzo” a cui l’essere umano scopre se stesso. Attraverso il proget� to di una mesologia, lo studio geograico e ilosoico impostato da Watsuji viene portato avanti con quella stessa vocazione collettiva che per Husserl era indissolubile da una ricerca fenomenologica.44 Contingenza linguistica vuole però che nonostante la prossimità linguistica con il francese, l’ita� liano non utilizzi parole con la stessa radice latina med- per indicare la relazione con l’ambiente, naturale o umano. Anche una parola etimologi� camente molto vicina a milieu, come il latino medium, indica un semplice canale di trasmissione senza un valore semantico proprio. Questa carenza, che in fase di traduzione risulta inaggirabile, può diven� tare però l’occasione di una rilessione ulteriore. L’utilizzo di un “mot vier� ge” come médiance è un modo di riconoscere la novità dell’idea di Watsuji, ma cosa c’è all’origine del clima reiicato delle scienze e del senso comu� ne? “Clima” è una parola greca; rimane però uno dei termini meno pensati, all’interno delle tante genealogie concettuali che connetterebbero la moder� nità europea a un suo originale orizzonte speculativo. In quanto concetto scientiico, il clima è deinito come stato medio del tempo atmosferico in un’area deinita e lungo un periodo di tempo prolungato.45 Questa nozione di clima è un prodotto della rivoluzione scientiica sotto almeno due diver� si punti di vista: da una parte la possibilità di esprimere numericamente il tempo atmosferico è nata con l’invenzione di strumenti di misurazione isica prodotti a partire dal diciassettesimo secolo; dall’altra la scala glo� bale di queste osservazioni è a sua volta legata all’epoca delle esplorazioni settecentesche e ottocentesche, una prima globalizzazione via mare che si concluderà poco dopo la traversata mondiale dello stesso Watsuji. Il primo a concepire una divisione del globo per aree termiche medie è infatti un altro viaggiatore, Alexander von Humboldt. Dopo il lungo viaggio d’esplorazio� ne in America del 1799-1804, Humboldt pubblica nel 1817 i risultati delle proprie osservazioni naturali e della sua meticolosa attività di misurazione, presentando per la prima volta l’idea di linee isoterme: Ita videmus circulos aequalis caloris annui sive, ut novo vocabulo utamur, isothermos, haud aequatori parallelos esse sed, ut lineas magneticas, angulo variabili paralellos geographicos transversim intersecare. 44 45 Vari contributi di questo impegno multidisciplinare sono raccolti nel portale Mesologiques – études des milieux (http://ecoumene.blogspot.com/, 1/06/14). In genere, i trent’anni stabiliti dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale, WMO. Cf il lessico stilato dell’IPCC, http://www.grida.no/publications/other/ ipcc_tar/?src=/climate/ipcc_tar/wg1/518.htm, 1/06/14. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 33 [Vediamo così che i circoli di temperature annuali uguali – o come li chiamiamo usando un nuovo vocabolo, isotermici – non sono paralleli all’equatore ma, come le linee magnetiche, intersecano i paralleli geograici di traverso, con un angolo variabile].46 È proprio la misurazione di valori medi in un determinato lasso di tem� po che produce la moderna idea statistica di clima; le linee isotermiche di Humboldt sono alla base della classiicazione climatica elaborata da Köp� pen nel 1918 e perfezionata nel 1936. Tuttavia la parola clima indica in greco qualcosa di diversissimo, addirit� tura opposto al sistema di medie annue che proietta la variabilità di tempo atmosferico e stagionale sul tempo omogeneo della scansione cronologi� ca, e lo spazio del paesaggio sulla semplice estensione geograica. Il greco κλίμα signiica originariamente un’inclinazione del terreno, la differenza tra pianura e zona montuosa; e in seguito passa a indicare, con la cognizio� ne della sfericità terrestre, sia l’inclinazione dei raggi solari rispetto a un singolo territorio, sia il territorio stesso caratterizzato da quest’inclinazione. Nel sistema tolemaico κλίματα erano infatti le fasce longitudinali deinite dallo scarto di ore di luce durante il solstizio estivo; e questa divisione era posta in corrispondenza con i grandi anelli di temperatura delle zone del mondo. In questo senso il clima non è una media del tempo atmosferico percepito come dato oggettivo; al contrario, in questa serie di accezioni gre� che è il tempo atmosferico a essere l’espressione di una serie di relazioni climatiche: l’altitudine e il proilo geograico di un singolo paesaggio, la sua relazione con il sole, legata all’inclinazione terrestre, e la connessione tra il tempo annuale delle stagioni e quello giornaliero della luce e del buio, la cui struttura segue il percorso del sole lungo un’ultima linea inclinata, l’ellitti� ca dello zodiaco.47 Tempo atmosferico e tempo cronologico, che vengono separati una volta che il secondo viene concepito in termini lineari, sono invece ancora saldati nei signiicati di questa parola, lungo la dimensione circolare del tempo stagionale: proprio in questa relazione tra terra e atmo� 46 47 De distributione geographica plantarum secundum coeli temperiem et altitudinem montium, prolegomena, Lutetiae Parisiorum, Parigi 1817, p. 70. Citato da Eberhard Knobloch, “Alexander von Humboldt: the Explorer and the Scientist”, in The Global and the Local: The History of Science and the Cultural Integration of Europe., Proceedings of the 2nd ICESHS, Cravovia 2006. Per le diverse accezioni del greco, cfr. Liddell-Scott-Jones Greek-English Lexicon, Clarendon Press, Oxford 1925. 34 Vento e terra sfera troviamo allora quella reciprocità inscindibile di spaziale e temporale che Watsuji si è impegnato a descrivere. “Clima” non è allora una parola troppo povera per tradurre il giappone� se: così come per l’interazione tra vento e terra descritta dalla parola fūdo, parlando di “inclinazione” si implica necessariamente un rapporto tra due elementi. Si è inevitabilmente inclinati rispetto a qualcosa, con il proprio angolo particolare. Questa qualità immediatamente relazionale corrisponde alla determinazione (kitei) descritta da Watsuji: ciascun luogo terrestre è co� stituito da una combinazione unica di fattori, modellato da una contingenza che si esprime nella sua conformazione geograica, nelle diverse gradazioni del sole e delle stagioni, nella qualità regolare ma mai totalmente prevedibi� le di pioggia, vento, sole. Non è un caso che queste inclinazioni geograiche, concretizzatesi da una parte nel “senso comune” del determinismo ippocra� tico analizzato da Watsuji nel V capitolo di Fūdo (p. 134), siano però potute servire come concetto di base anche per l’enklisis di Epicuro: inclinato è ciò che nel moto discendente degli atomi introduce il modo speciico, unico, che garantisce la libertà umana. La contingenza non nega la regolarità della natura (o del moto atomico), ma riconosce la possibilità di ciò che è parti� colare, accidentale – ciò che appunto, “accade” in senso letterale, cadendo verso (lat. ad-cidens, gr. συμβεβηκός) qualcosa o qualcuno. In uno dei suoi ultimissimi scritti, Watsuji sembra aver colto il senso profondo di questa inclinazione astronomica molto tempo dopo la stesu� ra di Fūdo: questa connessione tra cultura e luogo, umano e naturale, è visibile persino nel movimento del sole. Lungo poco più di due pagine e pubblicato postumo 黄道 Kōdō (L’eclittica, 1960) comincia così: Una cosa di cui mi sono reso conto ora che mi capita di vedere spesso l’alba, è che inora non avevo affatto osservato il modo in cui il sole sorge. In altre parole, non avevo mai notato l’orbita del sole. Chissà perché, avevo sempre pensato che il sole rosso dell’alba sorgesse in perpendicolare dall’orizzonte. Anche dalle foto dell’alba avevo sempre ricavato solamente quest’impressione. Questo signiica che, persino davanti all’alba vera e propria, non avevo osservato davvero, nemmeno una volta, il movimento del sole che si separa dall’orizzonte, e il modo in cui si muove mentre continua ad allontanarsi da esso. Il sole non sorge assolutamente dritto verso l’alto. Il suo sorgere è diagonale, inclinato verso destra.48 48 Watsuji Tetsurō, Watsuji Tetsurō zenshū, op. cit., vol. 8, p. 201. L. Marinucci – La via del sole: spazio, viaggio e clima in Watsuji Tetsurō 35 L’inclinazione dell’alba è il risultato della propria speciica posizione geograica, è tale “perché la osservo dal Giappone, che si trova a circa quaranta gradi di latitudine a nord dell’equatore”.49 Anche i dodici segni sull’ellittica solare – in giapponese kōdō, “la via gialla” – che con l’au� mentare della latitudine divengono visibili solamente in alcuni momenti dell’anno, diventano cultura, “parole che esprimono le stagioni”. La re� lazione tra il movimento di sole e stelle e lo spazio terrestre, che nella modernità è divenuto una nozione astronomica, in passato doveva esse� re “chiara a un singolo sguardo”.50 Questa connessione tra cielo e terra, uomo e natura, presente e passato, ha continuato a lasciare Watsuji pieno di meraviglia ino agli ultimi giorni della sua vita; la sua ilosoia nasce attorno a questo momento di stupore. La sida di questo sguardo ilosoico è quella di scoprire la pluralità e la ricchezza di ciò che avviene nel mondo, l’universale e il particolare in cui siamo immersi da sempre senza averne coscienza. Questo evento è storico e climatico: esso avviene in un unico tempo e in unico luogo. E anche per questo è libero: relativo e temporaneo come il sofio del vento, uno stile pittorico, il iorire di una pianta montana o il comparire di una stella in un certo punto dell’orizzonte. Kyoto, 4 giugno 2014 Lorenzo Marinucci Bibliograia Augustin Berque, The question of Space, in Interpreting Japanese Society: Anthropological Approaches, a cura di Joy Hendry, Routledge, London – New York 1998; PAuline CouteAu, “Watsuji Tetsurō’s Ethics of Milieu”, in James W. Heisig, a cura di, Frontiers of Japanese Philosophy, Japan, Nanzan Institute for Religion and Culture, Nagoya 2006; CArole Crumley, “From Garden to Globe: Linking Time and Space with Meaning and Memory”, in The Way Wind Blows: Climate, History and Human Action, a cura di Roderick. J. Mackintosh, Columbia University Press, 2013; JACques DerriDA, Margini della ilosoia, tr. it. a cura di Manlio Iofrida, Einaudi, Torino 1997; luCiAnA gAlliAno (a cura di), Ma: la sensibilità estetica giapponese, Edizioni angolo Manzoni, Torino 2004; Wilhelm hAlBfAss, India and Europe. An Essay on Understanding, State University of New York Press, Albany 1988; 49 50 Ibid. 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