Studi di filologia, linguistica e letteratura in onore di Anna Maria Guerrieri, a cura di Franco De Vivo, Maria Rita Digilio, Carla Riviello, Rosella Tinaburri. Firenze: SISMEL Edizioni del Galluzzo, pp. 287-308., 2021
Tacitus’ Germania has a uniquely interesting primacy: that of having been translated by two great... more Tacitus’ Germania has a uniquely interesting primacy: that of having been translated by two great major protagonists of the Italian literary and cultural life of the first half of the twentieth century: Filippo Tommaso Marinetti and Massimo Bontempelli. The aim of this essay is primarily to retrace the genesis of the translation of the Germania by the founder of the Futurist movement, which does not yet seem to have received the attention it deserves from scholars, and especially from scholars of Germanic antiquities. Despite the curiosity and amazement that the daring juxtaposition of Marinetti, declared enemy of classicism, to the name of Tacitus should have aroused, this translation has remained, in fact, among the less known works of Marinetti’s varied production, also in the field of translation. In the Appendix to this essay we will offer a first introductory account of Bontempelli’s translation.
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La notizia di questa seconda traslazione dei resti di Sant’Agostino dalla Sardegna a Pavia risale a Beda, detto il Venerabile, monaco del monastero benedettino di Jarrow, in Northumbria (Inghilterra). Secondo Beda, Chronicon de sex aetatibus mundi (ed. Mommsen, III, 321) Liutprando, appreso “che i Saraceni, devastata la Sardegna, profanavano anche i luoghi dove un tempo, a causa delle devastazioni dei barbari, erano state trasferite e degnamente sepolte le ossa del santo vescovo Agostino, inviò suoi uomini e pagando grande somma le ottenne e le portò nella città di Ticino [Pavia], dove di nuovo le compose, con l’onore dovuto a un tale padre.”
La traslazione avvenne tra il 717 e il 725, anno in cui Beda termina la sua cronaca. Da allora le sacre reliquie del santo riposano a Pavia nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro.
Partendo da questa unica notizia storica il romanzo "Il santo e il guerrioero", ambientato nella primavera del 724 d.C., narra le vicende del recupero a Cagliari (Karales) delle reliquie di Sant’Agostino e della loro traslazione a Pavia.
Le vicende del romanzo hanno inizio a Cividale del Friuli e proseguono attraverso la Padania e il Po, Pavia, Bobbio, Genova, la Corsica, la Sardegna.
Accanto a veri personaggi storici (Liutprando, re dei Longobardi, Pemmone, duca di Cividale) agiscono gli autentici protagonisti, inventati, della traslazione: tre soldati longobardi provenienti dal Friuli (Herfemar, Droctulf, Alakis) e un monaco benedettino dell’abbazia di Bobbio (Anastasio). Insieme i quattro affrontano un viaggio avventuroso (attraverso monasteri, città abbandonate, taverne, tempeste di mare) e ricco di personaggi (briganti, ufficiali bizantini, prostitute, marinai, pellegrini, mercanti).
Questo studio vuole mettere in risalto la fortuna “extra accademica” della Battaglia di Maldon dalla metà circa del XX sec. fino ai nostri giorni e vuole, attraverso un’analisi della sua riutilizzazione e riscrittura, costituire l’occasione per ripensare i principali problemi del testo. Se pur non confrontabile, per presenza e intensità, all’impatto culturale raggiunto da altre attualizzazioni e riscritture di più noti testi medievali germanici – si pensi soltanto al Beowulf e al ciclo nibelungico – la rielaborazione e riutilizzazione della Battaglia di Maldon presenta dalla metà del secolo scorso caratteristiche interessanti e originali. Alle continuazioni prolettiche di Tolkien e Borges, che già da sole conferiscono alla Battaglia di Maldon un primato che non ha l’eguale nella storia della ricezione contemporanea di nessun altro testo medievale di area germanica, si aggiungono numerose e variegate rielaborazioni e citazioni che spaziano dal romanzo storico al romanzo fantascientifico, dalla poesia a più recenti adattamenti musicali da parte di gruppi “Heavy metal rock”.
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La notizia di questa seconda traslazione dei resti di Sant’Agostino dalla Sardegna a Pavia risale a Beda, detto il Venerabile, monaco del monastero benedettino di Jarrow, in Northumbria (Inghilterra). Secondo Beda, Chronicon de sex aetatibus mundi (ed. Mommsen, III, 321) Liutprando, appreso “che i Saraceni, devastata la Sardegna, profanavano anche i luoghi dove un tempo, a causa delle devastazioni dei barbari, erano state trasferite e degnamente sepolte le ossa del santo vescovo Agostino, inviò suoi uomini e pagando grande somma le ottenne e le portò nella città di Ticino [Pavia], dove di nuovo le compose, con l’onore dovuto a un tale padre.”
La traslazione avvenne tra il 717 e il 725, anno in cui Beda termina la sua cronaca. Da allora le sacre reliquie del santo riposano a Pavia nella basilica di San Pietro in Ciel d’Oro.
Partendo da questa unica notizia storica il romanzo "Il santo e il guerrioero", ambientato nella primavera del 724 d.C., narra le vicende del recupero a Cagliari (Karales) delle reliquie di Sant’Agostino e della loro traslazione a Pavia.
Le vicende del romanzo hanno inizio a Cividale del Friuli e proseguono attraverso la Padania e il Po, Pavia, Bobbio, Genova, la Corsica, la Sardegna.
Accanto a veri personaggi storici (Liutprando, re dei Longobardi, Pemmone, duca di Cividale) agiscono gli autentici protagonisti, inventati, della traslazione: tre soldati longobardi provenienti dal Friuli (Herfemar, Droctulf, Alakis) e un monaco benedettino dell’abbazia di Bobbio (Anastasio). Insieme i quattro affrontano un viaggio avventuroso (attraverso monasteri, città abbandonate, taverne, tempeste di mare) e ricco di personaggi (briganti, ufficiali bizantini, prostitute, marinai, pellegrini, mercanti).
Questo studio vuole mettere in risalto la fortuna “extra accademica” della Battaglia di Maldon dalla metà circa del XX sec. fino ai nostri giorni e vuole, attraverso un’analisi della sua riutilizzazione e riscrittura, costituire l’occasione per ripensare i principali problemi del testo. Se pur non confrontabile, per presenza e intensità, all’impatto culturale raggiunto da altre attualizzazioni e riscritture di più noti testi medievali germanici – si pensi soltanto al Beowulf e al ciclo nibelungico – la rielaborazione e riutilizzazione della Battaglia di Maldon presenta dalla metà del secolo scorso caratteristiche interessanti e originali. Alle continuazioni prolettiche di Tolkien e Borges, che già da sole conferiscono alla Battaglia di Maldon un primato che non ha l’eguale nella storia della ricezione contemporanea di nessun altro testo medievale di area germanica, si aggiungono numerose e variegate rielaborazioni e citazioni che spaziano dal romanzo storico al romanzo fantascientifico, dalla poesia a più recenti adattamenti musicali da parte di gruppi “Heavy metal rock”.
In questo studio propongo una riconsiderazione di alcuni aspetti critico-testuali del Canto di Ildebrando limitatamente a un confronto tra le sue diverse edizioni nell’antologia curata da Wilhelm Braune (I ed. 1875), giunta nel frattempo alla XVII edizione (1994), col contributo prima di Helm (dalla IX ed. 1928) e poi di Ebbinghaus (dalla XIV ed. 1962). Ritengo infatti che, per il successo ottenuto dall’Althochdeutsches Lesebuch e soprattutto per i suoi 130 anni di storia, l’antologia di Braune costituisca un osservatorio speciale e privilegiato per una riflessione sugli orientamenti della critica del testo, con particolare riferimento ai problemi posti da un’opera tramandata da un solo manoscritto (“codex unicus”), caso questo peraltro assai frequente nella tradizione manoscritta delle letterature germaniche medievali.
Editorial Board: Patrizia Lendinara – Direttore responsabile - ; Alessandro Zironi; Maria Grazia Cammarota; Rosella Tinaburri.