Skip to main content
La proposta di affrontare, per la XXXIV Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, lo studio del capitolo 40 del libro di Isaia, è stata accolta dal mondo ebraico con un certo stupore, poiché questo... more
La proposta di affrontare, per la XXXIV Giornata per l'approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, lo studio del capitolo 40 del libro di Isaia, è stata accolta dal mondo ebraico con un certo stupore, poiché questo brano, come vedremo, ha un suo ruolo ben preciso all'interno della tradizione liturgica ebraica, ed è vissuto con un trasporto particolare. Non si pensava che un brano del genere potesse stimolare un pubblico cristiano.
Research Interests:
I dilemmi etici imposti dalla guerra postmoderna Ariel Di Porto La guerra, a differenza di quanto è avvenuto nel mondo occidentale e arabo, non ha rivestito un ruolo particolare nella formazione della coscienza del popolo ebraico (vedi... more
I dilemmi etici imposti dalla guerra postmoderna Ariel Di Porto La guerra, a differenza di quanto è avvenuto nel mondo occidentale e arabo, non ha rivestito un ruolo particolare nella formazione della coscienza del popolo ebraico (vedi Sharir 2010, 198-213). L'evento formativo della coscienza nazionale ebraica è l'uscita degli ebrei dall'Egitto. Gli ebrei non hanno parte attiva nelle dieci piaghe e nell'annegamento degli egiziani nel Mar Rosso. Per lungo tempo, in diaspora, le espressioni bibliche che lodavano l'eroismo militare venivano interpretate allegoricamente e riferite allo studio della Toràh (Di Porto 2016). Una delle principali sfide che la generazione del ritorno alla vita nazionale in Israele, era la necessità di formare un esercito capace di confrontarsi autonomamente con i pericoli esterni. Le questioni sollevate non erano solo di natura pratica, ma anche teoretiche ed etiche. Anche il mondo rabbinico si è naturalmente confrontato con la questione, dando l'impressione di sentire di muoversi in un settore halakhico totalmente nuovo (
Research Interests:
Le declinazioni del male nella tradizione ebraica Ariel di Porto 1. Tanti mali Amaramente Heschel (1969, 398) scriveva alcuni decenni fa: "Si può definire l'uomo moderno come un essere che si abitua alle catastrofi. Soggetto ad un... more
Le declinazioni del male nella tradizione ebraica Ariel di Porto 1. Tanti mali Amaramente Heschel (1969, 398) scriveva alcuni decenni fa: "Si può definire l'uomo moderno come un essere che si abitua alle catastrofi. Soggetto ad un abbrutimento forzato, egli è diventato sempre meno sensibile; il suo senso dell'orrore sta via via scomparendo. Si affievolisce il suo senso di distinzione tra il bene e il male. Tutto quello che ci rimane è di sentirci inorriditi per la perdita del nostro senso dell'orrore". Alcune località e date hanno ricevuto un posto d'onore nella storia del male, basti pensare a Lisbona, Auschwitz a Hiroshima o all'11 settembre. Più recentemente la questione si è posta nuovamente con il Coronavirus e con la guerra in Ucraina. Se il terremoto di Lisbona del 1755 aveva sollecitato le grandi menti d'Europa a interrogarsi su quanto avvenuto, Auschwitz aveva invitato i pensatori, almeno inizialmente, ad assumere una certa reticenza. Per questo la riflessione filosofica, con l'eccezione di Hanna Arendt, ha tardato a farsi strada. Per almeno due decenni, la convinzione che con il secondo conflitto mondiale avesse superato i limiti andava più sotto il nome di Hiroshima che di Auschwitz. La considerazione differente di questi fenomeni, e la distinzione fra male naturale e male morale, che ora ci appare scontata, nasce proprio in seguito al terremoto di Lisbona (vedi Neiman 2013, 3-5; 238). Secondo Rav Sacks il tema è estremamente complesso, e proprio per via della sua complessità, qualsiasi tentativo di affrontarlo così come è trattato nella filosofia occidentale è destinato al fallimento. Ciò fra l'altro è quanto avviene nel libro biblico di Giobbe, nel quale gli amici cercano di convincerlo di aver fatto qualcosa di male per meritarsi la punizione, mentre Giobbe nega questa eventualità e cerca piuttosto un confronto con il Signore. Ciò che è incredibile in questa storia è che il Signore in ultima analisi dà ragione a Giobbe e torto ai suoi amici (vedi Sacks 2000).
Research Interests:
Libertà e responsabilità individuali e collettive. Riflessioni bibliche e teologiche Ariel di Porto Rav Riccardo Di Segni (2002), in un intervento intitolato "Legge e libertà nell'ebraismo", ricordava una scena dei Dieci Comandamenti, in... more
Libertà e responsabilità individuali e collettive. Riflessioni bibliche e teologiche Ariel di Porto Rav Riccardo Di Segni (2002), in un intervento intitolato "Legge e libertà nell'ebraismo", ricordava una scena dei Dieci Comandamenti, in cui Charlton Heston, nei panni di Moshè, scendendo dal monte Sinai ed avendo scoperto il vitello d'oro disse: "non c'è libertà senza legge". Questa battuta riflette un'idea che ha avuto una lunga storia nella speculazione rabbinica, che ci riporta agli albori dell'esperienza storica del popolo ebraico e che ha esercitato un'influenza notevole sullo sviluppo storico della civiltà occidentale in generale. In modo particolare ha ispirato i rivoluzionari di ogni tempo, come Michael Walzer ha evidenziato magistralmente in Esodo e rivoluzione. Solo per ricordarne alcuni, i contadini tedeschi, Oliver Cromwell, i coloni americani e Martin Luther King si sono richiamati all'esodo. L'immaginario biblico è talmente tanto fondante nella storia americana che nella Campana della libertà a Filadelfia, che intende simboleggiare la liberazione americana dalla Gran Bretagna, è inciso il versetto del Levitico (25,10) relativo al Giubileo "... proclamerete libertà (deror) nella terra per tutti i suoi abitanti" (vedi Seeskin 2019, 1). Lasciatemi passare la battuta, ma la libertà pesa... 950 kg di bronzo! Nel Ghetto di Roma gli anziani ripetevano in questo periodo dell'anno il motto "Pesach pesa", riferendosi alle fatiche comportate dalle meticolose pulizie e dai numerosi preparativi che la festa richiede, ma si potrebbe riferire questa espressione al tema che vogliamo affrontare oggi, quello del legame fra libertà e responsabilità.
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Devo anzitutto notare come la tempistica di questo incontro, proprio all'uscita di Tu-Bishvat, nel quale il tema del piantare è tanto centrale, sia azzeccata. Come vedremo infatti nel capitolo 29 del libro di Geremia, tema di questa... more
Devo anzitutto notare come la tempistica di questo incontro, proprio all'uscita di Tu-Bishvat, nel quale il tema del piantare è tanto centrale, sia azzeccata. Come vedremo infatti nel capitolo 29 del libro di Geremia, tema di questa serata, si parla di piantagione. Se durante Tu Bishvat però ci siamo concentrati sui frutti di Israele, questa sera dovremo concentrarci sui frutti, concreti e metaforici, ma sempre indirizzati in qualche modo alla terra di Israele, della Diaspora.
Research Interests:
nei pressi di Brindisi, pensatore, rabbino, medico e astrologo-astronomo, è stata oggetto di una discreta attenzione da parte degli studiosi, principalmente italiani, negli ultimi anni, sebbene non sia mai stato dimenticato negli ambienti... more
nei pressi di Brindisi, pensatore, rabbino, medico e astrologo-astronomo, è stata oggetto di una discreta attenzione da parte degli studiosi, principalmente italiani, negli ultimi anni, sebbene non sia mai stato dimenticato negli ambienti ebraici (Mancuso 2009, 1-2). Sarebbe sufficiente ricordare che già nel 1880 lo studioso italiano David Castelli curò un'edizione tradotta dell'opera principale di Donnolo, il Sefer Chakhmoni, corredata da un'introduzione ancora valida (Mancuso 2009, 1). Donnolo è una figura importante, perché è stato fra i primi, nell'Europa medievale, a usare l'ebraico per scrivere opere secolari (Mancuso 2009, 1). Anche il settore dello studio della storia ebraica nell'impero bizantino, a lungo trascurata, inizia a interessare gli studiosi, dal momento che nell'Italia meridionale sorsero, nei secoli fra l'VIII e l'XI, delle comunità molto importanti, sedi di rinomate accademie, che fornirono poi notevoli impulsi alle comunità dell'Europa settentrionale. Le fonti ebraiche e quelle cristiane descrivono riguardo a quelle terre dei rapporti non particolarmente conflittuali, sia negli strati medio-bassi della popolazione, sia presso i ceti più elitari; non mancarono tuttavia dei momenti di tensione, che sfociarono in conversioni forzate di massa (Cuscito 2018, 29). Il mondo bizantino ha svolto un ruolo fondamentale nella trasmissione di testi, in greco, deuterocanonici e apocrifi; ad esempio possiamo notare come nel Sefer Chakhmoni di Donnolo siano citati il Libro della Sapienza o le aggiunte greche al Libro di Daniele, che dovevano essergli giunti attraverso la versione greca dei LXX, mostrando degli scambi culturali fra i cristiani di lingua greca e gli ebrei, per Donnolo anche in ambito astronomico e medico (Cuscito 2018, 29-30; 38).
Research Interests:
Adon 'olam è un componimento poetico che è entrato a far parte della liturgia, quotidiana e dello Shabbat, probabilmente non prima del XV sec. È possibile sostenere ciò partendo dalla sua omissione nell'Abudarham (che risale circa al... more
Adon 'olam è un componimento poetico che è entrato a far parte della liturgia, quotidiana e dello Shabbat, probabilmente non prima del XV sec. È possibile sostenere ciò partendo dalla sua omissione nell'Abudarham (che risale circa al 1340). Tuttavia è opportuno segnalare come, pur essendo stato rinvenuto in testi della ghenizà, non ci siano elementi che consentano di individuarne la provenienza o la datazione. La prima apparizione certa del brano è nell'Etz chayim, di Ya'aqov ben Yehudà di Londra, che risale circa al 1286, alla fine della tefillà di Shachrit di Tishà beAv.
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Shir ha-shirim, il Cantico dei Cantici, prende il nome dalle sue parole iniziali. A livello letterale il testo si presenta secondo alcuni come un racconto coerente, per altri come una raccolta di canti d'amore (Cherlow 2012) Nel primo... more
Shir ha-shirim, il Cantico dei Cantici, prende il nome dalle sue parole iniziali. A livello letterale il testo si presenta secondo alcuni come un racconto coerente, per altri come una raccolta di canti d'amore (Cherlow 2012) Nel primo verso troviamo l'attribuzione al re Salomone, accolta dalla tradizione rabbinica, che nel Talmud (TB Bavà Batrà 15a) però attribuisce la stesura definitiva al re Chizqihau e alla sua cerchia. Nel canone ebraico il Cantico dei cantici fa parte delle cinque meghillot, che sono nei Ketuvim, in quello protestante e cattolico romano segue i Proverbi e l'Ecclesiaste, gli altri libri attribuiti dalla tradizione ebraica a Salomone, che li compose nelle diverse fasi della sua vita, il Cantico a vent'anni, i Proverbi a quaranta e l'Ecclesiaste a sessanta. Il libro consta di otto capitoli e 117 versetti. Dante Lattes lo considera uno dei libri biblici più originali e più poetici (Lattes 1965, 5). L'amore cantato è, "nonostante la sua libera manifestazione, casto e puro, realistico e umano, spontaneo e naturale" (Lattes 1965, 6). Il Cantico dei Cantici si distingue dagli altri libri biblici, dal momento che non contiene alcuna menzione del Nome divino, caratteristica condivisa con il libro di Ester, e più in generale, almeno attenendosi al significato letterale del testo, alcun sentimento religioso o tematica teologica. La distanza rispetto alla meghillà di Ester è ancora più spiccata, dal momento che in Shir ha-shirim non viene menzionato neppure il popolo ebraico. Abbondano le descrizioni della natura, più che in ogni altro libro del Tanakh. Le atmosfere descritte forniscono al lettore una sensazione di tranquillità, propria di un periodo di prosperità economica e di assenza di minacce esterne. Circa la canonizzazione del testo, non si deve pensare semplicisticamente che si svoglia sdoganare per mezzo di esso il tema della sessualità, dal momento che varie storie bibliche, come quelle delle figlie di Lot, Tamar e Rut mostrano come questo argomento sia già ampiamente legittimato nell'orizzonte biblico (vedi Giuliani 2008, 10-11). Il testo presenta notevoli difficoltà. S. D. Luzzatto, che riconosce ampiamente le zone grige del Cantico, sottolineandone le difficoltà di traduzione e resa tematica, per via delle allusioni ignote e di bellezze "non per i nostri tempi", si diceva atterrito; non si spiegava che razza d'amore fosse quello che descrive e canta, né di che condizione fossero gli amanti e in quale stadio fosse il loro amore, tanto da affermare: "non ne capisco niente", e di fatto non occuparsene in modo particolare, riconoscendo l'impossibilità di eliminare varie incognite, cosicché "questo astrusissimo canto possa dirsi appianato" (vedi Lattes 1965 ,12). Gli interpreti del Cantico si dividono un due grossi schieramenti: i mistici e i razionalisti. Se i primi vengono accusati di individuare nel testo qualcosa che non c'è, i secondi, spesso e volentieri costruiscono degli intrecci non meno fantasiosi (Chouraqui 1980,25). La varietà e l'intensità dei sentimenti che si manifestano attraverso l'amore fra l'uomo e la donna sono apparsi ai Maestri d' Israele come l'immagine più pregnante del legame tra il popolo ebraico e 1
Research Interests:
Spesso, semplicisticamente, si è portati a contrapporre Rambam e Ramban come i rappresentanti maggiormente significativi di due mondi contrapposti, la filosofia e la qabalah. Forse, sostiene Septimus, può esserci anche la tentazione di... more
Spesso, semplicisticamente, si è portati a contrapporre Rambam e Ramban come i rappresentanti maggiormente significativi di due mondi contrapposti, la filosofia e la qabalah. Forse, sostiene Septimus, può esserci anche la tentazione di una paranomasia contrarium: trasformando una mem in una nun, ci troviamo catapultati in un universo completamente diverso! L'indagine dell'atteggiamento di Ramban nei confronti di Rambam mostrerà che la contrapposizione è molto meno acuta di quanto si possa immaginare. Piuttosto, in via preliminare, è possibile affermare che Ramban sintetizzi nelle proprie opere le tre principali visioni del mondo che sino ad allora erano rimaste separate nell'esposizione talmudica, in quella filosofica e in quella mistica. Negli ultimi decenni gli studiosi hanno investigato a fondo il pensiero nahmanideo, presentando un quadro estremamente composito. Si rimanda in merito alla bibliografia curata da E. Kanarfogel, che sebbene risalga ormai a venticinque anni fa, mostra gli indirizzi degli studiosi sull'opera di Ramban nei diversi ambiti. Rambam era il figlio dell'età dell'oro del pensiero andaluso, Ramban invece fiorisce nel clima culturale dell'Europa cristiana. Sebbene abbia sviluppato una serie di dottrine significative, non sarebbe corretto rapportarsi a Nahmanide come a un filosofo, dal momento che non si è mai cimentato nella scrittura di un'opera filosofica sistematica. Il genere letterario in cui ha eccelso è infatti il commento, e dai suoi commenti è possibile ricostruire il suo pensiero, senza tuttavia pretenderne di ricavarne delle teorie globali. Probabilmente questa apparente difficoltà è parte integrante del modo di procedere di Ramban, che affronta un problema alla volta, senza dare mai l'impressione di voler costruire un quadro completo e coerente. Considerare il suo pensiero come una reazione al pensiero di Rambam, con la conseguente costruzione di un modello alternativo sarebbe un approccio semplicistico, che non renderebbe giustizia al valore di Nahmanide, e non terrebbe conto dell'eclettismo costitutivo che caratterizza la sua opera. Con il lavoro di Ramban sotto molti punti di vista viene aperta la strada alla modernità e vengono fissate le categorie che avrebbero fatto da sfondo allo sviluppo del pensiero ebraico nei cinque secoli successivi. Il contesto storico in cui vive Ramban Il giudaismo spagnolo aveva affrontato un periodo molto difficile, dopo avere raggiunto il massimo splendore nel contesto culturale arabo, per via della Reconquista cristiana e dell'invasione delle tribù berbere provenienti dall'Africa settentrionale. Verso la metà del XII sec. gli Almohadi avevano invaso tutta la Spagna musulmana. Le comunità giudaiche furono costrette, per far fronte a questa nuova situazione, a emigrare verso oriente o tentare di ricostituirsi nella Spagna cristiana, tornando a fiorire all'inizio del XIII sec. La principali comunità della Catalogna, Barcellona e Girona, svilupparono una relazione molto stretta e feconda con la Provenza. E' probabile che il Raavad, il massimo rappresentante dell'ebraismo provenzale del XII sec., abbia visitato Barcellona. In un secondo momento gli spagnoli sarebbero entrati in contatto con la scuola della Francia del Nord e con la cultura derivante dall'opera di Rashì e dei tosafisti. In tal modo in Spagna gli studi religiosi fiorirono nuovamente, mentre in Francia molti accolsero favorevolmente il razionalismo filosofico 1
Research Interests:
Nel pensiero ebraico medievale il problema etico viene articolato in una prima fase, nel tentativo di conferirgli una configurazione sistematica, da tre pensatori in particolare, Sa'adià Gaon, Ibn Gabirol e Bahjà ibn Paquda (Sierra... more
Nel pensiero ebraico medievale il problema etico viene articolato in una prima fase, nel tentativo di conferirgli una configurazione sistematica, da tre pensatori in particolare, Sa'adià Gaon, Ibn Gabirol e Bahjà ibn Paquda (Sierra 1983/2, 457). Nell'introduzione a I doveri dei cuori (Al Hidaya 'ila fara'id al qulub) Bahjà ibn Paquda ammette di non conoscere una elaborazione sistematica della dottrina etica ebraica (Sierra 1983/2, 457). Il suo obiettivo polemico, quando afferma ciò, è Sa'dià Gaon e il suo Sefer Emunot we-de'ot (Mansoor 1973, 81). E' possibile considerare I doveri dei cuori una delle opere fondamentali nella storia della letteratura morale ebraica (Sierra 1983,16), assieme ad altri testi come il Sefer Chassidim e Mesillat Yesharim (Halbertal 2016). Sarebbe fuorviante tuttavia parlare di Bahjà ibn Paquda, indipendentemente dall'influenza che ha esercitato sul pensiero successivo, come di un vero e proprio filosofo in senso stretto, dal momento che solo i primi due capitoli della sua opera hanno a che fare con la filosofia propriamente detta (Schweid 2008, 46). L'opera di Bahjà è stata scritta in un periodo storico particolare, un momento di profondo riassetto che stava interessando le varie concezioni religiose per via dell'impatto esercitato dalla cultura araba, fondata in buona parte su concezioni filosofiche greche. Nei circoli intellettuali si sviluppava così un processo di volgarizzazione dei concetti filosofici, dando vita a un pensiero che riprendeva sincretisticamente elementi del pensiero platonico e aristotelico (Sierra 1983,16).
Research Interests:
Vita umana, lavoro e sviluppo tecnologico (obiettivi 3,8 e 9 Agenda ONU 2030) Relazione tenuta all'interno del ciclo di incontri Religioni e Sviluppo sostenibile Ariel Di Porto Potrebbe sembrare superfluo parlare della responsabilità... more
Vita umana, lavoro e sviluppo tecnologico (obiettivi 3,8 e 9 Agenda ONU 2030) Relazione tenuta all'interno del ciclo di incontri Religioni e Sviluppo sostenibile Ariel Di Porto Potrebbe sembrare superfluo parlare della responsabilità ebraica per il benessere della società, dal momento che gli storici hanno già da tempo convenuto che le idee ebraiche hanno rappresentato un elemento formativo della civiltà occidentale, e che numerosi ebrei individualmente, specie in tempi moderni, hanno ricoperto un ruolo centrale nel suo sviluppo (Blidstein 1995, 5). Nel celeberrimo saggio Confrontation Rav Soloveitchik delineava il duplice compito del popolo ebraico, da una parte quello di esseri umani che condividono il destino di Adamo nel suo incontro con la natura, e quello di membri di una comunità che ha mantenuto la propria identità in condizioni avverse (Soloveitchik 1964, 17). In un saggio, significativamente intitolato Straniero e residente, espressione che riprende le parole di Abramo in Gn. 23,4, Rav Soloveitchik riassume il suo pensiero su questo punto: "Il nostro approccio al mondo esterno è sempre stato ambivalente: collaboriamo con persone appartenenti ad altre fedi in tutti i campi dello sforzo umano, ma nello stesso tempo cerchiamo di preservare la nostra distinta identità, che inevitabilmente comprende aspetti di separazione. Questa è una situazione paradossale. Tuttavia, parafrasando le parole del nostro primo antenato Abramo, noi siamo molto presenti nella più vasta società ed al tempo stesso ci manteniamo stranieri ed esterni nel nostro persistente sforzo di preservare la nostra identità storico-religiosa (Solovetchik 1998, 185). Rav Sacks analizza i primi versi del cap. XII della Genesi, nei quali viene descritto l'inizio del viaggio di Abramo. D. promette (Gn. 12 ,3) che per mezzo di lui tutte le famiglie della terra saranno benedette (citato in Sacks 1997). Una parte importante della missione di Abramo concerne la sua missione all'interno della società. In Confrontation, che ha come tema principale quello del rapporto con la fede cristiana, poco prima che vedesse la luce la dichiarazione Nostra Aetate, Rav Soloveitchik pone alcuni punti fermi, che sono tutt'oggi pienamente validi, come l'impegno per il benessere generale e il progresso del genere umano, per la lotta alle malattie e all'alleviamento della sofferenza umana, per la protezione dei diritti umani, per l'aiuto dei bisognosi, ecc. (Soloveitchik 1964, 20-21). Come è noto Rav Soloveitchik non era un sostenitore del dialogo di ordine teologico, ma credeva tuttavia che vi fossero delle aree di azione comune che dovrebbero essere indirizzate verso l'esterno: "come combattere il secolarismo, il materialismo, la negazione ateistica della religione e dei valori trascendenti che minacciano l'esistenza di parametri morali all'interno della nostra società (Solovetchik 1998, 185). Tutto oggi è tremendamente complicato, e non si può pretendere che le religioni, che sono sorte migliaia di anni fa, molto prima della nascita della modernità, possano fornire una risposta puntuale ai problemi attuali; le religioni tuttavia hanno molto da dire circa dove stiamo andando o dove dovremmo andare (Sacks 2004,21). Ad esempio, su larga scala, è possibile indicare il chesed, nella sua accezione fisica e materiale, come un obiettivo concretizzabile su una scala universale (Blidstein 1995, 13). La necessità di un impegno in questo senso oggi è quanto mai pressante. La politica da sola non è in grado di fornire delle risposte soddisfacenti alle persistenti domande che attanagliano buona parte dell'umanità. Fame, malattia, assenza di libertà fondamentali sono condizioni quantomai diffuse nel
Research Interests:
Fratellanza. Intervento nella tavola rotonda "Frattura e ricomposizione: una lettura interconfessionale del principio di fraternità" Ariel Di Porto Shalom. Mi sembra giusto salutare con questa espressione, ricordando che Shalom è un Nome... more
Fratellanza. Intervento nella tavola rotonda "Frattura e ricomposizione: una lettura interconfessionale del principio di fraternità" Ariel Di Porto Shalom. Mi sembra giusto salutare con questa espressione, ricordando che Shalom è un Nome divino. Mi perdonerete se molte delle idee che presenterò quest'oggi sono tratte principalmente dal pensiero e dalle opere di Rav Jonathan Sacks, che considero, fra i rabbini ortodossi, quello che più e meglio si è speso per investigare, in modo tutt'altro che banale, con uno stile alto, ma al contempo comprensibile e coinvolgente, i temi che oggi vogliamo affrontare. Credo che i principali destinatari delle sue fondamentali opere, probabilmente un unicum nella riflessione religiosa contemporanea, siano i non ebrei. Purtroppo, visto il tempo a disposizione, sarà possibile solamente accennare alcuni punti che considero più importanti. Per chi volesse approfondire rimando alle due opere di Rav Sacks tradotte in italiano, La dignità della differenza (Sacks 2004) e Non nel nome di D. (Sacks 2017), testi impegnativi e stimolanti. Il mondo attuale Viviamo in un'epoca rivoluzionaria. Internet ha imposto tanti cambiamenti, producendo notevoli vantaggi, ma al contempo modificando, in modo apparentemente incontrastabile, il nostro modo di vivere e vedere il mondo. Immagino che non serva spiegare come il mondo attuale sia sempre più concentrato sulla tecnica e che ciascuna disciplina tenda a fornire risposte sempre più specializzate ai vari problemi: "I sistemi economici creano dei problemi che non possono essere risolti tramite la sola economia. La politica solleva delle domande a cui non è possibile rispondere con il solo calcolo politico". Il nostro modo di esprimerci è cambiato sensibilmente, con "la scomparsa dell'«io devo» a favore dell'«io voglio», «io scelgo», «io sento»" (Sacks 2004, 11). E' richiesto invece un approccio sempre più globale. Ciò vale sia per il singolo individuo, sia per la società. La tendenza è quella di parlare esclusivamente con interlocutori che condividono le nostre idee. I social network, che ci danno la falsa impressione di essere cittadini del mondo sempre connessi con terre sconosciute, ci mettono sempre in contatto con altri vicini a noi per idee politiche e orientamenti: "Troppo spesso nel mondo d'oggi i gruppi parlano al loro interno e non gli uni con gli altri: ebrei con ebrei, cristiani con cristiani, musulmani con musulmani, business leader, economisti e contestatori globali con i loro rispettivi sostenitori" (Sacks 2004, 10). Sempre di più è necessario cercare di creare i presupposti per la rinascita della piazza come luogo di incontro: "La conversazione, il cuore pulsante della politica democratica, sta morendo e con essa la possibilità di una pace civile" (Sacks 2004, 11). Il fatto che oggi assistiamo al ritorno di ideologie che immaginavamo sepolte è tutt'altro che casuale: "La politica contemporanea ha poco da dire sulla condizione umana" (Sacks 2004, 21). Sempre più entriamo in contatto con chi è diverso e lontano da noi, e forse non siamo adeguatamente preparati all'incontro: "Da una parte la globalizzazione ci avvicina come non era mai accaduto in passato e intreccia le nostre vite-a livello nazionale e internazionale-in modi complessi e inestricabili. Dall'altro, un nuovo tribalismo-una regressione a lealtà più antiche e contrastanti-ci sta allontanando in modo sempre più rabbioso (Sacks 2004, 15-16).
Research Interests:
Il popolo dei libri Come è noto, il Corano definisce gli ebrei il "popolo del libro". Rav Sacks non esita a considerarla una grande affermazione. L'intera storia del giudaismo può essere considerata la storia d'amore fra un popolo e un... more
Il popolo dei libri Come è noto, il Corano definisce gli ebrei il "popolo del libro". Rav Sacks non esita a considerarla una grande affermazione. L'intera storia del giudaismo può essere considerata la storia d'amore fra un popolo e un libro, che ogni anno, durante Simchàt Torà, viene concluso e immediatamente iniziato di nuovo. L'ultima lettera della Torà è una lamed, la prima una bet, che assieme formano la parola lev (cuore): sino a che il popolo ebraico continuerà a studiare la Torà, il suo cuore non smetterà di battere (Sacks 2012). Rav Soloveitchik (Soloveitchik 1989, 154) scrive che la Torà conduce la Presenza Divina «nell'arena mondana di spazio e tempo, nel mezzo della vita terrena». La Torà non rimane in un iperuranio mondo, ma fa discendere, anche se imperfettamente, il mondo eterno nelle nostre vite, svolgendo un ruolo fondamentale e dirimente. Il re Shelomò nei Mishlè (Pv 3, 18) la definisce «etz chayìm», l'albero della vita. Nota è l'affermazione di Ben Bag Bag nei Pirqè Avot (5,21): «voltala e rivoltala, perché tutto è in essa». E' noto quanto Rambàn scrive nell'introduzione al suo commento alla Torà: il testo biblico è formato da infinite combinazioni del Nome divino. La vita ebraica è pertanto una vita piena di letture, e una casa ebraica è solitamente piena di libri. Rav Steinsaltz in un video non esita a definire l'ebreo colui che bacia i libri (Chighel 2016). Mosè, con un tocco di poesia, tiene per ultimo il comandamento in base al quale ciascuno è tenuto a scrivere per sé il rotolo della Torà; non è sufficiente dire di aver ereditato la Torà da Moshè, ciascuno è tenuto a renderla nuova e trasmetterla alle generazioni successive (Sacks 2012). Gli studiosi di religioni comparate hanno molta dimestichezza con la definizione del popolo ebraico come popolo del libro, ma non si tratta di una definizione esclusiva, dal momento che è condivisa con varie altre religioni, come il cristianesimo e l'Islam (Halbertal 1997, 2). Preliminarmente è opportuno far notare che è più giusto definire il popolo ebraico come popolo dei libri, dal momento che il suo canone autoritativo è composito e non si riduce al solo Tanàkh, ma comprende altri testi come la Mishnà e il Talmùd, il Midràsh, gli altri testi della letteratura rabbinica e la letteratura mistica. Il Rabbino Capo di Francia R. S. Sirat diceva che la Bibbia accompagna l'ebreo dalla nascita alla morte, e dalla morte all'eternità (citato in Attias 2015, 28). Non è possibile immaginare un ebraismo che prescinda dai libri neppure nell'aldilà: Halbertal, introducendo People of the Book, racconta di un suo insegnante che lo aveva introdotto ad un nuovo concetto di paradiso e inferno: nessuna pena o punizione, ma tutti racchiusi in una sala con l'ordine di studiare il Talmùd; per alcuni si sarebbe rivelato un paradiso, per altri un inferno (Halbertal 1997, 1).
Research Interests:
Nel corso della storia nelle varie culture i sogni sono stati considerati un medium importante per comprendere il funzionamento della psiche umana e uno dei principali mezzi di comunicazione con entità sovrannaturali, divinità, demoni e... more
Nel corso della storia nelle varie culture i sogni sono stati considerati un medium importante per comprendere il funzionamento della psiche umana e uno dei principali mezzi di comunicazione con entità sovrannaturali, divinità, demoni e spiriti dei morti (Weiss 2013, 127). Filosoficamente la divisione fra sogno e realtà è tutt'altro che scontata, secondo molti non esiste un criterio univoco per sapere ciò che è sogno e ciò che è realtà. Non solo: non vi è alcuna maniera concreta per provare che tutta la nostra vita sia qualcosa di più di un sogno (Steinsaltz 2018, 118). Anticamente i sogni hanno influenzato le decisioni degli uomini in modo significativo. Ad esempio l'apparizione di Esculapio in sogno convinse il padre di Galeno di avviarlo allo studio della medicina. Una delle principali opere halakhiche ebraiche medievali, il Sèfer Mitzwòt Gadòl di Moshè di Coucy, venne ispirato da un sogno. Un esempio clamoroso del peso che veniva attribuito al sogno è il testo Teshuvot min ha-shamàyim, di Ya'aqov ha-Levy di Marvège (XIII sec.), dove vengono riportate le risposte ricevute in sogno alle domande ricevute. Questa opera si differenzia dalle altre opere halakhiche, in cui la riflessione razionale e la tradizione costituiscono gli strumenti principali dei decisori. Il fatto che questa metodologia, quantomeno singolare, venisse accettata, è un indicatore del peso che veniva attribuito al sogno nella cultura medievale. Nel mondo moderno l'interpretazione dei sogni è vista freudianamente come un processo terapeutico volto ad apportare un beneficio al sognatore. Nel mondo antico questa funzione, sebbene fosse presente, è secondaria, dal momento che la funzione primaria dell'interpretazione dei sogni era quella di prevedere il futuro (Weiss 2013). L'incontro fra un sognatore e un interprete di sogni è una situazione senza dubbio affascinante. Spesso l'interprete è un perfetto sconosciuto, e per il sognatore minimamente addentrato c'è la consapevolezza del fatto che il sogno è un riflesso della sua interiorità, e può provare orrore al pensiero dei desideri distruttivi, immorali o sovversivi insiti nel sogno. L'interprete da parte sua è investito di una grande responsabilità, perché il suo compito è quello di costruire un nuovo significato per il sogno, formando delle nuove connessioni fra significante e significato (Weiss 2013). I sogni non sono un criterio utile per fare una valutazione di ordine morale sugli individui, anzi una persona buona avrà tendenzialmente sogni cattivi per riflettere su delle possibili colpe, mentre il malvagio avrà sogni buoni, affinché possa godere in questo mondo e rimanga escluso dalle gioie del mondo a venire (Cohen 2000, 342, n. 5). I sogni nella Bibbia I sogni che compaiono nella letteratura biblica appartengono a due categorie principali, quelli rivelatori, o teofanie, e quelli allegorici. Nella teofania il sognatore ha una rivelazione da un'entità superiore, ricevendo un messaggio che generalmente non necessita di ulteriori interpretazioni. Il sogno allegorico contiene invece delle immagini enigmatiche (Weiss 2013, 127). Una caratteristica abbastanza comune che differenzia il sogno biblico e la riflessione rabbinica sul tema dalla ricerca moderna è che il sogno è proiettato verso il futuro, e non, come nella teoria freudiana, indirizzato 1
Research Interests:
La scoperta dei vaccini ha permesso di salvare numerosissime vite umane. Secondo delle stime solo nel periodo 2000-2015, venti milioni di persone sono state salvate dai vaccini; secondo altri due milioni di persone l'anno (Cohen 2018). La... more
La scoperta dei vaccini ha permesso di salvare numerosissime vite umane. Secondo delle stime solo nel periodo 2000-2015, venti milioni di persone sono state salvate dai vaccini; secondo altri due milioni di persone l'anno (Cohen 2018). La maggior parte dei paesi industrializzati non ammette a scuola bambini che non siano vaccinati. Negli ultimi tempi tuttavia il numero dei genitori che mostrano delle perplessità e rifiutano di vaccinare i propri figli è in aumento, per via di disattenzione, sfiducia nei programmi governativi, o preoccupazione per la salute dei propri figli. Internet ha ingigantito il fenomeno, tramutandolo in un vero e proprio movimento; l'aspetto più preoccupante è la mancata correlazione fra le idee sostenute e il grado di istruzione di chi le professa. Anche i pronunciamenti della comunità scientifica, volti a ribadire l'efficacia e la sicurezza dei vaccini, non hanno raggiunto i risultati sperati, dal momento che ad esempio chi aveva indicato nei vaccini una causa dell'autismo è stato denunciato per frode internazionale ed è stato interdetto dalla pratica della medicina, ma la "scoperta" circola ancora ampiamente nei social media. Una delle conseguenze di queste tendenze è l'aumento sensibile e costante dei casi di morbillo. Lo Shulchan 'Arukh stabilisce, basandosi su varie fonti talmudiche, che la halakhà ci obbliga a fare in modo che non ci siano oggetti e animali pericolosi in mezzo a noi. Questo principio è un'estensione della norma che impone di porre una protezione al proprio tetto (Dt. 22,8), affinché le persone non cadano. Il comandamento non va inteso alla lettera e applicato solo a quella circostanza, ma a tutte le situazioni potenzialmente pericolose (Cherlow 2018). Il principio che vieta di mettersi in pericolo è tuttavia un'arma a doppio taglio: obbliga le persone a salvaguardare attivamente la propria salute, ma al contempo limita l'uso di rimedi medici pericolosi, esperimenti, e pratiche di non comprovata efficacia. E' permesso mettersi in una situazione di pericolo solo se il trattamento pericoloso ha un'efficacia apprezzabile, secondo Rav Moshè Feinstein il 50% dei casi (vedi Shafran 1991,5). Quando si parla di vaccini è fondamentale quindi quantificare il rischio, e se è ridotto, valutare se considerarlo trascurabile. Pressoché ogni azione, anche camminare per strada, presenta dei rischi, ma le persone non li prendono in considerazione. La valutazione del rischio va effettuata considerando il parere della maggioranza della comunità scientifica, così come emerge dallo Shulchan 'Arukh (Orach Chayim 618) e dai decisori successivi. Le prime reazioni nel mondo ebraico La prima forma di inoculazione era pensata per contrastare il vaiolo. La moralità della pratica venne messa in discussione a vari livelli, anche da personaggi del calibro di Immanuel Kant e di alcuni membri della comunità medica (Bleich 2015, 44).
Introduzione L'introduzione del concetto dinà demalkhutà dinà da parte dell'amorà Shemuel risale al terzo secolo D.e.v., quando gli ebrei babilonesi, in seguito ad un periodo di tranquillità, caddero sotto il dominio dei Sassanidi,... more
Introduzione L'introduzione del concetto dinà demalkhutà dinà da parte dell'amorà Shemuel risale al terzo secolo D.e.v., quando gli ebrei babilonesi, in seguito ad un periodo di tranquillità, caddero sotto il dominio dei Sassanidi, governati dal re Ardashir I, perdendo l'autonomia politica e religiosa. Il figlio di Ardashir, Shapur I, garantì alle minoranze, fra cui gli ebrei, autonomia culturale e religiosa (Elon 2007, 663). Shemuel costruì un rapporto amichevole con il re, riconoscendone l'autorità e le leggi. Secondo molti studiosi tuttavia vi sono affermazioni precedenti in tal senso già nel periodo della dominazione romana 1. Attraverso il dinà demalkhutà viene riconosciuto il fatto che la perfetta aderenza al corpus della normativa ebraica avrebbe messo in discussione la possibilità di una vita ebraica in Diaspora. E' di certo difficile per un ebreo vivere in un qualsivoglia stato straniero, rispettandone le leggi, e rimanere al contempo fedele ai principi giuridici della propria fede, che non si interessa solo di questioni squisitamente religiose, ma affronta abbondantemente il tema della relazione dell'individuo con la società; basti ad esempio pensare che la seconda metà dei dieci comandamenti riguarda i rapporti interpersonali. Nella nuova situazione un mancato pronunciamento circa il rapporto dell'individuo con l'autorità avrebbe generato un vuoto normativo (Rakover 1971). Già il profeta Yermeyàhu (Gr. 29,7) raccomandava agli esuli in Babilonia "cercate la pace della città in cui vi avrò esiliato e pregate il Signore per essa, poiché dalla sua pace dipenderà la vostra". Per questo, nel corso della storia ebraica, è stato inevitabile introdurre degli accomodamenti che scongiurassero l'eventualità di uno scontro culturale (Landman 1975 , 89) e permettessero a un sistema halakhico che volesse mantenere una propria integrità di convivere nell'arena storica nella quale doveva operare (Shacter 1977, 79; Blidstein 2002, 4). Vengono in questo modo messi drammaticamente a confronto integrità e sopravvivenza. Quanto e cosa è possibile concedere? Dobbiamo intendere queste concessioni come una mancanza di forza, diffusa nella diaspora ebraica? In realtà la questione è più sottile, dal momento che sia l'autorità del re, sia le sue leggi non vengono accettate automaticamente, ma vengono esaminate dai rabbini; sebbene il re non abbia di certo timore dei rabbini, le due autorità vengono messe a confronto, e solo l'accortezza dei rabbini può evitare lo scoppio di un conflitto fra Stato e Chiesa (Blidstein 1973, 213-214). Nel Talmùd In quattro punti nel Talmùd Bavlì (Nedarìm 28a; Ghittìn 10b; Bavà Qamà 113 a-b; Bavà Batrà 54b-55a) viene menzionato il principio dinà demalkhutà dinà. Questo principio è abbondantemente utilizzato nel dibattito halakhico in merito ai rapporti dei cittadini con lo stato, sostanzialmente 1 Per una bibliografia essenziale sul tema vedi Blidstein 1973, 218, n. 1.
Research Interests:
Un interessante indicatore per valutare una società è quello delle cause di morte. Leggendo queste statistiche si possono ricavare degli elementi significativi sui valori fondanti di quella società. Per esempio in Giappone una delle cause... more
Un interessante indicatore per valutare una società è quello delle cause di morte. Leggendo queste statistiche si possono ricavare degli elementi significativi sui valori fondanti di quella società. Per esempio in Giappone una delle cause di morte riportate è il cosiddetto karoshi, la morte per troppo lavoro, che colpisce alcune migliaia di persone ogni anno. Fenomeno drammatico, che delinea una società fortemente indirizzata verso un vero e proprio culto del lavoro. La società occidentale di certo non sta meglio: basta aprire un qualsiasi quotidiano per sentire parlare di morti provocate da un selfie, da un concerto, da una partita di pallone. Anche quando non si arriva alla morte fisica, spesso, figurativamente, facciamo riferimento a qualcosa per cui moriremmo. Nella tradizione ebraica c'è un'idea, che ha una lunga storia, che è quella di morire per la Torà, idea che ha determinato situazioni oltremodo drammatiche, quando i nostri antenati si sono trovati di fronte all'alternativa battesimo o morte, o situazioni più sfumate, come quelle che si svilupparono nel mondo islamico nel medioevo. Senza entrare nel merito, la halakhà prevede situazioni estreme in cui si afferma il principio yeharèg we-al ya'avòr, si faccia uccidere piuttosto che trasgredire. Non sempre però la nostra vita è in pericolo. Fortunatamente ci sono dei periodi, più o meno lunghi, in cui la nostra osservanza religiosa non è minacciata. In questi frangenti, dovremmo ancora morire per qualcosa? La risposta sorprendente che arriva dalla Torà è sì. La paradossalità della relazione fra la vita e la morte è uno dei temi principi della parashà di Chuqqàt, che è perentoriamente esemplificato dal choq per eccellenza della Torà, la parà adumà, che presenta aspetti incomprensibili, purificando chi è asperso con le sue ceneri, ma rendendo al contempo impuro chi era puro ed entrava in contatto con esse. Questi aspetti paradossali, come vedremo, possono essere rinvenuti nella Torà stessa e nel suo studio. Nella parashà troviamo un verso che si apre ad una ardita interpretazione: ‫באהל‬ ‫ימות‬ ‫כי‬ ‫אדם‬ :‫התורה‬ ‫זאת‬ Questa è la Torà: quando un Uomo "muore" in una tenda (Nm. 19,14). Come è noto, il met è la principale fonte di impurità (avì avòt ha-tumà). La Torà attraverso questo verso intende insegnarci che questo tipo di trasmissione di impurità presenta un aspetto differente dalle altre, poiché si trasmette anche nell'òhel, in una tenda, anche in assenza di un contatto diretto con il cadavere.
Research Interests:
Research Interests:
Rav Jonathan Sacks è senza ombra di dubbio una delle voci più autorevoli nel mondo ebraico contemporaneo. Rav Jonathan Sacks 1 è nato a Londra l'8 marzo 1948. Si dimostrò un brillantissimo studente in filosofia, ottenendo un Ph. D. in... more
Rav Jonathan Sacks è senza ombra di dubbio una delle voci più autorevoli nel mondo ebraico contemporaneo. Rav Jonathan Sacks 1 è nato a Londra l'8 marzo 1948. Si dimostrò un brillantissimo studente in filosofia, ottenendo un Ph. D. in filosofia nel 1981. Studiò con il filosofo B. Williams (1929-2003), uno dei principali filosofi morali del ventesimo secolo. Ricevette l'ordinazione rabbinica da parte del Jews' College e dalla Yeshivà 'Etz Chayìm. Ha insegnato presso numerose università e ha ottenuto vari dottorati ad honorem da parte di diverse università. Dopo aver guidato varie Sinagoghe a Londra, è stato nominato direttore del Jews' College, e successivamente, dal 1991 al 2013, Rabbino Capo del Commonwealth. E' stato insignito nel 2009 della carica di Lord. Gli incontri che maggiormente ispirarono Rav Sacks nella sua formazione rabbinica furono quelli con Rav Soloveitchik e con il Rebbe di Lubavitch, che lo forgiarono rispettivamente come pensatore e come leader. In particolare Rav Soloveitchik lo aiutò a comprendere come la halakhà sia la vera e unica essenza dell'ebraismo. Il Rebbe invece lo influenzò, convincendolo di avere una responsabilità nei confronti del popolo ebraico e dell'ebraismo in generale (Tirosh-Samuelson 2013, 4-5). Rav Sacks ha rappresentato negli ultimi decenni una delle voci ebraiche maggiormente rappresentative nel Regno Unito, collaborando con la BBC, sia in TV che in radio, e scrivendo frequentemente sui giornali. Rav Sacks è stato molto attivo nell'ambito del dialogo interreligioso, stringendo ottime relazioni con molti leader delle altre fedi. Sul fronte interno, il suo periodo di rabbinato è stato segnato da non poche discordie con le denominazioni non ortodosse. Rav Sacks infatti ha sempre rivendicato il primato dell'ortodossia sulle altre denominazioni, che riconoscono l'obsolescenza della halakhà (secolarismo), il suo assoggettamento all'individuo autonomo (Reform), o all'etica di un dato luogo e tempo (Conservative). L'apertura a questa visione delle cose infatti non condurrebbe all'unificazione dell'ebraismo, ma al suo dissolvimento (Sacks 1993, 114, citato in Jotkowitz 2011, 62-63). Da un punto di vista teologico e intellettuale, Rav Sacks si pone in continuità con i suoi predecessori, Rav Hertz e Rav Jacobovits. Il pensiero di Rav Sacks Rav Sacks è indubbiamente un grandissimo comunicatore, capace di rendere intellegibili questioni molto complesse al grande pubblico, senza tuttavia banalizzarle (Gorsky 2004, 366). Parla da filosofo e da rabbino, rivolgendosi al contempo a un pubblico ebraico e a tutti i lettori in lingua inglese (MacIntyre 2012, 3), mantenendosi pienamente nel campo dell'ortodossia, ma
Research Interests:
Research Interests:
… che non cambiarono la loro lingua Limùd in memoria di Paola Nechamà Disegni Diena Ariel Di Porto Tanti studiosi al giorno d'oggi si interrogano su come sia stato possibile che nei millenni il popolo ebraico sia stato in grado di... more
… che non cambiarono la loro lingua Limùd in memoria di Paola Nechamà Disegni Diena Ariel Di Porto Tanti studiosi al giorno d'oggi si interrogano su come sia stato possibile che nei millenni il popolo ebraico sia stato in grado di preservare le proprie caratteristiche fondamentali pur essendo entrato in contatto con tante altre lingue e culture. Questa domanda diviene ancora più pressante al giorno d'oggi, in cui ci troviamo nel "villaggio globale", e vi è il tentativo di instaurare un'unica cultura nel mondo, senza che nessuna cultura possa preservare le propria unicità 1. Tradizionalmente il 10 di Tevèt ricorda vari eventi, oltre all'inizio dell'assedio babilonese che condurrà alla distruzione del Santuario di Yerushalàim. Uno di questi è la traduzione della Torà in greco ai tempi di Tolomeo 2 , attestata all'8 di Tevet. Quando ciò avvenne il buio calò sul mondo per tre giorni. Quel giorno in Massèkhet Soferìm (1,7) venne paragonato, per la sua gravità, con quello in cui venne fatto il vitello d'oro. Questo fatto impone una riflessione sulla tematica della lingua all'interno della nostra tradizione e sulla salvaguardia della lingua ebraica, e più in generale della propria cultura, alla luce del passaggio dal libro di Bereshìt al libro di Shemòt. In Wayqrà Rabbà (32,5) è riportato un famoso insegnamento di Rav Hunà a nome di Bar Qaparà: "per quattro 3 cose Israele fu redento dall'Egitto: che non cambiarono il loro nome e la loro lingua, non fecero maldicenza 4 , e non si trovò uno di loro che aveva una condotta sessuale sconveniente". Secondo alcune tradizioni questi quattro aspetti sono collegati ai quattro bicchieri di vino che vengono consumati durante il Sèder di Pèsach, e la preservazione della lingua, in particolare, corrisponde alla lettura della haggadà 5. Secondo il Midràsh (Shir ha-shirìm Rabbà 2,6) che commenta il verso (Ct 2,2) "Come rosa tra i rovi, così è la mia amica tra le fanciulle", l'uscita dall'Egitto presenta costituzionalmente degli aspetti eccezionali: pur prendendo per buoni questi elementi distintivi, tanti altri rendevano i figli di Israele indistinguibili dagli egiziani, tanto che l'uscita dall'Egitto è considerata l'uscita di un gòy miqèrev gòy, non un 'am miqèrev gòy. Far uscire gli ebrei dall'Egitto è un'operazione tutt'altro che semplice, anzi pericolosa, come cogliere una rosa in mezzo ai rovi. Questo insegnamento compare spesso all'interno della tradizione, con delle varianti significative, ad esempio quella dell'abbigliamento. Shèm, lashòn, e malbùsh sono elementi distintivi del popolo ebraico che sono accennati in un testo molto evocativo (Gn 33,18): dopo l'incontro con 'Esav, 1 Vedi il commento di Rav Chayim Sabato alla parashà di Wayiggàsh, Shemiràt ha-òfi hayehudì bagalùt, nel sito ybm.org.il 2 Questa tradizione è riportata nello Shulchan 'Arukh, Orach Chayim 580, 2. 3 In Bemidbàr Rabbà 13, 20 si parla di soli tre aspetti: nomi, lingua, maldicenza. 4 Secondo un'altra versione di questo insegnamento (Bemidbàr Rabbà 20, 22) il popolo ebraico non rivelò i propri segreti, dal momento che Moshè rivelò, in seguito all'episodio del roveto ardente, che avrebbero chiesto alle egiziane degli oggetti prima di abbandonare l'Egitto, e tennero la cosa per sé per dodici mesi. 5 S. T. Gauguine, Keter Shem Tov, vol. 3, p. 80.
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Sicuramente l'episodio della 'aqedàt Ytzchàq è fra i più brani più famosi nella Torà, ma anche fra quelli più moralmente problematici, in particolare rispetto alla relazione fra la religiosità e la morale. La religiosità è al di sopra... more
Sicuramente l'episodio della 'aqedàt Ytzchàq è fra i più brani più famosi nella Torà, ma anche fra quelli più moralmente problematici, in particolare rispetto alla relazione fra la religiosità e la morale. La religiosità è al di sopra della morale e può metterla a tacere? Il Signore ha la facoltà di chiedere qualcosa di assurdo e contrario alla nostra ragione e al nostro sentimento? Lo spazio tradizionalmente riservato alla 'aqedà è importante, essendo oggetto della lettura della Torà del secondo giorno di Rosh ha-Shanà, ed essendo inserito in vari riti nella tefillà quotidiana. Il Maharìl fa esplicitamente riferimento, sottolineandone quindi la centralità, ad un ta'am speciale per la lettura della 'aqedà. Questo episodio è servito sia da appello per via della sua funzione riscattatrice, affinché venissero perdonati i discendenti del patriarca, sia come modello che il popolo ebraico martoriato avrebbe dovuto nei secoli imitare. Per questo, non solo all'interno del mondo ebraico, sono emersi diversi indirizzi per rispondere ai diversi dilemmi che l'episodio suscita. In questa sede ne riporterò solo alcuni. Il comportamento di Avrahàm, in modo particolare negli ultimi due secoli, appare non giustificabile moralmente. Già nei secoli precedenti troviamo numerose testimonianze di atteggiamenti critici, nel Midrash, e, cosa che non ci aspetteremmo, dal momento che i patriarchi sono da essi considerati la base sulla quale il popolo ebraico viene edificato, dai poeti. In questo ultimo caso la logica è chiara: se i nostri modelli di riferimento ricevono delle punizioni per via di difetti che a noi paiono di poco conto, come faremo noi a confrontarci con il giudizio divino? Nella partita a scacchi fra D. e Avrahàm, entrambe le parti sembrano convinte di sapere quale sarà l'esito della prova: D. non ha necessità di vedere Avrahàm all'opera per sapere che avrebbe obbedito, Avrahàm, da parte sua, era convinto che non si sarebbe dovuto consumare il sacrificio. La 'aqedah non è un episodio immaginario o un sogno, ma un dramma vissuto con serena ansia da Avrahàm con il suo cuore di padre e il suo spirito di credente. Dal testo, il gesto di Avrahàm sembra aver ricevuto l'approvazione e la benedizione divine (Gen. 22,12; 16-18). L'aspetto che viene messo in risalto è quello del timore di D. di Avrahàm. Convenzionalmente la risposta che viene data alle difficoltà è che fu chiesto ad Avrahàm di mostrare la forza del suo amore per D., dimostrando di essere disposto a sacrificare il figlio atteso per una vita. Il significato della prova: Maimonide La risposta convenzionale non risolve però tutti i problemi. E' evidente infatti che il Signore conosca perfettamente il cuore degli uomini. Se è così però non si comprende quale sia la necessità di mettere alla prova Avrahàm. Maimonide affronta la questione nel Morè Nevukhìm (III, 24): quello della prova (nisayòn) è uno dei problemi fondamentali della Torà. Comunemente la gente crede che il Signore mandi delle disgrazie a un individuo senza che questo abbia una colpa, per accrescerne la ricompensa, ma questa idea non è esplicitamente individuabile nella Torà, e si oppone anzi a quella secondo cui D. è " Un D. di fedeltà, senza ingiustizia ". Gli stessi chakhamìm contrastano questa idea, quando dicono che " Non c'è morte senza peccato, e non ci sono torture senza crimine ". A dispetto delle parole di Maimonide, l'idea che la prova del sacrificio sia legata a una ricompensa, per Avrahàm o per la sua discendenza, ha avuto molto successo nei commenti classici, essendo ricordata da Sa'adià, Rashì, Nissim Gerondi, Yosef Albo, Yonah Gerondi, Crescas, Arama, Sforno.
Research Interests:
Max Weber varie volte nelle sue opere sostiene, mostrando poco apprezzamento, che l'aspetto che maggiormente caratterizza il mondo moderno sia la tendenza a definire, categorizzare, sistematizzare. In tale ottica l'uomo moderno ricorda il... more
Max Weber varie volte nelle sue opere sostiene, mostrando poco apprezzamento, che l'aspetto che maggiormente caratterizza il mondo moderno sia la tendenza a definire, categorizzare, sistematizzare. In tale ottica l'uomo moderno ricorda il primo Adamo descritto da Rav Soloveitchik in La solitudine dell'uomo di fede. L'ermeneutica ebraica antica mal si concilia con questo approccio, che si allontana prepotentemente da quanto sosteneva Schleiermacher, che riteneva che l'essenziale, in materia d'interpretazione fosse d'essere capace di sfuggire alla propria opinione per afferrare con un atto divinatorio quella dell'autore 2. La visione ebraica è altrettanto distante da quella di Origene (Principi IV,3,8), che scriveva: " Ognuno che cerca la verità non si deve curare delle parole e dei discorsi, perché ogni popolo ha (un) suo diverso modo di parlare; ma deve stare attento a ciò che viene significato piuttosto che alle parole con cui viene significato, soprattutto riguardo a problemi così importanti e difficili 3 ". In una nota a piè di pagina in L'au dela du verset Levinas riprende un'idea da R. Chayim di Volozin che fornisce un quadro ben differente: " I nostri maestri insegnano che tutte le loro parole somigliano a braci (Avot 2,10). Se soffi sulla brace-in apparenza spenta e in cui rimane una sola scintilla-la rianimerai smuovendola e l'attizzerai soffiando su di essa. E più soffierai, più la fiamma avvamperà e più si propagherà il fuoco, finché si trasformerà in un focolaio incandescente. Allora potrai approfittarne facendoti luce col suo fulgore o riscaldandoti vicino al suo braciere. Ma soltanto a una certa distanza, senza possibilità di toccarlo. Perché, dato che è divenuto ardente, occorre utilizzarlo con precauzione, per paura di bruciarsi 4 ". La ghemarà (TB Sotah 40a) narra che R. Abbahu e R. Chyia Bar Abba si recarono in una località. R. Abbahu iniziò ad esporre questioni aggadiche, mentre R. Chyia bar Abba diede insegnamenti legali. Tutti abbandonarono R. Chyia per andare ad ascoltare R. Abbahu. R. Chayia divenne afflitto. R. Abbahu gli fece un esempio. Quella situazione a cosa poteva essere paragonata? A due uomini, uno dei quali vendeva pietre preziose, mentre l'altro vendeva merce di poco valore. Da chi andavano i compratori? Non da quello che vendeva la merce di poco valore? Nel trattato di Ta'anit (7a) questa scarsa considerazione della aggadah sembra essere confermata. R. Yermyiah chiese infatti a R. Zerà di insegnargli della halakhah, ma il maestro disse di non sentirsi bene e non potere. R. Yermyiah cambiò proposta, chiedendo di insegnargli della aggadah, considerata evidentemente meno impegnativa.
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Il perdono nella tradizione ebraica (Cuneo-6-11-2016) Il Girasole di Simon Wiesenthal pone una domanda estremamente lacerante: come ci si deve comportare di fronte alla richiesta di perdono di una SS morente? L'autore scrive 1 : " Io... more
Il perdono nella tradizione ebraica (Cuneo-6-11-2016) Il Girasole di Simon Wiesenthal pone una domanda estremamente lacerante: come ci si deve comportare di fronte alla richiesta di perdono di una SS morente? L'autore scrive 1 : " Io avrei dovuto perdonargli? O potuto perdonargli? E gli altri avrebbero dovuto o potuto farlo? Oggi il mondo di chiede di perdonare anche a quelli che con il loro atteggiamento continuano a provocarci… è un problema che sopravviverà a tutti i processi, e continuerà a porsi anche quando i delitti dei nazisti già da tempo saranno ormai ricordi di un lontano passato. Per questo lo propongo a uomini che credo abbiano una loro parola da dire… Perché le vicende che lo hanno generato possono ripetersi…. So che molti mi comprenderanno e approveranno il mio comportamento verso la SS morente. Ma so pure che altrettanti mi condanneranno per non aver aiutato un assassino pentito a chiudere gli occhi in pace ". Paolo De Benedetti, a proposito della domanda di Wiesenthal scrive " Se il XX secolo dovesse trasmettere al XXI un solo messaggio, vorrei che fosse l'angosciosa domanda del Girasole 2. In filosofia morale e in teologia quello del perdono è uno dei concetti fra i più complessi e studiati, in particolare ponendo attenzione all'ambito religioso ed in modo particolare a quello ebraico 3. La stessa definizione di perdono è oggetto di disputa: alcuni lo considerano un concetto quasi legale, altri ritengono che sia uno stato emozionale per il quale chi è stato offeso rinuncia al proprio risentimento nei confronti di chi ha offeso. Anche il proposito che il perdono persegue è dibattuto: chi perdona vuole riconciliarsi con chi ha offeso a livello personale, o permettergli di entrare nuovamente a far parte della società? All'interno della concezione del perdono ebraica è possibile individuare tre elementi distintivi, che la differenziano principalmente da quella cristiana, secondo la quale non è indispensabile che chi ha offeso si penta, e prescinde dalla gravità della colpa: a) l'obbligo di perdonare è sottoposto al pentimento e alla richiesta di persona da parte di chi ha compiuto l'offesa; b) non tutte le colpe possono essere perdonate; c) non è possibile perdonare a nome di qualcun altro 4. Nel Girasole Il filosofo Avraham Yehoshua Heschel, rispondendo alla domanda posta da Wiesenthal, narra una storia, riguardante il Rebbe di Brisk, che era un grandissimo e rinomato studioso, che una volta in treno subì un'offesa da una persona chiassosa, che con i propri comportamenti lo sbatté letteralmente fuori dallo scompartimento del treno. Questa persona, che scese a Brisk, vedendo l'accoglienza riservata al rabbino, comprese il suo terribile errore, chiedendo perdono, e di fronte al rifiuto del rabbino, arrivò ad offrire un'importante somma di denaro; il rabbino di fronte a ogni tentativo rifiutò di perdonarlo, atteggiamento molto strano per lui, conosciuto come una persona mite. Il figlio del rabbino, non comprendendo la sua durezza, ma al contempo non potendo riprenderlo, si presentò in ufficio, prendendo la questione alla larga, parlando delle leggi sul perdono in generale. Dopo un po' fece riferimento a quanto avvenuto, chiedendo al padre perché si mostrasse così ostinato. Il padre rispose che quell'uomo in treno non sapeva chi fosse, e mancò quindi nei confronti di una persona comune, ed avrebbe dovuto chiedere perdono pertanto a quella persona comune, e non a lui, rinomato rabbino. Nella tradizione biblica il pentimento prende le mosse da uno stato interiore, al quale deve necessariamente seguire una traduzione nella pratica, composta da due stadi, quello della cessazione del male, seguito da quello di esecuzione del bene. Scrive Rav Riccardo Di Segni: " Il perdono è una riparazione morale dell'identità, è l'acqua che cancella la macchia della colpa e che spegne il fuoco del rancore. Se è unilaterale e gratuito, nel senso che chi ha offeso non fa nulla per ottenere il perdono, questo spegne il fuoco del rancore ma non toglie la macchia. Il perdono, come processo morale, non
Research Interests:

And 13 more

Research Interests:
La tradizione ebraica considera gli animali esseri senzienti, dotati di un'anima. Perciò viene più volte riaffermato il principio di evitare, se possibile, di provocar loro dolore. I grandi leader biblici furono pastori e quella fu la... more
La tradizione ebraica considera gli animali esseri senzienti, dotati di un'anima. Perciò viene più volte riaffermato il principio di evitare, se possibile, di provocar loro dolore. I grandi leader biblici furono pastori e quella fu la loro "palestra" per guidare il popolo. La sfida è di confrontarsi con chi, umano o animale, non ha voce e non ha potere di opporsi. U no degli scopi fondamentali della Torah è quello di co-struire un certo tipo di società. Si tratta di un processo estrema-mente lungo, che richiede più di una generazione, a volte secoli. Come in tutte le grandi impre-se, serve progettualità e una di-rezione. Migliorare le cose, non renderle perfette da subito; tra-smettere ai propri figli gli ideali, di modo che possano proseguire il viaggio. Nella storia del pensiero l'atteg-giamento dei filosofi nei con-fronti degli animali è stato ambi-valente: alcuni erano convinti che gli animali non avessero un'ani-ma, altri, sotto certi aspetti, si preoccupavano più degli animali che degli esseri umani. È diffici-le trovare un equilibrio fra questi due estremi. Sotto certi aspetti gli animali sono simili a noi, per altri irrimediabilmente diversi. GLI ANIMALI NELLA TRADIZIONE EBRAICA La tradizione ebraica, oggetto di un recente e corposo interesse da parte degli studiosi, considera gli animali come esseri senzienti, dotati di un'anima, che possono provare dolore. Con un'espres-sione densa e poetica il filosofo francese del XIV sec. Ibn Kaspi afferma che gli animali sono «come i nostri padri», che, in una visione pre-darwiniana dell'evo-luzione, ci hanno preceduto nella creazione e sono sostanzialmente simili a noi. Nella tradizione biblica invero troviamo anche l'asina parlan-te di Bil'am, che ci mostra, nel nostro linguaggio, la visione del mondo degli animali. Nella Bib-bia i grandi protagonisti e i desti-natari sono gli uomini, ma alcuni brani, come questo, o gli ultimi capitoli del Libro di Giobbe, dove è D. stesso a parlare e dire la sua su questo mondo antropocentri-co e popolato invece di creature maestose e sconosciute, ci for-niscono spaccati di mondi inat-tingibili per noi. Proprio perché considerate creature senzienti, un principio importante che emerge all'interno della halakhà, e sovente riaffermato, è il tza'ar ba'alè chayim ("sofferenza degli esseri viventi"), che deve esse-re, per quanto possibile, evitato. Questo credo sia evidente a tutti. Per questo, ad esempio, la caccia sportiva non gode di una buona considerazione, così come i gran-di cacciatori della Bibbia (Esav e Nimrod), disegnati dai Maestri della tradizione rabbinica con pennellate fosche. Passando a questioni meno ovvie, potremmo chiederci se scappare da un pollaio, come nel film d'a-nimazione Galline in fuga, debba essere considerato puro istinto animale o piuttosto una fuga per la libertà? Gli animali sono dei soggetti morali, capaci di deter-minati comportamenti e di per-seguire certe virtù, o la coscienza e la conseguente responsabilità sono prerogative esclusivamente umane, che conferiscono all'u-manità il dominio sul mondo animale e la supervisione, con maestosità e umiltà, sull'anda-mento dell'impresa? La questio-ne è tutt'altro che semplice, in fondo condividiamo il 98% del nostro Dna con gli scimpanzé… Le fonti ebraiche, sconosciute ai più, forniscono molti spunti in merito, negli ambiti più dispa-rati, ma non sarà possibile ap-profondirli in questa sede, dove affronteremo solo alcuni limitati aspetti della precettistica biblica. I PRECETTI Tanti precetti riguardano infatti gli animali, anzitutto come og-getto di prescrizioni, in quanto parte fondamentale del nostro mondo. Riporto alcuni esempi e delle brevissime riflessioni:-«Ma il settimo giorno sarà giornata di cessazione dal la-voro dedicata al Signore D. ARIEL DI PORTO Rabbino capo della comunità ebraica di Torino.
Research Interests:
Research Interests:
Vita umana, lavoro e sviluppo tecnologico (obiettivi 3,8 e 9 Agenda ONU 2030) Relazione tenuta all'interno del ciclo di incontri Religioni e Sviluppo sostenibile Ariel Di Porto Potrebbe sembrare superfluo parlare della... more
Vita umana, lavoro e sviluppo tecnologico (obiettivi 3,8 e 9 Agenda ONU 2030) Relazione tenuta all'interno del ciclo di incontri Religioni e Sviluppo sostenibile Ariel Di Porto Potrebbe sembrare superfluo parlare della responsabilità ebraica per il benessere della società, dal momento che gli storici hanno già da tempo convenuto che le idee ebraiche hanno rappresentato un elemento formativo della civiltà occidentale, e che numerosi ebrei individualmente, specie in tempi moderni, hanno ricoperto un ruolo centrale nel suo sviluppo (Blidstein 1995, 5). Nel celeberrimo saggio Confrontation Rav Soloveitchik delineava il duplice compito del popolo ebraico, da una parte quello di esseri umani che condividono il destino di Adamo nel suo incontro con la natura, e quello di membri di una comunità che ha mantenuto la propria identità in condizioni avverse (Soloveitchik 1964, 17). In un saggio, significativamente intitolato Straniero e residente, espressione che riprende le parole di Abramo in Gn. 23,4, Rav Soloveitchik riassume il suo pensiero su questo punto: "Il nostro approccio al mondo esterno è sempre stato ambivalente: collaboriamo con persone appartenenti ad altre fedi in tutti i campi dello sforzo umano, ma nello stesso tempo cerchiamo di preservare la nostra distinta identità, che inevitabilmente comprende aspetti di separazione. Questa è una situazione paradossale. Tuttavia, parafrasando le parole del nostro primo antenato Abramo, noi siamo molto presenti nella più vasta società ed al tempo stesso ci manteniamo stranieri ed esterni nel nostro persistente sforzo di preservare la nostra identità storico-religiosa (Solovetchik 1998, 185). Rav Sacks analizza i primi versi del cap. XII della Genesi, nei quali viene descritto l'inizio del viaggio di Abramo. D. promette (Gn. 12 ,3) che per mezzo di lui tutte le famiglie della terra saranno benedette (citato in Sacks 1997). Una parte importante della missione di Abramo concerne la sua missione all'interno della società. In Confrontation, che ha come tema principale quello del rapporto con la fede cristiana, poco prima che vedesse la luce la dichiarazione Nostra Aetate, Rav Soloveitchik pone alcuni punti fermi, che sono tutt'oggi pienamente validi, come l'impegno per il benessere generale e il progresso del genere umano, per la lotta alle malattie e all'alleviamento della sofferenza umana, per la protezione dei diritti umani, per l'aiuto dei bisognosi, ecc. (Soloveitchik 1964, 20-21). Come è noto Rav Soloveitchik non era un sostenitore del dialogo di ordine teologico, ma credeva tuttavia che vi fossero delle aree di azione comune che dovrebbero essere indirizzate verso l'esterno: "come combattere il secolarismo, il materialismo, la negazione ateistica della religione e dei valori trascendenti che minacciano l'esistenza di parametri morali all'interno della nostra società (Solovetchik 1998, 185). Tutto oggi è tremendamente complicato, e non si può pretendere che le religioni, che sono sorte migliaia di anni fa, molto prima della nascita della modernità, possano fornire una risposta puntuale ai problemi attuali; le religioni tuttavia hanno molto da dire circa dove stiamo andando o dove dovremmo andare (Sacks 2004,21). Ad esempio, su larga scala, è possibile indicare il chesed, nella sua accezione fisica e materiale, come un obiettivo concretizzabile su una scala universale (Blidstein 1995, 13). La necessità di un impegno in questo senso oggi è quanto mai pressante. La politica da sola non è in grado di fornire delle risposte soddisfacenti alle persistenti domande che attanagliano buona parte dell'umanità. Fame, malattia, assenza di libertà fondamentali sono condizioni quantomai diffuse nel
In this work, starting from traditional sources (Mishnà, Talmud, responsa), some rabbinic ideas about the circulation of money are presented, illustrating its historical development
Keywords: Globalization, Jewish law, Diaspora, Local Authorities, Social media This contribution shows how the Jewish people in its millenary history has faced the issues that globalization has raised, elaborating particular strategies... more
Keywords: Globalization, Jewish law, Diaspora, Local Authorities, Social media

This contribution shows how the Jewish people in its millenary history has faced the issues that globalization has raised, elaborating particular strategies on a juridical level and illustrating changes that have affected the rabbinical world following the development and affirmation of social media
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests:
Research Interests: