Enea Pezzini
Attualmente Assoziierter Forscher (ricercatore associato) presso l'Istituto di Lingua e Letteratura italiana dell'Università di Berna e Chargé de cours presso la Sezione di Italiano dell'Università di Losanna. Ha conseguito l’ASN alle funzioni di professore universitario di Seconda fascia nel Settore Concorsuale 10/F3.
Dopo aver conseguito il Master of Arts con Specializzazione in Italiano presso l'Università di Losanna, con una tesi sulle Lettere volgari di Angelo Poliziano («Epistola velut pars altera dialogi». La lingua delle Lettere volgari del Poliziano, Pisa, Edizioni della Normale, 2022), ha proseguito gli studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (in cotutela con l'Università di Losanna) addottorandosi in Storia della lingua italiana (2022). Durante il perfezionamento ha preparato la prima edizione critica e commentata delle Rime di Andrea Michieli detto lo Strazzola (Venezia, Edizioni Ca' Foscari, in c.d.s.). Dal 1° settembre 2022 sta realizzando una nuova edizione dei "Rabisch" di Giovanni Paolo Lomazzo (su incarico della Repubblica e Cantone Ticino). Ha al suo attivo diverse ricerche pubblicate in riviste italiane e svizzere su Brunetto Latini e vari autori del Quattro e del Cinquecento (Angelo Poliziano, Luigi Pulci, Andrea Michieli detto lo Strazzola, Ludovico Ariosto, Giovanni Norchiati, Teofilo Folengo, Giovanni Paolo Lomazzo, ecc.); da un po’ di tempo le sue indagini riguardano anche la dialettologia veneta e ticinese tra Otto e Novecento. Collabora inoltre al Vocabolario storico-etimologico del veneziano (VEV).
Dopo aver conseguito il Master of Arts con Specializzazione in Italiano presso l'Università di Losanna, con una tesi sulle Lettere volgari di Angelo Poliziano («Epistola velut pars altera dialogi». La lingua delle Lettere volgari del Poliziano, Pisa, Edizioni della Normale, 2022), ha proseguito gli studi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa (in cotutela con l'Università di Losanna) addottorandosi in Storia della lingua italiana (2022). Durante il perfezionamento ha preparato la prima edizione critica e commentata delle Rime di Andrea Michieli detto lo Strazzola (Venezia, Edizioni Ca' Foscari, in c.d.s.). Dal 1° settembre 2022 sta realizzando una nuova edizione dei "Rabisch" di Giovanni Paolo Lomazzo (su incarico della Repubblica e Cantone Ticino). Ha al suo attivo diverse ricerche pubblicate in riviste italiane e svizzere su Brunetto Latini e vari autori del Quattro e del Cinquecento (Angelo Poliziano, Luigi Pulci, Andrea Michieli detto lo Strazzola, Ludovico Ariosto, Giovanni Norchiati, Teofilo Folengo, Giovanni Paolo Lomazzo, ecc.); da un po’ di tempo le sue indagini riguardano anche la dialettologia veneta e ticinese tra Otto e Novecento. Collabora inoltre al Vocabolario storico-etimologico del veneziano (VEV).
less
InterestsView All (53)
Uploads
Book Reviews by Enea Pezzini
Drafts by Enea Pezzini
Papers by Enea Pezzini
Tutti gli studi che si sono interessati ai due dizionari, prestando fede a quanto dichiarato da Cecchini («ho parimenti fatto inserire ai rispettivi loro luoghi tutti gli articoli costituenti della voluminosa appendice» Boerio 1856: 5), hanno sempre affermato che nell’edizione del 1856 «vengono fuse nel testo le voci che Boerio nella stampa del 1829 aveva raccolto in una nutrita Appendice» (Caracciolo Aricò 1984: 26). Come il presente contributo illustrerà, le cose non stanno proprio così: prendendo come campione le lettere A, G e Z, si chiariranno meglio i cambiamenti avvenuti tra la prima e la seconda edizione del Dizionario, spiegando come e perché le voci dell’Appendice e della Giunta finiscono in Boerio 1856, quali definizioni sono modificate in Boerio 1856 e in generale che tipo di modifiche avvengono tra Boerio 1829 e 1856, nonché come esse sono segnalate. Inoltre si esamineranno gli interessanti mutamenti dell’italiano impiegato nelle definizioni, specie in relazione ai nuovi dettami manzoniani. A conclusione del contributo ci si soffermerà brevemente sulla terza «ristampa» (Caracciolo Aricò 1984: 26), avvenuta nel 1867 sempre presso Cecchini, che una attenta analisi conferma essere in realtà composta da esemplari di Boerio 1856 a cui è stato semplicemente sostituito il frontespizio.
Tutti gli studi che si sono interessati ai due dizionari, prestando fede a quanto dichiarato da Cecchini («ho parimenti fatto inserire ai rispettivi loro luoghi tutti gli articoli costituenti della voluminosa appendice» Boerio 1856: 5), hanno sempre affermato che nell’edizione del 1856 «vengono fuse nel testo le voci che Boerio nella stampa del 1829 aveva raccolto in una nutrita Appendice» (Caracciolo Aricò 1984: 26). Come il presente contributo illustrerà, le cose non stanno proprio così: prendendo come campione le lettere A, G e Z, si chiariranno meglio i cambiamenti avvenuti tra la prima e la seconda edizione del Dizionario, spiegando come e perché le voci dell’Appendice e della Giunta finiscono in Boerio 1856, quali definizioni sono modificate in Boerio 1856 e in generale che tipo di modifiche avvengono tra Boerio 1829 e 1856, nonché come esse sono segnalate. Inoltre si esamineranno gli interessanti mutamenti dell’italiano impiegato nelle definizioni, specie in relazione ai nuovi dettami manzoniani. A conclusione del contributo ci si soffermerà brevemente sulla terza «ristampa» (Caracciolo Aricò 1984: 26), avvenuta nel 1867 sempre presso Cecchini, che una attenta analisi conferma essere in realtà composta da esemplari di Boerio 1856 a cui è stato semplicemente sostituito il frontespizio.
Appoggiandomi alle riflessioni teoriche presenti nel Trattato e nell’Idea del Tempio della Pittura […] (Milano, 1590), nell’intervento presenterò brevemente la declinazione lomazziana dell’ut pictura poesis. Poi, a partire dalle Rime (Milano, 1587) e dai Rabisch (Milano, 1589), analizzerò le strategie stilistiche e linguistiche con cui la scrittura poetica dell’autore imita l’arte delle grottesche.
La lingua dello Strazzola è un prodotto ibrido, un amalgama di almeno tre ingredienti linguistici diversi: il volgare locale (a sua volta caratterizzato da forme veneziane e da forme di koinè settentrionale), il modello latino e il forte modello tosco-fiorentino (anch’esso frazionato tra fiorentino aureo-trecentesco e fiorentino argenteo-contemporaneo). L’aspetto più notevole riguarda però l’uso del gergo furbesco, di cui fino a oggi si conoscevano solo alcune sporadiche emersioni prima del Nuovo modo de intendere la lingua zerga (Ferrara 1545) attribuito da Ageno ad Antonio Brocardo (si pensi al glossario italo-latino che accompagna lo Speculum Cerretanorum di Teseo Pini, ai rari testi gergali di Luigi Pulci, o ancora a qualche componimento del Cammelli). Nelle rime dello Strazzola sono attestate oltre 70 voci gergali che ricorrono più di 500 volte e che si ritrovano solo una quarantina di anni più tardi nel Nuovo modo de intendere la lingua zerga (agresta ‘denaro’, andare in Piccardia ‘essere impiccato’, artone ‘pane’, aste ‘denari’, balcare ‘guardare’, barleffo ‘viso’, basto ‘giacca’, berlengo ‘banco dei denari’, bianchire ‘scoprire’, ecc.). Spesso lo Strazzola deforma a proprio piacimento – attraverso quel processo di «libera suffissazione» (Ageno, Studi lessicali: 468) tipico delle formazioni furbesche – voci gergali attestate in seguito nel Nuovo modo de intendere la lingua zerga (gino ‘ebreo’ variante del furb. guigno ‘giudeo, ebreo’, luccio ‘guarda’ da collegare al furb. alluzzare ‘scorgere’, maria ‘ma-riuolo’ variante del furb. marietta ‘gaglioffo’, ecc.). L’elevato numero di voci furbesche porta sostegno all’ipotesi che l’uso di parlate gergali sia ben più antico di quello che ci permettono di ricostruire le scarse attestazioni oggi note. Questa massiccia presenza di voci furbesche è notevole anche per vari altri motivi: innanzitutto, le rime dello Strazzola costituiscono la principale fonte di gergalismi della fine del XV secolo; dato che quasi tutte le voci gergali qui attestate si ritrovano poi nel Nuovo modo si evidenzia una forte stabilità all’interno del lessico furbesco; inoltre, si ha un’ulteriore dimostrazione di come le voci attestate nel Nuovo modo de intendere la lingua zerga non siano prodotto artificiale nato dalla penna del Brocardo, ma rappresentino una lingua realmente in uso (almeno in certi ambienti della società di fine Quattrocento, inizio Cinquecento).
Nell’intervento qui proposto analizzo innanzitutto la componente gergale dei testi strazzoliani (quali lemmi furbeschi sono attestati nel Nuovo modo de intendere la lingua zerga? quali sono degli hapax? in quali luoghi testuali è più forte la loro presenza?). In secondo luogo, rifletto sul pubblico a cui questi testi sono rivolti (una persona in particolare? letterati di mestiere? gente dei bassifondi? ecc.). Infine, partendo dalle voci furbesche strazzoliane, presento alcune schede lessicali (etimologia; significato; diffusione; ecc.) che sto allestendo per la “sezione gergale” del Vocabolario storico etimologico del veneziano (VEV) diretto da Lorenzo Tomasin e Luca D’Onghia.
Responsable FDi : Alberto Roncaccia
Comité doctoral : Enrico Castro (Section d'italien); Aris Della Fontana (Section d'histoire); Enea Pezzini (Section d'italien)
Journées CUSO d’études médiévales (Lausanne, 7-8 octobre 2021)
Il mio contributo intende pertanto rivalorizzare questa precoce testimonianza sia poetica che storica. Si ripercorreranno perciò le rappresentazioni che lo Strazzola offre ai suoi lettori del “mal francese”, riflettendo sulle strategie discorsive e argomentative (la descrizione minuziosa dei sintomi dolorosi; le costanti preghiere; le critiche ai medici ciarlatani incapaci di curare il morbo; ecc.) e sull’utilizzo di un lessico tecnico-scientifico per la descrizione della malattia (buchi fistolati; carolo; ghiandussa; marciura; ecc.). Si rifletterà poi sui rapporti che il motivo del “mal francese” ha con gli altri temi sviluppati nei testi (la povertà e la misera; la satira verso le cortigiane; le critiche verso Carlo VIII) e si analizzerà anche la dimensione corporale che scaturisce dai riferimenti alla malattia, individuando per esempio le trasposizioni simboliche che il poeta attua nei confronti del “mal francese”, da lui chiamato il Roy di Francia. Durante queste riflessioni si darà inoltre particolare importanza ai rapporti tra i componimenti strazzoliani e quelli, pressoché coevi, di Antonio Cammelli detto il Pistoia, un altro “sifilitico illustre” che dedica alla malattia numerosi testi.
https://www.letture.org/epistola-velut-pars-altera-dialogi-la-lingua-delle-lettere-volgari-del-poliziano-enea-pezzini
Le lettere dell’umanista di Montepulciano non solo forniscono un’immagine diversa e più intima dell’autore ma, essendo scritte di sua mano, sono un osservatorio privilegiato per valutare le sue abitudini scrittorie. Dalla loro analisi emerge la ricerca di un linguaggio colloquiale, sempre però sorvegliatissimo e continuamente impreziosito da espressioni idiomatiche, che istituiscono uno speciale rapporto d’intesa con il destinatario.