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  • SINTESI CURRICULARE DI GIANFRANCO PERRI www.gianfrancoperri.net Gianfranco Perri è nato a Brindisi i... moreedit
Una storia avvincente e gloriosa quella della nostra Brigata San Marco, le cui origini risalgono a più di trecento anni fa: a quando nel 1713 Vittorio Amedeo II di Savoia – appena assurto al titolo regale come re di Sicilia – istituì il... more
Una storia avvincente e gloriosa quella della nostra Brigata San Marco, le cui origini risalgono a più di trecento anni fa: a quando nel 1713 Vittorio Amedeo II di Savoia – appena assurto al titolo regale come re di Sicilia – istituì il “Reggimento Marina” a salvaguardia delle coste siciliane infestate dai pirati barbareschi, nonché del collegamento navale tra la capitale Palermo e la sabauda Nizza. Nel 1815, con la restaurazione postnapoleonica, il reggimento divenne “Brigata Marina” del ristabilito regno di Sardegna, partecipando nel 1848 alla prima guerra di indipendenza e poi, il 20 luglio 1866 con le forze armate già appartenenti al giovane regno d’Italia, alla sfortunata battaglia di Lissa nella terza guerra d’indipendenza.
Tremila uomini imbarcati ad Ancona, agli ordini dell’ammiraglio Carlo Persano, tentarono lo sbarco a Lissa. Un’azione sfortunata, ma il coraggio dei fucilieri impressionò il nemico come ben testimoniato dalle parole dell’ammiraglio austriaco Wilhem Togetthoff: “Non è possibile non riconoscere negli italiani un coraggio straordinario, che giungeva fino al suicidio. Allorquando la ‘Re d'Italia’ affondava, i suoi Fanti di Marina si arrampicavano sulle alberature e con le carabine contro l'ammiraglia austriaca ferirono ed uccisero 80 marinai. Quelli che militavano sotto la bandiera dell'ammiraglio Persano erano certo animati dal più vivo amor di Patria”...
Fu da allora che lo storico edificio, che era stato dei Templari e poi dei Giovanniti, venne adibito a “Scuola Marinara” e questa vi operò ininterrottamente dalla sua apertura, circa il 1927, fino alla sua formale estinzione conseguente... more
Fu da allora che lo storico edificio, che era stato dei Templari e poi dei Giovanniti, venne adibito a “Scuola Marinara” e questa vi operò ininterrottamente dalla sua apertura, circa il 1927, fino alla sua formale estinzione conseguente alla sua incorporazione all’Istituto Professionale, già entrati gli anni ‘60. Trascorsi vari anni in cui l’edificio rimase in gran parte vuoto e poi adibito a deposito comunale e della ASL, nel 1995 fu elaborato dall’ufficio tecnico comunale il progetto per la sua ristrutturazione, la quale fu finalmente completata nel 2000 con la direzione lavori dell’ingegnere Donato Caiulo. Da quel momento l’edificio prese l’attuale nome ufficiale di “Casa del Turista-ex Scuola Marinara”. Una denominazione che ad oggi rappresenta il solo vestigio diretto rimanente di quella che durante all’incirca mezzo secolo fu una importante scuola brindisina, la forgia di varie generazioni di bravi uomini di mare.
Nel 1917 era sorto, come associazione di fatto, il Consorzio delle scuole professionali per la maestranza marittima, e dal Ministero della pubblica istruzione, previ accordi con i Ministeri dell’agricoltura, della marina e dell’industria, con il Regio decreto n. 744 del 18 aprile 1920 venne eretto in Ente morale sotto la presidenza del professore veneziano David Levi Morenos, che del Consorzio era stato il promotore. In tal modo, in molte città di mare italiane si cominciarono ad aprire questo tipo di scuola e nel 1921 se ne contavano già 12 in tutta Italia, ma non ancora a Brindisi, dove come postelementari, funzionavano solo il Ginnasio – con 95 alunni – e la Scuola Tecnica – con 270 alunni – intitolata a Raffaele Rubini e diretta dal professor Cosimo Palma e che, in seguito alla Riforma Gentile, il 1° ottobre 1923 fu declassata a Scuola Complementare operando nel Palazzo Guerrieri per poi, nel 1927-28, essere convertita in Scuola di avviamento professionale.
Sciabiche: dall’arabo “sciabbach” che significa rete da pesca, specificamente quella che calata in mare a semicerchio, con il suo progressivo avanzamento cattura il pesce. Le sciabiche somigliano molto alle più comuni reti dette a... more
Sciabiche: dall’arabo “sciabbach” che significa rete da pesca, specificamente quella che calata in mare a semicerchio, con il suo progressivo avanzamento cattura il pesce. Le sciabiche somigliano molto alle più comuni reti dette a strascico, ma si differenziano sostanzialmente da queste ultime per la lunghezza dei bracci, che nelle sciabiche – Fig.1 – sono molto corti, tanto che in realtà il corpo stesso della rete, praticamente si identifica con il sacco di raccolta.
Ma per i brindisini Sciabiche, o ancor meglio “Sciabbiche”, perlomeno già dal ´700 era ufficialmente il nome del rione che aveva per confini sui lati di terra, via Montenegro – o forse via Santa Chiara – a est, poi Santa Teresa e San Paolo a sud, il largo – oggi Sciabiche e prima Sdrigoli – a ovest, e che per il resto si affacciava sul mare, allungandosi per circa 400 o 500 metri sulla riva di nordovest del Seno di Ponente.
Quello stesso rione Sciabiche peró esisteva da molto tempo prima, tanto che fu proprio in quel rione, certamente il piú emblematico della cittá marinara, che il 5 giugno del 1647 esplose il forte malcontento dei pescatori, suoi incontrastati dimoranti, facendo scoppiare la sommossa – un mese prima della più nota rivolta napoletana capeggiata da Tommaso Aniello d'Amalfi “Masaniello”– dando di fatto inizio a quell’insurrezione che finì per coinvolgere buona parte del meridione italiano, che dal 1509 era in regime di viceregno spagnolo, su cui regnava il re di Spagna Filippo III, con Pedro Girón viceré a Napoli...
Quello di ottanta anni fa, il penultimo della Seconda guerra mondiale, fu un anno che vide Brindisi al centro di importanti eventi bellici con il suo aeroporto divenuto fulcro di una intensa attività e base strategica di numerose missioni... more
Quello di ottanta anni fa, il penultimo della Seconda guerra mondiale, fu un anno che vide Brindisi al centro di importanti eventi bellici con il suo aeroporto divenuto fulcro di una intensa attività e base strategica di numerose missioni aeree, molte delle quali segrete, operate dalle forze aeree alleate – che l’avevano occupato denominandolo ‘Campo Casale’ – la RAF inglese e la USAAF americana, ma operate in minor parte anche dalla residua Forza Aerea Italiana, lentamente ricostituita dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 con Brindisi divenuta sede del re Vittorio Emanuele III e del governo, di fatto capitale d’Italia nei cinque mesi a cavallo tra il 1943 e il 1944.

******  Prima parte: le azioni della RAF  ******
******  Seconda parte: le azioni della USAAD  ******
Una vita singolarmente lunga – durata ben 101 anni – ma, soprattutto, una vita affascinante ed incredibilmente venturosa, quella di Amedeo Guillet, il già in vita divenuto leggendario ‘Comandante diavolo’. Nato a Piacenza il 7 febbraio... more
Una vita singolarmente lunga – durata ben 101 anni – ma, soprattutto, una vita affascinante ed incredibilmente venturosa, quella di Amedeo Guillet, il già in vita divenuto leggendario ‘Comandante diavolo’. Nato a Piacenza il 7 febbraio 1909 nel seno di una nobile famiglia con ampie tradizioni militari, il barone Amedeo Guillet entrò all’Accademia di Modena e nel 1931 ne uscì sottotenente dei cavalleggeri di Monferrato. Campione d’equitazione, già selezionato per partecipare alle olimpiadi di Berlino 1936, vi rinunciò per arruolarsi volontario nel reparto di cavalleria coloniale e poter quindi prender parte alla colonizzazione dell’Etiopia.
Veterano e pluridecorato della conquista dell’Etiopia e del conflitto civile spagnolo, già ben prima dello scoppio della seconda guerra mondiale il tenente Guillet si trovava in servizio a Gondar, in Africa Orientale Italiana, quando il viceré, il Duca d’Aosta, ben conoscendo la sua personalità, la sua capacità ed il suo valore di soldato, nonché la sua straordinaria dimestichezza con la lingua araba ed i costumi locali, nel febbraio del 1940 gli affidò l’organizzazione ed il comando di una unità del tutto speciale ‘Gruppo Bande Amhara a cavallo’, un reparto di cavalleria formato da 1700 indigeni, tra eritrei, etiopi, arabi e yemeniti...
Era uno degli ultimi giorni di settembre, quando il re accettò di ricevere in udienza il Maggiore Amedeo Guillet. Lo ricevette di pomeriggio nella sua residenza privata sita presso la Palazzina dell’ammiragliato. Lo fece accomodare e ascoltò il racconto di tutte le azioni intraprese e le peripezie trascorse, dallo scoppio della guerra fino al suo rientro in Italia. Dopo alcune ore di conversazione il re lo ringraziò per il suo impegno e gli intimò di rimanere in Italia rinunciando al ritorno in Africa, nonché gli chiese di continuare a servire in armi l’Italia: “Lei ha fatto il suo dovere e io le sono molto grato. Si ricordi che noi passiamo ma l’Italia rimane e bisogna servirla sempre ed in ogni modo, perché la cosa più grande che ha un uomo è la propria patria”...
Amedeo Guillet - il giovane ufficiale che in pieno caos bellico giunse a parlare con il re a Brindisi -  il leggendario Comandante diavolo, a 101 anni si spense, a Roma il 16 giugno 2010
La corazzata “Roma”, la nave da battaglia più potente del Mediterraneo, il fiore all’occhiello della flotta italiana, dislocava 35.000 tonnellate standard - 50.000 reali - era lunga 240,7 metri, larga 32,92 metri e, mossa da 8 caldaie,... more
La corazzata “Roma”, la nave da battaglia più potente del Mediterraneo, il fiore all’occhiello della flotta italiana, dislocava 35.000 tonnellate standard - 50.000 reali - era lunga 240,7 metri, larga 32,92 metri e, mossa da 8 caldaie, poteva raggiungere una velocità di 30 nodi.
Era il 9 settembre del 1943 - il giorno seguente alla firma dell’armistizio dell’Italia con gli Alleati - alle 16 circa, quando la nave corazzata “Roma” affondò a seguito di un attacco aereo tedesco, a nord della Sardegna, a circa 16 miglia dal Golfo dell’Asinara. Sono passati 80 anni e, come ogni anno, la Marina Militare celebra a Brindisi, al Monumento al marinaio d’Italia, la “Giornata della Memoria dei Marinai Scomparsi in Mare”, in commemorazione del sacrificio di quei 1393 marinai italiani che, dei 2021 che erano a bordo della nave “Roma”, persero la vita.
Frederic: “nelle guerre tra le montagne, un giorno ti prendi una montagna e il giorno dopo il nemico te ne prende un’altra, ma quando incomincia un attacco un po' serio bisogna scendere tutt’e due dalle montagne” - Gino: “e quindi tu cosa... more
Frederic: “nelle guerre tra le montagne, un giorno ti prendi una montagna e il giorno dopo il nemico te ne prende un’altra, ma quando incomincia un attacco un po' serio bisogna scendere tutt’e due dalle montagne” - Gino: “e quindi tu cosa faresti se avessi una frontiera fatta di montagne” - Frederic: “una volta gli austriaci venivano sempre bastonati nel Quadrilatero attorno a Verona, li lasciavano scendere in pianura e li bastonavano lì” - Gino: “ma i vincitori erano francesi, in casa d’altri è più facile risolvere i problemi militari” - Frederic: “e già, quando si tratta del tuo paese non lo puoi usare così scientificamente” - Gino: “eppure i russi l’hanno fatto, per intrappolare Napoleone” - Frederic: “sì, ma quelli avevano un paese veramente enorme, se in Italia tentaste di ritirarvi per intrappolare Napoleone, vi ritrovereste a Brindisi”… Come a voler significare: “in Italia, il luogo più remoto dove si potrebbe pensar di andare per fuggire dal nemico, è Brindisi”...
Non era stata completata del tutto l’unità del Paese – mancava ancora, tra altro, nientemeno che Roma – e già nel corso degli anni ’60 i governanti del giovane regno d’Italia avevano cominciato a volgere lo sguardo aldilà dei propri... more
Non era stata completata del tutto l’unità del Paese – mancava ancora, tra altro, nientemeno che Roma – e già nel corso degli anni ’60 i governanti del giovane regno d’Italia avevano cominciato a volgere lo sguardo aldilà dei propri confini, convinti della necessità di dover provvedere con urgenza alla consolidazione ed all’espansione economica del Paese, anche in senso internazionale. Attraverso, quindi, l’apertura di nuovi traffici transeuropei, sia per l’importazione che per l’esportazione, soprattutto in vista delle nuove rotte commerciali – e marinare più in particolare – che si sarebbero create e rapidamente sviluppate con l’ormai prossima apertura del Canale di Suez che fu, infatti, inaugurato il 17 novembre 1869.
Un’iniziativa legata a un personaggio molto peculiare: Giuseppe Sapeto, ligure nato nel 1811 e morto nel 1895...

Dopo più d’un anno dall'avanzata inglese nell'A.O.I., tra il 12 e il 13 gennaio del 1943 nel pieno della guerra mondiale, i piroscafi Duilio e Giulio Cesare giunsero nel porto di Brindisi provenienti da Gibilterra e diretti a Venezia. Erano salpati il 7 dicembre da Massaua in Eritrea, ed avevano circumnavigato l’Africa carichi di civili italiani – donne, vecchi, invalidi, feriti e tantissimi bambini – tutti ormai ex coloni di Etiopia Eritrea e Somalia che, dopo essere stati prelevati dalle loro case in seguito l’occupazione inglese di Adis Abeba – 6 aprile 1941 – e mantenuti nei campi di internamento britannici nel bassopiano somalo, venivano finalmente riportati in Patria.
Erano parte dei quasi trentamila italiani che tra aprile del 1942 e agosto del 1943 condivisero quella sorte nel corso di tre missioni di rimpatrio portate a felice compimento da quattro unità della marina mercantile italiana – Saturnia, Vulcania, Giulio Cesare e Duilio – passate poi alla storia come “le quattro navi bianche”. Quattro grossi bastimenti, opportunamente attrezzati anche dal punto di vista sanitario, dipinti interamente di bianco e con sulle fiancate vistose croci rosse e muniti di un lasciapassare speciale, accordato in seguito alle lunghe ed estenuanti trattative intercorse tra l’Italia e il Regno Unito con l’intermediazione iniziale degli Stati Uniti – curatori degli interessi britannici in Italia e a cui, fino al loro ingresso in guerra, erano anche affidati gli interessi italiani nei territori dell’A.O.I. occupati dagli inglesi – e poi della Svizzera...
«Ultimi giorni del 1942: Elena, libraia ventisettenne, mentre all'alba passeggia sulla spiaggia vicina alla sua casa in Algecirassulla costa spagnola di fronte allo sperone di Gibilterra-s'imbatte nella figura evanescente d'un uomo... more
«Ultimi giorni del 1942: Elena, libraia ventisettenne, mentre all'alba passeggia sulla spiaggia vicina alla sua casa in Algecirassulla costa spagnola di fronte allo sperone di Gibilterra-s'imbatte nella figura evanescente d'un uomo giovane riverso tra la sabbia e l'acqua, indossando una muta da sommozzatore e dall'inoccultabile espressione ancora svanita. Più o meno conscia di quel che quell'uomo possa essere e possa rappresentare, lo soccorre, ignorando che quella determinazione cambierà la sua vita e che l'amore sarà solo parte di un'avventura molto pericolosa...» Ovviamente, ho da subito inteso di cosa si parlava; troppi e molto chiari gli indizi in quelle poche righe che, infatti, così proseguivano: «'El italiano' relata una impressionante storia di amore, mare e guerra. Negli anni 1942 e 1943, durante la Seconda guerra mondiale, incursori subacquei italiani, con una serie di missioni affondarono o danneggiarono seriamente ben quattordici mezzi navali alleati presenti nella base navale di Gibilterra della baia di Algeciras. In questo romanzo, ispirato a fatti realmente accaduti, sono immaginari solamente alcuni dei personaggi così come alcune delle situazioni.» Il romanzo di uno scrittore già di fama notevole in Spagna e già autore di altri numerosi romanzi storici di successo-con le sue quattrocento pagine, lette quasi tutto d'un fiato, mi è piaciuto molto e spero possa essere presto editato anche in lingua italiana affinché molti altri italiani possano, ne son certo, apprezzarlo. È anche il caso di segnalare che 'El italiano' è stato il libro più venduto tra le migliaia di libri presenti nella Fiera del libro di Madrid 2021. Arturo Pérez-Reverte è nato a Cartagena, in Spagna, a fine 1951. È stato giornalista di guerra per più di vent'anni, coprendo da reporter numerosi conflitti armati in Africa, America ed Europa, per giornali, radio e televisione.
80 anni fa si consumò la tragedia dell'esercito italiano sul Fronte del Don Vi perì anche un terzo del totale dei soldati brindisini caduti nella Seconda guerra mondiale Pubblicato su il7 Magazine del 16 dicembre 2022
In questi giorni ricorre l'anniversario 80 della morte di Antonio-Antonuccio-Caravaggio, giovane brindisino, ufficiale pilota della Regia Aeronautica, pluridecorato, caduto in combattimento a soli 24 anni l'8 novembre del 1942 sul fronte... more
In questi giorni ricorre l'anniversario 80 della morte di Antonio-Antonuccio-Caravaggio, giovane brindisino, ufficiale pilota della Regia Aeronautica, pluridecorato, caduto in combattimento a soli 24 anni l'8 novembre del 1942 sul fronte libico-egiziano della seconda guerra mondiale. Antonuccio lasciò a Brindisi la giovane moglie veneta, Palmina Meo in attesa di Piero, che non avrebbe conosciuto il suo padre Eroe, cui non avrebbe mai tralasciato un solo giorno di pensare ed onorare. Antonio Caravaggio, un concittadino di cui andare fieri, un giovane che sacrificò la propria vita servendo il suoil nostro-Paese, con l'entusiasmo la destrezza e il coraggio propri di quegli eroi che tutti dovremmo onorare e, con orgoglio, mai dimenticare. Iniziando quel tragico novembre del '42, in Nordafrica le forze dell'8 a Armata britannica comandate dal generale Bernard Montgomery, dopo mesi di cruenti combattimenti avevano sconfitto le forze dell'Asse comandate dal generale Erwin Rommel nella battaglia di El Alamein in Egitto dove, già addentratisi ben oltre il confine libico e malgrado la povertà degli armamenti e la soverchiante superiorità militare britannica, i soldati italiani della Folgore avevano scritto una delle pagine di guerra più eroiche della loro storia, arrendendosi solo il 6 novembre senza aver mai alzato la bandiera bianca agli inglesi e ricevendo da quei potenti nemici l'onore delle armi. Anche per l'italiana Regia Aeronautica di base a Tobruk in Libia, la situazione era divenuta specialmente drammatica e il giorno 7 novembre, in concomitanza col ripiegamento delle forze residue dell'Asse dal Fronte egiziano, il Tenente pilota Antonio Caravaggio e l'Aviere scelto Autiere Benicchio Battista, appartenenti entrambi al 101° Gruppo, furono inviati in missione speciale dal loro comandante, per poter recuperare un indispensabile materiale aeronautico che era stato depositato in prossimità del golfo Sollum, per cui partirono d'immediato con un automezzo SPA33, guidato dall'aviere. Durante il viaggio l'automezzo venne intercettato da aerei britannici e, ripetutamente colpito da mitragliamenti, prese fuoco. Dei due militari italiani non si ebbero più notizie certe e furono pertanto dichiarati "dispersi" nella speranza che fossero caduti prigionieri del nemico. Purtroppo, i seguenti accertamenti svelarono che entrambi i due aviatori erano periti: ritrovati gravemente feriti in prossimità del loro automezzo distrutto, erano stati trasportati all'Ospedale da Campo 469 P.M.220, dislocato presso El Adem, l'ultimo aeroporto italiano nel golfo di Sollum, dove giunsero senza vita, e l'8 novembre 1942 le salme vennero tumulate nel Cimitero di guerra di Bardia Alta, in Sollum, Tobruk, Cirenaica, Libia, zona confinaria con l'Egitto. [Colonnello Fernando Anaclerio] Al giovane pilota brindisino così scomparso in guerra, Sottotenente Antonio Caravaggio fu poi conferitacon Decreto del Capo Provvisorio dello Stato del 5 maggio 1948la Medaglia d'Argento al Valor Militare alla Memoria, con la motivazione seguente: "Provato e capace pilota, si distingueva per coraggio ed ardimento in un nuovo ciclo operativo portando la sua precisa offesa, con volo a tuffo, su munite basi nemiche. Nel corso di una violenta battaglia, nel tentativo di condurre a termine una missione in terra, veniva colpito a morte da mitragliamento aereo." Cielo dell'Egitto, 1° luglio-8 Novembre del 1942.
El Alamein: che in arabo significa "Le due bandiere" è una località nel Nord dell'Egitto sul mare Mediterraneo a 106 km a ovest di Alessandria d'Egitto. Un nome e un luogo che riportano la mente di tanti italiani alla famosa cruenta... more
El Alamein: che in arabo significa "Le due bandiere" è una località nel Nord dell'Egitto sul mare Mediterraneo a 106 km a ovest di Alessandria d'Egitto. Un nome e un luogo che riportano la mente di tanti italiani alla famosa cruenta battaglia della Seconda guerra mondiale. Una lunga battaglia durata più di quattro mesi nel corso della seconda metà del 1942 e combattuta in tre fasi principali: la prima tra il 1° luglio e il 27 luglio, la seconda tra il 31 agosto e il 6 settembre e la terza tra il 23 ottobre e il 4 novembre. Nell'estate del 1942 l'Armata corazzata italotedesca, comandata del feldmaresciallo Erwin Rommel, costituita dalla Panzerarmee Afrika e da tre corpi d'armata italiani, dei quali uno di fanteria e due meccanizzati, dopo aver costretto il 21 giugno la guarnigione inglese di Tobruk alla capitolazione, si era addentrata in Egitto con l'obiettivo di raggiungere Alessandria e troncare la vitale linea di rifornimenti britannica del canale di Suez. Il 1º luglio Rommel attaccò la linea difensiva britannica in El Alamein con il contributo italiano della 132ª Divisione corazzata Ariete, la 102ª Divisione motorizzata Trento, la 185ª Divisione paracadutisti Folgore, l'85º Reggimento Divisione Sabratha e il 9º Regimento Bersaglieri ascritto alla Divisione motorizzata Trieste. La difesa inglese resistette l'attacco e il giorno successivo il comandante britannico, generale Claude Auchinleck, contrattaccò, senza però avere successo. Seguì quindi una situazione di stallo che si protrasse fino a fine di luglio senza un chiaro vincitore e poi, in agosto, il generale britannico Bernard Law Montgomery prese il comando, quello dell'8ª Armata britannica. A fine settembre attraverso il Canale di Suez erano giunti consistenti rinforzi ai britannici: una serie di convogli navali alleati, essenzialmente statunitensi, che complessivamente sbarcarono l'impressionante cifra di oltre 200.000 tonnellate di mezzi e materiali bellici e così, ad El Alamein si trovavano allineati 1.351 carri angloamericani di varie caratteristiche e grandi capacità-Sherman e Grant americani e Crusaders inglesicontro 497 carri dell'Asse, di cui 239 carri medi e 20 carri leggeri italiani, mentre anche la superiorità della Royal Air Force era devastante, con i suoi 1.485 aerei contrastati da soli 750 aerei-580 italiani e 170 tedeschi. Alle 20.45 del 23 ottobre 1942, circa mille pezzi da campagna inglesi aprirono contemporaneamente il fuoco contro le posizioni italotedesche e furono necessari dodici giorni di violenti combattimenti per sconfiggere tutte le posizioni dell'Assele divisioni di fanteria e quelle corazzate e motorizzate italotedescheche opposero una tenacissima resistenza. In particolare, l'attacco degli inglesi nel sud del fronte fu letteralmente bloccato dalla violenta reazione della Folgore, composta da soli quattromila uomini. La battaglia di El Alamein provocò in totale la morte di 13.500 inglesi, 17.000 italiani e 9.000 tedeschi. Ad El Alamein, al km 120 della litoranea Alessandria d'Egitto, vicino ai cimiteri militari inglese e tedesco, sorge il Sacrario Militare Italiano su un'ampia zona di terreno collinoso che il governo egiziano ha dato in concessione all'Italia per un periodo di 99 anni. L'opera muraria realizzata su progetto dell'ingegnere Paolo Caccia Dominioni, Tenente colonnello comandante del 31° Battaglione guastatori stanziato in Africa Settentrionale e Medaglia d'Oro, si compone di tre distinti blocchi di costruzioni: il Sacrario propriamente detto, il complesso degli edifici situati lungo la strada litoranea e la base italiana
Con la proclamazionenel 1861-del Regno d'Italia, l'architettura istituzionale del Regno di Sardegna fu mantenuta nelle sue linee essenziali in cui il Parlamento si componeva della Camera dei deputati e del Senato subalpino. Il numero... more
Con la proclamazionenel 1861-del Regno d'Italia, l'architettura istituzionale del Regno di Sardegna fu mantenuta nelle sue linee essenziali in cui il Parlamento si componeva della Camera dei deputati e del Senato subalpino. Il numero ordinale delle legislature della nuova Camera dei deputati del Regno d'Italia fu conservato e il nuovo Senato del Regno d'Italia rappresentò il diretto successore del Senato Subalpino. Il 18 febbraio del 1861 il re Vittorio Emanuele II di Savoia convocò a Torino, a palazzo Carignano, il primo Parlamento del Regno d'Italia e con il suo discorso a Camere riunite venne inaugurata la nuova Legislatura, che fu l'VIII. Le prime elezioni per la nomina dei deputati del Regno d'Italiai senatori invece erano di nomina regia e restavano in carica a vitasi erano svolte il 27 gennaio 1861 ed erano stati chiamati al voto soltanto i cittadini maschi di età superiore ai venticinque anni capaci di leggere e scrivere. Si trattava del cosiddetto suffragio censitario in cui ad eleggere era solo una esigua minoranza degli italiani, costituita pressoché esclusivamente da grandi proprietari o da coloro che comunque godevano di un censo elevato. Gli aventi diritto di voto in quel 1861 rappresentarono solo l'1,7% della popolazione e dopo un primo allargamento della base elettorale promosso da De Pretis nel 1882, tale percentuale giunse al 7%. Poi, nel 1912, con la riforma di Giolitti venne introdotto il suffragio universale maschile che, pur con ancora varie restrizioni, portò gli aventi diritto al 23% della popolazione. Nel dopoguerra, con la legge Nitti approvata nel novembre del 1919, si concesse il diritto di voto a tutti i maschi sopra i 21 anni che avevano fatto il servizio militare. La continuità formale fu spezzata nel 1939, quando la Camera dei deputati fu sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni che decadde con la caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, determinando la fine dell'ultima legislatura del Regno d'Italia, la XXX, che era in realtà la 23 a. Seguì un periodo di transizione costituzionale in cui la funzione legislativa fu esercitata dalla Consulta nazionale e quindi dall'Assemblea costituente e, infine, dopo l'entrata in vigore della Costituzione del 1946, dalle nuove Camere del parlamento repubblicano. Il quanto al Senato del Regno, con l'avvento del regime fascista tutti i senatori nominati prima della marcia su Roma mantennero la carica però, nel 1939 in coincidenza con la nascita della Camera dei fasci e delle corporazioni, vi furono ben 212 nuove nomine regie, inevitabilmente pilotate dal regime. Caduto il fascismo, il re nominò presidente del Senato del Regno l'ammiraglio Paolo Thaon di Revel, che entrò in carica il 2 agosto. Nell'agosto del 1944 tutti i senatori, ritenuti responsabili di aver mantenuto il fascismo e resa possibile la guerra sia coi loro voti, sia con azioni individuali, tra cui la propaganda esercitata fuori e dentro il Senato, furono deferiti all'Alta corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo e a novembre, 258 senatori vennero dichiarati decaduti. Successivamente, 32 di loro furono reintegrati nella loro carica. In seguito al referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e all'elezione dell'Assemblea costituente, il Senato del Regno cessò le sue funzioni il 25 giugno 1946 per poi essere formalmente soppresso il 7 novembre 1947, scomparendo quindi definitivamente per essere sostituito dal Senato della Repubblica. Un senato divenuto elettivo come lo era da sempre stata la Camera dei deputati, però, con la nuova legge elettorale del 1946, a suffragio effettivamente universale. Ebbene, in quegli ottant'anni in cui si succedettero le ventitré legislature del Regno d'Italia, dall'VIII alla XXX, furono solamente cinque i brindisini che integrarono la Camera dei deputati, e due di loro anche il Senato. Seguendo l'ordine cronologico, furono: Cesare
Nell'Archivio di Stato di Brindisi, tra le carte del fondo "Prefettura" riposano vari fascicoli relativi all'emigrazione di contadini e operai nell'Africa Orientale Italiana negli anni compresi tra il 1934 e il 1940. Uno di quei fascicoli... more
Nell'Archivio di Stato di Brindisi, tra le carte del fondo "Prefettura" riposano vari fascicoli relativi all'emigrazione di contadini e operai nell'Africa Orientale Italiana negli anni compresi tra il 1934 e il 1940. Uno di quei fascicoli è relativo all'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia, direttamente citato nel filmato. Il 6 dicembre 1937, con il r.d.l. 2325 convertito nella legge n. 679 del 15 aprile 1938, fu istituito l'Ente di colonizzazione Puglia d'Etiopia. Era stato approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 19 ottobre 1937 su proposta del Ministero dell'Africa italiana, dopo essere passato all'esame del Consiglio superiore coloniale. Tra le motivazioni poste a base del provvedimento si includeva "la necessità della Nazione di dare lavoro ai suoi figli e, insieme, di popolare e valorizzare l'Impero… mentre migliaia di lavoratori italiani sono impazienti di emigrare nelle terre dell'Impero per apportare il contributo delle loro capacità alla valorizzazione di esse."
Le cronache giornalistiche brindisine degli ultimi sessant'anni si sono occupate con regolare periodicitàe continuano a farlo tuttoradi Serafino Giannelli, sindaco di Brindisi per un intero decennio, a cavallo tra gli anni Venti e i... more
Le cronache giornalistiche brindisine degli ultimi sessant'anni si sono occupate con regolare periodicitàe continuano a farlo tuttoradi Serafino Giannelli, sindaco di Brindisi per un intero decennio, a cavallo tra gli anni Venti e i Trenta. E lo hanno fatto sempre e solo a proposito della sua "eredità": un cospicuo patrimonio immobiliare e agrario che quel nostro generoso concittadino d'altri tempi volle lasciare a beneficio dei brindisini, in particolare di quelli più deboli e indifesi, gli anziani. Ebbene, quell'importante lascito patrimonialeche comprendeva anche la cinquecentesca tenuta "Pigna di San Martino" con dentro la meravigliosa "Villa Pignicedda" in stile libertyè stato dilapidato, abbandonato e quindi distrutto, dall'incuria, dalla burocrazia e dall'incapacità degli amministratori succedutisi, quelli privati e quelli pubblici della città e della regione, i quali, invece, avrebbero dovuto diligentemente custodirlo e amministrarlo mettendolo a frutto per dare compimento ai desideri chiaramente espressi da quel benefattore: imperdonabile! Mettendo ora da parte questo "triste" capitolo della cronaca cittadina recente, di fatto solamente una semplice appendice alla vita e all'opera di Serafino Giannelli, è forse più giustoperlomeno per questa voltaricordarlo per quello che fu in vita e, soprattutto, per quello che fece in vita: un brindisino al quale, riconoscendone comunque l'indubbia benemerenza, dopo vari anni dalla morte la sua città ha voluto intitolare una strada del centro storico: già via Anime, uno stretto corridoio che con i suoi due trami contigui ad angolo retto, fa da raccordo tra piazza Anime e Corso Roma. Serafino Giannelli era nato a Brindisi il 3 gennaio del 1874, figlio di Damiano e di Rosaria Pinto. Nipote del facoltoso proprietario terriero, lo zio Serafino, sposò Concetta Tanzarella rimanendo senza discendenti diretti e morì ottantottenne, a Brindisi il 14 settembre del 1962. Fin da giovane, e con ancor più impegno dopo la morte dello zio omonimo dal quale nel 1897 aveva ricevuto in eredità importanti aziende agrarie, si era dedicato alla cura delle attività agricole. Poi, in procinto di compiere cinquant'anni, fu eletto consigliere comunale e fu nominato sindaco di Brindisi. Fin da prima che terminasse la Grande guerra, e precisamente dal 29 luglio 1917, l'amministrazione comunale di Brindisi era entrata sotto gestione commissariale, dopo che la maggior parte dei consiglieri comunali si era dimessa per contrasti interni. Quel commissariamento era terminato con le elezioni del 24 ottobre 1920 con la nomina dell'amministrazione del sindaco Giovanni Mazari, il quale però, dopo meno di cinque mesi, si dimise ed assunse l'incarico Giuseppe Giorgino, come sindaco facente funzioni. Poi, verso la fine del 1922 1 le attività della Giunta amministrativa si andarono paralizzando a causa di 1 MACI LIONELLO "L'avvento del fascismo a Brindisi" in Il Novecento-L'Eco di Brindisi, 2001 «…Il fascismo dilaga in Italia prim'ancora della marcia su Roma del 28 ottobre 1922. Il futuro duce ha già fondato il movimento fascista a Milano il 23 marzo 1919. Tra la fine del 1920 e gli inizi del 1921 sorgono ovunque i fasci di combattimento allo scopo di reagire alla disgregazione dello Stato, incapace di fronteggiare l'ondata di scioperi e disordini che stanno facendo precipitare il Paese nel baratro socioeconomico. La città del cervo non si sottrae alla tendenza generale. Al fascio di Brindisi, sorto il 10 gennaio 1921, s'iscrivono subito 124 persone. Il 31 gennaio 1923 si costituisce in città la sezione del Partito nazionale fascista con 700 aderenti. Il giorno dopo le camicie nere danno vita alla 153 a legione 'Salentina' suddivisa in sette coorti al comando di Gino Martinesi.
All’epoca, di “hub aerei” e di “voli low-cost” non se ne immaginava neanche minimamente la possibile esistenza, eppure l’ancor giovane aviazione commerciale mondiale progrediva ogni giorno con passi da giganti e Brindisi, con il suo... more
All’epoca, di “hub aerei” e di “voli low-cost” non se ne immaginava neanche minimamente la possibile esistenza, eppure l’ancor giovane aviazione commerciale mondiale progrediva ogni giorno con passi da giganti e Brindisi, con il suo fiammante aeroporto terrestre inaugurato da Mussolini il 30 luglio di quello stesso 1933 - nel 1938 fu intitolato al pilota civile morto in incidente di volo Antonio Papola - e con il suo storico idroscalo, anche civile, tecnologicamente potenziato, era balzata decisamente all’avanguardia mondiale da quando, il 1° agosto del 1926, era decollato il primo volo commerciale internazionale di linea italiano, “Brindisi-Atene-Costantinopoli” della Aereo Espresso Italiana AEI, che nel 1927 aggiunse la rotta Brindisi-Atene-Rodi mentre la Società Italiana Servizi Aerei SISA inaugurava la Brindisi-Durazzo-Zara e, nel 1928, la Società Aerea Mediterranea SAM avviava la Brindisi-Valona.
“Nelle prime ore del mattino di quel 1°Agosto 1926, alla presenza delle autorità italiane e degli ospiti stranieri rappresentanti dei governi turco e greco, si svolse la cerimonia inaugurale del ‘primo volo internazionale di una linea italiana’, con il dono del gagliardetto della città di Brindisi da parte del sindaco Serafino Giannelli al comandante Umberto Maddalena. Subito dopo, alle 8.40 circa, l’idrovolante Savoia Marchetti SM-55C (I-AMES), pilotato da Maddalena mosse dall’idroscalo, raggiunse il porto interno ed infine, alle 9.00 precise, decollò tra gli applausi della folla che gremiva le banchine del porto e le sponde del canale Pigonati, giungendo al Falero presso Atene alle 13.30.”
Le primissime linee aeree italiane, tra cui la AEI che aveva la sua base in Brindisi, che avevano iniziato le loro attività con capitali privati e sovvenzioni pubbliche, in un decennio erano diventate 14, alimentando un traffico di passeggeri e merci terzo al mondo dopo Stati Uniti e Gran Bretagna. Poi, nel corso del 1934, tutte le linee aeree civili italiane furono confluendo nella statale Ala Littoria, con la quale nel 1938 l’Italia giunse a detenere circa la metà dei primati contemplati dalla
Federazione Aeronautica Internazionale, tra cui quelli di velocità e altezza, e di durata e affidabilità. Stesso anno in cui l’aeroporto di Brindisi, formato da idroscalo e campo terrestre, divenne sede di una delle sei direzioni di rete della compagnia di bandiera, la Direzione della Rete del Levante da cui dipendevano i sei scali principali di: Brindisi, Atene, Rodi, Haifa, Tirana, e Salonicco. L’aeroporto di Brindisi, inoltre, era sede di una delle quattro officine sussidiarie dell’Ala Littoria, attrezzate per poter effettuare qualunque lavoro di revisione dei velivoli.
il nome del grande genio italiano è passato da parecchi lustri alla storia; non si può quindi con brevi linee illustrare né la grandiosità delle sue invenzioni né la sua stessa grandezza intellettuale. Il certo si è che Marconi è... more
il nome del grande genio italiano è passato da parecchi lustri alla storia; non si può quindi con brevi linee illustrare né la grandiosità delle sue invenzioni né la sua stessa grandezza intellettuale. Il certo si è che Marconi è conosciuto in tutti i continenti, sia tra i cittadini delle più grandi metropoli del mondo sia tra gli abitanti del più disperso villaggio o delle sabbiose dune dei deserti. Dal fanciullo all'adulto, dall'analfabeta all'erudito, dal tecnico all'incompetente, tutti gli strati sociali di tutti gli stati del mondo conoscono Marconi. Il suo nome ha qualche cosa di magico, così come Edison l'aveva per l'America; e le sue invenzioni, che nel campo delle trasmissioni senza fili hanno portato una grande rivoluzione ed hanno fatto compiere un decisivo e grandissimo passo avanti, hanno portato all'umanità un contributo di civiltà incommensurabile. Si calcolano infatti a diecine di migliaia le vite umane salvate dalla telegrafia senza fili. In tempo di pace come in tempo di guerra, sui mari procellosi od a migliaia di metri in aria, attraverso lo sconfinato e pauroso deserto o tra le fitte ed impenetrabili selve, dovunque passa velocissima l'onda di Marconi per portare un grido d'allarme o l'ultima parola del radiotelegrafista che affonda insieme alla nave, o il consiglio del medico che salva un infortunato, oppure la scintilla che farà accendere migliaia di lampadine elettriche a diecine di migliaia di chilometri, vero miracolo che solo il genio di Marconi poteva compiere. Presidente dell'Accademia d'Italia egli lavora instancabilmente per nuove invenzioni che preparano al mondo luminoso avvenire; degnissimo figlio di questa stirpe italica che diè uomini grandi, fissatisi nella storia come astri rilucenti, col suo preclaro ingegno ha conferito alla Patria sua, che oggi come mai lo onora e ama, grandissimo lustro e vanto. Brindisi, che, come tutte le città d'Italia, segue sempre ed ovunque il grande genio, esulta oggi per l'onore che le è toccato e porta all'illustre scienziato il suo deferente ed affettuoso saluto insieme al voto di prosperità per il bene dell'Italia e del mondo. Stamane alle ore 8 col transatlantico Conte Rosso del Lloyd Triestino, è giunto a Brindisi S. E. Guglielmo Marconi accompagnato dalla gentile consorte Marchesa Maria Cristina. L'illustre scienziato si era, come è noto, imbarcato sulla magnifica nave a Shanghai, reduce dal trionfale viaggio compiuto in America e nell'Estremo Oriente, in Giappone ed in Cina (dove in una città si è perfino eretto un monumento a ricordo del suo passaggio) e durante il quale italiani e stranieri si sono stretti intorno a lui inneggiando al genio italiano, alla Patria nostra ed al Duce. La notizia che Marconi sarebbe giunto a Brindisi circolava da parecchi giorni in città cosicché quando il transatlantico, con bella manovra, s'è attraccato alla banchina prospicente la Capitaneria di Porto, una folla impressionante si era già addensata. Ad ossequiare l'eminente scienziato Presidente dell'Accademia d'Italia, sono saliti a bordo S. E. il Prefetto, il Segretario Federale con Direttorio, il Console Generale della Milizia, il Preside della Provincia, il Podestà e tutte le alte autorità politiche, civili e militari. Si è altresì recato a salutare S. E. Marconi l'Ammiraglio On. Dentice di Frasso Presidente della Compagnia di Navigazione proprietaria del piroscafo. Alla marchesa Marconi sono stati offerti ricchi lasci di fiori da S. E. il Prefetto e dalle altre autorità ed uno dalla Sezione dell'Associazione S. Barbara fra reduci dell'Arma del Genio, omaggio gentile di vecchi soldati alla gentile consorte dell'illustre uomo che durante la guerra, prima di passare nella R. Marina, fu ufficiale del Genio Telegrafisti.
Sono state tante le occasioni in cui si è scritto sul nostro “Monumento”, il Monumento al Marinaio d’Italia di Brindisi. E non poteva essere altrimenti per un monumento divenuto da subito, dal momento stesso della sua inaugurazione, ed a... more
Sono state tante le occasioni in cui si è scritto sul nostro “Monumento”, il Monumento al Marinaio d’Italia di Brindisi. E non poteva essere altrimenti per un monumento divenuto da subito, dal momento stesso della sua inaugurazione, ed a pieno titolo, simbolo della città. Edificato di fronte alle Colonne per dar luogo con quelle ad una simbiosi ormai indissolubile, per la città e per il suo fantastico e, da sempre, famoso porto Mediterraneo: il più bello e il più sicuro.
Anch’io ne ho scritto più volte e una delle prime fu quando sul quotidiano Senzacolonne del 5 luglio 2012 commentavo una delle foto del gruppo Fb Brindisini la mia gente. Si trattava di una foto un po’ speciale: era la foto del modello allegato al progetto del Monumento elaborato dall’architetto Luigi Brunati in occasione della sua partecipazione al concorso di cui risultò vincitore; progetto che lui intitolò “Sta come torre”. Ecco il testo di quel mio breve articolo:
«Qualche osservatore appena un po' attento, riconoscerà le stranezze di questa foto del nostro glorioso Monumento. Si tratta di una foto che riposa negli archivi dell’Ufficio Storico della Marina Militare e raffigura il modello del progetto dell’architetto Luigi Brunati che fu mandato in cantiere e che durante il corso dei lavori subì qualche leggera modifica, sicché quello finalmente realizzato e che noi possiamo tutt’ora contemplare è un po’ diverso in certi dettagli da quello della foto.
Le due statue che nella foto troneggiano ai due lati furono sostituite da due cannoni che durante la Prima guerra mondiale erano appartenuti a unità navali austriache. I tre fasci littori che in bassorilievo erano apposti al disopra della targa commemorativa furono sostituiti da due fasci molto più grandi apposti in bassorilievo sulle due pareti laterali della torre e che furono successivamente rimossi.
Ma la modifica certamente più rilevante è quella che si riferisce agli aspetti strutturali dell’opera: la banchina antistante il piazzale era nel progetto pronunciatamene concava con una scalinata anch’essa curva che doveva coprire il dislivello dal piazzale al mare, il quale in questo modo si avvicinava suggestivamente alla base del Monumento. Fu proprio tale vicinanza ritenuta eccessiva che suggerì il cambio, ampliando di molto il piazzale e ritirando in conseguenza il mare dalle fondazioni del Monumento che avrebbero potuto essere col tempo danneggiate dalla troppa vicinanza dell’acqua. Comunque, tutte le modifiche descritte, di fatto non sconvolsero l’essenza dell’opera di Brunati il cui progetto aveva vinto il concorso tra moltissimi, 92 per l’esattezza, partecipanti alla gara che era stata appositamente indetta.»
Gli “Angelo” e i “Teodoro” Titi a Brindisi si sono succeduti ed alternati perlomeno nel trascorso degli ultimi 250 e forse più anni e comunque, quanto meno, a partire da quell’Angelo padre di quel giovane Teodoro che nel 1848 fondò la... more
Gli “Angelo” e i “Teodoro” Titi a Brindisi si sono succeduti ed alternati perlomeno nel trascorso degli ultimi 250 e forse più anni e comunque, quanto meno, a partire da quell’Angelo padre di quel giovane Teodoro che nel 1848 fondò la società operante nel settore marittimo che a tutt’oggi continua le attività dalla sua storica sede di corso Garibaldi. Il fondatore Teodoro Titi, discendente da un militare spagnolo stanziatosi a Brindisi in epoca vicereale tra fine ‘600 e inizio ‘700, divenne armatore di una goletta – il Brick Shooner che volle denominare "Angioletto" in onore del proprio padre Angelo – la quale propulsata dalle vele trasportava mercanzie dal porto di Brindisi attraverso tutto il Mediterraneo. Nel 2008, in occasione dell’anniversario 160 della fondazione dell’Agenzia Marittima Titi è stato pubblicato, con l’appoggio della Biblioteca De Leo, un interessante volume documentale intitolato “Trascrizione del giornale di bordo della goletta L’Angioletto – 1858”.
Nel seguito, a quella attività commerciale della prima nave presto se ne affiancarono altre, collegate a navi più grandi e non già più solo a vela, né più solo per trasportare mercanzie, ma anche passeggeri. Il Regno di Napoli, Brindisi compresa, passò ad integrare il nuovo Regno d’Italia e nella famiglia Titi sarebbe venuta la volta di due fratelli, “Angelo e Teodoro”, che in successione avrebbero guidato durante gran parte del ‘900 la società, ormai matura e divenuta rigogliosa parallelamente con la vigorosa crescita della città di Brindisi e del suo del porto, che a partire dalla fine dell’800 sarebbe stata impulsata in primis dalla cosiddetta “trionfale avanzata del vigneto” e poi dall’apertura del Canale di Suez nel 1869 e del Traforo del Fréjus nel 1871, nonché dal conseguente avvio della Valigia delle Indie, il famoso collegamento ferroviario e marittimo Londra-Bombay via Brindisi, che in certa misura contribuì a far consolidare le infrastrutture portuali.
Oronzo Andriani era nato a Brindisi in Via Conserva il 20 maggio del 1878, figlio di Pasquale Andriani, maresciallo dei Carabinieri Reali, e di Concetta Zaccaria. Alla sua morte, sopraggiunta nel 1931, non aveva ancora compito i 53 anni,... more
Oronzo Andriani era nato a Brindisi in Via Conserva il 20 maggio del 1878, figlio di Pasquale Andriani, maresciallo dei Carabinieri Reali, e di Concetta Zaccaria. Alla sua morte, sopraggiunta nel 1931, non aveva ancora compito i 53 anni, eppure la sua carriera militare era stata straordinaria: era iniziata in giovanissima etànel 1890nella prestigiosa Scuola militare della Nunziatella di Napoli ed era giunta al suo apice nel 1925, con la promozione al grado di Generale di Brigata Aerea che gli fu conferito non ancora compiti i 47 anni. Fu infatti proprio Andriani, il primo italiano in assoluto ad indossare la divisa azzurra di Generale dell'Aeronautica Militare Italiana, dopo che il 28 marzo 1923 era stata formalmente costituita la nuova arma: la Regia Aeronautica. Fino ad allora, i piloti e gli arei militari appartenevano all'Esercito, mentre gli idrovolanti e i rispettivi piloti appartenevano alla Marina Militare: per tale motivo, fu della Marina Militare il primo nucleo dell'aeroporto di Brindisi, la stazione per idrovolanti creata il 6 dicembre 1914 con tre velivoli Curtiss. Dalla Nunziatella Andriani, passò a frequentare la Regia Accademia Militare dell'esercito di Modena, da cui uscì nel 1898-a vent'annicon il grado di sottotenente e fu assegnato al corpo dei bersaglieri: al 12º Reggimento con sede a Milano. Erano quelli gli anni in cui l'aviazione in Italia e nel mondo cominciava a dare i primi passi e Andriani, appassionatosi da subito al volo e agli aerei, iniziò a frequentare la scuola di volo a Malpensa dove, nel 1909 gli industriali Giovanni Agusta e Gianni Caproni avevano realizzato un campo d'aviazione per effettuare le prove di volo dei loro prototipi, ed in seguito vi avevano creato anche una scuola d pilotaggio. Nel gennaio del 1912 il già pilota brevettato Andriani entrò a far parte, da comandante della scuola di volo, dell'appena costituito Battaglione aviatori del Real esercito italiano e nel settembre di quello stesso anno fu asceso a capitano e quindi nominato comandante del battaglione: "Primo Battaglione di Aviatori Malpensa". Tra i piloti del battaglione, tanti diverranno assi ed eroi della Grande guerra, tra loro anche Francesco Baracca. «Il 26 novembre 1912, in una notte alquanto nebbiosa, il capitano Andriani, i tenenti De Rossi, Lampugnani, Venanzi e Baracca, ognuno sul proprio aereo, effettuarono una serie di voli tendenti a sperimentare i fari ad acetilene posti sugli aerei per il riconoscimento del terreno di atterraggio. In volo notturno si spinsero a grandi altezze, discendendo poi con impressionanti voli librati nelle tenebre… Il 16 marzo 1913, Oronzo Andriani esperimentò il primo collegamento aereo di telegrafia senza fili. Alzatosi in volo con il suo aereo Nieuport, su cui era stato montato un apparecchio ideato da un allievo di Guglielmo Marconi, raggiunse la città di Novara e da una quota di mille metri si inviarono cinque telegrammi che furono ricevuti tutti regolarmente e chiaramente alla base di Malpensa.» [La base navale di Brindisi durante la Grande guerra di G. T. Andriani-1993]. All'inizio della Grande guerra Andriani, al commando della 6ª Squadriglia di stanza sul campo d'aviazione di Campoformido presso Udine, si distinse subito per coraggio e valore, tanto che gli fu conferita la Medaglia di bronzo al valor militare con la motivazione seguente: "Andriani Oronzo, da Brindisi, capitano dei bersaglieri, battaglione aviatori. Compì numerose ed importanti ricognizioni, azioni offensive e segnalazioni del tiro alle nostre
Nel 1908 a Watts, un allora piccolo quartiere popolare di Los Angeles in California, fu fondata una chiesa cattolica che affacciava sulla Compton Avenue e venne intitolata al Santissimo Redentore. Nel 1922, giunse in città, dall'Irlanda,... more
Nel 1908 a Watts, un allora piccolo quartiere popolare di Los Angeles in California, fu fondata una chiesa cattolica che affacciava sulla Compton Avenue e venne intitolata al Santissimo Redentore. Nel 1922, giunse in città, dall'Irlanda, l'Ordine dei francescani cappuccini e si fece carico della parrocchia che faceva capo a quella chiesa. I Cappuccini ribattezzarono la chiesa intitolandola a San Lorenzo da Brindisi, che presentarono alla comunità come "santo cappuccino, famoso per la sua intelligenza, la sua predicazione, la sua vocazione accademica e i suoi miracoli". Da subito, una delle principali preoccupazioni della nuova parrocchia e dei suoi ministri fu l'educazione scolastica. Pertanto, mediante assidui sforzi e sacrifici da parte dei frati cappuccini e dei parrocchiani, in poco tempo si riuscì a raccogliere la cifra di circa quarantamila dollari e con quelli-esattamente 100 anni fa, nel 1924-si poté edificare una prima modesta struttura scolastica ai margini dell'ampio terreno che era adiacente alla chiesa, e quindi si fondò una scuola parrocchiale la "Saint Lawrence of Brindisi Parish Catholic School". Quella prima scuola era un piccolo edificio in stile missionario e per la sua gestione furono chiamate le Suore di Notre Dame, che arrivarono in California con un lungo viaggio in treno da Cleveland nel lontano Stato dell'Ohio. La scuola iniziò le sue attività con 200 bambini delle elementari e nel 1960 il loro numero era cresciuto fino a più di 360 studenti. Nel 1962, l'edificio scolastico originale fu sostituito da una struttura più grande e più sicura, che fu costruita in mattoni rinforzati e cemento armato per essere resistente ai frequenti e pericolosi terremoti californiani. Nel loro tempo libero, gli uomini della parrocchia parteciparono attivamente alla costruzione, sistemarono l'ampio cortile della scuola e edificarono il padiglione per la mensa studentesca. Tutto trascorse tranquillamente per la nuova e bella scuola elementare fino all'estate del 1965, quando in Watts scoppiarono disturbi sociali violentissimi, che provocarono grandi devastazioni ed interessarono in particolar modo proprio le adiacenze in cui sorgeva la scuola San Lorenzo da Brindisi. Quei disturbi, la famosa ribellione di Watts, esplosero l'11 agosto 1965, nel quartiere prevalentemente nero di Watts. Le rivolte durarono ben sei lunghissimi giorni, causando 34 morti, 1.032 feriti e 4.000 arresti, coinvolsero 34.000 persone e provocarono la distruzione di circa 1.000 edifici, con danni per oltre 40 milioni di dollari. Miracolosamente, durante la rivolta, alla chiesa ed alla omonima adiacente scuola San Lorenzo da Brindisi non accadde nulla ma, tra le tante distruzioni, anche molte aziende del borgo furono bruciate o seriamente danneggiate. Diverse fabbriche non riaprirono i battenti ed in conseguenza molte famiglie di operai e impiegati di Watts si trasferirono altrove. Inevitabilmente la matricola scolastica diminuì sensibilmente per la scuola San Lorenzo. Poi, se pur lentamente, tutto ritornò gradualmente alla normalità e ad oggi, la "St. Lawrence of Brindisi Catholic School" può vantare con orgoglio d'aver contribuito ininterrottamente per cent'anni alla crescita educativa e spirituale di migliaia di ragazzi e di ragazze. La San Lorenzo da Brindisi di Los Angeles, infatti, è oggi una scuola con asilo, scuole elementari e scuole medie. Ed ogni anno, con programmi accademici d'avanguardia, prepara studenti-ad oggi per il 93% di origine latino-americana e per il 7% di origine afroamericanache proseguono i loro studi nelle migliori scuole cattoliche dell'arcidiocesi californiana. In questo anno scolastico 2023-24 gli alunni sono in totale 287 e 11 sono gli insegnanti a tempo completo, sotto la guida del Padre Robert Sewe.
An extraordinary man who led an extraordinary life". Questo il titolo di un articolo comparso sulla BBC News subito dopo la morteil 9 apriledel principe Filippo duca di Edimburgo: "Un uomo straordinario che ha condotto una vita... more
An extraordinary man who led an extraordinary life". Questo il titolo di un articolo comparso sulla BBC News subito dopo la morteil 9 apriledel principe Filippo duca di Edimburgo: "Un uomo straordinario che ha condotto una vita straordinaria". Un articolo inevitabilmente abbastanza lungo, che passa in rassegna i tratti più emblematici di quella interessante ed intensa vita sulla quale sono stati già scritti non solo centinaia di articoli, ma anche interi libri, e molti altricertamentene saranno ancora scritti. Una vita centenaria che ha attraversato quasi per intero il turbolento secolo scorso densissimo di storia e di cambiamenti radicali, ed un quinto dell'attuale ventunesimo secolo. Una vita di affascinanti contrasti e contraddizioni, di servizio al suo paese di adozione e di un certo grado di solitudine. Nato a Corfù come principe di Grecia il 10 giugno 1921figlio del principe Andrea fratello del re Costantino XII di Grecia e nipote del re Giorgio I, e della principessa Alice di Battenberg, pronipote tedesca della regina Vittoria e sorella dell'ultimo viceré dell'India Louis di Battenberg, poi Mountbatten: letteralmente tradotto dal tedesco all'inglesesposò nel 1947 Elizabeth Windsor, poi incoronata regina d'Inghilterra, Elizabeth II, nel 1953. Questo, in sintesi, quanto raccontato nelle prime righe del già citato articolo della BBC: Un uomo complesso, intelligente, eternamente irrequieto. Di lingua pungente e irascibile, un uomo che raccontava barzellette di colore e faceva commenti politicamente scorretti, un eccentrico prozio che era stato in giro da sempre e verso il quale la maggior parte delle persone provava affetto, ma che troppo spesso metteva in imbarazzo sé stesso e gli altri con cui si accompagnava… I suoi primi anni furono trascorsi a vagabondare, poiché il suo paese di nascita lo espulse e poi la sua famiglia si disintegrò e si sparse tra un paese e l'altro, nessuno dei quali era mai il proprio. Suo nonno paterno, Giorgio I re di Grecia, era stato assassinato nel 1913. Sua madre nell'agosto 1902, all'incoronazione del re Edoardo VII succeduto alla regina Vittoria, conobbe suo padre. La sua prozia Ella Feodorovna, sorella della zarina Alexandra, fu assassinata dai bolscevichi a Ekaterinburg nel luglio 1918 poco dopo la fucilazione dello zar russo Nicola II con la zarina e tutti i figli. Le sue quattro sorelle avrebbero tutte sposato tedeschi e tre di loro avrebbero sostenuto attivamente la causa nazista mentre Philip avrebbe combattuto per la Gran Bretagna nella Royal Navy. Questo, invece letteralmente, il paragrafo dello stesso articolo della BBC News che fa esplicito riferimento a "Brindisi": «Quando Philip aveva solo un anno, lui e tutta la sua famiglia furono riscattati da un cacciatorpediniere britannico che li prelevò dalla loro casa sull'isola greca di Corfù dopo che suo padre, il principe Andrea che aveva partecipato alla guerra greco-turca, era stato condannato a morte perché ritenuto responsabile della sconfitta greca. Furono quindi trasportati e depositati in Italia, e così uno dei suoi primissimi viaggi internazionali Philip lo trascorse gattonando sul pavimento del treno abbordato in una città portuale italiana: era lui infatti "il bambino sudicio su quel treno desolato che una notte di dicembre partì da Brindisi" che la sorella minore Sophia avrebbe in seguito descritto nelle sue memorie.» Era accaduto che in seguito al colpo di stato militare dell'11 settembre 1922, lo zio di Philip, il re Costantino XII di Grecia, era stato costretto ad abdicare e a lasciare il paese esiliandosi a Palermo mentre suo fratello, il principe Andrea padre di Philip, era stato arrestato dal governo militare insediatosi in Atene. In quel critico e turbolento frangente, il Il principe Philip a Parigi nel 1922-poco dopo il suo viaggio a Brindisi La HMS Calypso che nel dicembre 1922 riscattò da Corfù il principe Philip e la sua famiglia portandoli a Brindisi
Contesto storico ed elenco dei militari brindisini "dispersi" nelle due guerre mondiali
Giuseppe Teodoro Andriani, recentemente scomparso, è stato un probo brindisino e appassionato cultore della storia cittadina che ci ha lasciato numerose pubblicazioni frutto della sua meticolosa e rigorosa ricerca storica, specialmente... more
Giuseppe Teodoro Andriani, recentemente scomparso, è stato un probo brindisino e appassionato cultore della storia cittadina che ci ha lasciato numerose pubblicazioni frutto della sua meticolosa e rigorosa ricerca storica, specialmente focalizzata sugli anni della prima metà del secolo scorso, quelli che registrarono-tra tanto altro-i due conflitti mondiali, eventi entrambi che videro direttamente e tristemente coinvolta anche Brindisi. Le due opere principali di Andriani, infatti, sono due libri intitolati "La base navale di Brindisi durante la grande guerra" e "Brindisi da capoluogo di provincia a capitale del Regno d'Italia". Ebbene, nel risguardo anteriore del secondo dei due libri citati, è riprodotta un po' sfuocata una fotografia che ha richiamato la mia attenzione, inducendomi a ricercarne la data e, soprattutto, il motivo della pomposa cerimonia in essa immortalata. Ecco qui il risultato: "1921 Inaugurazione della nuova conformazione di Piazza Cairoli". Risalendo un po' più indietro nella storia di Brindisi, ed in particolare nella storia dell'evoluzione urbanistica della città, nella "Pianta della Città di Brindisi a scala 1:2000 elaborata da Carlo Fauch nel 1871" non c'è ancora Piazza Cairoli, né ci sono i corsi Umberto I e Roma, giacché corso Garibaldiancora denominato Strada Amena pur se già dal 1797 fino al 1882 fu ufficialmente intitolata a Carolina, seconda moglie del re Ferdinando IVpartendo dal porto giungeva solo fino all'altezza di piazza Vittoria, allora ancora denominata piazza Mercato. In effetti, pur se risalente al 25 novembre 1866, il progetto "per la nuova strada tra la Mena e la Stazione" elaborato all'indomani dell'inaugurazione della stazione ferroviaria, fu realizzato solo nel 1875 per congiungere la stazione ferroviaria con quella marittima e così agevolare il transito dei passeggeri della "Valigia delle Indie". Il piano regolatore della città elaborato nel 1883 infatti, mostra sia la traccia dell'intero prolungamento del corso Garibaldi realizzato nel 1905 e successivamente, nel 1928, denominato corso Romae sia la traccia completa di corso Umberto I con nella sua metà la traccia di un perfetto quadrato-Piazza Cairolidiviso in quattro settori quadrati uguali e simmetricamente delimitati allo stesso corso e quindi dalle due vie ad esso perpendicolari, via Palestro proveniente da nord e via Alfredo Cappellini proveniente da sud. In un piano catastale del Comune datato ottobre 1899 in cui è rappresentata la piazza quadrata a scala 1:250, sui quattro lati è possibile leggere: sul lato del corso Umberto verso il mare, da una parte "Teatro Comunale" e dall'altra "Palazzo dei Sigg. De Marco; sul lato opposto del corso verso la stazione, da una parte "Caseggiato del Sig. Tarantini" e dall'altra "Suolo del Sig. Simone"; sul lato di via Palestro, da una parte "Suolo del Sig. Guadalupi Cosimo" e dall'altra "Palazzina del Sig. Doria e Casa del Sig. Guadalupi Teodoro"; sul lato di via Cappellini, da una parte "Poli Giovanni e Eredi Placanica (?)"e dall'altra "Eredi Di Fiori e Eredi Di Giulio". Così, e per quasi cinquant'anni, la Piazza Cairoli altro non fu che un ampio e desolato slargo quadrato suddiviso in quattro, su cui a mala pena si provò a piantare qualche alberello, così come documentato da varie fotografie risalenti ai primi due decenni del '900 e nonostante su uno dei suoi lati, già dal prima del 1900 fosse sorto l'elegante edificio del teatro Verdi. Infatti, si dovette attendere la fine della Grande guerra per poter riprendere i vecchi progetti di ammodernamento urbano e poter finalmente iniziare timidamente a realizzarli: tra quelli, la nuova conformazione della ormai divenuta centrale Piazza Cairoli.
Entrato il '900, l'Albania era ancora tutta sotto il dominio turco che si era instaurato più di cinque secoli prima, quando nel 1385 gli Ottomani l'avevano conquistata e gradualmente islamizzata. Nel 1870 però, era iniziato il... more
Entrato il '900, l'Albania era ancora tutta sotto il dominio turco che si era instaurato più di cinque secoli prima, quando nel 1385 gli Ottomani l'avevano conquistata e gradualmente islamizzata. Nel 1870 però, era iniziato il risorgimento nazionale albanese che nel 1912 doveva culminare con la dichiarazione dell'indipendenza di un popolo ancora diviso in tribù, principalmente in Gheghi a nord ancora in parte cattolici, e in Toschi a sud prevalentemente musulmani. D'altra parte, proprio nella prospettiva dell'evoluzione geopolitica che con il nuovo secolo tutta la regione balcanica si apprestava a intraprendere come conseguenza diretta dell'imminente sgretolamento del plurisecolare impero ottomano, quella regione dirimpettaia al meridione italiano, strategicamente ubicata all'imbocco dell'Adriatico, aveva già da tempo attratto l'attenzione dei governi italiani, specialmente dopo che nel 1908 l'Austria si era annessa la Bosnia e l'Erzegovina. Già nell'autunno del 1903, l'addetto militare italiano a Costantinopoli, colonnello Vittorio Trombi, aveva effettuato un'ispezione delle coste albanesi con anche la ricognizione di circa cinquanta chilometri, dalle foci del fiume Boiana alla città di Scutari sull'omonimo lago dell'entroterra oggi confine tra Montenegro e Albania, al fine di individuare ed esaminare i potenziali punti di sbarco per un conseguente attacco italiano finalizzato al controllo dell'Albania, ed aveva elaborato un dettagliatissimo rapporto che l'11 maggio 1904 fu trasmesso all'allora Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Tancredi Saletta. 1 Nel febbraio del 1911, ancor prima dello scoppio della guerra italo-turca provocata dall'Italia per sottrarre la Libia al dominio ottomano, il governo di Roma aveva prospettato uno sbarco in Albania, ma il generale Luigi Cadorna, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, si era opposto adducendo l'insufficienza dei mezzi messigli a disposizione 2. E nel maggio dello stesso anno, fallì pure il tentativo di organizzare una spedizione di volontari garibaldini in soccorso dei nazionalisti albanesi entrati apertamente in ribellione armata contro il governo turco. Ricciotti Garibaldi non riuscì infatti a coordinarsi con gli esuli albanesi in Italia, e poi si scontrò con l'aperta opposizione degli ambienti ufficiali italiani ormai tutti concentrati sulla grossa partita della guerra italo-turca 3. E fu proprio quella guerra libica, vinta dall'Italia, che aprì il varco alla prima guerra balcanica: l'8 ottobre 1912 il Montenegro dichiarò guerra all'impero ottomano e fu seguito dalla Bulgaria, la Serbia e la Grecia. Poco dopo lo scoppio di quella guerra, la minaccia greca e serba contro l'Albania indusse l'Italia e l'Austria a incoraggiare la costituzione di una nazione albanese e così, il 28 novembre 1912 in un'assemblea riunita a Valona, 83 delegati musulmani e cristiani proclamarono l'indipendenza dell'Albania, eleggendo a capo del nuovo stato Ismail Kemal Bey. Il 7 dicembre 1912 la nuova nazione venne riconosciuta e quindi attivamente sostenuta dal gruppo delle sei potenze Gran Bretagna-e la conferenza dei sei ambasciatori riunita il 29 di luglio a Londra, la riconobbe formalmente nella forma di un principato costituzionale e nominò una commissione internazionale per la delimitazione dei confini territoriali del nuovo stato.
I dodici brindisini che parteciparono all'epopea dannunziana di Fiume Poi, 100 anni fa, il colpo di stato che mise fine allo Stato Libero e Indipendente Pubblicato su il7 Magazine del 4 marzo 2022 Ho avuto un buon amico, un bravo collega... more
I dodici brindisini che parteciparono all'epopea dannunziana di Fiume Poi, 100 anni fa, il colpo di stato che mise fine allo Stato Libero e Indipendente Pubblicato su il7 Magazine del 4 marzo 2022 Ho avuto un buon amico, un bravo collega venezuelano che purtroppo non c'è più, il professore di geofisica Eugenio Gallovich nato a Fiume, il cui padre Luigi, fiumano, era nato suddito dell'impero austroungarico, da giovane era divenuto marino italiano, da adulto era emigrato in America come jugoslavo e infine, quando morì a Caracas, la sua nazione di nascita fu indicata essere l'attuale Croazia. La storia, anche quella relativamente recente, della città di Fiume, infatti, è una storia complessa quanto coinvolgente, legata alla sua particolare posizione geografica che ne ha determinato il carattere multietnico. Multietnicità che è per l'appunto il distintivo storicamente più risaltante di questa bella città marinara che, nell'arco di solo qualche decennio, fu ungherese austriaca italiana jugoslava e croata. In conseguenza, è impresa ardua e di fatto quasi impossibile il poter riassumere in poche righe quella storia, su cui del resto esiste una bibliografia estremamente voluminosa e, molto spesso, inevitabilmente troppo 'partigiana' quando elaborata da protagonisti più o meno diretti e più o meno identificati con una o con l'altra di quelle varie etnie. Ma ci provo. Fiume, appartenendo ai territori dell'impero asburgico, già a metà del '400 con l'imperatore Federico III fu resa 'comune autonomo' e nel 1779, con Maria Teresa, regina d'Austria, Ungheria, Boemia, Croazia e Slavonia, divenne 'Separatum Sacrae Regni Coronae Hungariae Corpus', cioè, corpo separato annesso alla corona ungherese. Nel 1848, in seguito alla proclamazione d'indipendenza dell'Ungheria, la città, occupata dalle forze imperiali passò sotto l'amministrazione croata per 20 anni finché, dopo la nascita dell'impero d'Austria-Ungheria, nel 1868 riprese il suo precedente status autonomo di 'Corpo separato annesso alla corona d'Ungheria'. La città, quindi, conobbe una notevole crescita economica e demografica conservando la sua impronta italiana nel quadro di una pacifica convivenza tra le varie etnie presenti: principalmente, oltre a quella italiana dominate, quella magiara e quella croata. Sul finire dell'800 però, i rapporti fiumano-magiari si deteriorarono quando Budapest introdusse riforme intese a 'magiarizzare' la città, tra cui l'obbligo della lingua ungherese nelle scuole superiori e la instaurazione di una polizia di stato accanto a quella comunale. E fu allora che a Fiume si cominciò a sviluppare un movimento irredentista filoitaliano in una popolazione che nella stragrande maggioranza era di lingua e cultura italiana, allo stesso tempo in cui un analogo movimento nazionalista iniziò a sorgere anche nella minoranza croata che all'epoca rappresentava circa il 20% dell'intera popolazione fiumana. Quando nel 1914 scoppiò la Grande guerra, parte degli arruolati fiumani furono inquadrati nel 19° Reggimento degli Honved ungheresi a Pecs e parte venne assegnata al 97° Reggimento austriaco che aveva stanza a Trieste. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia contro l'Austria, si registrò la diserzione di 113 fiumani che si arruolarono volontari nelle file dell'esercito italiano, mentre intere famiglie di Fiume che erano ritenute compromesse con l'irredentismo per l'Italia furono internate nel Campo di Tapiosuly, vicino Budapest: furono circa 800 i fiumani internati e 149 perirono per denutrizione, freddo e colera. In quello stesso
Anche al tempo dell'imperversare di internet, della web e-tra non molto -dell'intelligenza artificiale, può ancora risultare gratificante, o quanto meno sorprendente, trascorre qualche ora "sbirciando" tra le bancarelle di un mercato di... more
Anche al tempo dell'imperversare di internet, della web e-tra non molto -dell'intelligenza artificiale, può ancora risultare gratificante, o quanto meno sorprendente, trascorre qualche ora "sbirciando" tra le bancarelle di un mercato di libri, nuovi e usati, finanche-quasi quasi da non crederci-in America, negli States, meglio se in California, a Berkeley. E così, potrebbe anche accadere di imbattersi in un libro, un romanzo, il cui titolo richiami l'attenzione ed il cui contenuto riserbi una sorpresa. Quale nel mio caso la sorpresa? Nel romanzo si parla di Brindisi, anzi, il romanzo è in maniera preponderante, per quattro quinti delle sue 350 pagine, ambientato proprio a Brindisi. "A Letter from Italy" è una storia di guerra e d'amore, ma non solo, ispirata alla vita e ai racconti della prima donna al mondo corrispondente di guerra - dal Belgio nel 1914 e nel 1915, durante la Prima guerra mondiale - per l'Evening News e il Daily Mail di Londra, la australiana Marie Louise Mack (1870-1935). È un romanzo pubblicato in Australia by Hachette nel marzo 2017, scritto da Pamela Hart, nata Freeman nel 1960 a Sydney. La giornalista australiana Rebecca Quinn-la protagonista del romanzo-è una giovane donna di ventisei anni, per niente convenzionale. È un personaggio modernissimo per il suo tempo, quello di più di un secolo fa, che sostiene attivamente i diritti delle donne perché crede fermamente nell'uguaglianza del potenziale e della capacità tra i sessi. Nel pieno della Prima guerra mondiale, nell'ottobre del 1917, decide di mettere in pausa i suoi racconti che scrive sulle "Women's Page at the Sydney Morning Herald" ed abbandonare la tranquillità e la sicurezza della sua casa a Sydney per raggiungere i pericolosi scenari di battaglia europei, seguendo Jack, il marito giornalista, per coadiuvarlo nel suo lavoro di corrispondente di guerra che dovrà svolgere in Italia, specificamente sulle attività e sugli uomini della RAN, la Royal Australian Navy. LA STORIA: Alla fine del mese di settembre del 1917, la flotta australiana cacciatorpediniere, che da poco stava operando nel Mediterraneo, fu trasferita da Malta alla base navale di Brindisi al comando del capitano di corvetta William Henry Farrington Warren, con il compito di partecipare allo sbarramento del canale di Otranto. Due flottiglie di tre unità ciascuna, effettuavano pattugliamenti di quattro giorni continui alternati a quattro giorni in porto, da cui comunque molto spesso uscivano per scortare i piroscafi italiani che trasportavano truppe. Si trattava dei sei cacciatorpediniere-destroyers-della Classe River: Parramatta (55), Yarra (79), Huon (50), Swan (61), Warrego (70) e Torrens (67). Il 16 novembre 1917, il piroscafo italiano Orione carico di truppe fu colpito da un siluro al largo di Brindisi ed ebbe la poppa distrutta. Il Parramatta e il Yarra giunsero in soccorso dopo che il Warrego e il Huon avevano già salvato i sopravvissuti. Il Parramatta prese a traino l'Orione e quando il sottomarino austriaco sparò un secondo siluro, il Yarra partì alla sua caccia. Dopo l'infruttuosa ricerca tornò ad aiutare le operazioni di traino del piroscafo italiano fino a quando un rimorchiatore giunto da Brindisi poté prenderne il controllo.
Con il XX Secolo iniziò nel mondo l’epopea dell’aviazione: in America il 17 dicembre 1903 su una spiaggia del Nord Carolina, i fratelli Wright compivano il primo volo a motore; in Europa il primo volo lo effettuò, il 23 ottobre 1906... more
Con il XX Secolo iniziò nel mondo l’epopea dell’aviazione: in America il 17 dicembre 1903 su una spiaggia del Nord Carolina, i fratelli Wright compivano il primo volo a motore; in Europa il primo volo lo effettuò, il 23 ottobre 1906 vicino Parigi, il brasiliano Alberto Santos-Dumont; in Italia, il francese Léon Delagrange decollò dalla piazza d’armi a Roma il 24 maggio 1908.
Il conflitto italo-turco iniziato il 29 settembre 1911 fu un banco di prova per la nascente industria aeronautica e il primo impiego militare dell’aereo al mondo ci fu il 23 ottobre 1911, quando il comandante della 1ª Flottiglia aeroplani, capitano Carlo Piazza, effettuò un volo di ricognizione sullo schieramento nemico. Il primo bombardamento aereo avvenne per opera del sottotenente Giulio Gavotti, che il 1° novembre 1911 lanciò tre bombe sull’accampamento turco di Ain Zara e una sull’oasi di Tripoli. I risultati militari non furono eclatanti, ma quelle prime azioni italiane furono notate con interesse e furono studiate dai principali eserciti del mondo, che iniziarono a dotarsi di aerei da ricognizione e da bombardamento prima, e da caccia dopo.
La produzione aeronautica in tutto il mondo quindi – manifestazioni “pseudo sportive” a parte – si orientò decisamente sul settore militare, ben prima che qualcuno cominciasse a pensare ad un suo possibile sviluppo civile per il trasporto aereo di cose e di persone. E con lo scoppio della grande guerra, l’impulso tecnico ed economico che ricevette l’industria bellica dell’aria fu enorme. In Italia, questi i nomi più noti della fiorente industria aeronautica: Pomilio, Caproni, Macchi, Savoia, Ansaldo, SIAI, SIT, SIA, SAMI. Inoltre, e forse inaspettatamente, fu proprio nel mezzo – ed in parte a causa – della guerra che doveva emergere e svilupparsi un altro impiego fondamentale dell’aviazione, un impiego però in essenza civile: quello postale, cioè del servizio regolare di “posta aerea”.
La Regina Margherita era una regia nave da battaglia, gemella della Benedetto Brin; nella notte tra l’11 e il 12 dicembre del 1916, uscendo dalla baia di Valona diretta a Taranto, urtò due mine e in pochi minuti s’inabissò con il suo... more
La Regina Margherita era una regia nave da battaglia, gemella della Benedetto Brin; nella notte tra l’11 e il 12 dicembre del 1916, uscendo dalla baia di Valona diretta a Taranto, urtò due mine e in pochi minuti s’inabissò con il suo comandante e con seicento settantaquattro dei novecentocinquanta militari che erano a bordo. Tra le tante vittime si annoverarono nove marinai brindisini: Borioni Carlo, Caforio Francesco, Magliano Angelo, Nani Salvatore, Taliento Cosimo, Tevere Lorenzo, Toma Cosimo, Ungaro Giacinto e Villani Giuseppe. La nave era stata impostata nel 1898 nell’arsenale di La Spezia, varata nel 1901 e consegnata alla Regia Marina nel 1904. Il suo dislocamento normale era di 13.427 tonnellate, quello a pieno carico di 14.574 tonnellate. Era lunga 138,6 metri, larga 23,8 e con un’immersione di 8,9 metri. L’apparato motore era composto da ventotto caldaie che alimentavano due motrici alternative che sviluppavano una potenza di 20.000 cavalli per una velocità di venti nodi. L’unità era stata consegnata alla Regia Marina il 14 aprile 1904 e l’11 maggio dello stesso anno a La Spezia le era stata assegnata la bandiera di combattimento dalla regina Margherita in persona.
I due storici sommergibili "Balilla" entrambi di base a Brindisi il primo fu silurato e affondò 105 anni fa, il secondo ebbe miglior sorte Pubblicato su il7 Magazine del 30 luglio 2021 Il 5 dicembre 1746 a Genova i militari austriaci... more
I due storici sommergibili "Balilla" entrambi di base a Brindisi il primo fu silurato e affondò 105 anni fa, il secondo ebbe miglior sorte Pubblicato su il7 Magazine del 30 luglio 2021 Il 5 dicembre 1746 a Genova i militari austriaci rimasero impantanati con un cannone nel quartiere Portoria. L'ufficiale austriaco ordinò alla folla presente di aiutarli, scatenando la rivolta iniziata con la pietra lanciata dall'undicenne Giovan Battista "Balilla" Perasso. Anche se ancor oggi, a distanza di 175 anni e dopo insistenti ricerche, la sua figura è ancora a cavallo tra realtà e mitologia, è comunque storica la grande rivolta popolare che nel 1746 consentì a Genova di liberarsi delle truppe austriache da poco entrate in città. Già nell'Ottocento, ma soprattutto nel Novecento, Giovan Battista Perasso, detto il Balilla, divenne uno dei principali simboli dell'italianità: il cantiere marittimo Fiat San Giorgio di La Spezia, nell'agosto 1915 varò il sommergibile "Balilla"; il cantiere aeronautico Ansaldo Borzoli di Genova produsseil prototipo effettuò il primo volo di collaudo pilotato da Francesco Baracca nel novembre 1917un caccia ricognitore che chiamò "A1 Balilla"; nel febbraio 1927 i cantieri O.T. di La Spezia vararono un nuovo sommergibile "Balilla", capostipite di una Classe di quattro sommergibili; e la Fiat nel 1932 dedicò al "Balilla" la sua celebre utilitaria. Un mito, quello del "Balilla" che perdurò inossidabile, tanto che nel 1947 il famoso "calcio da tavolo" fu popolarmentee continua ad esserlo tuttorachiamato "calcio Balilla". Genova-5 dicembre 1746 Ma è ai due sommergibili "Balilla" che è dedicata questa pagina di storia brindisina, perchécosì lo ha stabilito la storiaentrambi, a distanza di quasi 30 anni l'uno dall'altro, ebbero la loro base proprio nel porto di Brindisi.
Nel mese di marzo 2016 si commemorò a Brindisi il centenario dell’arrivo dei MAS, i Motoscafi Anti Sommergibili, le cui siluette dovevano diventare familiari per tutti i brindisini di varie generazioni, i quali impararono a riconoscerle... more
Nel mese di marzo 2016 si commemorò a Brindisi il centenario dell’arrivo dei MAS, i Motoscafi Anti Sommergibili, le cui siluette dovevano diventare familiari per tutti i brindisini di varie generazioni, i quali impararono a riconoscerle quando solcavano le tranquille acque del porto con il loro inconfondibile rombo che annunciava l’imminente sopraggiungere delle loro imponenti onde fino alle rive delle spiagge, fino agli anni Settanta ancora tutte all’interno del porto.
In quel 1916 - tempo di guerra - Brindisi era la sede del Comando superiore navale del Basso Adriatico retto dal contrammiraglio Umberto Cagni, e il mare Adriatico era infestato dai temibili sottomarini austriaci che, con base nel porto di Durazzo, scorrazzavano facendo strage di convogli civili e di mezzi militari navali italiani.
La genialità degli ingegneri navali italiani era però riuscita a inventare e quindi a progettare con l’ingegnere livornese Attilio Bisio, fino a poi realizzare in poco tempo nei cantieri navali della Società Veneziana di Automobili Navali, una speciale barca torpediniera lignea, mossa da un motore a scoppio di 40 cavalli ed incredibilmente economica: velocissima e versatile, con duecento miglia di autonomia, fornita di un cannoncino da 75 mm e, soprattutto, di due potenti e letali siluri a tenaglia, costituendo un’arma che avrebbe potuto colpire il nemico con massima efficienza, in mare aperto così come nei suoi stessi porti.
Il 27 settembre alle ore 8 e 10 minuti del mattino quando si compiranno cento anni esatti dall'esplosione della santabarbara della nave che si trovava alla fonda nel porto medio in prossimità della spiaggia Fontanelle, adiacente a... more
Il 27 settembre alle ore 8 e 10 minuti del mattino quando si compiranno cento anni esatti dall'esplosione della santabarbara della nave che si trovava alla fonda nel porto medio in prossimità della spiaggia Fontanelle, adiacente a Marimisti, di fronte alla costa Guacina. La nave s'incendiò e s'inabissò portando con sé in fondo al mare 456 marinai, in sostanza la metà dell’intero equipaggio di 943 uomini che in quel lunedì mattina erano imbarcati, e tra i tantissimi caduti il comandante della nave, il capitano Gino Fara Forni e anche il comandante della 3ª Divisione Navale della 2ª Squadra, il contrammiraglio Ernesto Rubin de Cervin.
Un boato tremendo squarciò l'aria e il rombo di un'esplosione si ripercosse lontano sul mare e sulla città, le navi ancorate ebbero un sussulto e le case tremarono. La nave non si vedeva più e al suo posto una colonna alta oltre cento metri di fumo giallo, rossastro, misto a gas e vapori s'innalzava al cielo. La catastrofe apparve in tutta la sua orrenda grandiosità alcuni momenti dopo, quando la colonna di fumo lentamente si diradò.
Nel campo militare, gli aeromobili furono inizialmente impiegati per sorvolare, osservare e analizzare i territori nemici e l'eventuale campo di battaglia, operando quindi come mezzi da ricognizione e collegamento; l'idea di poter... more
Nel campo militare, gli aeromobili furono inizialmente impiegati per sorvolare, osservare e analizzare i territori nemici e l'eventuale campo di battaglia, operando quindi come mezzi da ricognizione e collegamento; l'idea di poter combattere nei cieli fu il passo successivo, quando i piloti delle nuove macchine volanti iniziarono a includere nel proprio equipaggiamento pistole e fucili, armi personali presto sostituite dalle mitragliatrici installate a bordo; poco dopo si pensò, e alla fine si sperimentò, un terzo impiego bellico per gli aeroplani, quello destinato a diventare uno dei mezzi offensivi per eccellenza delle guerre moderne: il bombardamento aereo. Gli aerei stessi, quindi, si cominciarono a specializzare e a differenziare in tre categorie principali: ricognitori, da caccia e bombardieri. Proprio all'Italia spetta il primato mondiale d'aver effettuato il primo bombardamento aereo della storia, eseguito dal tenente dell'esercito Giulio Gavotti in Libia, il 1° novembre 1911 nel corso della guerra italo-turca: dall'abitacolo del suo aereo, un Etrich Taube di costruzione austriaca, lanciò manualmente tre bombe Cipelli su un accampamento turco ad Ain Zara e subito dopo ne lasciò cadere un'altra sull'oasi di Tripoli. [https://lc.cx/Ai8xSg] Gli inizi dell'aviazione militare navale italiana-in precedenza gli aerei ed i rispettivi piloti militari appartenevano esclusivamente all'esercito-risalgono ai primi anni del XX secolo, però fu solo nel giugno del 1913 che fu costituito ufficialmente il Servizio Aeronautico della Regia Marina e poco dopo, il successivo 20 luglio, fu nominato capo di stato maggiore della Marina Regia l'ammiraglio Paolo Thaon di Revel, che avrebbe dato un notevole impulso allo sviluppo e al potenziamento dell'aviazione navale. Quando il mezzo aereo era cominciato a profilarsi indispensabile per una più efficiente condotta delle operazioni in mare, era maturata l'idea di poter disporre di unità navali appositamente attrezzate e sin dal 1912 si erano effettuate le prime prove relative alla sistemazione di aerei a bordo di unità navali, con alcuni idrovolanti Curtiss di progetto statunitense impiegati sulla corazzata Dante Alighieri, prima nave a imbarcare un idrovolante. Poi, nel giugno 1914, si trasformò l'incrociatore Elba in nave appoggio idrovolanti, con la costruzione di ricoveri per alloggiare gli idro FBA della Franco-British Aviation e attrezzata per calarli in mare per il decollo e per recuperarli al termine del volo tramite dei verricelli. Passata l'Elba al disarmo, nel gennaio 1915 fu sostituita dal transatlantico Quarto, ribattezzato Europa, opportunamente trasformato per poter imbarcare inizialmente quattro idrovolanti italiani Macchi M.5. Fu però la Prima guerra mondiale che diede il vero impulso allo sviluppo dell'aviazione navale, giacché il 24 maggio 1915, all'entrata in guerra dell'Italia, il Servizio aeronautico della Regia Marina era composto solamente da, appena: tre aeroscali per dirigibili, a Ferrara, Jesi e Campalto con in totale due dirigibili; una stazione idrovolanti a Venezia con due aviorimesse e sei aerei; una stazione idrovolanti a Porto Corsini con quattro aerei; una stazione idrovolanti a Pesaro con due aerei; una scuola di aviazione a Taranto con quindici aerei; e la nave appoggio idrovolanti Elba a Brindisi con due idrovolanti. Durante il conflitto, il Servizio aeronautico navale perse 121 uomini, ottenendo 405 decorazioni, tra cui due medaglie d'oro al valor militare, conferite ai tenenti di vascello piloti Giuseppe Garrassini Garbarino ed Eugenio Casagrande; inoltre, due dei suoi piloti divennero assi dell'aviazione, il tenente di vascello Giuseppe Miraglia e il tenente di vascello Orazio Pierozzi, che operò con gli idro-caccia da Brindisi ,diventando l'ufficiale della marina
Probabilmente molti giovani brindisini d'oggi non sanno che l'aeroporto di Brindisi, recentemente denominato "Del Grande Salento" ed in origine intitolato al comandante di aeromobile civile Antonio Papola deceduto il 13 febbraio del 1938... more
Probabilmente molti giovani brindisini d'oggi non sanno che l'aeroporto di Brindisi, recentemente denominato "Del Grande Salento" ed in origine intitolato al comandante di aeromobile civile Antonio Papola deceduto il 13 febbraio del 1938 in un incidente di volo, ha avuto un glorioso antenato e capostipite che tra pochissimo commemorará il suo primo centenario della nascita.
Un mese dopo l'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 in cui furono uccisi l'arciduca Francesco Ferdinando erede al trono austroungarico e sua moglie Sofia, l'impero dichiarò guerra alla Serbia. L'Italia, formalmente legata... more
Un mese dopo l'attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914 in cui furono uccisi l'arciduca Francesco Ferdinando erede al trono austroungarico e sua moglie Sofia, l'impero dichiarò guerra alla Serbia. L'Italia, formalmente legata all'Austro-Ungheria e alla Germania dalla Triplice Alleanza, inizialmente si dichiarò neutrale per poi, quasi dieci mesi dopo, il 24 maggio 1915, schierarsi con la Triplice Intesa di Francia, Regno Unito e Russia.
Nello stesso giorno della dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia, Ricciotti Garibaldi lanciò un proclama incoraggiando i giovani a sostenere il popolo serbo e, stigmatizzando le azioni asburgiche come potenzialmente pericolose per l'unità e la libertà d'Italia, invitando la gioventù italiana ad agire.
Di fatto però, pur non mancando importanti manifestazioni di appoggio da parte degli esponenti politici del partito repubblicano e nonostante Ricciotti avesse anche intrapreso un viaggio nelle capitali europee incontrando alcuni tra i maggiori statisti del tempo e prospettando loro la possibilità di formare un corpo di volontari per intervenire nei Balcani, per il veto del governo e l’ostilità dello stato maggiore in Italia, l’idea non progredì e il proclama non raccolse troppe entusiastiche adesioni, con la maggior parte dei giovani democratici italiani che, stimando minime le prospettive di essere messo in atto, decise di attendere gli ulteriori sviluppi della situazione. Ma ci fu una eccezione che, se pur numericamente limitata, era destinata a divenire storicamente emblematica della partecipazione italiana alla Grande guerra: una primissima azione armata che ebbe inizio proprio da Brindisi.
«…Così, la mattina del 21 aprile 1897, partii per Brindisi solo e all’insaputa di tutti, fuor che di mio fratello Menotti, d’Ettore Ferrari, di Gattorno e di qualcun altro. Arrivato a Brindisi mi furono prodighi di gentilezze i signori... more
«…Così, la mattina del 21 aprile 1897, partii per Brindisi solo e all’insaputa di tutti, fuor che di mio fratello Menotti, d’Ettore Ferrari, di Gattorno e di qualcun altro. Arrivato a Brindisi mi furono prodighi di gentilezze i signori Giustino Durano, direttore dell’Indipendente, il cavaliere Dell’Aira, il signor Cocotò, console greco, i signori Mariani, Vittale e altri vecchi garibaldini; e sino l’egregio delegato gentilmente si mise a mia disposizione! Qui assistei a una delle solite scene di quei giorni: una quantità di giovani che volevano imbarcarsi, fra i quali ricordo il bravo Giuliano Bonacci, figlio dell’ex ministro, e Carnacina che poi risultò un eccellente ufficiale…»
Maturata, dopo qualche anno di gestazione, la decisione di creare una base navale a Brindisi, nel febbraio del 1909 il castello di terra-ribattezzato nell'occasione "Castello Vittoria" venne ceduto formalmente alla Marina Militare dopo... more
Maturata, dopo qualche anno di gestazione, la decisione di creare una base navale a Brindisi, nel febbraio del 1909 il castello di terra-ribattezzato nell'occasione "Castello Vittoria" venne ceduto formalmente alla Marina Militare dopo la chiusura del bagno penale che lì aveva operato durante l'ultimo secolo. Agli inizi del Novecento, infatti, il mare Adriatico aveva assunto un'importanza primaria nella geo strategia del Regno d'Italia e la creazione di una nuova base navale nel Basso Adriatico era divenuta prioritaria per fare da contraltare alle minacciose installazioni della Marina dell'impero austro ungarico presenti nella base di Cattaro. Nel 1905 il viceammiraglio Camillo Candiani aveva presentato uno studio che prevedeva la fortificazione del porto di Brindisi, secondo un articolato progetto che il 26 maggio 1905 venne approvato anche dal consiglio comunale cittadino presieduto dal sindaco Federico Balsamo, perché "la trasformazione di Brindisi in porto militare, sede di una stazione di cacciatorpediniere e base di rifornimento navale, avrebbe avuto senz'altro delle ricadute positive sull'economia della città". Tre anni dopo, quando l'Austria intervenne nei Balcani incorporando al suo impero la Bosnia e l'Erzegovina, il progetto tornò alla ribalta e l'ammiraglio Giovanni Bettolo, nuovo capo di Stato Maggiore della Regia Marina, nel mese di febbraio1908 si recò personalmente a Brindisi a bordo della corazzata Dandolo al fine di ultimare gli studi e quindi dare un forte impulso ai lavori già in corso, stabilendo proprio in quell'occasione di destinare il castello svevo a sede del Comando Marina. Quando poi, il 28 dicembre di quel 1908, la città di Messina fu sconvolta dal terremoto, nel 1909 la Marina decise di trasferire a Brindisi il Comando Torpediniere, con l'importanza strategica del porto accresciuta dalla prova Thaon. "Ieri mattina alle 11, la moderna corazzata veloce Vittorio Emanuele, al comando di Paolo Thaon di Revel, manovrando con le macchine, senza aiuto di cima e di rimorchiatore, è entrata con brillante manovra nel porto interno di Brindisi, prendendo due boe di prua ed una di poppa. È questa la prima volta che una nave da battaglia del tonnellaggio della Vittorio Emanuele, di circa 13 mila tonnellate, della pescagione di metri 8,40 e della lunghezza, di metri 133, entra nel porto interno." [Gazzetta ufficiale del Regno d'Italia del 14 maggio 1909] Con il regio decreto del 28 aprile 1910 fu emanato l'Ordinamento e regolamento delle Difese Marittime Italiane al cui primo articolo erano elencate le piazzeforti che dovevano avere comandi marittimi permanenti; e fra quelle, Brindisi. Subito dopo, il ministro della marina Carlo Mirabello annunciò l'elevazione a capitaneria dell'ufficio circondariale di porto di Brindisi. E il 22 giugno 1911, alla vigilia del conflitto italo-turco, il porto di Brindisi fu elevato a elemento di prima categoria nei riguardi della difesa militare dello Stato, ferma restando l'iscrizione del porto stesso nella prima classe nei riguardi del commercio. Così, scoppiato il conflitto alla fine di settembre, la base navale di Brindisiin cui i servizi logistici erano stati ormai approntatifu messa in stato di guerra costituendosi da subito in rilevante riferimento strategico e operativo per le forze militari italiane. Nel contesto di quella guerra, provocata dall'Italia con l'obiettivofinalmente concretizzato-di strappare la Libia alla Turchia, stante l'impasse militare determinatosi in
Nel 1650 Alfonso Guerrero, presidente della Regia Camera della Sommaria in Napoli, propose al re di Spagna Felipe II, di stabilire in Brindisi una base navale della Regia armata, per arginare il pericolo turco sul viceregno di Napoli,... more
Nel 1650 Alfonso Guerrero, presidente della Regia Camera della Sommaria in Napoli, propose al re di Spagna Felipe II, di stabilire in Brindisi una base navale della Regia armata, per arginare il pericolo turco sul viceregno di Napoli, sopportando dettagliatamente la sua proposta in base alla evidente strategicità del porto di Brindisi. Quella base navale però, non fu installata finché, 260 anni dopo… agli inizi del Novecento, l'Adriatico assunse un'importanza primaria nella geo strategia del Regno d'Italia e, per poter controbilanciare la base di Cattaro della marina austro ungarica, divenne prioritaria la creazione di una base navale nel Basso Adriatico: a Brindisi. La creazione in Brindisi di una base navale si suppose che avrebbe avuto ricadute positive sull'economia della città, e il 26 maggio 1905 il consiglio comunale approvò unanimemente una risoluzione che auspicava la realizzazione del progetto che era stato appena elaborato dal viceammiraglio Camillo Candiani per elevare quello di Brindisi a porto militare, con sede di stazione torpediniere e base di rifornimento navale. Invero, nonostante l'entusiastico sostegno dell'onorevole brindisino Pietro Chimienti in Parlamento, quel progetto fu per qualche anno mantenuto "in studio" mentre nel porto solo giunsero a stazionare alcune modeste navi da guerra e, nel 1907, alcune torpediniere cominciarono ad essere ancorate alla banchina delle Sciabiche, inizialmente nel tratto dell'attuale via Paolo Thaon di Revel. Poi, nel 1908 qualcosa cominciò a smuoversi quando il capo di Sato maggiore della Marina, viceammiraglio Giovanni Bettolo, visitò Brindisi con la nave corazzata Dandolo e nel gennaio 1909 presentò una sua particolareggiata relazione al ministro della Marina, Carlo Mirabello, in cui confermò la necessitàe al contempo la fattibilità-di creare a Brindisi una base navale "alle cui funzioni nessun altro punto della costa adriatica si prestava". E, nel contesto del piano previsto, indicò come sede del Comando Marina il castello di terra, all'epoca adibito a reclusorio. Durante i precedenti cent'anni, infatti, il grande castello svevo altro non era stato che "il bagno penale" di Brindisi. «Circa il 1810, regnando in Napoli Gioacchino Murat, si pensò di trasformare questo Castello in uno stabilimento penale e, all'incirca verso il 1813, passarono ad abitarlo i condannati» [Giovanni Tarantini, 1870]. Con i Borboni ritornati sul trono di Napoli la destinazione che era stata data al castello non cambiò e, come gli altri stabilimenti penali del tempo, passò alle dipendenze della Real Marina per poi, nel 1857, essere trasferito al Ministero dei lavori pubblici. Neanche l'Unità d'Italia mutò il destino del castello, quando i bagni penali furono riassegnati temporalmente al Ministero della marina e in quello di Brindisi variarono le truppe assegnate alla custodia dei prigionieri: da quelle del Real esercito, a quelle della Guardia nazionale. Poi il 1º gennaio 1867 ci fu il trapasso dal Ministero della marina a quello dell'interno. Nel 1892 i "bagni penali" furono aboliti per legge e continuarono a funzionare come "case di reclusione". Tra febbraio e marzo 1909, dopo il trasferimento dei reclusi a Lecce, la Marina Militare prese possesso del castello e predispose i lavori di adattamento. Durante tutti quegli ultimi anni in cui il castello funzionò come prigione, l'agibilità delle aree tutt'intorno era rimasta sostanzialmente impedita alla popolazione di Brindisi, per cui erano sorte non poche controversie tra l'amministrazione carceraria e il Comune. Il demanio infatti, oltre alla Piazza d'armi, si era riservato anche tutto il resto dell'area sottesa dalla cinta muraria nel tratto dal torrione Inferno vecchio al castello, i cui terreni agricoli erano dati in
Brindisino di due secoli fa, Ugo Giuseppe Gigante – Peppino per gli amici – aveva un innato talento per la musica e nel suo DNA aveva anche il gene DRD4-7r, una speciale variante del recettore della dopamina D4, conosciuto come "il gene... more
Brindisino di due secoli fa, Ugo Giuseppe Gigante – Peppino per gli amici – aveva un innato talento per la musica e nel suo DNA aveva anche il gene DRD4-7r, una speciale variante del recettore della dopamina D4, conosciuto come "il gene del viaggio". Nato infatti nell’ultimo quarto dell’800 – il 24 agosto del 1885 – nella provincialissima Brindisi, non esitò a lasciare casa famiglia e amici per andare a studiare nella lontana Pesaro quando, appena compiti i quindici anni, vinse una borsa di studio della Deputazione Provinciale di Terra d’Otranto, grazie alla quale poté entrare al prestigioso liceo musicale – il Conservatorio Gioacchino Rossini – di quella città marchigiana, che all’epoca era diretto nientemeno che da Pietro Mascagni.
Dal 1892 al 1954, oltre dodici milioni di emigranti da tutto il mondo entrarono legalmente negli Stati Uniti sbarcando su Ellis Island, una piccola isola poi divenuta molto famosa nella baia del porto di New York, al cospetto della Statua... more
Dal 1892 al 1954, oltre dodici milioni di emigranti da tutto il mondo entrarono legalmente negli Stati Uniti sbarcando su Ellis Island, una piccola isola poi divenuta molto famosa nella baia del porto di New York, al cospetto della Statua della Libertà. Nel 1954 l’organizzazione amministrativa che vi era stata creata cessò di operare come centro
d’immigrazione e nel 1965 fu dichiarata monumento nazionale. Nel 1990, nelle sue strutture riconvertite, fu aperto al pubblico l’Ellis Island Immigration Museum, già visitato da più di 40 milioni di persone, compreso me e – certamente – molti di voi. Nel 2011 iniziò ad essere riordinata e pubblicata una raccolta di documenti riguardanti
gli oltre 25 milioni, tra passeggeri e membri degli equipaggi delle navi, arrivati al porto di New York tra il 1820 e il 1957, registrati nell’Ellis Island oppure, prima e dopo gli anni del suo operare, nelle altre strutture portuali: principalmente Castle Garden in Manhattan, dove tra 1855 e 1890 operò il centro d’immigrazione registrando in totale 8 milioni di arrivi. Quasi
10 milioni di immagini relative ai documenti dei passeggeri transitati nel porto di New York in quei 130 anni, e che erano già state conservate su microfilm, sono state elaborate da un esercito di volontari per trascriverne i contenuti, poi ordinati digitalizzati e indicizzati. Il risultato è un enorme database contenente decine di milioni di dati: nomi cognomi età origini
destini date e quant’altro disponibile su tutte quelle persone...
Ho raccolto ed ordinato nelle pagine di questo volume alcuni dei miei articoli scritti e pubblicati nel corso degli ultimi anni, tutti in qualche misura relativi a fatti, cose, eventi, racconti e personaggi appartenenti alla storia... more
Ho raccolto ed ordinato nelle pagine di questo volume alcuni dei miei articoli scritti e pubblicati nel corso degli ultimi anni, tutti in qualche misura relativi a fatti, cose, eventi, racconti e personaggi appartenenti alla storia relativamente recente di Brindisi, in particolare alla storia del secolo scorso, il Ventesimo: il 900 brindisino, appunto.
Si tratta di cinquantacinque articoli che ho raccolto e qui ordinato seguendo la sequenza cronologica dei racconti trattati in ognuno di essi, relativi quindi, agli anni che spaziano tra il primissimo Novecento e gli ultimi decenni dello stesso secolo.
Come introduzione ho pensato bene riproporre le ultime pagine del mio libro intitolato “Brindisi nel contesto della storia” scritto qualche anno fa dal quale ho estratto e qui riprodotto l’ultimo capitolo: quello relativo alla storia di Brindisi nel XX secolo.
In appendice, infine, ho raccolto e riportato le cinquanta schede che elaborai una decina d’anni fa, curando una rubrica settimanale sul quotidiano brindisino Senzacolonne, in cui pubblicavo ogni volta una fotografia antica della città, e quindi la commentavo. Si tratta, anche in questo caso, di contenuti tutti in qualche modo ricollegabili alla storia cittadina dello stesso secolo scorso.
Ognuno dei vari capitoli di questo volume tratta un singolo tema e tutti i temi appartengono ad una stessa storia, particolarmente densa e per molti aspetti tumultuosa, una storia – quella di Brindisi – che ben merita di essere raccontata studiata ed approfondita per intero e, magari, in qualcuno dei lettori, proprio il contenuto di questo libro potrebbe stimolare la curiosità necessaria per farlo.
Il testo può essere letto capitolo dopo capitolo, ma non necessariamente: ognuno degli articoli, così come ognuna delle foto dell’appendice, infatti, non hanno tra loro un collegamento diretto e pertanto possono essere letti in maniera del tutto autonoma e, comunque, seguendo qualsiasi ordine che il lettore voglia preferire, scegliendo, magari, anche solo quelli che più possano interessare. Buona lettura!
Brindisi" per un giorno al centro dell'attenzione e della cronaca mondiale al castello svevo la cerimonia di gala di benvenuto ai Capi di Stato e di Governo del G7 Pubblicato su il7 Magazine del 7 giugno 2024 Ogni annodal 1975 in... more
Brindisi" per un giorno al centro dell'attenzione e della cronaca mondiale al castello svevo la cerimonia di gala di benvenuto ai Capi di Stato e di Governo del G7 Pubblicato su il7 Magazine del 7 giugno 2024 Ogni annodal 1975 in avantiuno dei sette paesi membri del gruppo G7 assume la presidenza del gruppo, stabilisce le priorità in agenda e organizza i vertici, nel seguente ordine: Francia, Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Giappone, Italia e Canada. L'Italia dal 1° gennaio di quest'anno 2024 ha rilevato la presidenza dal Giappone e ha scelto di ospitare la riunione annuale dei Capi di Stato e di Governo del gruppo proprio a Brindisi.
La popolazione messapica che abitava la regione peninsulare della Puglia dall'istmo Taranto-Ostuni in giù, cioè l'attuale territorio salentino, nei secoli precedenti alla romanizzazionedi fatto completata proprio con la conquista di... more
La popolazione messapica che abitava la regione peninsulare della Puglia dall'istmo Taranto-Ostuni in giù, cioè l'attuale territorio salentino, nei secoli precedenti alla romanizzazionedi fatto completata proprio con la conquista di Brindisi nel 267 a.C.oltre che certamente disseminata in comunità rurali, era concentrata in due dozzine di comunità urbane. Questi i nomiattuali quando identificabilidi quelle ventiquattro località [La penisola salentina nelle fonti narrative antiche di Nazareno Valente in Il delfino e la
Brindisi: città 'al limite' e 'città 'limes' da meta ideale d'ogni fuga a frontiera verso l'immaginario Parecchi anni fa scrissi di Buenos Aires 1 e raccontai di quella bella e interessante città sudamericana che in più occasioni ho avuto... more
Brindisi: città 'al limite' e 'città 'limes' da meta ideale d'ogni fuga a frontiera verso l'immaginario Parecchi anni fa scrissi di Buenos Aires 1 e raccontai di quella bella e interessante città sudamericana che in più occasioni ho avuto il piacere di visitare, sia per lavoro che per diletto. Il contesto di quel mio scritto mi portò a tentare un improbabile parallelismo tra Buenos Aires e Brindisi, che feci, in realtà, per segnalare una specifica ed in apparenza incongruente differenza tra le due città, pur entrambe portuali e pur entrambein senso geograficoestreme: Brindisi, con il suo porto intagliato presso l'estremità del tacco dello stivale italico propenso a sudest nel Mediterraneo a mo' di spartiacque tra i due mari Adriatico e Ionio e Buenos Aires, con il suo porto anch'esso situato prossimo ad una estremità geografica, addirittura la punta dell'intero continente americano, propensa a sud a mo' di spartiacque tra i due oceani Atlantico e Pacifico. Ebbene, mente Buenos Aires è, in apparente pieno rispetto della logica, un luogo estremo dal quale non si passa, ma al quale si arriva di proposito, per fermarsinon si va a Buenos Aires per poi proseguire il viaggio, o ci si ferma o si torna indietroa Brindisi, invece, normalmente e storicamente parlando, non ci si va, non ci si ferma, a Brindisi si arriva e da Brindisi si parte. Quale sarà, allora, la ragione di tale sostanziale differenza? Ebbene, la spiegazione è semplice e va ricercata nel fatto che, pur essendo geograficamente entrambe città luoghi 'al limite', solamente Brindisi èanche-luogo 'di limes', cioè 'di frontiera': di separazione ossia tra due entità e, nel caso specifico, nientemeno che tra due mondi, Occidente e Oriente. Ed è proprio a tale singolarità, a tale doppia peculiarità, che Brindisi deve gran partenel bene e nel maledella sua plurimillenaria storia nonché della sua indiscussa fama nel mondo: essere una città di frontiera è attributo abbastanza comune, ma essere allo stesso tempo città sita all'estremo di una propaggine geografica, di fatto continentale, è invece attributo decisamente singolare, forse unico. Molto probabilmente lo aveva ben scoperto anche Ernest Hemingway quando nel suo famoso 'Addio alle armi', nel dialogo tra Fredericil giovane tenente medico volontario americano, protagonista del romanzoe Gino, ufficiale medico italiano incontrato nelle retrovie del fronte del Carso, tra Gorizia e Caporetto nell'autunno del 1917, fa dire al secondo: «Tu cosa faresti se avessi una frontiera fatta di montagne?» E Frederic risponde: «Una volta gli austriaci venivano sempre bastonati nel Quadrilatero attorno a Verona, li lasciavano scendere in pianura e li bastonavano lì.» E Gino: «Ma i vincitori erano francesi, in casa d'altri è più facile risolvere i problemi militari.» E Frederic: «E già, quando si tratta del tuo paese non lo puoi usare così scientificamente.» E Gino: «Eppure i russi l'hanno fatto, per intrappolare Napoleone.» E Frederic: «Sì, ma quelli avevano un paese veramente enorme, se in Italia tentaste di ritirarvi per intrappolare Napoleone, vi ritrovereste a Brindisi! ...» Quindi, come a voler significare "in Italia, il luogo più remoto dove si potrebbe pensar di andare per fuggire da un nemico, è Brindisi: un luogo sito all'estremo geografico ed in più, luogo di frontiera". Qualcuno ha finanche avanzato la suggestiva idea che Hemingway in
Il destino di Brindisi – è stato già detto in tante altre circostanze ed in tanti altri modi – e l’esistenza stessa della città, sono stati da sempre indissolubilmente legati al porto, a quello straordinario porto naturale che... more
Il destino di Brindisi – è stato già detto in tante altre circostanze ed in tanti altri modi – e l’esistenza stessa della città, sono stati da sempre indissolubilmente legati al porto, a quello straordinario porto naturale che l’evoluzione geologica della regione creò milioni di anni fa:
«… Il porto è famosissimo in tutto il mondo… Sembra l'opera intelligente di una natura burlona, ma accorta. La costa, che dal monte Gargano fino a Otranto è quasi rettilinea ed incurvata in brevi tratti, nei pressi di Brindisi si spacca ed accoglie il mare, formando un golfo che si insinua nella terra con una stretta imboccatura profondissima, che può essere attraversata con navi di qualsiasi grandezza… Da questo stretto, il mare si riversa per un lungo tratto dentro la terraferma attraverso due fossati naturali che circonvallano la città ed è sorprendente, soprattutto nel corno destro, la profondità del mare che in qualche punto supera i venti passi. La città, che ha all'incirca la forma di una penisola, tra i due bracci di mare, è cresciuta sul più orientale porto d'Italia che ne ha determinato il destino…» [De Situ Japigiae di Antonio De Ferrariis - detto Il Galateo, 1558]
Un porto quindi, non solo morfologicamente straordinario, ma anche dall’altrettanto straordinaria posizione geografica ‘il più orientale d’Italia’ – e in alcuni contesti storici anche il più orientale d’Europa – che ne ha segnato l’enorme ‘strategicità’. Una strategicità che nel corso della plurimillenaria storia di Brindisi ha proiettato sulla città e sui suoi abitanti luci e, ahimè, anche ombre, come perspicacemente commentato da Giacomo Carito in occasione della presentazione del mio libro ‘Pagine di storia brindisina’ il 24 settembre del 2019:
«… Brindisi: durante tremila anni uno stesso luogo, ma molte città diverse con anche molte e diverse popolazioni; un luogo e una popolazione con, infatti, tanta letteratura storica, ma con relativamente poca memoria orale, perché alla persistenza dei luoghi non si è accompagnata quella della popolazione che a quei luoghi avrebbe bisogno di dare significanza. Una città, pertanto, molto difficile da identificare, perché continuamente si costruisce si decostruisce e si ricostruisce e che in qualche modo vive attraverso le ceneri delle centinaia di città ormai invisibili che hanno preceduto l’attuale. Una città, per questo, dalle tante e contrastanti definizioni che, pur volendo restare nel solo ambito del secolo scorso, il Novecento, spaziano “da porta attraverso la quale si va in Oriente – la Valigia delle Indie, a sentinella dell’Adriatico – la principale base operativa della flotta italiana durante la Grande Guerra; da capitale dell’uva e del vino, a effimera capitale dell’Italia sconfitta nella Seconda Guerra; da polo industriale – la città della chimica, fino alla Marlboro city – il centro violento del contrabbando”.
Qual è allora la città vera? Brindisi certamente è sempre la stessa città ed è anche sempre vera, eppure sembra che si tratti di tante città diverse. E fu così da sempre, o quanto meno da quando fu conquistata da Roma, nella prima metà del terzo secolo a.C. Fu da allora in avanti, infatti, che Brindisi, come la maggior parte delle città con una grande importanza strategica, è sempre stata considerata e quindi utilizzata in funzione di politiche riguardanti scelte nazionali e grandi relazioni internazionali. In conseguenza, nella storia di Brindisi, è stato generalmente molto limitato o del tutto nullo l’uso del territorio deciso o autonomamente gestito da parte degli abitanti della città, con di fatto una permanente scissione netta tra ciò che nel trascorrere dei secoli si decideva a Roma – o a Costantinopoli, a Palermo o a Napoli, a Bari o a Bruxelles e a Washington – e ciò di cui si discuteva, o ciò di cui si necessitava, o ciò che si anelava a Brindisi. Da qui il suo proporsi come ‘città provvisoria’ in cui apparentemente giacciono, accatastati come sul litorale dopo una mareggiata, testimonianze disparate di culture e linguaggi.
Purtroppo, inoltre, quando una città è molto importante strategicamente e le decisioni fondamentali non si devono prendere nella città, ma altrove, non è certo opportuno che quella città abbia un’amministrazione forte. E questo è forse il principale motivo della debolezza continua della città, di quel suo qualificarsi come città provvisoria, fondamentalmente cioè, una città che si deve reinventare continuamente in base alle scelte e alle decisioni che giungono, o che anzi sopraggiungono, da fuori...» [G. Carito, 2019]
Iapigia e Iapigi sono rispettivamenterisalenti alla fine del II millennio a.C.il più antico coronimo ed etnico utilizzati per identificare il territorio e gli abitanti dell'attuale Salento. Termini inizialmente impiegati anche per... more
Iapigia e Iapigi sono rispettivamenterisalenti alla fine del II millennio a.C.il più antico coronimo ed etnico utilizzati per identificare il territorio e gli abitanti dell'attuale Salento. Termini inizialmente impiegati anche per l'intera regione corrispondente, all'incirca, all'attuale Puglia. Verso la fine del IX secolo a.C. cominciarono a giungere e a stanziarsi in quelle terre nuovi popolatori e si produsse la differenziazione della Iapigia, da nord a sud, in Daunia, Peucezia e Messapia. Quest'ultima, corrispondente all'area geografica peninsulare della Iapigia delimitata dall'istmo identificabile dall'asse Brindisi-Oria-Taranto. Strabone, il geografo pontino vissuto ai tempi di Augusto, spiega (Libro VI) che la denominazione Messapia è di origine greca e che gli autoctoni, invece, chiamavano quel loro territorio Calabria. Autoctoni che si denominavano in parte Calabri ed in parte Salentini. Quindi, un solo coronimo Calabria e due etnici, Calabri e Salentini, anche se nelle fonti narrative greche lo stesso Strabone, per indicare la parte di territorio abitata dai Salentini, attesta anche il coronimo "Salentine", in latino anche "Salentina" e alla fine italianizzato in "Salento". I latini da parte loro, messo decisamente da parte il termine Messapia, recuperarono il coronimo Calabria e, senza dar troppo seguito al coronimo "Salentina", lo attribuirono all'intero territorio peninsulare a sudest del riferito istmo. Inoltre, per lo più, chiamarono Sallentini tutti i residenti della regione, a prescindere che fossero effettivamente tali o che fossero Calabri, e quindi utilizzarono sistematicamente il "Salentina" in senso qualificativo con molteplici locuzioni, tipo: "in agro Sallentino, in Sallentinis, Sallen-tinum promontorium", eccetera. Pertanto, il coronimo riportato dal greco Strabone, "Salentine"che il latino Marco Terenzio Varrone fa risalire a un'alleanza stipulata "in salo", ovvero in mare, fra i vari gruppi etnici che si trovarono a popolare quel territoriosembrerebbe aver avuto una vita effimera, ed i latini utilizzarono solo raramente l'accezione geografica del loro "Salentina". Il territorio peninsulare dell'attuale Salento quindi, pur se in buona parte abitato dai Salentini, nell'antichità non ebbe tale denominazione: non l'ebbe né prima dei tempi romani e né in quelli romani. E nei successivi? I Goti, e dopo la ventennale-515-535 d.C.guerra gotica i subentrati Bizantini, continuarono a chiamare quel territorio Calabria, fino a quando si produsse il curioso fenomeno della trasmigrazione di quella denominazione alla contigua regione del Bruzio. Migrazione verosimilmente occorsa nell'Alto medioevo in maniera graduale, e comunque certamente già del tutto consumata alla fine del secolo VIII.
Qualche anno fa, il 3 novembre 2014, scrissi su Senzacolonne News un articolo allegato in coda, che aveva più o meno lo stesso titolo - "Pigonati no, "Monticelli sì" - di questo mio nuovo scritto, in cui mi preme rettificare integrare e... more
Qualche anno fa, il 3 novembre 2014, scrissi su Senzacolonne News un articolo allegato in coda, che aveva più o meno lo stesso titolo - "Pigonati no, "Monticelli sì" - di questo mio nuovo scritto, in cui mi preme rettificare integrare e chiarire meglio quanto a suo tempo sostenuto. Quell'articolo iniziava così: «Il riferimento è naturalmente all'intitolazione del canale che a Brindisi separa il porto interno da quello esterno e che notoriamente si chiama canale Pigonati in riconoscimento del fatto che nel 1778 fu Andrea Pigonati a realizzare il suo 'riaprimento' dopo secoli [all'incirca dalla fine del 400, dopo che il principe Orsini Del Balzo aveva fatto affondare nell'imboccatura una nave colma di enormi sassi] di disastroso abbandono. Eppure, invece, sarebbe giustizia intitolarlo a Monticelli. Perché Andrea Pigonati, che fu l'ingegnere siciliano contrattato per realizzare quell'operache in effetti completò in tempi e costi limitatilo fece commettendo tanti e così gravi errori di progettazione che in pochissimi anni invalidarono completamente gli effetti della stessa. E perché Giovanni e Francescantonio Monticelli furono invece due illustri brindisini che lottando contro la potente e spregiudicata lobby gallipolina, tra il 1831 ed il 1834 si prodigarono riuscendo a scongiurare per Brindisi la morte ormai già di fatto decretata, convincendocoadiuvati dal cartografo brindisino Benedetto Marzollail re Ferdinando II a non desistere dal recuperarne il porto, come in effetti e per fortuna avvenne...» Naturalmente, tutta la questione è abbastanza più complessa ed articolata di quanto sopra concentrato in pochissime parole e, ad esempio, si potrebbe cominciare col dire che se piena giustizia si volesse fare davvero, quell'intitolazione potrebbe o dovrebbe includere anche Marzolla, Mati e addirittura Bixio. Benedetto Marzolla per quanto sopra detto, Tommaso Mati per essere stato lui l'ingegnere che elaborò un progetto di recupero del porto tecnicamente corretto e in buona parte finalmente attuato e il generale Nino Bixio, decisivo con l'aver veementemente sostenuto nel parlamento del regno la bontà e l'urgente necessità di approvare quel progetto. Ma vorrei qui spiegare soprattutto perché "Pigonati No" e vorrei farlo anche perché, ironia della sorte è proprio solo a lui che sembra siano stati riservati i meriti con l'intitolazione, non solo del canale, ma anche di una via cittadina del rione Sciabiche, che è poi lo storico rione in cui per tanto tempo avevano risieduto molti degli appartenenti alla famiglia Monticelli. Senza quelle due intitolazioni, probabilmente si sarebbe parlato molto meno o quasi per nulla dell'ingegnere siciliano, che magari nelle cronache cittadine sarebbe rimasto relegato quale uno dei vari autori dei tanti tentativi miseramente falliti di recuperare il porto interno di Brindisi...
...se puso a buscar información sobre la historia de Bríndisi, intentando romper las barreras nacionales, y encontró un libro en italiano con ese mismo título. Estaba en formato PDF. En el momento en que le dio la or-den a la computadora... more
...se puso a buscar información sobre la historia de Bríndisi, intentando romper las barreras nacionales, y encontró un libro en italiano con ese mismo título. Estaba en formato PDF. En el momento en que le dio la or-den a la computadora de que descargara el archivo, le apareció un mensaje preguntándole por qué buscaba ese libro y si le quería decir algo al autor. Noa respondió que era para armar una biografía de un médico italiano de Francavilla Fontana. Afortunadamente, se descargó el libro en castellano. Buscó el nombre de César y no decía nada sobre él.
«Sabato 5 ottobre 1872, alle ore 4 pomeridiane (dopo un viaggio in treno durato ore 66 e un quarto, ossia 2 giorni 18 ore e 15 minuti) giunse a Brindisi l’inglese Phileas Fogg, un ricco gentiluomo dell’alta società londinese, accompagnato... more
«Sabato 5 ottobre 1872, alle ore 4 pomeridiane (dopo un viaggio in treno durato ore 66 e un quarto, ossia 2 giorni 18 ore e 15 minuti) giunse a Brindisi l’inglese Phileas Fogg, un ricco gentiluomo dell’alta società londinese, accompagnato da Jean Passepartout. Erano partiti il mercoledì 2 ottobre dalla Victoria Station di Londra, a bordo del treno – la valigia delle Indie – delle 20:45 con destino Brindisi via Moncenisio. Un’ora dopo l’arrivo a Brindisi s’imbarcarono sul piroscafo Mongolia con destino Suez, raggiungendolo mercoledì 9 ottobre alle ore 11 antimeridiane (dopo un viaggio in nave di ore 114, ossia 4 giorni e 18 ore). Totale delle ore impiegate da Londra fino a Suez: 158 e mezzo, ossia, sei giorni e mezzo. Quindi, dopo aver toccato Bombay, Hong Kong, San Francisco e New York, il signor Fogg sarebbe rientrato a Londra esattamente 80 giorni dopo averla lasciato in treno per Brindisi.»
«… Alle 11.30 del mattino, dopo una piacevole corsa lungo una ricca campagna verde pianeggiante con a levante tanti paesini bianchi che brillavano contro il blu scuro dell’Adriatico, arrivammo finalmente a Brindisi. L’antica Brundisium... more
«… Alle 11.30 del mattino, dopo una piacevole corsa lungo una ricca campagna verde pianeggiante con a levante tanti paesini bianchi che brillavano contro il blu scuro dell’Adriatico, arrivammo finalmente a Brindisi. L’antica Brundisium dove si celebrò il famoso incontro di quell’interessante comitiva composta da Orazio Virgilio Mecenate e Augusto, e che poi divenne il grande porto dell’Impero. Adesso, una mezza dozzina di zatteroni forniti di draghe a vapore stanno raschiando vigorosamente il fondo dello stretto canale d’entrata al porto, trattando di ripulirlo per così restituirlo all’antica vita. Pensavo di aver visto città sporche, eppure mi mancano le parole per descrivere tanta ineffabile sporcizia: Tivoli al confronto è come un banchetto di eliotropi. Però, a Brindisi il sole risplende più bello che altrove, come testimoniato dalla luce fulgente e dal colore che assumono al tramonto le rive e le vele delle barche da pesca che rientrano in porto. Al seguente giorno provai a rappresentare il tutto in un bozzetto, ma non mi riuscì di farlo così luminoso...» Sanford R. Gifford
Una pagina abbastanza poco conosciuta della storia d'Italia, dell'Italia meridionale, corrispondente all'immediato dopoguerra unitario-quello cioè successivo alla spedizione dei Mille ed alla conseguente annessione de regno di Napoli a... more
Una pagina abbastanza poco conosciuta della storia d'Italia, dell'Italia meridionale, corrispondente all'immediato dopoguerra unitario-quello cioè successivo alla spedizione dei Mille ed alla conseguente annessione de regno di Napoli a quello di Sardegna per poi costituire il nuovo regno d'Italia-racconta che nel 1861, all'indomani della disfatta, circa duemila reduci del disciolto esercito del regno delle Due Sicilie si trovarono a dover combattere per un altro Sud, quello della Confederazione americana d'oltre l'Atlantico, dove proseguirono la loro guerra contro altri Nordici e dove, finalmente, s'imbatterono in una nuova catastrofica sconfitta. La storiografia, conseguenza inevitabile dell'assioma "la storia la scrivono i vincitori", nel contesto di quella famosa lunga e sanguinosissima guerra, si è occupata con relativa prolificità degli italiani combattenti tra le fila dei nordisti dell'Unione e così, molti dei loro nomi e delle loro gesta sono facilmente reperibili nella copiosa bibliografia inglese e italiana dedicata alla Guerra civile-o di secessione-americana. A cominciare da tutto quanto relativo all'eventuale ingaggio, finalmente non concretizzatosi, dello stesso Giuseppe Garibaldi da parte del presidente americano Abraham Lincoln. Sui combattenti italiani tra le fila dei sudisti della Confederazione invece, si è scritto molto meno, anzi veramente ben poco, e così, i loro nomi, pur molto numerosi, e le loro gesta, pur spesso meritorie, hanno ricevuto molta poca attenzione e ancor minore diffusione, rischiando pertanto di rimanere arroccati per sempre nel dimenticatoio della storia. 1 Venerdì 12 aprile 1861 scoppiò in America la guerra fra nordisti e sudisti, ovvero e per semplificare, fra gli yankees degli stati antischiavisti dell'Unione nordista e i dixies degli stati schiavisti della Confederazione sudista. Il conflitto deflagrò quando-casus belli-l'artiglieria sudista aprì fuoco per impedire il rifornimento del presidio nordista di Fort Sumter, vicino Charlotte in Carolina del Sud. Nel Nord, i volontari italiani che decisero di andare a combattere quella guerra, si arruolarono maggioritariamente nell'unità che poi fu popolarmente denominata Garibaldi Guards-il 39° New York Infantry Regiment-che usava la bandiera italiana adoperata da Garibaldi nel 1848 in Lombardia e nel 1849 a Roma, l'uniforme in camicia rossa pantaloni 1 Esiste una bibliografia assolutamente limitata di articoli pubblicati, sia in italiano che in inglese, che trattino specificamente della presenza degli ex soldati borbonici nelle fila confederate della Guerra civile americana. Del resto, libri interamente dedicati alla partecipazione italiana nella Guerra civile americana ne sono stati scritti pochi, solamente cinque, tutti abbastanza recenti, e di questi solo gli ultimi due-quelli di G. Oneto e di P. Poponessi-danno uno spazio ampio agli italiani confederati, mentre gli altri sono molto parsimoniosi: EMANUELE CASSANI Italiani nella guerra civile americana
Agli inizi del XIX secolo il sistema delle amministrazioni municipali del Regno di Napoli fu radicalmente scompigliato dalle riforme attuate dal nuovo regime napoleonico instauratosi a partire dal 30 marzo 1806 con Giuseppe Bonaparte re.... more
Agli inizi del XIX secolo il sistema delle amministrazioni municipali del Regno di Napoli fu radicalmente scompigliato dalle riforme attuate dal nuovo regime napoleonico instauratosi a partire dal 30 marzo 1806 con Giuseppe Bonaparte re. Sulla falsa riga del modello francese, il territorio del regno fu gerarchicamente suddiviso in province, distretti, circondari e comuni, entità tutte per le quali si provvide a regolamentarne e quindi implementarne il funzionamento. Dopo la restaurazione del 1815, il nuovo Regno delle Due Sicilie del re Ferdinando I conservò, di fatto quasi per intero, quell'organizzazione, riconoscendone implicitamente la efficace funzionalità. Il regno risultò inizialmente suddiviso in 22 province, 76 distretti, 684 circondari e 2189 comuni. La provincia di Terra d'Otrantocon capoluogo Lecce, 44 circondari e 100 comunicomprendeva i distretti di Lecce, Taranto, Gallipoli e Brindisi (con 8 circondari 16 comuni e 65.450 abitanti, di cui 6.409 di Brindisi, Tuturano inclusa). A capo di ciascuna provincia fu postoalle dipendenze del ministro degli interniun intendente, a cui furono affidati l'amministrazione civile, finanziaria e dell'alta polizia. In ogni distretto l'esecuzione degli ordini dell'intendente era affidata al sottintendente preposto. Il livello più basso della piramide era costituito dai Comuni che, sottoposti allo stretto controllo dell'intendente, al vertice avevano il sindaco che a sua volta presiedeva il consiglio comunale, detto decurionato 1 .
Il 7 marzo 1799 il generale francese Alexandre Dumas lasciò l'Egitto, dopo aver partecipato alla campagna napoleonica, diretto in Francia a bordo della Belle Maltaise. Dopo qualche giorno di navigazione però, le precarie condizioni della... more
Il 7 marzo 1799 il generale francese Alexandre Dumas lasciò l'Egitto, dopo aver partecipato alla campagna napoleonica, diretto in Francia a bordo della Belle Maltaise. Dopo qualche giorno di navigazione però, le precarie condizioni della nave e il mare in tempesta, costrinsero i francesi a cercare rifugio nel porto di Taranto, fiduciosi d'incontrare accoglienza amica in un territorio della novella Repubblica partenopea, da qualche settimana proclamata proprio con l'appoggio delle armi rivoluzionarie francesi. Non fu così: tutti furono catturati e imprigionati dai sanfedisti del cardinale Fabrizio Ruffo che, per sfortuna di quei naufraghi francesi, da qualche giorno avevano ricondotto la città sotto il controllo borbonico. Per il generale Dumas iniziò così una lunga e penosa prigionia, che doveva concludersi nella cella di un castello di Brindisi due anni dopo. Due anni di grandi sofferenze per il generale prigioniero e due anni di eventi, che a momenti furono veramente incalzanti, trascorsi in una Brindisi ignara di quell'appuntamento frugale con la leggenda-quella del Conte di Montecristo-che la storia gli aveva posto in serbo. Il generale Dumas, infatti, oltre ad essere «un militare sperimentato, un fervente repubblicano e un uomo di grandi convinzioni e spiccato valore morale. Famoso per la sua forza fisica, la sua destrezza con la spada, il suo coraggio e la sua naturale capacità a districarsi con disinvoltura dalle situazioni più difficili, fu anche conosciuto per la sua impertinenza arrogante e per i suoi problemi con le autorità. Fu un generale tra soldati, temuto dai nemici ed amato dai suoi uomini, un eroe in un mondo in cui tale appellativo non si attribuiva alla leggera» fu anche il padre del prestigioso romanziere Alexandre Dumas, autore dei Tre moschettieri e del Conte di Montecristo, i due arci famosi romanzi per i quali l'indubbio ispiratore fu proprio quel padre generale con la sua rocambolesca esistenza: quella di Thomas Alexander Davy de la Pailleterie, o più semplicemente Alex Dumas, come preferì firmarsi dopo essere asceso per merito proprio fino al grado di generale di divisione.
...all'incirca quegli stessi due anni in cui il generale Dumas rimase prigioniero del regno napoletano, videro Brindisi, dove quella celebre prigionia si concluse, spettatrice e protagonista di tutta una serie di altri eventi rilevanti,... more
...all'incirca quegli stessi due anni in cui il generale Dumas rimase prigioniero del regno napoletano, videro Brindisi, dove quella celebre prigionia si concluse, spettatrice e protagonista di tutta una serie di altri eventi rilevanti, che la resero partecipe – a volte attiva e passiva altre volte – della convulsa storia d'Italia e d'Europa trascorsa a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo.
Nella storia occidentale, il 1799 fu indubbiamente un anno rilevante, l'anno in cui stava per dilagare sull'Europa intera, con tutto il suo bagaglio rivoluzionario, l'uragano napoleonico piombato alla ribalta della storia universale al seguito della Rivoluzione francese scoppiata da un decennio.
Un anno vissuto a Brindisi da una città che, anche se con i suoi meno di seimila abitanti non attraversava certo uno dei suoi tempi migliori con i lavori di restauro del porto nuovamente sospesi, si pregiava comunque di avere come arcivescovo l'illustre Annibale De Leo4 – che aveva già fondato la biblioteca pubblica arcivescovile – e di contare con prominenti cittadini della levatura di Teodoro Monticelli4 e Carlo De Marco4. Un anno in cui la città si trovò a dover essere campo di battaglia tra sanfedisti e repubblicani, caposaldo della controrivoluzione popolare e per pochi giorni territorio conquistato dai repubblicani francesi, mentre era sindaco l'eclettico personaggio Francesco Gerardi...
Nel Libro delle Anime di Brindisi 1754 a cura di Loredana Vecchio si documenta che in quell'anno la città contava con 8604 abitanti, di cui 500 ecclesiastici; ed erano attivi 10 conventi, quindi ben più di uno ogni 1000 abitanti. Un po'... more
Nel Libro delle Anime di Brindisi 1754 a cura di Loredana Vecchio si documenta che in quell'anno la città contava con 8604 abitanti, di cui 500 ecclesiastici; ed erano attivi 10 conventi, quindi ben più di uno ogni 1000 abitanti. Un po' come se oggi di conventi a Brindisi ce ne fossero 100. Una città decisamente molto povera, in uno dei suoi momenti storici più tristi, così come la descrissero e la documentarono vari viaggiatori, anche stranieri, che la visitarono intorno a quell'anno. Tra di loro Antoine Laurent Castellan, letterato e pittore francese obbligato nel 1797 a una quarantena nella rada di Brindisi, che scrisse pagine e pagine sulla città e sui suoi cittadini e che, tra tanto altro, ebbe modo di commentare anche quell'insolito proliferare di ecclesiastici e di conventi, abbozzando peraltro, alcune possibili cause di quel fenomeno: «Dal fondo delle acque, che contengono un ammasso di materie putride in disfacimento, ci sono continue esalazioni di un gas fetido, i cui globuli giungono a scoppiare alla superficie del mare e sembrano farlo ribollire. Le malattie hanno spopolato intere strade, il popolo si nutre poco e male, e stuoli di mendicanti premono alle porte di chiese e conventi, dove si distribuisce minestra. Gli ammalati son tanto numerosi che un solo ospedale non è più bastato, e ce n'è voluto un secondo. La maggior parte dei bambini che vi nascono non raggiunge la pubertà; gli altri, pallidi e senza forza, trascinano un'esistenza dolorosa che termina molto spesso con spaventose malattie. Gli abitanti in città diminuiscono giorno per giorno, soprattutto durante i grandi caldi. Senza esagerare, la metà degli abitanti popola i conventi: in un luogo in cui mancano le industrie, il commercio, e quindi ci sono poche ricchezze, si preferisce la vita in comunità a quella di una normale famiglia; essa è meno costosa e offre risorse ben maggiori. D'altronde i monasteri hanno un reddito e proprietà, le quali, essendo inalienabili, sono al sicuro dalle occasioni che spesso depistano la fortuna dei privati. L'esiguità dei mezzi della maggior parte delle famiglie, le pone nell'impossibilità di dedicarsi ai dispendiosi piaceri della società. Nei conventi si è accolti; qui si trova una certa compagnia; si fanno parecchi tipi di giochi; si fa musica; i parlatori divengono veri e propri salotti e in alcuni si fa a meno persino della ruota e della grata. Per ciò, giovani allevati sin dall'infanzia in un luogo che di convento ha il nome senza averne l'austerità, lo preferiscono al mondo che non conoscono e persino alla casa paterna. Qui non godrebbero infatti dei piaceri offerti da quei ritiri religiosi, dei quali si fa loro apprezzare ogni fascino per convincerli a pronunciare, fin dall'età di quattordici anni, dei voti che procureranno loro, per il resto della vita, un'esistenza almeno assicurata, se non assolutamente indipendente. Il figlio maggiore della famiglia, che anche tra le classi sociali più elevate è destinato a perpetuarne il nome, eredita la totalità del patrimonio e i cadetti, ridotti a una legittima ancor più esigua, entrano in qualche comuna religiosa, o partono con cappa e spada a cercar fortuna. E anche le donne che non trovano marito, specialmente tra le classi sociali più elevate, vanno in convento.» [CASTELLAN A. L. Lettres sur l´Italie-Paris 1819] Ancor più esplicite ragioni, circa le cause del proliferare a Brindisi dei conventi, si possono ritrovare sul Brindisi ignorata di Nicola Vacca, quando l'autore commenta l'argomento a proposito del-per motivi rimasti sconosciti, iniziato ma non realizzato-nuovo convento di San Pelino. «Visto che in Brindisi vi erano solo i due conventi femminili di S. Benedetto e di S. Chiara, il primo limitato a 74 monache e il secondo a 34, ed avendo di molto superato questo numero non potevano contenerne di più, per rinverdire la memoria di S. Pelino nel 1604 monsignor Giovanni De Pedrosa promosse la erezione di un monastero di monache da dedicare a quel santo, mentre i padri coscritti giustificavano la cospicua spesa in non perspicua prosa per le seguenti ragioni:
Il 20 luglio 1707 giunse a Brindisi la notizia dell’ingresso dei soldati austriaci in Napoli i quali, in realtà, al comando del feld-maresciallo Wirich Philipp von Daun dell’imperatore Giuseppe I vi erano entrati già da qualche giorno –... more
Il 20 luglio 1707 giunse a Brindisi la notizia dell’ingresso dei soldati austriaci in Napoli i quali, in realtà, al comando del feld-maresciallo Wirich Philipp von Daun dell’imperatore Giuseppe I vi erano entrati già da qualche giorno – il 7 luglio – giungendovi senza quasi colpo ferire, mentre il viceré spagnolo del sovrano borbonico Felipe V – Juan Manuel Fernández Pacheco y Zúñiga – s’imbarcava per tornare in patria, e il viceré austriaco – Georg Adam von Martinitz – prendeva possesso del palazzo reale.
Anche a Napoli ci fu festa e la statua di Filippo II di Spagna, eretta dal popolo solo cinque anni prima, fu abbattuta, ma nel complesso le cose nella capitale non debordarono. Carlo III fu quindi re di Napoli dal 1707 al 1734 e fino al 1711 governò da Barcellona, ove risiedeva come re di Spagna nell’attesa della fine della guerra di successione spagnola. Passato, nel 1711 per la morte del fratello Giuseppe I, sul trono imperiale di Vienna col titolo di Carlo VI, continuò a governare il regno di Napoli da quella nuova sede, ma non vi mise mai piede e di Napoli e del suo regno non seppe mai altro se non quello che gli veniva riferito.
Abbastanza comprensibile, pertanto, anche se di fatto evidentemente eccessivo, quel comportamento festoso dei sudditi di Napoli e, soprattutto, di quelli di Brindisi di fronte all’evento, in teoria epocale, della caduta – dopo ben due secoli – del dominio spagnolo ad opera dei nuovi arrivati austriaci e del loro conseguente insediamento nel governo del regno.
D’altra parte, a quella data, i sentimenti intimi del popolo – nobili a parte – certamente non erano molto dissimili da quelli che solo qualche decina d’anni prima avevano provocato le rivolte popolari – del pescivendolo amalfitano Masaniello a Napoli il 7 luglio 1647 e, ancor prima, dei pescivendoli brindisini del rione marinaro delle Sciabiche il 5 giugno 1647  e, poco dopo, in Sicilia il 15 agosto 1647 – scoppiate tutte sotto la spinta della miseria che da tantissimo assillava il popolo caricandolo di disperazione e, verosimilmente, di odio...
Nell’Archivio Storico Nazionale di Spagna, in Madrid, sono conservati due documenti, il secondo dei quali è qui riprodotto, datati 13 novembre 1676 e 3 maggio 1677, firmati da «Don Juan Antonio Simonetta Ponce de Leòn, Marquès de S.... more
Nell’Archivio Storico Nazionale di Spagna, in Madrid, sono conservati due documenti, il secondo dei quali è qui riprodotto, datati 13 novembre 1676 e 3 maggio 1677, firmati da «Don Juan Antonio Simonetta Ponce de Leòn, Marquès de S. Christina, Cavallero de la Orden de Alcantara del Consejo Colateral, General de la Artillería, Governador de las Armas de la Plaza de Armas de Rijoles y fronteras de Calabria».
Il Simonetta firmatario dei due documenti in questione è un nobile brindisino vissuto nel ‘600, affermatosi in Spagna e ritornato in patria all’apice della sua lunga e brillante carriera militare, intrapresa e condotta al servizio della corona spagnola in epoca vicereale, quando cioè Brindisi apparteneva al viceregno di Napoli (1509-1713) direttamente soggetto al potente regno di Spagna.
Il 28 marzo dell’anno 1624, essendo Felipe IV re di Spagna (1621- 1665), Antonio Àlvarez de Toledo viceré di Napoli (1622-1629) e Pedro Aloysio de Torres governatore di Brindisi, Giovanni Antonio Simonetta nasceva in Brindisi figlio di Mario, barone di Carosino, San Crispieri e altre terre salentine1, e Julia Ponce de León, nobildonna spagnola2. Giò Antonio intraprese da giovane la carriera militare e a trent’anni, nel 1654, ebbe il suo battesimo di guerra...
Carlo V l'imperatore, fu anche Carlo I di Spagna, Carlo II d'Ungheria e Carlo IV di Napoli. Carlo, figlio dell'arciduca d'Austria Filippo il Bello-e quindi nipote dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo-e dell'infanta Giovanna la Pazza-e... more
Carlo V l'imperatore, fu anche Carlo I di Spagna, Carlo II d'Ungheria e Carlo IV di Napoli. Carlo, figlio dell'arciduca d'Austria Filippo il Bello-e quindi nipote dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo-e dell'infanta Giovanna la Pazza-e quindi nipote del re Ferdinando il cattolico-con la morte del nonno materno nel 1516, a soli sedici anni, per la morte del padre e per quella del fratello e della sorella della madre, divenne erede dei regni dei Paesi Bassi, di Aragona, di Castiglia e di Napoli. E dopo tre anni, nel 1519 alla morte del nonno paterno, ereditò anche il titolo del sacro romano impero. Nel 1554 rinunciò al titolo imperiale a favore del fratello Ferdinando e nel 1556 rinunciò alle corone dei Paesi Bassi della Spagna e di Napoli a favore del figlio Felipe II. Brindisi, che apparteneva al regno di Napoli, ebbe pertanto come sovrano l'imperatore Carlo V-il re Carlo IV di Napoli-durante tutti quei quarant'anni compresi tra il 1516 e il 1556. Il regno di Napoli era diventato possedimento spagnolo solo da qualche anno, da quando era stato sottratto agli aragonesi mediante un accordo segreto tra il re di Spagna Ferdinando e il re di Francia Luigi XII. L'accordo prevedeva la Campania e gli Abruzzi per la Francia e la Calabria e la Puglia per la Spagna. Poi però, nel 1504, l'accordo sfociò in guerra aperta tra Spagna e Francia proprio sulla disputa per il Tavoliere delle Puglie e alla fine gli spagnoli ebbero la meglio. Ferdinando il cattolico re di Spagna divenne così il nuovo sovrano del regno di Napoli, defenestrando il proprio cugino Federico I succeduto a Ferdinando II e nominando un viceré. E anche Brindisi, che da qualche anno-dal 30 marzo 1496-apparteneva alla repubblica di Venezia, alla quale era stata ceduta dal re Ferdinando II in compenso per l'aiuto ricevuto contro il tentativo d'invasione del regno di Napoli da parte del re di Francia Carlo VIII, fu consegnata agli spagnoli nel 1509. Iniziava così per Brindisi il lungo periodo vicereale spagnolo che sarebbe durato duecento anni. La breve parentesi veneziana di Brindisi, tra il 1496 e il 1509, costituì di fatto la cerniera del passaggio della città dal dominio aragonese al dominio propriamente spagnolo, quello del regno di Spagna del reggente Ferdinando il cattolico e, dopo la sua morte nel 1516, del nipote Carlo I di Spagna, il futuro imperatore Carlo V. La corona di Spagna istituì nel regno di Napoli un vicereame che restò suo possedimento diretto fino al 1713, mantenendo in Napoli il viceré e tutti gli organi amministrativi più importanti, avvicendando nelle varie province e città del regno, Brindisi inclusa, governatori e capitani di guarnigione che furono sempre spagnoli. Il rafforzamento delle strutture difensive della città Il 22 dicembre 1516 Ferdinando-Hernando de-Alarcòn fu nominato castellano maggiore di Brindisi, con anche l'incarico di supervisore delle fortificazioni in Terra d'Otranto. Presto si rese conto che le strutture difensive della città non erano sufficienti a garantirne la protezione da terra-all'entrata del porto era già stato costruito il castello Alfonsino-per cui si dispose alla realizzazione di varie fortificazioni, restando
Papa Innocenzo VIII, in conflitto con l'aragonese Ferdinando I di Napoli, il re Ferrante, lo aveva scomunicato con una bolla dell'11 settembre 1489, minacciando di offrire il regno napoletano al sovrano francese Carlo VIII, che vantava... more
Papa Innocenzo VIII, in conflitto con l'aragonese Ferdinando I di Napoli, il re Ferrante, lo aveva scomunicato con una bolla dell'11 settembre 1489, minacciando di offrire il regno napoletano al sovrano francese Carlo VIII, che vantava attraverso la nonna paterna, Maria d'Angiò, un lontano diritto ereditario su quella corona. Con tale antecedente, morto il 25 gennaio 1494 il re Ferrante e incoraggiato da Ludovico Sforzail moroduca reggente di Milano, nello stesso 1494 il re di Francia Carlo VIII scese in armi in Italia. Varcò le Alpi il 3 settembre con un poderoso esercito di circa 30.000 effettivi dotato di un'artiglieria moderna, e ad Asti venne accolto festosamente dai duchi di Savoia. Quindi, raggiunse rapidamente Milano, dove fu decisamente appoggiato dallo Sforza, interessato alla eliminazione dei regnanti aragonesi di Napoli, giacché si era impossessato con la forza del ducato di Milano che spettava a Gian Galeazzo Visconti, la cui moglie era imparentata proprio con i re aragonesi di Napoli: era, infatti, figlia del re Ferrante. Anche a Firenze, dove giunse il 17 di novembre, il re Carlo VIII entrò in maniera relativamente facile, in quanto l'inetto Piero dei Medici non fu in grado di opporre alcuna resistenza e si piegò a tutte le richieste del sovrano francese, tanto che se ne risentirono quasi tutti i fiorentini, e gli stessi Medici quando furono cacciati dai repubblicani guidati da quel frate Gerolamo Savonarola, la cui politica teocratica apparve poi troppo democratica al papa Alessandro VI Borgia, che lo fece eliminare con l'accusa di eresia. Carlo VIII il 30 novembre 1494 era già a Roma e, senza destare troppo entusiasmoanzi tutt'altronel papato, ripartì il 28 gennaio del 1495. Quindi, senza aver praticamente battagliato, il 22 di febbraio entrò a Napoli, con l'appoggio dei patrizi napoletani e dei baroni feudali da tempo ostili ai re aragonesi che erano succeduti al fondatore della dinastia Alfonso I, mentre Ferrantino, o Ferrandino, che era il debole re in carica in quel momento, era già fuggito in Sicilia con tutta la corte, da dove per alcuni mesi avrebbe mantenuto nei territori continentali del regno, una guerra di guerriglia capeggiata da Federico I, suo fratello minore, contro le truppe francesi. Il sovrano francese, incoronato re di Napoli, scese quindi verso sud ad imporre le ragioni delle sue armi, incontrando in generale poca resistenza e, entrato dalla Campania in Puglia, tutte le principali città gli si arresero, a eccezione di Gallipoli e Brindisi, che invece resistettero l'assedio mantenendosi fedeli alla corona aragonese fino al ritiro degli assedianti francesi. Del resto, Carlo VIII ebbe comunque molto poco tempo per svolgere una qualche vera e propria azione di controllo del regno e di effettivo esercizio di governo, giacché nello stesso anno 1495 Venezia ospitò la creazioneil 31 di marzodi una potente alleanza antifrancese, promossa dallo Stato pontificio di Alessandro VI, gestita da Venezia e aderita da Massimiliano d'Asburgo e dallo stesso Ludovico il moro, che s'era presto pentito d'aver appoggiato l'invasione francese. Era infatti accaduto che la velocità con cui i francesi erano avanzati, assieme alla brutalità dei loro attacchi sulle città italiane attraversate nel corso dell'invasione, spaventarono un po' tutti gli stati italiani. Ludovico, intuendo che Carlo VIII aveva pretese anche sul ducato di Milano, si era rivolto al papa Alessandro VI che rapidamente si era adoperato nel promuovere un'alleanza politica composta dai diversi stati europei che si opponevano all'egemonia francese che di fatto si era creata in Italia: tra questi, oltre al Regno di Sicilia, allo stesso Papato e al Ducato di Milano,
... E fu in questo contesto, seguendo cioè la parabolica evoluzione veneziana, che con il trascorrere dei secoli gli interessi di Venezia per le relazioni commerciali con i porti pugliesi – con i carichi di vino, di olio, di grano, di... more
... E fu in questo contesto, seguendo cioè la parabolica evoluzione veneziana, che con il trascorrere dei secoli gli interessi di Venezia per le relazioni commerciali con i porti pugliesi – con i carichi di vino, di olio, di grano, di frumento, di lana e di legumi, che le navi di san Marco esportavano in grande quantità e con le tante merci che le stesse navi vi portavano da Venezia, da molti scali mediterranei e da porti ancor più lontani d’Oriente – a un certo punto si allargarono alla sfera politico-militare, con Venezia che oltre all’acquisizione di vantaggiose esenzioni fiscali e di molti altri privilegi e monopoli, cominciò ad ambire alla conquista ed occupazione fisica di quelle stesse città già per secoli trattate per lo più amichevolmente e quindi molto ben conosciute.
Così, nel 1496 Brindisi fu, non conquistata, ma in qualche modo comprata da Venezia, e i Veneziani la governarono – discretamente bene – per tredici anni, fino al 1509, quando passò ad integrare il viceregno spagnolo di Napoli, senza che comunque Venezia abbandonasse da subito l’idea di una eventuale riconquista, aspirazione certamente ancora viva perlomeno fino a quell’ultimo tentativo concreto effettuato durante la cosiddetta “Campagna di Puglia” del 1528 e 1529. Poi, finalmente, cessarono le secolari aspirazioni veneziane di conquista su Brindisi e scemarono le dispute militari tra le due città, senza che comunque cessassero le relazioni commerciali destinate, invece, a perdurare tra alti e bassi molto a lungo: per sempre.
Brindisi al tempo dei re aragonesi sul trono di Napoli: 50 anni densi di storia cittadina nella seconda metà del XV secolo
Decisamente una figura magna dei suoi tempi, quella del brindisino condottiero di maree di terra Ruggero Flores, così come lo dimostrano i tanti risvolti internazionali che ebberole sue gesta ed il suo stesso esistere, nonché la... more
Decisamente una figura magna dei suoi tempi, quella del brindisino condottiero di maree di terra Ruggero Flores, così come lo dimostrano i tanti risvolti internazionali che ebberole sue gesta ed il suo stesso esistere, nonché la vastissima produzione storica romanzesca efinanche artistica, che quelle gesta hanno alimentato fin dal momento stesso in cui si produssero ed hanno continuato ad alimentare fino a tutt’oggi.
La sua è stata una personalità complessa, caratterizzata da numerosissime notizie biografiche il più delle volte contraddittore: se da alcuni è definito “un valoroso cavaliere che difende con ardimento gli insediamenti cristiani dalle orde saracene”, da altri invece è raccontato come “un uomo senza scrupoli, un vero pirata, che con le sue scriteriate azioni getta disonore sui Templari”. Storicamente, è stato di certo un grande avventuriero che ha combattuto con audacia a servizio di Angioini, Aragonesi e Bizantini…
In Spagna le gesta di Ruggero Flores sono state rappresentate in un’opera lirica in tre atti di Ruperto Chapí su libretto di Mariano Capdepón, portata in scena la prima volta nel Teatro Reale di Madrid nel gennaio del 1878, dove ad impersonare il condottiero brindisino fu scelto il noto tenore italiano Enrico Tamberlick. La sua storia è stata narrata dai più importanti medievalisti italiani ed internazionali, e le sue imprese hanno ispirato i romanzi storici di successo a firma di Azar Rudif e di Kostas Kyriazis.
DANTE ALIGHIERI: I RIFLESSI NELLA STORIA E NELLA CULTURA DEL SALENTO

Atti del LXIV Colloquio di Studi e Ricerca Storica

Brindisi 14 settembre-26 novembre 2021
Prendere una cantonata, nel passato significava letteralmente colpire con una ruota del carro uno dei cantoni, angoli di pietra presenti a delimitare un incrocio o un cambio netto del percorso. Oggi, invece, considerato che di carri e... more
Prendere una cantonata, nel passato significava letteralmente colpire con una ruota del carro uno dei cantoni, angoli di pietra presenti a delimitare un incrocio o un cambio netto del percorso. Oggi, invece, considerato che di carri e cantoni non se ne usano più tanti, quel dire riconduce all'idea di un'errata valutazione che porta a sbattere. Un qualcosa quindi, di meno netto di un banale errore e che, inoltre, presuppone l'involontarietà di chi quella cantonata la prende, cioè di chi quell'errore commette, magari a causa di un semplice equivoco o di un "palese fraintendimento". E dato che la storia non è certo una materia immune a tali umane contingenze, succede che oltre ai falsi e ai rimaneggiamenti, non sia neanche tanto raro imbattersi in qualche cantonata, magari ripresa e reiterata da più di un accreditato autore. È questo il caso, credo, di tutto quanto relativo al "castello angioino di Brindisi". Nella Storia di Brindisi scritta da un marino di Ferrando Ascoli pubblicata nel 1886, alla pagina 106 e seguenti si riporta quella che è la descrizione dettagliata della struttura d'insieme del castello angioino di Brindisi con integrato il palazzo reale. Descrizione di fatto deducibile dalle disposizioni date nel 1277 da re Carlo I D'Angiò [il nuovo sovrano francese che aveva definitivamente sottratto agli Svevi della casa Hohenstaufen il Regno di Sicilia] al giustiziere della Terra d'Otranto in relazione ai lavori che in quel castello e palazzo reale annesso, dovevano essere ancora completati. Indicazioni tutte molto particolareggiate e che poco dopo, il 5 settembre dello stesso anno, furono integrate da altre relative specificamente al fossato in costruzione. Il tutto chiaramente documentato e conservato nei Registri Angioini conservati nell'Archivio di Stato di Napoli. Scrive Ascoli: «Oltre il castello, dov'è oggigiorno il bagno penale di Brindisi, conosciuto sotto il nome di castello di terra [quello Svevo], un altro castello era dalla parte opposta, nelle vicinanze dell'attuale ufficio di porto… Quest'altro castello doveva essere assai importante, a giudicarne dai lavori che il re, l'8 maggio del 1277, stando personalmente a Brindisi, stabiliva vi si dovessero eseguire dai costruttori brindisini Ruggero De Ripa e Nicolò di Ugento. Ed eccoli qui per disteso tutti quei lavori: …»
Tancredi, quarto e ultimo vero re normanno del Regno di Sicilia, morì nel febbraio del 1194 all’età di 55 anni e quella morte facilitò le cose a Enrico VI di Hohenstaufen, marito della normanna Costanza di Altavilla, che nel Natale del... more
Tancredi, quarto e ultimo vero re normanno del Regno di Sicilia, morì nel febbraio del 1194 all’età di 55 anni e quella morte facilitò le cose a Enrico VI di Hohenstaufen, marito della normanna Costanza di Altavilla, che nel Natale del 1194 poté assumere la corona di Sicilia, rivendicando la legittimità del trono per il loro figlio appena nato, Federico.
Gli svevi della casata Hohenstaufen governarono sul trono di Sicilia durante solo alcuni decenni, dal 1194 al 1268, ma quelli furono anni importanti per Brindisi, perché tenuta in considerazione dal re Federico II, stupor mundi, il carismatico sacro romano imperatore, al quale fu attribuito il celebre saluto alla città, pronunciato al suo rientro dalla Terra Santa dopo aver concluso con successo la sesta crociata: “Filia Solis Ave, nostro gratissima Cordi”.
Le ipotesi più accreditate indicano per Margarito l’origine greca, forse proveniente da Megara nell’Attica da cui il suo nome – Megareites, cioè di Megara – latinizzato in Margarito, però si è anche ipotizzato che sia nato a Brindisi –... more
Le ipotesi più accreditate indicano per Margarito l’origine greca, forse proveniente da Megara nell’Attica da cui il suo nome – Megareites, cioè di Megara – latinizzato in Margarito, però si è anche ipotizzato che sia nato a Brindisi – per cui fu sempre detto Margaritus de Brundusio – nel seno di una delle numerose famiglie d’origine bizantina che al tempo vi risiedevano. E di Margarito la matrice leggendaria racconta che molti dei suoi contemporanei ne apprezzarono enormemente le qualità al punto da definirlo rex maris o novus Neptunus, mentre fu temutissimo dai suoi nemici che, i più, lo considerarono null’altro che un arcipirata.
A Brindisi mille anni fa: Sichelgaita, la zia famosa e Sichelgaita la nipote scaltra Decisamente un nome di donna oggigiorno per niente usuale, ma abbastanza di moda un migliaio d'anni fa, anche e soprattutto a Brindisi. Qualche anno fa,... more
A Brindisi mille anni fa: Sichelgaita, la zia famosa e Sichelgaita la nipote scaltra Decisamente un nome di donna oggigiorno per niente usuale, ma abbastanza di moda un migliaio d'anni fa, anche e soprattutto a Brindisi. Qualche anno fa, nel 2016, in occasione dell'elezione a Sindaco di Brindisi della dottoressa Angela Carluccio, scrissi un breve articolo su Senza Colonne News del 16 luglio che-scherzosamente-si intitolava: "Da Sichelgaita ad Angela: dopo 900 anni un'altra donna al governo di Brindisi" [ https://lc.cx/luGBIB ]. Accompagnai quell'articolo con una immagine "suppostamente" di Sichelgaita, la "comitissa", moglie del dominator normanno di Brindisi Goffredo conte di Conversano, che dopo la morte di lui, aveva esercitato per qualche anno la reggenza sul governo della città, in nome dell'ancor giovane figlio Tancredi. Ebbene quell'immagine era, invece, di un'altra più famosa Sichelgaita, la principessa di Salerno, divenuta la seconda sposa nientemeno che del famoso normanno Roberto il Guiscardo e madre dell'erede successore Eugenio Borsa. Non era, e non è, disponibile una immagine della Sichelgaita comitissa di Brindisi e pensai bene che, magari, quella-in ogni caso, del tutto fantasiosa-della principessa salernitana poteva andar sufficientemente bene per quell'articolo divertente, giacché trattavasi di due donne con lo stesso nome, contemporanee, entrambe di origine longobarda e…, finanche imparentate. Una parentela non sanguinea, ma acquisita: Sichelgaita comitissa di Brindisi era moglie di Goffredo e questi era figlio-si dice, anche se non è del tutto certo 1-della sorella, Emma, o del fratello Goffredo, del Guiscardo, che era marito di Sichelgaita principessa di Salerno.
Durante circa due secoli, dalla riconquista – anche detta “seconda conquista” – bizantina del Meridione italiano fino alla definitiva conquista normanna del 1071, Brindisi appartenne all’Impero d’Oriente, compresa nel possedimento... more
Durante circa due secoli, dalla riconquista – anche detta “seconda conquista” – bizantina del Meridione italiano fino alla definitiva conquista normanna del 1071, Brindisi appartenne all’Impero d’Oriente, compresa nel possedimento bizantino denominato Thema di Longobardia, integrante poi a sua volta del Catepanato d’Italia.
Ebbene, dei trascorsi cittadini durante quei tantissimi – ben duecento – anni si sa concretamente molto poco, quasi nulla, sia in termini di vita politica, o economica, o militare, o religiosa, eccetera, e sia in termini di vita sociale: non è pervenuto neanche un solo nome di un qualche personaggio brindisino di oggettivo rilievo, che in tutti quegli anni abbia compiuto gesta meritevoli di entrare nella storia o, quanto meno, azioni tali da lasciarne una qualche traccia nella cronaca. Incredibile, ma – apparentemente – vero, perlomeno a giudicare da quanto reperibile nelle fonti bibliografiche disponibili, che dovrebbero in buona misura riflettere quanto rilevato nelle fonti documentarie pervenute su quel periodo storico.
Quando ho prospettato la mia stranezza in relazione a tale apparentemente anomala situazione al professor Gennaro Tedesco, eminente studioso esperto di storia dell’Italia meridionale bizantina autore di innumerevoli ricerche e pubblicazioni sul tema, egli mi ha risposto quanto – in sintesi – segue:  ...
Sul volgere della fine del VII secolo, Brindisi versava in condizioni deplorevoli, dopo una graduale e costante decadenza che, iniziata con la ventennale guerra greco-gotica (535-553), si era via via accentuata durante i cento e più anni... more
Sul volgere della fine del VII secolo, Brindisi versava in condizioni deplorevoli, dopo una graduale e costante decadenza che, iniziata con la ventennale guerra greco-gotica (535-553), si era via via accentuata durante i cento e più anni di dominio bizantino, sotto l'amministrazione di quei Greci risultati vincitori, i quali da Otranto-assurta a capitale del Ducato di Calabria cui Brindisi apparteneva-esercitavano il malgoverno con esosi patrizi e inetti funzionari, stimolando il diffondersi di una corruzione imperante, mantenendo un precario stato di sicurezza sulle vie di comunicazione terresti infestate dal brigantaggio e, soprattutto, provocando la miseria generalizzata e lo spopolamento della città e del suo entroterra [dati, notizie e dettagli in G. CARITO 1 ]. Già alla fine del VI secolo, la situazione di Brindisi era così tanto degenerata che la città, già sede di una delle prime comunità cristiane costituitesi in Italia, non era neanche riuscita ad eleggersi un vescovo proprio, come si evince dalla missiva del 595 in cui il papa Gregorio Magno chiede a Pietro, vescovo di Otranto, di "provvedere alla chiesa di Brindisi priva di una guida dopo la morte del suo ultimo presule, per farne eleggere uno e vigilando affinché non sia elevato un laico alla dignità vescovile". Una diocesi quella di Brindisi che, probabilmente già attiva fin dal III secolo, nel secolo successivo aveva inviato il suo rappresentante, il vescovo Marcus di Calabria, all'importante Concilio di Nicea del 325. E una città, Brindisi, da cui: «Nei primi decenni della predicazione cristiana, quasi certamente passò il nuovo messaggio per raggiungere Roma. Di conseguenza, la nostra città fu se non la prima meta, almeno la prima tappa occidentale degli evangelizzatori. La sede vescovile di Brindisi può pertanto risalire a una data anteriore alla pace di Costantino ed è probabile che Brindisi sia la sede vescovile più antica dopo Roma.» [O. GIORDANO 2 ] A cavallo tra il IV e il V secolo, fu vescovo di Brindisi Leucio, nato in Alessandria d'Egitto e divenuto poi il grande evangelizzatore del Salento. In seguito, durante il corso del V secolo, nella sede episcopale brindisina si succederono Leone, Sabino, Eusebio, Dionisio e, da ultimo, Giuliano vescovo dal 492 al 496, la cui elezione è certificata da una lettera decretale del pontefice Gelasio I, in cui il papa impartisce al vescovo Giuliano disposizioni di ordine disciplinare ed ecclesiastico [G. CARITO 3 ]. Durante tutto il VI secolo, invece, la sede episcopale brindisina sembrerebbe essere rimasta vacante e, pertanto, potrebbe forse essere stato proprio Giuliano "quell'ultimo presule morto senza essere stato avvicendato" riferito dal papa Gregorio Magno, nella sua missiva del 595 in cui segnalava la necessità di provvedere alla nomina di un nuovo vescovo per Brindisi. O forse, di vescovi ce n'erano stati anche nei cento anni seguenti la morte di Giuliano, pur senza che di loro ci siano pervenuti nomi o azioni. Comunque, per la sede episcopale brindisina, quella lamentata da Gregorio Magno deve essere stata una vacanza prolungata, senza che neanche si possa pensare per quel periodo ad un trasferimento o ad un accorpamento ad altra sede, cosa alla quale la missiva del pontefice avrebbe certamente fatto riferimento. Più naturale è invece supporre che quella eventuale vacanza assoluta, altro non fu che un'ulteriore riprova
Dopo un primo arrivo dei Saraceni a Brindisi - nell’838 - per due secoli intorno alla città non ci fu null’altro che un desolante 'tutti contro tutti'
....Scampato il pericolo e morto Costante II, il duca di Benevento Romoaldo I intraprese la riconquista dei territori perduti e ne conquistò anche di nuovi, tanto che all’inizio dell’VIII secolo il ducato giunse a comprendere i tre quarti... more
....Scampato il pericolo e morto Costante II, il duca di Benevento Romoaldo I intraprese la riconquista dei territori perduti e ne conquistò anche di nuovi, tanto che all’inizio dell’VIII secolo il ducato giunse a comprendere i tre quarti di tutti i territori dell’Italia meridionale, mentre ai Greci restarono: in Campania solo i ducati di Gaeta Napoli e Amalfi, nel Bruzio solo Crotone e Reggio e nella Calabria solo Gallipoli e Otranto. Romoaldo I, infatti, con l’obbiettivo di controllare i porti al fine di scongiurare il ripetersi di tentativi di invasione bizantina, oltrepassò l’Ofanto e discese fino a conquistare Taranto Oria e Brindisi, che così divennero longobarde intorno al 680. Da allora, in quel confine a sudest, la linea di frontiera tra territori longobardi e bizantini si stabilì immediatamente a sud della direttrice Taranto-Oria-Brindisi, mentre il governo bizantino trasferì la sua sede operativa del Ducato di Calabria da Otranto al Bruzio meridionale, che proprio da allora iniziò a chiamarsi Calabria...
Si tratta di due articoli, riveduti e corretti, già pubblicati online su "Senza Colonne News" e a stampa su "il7 MAGAZINE"  di Brindisi
Per Brindisi, quel mezzo millennio di storia coincidente grosso modo con la seconda metà del primo millennio ‐compreso, o meglio detto schiacciato, tra l'ingombrante quanto meritata fama dell'urbe e la celebrità del suo porto negli anni... more
Per Brindisi, quel mezzo millennio di storia coincidente grosso modo con la seconda metà del primo millennio ‐compreso, o meglio detto schiacciato, tra l'ingombrante quanto meritata fama dell'urbe e la celebrità del suo porto negli anni della classicità di Roma repubblicana e imperiale da una parte, e la leggendaria e romantica epopea medievale delle crociate dei re normanni svevi e angioini dall'altra‐ è risaputamene poco raccontato dai libri e dalle riviste di storia ed è, di conseguenza, generalmente poco conosciuto e per nulla celebrato dalla tradizione popolare e dalla stessa cultura storica formale della città, rimanendo relegato nei confini e nei limiti degli addetti ai lavori e dei circoli degli studiosi ed appassionati della storia cittadina. Eppure si tratta di un periodo molto esteso, più di cinquecento anni, praticamente un quinto della plurimillenaria storia di Brindisi. Un lungo periodo storico che per la maggior parte del tempo fu segnato dal dominio, anche se spesso solo nominale, bizantino, ossia dei romaioi greci dell'impero romano d'oriente che con la sua capitale Costantinopoli sopravvisse mille anni all'impero romano d'occidente, dal quale aveva preso origine con la divisione che nel 395 d.C. ne fece l'imperatore Teodosio tra i suoi due figli: il maggiore Arcadio, primo imperatore romano d'oriente e il minore Onorio, primo imperatore romano del solo occidente. Si tratta dei cinque secoli di storia di Brindisi che, dopo la caduta nel 476 d.C. dell'impero romano d'occidente, vanno dalla cruenta conquista della penisola italiana ottenuta dall'imperatore d'Oriente Giustiniano con la ventennale guerra greco gotica conclusa nel 553, fino al crollo del dominio greco bizantino nel meridione d'Italia, conseguente alla conquista normanna ‐quella della città di Brindisi avvenne nel 1071‐ e alla fondazione del Regno di Sicilia, ufficialmente nato a Palermo nel 1131. Si tratta di più di cinquecento anni di storia che, anche se per Brindisi furono decisamente tenebrosi perché caratterizzati da una profonda decadenza e da un buio quasi assoluto, hanno comunque marcato fortemente il carattere della città e dei suoi abitanti ed hanno inciso in maniera determinante sulla loro successiva evoluzione fino a inevitabilmente riflettersi anche nella cultura e idiosincrasia di noi brindisini del terzo millennio. Ed è per ciò che considero possa essere utile ed importante, e spero anche apprezzato, questo contributo alla divulgazione di un capitolo della storia di Brindisi poco celebrato, ma comunque fondamentale ed estremamente interessante.
Una lunga guerra poco nota ma dalle conseguenze epocali..............................................La storiografia classica colloca convenzionalmente il passaggio dal Tardoantico al Medioevo in coincidenza con la caduta dell’Impero... more
Una lunga guerra poco nota ma dalle conseguenze epocali..............................................La storiografia classica colloca convenzionalmente il passaggio dal Tardoantico al Medioevo in coincidenza con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, a sua volta associata alla deposizione dell’ultimo imperatore, Romulo Augustulo, per mano del generale romano di origini unne Odoacre, nel 476 dC., estromesso dopo tredici anni dal goto Teodorico e da questi ucciso nel 493. Da qualche tempo però, gli storici hanno messo in discussione tale convenzione, osservando che più significativo che l’individuazione di una data precisa in cui collocare il trapasso, sia l’individuare la fine della persistenza dell’antico, cosa che si traduce inevitabilmente in accettare una transizione più o meno lenta e solo eventualmente  più o meno legata a un qualche specifico accadimento, in sostituire quindi a una data un periodo e infine, in considerare un passaggio non unico ma diverso da luogo o regione a regione.
In questo ordine di idee, per Brindisi e per la sua regione salentina, probabilmente lo spartiacque tra il Tardo Antico e l’Alto Medio, potrebbe averlo costituito la ventennale guerra greco-gotica iniziata nel 535, una sessantina d’anni dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente. Infatti, anche se le fonti sul corso della guerra intorno a Brindisi non sono molto prodighe di notizie e sono comunque sufficienti a poter determinare la ‘non occorrenza’ di un evento dalla portata emblematica di un cataclisma epocale, è indubbio che l’avvento del dominio bizantino conseguente al risultato di quella lunga guerra – che vide finalmente sconfitti i Goti – costituì certamente un cambio profondo e una interruzione drastica per un sistema socioeconomico e politico che, se pur in graduale e oscillante evoluzione, con i Goti si era mantenuto in sostanziale continuità con il trascorso Basso Impero.
Migrazione, migrare: per l’umanità si tratta di un qualcosa di intrinseco alla propria natura. Gli uomini hanno da sempre migrato, da soli o in gruppo, in gruppi piccoli o in gruppi voluminosi e lo hanno fatto anche popolazioni intere,... more
Migrazione, migrare: per l’umanità si tratta di un qualcosa di intrinseco alla propria natura. Gli uomini hanno da sempre migrato, da soli o in gruppo, in gruppi piccoli o in gruppi voluminosi e lo hanno fatto anche popolazioni intere, per piacere o per necessità, quindi volontariamente o coattamente. Senza risalire alla preistoria o alla protostoria, già solo nella storia gli esempi che si potrebbero citare sono numerosi e variegati, ma qui, a proposito del fenomeno migratorio, si vuol far riferimento a solo due situazioni specifiche: le immigrazioni nell’Impero Romano – durante la prima metà del millennio post Cristo, fino cioè alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente – e le immigrazioni nell’Impero Americano – dalla fondazione degli Stati Uniti d’America, nel 1776, a oggi. Le si descriveranno, molto sinteticamente, e quindi si proverà a commentarle con l’idea di evidenziarne peculiarità e analogie.
Lockdown e nuove tecnologie, una combinazione perfetta, ed ecco l’idea vincente di Gianfranco Perri: corredare alcuni dei suoi articoli con la corrispondente edizione orale, opportunamente adattata. Un’idea magari ancora da perfezionare,... more
Lockdown e nuove tecnologie, una combinazione perfetta, ed ecco l’idea vincente di Gianfranco Perri: corredare alcuni dei suoi articoli con la corrispondente edizione orale, opportunamente adattata. Un’idea magari ancora da perfezionare, ma che ha incontrato un evidente favore del pubblico brindisino, per lo meno a giudicare dalle centinaia e centinaia di visualizzazioni che i video di Perri hanno sperimentato appena “uploaded” su youtube. Un’idea buona e pertanto da non abbandonare neanche a lockdown finito. Buona visione!

Gianmarco Di Napoli - direttore il7 MAGAZINE
Cada uno de los ocho videos se visualiza clicando el titulo o la imagen correspondiente. Se trata, naturalmente, de una síntesis histórica, una síntesis necesariamente breve e incompleta, que sin embargo persigue el ambicioso objetivo... more
Cada uno de los ocho videos se visualiza clicando el titulo o la imagen correspondiente.

Se trata, naturalmente, de una síntesis histórica, una síntesis necesariamente breve e incompleta, que sin embargo persigue el ambicioso objetivo de presentar un panorama relativamente exhaustivo de la larga, compleja e intrigadísima historia por la que a lo largo de más de 3.000 años ha transitado la península italiana, estratégicamente proyectado en el mar Mediterráneo, la cuna de la civilización humana. Una historia que a lo largo de los siglos ha sido todo, menos que unitaria. Una unidad política absolutamente reciente que-de hecho-apenas supera el siglo y medio. Una unidad política que hoy en día ve a la República italiana constituida por 20 regiones, 100 ciudades y casi 8.000 pueblos. Entidades administrativas todas, para cada una de las cuales, sin exageración, pudiera contarse una historia que en gran parte resultaría diferente de la historia de sus vecinos. Una circunstancia, la descrita, que ya por sí misma deja entrever cuán difícil pueda ser intentar una presentación integral, aunque sintética de la historia de Italia, y cuan complejo pueda resultar cumplir con el intento sin querer recurrir a áridos esquemas gráficos que-me imagino-harían demasiado tedioso cualquier aproche al tema. Será sin embargo inevitable tener que citar muchísimos nombres, fechas y lugares. Pero, el objetivo no es para que todos aquellos datos sean memorizados, sino es solo para con ellos rendir una cierta idea de la gran complejidad histórica ya antes comentada.
Siguiendo la periodización más comúnmente aceptada para la historia de la humanidad, los ocho capítulos que componen esta "mi historia de Italia en español" parten de la Edad Antigua, el primero, siguen con la Edad Media - 3 capítulos, luego con la Edad Moderna - 2 capítulos y finalmente con la Edad Contemporánea los últimos 2 capítulos, para con ellos llegar hasta la época actual, sin pero entrar en la que, para los años más recientes, sería más crónica que historia.
Se trata de la versiòn en español del libro ¨BRINDISI NEL CONTESTO DELLA STORIA¨
Amazon SECONDA EDIZIONE - 2021 - Riveduta e ampliata.................................................. Lo stradario di Brindisi conta più di mille, tra vie, piazze, vicoli, larghi, parchi, etc. Ebbene di quelle più di mille... more
Amazon SECONDA EDIZIONE - 2021 - Riveduta e ampliata..................................................
Lo stradario di Brindisi conta più di mille, tra vie, piazze, vicoli, larghi, parchi, etc. Ebbene di quelle più di mille intitolazioni, poco più di cento sono dedicate a personaggi illustri di Brindisi: personaggi nati a Brindisi, o che a Brindisi hanno vissuto e operato significativamente, o che con Brindisi hanno avuto una qualche speciale relazione.
Poche o molte, non è qui importante stabilirlo, ma certo è che quelle cento intitolazioni dello stradario cittadino, nonostante le molte ed importanti assenze, costituiscono in una qualche misura “uno specchio” della plurimillenaria ed avvincente storia della nostra città: dalla mitologia e dai gloriosi tempi della repubblica e dell'impero di Roma, alle due guerre mondiali del Novecento, e fin dentro questo Ventunesimo secolo, dopo aver percorso i secoli dell'Alto e del Basso Medioevo e quindi della Modernità e della Contemporaneità. Si tratta, di fatto, di proprio tutte le epoche della storia dell'umanità, una storia che ha avuto Brindisi sempre presente e molto spesso protagonista di rilievo...
Quando poi, alla fine del lavoro, si è trattato di deciderne la presentazione, quell'idea dello "specchio della storia cittadina" ci ha indotto a preferire l’impaginazione in ordine cronologico e non alfabetico: per chi, infatti, scegliesse di scorrere sistematicamente tutte le cento pagine del libro, potrebbe essere un po' come, con una certa dose di fantasia, scorrere le pagine della storia della nostra città. E proprio partendo da quella stessa idea, e per meglio risaltarla, abbiamo costruito il titolo di questo volume, riferendolo ai: “…personaggi…che attraversano la storia della città”.
QUARTA EDIZIONE Riveduta e corretta - Dicembre 2023 ..............................................................È strano, ma nonostante la vastissima bibliografia disponibile su Brindisi e la sua plurimillenaria storia, i libri... more
QUARTA EDIZIONE  Riveduta e corretta - Dicembre 2023
..............................................................È strano, ma nonostante la vastissima bibliografia disponibile su Brindisi e la sua plurimillenaria storia, i libri pubblicati che presentano tutto l’arco della storia della città in maniera organica e sistematica sono pochissimi, in effetti credo solamente tre, e molto datati: quello del plagiario Andrea Della Monica del 1674, quello del marino Ferrante Dascoli del 1886 e infine, quello delle linee essenziali molto -troppo- riassunte del contemporaneo Alberto Del Sordo del 1997.
Questo mio libro però, ha anche qualcosa di diverso e di peculiare. E mi spiego: Da imperterrito e curioso viaggiatore quale sono da sempre stato e continuo a essere, ogni qualvolta mi son trovato a girovagare, per lungo e per largo e ripetutamente in tutta l’Europa, dell’Ovest e dell’Est come si diceva una volta -e non solo Europa- tra città, monumenti, strade, piazze, palazzi, castelli, parchi, statue, musei, eccetera, mi è sempre venuto spontaneo e quasi inevitabile il cercar di rapportare ciò che -in senso storico- vedevo, con la mia città, con Brindisi.
Mi chiedevo, di fatto quasi automaticamente: e a Brindisi? Cosa succedeva mentre qui accadeva tutto questo? A Brindisi chi governava mentre qui c’era questo re, o questo imperatore? Cosa si faceva a Brindisi mentre la grande storia registrava questi eventi?
Ebbene, la risposta che riuscivo a darmi alcune volte era solo approssimata, atre volte entravo in crisi perché non riuscivo a focalizzare: Brindisi era già romana? A Brindisi c’erano gli Svevi o ancora i Normanni? Gli Spagnoli o gli Aragonesi? O forse gli Angioini o gli Austriaci? Ma quest’imperatore germanico o cecoslovacco o spagnolo o turco, ebbe qualcosa a che vedere con Brindisi? Questa guerra coinvolse Brindisi? E Brindisi da che parte stava?
Confesso che a volte, quando non c’era ancora google, annotavo un pro memoria e, appena possibile, tra libri ed enciclopedie cercavo di ricostruire… ma non sempre mi era possibile. Adesso è tutto un po’ più facile… evviva google!

...Ebbene, questo libro l’ho immaginato -viaggiando- e l’ho scritto -in buona parte anche viaggiando- pensando proprio a tutto ciò. Perché non “raccontare” la storia di Brindisi nel contesto della storia? E così facilitare ai ragazzi e ai giovani e non giovani brindisini, e a tanti dei miei amici, e non solo, a meglio orientarsi nell’oggettivamente complessa articolata e comunque densissima e avvincente storia plurimillenaria della città?
Poi, presa la decisione, la mia abitudine pedagogica da professore e la mia formazione tecnica da ingegnere hanno fatto il resto: una proposta chiara, semplice e schematica, con un testo su due colonne parallele; sulla colonna di sinistra il “contesto della storia” e su quella di destra la “storia di Brindisi”.
Due testi di fatto del tutto separati: ognuno dei due da poter essere letto in maniera del tutto indipendente dall’altro. L’idea è che si possa scorrere la storia di Brindisi e, nel momento in cui lo si ritenga opportuno e utile, o necessario per meglio recepire o valorizzare quella storia, si possa al contempo consultare il contesto storico in cui quella storia di Brindisi trascorse.
Spero che questo mio contributo, nella sua semplicità intrinseca al suo carattere divulgativo, possa essere in qualche misura apprezzato e soprattutto possa, comunque, contribuire a una maggior diffusione della storia di una città che di storia con la “S” maiuscola è profondamente pregna.
Una storia che è importante si conosca bene, soprattutto tra i giovani, affinché costituisca l’insurrogabile base per la conservazione della memoria collettiva della propria città, nella consapevolezza che la rimozione del passato corrisponde inesorabilmente alla rimozione del futuro.
Brindisi Raccontata da poeti, scienziati, artisti, statisti, professionisti, giornalisti, militari e uomini di mare, è una sorta d’immagine d’insieme che tende a descrivere la città non secondo il modulo della vecchia e aulica... more
Brindisi Raccontata da poeti, scienziati, artisti, statisti, professionisti, giornalisti, militari e uomini di mare, è una sorta d’immagine d’insieme che tende a descrivere la città non secondo il modulo della vecchia e aulica storiografia, quanto piuttosto di una città evidenziata nei suoi scorci culturali e nelle sue proposte, colta, dai personaggi che ne formano le pagine, quasi in movimento, sempre viva, appassionata e consapevole della grande storia pregressa e dell’impegnativo cammino da fare.
In realtà, Perri ripercorre una strada aperta nel 1909 da don Pasquale Camassa che, leggendo le targhette itinerarie di Brindisi, dette alle stampe Brindisini Illustri, un’opera rimasta immortale, perché l’Autore descrisse con passione vari personaggi che seppero egregiamente operare col senno o con la mano.
Urbanistica, letteratura, testimonianze storico-artistiche che d’impatto appaiono al visitatore, fanno denotare materiali eterogenei, frammenti di civiltà ancora visibili, lacerti di memorie a volte prive di continuum spazio-temporale.
I viaggiatori annotano e memorizzano, interessati (forse incantati), la chiave interpretativa di tale apparente discontinuità e comprendono che è tutta nel legame che attraversa i referenti ideali delle comunità che hanno convissuto pacificamente a Brindisi, una vita complessivamente segnata dalla tolleranza, che ha consentito di evidenziarla come un’area in cui da sempre si vive una cultura della reciproca comprensione. - Antonio Caputo
“Schegge di Storia brindisina” é una raccolta di quasi cento pagine nelle quali, in forma sequenziale si presenta molto riassunta la storia di Brindisi, la “Filia solis” dell´imperatore Federico II, la romana Brundisium e la messapica... more
“Schegge di Storia brindisina” é una raccolta di quasi cento pagine nelle quali, in forma sequenziale si presenta molto riassunta la storia di Brindisi, la “Filia solis” dell´imperatore Federico II, la romana Brundisium e la messapica Brunda, dalle sue origini pre-romane fino alla sua annessione al Regno d´Italia, nel 1860. La raccolta non pretende essere un libro di storia, né pretende costituire un relato storico completo, ma é semplicemente una raccolta di “schegge”, di note ed appunti cioé, sulle vicende piú rappresentative della plurimillenaria storia della cittá, raccontate cronologicamente in maniera puntuale semplice e, spero, amena. Gli spunti principali delle “schegge” provengono dalla “Cronaca dei Sindaci di Brindisi” per gli anni dal 1529 al 1860; mentre per i precedenti, dalle origini fino al 1529, gli spunti provengono dalle sconfinate pagine del web.
He agrupado en este volumen algunos de los más representativos de mis artículos que sobre la ingeniería de túneles he estado escribiendo durante años, respondiendo así a la petición que en tal sentido me han estado haciendo muchos de mis... more
He agrupado en este volumen algunos de los más representativos de mis artículos que sobre la ingeniería de túneles he estado escribiendo durante años, respondiendo así a la petición que en tal sentido me han estado haciendo muchos de mis estudiantes del curso “Proyecto de Túneles” que he dictado en la Facultad de Ingeniería de la Universidad Central de Venezuela ininterrumpidamente por veinte y cinco años. Definitivamente un útil y necesario complemento didáctico a mi texto “Diseño Geotécnico de Túneles” el cual, con sus más de veinte años de vida, ha quedado inevitablemente incompleto y por algunos aspectos superado.
Se trata de treinta y tres artículos, casi todos presentados en los varios congresos a los cuales en diferentes países he participado en calidad de conferencista. Por tal motivo, aunque la mayor parte de los artículos están escritos en español, algunos están escritos en ingles y otros pocos en italiano.
El orden con el cual están presentados los artículos es solo cronológico, desde los más recientes a los más antiguos: él último del volumen se refiere al tema de mi tesis de grado del 1974 en el Politécnico de Torino Italia, el mismo que pocos meses después presenté en el congreso italiano de geotecnia conjuntamente con mis profesores.

Gianfranco Perri                            Caracas, 31 de Diciembre 2012