Claims (1)
diretti contro parti del microorganismo stesso. Questi tests sono in realtà di tipo "indiretto", in quanto rilevano o la risposta immunologica all'agente infettante oppure la presenza di parti non vitali dello stesso, e per questo soffrono di una scarsa sensibilità e, talvolta, di una bassa specificità, nonostante siano estremamente diffusi nella pratica .
Come è noto, infatti, soltanto il ONA, in quanto sede delle informazioni genetiche necessarie alla proliferazione, è il responsabile ultimo dell'infezione, mentre i costituenti proteici hanno funzione meramente strutturale. Dalla sequenza di DNA propria del microorganismo dipende inoltre la minore o maggiore severità delle manifestazioni patologiche; la virulenza dell'infezione è infatti direttamente connessa al genoma dell'agente infettante, oltre che alle condizioni generali del paziente stesso.
Per i motivi sopra esposti, il problema della determinazione di DNA (generalmente di origine virale o batterica) in campioni organici quali siero, sangue, feci, urine, etc. ha assunto negli ultimi anni un'importanza sempre maggiore, che è aumentata ulteriormente con la scoperta di numerose varianti di microorganismi che differiscono tra loro soltanto per la sequenza del DNA, ma non (o solo in minima parte) per la composizione proteica o saccaridica della struttura esterna.
Il rilevamento di sequenze specifiche di DNA e la relativa quantificazione sono stati affrontati con numerosi metodi diversi tra loro, che hanno però in comune il fatto che il DNA da identificare viene riconosciuto da un’apposita sonda, costituita da un frammento omologo di DNA; questa ultima si "appaia" al DNA del campione in un passaggio noto come "ibridazione", e rende possibile il rilevamento grazie ad un'opportuna marcatura di cui è provvista.
Le linee generali di un metodo di identificazione di DNA tramite sonde sono, con riferimento alle tecniche più diffuse, le seguenti (per una panoramica dettagliata, si veda ad es. M.L.M. Anderson e B.D. Young, Quantitative filter hybridization, in Nucleic Acid Hybridization: a practical approach, ed. IRL PRESS, Oxford, 1985):
a) Estrazione del DNA campione. L'acido nucleico da esaminare deve essere reso disponibile Usando le cellule o i virioni che lo contengono e, preferibilmente, allontanando le proteine che normalmente lo complessano; ciò può essere ottenuto adottando una qualunque delle procedure note per questo scopo. Si può anche effettuare una amplificazione enzimatica del DNA stesso al fine di aumentarne il numero di copie e facilitarne il rilevamento, o anche frammentare il DNA con enzimi di restrizione, cosi da ottenere segmenti più accessibili a11'ibridazione.
b) Denaturazione del DNA campione. Poiché il DNA da analizzare è spesso nella conformazione a doppia elica, è necessario denaturarlo allo scopo di separare i due filamenti, cosi da rendere possibile l'ibridazione con la sonda. La denaturazione è ottenuta anch'essa con metodi noti, ad esempio per trattamento termico e/o con agenti denaturanti.
c) Adsorbimento del DNA campione sulla fase solida. Normalmente l'acido nucleico deve essere fissato su un supporto solido (ad esempio in nitrocellulosa, nylon o polistirene) per permettere una facile manipolazione nelle fasi successive di lavaggio e separazione della fase libera da quella legata. Il legame con il supporto è generalmente di tipo e1ettrostatico.
d) Ibridazione. Il DNA immobilizzato sulla fase solida viene posto a contatto con la sonda marcata e lasciato ibridare in condizioni di rinaturazione. A questa fase si premette generalmente un trattamento preliminare del campione in assenza eli sonda (pre-ibridazione), con io scopo di prevenire la formazione di legami aspecifici.
e) Lavaggio. Dopo l'ibridazione, la fase solida viene lavata più volte in soluzioni detergenti per allontanare l'eccesso di sonda che si è legata in modo non specifico al substrato; solo la sonda che ha riconosciuto la sequenza esattamente complementare rimane fissata sul supporto e può pertanto essere rilevata.
f) Rilevamento. La quantità di molecole di sonda ibridate (e quindi il livello del DNA ricercato nel campione) viene rilevata con sistemi specifici, dipendenti dal tipo di marcatura prescelto.
In alcuni dei metodi noti, il DNA viene denaturato dopo essere stato applicato al supporto anziché prima. Inoltre, in una versione alternativa, il saggio in questione può essere realizzato in fase omogenea, senza fissare il DNA campione ad un supporto solido (esempi sono riportati in P. Lebacq, Le Technoscope Biofutur, Maggio 1987, 11, 13-19 e in M.C. Kuhns et al. J. Med. Virol., 27, 274-281 (1989)). In questo caso, tutte le reazioni avvengono in fase liquida, e sono previsti appositi sistemi per separare, dopo l’ibridazione, la sonda non legata dal materiale ibridato; la separazione può essere effettuata, ad esempio, per aggiunta di reagenti che fanno precipitare il DNA a catena singola, permettendone la separazione per centrifugazione, o per eluizione attraverso una colonna di gel, su cui resta legata la sola sonda non reagita. In generale, però, i sistemi in fase liquida presentano, a fronte di una maggior semplicità operativa, una scarsa sensibilità che li rende inadatti all'uso routinario.
Le varie metodiche del tipo descritto si differenziano inoltre per il sistema di marcatura adottato, il primo e finora più utilizzato essendo quello che prevede I1incorporazione nel DNA sonda di basi radioattive, contenenti generalmente 32P. In questo caso il rilevamento viene effettuato mediante autoradiografia (esposizione del supporto solido contenente il materiale ibridato ad una pellicola fotografica in assenza di luce) o mediante conta allo seinti11atore (gamma counter) (v. ad es. M.L.M. Anderson e B. D. Young, già cit.). Nonostante la larga diffusione in passato, l'uso di sonde marcate con viene gradualmente abbandonato, a causa dei problemi legati alla manipolazione di sostanze radioattive, all'instabilità del radiomarcato, che non può essere conservato a lungo dopo essere stato preparato, e al tempo richiesto per il rilevamento con autoradiografia.
Le nuove sonde messe a punto negli ultimi anni come alternativa a quelle radioattive utilizzano come marcatori principalmente enzimi, apteni, antigeni, ecc., e si caratterizzano per la totale assenza di pericolosità e per la possibilità di essere conservate a lungo, anche se non sempre sono sensibili quanto quelle marcate con radionuc1idi. Una panoramica sull'uso delle sonde non radioattive è data nella già citata pubblicazione di P. Lebacq, in cui si descrive, ad esempio, un sistema di rilevamento indiretto in cui la sonda è marcata con biotina; dopo l'ibridazione e il lavaggio si aggiunge un complesso di fosfatasi alcalina polimerizzata e biotinilata, legata a streptavidina, che si fissa sulla sonda e successivamente agisce, per mezzo dell'enzima, su un substrato cromogenico con cui il materiale viene posto in contatto.
Sistemi di rilevamento diretto descritti ancora in detta pubblicazione sono quelli in cui la sonda è legata direttamente ad un enzima, generalmente perossidasi o fosfatasi alcalina. E1 chiaro che con tali sistemi si cerca di ridurre al minimo il numero di passi necessari per il rilevamento; in questo caso,, dopo l'ibridazione e il lavaggio, il campione viene posto direttamente in contatto con un substrato cromogenico, che precipita in situ per azione dell'enzima, lasciando una macchia colorata più o meno intensa a seconda della concentrazione di DNA ricercato nel campione in esame.
Il supporto solido è costituito da appositi filtri in foglio o membrane commerciali, che possono essere di nitrocellulosa, nylon o altri adatti materiali. L.a tecnica più comune con cui il campione viene applicato sulla membrana è nota con il nome di dot blot: si tratta di ottenere con i campioni e con gli standard di confronto, piccole macchie circolari allineate sul foglio, di dimensioni uniformi. In esperimenti di laboratorio (v. ad es. M.L.M. Anderson e B.D. Young, già cit.), ciò può essere ottenuto manualmente, depositando con una pipetta quantità prestabilite di soluzione sul filtro opportunamente preparato.
Per applicazioni non sperimentali è evidente che tale tecnica non è applicabile, sia per la lentezza e la complessità operativa, sia per la disuniformità dei risultati. Sono perciò disponibili in commercio attrezzature di filtrazione sotto vuoto (es . Bio-Dot , della Bio-Rad, Richmond, Ca., USA) in cui un foglio di membrana viene posizionato a tenuta, in modo da poter applicare un'aspirazione attraverso di esso dal basso; sopra al foglio si applica una chiusura conformata cosi da creare elei m i c ropozzett i allineati di cui la membrana costituisce il fondo. Applicando quantità prestabilite di campione in ciascuno dei micropozzetti e aspirando dal basso, i campioni vengono filtrati attraverso il foglio e il DNA resta fissato su di esso. Successivamente, il filtro deve essere posto in forno a 80°C per fissare l'acido nucleico sul supporto .
Da quanto precede emerge che lo schema applicativo tipico per le più moderne metodiche non isotopiche di determinazione di sequenze specifiche di DNA per mezzo di sonde, soprattutto nel campo clinico, in cui la quantità degli esami che si effettuano giornalmente è notevole, corrisponde a quello precedentemente presentato, in cui la sonda è marcata con un enzima, generalmente perossidasi o fosfatasi alcalina, i campioni, e i confronti, vengono applicati come macchie su filtro unico mediante un'apparecchiatura di microfiltrazione sotto vuoto del tipo descritto e la tecnica di rilevamento consiste ne11'incubare l'ibridato fissato sul filtro con un substrato cromogenico, che in presenza dell'enzima dà luogo ad un precipitato, colorando le macchie più o meno intensamente. Mediante confronto visivo tra le macchie relative al campione in esame e quelle ottenute con diluizioni note della sequenza di DNA da rilevare è possibile determinare approssimativamente il tenore di DNA ricercato presente nel campione. Un esempio di applicazione di una tale metodica alla determinazione del virus dell'epatite B nel siero umano è riportato in A. Manzin et al., J. Clin. Pathol., 42, 1206-1210 (1989).
Una determinazione quantitativa con il metodo sopra descritto non è praticamente possibile; l'uso di apparecchi di rilevamento tipo densitometri a riflessione/trasmissione dà risultati poco affidabili e ripetibili a causa, tra l'altro, della presenza di pigmenti nel siero del campione, che sono in grado di alterare il colore delle macchie sui filtri, e di inevitabili disomogeneità nel filtro nell'area di lettura, che fanno si che la ripetibilità della lettura sia affidata soltanto alla capacità dello strumento di leggere la macchia di colore sempre nel medesimo punto (minimi disassamenti meccanici possono influire sensibilmente sulla lettura). Inoltre, il range di lettura in campo colorimetrico risulta piuttosto limitato, non essendo lo strumento in grado di discriminare quando l'intensità di colore supera un certo valore o scende al di sotto di una certa soglia (bassa sensibilità e scarsa precisione).
E1 da notare che misure quantitative sono raramente ottenute anche nelle metodiche che utilizzano sonde radioattive, in cui si ottengono lastre autoradiografiche con macchie più o meno intense a seconda del tenore di DNA nel campione. I densitometri utilizzati in questo campo, oltre che avere costo proibitivo, sono soggetti ad inconvenienti analoghi a quelli precedentemente descritti per la quantificazione del colore.
Scopo della presente invenzione è pertanto quello di mettere a punto un metodo per la determinazione di sequenze specifiche di DNA mediante sonde non radioattive che possa essere utilizzato in maniera completamente automatizzata per l'esecuzione di analisi di routine, e che, oltre ad essere sensibile, abbia anche la caratteristica di dar luogo a risultati quantitativi, ottenuti strumentalmente .
A tale scopo si propone di sostituire La convenzionale fase di fissazione dei campioni mediante macchie su un unico filtro comune, per applicazione manuale o per microfi1trazione con aspirazione, con l'impregnazione mediante le soluzioni di DNA da esaminare di dischetti di supporto individuali, ciascuno disposto nel relativo pozzetto da microtitolazione, seguita da evaporazione del liquido dal pozzetto. In questo modo, sul dischetto asciutto resta fissato il DNA campione, e tutte le operazioni successive, cioè preibridazione, ibridazione, lavaggi e rilevamento, nonché eventualmente la denaturazione iniziale, vengono effettuate nello stesso pozzetto, senza mai prelevare da esso il dischetto, e possono essere svolte mediante apparecchi automatici per pipettatura reagenti e lavaggi.
Inoltre, se al convenzionale substrato cromogenico si sostituisce un substrato fluorogenico è possibile effettuare il rilevamento finale in fluorescenza, utilizzando un apposito strumento, e pervenendo cosi ad una quantificazione numerica dei risultati. Il procedimento di fissazione del campione per evaporazione direttamente in micropozzetto rende possibile condurre il rilevamento finale in liquido, e quindi consente l'adozione di una tecnica strumentale di determinazione del risultato, senz'altro più precisa e affidabile dei metodi colorimetrici di confronto visuale correnti. L'uso di un substrato cromogenico solubile è sconsigliato, tra l'altro, dal fatto che con la metodica dell'invenzione, la presenza della membrana nel pozzetto impedisce la normale lettura in trasmissione verticale propria di tutti i fotometri per micropozzetti.
11 procedimento proposto secondo l'invenzione è pertanto attuabile in maniera automatizzata per tutti i passaggi a valle dell'estrazione (o, eventualmente, della denaturazione) del DNA campione, fino alla lettura del risultato numerico finale. Un altro aspetto vantaggioso connesso alla tecnica di immobilizzazione proposta è costituito dal fatto che, in seguito all’impregnazione e all'evaporazione, il DNA resta fissato ad entrambe le facce del dischetto contrariamente a quanto avviene con le tecniche del tipo dot-blot. Inoltre, Π DNA campione non ha alcuna possibilitcl di andare perduto durante la fase di applicazione al supporto, cosa che invece può avvenire utilizzando le apparecchiature di microf iltrazione sotto vuoto note.
Forma pertanto oggetto specifico della presente invenzione un metodo per la determinazione quantitativa di sequenze specifiche di DNA mediante sonde non radioattive e relativo kit in cui ciascun campione di DNA da analizzare viene immobilizzato su una fase solida costituita da una membrana, viene sottoposto a denaturazione prima o dopo di detta immobi1izzazione, viene poi ibridato con una sonda complementare alla sequenza ricercata e marcata con un enzima, e l'ibridato immobilizzato risultante viene quindi sottoposto a lavaggio e posto in contatto con un substrato dell'enzima per il rilevamento, caratterizzato dal fatto che detta immobilizzazione su fase solida è realizzata, per ciascun campione, impregnando con la soluzione di campione una membrana individuale disposta all'interno di un pozzetto da microtitolazione e facendo evaporare il liquido da detto micropozzetto, in modo da lasciarvi la membrana asciutta, e dal fatto che detto substrato dell'enzima per il rilevamento è un substrato fluorogenico.
L'evaporazione del liquido dal pozzetto nella fase di immobilizzazione può essere ottenuta semplicemente lasciando riposare all'aria per un tempo sufficiente o, preferibilmente, riscaldando il pozzetto, ad esempio tenendolo per 18 ore a 50°C. In alternativa, si può utilizzare un getto di aria calda o anche un riscaldamento mediante microonde. In ogni caso, la membrana non viene mai spostata dal pozzetto che la contiene e, quando asciutta, risulta ricoperta su entrambe le facce di DNA campione.
Le membrane utilizzate per il procedimento dell'invenzione sono costituite da dischetti di diametro compreso tra 1 e 25 mm, tali, ovviamente, da poter essere contenuti nei pozzetti, e degli stessi materiali delle membrane in foglio della tecnica anteriore, preferibilmente nitrocellulosa o nylon.
L'enzima con cui la sonda è marcata è, preferibilmente, fosfatasi alcalina e il relativo substrato fluorogenico è, preferibilmente, 4-metiI-umbel1iferiIfosfato. La fosfatasi alcalina, in opportuno ambiente alcalino e in presenza di cloruro di magnesio e di zinco, stacca, mediante una reazione di idrossilezione, il gruppo fosfato da un adatto substrato, liberando fosfato inorganico. Un substrato fluorogenico di detto enzima ha la proprietà, quando defosfatato, di assumere caratteristiche di fluorescenza rilevabili; in particolare, il 4-metilumbel1iferilfosfato viene trasformato in 4-meti lumbel1iferone, molecola che eccitata con luce a 360 nm emette luce a 450 nm. Il prodotto fluorescente, inoltre, resta in soluzione acquosa, permettendo la lettura al fluorimetro su un campione liquido omogeneo, con tutti i vantaggi in termini di praticità, ripetibilità e precisione che ciò comporta .
In particolare, la lettura strumentale in fluorescenza direttamente sul pozzetto contenente il campione, in liquido, non è soggetta ai problemi di ripetibilità descritti precedentemente nel caso della misurazione della densità ottica di macchie di colore su un substrato solido, i coefficienti di variazione rilevati essendo generalmente inferiori al 5%. Inoltre, è possibile effettuare letture multiple durante l'incubazione finale con il substrato o letture in cinetica, cosa irrealizzabile o comunque difficoltosa con substrati precipitanti o in radioattivo, in quanto la lettura in tali sistemi blocca irreversibilmente la reazione. Un ulteriore vantaggio dell 'uso di un substrato fluorogenico è nella maggiore ampiezza del campo di lettura rispetto al rilevamento in co 1 or imet r i a , che consente risultati quantitativi più precisi sia nel campo delle alte concentrazioni che per concentrazioni molto basse.
La presente invenzione fornisce quindi un metodo per la determinazione quantitativa di sequenze specifiche di DNA in fluidi biologici e, in generale, in soluzioni acquose, effettuato secondo le seguenti fasi, riferite a ciascun campione da analizzare:
a) preparazione del campione, comprendente la lisi delle cellule o dei virioni contenenti il DNA, e l'estrazione del DNA dalla sospensione risultante, e comprendente, eventualmente, un trattamento di ampi if icazione enzimatica del DNA oppure un taglio dello stesso in segmenti di dimensioni ridotte mediante enzimi di restrizione:
b) immobilizzazione del DNA su fase solida, effettuata pipettando una quantità prestabilita di soluzione di DNA campione in un micropozzetto contenente una membrana in forma di dischetto di nitrocellulosa o nylon, e facendo quindi evaporare il liquido, cosi da lasciare detta membrana asciutta all'interno del pozzetto;
c) denaturazione del DNA immobilizzato mediante riscaldamento e/o trattamento chimico con agenti denaturanti;
d) trattamento di ibridazione del DNA immobilizzato con una sonda complementare alla sequenza ricercata e marcata con un enzima, in adatte condizioni di temperatura e forza ionica;
e) lavaggi estensivi del11ibridato immobilizzato risultante dalla fase precedente, per allontanare l'eccesso di sonda non appaiata;
f) incubazione del1’ibridato immobilizzato con un substrato fluorogenico di detto enzima, per permettere la conversione enzimatica del substrato in una sostanza solubile fluorescente;
g) lettura strumentale della fluorescenza risultante nel liquido del pozzetto.
Tutte le fasi sopra citate, a partire dalla fase b) di fissazione del DNA campione, sono realizzate sullo stesso pozzetto, senza mai estrarre detta membrana.
In alternativa al metodo precedentemente descritto, la denaturazione del DNA può essere operata prima di immobilizzare il campione sulla membrana.
La fase di ibridazione comprende, come è usuale, una pre-ibridazione ottenuta trattando prel iminarmente il campione immobi1izzato con la soluzione di base per l'ibridazione, priva della sonda, o con altra soluzione analoga.
Come già detto, secondo forme di realizzazione preferite dell'invenzione, l'enzima di marcatura della sonda è fosfatasi alcalina, e il substrato fluorogenico è 4-meti1umbe11iferi1fosfato.
L'invenzione comprende, inoltre, i kits analitici messi a punto specificamente per l'attuazione del metodo descritto, comprendenti, oltre ad una soluzione denaturante, ad una soluzione base di ibridazione, alla soluzione di sonda marcata con enzima, ad una o più soluzioni di lavaggio, preferibilmente concentrate, e a più soluzioni standard di DNA a concentrazione nota, anche un complesso di pozzetti da microtitolazione, ad esempio una piastra da 96 pozzetti, un ugual numero di membrane in forma di dischetti di nitrocellulosa o nylon, preferibilmente del diametro di 5-6 mm, e una soluzione con un substrato fluorogenico per detto enzima.
Nella sua versione preferita, il kit della invenzione comprende, come enzima di marcatura, la fosfatasi alcalina, e come substrato il 4-metilumbel 1 iferone.
La presente invenzione verrà ora descritta secondo una sua forma di realizzazione specifica, illustrata nell 'esempio seguente.
ESEMPIO
Un campione di siero da analizzare viene sottoposto a digestione enzimatica mediante proteinasi K, aggiungendo al campione una soluzione dell 'enzima fino ad una concentrazione finale di circa 160 jjg/ml e incubando a 50°C per 1 h. Si aggiunge quindi un egual volume di una miscela di estrazione costituita da fenolo, cloroformio e alcool isoamilico 25:24:1 e si agita fortemente fino alla formazione di una sospensione lattescente. La sospensione viene quindi centrifugata a 2500 g per separare le fasi acquosa ed organica. La fase acquosa soprastante viene prelevata e trasferita in un altro contenitore e l'estrazione con miscela ri petuta .
Si opera poi una precipitazione del DNA mediante alcool etilico assoluto freddo, aggiungendo alla fase acquosa ottenuta dall'estrazione una soluzione di NaCl concentrato fino ad ottenere una concentrazione finale di 0,3 M e poi 2 volumi di etanolo anidro a -20°C, mescolando brevemente e incubando a -80°C per 30 min. Si centrifuga a 10.000 g per 10 min. e si elimina il liquido.
Il pellet così ottenuto viene risospeso, per la denaturazione del DNA, in 100 μ1 di NaOH 0,01 M, e quindi il campione viene riscaldato a 90-100°C per 10 min. in provetta tipo Eppendorf. Immediatamente dopo viene raffreddato in ghiaccio (0°C) per 5 min.
Il campione così trattato viene poi pipettato in pozzetti da microtitolazione opachi contenenti ciascuno un dischetto di membrana di nylon o nitrocellulosa (preferibilmente membrana Zeta-Probe^ della Bio-Rad, in nylon); i dischetti hanno un diametro di 5 mm.
La soluzione viene quindi lasciata evaporare nel pozzetto con il filtrino per 18 ore a temperatura di 50°C.
Si aggiungono quindi 200 yl dì soluzione di pre-ibridazione costituita da 5x SSC (1x SSC = 0,15 M NaCl, 0,015 M Na-citrato, pH 7), 0,5% polivinilpirrolidone (PVP) e 0,5% BSA (sieroa1bumina bovina) e si mantiene in incubazione per 1 h a 50°C. La soluzione viene poi aspirata ed il pozzetto con la membrana è riempito con 200 JJI di soluzione di ibridazione costituita da 5χ SSC, 0,5% BSA, 0,5 PVP, 1% SOS (sodio dodeci1solfato), 10 mM MgCl^ e 50 mg/ml di sonda marcata con fosfatasi alcalina, e si incuba per 35 min. a 50°C.
La sonda utilizzata è ottenuta secondo il procedimento descritto in E. Jablonsky et al., Nuc. Acids Res., _14, 6115-6128 (1986).
Dopo l'ibridazione si aspira la soluzione e si lava il pozzetto, e il filtrino in esso contenuto, con 200 pi di soluzione di lavaggio I, costituita da 1x SSC e 1% SOS per 5 min. a temperatura ambiente; si ripete l'operazione per un totale di 2 volte e 10 rnin. Si aspira la soluzione di lavaggio I e la si sostituisce con 200 pi di soluzione di lavaggio II costituita da 1x SSC, 1% Triton, 50 mM MgClg; si incuba per 10 min. a 50°C. Si ripete l'operazione per un totale di 2 volte e 20 min. Quindi, si aspira la soluzione di lavaggio II e la si sostituisce con 200 pi di lavaggio III, costituita da 1x SSC, incubando per 5 min. a temperatura ambiente e si ripete il lavaggio per un totale di 2 volta e 10 min.
Dopo aver aspirato l'ultima soluzione di lavaggio, nello stesso pozzetto si aggiungono 200 pi di soluzione di substrato fluorogenico, contenente 1,25 M AMP (2-ammino-2-meti1-1-propanoIo), 0,125 mM MgC12, 0,01 mM ZnC12, 0,1% NaN^ e 0,1 mM MUB (4-meti1umbe 11iferi1fosfato), a pH 9,5. Il tutto viene lasciato in incubazione a 37°C per 18 ore, e infine si legge il segnale di fluorescenza in un apposito fluorimetro.
Il valore numerico ottenuto può essere confrontato con i valori ottenuti in parallelo da campioni di DNA a concentrazione nota, o meglio, può essere confrontato con una curva di calibrazione costituita a partire da detti valori di confronto.
Utilizzando una piastra per microtitolazione a 96 pozzetti e un dispositivo automatizzato di pipettatuta reagenti e campioni, in associazione con un fluorimetro, e applicando la procedura precedentemente descritta ad una diluizione seriale di un campione di HBV DNA (DNA da virus dell'epatite B), si è ottenuta la serie di valori indicati nella tabella seguente, in cui nella prima colonna sono indicati i pg totali di DNA presenti nella fialetta di standard (100 mg/25 pi), nella seconda i valori numerici del segnale di fluorescenza (in FSU) per ogni pozzetto e nella terza i valori medi per i pozzetti relativi alla stessa concentrazione. directed against parts of the microorganism itself. These tests are actually of the "indirect" type, as they detect either the immunological response to the infecting agent or the presence of non-viable parts of the same, and for this reason they suffer from low sensitivity and, sometimes, low specificity, despite are extremely widespread in practice. As is known, in fact, only the ONA, as the seat of the genetic information necessary for proliferation, is the ultimate responsible for the infection, while the protein constituents have a purely structural function. The lesser or greater severity of the pathological manifestations also depends on the DNA sequence of the microorganism; the virulence of the infection is in fact directly connected to the genome of the infecting agent, as well as to the general conditions of the patient himself. For the above reasons, the problem of determining DNA (generally of viral or bacterial origin) in organic samples such as serum, blood, faeces, urine, etc. has become increasingly important in recent years, which has further increased with the discovery of numerous variants of microorganisms that differ from each other only in the DNA sequence, but not (or only minimally) in the protein or saccharide composition of the external structure. The detection of specific DNA sequences and their quantification have been addressed with numerous different methods, which however have in common the fact that the DNA to be identified is recognized by a special probe, consisting of a homologous fragment of DNA; the latter "appears" to the DNA of the sample in a step known as "hybridization", and makes detection possible thanks to an appropriate labeling it is provided with. The general lines of a DNA identification method using probes are, with reference to the most widespread techniques, the following (for a detailed overview, see e.g. M.L.M. Anderson and B.D. Young, Quantitative filter hybridization, in Nucleic Acid Hybridization: a practical approach, ed. IRL PRESS, Oxford, 1985): a) Extraction of the sample DNA. The nucleic acid to be examined must be made available by using the cells or virions that contain it and, preferably, by removing the proteins that normally complex it; this can be achieved by adopting any of the procedures known for this purpose. It is also possible to carry out enzymatic amplification of the DNA itself in order to increase the number of copies and facilitate its detection, or even to fragment the DNA with restriction enzymes, so as to obtain more accessible segments for hybridization. b) Denaturation of the sample DNA. Since the DNA to be analyzed is often in the double helix conformation, it is necessary to denature it in order to separate the two strands, so as to make hybridization with the probe possible. Denaturation is also obtained with known methods, for example by heat treatment and / or with denaturing agents. c) Adsorption of the sample DNA on the solid phase. Normally the nucleic acid must be fixed on a solid support (for example in nitrocellulose, nylon or polystyrene) to allow easy handling in the subsequent washing phases and separation of the free phase from the bound one. The bond with the support is generally of the electrostatic type. d) Hybridization. The DNA immobilized on the solid phase is placed in contact with the labeled probe and left to hybridize under renaturation conditions. Preliminary treatment of the sample in the absence of the probe (pre-hybridization) is generally performed at this stage, with the aim of preventing the formation of non-specific bonds. e) Washing. After hybridization, the solid phase is washed several times in detergent solutions to remove excess probe which has non-specifically bound to the substrate; only the probe that has recognized the exactly complementary sequence remains fixed on the support and can therefore be detected. f) Detection. The quantity of hybridized probe molecules (and therefore the level of DNA sought in the sample) is detected with specific systems, depending on the type of label chosen. In some of the known methods, the DNA is denatured after being applied to the support rather than before. Furthermore, in an alternative version, the assay in question can be carried out in the homogeneous phase, without fixing the sample DNA to a solid support (examples are reported in P. Lebacq, Le Technoscope Biofutur, May 1987, 11, 13-19 and in M.C. Kuhns et al. J. Med. Virol., 27, 274-281 (1989)). In this case, all reactions take place in the liquid phase, and special systems are provided to separate, after hybridization, the unbound probe from the hybridized material; the separation can be carried out, for example, by adding reagents that precipitate the single-chain DNA, allowing it to be separated by centrifugation, or by elution through a gel column, on which only the unreacted probe remains bound. In general, however, liquid phase systems have, in the face of greater operational simplicity, a low sensitivity which makes them unsuitable for routine use. The various methods of the type described also differ in the marking system adopted, the first and hitherto most used being the one which provides for the incorporation in the probe DNA of radioactive bases, generally containing 32P. In this case the detection is carried out by autoradiography (exposure of the solid support containing the hybridized material to a photographic film in the absence of light) or by counting at the separator (gamma counter) (see for example M.L.M. Anderson and B. D. Young, already cited). .). Despite the widespread diffusion in the past, the use of probes labeled with is gradually abandoned, due to the problems related to the handling of radioactive substances, the instability of the radiolabelled, which cannot be stored for long after being prepared, and at the time required for autoradiography detection. The new probes developed in recent years as an alternative to radioactive ones use mainly enzymes, haptens, antigens, etc. as markers, and are characterized by the total absence of danger and the possibility of being stored for a long time, although not always they are as sensitive as those marked with radionucides. An overview of the use of non-radioactive probes is given in the aforementioned publication by P. Lebacq, which describes, for example, an indirect detection system in which the probe is labeled with biotin; after hybridization and washing, a polymerized and biotinylated alkaline phosphatase complex, bound to streptavidin, is added, which is fixed on the probe and subsequently acts, by means of the enzyme, on a chromogenic substrate with which the material is placed in contact. Direct detection systems still described in said publication are those in which the probe is directly linked to an enzyme, generally peroxidase or alkaline phosphatase. It is clear that with such systems an attempt is made to reduce the number of steps necessary for detection to a minimum; in this case, after hybridization and washing, the sample is placed directly in contact with a chromogenic substrate, which precipitates in situ by the action of the enzyme, leaving a more or less intense colored spot depending on the concentration of DNA sought in the sample under examination. The solid support consists of suitable foil filters or commercial membranes, which can be of nitrocellulose, nylon or other suitable materials. The most common technique with which the sample is applied on the membrane is known as the dot blot: it involves obtaining with the samples and with the comparison standards, small circular spots aligned on the sheet, of uniform size. In laboratory experiments (see for example M.L.M. Anderson and B.D. Young, already cited), this can be achieved manually, by depositing pre-established quantities of solution on the suitably prepared filter with a pipette. For non-experimental applications it is evident that this technique is not applicable, both for the slowness and the operational complexity, and for the non-uniformity of the results. There are therefore commercially available vacuum filtration equipment (eg Bio-Dot, of Bio-Rad, Richmond, Ca., USA) in which a membrane sheet is placed tightly, so that a suction can be applied through a it from below; a shaped closure is applied above the sheet so as to create aligned elements of which the membrane forms the bottom. By applying predetermined amounts of sample to each of the microwells and aspirating from the bottom, the samples are filtered through the sheet and the DNA remains fixed on it. Subsequently, the filter must be placed in an oven at 80 ° C to fix the nucleic acid on the holder. From the foregoing it emerges that the typical application scheme for the most modern non-isotopic methods of determining specific DNA sequences by means of probes, especially in the clinical field, in which the quantity of examinations that are carried out daily is considerable, corresponds to that previously presented, in which the probe is labeled with an enzyme, generally peroxidase or alkaline phosphatase, the samples, and the comparisons, are applied as single filter spots by means of a vacuum microfiltration apparatus of the type described and the detection technique consists of incubate the hybridate fixed on the filter with a chromogenic substrate, which in the presence of the enzyme gives rise to a precipitate, coloring the spots more or less intensely. By visually comparing the stains relating to the sample under examination and those obtained with known dilutions of the DNA sequence to be detected, it is possible to approximately determine the content of DNA sought in the sample. An example of the application of such a method to the determination of the hepatitis B virus in human serum is reported in A. Manzin et al., J. Clin. Pathol., 42, 1206-1210 (1989). A quantitative determination with the method described above is practically not possible; the use of detection devices such as reflection / transmission densitometers gives unreliable and repeatable results due, among other things, to the presence of pigments in the sample serum, which are able to alter the color of the spots on the filters, and unavoidable inhomogeneities in the filter in the reading area, which mean that the repeatability of the reading is entrusted only to the ability of the instrument to always read the color spot in the same point (minimum mechanical misalignments can significantly affect the reading). Furthermore, the reading range in the colorimetric field is rather limited, as the instrument is not able to discriminate when the color intensity exceeds a certain value or falls below a certain threshold (low sensitivity and poor accuracy). It should be noted that quantitative measurements are rarely obtained even in methods using radioactive probes, in which autoradiographic plates with more or less intense stains are obtained depending on the DNA content in the sample. The densitometers used in this field, besides being prohibitively expensive, are subject to drawbacks similar to those previously described for the quantification of color. The purpose of the present invention is therefore to develop a method for the determination of specific DNA sequences by means of non-radioactive probes which can be used in a fully automated manner for carrying out routine analyzes, and which, in addition to being sensitive, it also has the characteristic of giving rise to quantitative results, obtained instrumentally. For this purpose it is proposed to replace the conventional step of fixation of the samples by means of stains on a single common filter, by manual application or by microfi1tration with aspiration, with the impregnation by means of the DNA solutions to be examined of individual support disks, each disposed in its microtiter well, followed by evaporation of the liquid from the well. In this way, the sample DNA remains fixed on the dry disk, and all subsequent operations, i.e. pre-hybridization, hybridization, washing and detection, as well as the initial denaturation, are carried out in the same well, without ever taking the disk from it, and can be carried out using automatic equipment for pipetting reagents and washing. Furthermore, if a fluorogenic substrate is substituted for the conventional chromogenic substrate, it is possible to carry out the final fluorescence detection, using a suitable instrument, and thus obtaining a numerical quantification of the results. The procedure of fixing the sample by evaporation directly in the microwell makes it possible to carry out the final detection in liquid, and therefore allows the adoption of an instrumental technique for determining the result, certainly more precise and reliable than the current colorimetric methods of visual comparison. The use of a soluble chromogenic substrate is not recommended, among other things, by the fact that with the method of the invention, the presence of the membrane in the well prevents the normal reading in vertical transmission typical of all photometers for microwells. The method proposed according to the invention can therefore be carried out in an automated manner for all the steps downstream of the extraction (or, possibly, of the denaturation) of the sample DNA, up to the reading of the final numerical result. Another advantageous aspect related to the proposed immobilization technique is the fact that, following impregnation and evaporation, the DNA remains fixed to both faces of the disk, contrary to what happens with dot-blot techniques. Furthermore, the sample DNA has no chance of being lost during the application phase to the support, which instead can happen using known vacuum microfiltration equipment. Therefore, the specific object of the present invention is a method for the quantitative determination of specific DNA sequences by means of non-radioactive probes and relative kit in which each sample of DNA to be analyzed is immobilized on a solid phase consisting of a membrane, is subjected to denaturation before or after said immobilization, it is then hybridized with a probe complementary to the searched sequence and labeled with an enzyme, and the resulting immobilized hybrid is then washed and placed in contact with a substrate of the enzyme for detection, characterized in that said immobilization on the solid phase is carried out, for each sample, by impregnating with the sample solution an individual membrane placed inside a microtiter well and evaporating the liquid from said microwell, so as to leave the membrane dry, and by the fact that said substrate of the detection enzyme is a substrate fluorogenic ato. Evaporation of the liquid from the well in the immobilization step can be obtained simply by letting it rest in the air for a sufficient time or, preferably, by heating the well, for example by keeping it for 18 hours at 50 ° C. Alternatively, a jet of hot air or even microwave heating can be used. In any case, the membrane is never moved from the well that contains it and, when dry, it is covered on both faces with sample DNA. The membranes used for the process of the invention consist of disks having a diameter between 1 and 25 mm, obviously such as to be contained in the wells, and of the same materials as the sheet membranes of the prior art, preferably nitrocellulose or nylon. The enzyme with which the probe is labeled is preferably alkaline phosphatase and the relative fluorogenic substrate is preferably 4-methyI-umbelylifosphosphate. The alkaline phosphatase, in a suitable alkaline environment and in the presence of magnesium and zinc chloride, detaches the phosphate group from a suitable substrate by means of a hydroxylation reaction, releasing inorganic phosphate. A fluorogenic substrate of said enzyme has the property, when dephosphated, of assuming detectable fluorescence characteristics; in particular, 4-methylumbel1iferylphosphate is transformed into 4-methylumbel1iferone, a molecule which, when excited with light at 360 nm, emits light at 450 nm. Furthermore, the fluorescent product remains in aqueous solution, allowing the fluorometer reading on a homogeneous liquid sample, with all the advantages in terms of practicality, repeatability and precision that this entails. In particular, the instrumental reading in fluorescence directly on the well containing the sample, in liquid, is not subject to the repeatability problems described above in the case of measuring the optical density of color spots on a solid substrate, the coefficients of variation detected generally being less than 5%. Furthermore, it is possible to carry out multiple readings during the final incubation with the substrate or readings in kinetics, which is impossible or otherwise difficult with precipitating or radioactive substrates, as the reading in such systems irreversibly blocks the reaction. A further advantage of the use of a fluorogenic substrate is in the greater width of the reading field compared to the detection in co 1 or imet r i a, which allows more precise quantitative results both in the range of high concentrations and for very low concentrations. The present invention therefore provides a method for the quantitative determination of specific DNA sequences in biological fluids and, in general, in aqueous solutions, carried out according to the following steps, referred to each sample to be analyzed: a) sample preparation, including lysis DNA-containing cells or virions, and the extraction of DNA from the resulting suspension, and possibly comprising an extensive enzymatic enzyme treatment of the DNA or cutting it into segments of reduced size by means of restriction enzymes: b) immobilization of the DNA on the solid phase, carried out by pipetting a predetermined quantity of sample DNA solution into a microwell containing a membrane in the form of a nitrocellulose or nylon disk, and then evaporating the liquid, so as to leave said membrane dry inside the well ; c) denaturation of immobilized DNA by heating and / or chemical treatment with denaturing agents; d) hybridization treatment of the immobilized DNA with a probe complementary to the searched sequence and labeled with an enzyme, under suitable conditions of temperature and ionic strength; e) extensive washing of the immobilized hybrid resulting from the previous step, to remove the excess of the unpaired probe; f) incubation of the immobilized hybrid with a fluorogenic substrate of said enzyme, to allow the enzymatic conversion of the substrate into a fluorescent soluble substance; g) instrumental reading of the resulting fluorescence in the well liquid. All the above mentioned steps, starting from step b) of fixing the sample DNA, are carried out on the same well, without ever extracting said membrane. As an alternative to the previously described method, DNA denaturation can be performed before immobilizing the sample on the membrane. The hybridization step comprises, as is usual, a pre-hybridization obtained by first treating the immobilized sample with the basic solution for hybridization, without the probe, or with another similar solution. As already mentioned, according to preferred embodiments of the invention, the labeling enzyme of the probe is alkaline phosphatase, and the fluorogenic substrate is 4-methylumbe11iferous phosphate. The invention also comprises the analytical kits developed specifically for the implementation of the described method, comprising, in addition to a denaturing solution, a basic hybridization solution, an enzyme-labeled probe solution, one or more solutions. washing, preferably concentrated, and to several standard DNA solutions of known concentration, also a complex of microtiter wells, for example a 96-well plate, an equal number of membranes in the form of nitrocellulose or nylon disks, preferably with a diameter of 5-6 mm, and a solution with a fluorogenic substrate for said enzyme. In its preferred version, the kit of the invention comprises alkaline phosphatase as the labeling enzyme and 4-methylumbel 1 hypherone as substrate. The present invention will now be described according to a specific embodiment thereof, illustrated in the following example. EXAMPLE A serum sample to be analyzed is subjected to enzymatic digestion by means of proteinase K, adding to the sample a solution of the enzyme up to a final concentration of about 160 µg / ml and incubating at 50 ° C for 1 h. An equal volume of an extraction mixture consisting of phenol, chloroform and isoamyl alcohol 25: 24: 1 is then added and vigorously stirred until a milky suspension is formed. The suspension is then centrifuged at 2500 g to separate the aqueous and organic phases. The aqueous phase above is withdrawn and transferred to another container and the extraction with the mixture repeated. The DNA is then precipitated by means of cold absolute ethyl alcohol, adding to the aqueous phase obtained from the extraction a solution of concentrated NaCl until a final concentration of 0.3 M is obtained and then 2 volumes of anhydrous ethanol at -20 ° C, mixing briefly and incubating at -80 ° C for 30 min. It is centrifuged at 10,000 g for 10 min. and the liquid is eliminated. The pellet thus obtained is resuspended, for DNA denaturation, in 100 μ1 of 0.01 M NaOH, and then the sample is heated to 90-100 ° C for 10 min. in Eppendorf type test tube. Immediately thereafter it is cooled on ice (0 ° C) for 5 min. The sample thus treated is then pipetted into opaque microtiter wells each containing a disk of nylon or nitrocellulose membrane (preferably Bio-Rad's Zeta-Probe membrane, made of nylon); the discs have a diameter of 5 mm. The solution is then left to evaporate in the well with the filter for 18 hours at a temperature of 50 ° C. Then 200 yl of pre-hybridization solution consisting of 5x SSC (1x SSC = 0.15 M NaCl, 0.015 M Na-citrate, pH 7), 0.5% polyvinylpyrrolidone (PVP) and 0.5% BSA ( bovine serum albumin) and incubated for 1 h at 50 ° C. The solution is then aspirated and the membrane well is filled with 200 JJI of hybridization solution consisting of 5χ SSC, 0.5% BSA, 0.5 PVP, 1% SOS (sodium dodecyl sulfate), 10 mM MgCl ^ and 50 mg / mL probe labeled with alkaline phosphatase, and incubated for 35 min. at 50 ° C. The probe used is obtained according to the procedure described in E. Jablonsky et al., Nuc. Acids Res., _14, 6115-6128 (1986). After hybridization, the solution is aspirated and the well and the filter contained therein are aspirated with 200 µl of washing solution I, consisting of 1x SSC and 1% SOS for 5 min. at room temperature; the operation is repeated for a total of 2 times and 10 rnin. Washing solution I is aspirated and replaced with 200 µl of washing solution II consisting of 1x SSC, 1% Triton, 50 mM MgClg; incubates for 10 min. at 50 ° C. The operation is repeated for a total of 2 times and 20 min. Then, wash solution II is aspirated and replaced with 200 µl of wash III, consisting of 1x SSC, incubating for 5 min. at room temperature and the washing is repeated for a total of 2 times and 10 min. After aspirating the last washing solution, 200 µl of fluorogenic substrate solution, containing 1.25 M AMP (2-amino-2-methy1-1-propane), 0.125 mM MgCl, 0.01 is added to the same well. mM ZnC12, 0.1% NaN ^ and 0.1 mM MUB (4-methylumbe 11ifero1 phosphate), at pH 9.5. The whole is left to incubate at 37 ° C for 18 hours, and finally the fluorescence signal is read in a special fluorimeter. The numerical value obtained can be compared with the values obtained in parallel from DNA samples of known concentration, or better, it can be compared with a calibration curve made from said comparison values. Using a 96-well microtiter plate and an automated device for pipetting reagents and samples, in association with a fluorometer, and applying the procedure described above to a serial dilution of a sample of HBV DNA (hepatitis B virus DNA), the series of values indicated in the table below, in which the total pg of DNA present in the standard vial (100 mg / 25 µl) are indicated in the first column, in the second the numerical values of the fluorescence signal (in FSU) for each well and in the third the average values for wells related to the same concentration.
477
La presente invenzione è stata descritta con riferimento specifico ad alcune sue forme preferite di realizzazione, ma è da intendersi che variazioni e/o modifiche potranno essere apportate dagli esperti nel ramo senza per questo uscire dal relativo ambito di protezione. 477
The present invention has been described with specific reference to some of its preferred embodiments, but it is to be understood that variations and / or modifications may be made by those skilled in the art without thereby departing from the relative scope of protection.