Luca Doninelli
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Luca Doninelli (1956 – vivente), scrittore e giornalista italiano.
Citazioni di Luca Doninelli
[modifica]Citazioni in ordine temporale.
- "Sacro" non è un luogo speciale: è un luogo in apparenza uguale a tutti gli altri, il cui scopo è quello di trattenere, nel modo in cui ciò è possibile a un uomo, quello che Dio ci ha comunicato: la Sua memoria, ossia la memoria della Sua venuta nel mondo, della Sua presenza, i libri che contengono la Sua parola.[1]
- È sempre necessario misurare le proprie parole con il contesto (fatto di spazio e di tempo) nel quale queste parole vengono dette.[2]
- La bellezza di un edificio si misura non sullo spettacolo che offre ai cittadini ma dalla sua funzionalità allo scopo per cui è stato pensato.[3]
- Don Gnocchi, come sant'Ambrogio e san Carlo Borromeo, entra a far parte in modo definitivo, ufficiale, di quegli uomini che stanno alle fondamenta stesse della nostra città: benché vissuto nel XX secolo, don Gnocchi è, si può dire, un padre fondatore di Milano, un interprete straordinario del suo carattere.[4]
- [Su Giuseppe Berto] Un talento immenso anche nell'autodistruggersi.[5]
Da Pontiggia e Citati divisi dai Classici, Corriere della Sera, 18 ottobre 1998
- Pontiggia è un bibliofilo attento e caparbio, in cui combattono una splendida ironia inglese e una passione simmetrica un po' melanconica – decisamente argentina. Ed è anche uno scrittore incapace di nascondere, a dispetto delle sue molteplici arti, il proprio retropensiero e i propri sentimenti. Per Pontiggia, parlare dei Classici come nostri contemporanei è un'ipocrisia. Non esiste alcun cammino ineluttabile della Storia. Proprio perciò i Classici, tra i quali esiste un preciso, rigido ordine, si caratterizzano – nel caos del nostro tempo – per la loro essenziale inattualità.
- Se per Pontiggia la contemporaneità non esiste, per Citati tutto ciò che è, è perché contemporaneo a me, a noi. I Classici non ci sarebbero se non fossero nostri contemporanei. Anche la natura di un testo letterario vede i due scrittori molto lontani, almeno in apparenza.
- Uno dei segnali più decisivi della crisi di una civiltà è la sua incapacità di stabilire un metodo con cui rapportarsi col mondo, con le cose, con gli altri popoli, uomini, culture – in una parola: con la realtà.
Intellettuale senza parrocchia
- Questa questione del corpo e della fisicità è stata toccata più volte e in modo molto esplicito da Giorgio Gaber. Intendeva dire che a un certo punto della sua vita aveva preso il suo corpo, si era piazzato su un palcoscenico e aveva cominciato a parlare, come direbbe il Vangelo, "da se stesso". Non più preoccupato di ottenere successi discografici, di avere chissà quali passaggi televisivi, aveva cominciato a parlare per dire semplicemente quello che pensava, quello che gli stava a cuore.
- È molto difficile essere intellettuali in modo gaberiano. Perché bisogna pagar di persona e bisogna avere la consapevolezza che il prezzo lo si pagherà sempre. Non verrà mai un momento in cui si smetterà di pagare un prezzo per la propria libertà.
- Gaber ha sempre pagato dazio, certo, alle proprie scelte, ma da un certo punto in poi non ha più voluto far sottostare la propria libertà ad alcunché di esterno. Né ideologia politica né ricatti del pubblico. E per questo le sue parole talvolta cattive, talvolta tenere, talvolta struggenti e il più delle volte tutte queste cose insieme, sanno colpire davvero. Anche quando canta canzoni o dice parole potentemente politiche, anche quando capita di non essere d'accordo con lui, le lacrime agli occhi arrivano comunque spesso.
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Luca Doninelli, Intellettuale senza parrocchia. Storia di una passione per la libertà; in Gaber, Giorgio, il Signor G. Raccontato da intellettuali, amici, artisti, a cura di Andrea Pedrinelli, Kowalski, Milano, 2008, pp. 187-192. ISBN 978-88-7496-754-4
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