Mensa isiaca
La Mensa isiaca è un'elaborata tavoletta di bronzo di epoca romana con intarsi in altri metalli, raffigurante figure e geroglifici a imitazione di quelli egizi. Fu per un periodo proprietà del Cardinal Bembo, per cui è nota anche come Tavola bembina.[1]
Storia
[modifica | modifica wikitesto]Secondo il moderno consenso degli studiosi la tavola è stata datata al I secolo d.C. e probabilmente creata a Roma[2], forse come pezzo decorativo per il locale culto di Iside.[3] Non se ne sa nulla fino a quando fu acquistata dal Cardinal Bembo,[4] a un prezzo esorbitante da un fabbricante di chiavi o un artigiano del ferro nelle cui mani era capitata, salvata dai Lanzichenecchi durante il sacco di Roma del 1527. Nel 1592 venne a sua volta acquistata dal duca di Mantova, Vincenzo I Gonzaga, da Torquato Bembo, figlio di Pietro Bembo, che la aveva ereditata dal padre[5] entrando così a far parte delle Collezioni Gonzaga.
I Gonzaga in seguito la cedettero ai Savoia nel 1628; la Mensa isiaca giunse così a Torino, entrando a far parte come primo pezzo di una collezione che diventerà una tra le più importanti al mondo[6]. La Mensa suscitò una grande curiosità e in seguito fu esaminata da molti studiosi dell'epoca. Il primo a parlarne era stato Enea Vico nel 1559 e in seguito fu descritta dall'archeologo Lorenzo Pignoria e dallo storico Athanasius Kircher[6]. Nel 1799 i Savoia furono costretti a consegnarla alla Francia del Direttorio; la tavoletta era stata portata a Parigi e Alexandre Lenoir la vide nel 1809 in una mostra alla Biblioteca Nazionale. Quando cadde il regime napoleonico la tavoletta venne restituita a Torino e collocata nell'Accademia delle Scienze, primo nucleo del Museo egizio, dove si trova tuttora.
Karl Baedeker, nella sua guida dell'Italia settentrionale della prima metà dell'ottocento, la nomina nell'esposizione centrale della Galleria 2 del Regio Museo di Antichità a Torino[4][7].
Struttura
[modifica | modifica wikitesto]Kircher descrive la Mensa come "lunga cinque palmi e larga quattro", mentre Westcott la misura di 50×30 pollici[4]. La tavoletta misura in effetti 75×130 centimetri; è in bronzo con intarsi in rame, niello e argento; le figure sono poco profonde e delimitate da un filo d'argento. Le basi su cui sono disposte le figure erano ricoperte con argento, che è stato rimosso, e queste sezioni sono vuote nelle riproduzioni incise[8].
La tavola è un importante esempio di metallurgia antica, poiché la superficie è decorata con una varietà di metalli, compresi argento, oro, una lega di rame-oro e vari metalli non preziosi. Uno dei metalli impiegati è nero, fatto con una lega di rame e stagno con piccole percentuali di oro e argento e poi immerso in un acido organico ('decapaggio'). Questo metallo scuro potrebbe essere una varietà del "bronzo corinzio", descritto da Plinio e Plutarco[2].
Scene raffigurate
[modifica | modifica wikitesto]Anche se la scena è di tipo egizio, non illustra riti egizi. Le figure sono mostrate con attributi inconsueti, rendendo non chiaro quali siano divinità e quali re o regine. I motivi egizi sono usati a scopo decorativo, senza un vero senso o ragione. Tuttavia la figura centrale, seduta sul trono dentro un tempio, è riconoscibile come la dea Iside, suggerendo che la Mensa abbia avuto origine in qualche centro a lei dedicato; probabilmente era una tavola d'altare del Tempio di Iside al Campo Marzio costruito da Caligola.[2]
Letture e interpretazioni
[modifica | modifica wikitesto]Fu usata nel XVII secolo da Athanasius Kircher come fonte primaria per sviluppare la sua traduzione dei geroglifici egizi; tuttavia i geroglifici della mensa isiaca non hanno significato e l'interpretazione di Kircher è senza valore[2][4].
Fu anche celebrata da occultisti come Eliphas Lévi, William Wynn Westcott e Manly P. Hall come una chiave per interpretare i Libri di Thot e i tarocchi.
Thomas Taylor pretese che fosse questa la tavola che formava l'altare davanti al quale stava Platone quando ricevette l'iniziazione nella sala sotterranea della grande piramide di Giza.
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Enciclopedia Italiana Dizionario Della Conversazione, 1847, pp. 522–524.
- ^ a b c d Museo Egizio, su museoegizio.it. URL consultato il 5 novembre 2022.
- ^ Friedhelm Hoffmann, Die hieroglyphischen Inschriften der Mensa Isiaca, su archiv.ub.uni-heidelberg.de, 2013. URL consultato il 5 novembre 2022.
- ^ a b c d Manly Palmer Hall, The Secret Teachings of All Ages, 1928.
- ^ Marco Venturelli, Mantova e la mummia. Passerino Bonacolsi e i Gonzaga. La creazione di un mito, Mantova, 2018.
- ^ a b Anna Maria Donadoni Roveri, Museo Egizio Torino. Presentazione, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1994, ISBN 88-240-0319-2.
- ^ The Bembine Table, su penelope.uchicago.edu. URL consultato il 5 novembre 2022.
- ^ Thomas Dudley Fosbroke, Encyclopædia of Antiquities
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- (LA) Lorenzo Pignoria, Mensa Isiaca, Amsterdam, Frisius, 1669. URL consultato l'11 settembre 2019.
- Ernesto Scamuzzi. La "Mensa Isiaca" del Regio Museo di Antichità di Torino, R.Museo di Torino, Torino, 1939
- Enrica Leospo, La mensa isiaca di Torino, Museo Egizio, Torino, 1978
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sulla Mensa isiaca
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- Scheda nel sito del Museo egizio di Torino