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Giuditta e Oloferne (arte)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Giorgio Vasari, Giuditta e Oloferne, 1554 circa

L’episodio biblico di Giuditta e Oloferne ha ispirato due celebri temi artistici della storia dell'arte occidentale: Giuditta che decapita Oloferne e Giuditta con la testa di Oloferne. Questi due temi artistici vennero rappresentati soprattutto nella pittura europea del diciassettesimo secolo.[1]

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620 circa

Nel racconto biblico, Giuditta è una vedova che abita nella città di Betulia, assediata dal generale assiro Oloferne: per salvare la città, ella decide di andare nell'accampamento nemico, entrare nella tenda del generale e fingersi una traditrice. Oloferne si invaghisce di lei e, desideroso di possederla, la invita a un banchetto durante il quale si ubriaca: Giuditta lo decapiterà per poi mettere la sua testa in una cesta o su un piatto (che nelle rappresentazioni artistiche spesso viene portata/o da una serva più anziana di lei). I dipinti rappresentano generalmente la decapitazione di Oloferne mentre è disteso sul suo letto, o Giuditta che tiene in mano la sua testa, talvolta aiutata dalla serva.[1]

Nell'arte europea, Giuditta viene rappresentata molto spesso con la serva alle spalle, così da distinguerla da Salomè o altri personaggi biblici che portano la testa recisa della loro vittima (nel caso di Salomè, san Giovanni il Battista, ucciso su sua richiesta) su un piatto d'argento. Tuttavia, si sviluppò un'iconografia dell'Europa del Nord nella quale, oltre alla serva, Giuditta è accompagnata da un destriero, che Erwin Panofsky prese come esempio della conoscenza necessaria per gli studi iconografici. Per molti artisti e studiosi, la femminilità sessualizzata di Giuditta si combinava in modo interessante e talvolta contraddittorio con la sua aggressività mascolina. Giuditta è una delle figure femminili virtuose che Johan van Beverwijck menzionò nella sua difesa per la superiorità delle donne sugli uomini del 1639.[2] Nel Rinascimento nordico questo era un esempio del tema iconografico del "potere delle donne" (in tedesco: Weibermacht).

Una delle prime opere rinascimentali su questo tema artistico è Giuditta e Oloferne, la celebre scultura bronzea di Donatello, che veniva vista come un'allegoria del comune di Firenze contro la tirannia.[3] Oltre alla scultura donatellesca, si citano le opere Ritorno di Giuditta a Betulia di Sandro Botticelli (1470–1472), Giuditta e l'ancella con la testa di Oloferne di Andrea Mantegna (1495) e uno degli affreschi di Michelangelo dalla volta della cappella Sistina (1508–1512).

Un'incisione del diciottesimo secolo basata sul dipinto giorgionesco.

Le opere su questo tema risalenti al primo Rinascimento raffigurano l'eroina completamente vestita e non sessualizzata, mentre nel tardo Rinascimento l'iconografia del personaggio cambiò considerevolmente.[4] Gli artisti di questo periodo, in particolare Lucas Cranach il Vecchio, autore di almeno otto quadri sul tema, rappresentarono una Giuditta più sessualizzata, come se fosse una "seduttrice assassina": secondo il critico d'arte Jonathan Jones[5]:

(EN)

«the very clothes that had been introduced into the iconography to stress her chastity become sexually charged as she exposes the gory head to the shocked but fascinated viewer.»

(IT)

«gli stessi vestiti che erano stati introdotti nell'iconografia per sottolineare la sua castità diventano carichi di sessualità mentre lei mostra la testa sanguinante allo spettatore scioccato ma affascinato.»

Questa transizione dall'immagine desessualizzata della Virtù a una donna più sessuale e aggressiva è suggellata nella Giuditta con la testa di Oloferne di Giorgione (1505 circa): Giorgione mostra l'istanza eroica e il trionfo della vittoria di Giuditta che schiaccia la testa mozzata di Oloferne. L'emblema della Virtù, tuttavia, viene sviato da un particolare che evoca l'erotismo: una gamba scoperta che appare da uno spacco del suo vestito. È un primo segno della nascita dell'iconografia di Giuditta come donna fatale.[4] Nel 1525, due tedeschi, il pittore Hans Baldung e l'incisore Barthel Beham, furono tra i primi artisti che ritrassero l'eroina completamente nuda, accentuando ulteriormente quest'iconografia erotica.[6][7] Il primo in assoluto fu lo scultore italiano Bellano, autore di una scultura che era conservata a Berlino, andata perduta nel secondo conflitto mondiale.[6] Nella seconda metà del Cinquecento iniziarono a diffondersi le stampe su questo soggetto, come quella di Girolamo Mocetto da un'opera mantegnesca.

Cristofano Allori, Giuditta con la testa di Oloferne, 1613 circa

Giuditta rimase popolare nel periodo barocco, ma i dipinti su questo tema iniziarono a farsi più violenti.[8] In Italia il tema fu ripreso dal Caravaggio, Lionello Spada e Bartolomeo Manfredi; nell'Europa settentrionale da Rembrandt, Pietro Paolo Rubens ed Eglon van der Neer.[9] Quando Rubens iniziò a commissionare delle riproduzioni a stampa delle sue opere, il primo a trarne un'incisione fu Cornelis Galle il Vecchio.[10] La composizione influente di Cristofano Allori (1613 circa), un'opera della quale esistono varie versioni, riprese un espediente adoperato nell'allora recente Davide con la testa di Golia del Caravaggio: la testa di Oloferne è un autoritratto dell'artista, Giuditta è la sua ex amante e la serva sua madre.[8] Nel dipinto di Artemisia Gentileschi, del quale esistono due versioni, viene raffigurato l'esatto momento dell'uccisione, ispirato al quadro caravaggesco,[11] mentre un altro quadro al palazzo Pitti di Firenze mostra una scena più tradizionale.

Se molti di questi dipinti erano il frutto di una committenza privata, dei dipinti e dei cicli di affreschi importanti vennero commissionati dalle autorità religiose per promuovere una nuova lettura allegorica della storia. Durante l'era della Controriforma, Giuditta veniva vista dalla Chiesa Cattolica come una vincitrice dell'eresia, identificata invece nel Protestantesimo, come testimonia un ciclo di affreschi nel palazzo del Laterano commissionato dal papa Sisto V e realizzato da Giovanni Guerra e Cesare Nebbia.[12]

Epoca contemporanea

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Franz von Stuck, Giuditta, 1927

La natura allegorica dell'episodio dal libro deuterocanonico continuò a ispirare gli artisti anche dopo la fine dell'epoca barocca. Il pittore austriaco Gustav Klimt realizzò due celebri dipinti sul tema. Questo racconto era abbastanza popolare presso Klimt e i suoi contemporanei, ed egli dipinse la Giuditta I nel 1901, raffigurando una donna sognante e sensuale con la veste aperta nel mezzo. La Giuditta II del 1909, d'altro canto, è "meno erotica e più spaventosa". Le due opere "richiamano alla mente una crisi dell'ego maschile, le paure e le fantasie violente intrecciate con una morte erotizzata, che le donne e la sessualità suscitarono in almeno alcuni uomini durante passaggio tra un secolo e l'altro".[13]

I quadri moderni sul tema ritraggono spesso Giuditta nuda, come nell'opera del 1928 di Franz von Stuck: la "liberatrice del suo popolo" si erge nuda e mentre tiene una spada, accanto al divano sul quale dorme Oloferne, semicoperto da una coperta blu. Se nel testo biblico la donna è puramente casta, nel dipinto di Franz von Stuck ella "diviene, nella sua nudità abbagliante, l'epitome della seduzione depravata".[14]

Nel 1997, gli artisti russi Vitalij Komar e Aleksandr Melamed dipinsero un'opera intitolata Giuditta nella Piazza Rossa, nella quale la testa decapitata di Stalin viene contemplata con curiosità e soddisfazione da una giovane ragazza russa.[15] Nel 1999, l'artista austro-statunitense Tina Blondell fece un acquerello ispirato esplicitamente alla Giuditta I klimtiana, intitolato I'll Make You Shorter by a Head ("Ti accorcerò di una testa") e facente parte della serie Fallen Angels ("Angeli caduti").[16]

Nella sua prima serie di ritratti femminili intitolata An Economy of Grace ("Un'economia di grazia"), l'artista statunitense Kehinde Wiley ritrasse Giuditta come un'afroamericana scalza e che indossa un abito lungo disegnato dalla casa di moda Givenchy. L'eroina di Wiley è circondata da uno sfondo di fiori splendidamente colorati e, data la luminosità di questi fiori circostanti, solo in seguito lo spettatore si rende conto che sta tenendo la testa recisa di una donna bianca.[17][18]

Galleria d'immagini

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  1. ^ a b Giuditta e Oloferne, la storia biblica più famosa dell'arte, su Eroica Fenice, 5 novembre 2020. URL consultato il 19 maggio 2022.
  2. ^ Loughman e J.M. Montias, Public and Private Spaces: Works of Art in Seventeenth-Century Dutch Houses, 1999, p. 81.
  3. ^ Giuditta e Oloferne - Donatello, Donato di Niccolò di Betto Bardi - Scheda Opera Firenze - Arte.it, su arte.it. URL consultato il 19 maggio 2022.
  4. ^ a b (EN) Aránzazu Usandizaga e Andrew Monnickendam, Dressing Up for War: Transformations of Gender and Genre in the Discourse and Literature of War, Rodopi, 2001, ISBN 978-90-420-1367-4. URL consultato il 19 maggio 2022.
  5. ^ (EN) Judith with the Head of Holofernes, Lucas Cranach the Elder (c1530), su the Guardian, 10 gennaio 2004. URL consultato il 19 maggio 2022.
  6. ^ a b Jan Białostocki, Il Cavaliere polacco e altri saggi di storia dell'arte e di iconologia, Mimesis, 16 ottobre 2015, ISBN 978-88-575-3272-1. URL consultato il 19 maggio 2022.
  7. ^ Rodolfo Pallucchini, Giorgione e l'umanesimo veneziano, L.S. Olschki, 1981, ISBN 978-88-222-3043-0. URL consultato il 19 maggio 2022.
  8. ^ a b (EN) Lawrence Mitchell Wills e Professor of Biblical Studies Lawrence M. Wills, The Jewish Novel in the Ancient World, Cornell University Press, 1995, ISBN 978-0-8014-3075-6. URL consultato il 19 maggio 2022.
  9. ^ (EN) Eglon Hendrik van der Neer | Judith | NG2535 | The National Gallery, London, su web.archive.org, 15 maggio 2011. URL consultato il 19 maggio 2022 (archiviato dall'url originale il 15 maggio 2011).
  10. ^ (EN) Georges Duplessis, The Wonders of Engraving, C. Scribner & Company, 1886. URL consultato il 19 maggio 2022.
  11. ^ Roma. C'è Giuditta fra Caravaggio, Artemisia e gli altri, su avvenire.it, 30 dicembre 2021. URL consultato il 19 maggio 2022.
  12. ^ (EN) Kevin R. Brine, Elena Ciletti e Henrike Lähnemann, The Sword of Judith: Judith Studies Across the Disciplines, Open Book Publishers, 2010, ISBN 978-1-906924-15-7. URL consultato il 19 maggio 2022.
  13. ^ (EN) Robert Weldon Whalen, Sacred Spring: God and the Birth of Modernism in Fin de Sicle Vienna, Wm. B. Eerdmans Publishing, 19 marzo 2007, ISBN 978-0-8028-3216-0. URL consultato il 19 maggio 2022.
  14. ^ (DE) Badische Zeitung, Salome fordert den Kopf - Literatur - Badische Zeitung, su badische-zeitung.de. URL consultato il 19 maggio 2022.
  15. ^ (EN) Helen A. Harrison, Works Invoking Christian Ritual, in The New York Times, 22 giugno 1997. URL consultato il 19 maggio 2022.
  16. ^ (EN) I'll Make You Shorter by a Head (Judith I), Tina Blondell ^ Minneapolis Institute of Art, su collections.artsmia.org. URL consultato il 19 maggio 2022.
  17. ^ (EN) Christopher Beam, 6. Outsource to China, su New York Magazine, 20 aprile 2012. URL consultato il 19 maggio 2022.
  18. ^ (EN) Telegraph Reporters, Obama portrait artist's past work depicted black women decapitating white women, in The Telegraph, 13 febbraio 2018. URL consultato il 19 maggio 2022.

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