Il tentativo di accostamento del movimento del New American Cinema al pensiero e alla pratica derridiana, che si cercherà qui di sviluppare, potrebbe risultare curioso dal momento che si tratta di una corrente artistica sotterranea e... more
Il tentativo di accostamento del movimento del New American Cinema al pensiero e alla
pratica derridiana, che si cercherà qui di sviluppare, potrebbe risultare curioso dal momento che
si tratta di una corrente artistica sotterranea e ignota al campo di analisi del pensiero di Derrida,
che negli sparuti interventi in merito all’arte cinematografica si è sempre definito come un
fruitore profano alla semplice ricerca di evasione. Perché dunque il cinema sperimentale, e
quello di Brakhage in particolare? In primo luogo perché, seppur ben lontano dagli interessi o
comunque dalla sfera d’attenzione dell’autore, nell’intento stesso che anima il movimento,
ancor prima che nelle variegate declinazioni discorsive portate avanti dalle personalità che lo
compongono, è possibile rintracciare un parallelismo abbastanza diretto ed evidente coi
meccanismi alla base dell’opera di decostruzione del filosofo francese, nonché con le
implicazioni politiche della sua pratica. In secondo luogo, e riguardo in particolare la scelta
dell’opera di Brakhage in quanto oggetto d’analisi specifica, la motivazione che ha mosso chi
scrive va rintracciata – oltreché in una pura e semplice predilezione personale, unita ad una
maggior familiarità con l’autore rispetto ad altri – nel fatto che, tra tutti i cineasti del
movimento, nessuno è riuscito a dar forma ad un discorso così personale e al contempo
articolato, tanto metodico quanto intimo; discorso che – come vedremo – Victor Grauer, nelle
analisi dedicate al cineasta, è ben riuscito a declinare in chiave derridiana, seppur non
esplicitando mai troppo rigorosamente tale corrispondenza. Interessanti punti di contatto e
d’intersezione con le azioni decostruttive del filosofo francese emergeranno inizialmente nella
considerazione di aspetti “tecnici” quali la pratica del montaggio, il trattamento della
dimensione temporale e del movimento. In un secondo momento – direttamente correlato al
primo – ci inoltreremo nella questione riguardante il rapporto tra percezione e intelletto e tra
significato e significante relativamente all’immagine brakhagiana, affrontata da Grauer
seguendo un iter di riflessioni che si cercherà poi di accostare a quello sviluppato da Derrida in
alcuni suoi scritti su Mallarmé.
Prima di addentrarci nello specifico della trattazione sarà necessario però tracciare alcune
considerazioni generali sul dispositivo cinematografico in quanto tale e sulla prospettiva ideologica che il suo uso sottende, facendo brevi cenni alle teorie di autori come Baudry e Metz,
legati al campo della psicoanalisi, della semiotica e della critica dell’ideologia. In questa prima
parte di percorso ci baseremo fondamentalmente sull’opera di Brunette e Wills, il cui tentativo
di sviluppo di una teoria cinematografica prende le mosse proprio a partire da una rilettura di
alcuni nodi fondamentali del pensiero derridiano.
pratica derridiana, che si cercherà qui di sviluppare, potrebbe risultare curioso dal momento che
si tratta di una corrente artistica sotterranea e ignota al campo di analisi del pensiero di Derrida,
che negli sparuti interventi in merito all’arte cinematografica si è sempre definito come un
fruitore profano alla semplice ricerca di evasione. Perché dunque il cinema sperimentale, e
quello di Brakhage in particolare? In primo luogo perché, seppur ben lontano dagli interessi o
comunque dalla sfera d’attenzione dell’autore, nell’intento stesso che anima il movimento,
ancor prima che nelle variegate declinazioni discorsive portate avanti dalle personalità che lo
compongono, è possibile rintracciare un parallelismo abbastanza diretto ed evidente coi
meccanismi alla base dell’opera di decostruzione del filosofo francese, nonché con le
implicazioni politiche della sua pratica. In secondo luogo, e riguardo in particolare la scelta
dell’opera di Brakhage in quanto oggetto d’analisi specifica, la motivazione che ha mosso chi
scrive va rintracciata – oltreché in una pura e semplice predilezione personale, unita ad una
maggior familiarità con l’autore rispetto ad altri – nel fatto che, tra tutti i cineasti del
movimento, nessuno è riuscito a dar forma ad un discorso così personale e al contempo
articolato, tanto metodico quanto intimo; discorso che – come vedremo – Victor Grauer, nelle
analisi dedicate al cineasta, è ben riuscito a declinare in chiave derridiana, seppur non
esplicitando mai troppo rigorosamente tale corrispondenza. Interessanti punti di contatto e
d’intersezione con le azioni decostruttive del filosofo francese emergeranno inizialmente nella
considerazione di aspetti “tecnici” quali la pratica del montaggio, il trattamento della
dimensione temporale e del movimento. In un secondo momento – direttamente correlato al
primo – ci inoltreremo nella questione riguardante il rapporto tra percezione e intelletto e tra
significato e significante relativamente all’immagine brakhagiana, affrontata da Grauer
seguendo un iter di riflessioni che si cercherà poi di accostare a quello sviluppato da Derrida in
alcuni suoi scritti su Mallarmé.
Prima di addentrarci nello specifico della trattazione sarà necessario però tracciare alcune
considerazioni generali sul dispositivo cinematografico in quanto tale e sulla prospettiva ideologica che il suo uso sottende, facendo brevi cenni alle teorie di autori come Baudry e Metz,
legati al campo della psicoanalisi, della semiotica e della critica dell’ideologia. In questa prima
parte di percorso ci baseremo fondamentalmente sull’opera di Brunette e Wills, il cui tentativo
di sviluppo di una teoria cinematografica prende le mosse proprio a partire da una rilettura di
alcuni nodi fondamentali del pensiero derridiano.