Iacopo Leoni
Universita degli Studi di Pisa, Dipartimento di Filologia, Letteratura e Linguistica, Faculty Member
EHESS-Ecole des hautes études en sciences sociales, Centre de recherche sur les arts et le langage (CRAL), Post-Doc
Address: Pisa, Tuscany, Italy
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La doctrine évolutive et l’histoire de la littérature (1898), il secondo testo presentato in questo volume, s’interroga proprio sulla possibilità di applicare le teorie evoluzionistiche elaborate dalle scienze naturali allo studio dell’arte e della letteratura.
Papers
s’intesse tra la rappresentazione romanzesca e i dati di realtà da
quest’ultima presi a oggetto costituisce – com’è ovvio – un problema
dalla natura e dalle implicazioni teoriche estremamente articolate. Anche
per questo, nello spazio di questa riflessione mi limiterò a prendere
in considerazione campioni testuali tratti da autori quali Proust, Céline
e Sartre. Una simile scelta è però solo parzialmente dettata dall’effetto
di circostanze contingenti, se è vero – come credo – che proprio
i testi di alto o altissimo livello sono maggiormente funzionali a testare
il peso di una lettura la cui validità non debba necessariamente dipendere
dall’accumulo esemplificativo. Più nello specifico, l’intento è
quello di utilizzare alcuni concetti fondamentali della proposta teorica
di Francesco Orlando per provare a riflettere sulla dialettica tra mimesi
e convenzione che informa il paradigma romanzesco dell’epoca.
alla radice dal pensiero freudiano, il quale ha il merito di sottolineare non soltanto
la tendenza alla ricostruzione presente in ogni racconto apparentemente autentico
ma anche la forte tensione al vero celata in qualsiasi attività di immaginazione.
Non sorprende, allora, che Céline possa dichiararsi, almeno fino alla metà degli
anni Trenta, profondamente debitore delle teorie di Freud. Proprio la distorsione
in chiave immaginifica dell’esperienza costituisce il presupposto fondamentale di
Mort à crédit: dove il miraggio di una resurrezione diretta del tempo trascorso –
miraggio che guida la ricca tradizione memorialistica di ascendenza rousseauiana
– è soppiantato dalla necessità di una trasfigurazione deformante del vissuto. Da
qui, il ruolo essenziale svolto dal prologo, sul finire del quale è una febbre delirante
a innescare lo sguardo retrospettivo del narratore adulto. In questo senso, l’allusione
a un processo memoriale in cui realtà e finzione sono di fatto inseparabili
recupera e radicalizza l’ipoteca posta dalla psicanalisi sull’effettiva capacità che
il singolo ha di riconquistare felicemente il proprio passato.
The question of eradication is a relevant issue for the three main interpreters of hypermodern French literature, namely Emmanuel Carrère, Michel Houellebecq and Jonathan Littell. If on the one hand this issue shows its debts to the great season of the 19 th-and 20 th-century novel, on the other it clearly shows an altogether original articulation, where debts to the realist and modernist traditions coexist with some more recognisably contemporary fiction trends. Once we have analysed the forms taken by this theme, it will be of interest to evaluate not only its effects on the construction of the character, but also its links to the formal organisation of the story.
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La doctrine évolutive et l’histoire de la littérature (1898), il secondo testo presentato in questo volume, s’interroga proprio sulla possibilità di applicare le teorie evoluzionistiche elaborate dalle scienze naturali allo studio dell’arte e della letteratura.
s’intesse tra la rappresentazione romanzesca e i dati di realtà da
quest’ultima presi a oggetto costituisce – com’è ovvio – un problema
dalla natura e dalle implicazioni teoriche estremamente articolate. Anche
per questo, nello spazio di questa riflessione mi limiterò a prendere
in considerazione campioni testuali tratti da autori quali Proust, Céline
e Sartre. Una simile scelta è però solo parzialmente dettata dall’effetto
di circostanze contingenti, se è vero – come credo – che proprio
i testi di alto o altissimo livello sono maggiormente funzionali a testare
il peso di una lettura la cui validità non debba necessariamente dipendere
dall’accumulo esemplificativo. Più nello specifico, l’intento è
quello di utilizzare alcuni concetti fondamentali della proposta teorica
di Francesco Orlando per provare a riflettere sulla dialettica tra mimesi
e convenzione che informa il paradigma romanzesco dell’epoca.
alla radice dal pensiero freudiano, il quale ha il merito di sottolineare non soltanto
la tendenza alla ricostruzione presente in ogni racconto apparentemente autentico
ma anche la forte tensione al vero celata in qualsiasi attività di immaginazione.
Non sorprende, allora, che Céline possa dichiararsi, almeno fino alla metà degli
anni Trenta, profondamente debitore delle teorie di Freud. Proprio la distorsione
in chiave immaginifica dell’esperienza costituisce il presupposto fondamentale di
Mort à crédit: dove il miraggio di una resurrezione diretta del tempo trascorso –
miraggio che guida la ricca tradizione memorialistica di ascendenza rousseauiana
– è soppiantato dalla necessità di una trasfigurazione deformante del vissuto. Da
qui, il ruolo essenziale svolto dal prologo, sul finire del quale è una febbre delirante
a innescare lo sguardo retrospettivo del narratore adulto. In questo senso, l’allusione
a un processo memoriale in cui realtà e finzione sono di fatto inseparabili
recupera e radicalizza l’ipoteca posta dalla psicanalisi sull’effettiva capacità che
il singolo ha di riconquistare felicemente il proprio passato.
The question of eradication is a relevant issue for the three main interpreters of hypermodern French literature, namely Emmanuel Carrère, Michel Houellebecq and Jonathan Littell. If on the one hand this issue shows its debts to the great season of the 19 th-and 20 th-century novel, on the other it clearly shows an altogether original articulation, where debts to the realist and modernist traditions coexist with some more recognisably contemporary fiction trends. Once we have analysed the forms taken by this theme, it will be of interest to evaluate not only its effects on the construction of the character, but also its links to the formal organisation of the story.
À partir de cette hybridation du cadre romanesque, ma communication se propose notamment d’analyser les modalités avec lesquelles chronique, autobiographie, pamphlet et roman interagissent dans la Trilogie. L’hypothèse de départ est que la rencontre et la collision de genres littéraires différents sont fonctionnelles à la radicalité du contenu que l’œuvre se charge de transmettre au lecteur. Ainsi, souvenir, témoignage, accusation et invention trouvent leur véritable sens dans une interaction perpétuelle qui fait écho à la désarticulation du monde, et la transcende au même temps. C’est pourquoi il n’y a pas de véritable rupture entre les premiers romans et les derniers, mais plutôt une radicalisation des enjeux. Le monde représenté dans le Voyage au bout de la nuit avait demandé une subversion des structures narratives traditionnelles ; le monde qui domine la Trilogie - un monde désormais privé de toute norme, de toute mesure, de toute raison - en demande une plus radicale encore. Il ne s’agit plus seulement d’adapter la structure narrative et stylistique au contenu, mais surtout d’infléchir le déroulement du récit en fonction de la subversion formelle imposée par la structure romanesque sous-jacente au discours.
Dans la dernière partie du roman, l’adhésion au fascisme revirilise à nouveau le protagoniste, définitivement libéré de toute compromission avec l’affaiblissement de la société française. Contre un «monde d’héritiers, des descendants, de dégénérés», Drieu célèbre la naissance d’un sujet nouveau, restauré par une conception nouvelle de force et d’énergie. De ce point de vue, le fascisme permet de retrouver les sentiments de force et puissance déjà sentis pendant la guerre et puis perdus avec le retour dans la société civile. Comme on peut lire dans une nouvelle de La Comédie de Charleroi (1932), l’assaut envers l’ennemi permet au sujet de renaître comme un chef, c’est-à-dire comme un homme au comble de son pouvoir guerrier et sexuel: «Qu’est-ce qui soudain jaillissait ? Un chef. Non seulement un homme qui se donne, mais un homme qui prend. Un chef, c’est un homme à son plein ; l’homme qui donne et qui prend dans la même éjaculation».
En ce sens, l’idéal fasciste de la force permet une dilatation du moi similaire. En restituant au sujet une dimension guerrière presque mythique, il consent à Gilles d’affirmer toute sa virilité et de refuser la compromission avec la mollesse féminine de la petite-bourgeoise française : ainsi, l’homme fasciste devient «l’homme en érection permanente, l’homme-phallus», comme l’a bien souligné Solange Leibovici. Mais avec la célébration finale du fascisme Drieu réaffirme le lien entre représentation de la masculinité et celle de la nation : la virilisation du protagoniste n’est que le premier pas d’une renaissance de la France. En rétablissant les valeurs «d’autorité, de discipline et de force», le fascisme devient le seul moyen` pour contraster la dévirilisation qui caractérise la société française, impuissante devant la décadence collective. Cependant, insister trop sur la déclinaison collective de ce finale signifierait trahir le sens du roman. Si le fascisme garantit le lien de l'individu aux valeurs fondatrices de la communauté française, cette tension héroïque suggère davantage qu'une nuance individuelle. L'acte guerrier de Gilles reste en dehors d’un horizon collectif plus général, révélant moins le dévouement à une cause commune qu’un geste éminemment individualiste d’affirmation de soi. Ainsi, cette déclinaison subjective de l’idéal fasciste déclenche un paradoxe ultérieur : par l’acte héroïque, le sujet ne fait que réitérer l’attitude individualiste plusieurs fois critiqué au cours du roman. La boucle est bouclée : si c’est sur le corps du moi que se montrent les signes de la décadence, c’est sur le corps du moi que fleurissent les germes de la renaissance.