Dopo la sortita di fine luglio, che aveva fatto impallidire molti imprenditori, la maggioranza cerca di correggere la rotta su incentivi e sostegni alle startup. Lunedì 25 novembre è atteso alla Camera il testo riformulato con cui il governo Meloni vuole mettere mano allo Startup Act, il primo decreto sulle aziende innovate. Emanato nel 2012 da Corrado Passera, allora ministro dello Sviluppo economico sotto il governo Monti, richiede un aggiornamento che l'esecutivo ha realizzato in parte.
La premessa che l'emendamento al decreto legge concorrenza (che Wired ha visionato, insieme al testo esplicativo di accompagnamento) deve correggere la rotta della prima formulazione, presentata dal ministero delle Imprese e del made in Italy (Mimit) a fine luglio. Un testo che avrebbe dimezzato la platea delle startup, come messo nero su bianco nelle relazioni di accompagnamento, e ridotto di conseguenza il flusso di sostegni economici e detrazioni fiscali. L'emendamento, frutto di un accordo tra Mimit e ministero dell'Economia e delle finanze (Mef), ripulisce i passaggi critici.
I filtri per essere startup
In particolare, viene depennata la richiesta di disporre di un capitale sociale di almeno 20mila euro e di un dipendente entro il secondo anno dall'iscrizione nella sezione speciale del registro delle startup, propedeutico a poter ottenere sostegni pubblici. Questo criterio, stando a una proiezione interna del Mimit sulla base dei dati di Infocamere (il database delle Camere di commercio), avrebbe tagliato fuori fino al 70% delle 13.580 startup iscritte al registro nel 2023, con un risparmio per le casse pubbliche sarebbe di 10 milioni.
Si torna indietro, quindi, alla possibilità di costituire delle società a responsabilità limitata (srl) anche con 1 euro o comunque con un capitale inferiore ai 10mila di soglia, ma con l'obbligo di versarlo tutto. È stato depennato anche il filtro che imponeva alla startup di essere titolare, depositaria o licenziataria “di almeno un brevetto registrato oppure titolare di un programma per elaboratore originario registrato”. Entra invece un criterio di eliminazione dal novero delle imprese innovative di quelle società che come oggetto sociale prevalente hanno lo “svolgimento di attività prevalente quello di agenzia e consulenza”.
I criteri del registro speciale
Altri interventi riguardano la permanenza nel registro dedicato alle startup. Di base, dura tre anni. Per estenderla a cinque, per le nuove startup è necessario che si verifichi una delle seguenti situazioni. Primo: la spesa per ricerca e sviluppo aumenta del 25% (verosimilmente rispetto al rapporto tra valore della produzione e costi). Secondo: si stipula con un ente pubblico un contratto di sperimentazione. Terzo: si registra un incremento dei ricavi superiore al 50% tra secondo e terzo atto. Quarto: viene costituita una riserva patrimoniale sopra i 50mila euro, attraverso un finanziamento convertendo, un aumento di capitale che realizzi una partecipazione che va oltre quella di minoranza “da parte di investitore terzo professionale, un incubatore o acceleratore certificato, un investitore vigilato, un business angel” o attraverso un equity crowfunding svolto tramite un piattaforma autorizzata, aumentando anche del 20% le spese di ricerca e sviluppo. Quinto: si ottiene almeno un brevetto. E sesto, l'impresa viene trasformata in una società per azioni o in un'altra forma europea equivalente.
Anche il termine di cinque anni si può estendere, a blocchi di due anni per un massimo di quattro per sostenere il passaggio alla scaleup, con un aumento di capitale da parte di fondi comuni o società di investimento per un importo superiore a un milione “per ciascuno periodo di estensione” o con un raddoppio dei ricavi. Le startup già iscritte, invece, possono rimanere iscritte nel registro oltre il terzo anno, se raggiungono i requisiti entro un anno, se sono iscritte da più di 18 mesi, o entro sei mesi, se al di sotto.
Come ottenere le detrazioni fiscali
Cambiano le condizioni per ottenere le detrazioni per chi investe in startup. Sono concesse per cinque anni, ma se dall'investimento scaturisce una “partecipazione qualificata superiore al 25% del capitale sociale o dei diritti di governance”, o se il beneficiario è fornitore della startup per un fatturato superiore al 25% che può ricevere agevolazioni, non scattano.
Rispetto al regime de minimis (agevolazioni con un tetto massimo), il testo “prevede che dall’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche si detrae un importo pari al 50% della somma investita”, purché la partecipazione non superi il 25% del capitale sociale o dei diritti di governance. E non si applica se il contribuente è un fornitore della stessa impresa, dalla quale ricava più di un quarto del suo fatturato annuale.
Il testo prevede che la percentuale di partecipazione passi dal 25% al 65% dal primo gennaio 2025 e che la detrazione si applica alle sole startup innovative fino al terzo anno di iscrizione alla sezione speciale del registro delle imprese. È riconosciuto anche un credito di imposta per incubatori e acceleratori di startup certificati.
Dentro i fondi pensioni
Ultimo tassello del piano è l'agevolazione per i fondi pensione che investono in startup. Ai quali, come ai fondi di venture capital, si applica una esenzione dall'imposta sul capital gain (26%), se le risorse allocate in startup sono almeno il 5% del paniere dell'anno precedente e, dal 2026, il 10%. I benefici si applicano anche agli investimenti effettuati prima dell'entrata in vigore della legge. A copertura di questi investimenti possono essere applicate garanzie del Fondo per le piccole e medie imprese.
La misura costa 1,2 milioni nel 2025, 14,03 nel 2026 e 8,52 a decorrere dal 2027, mentre il credito di imposta per gli incubatori pesa 1,8 milioni nel 2025. Il governo conta di coprire le spese pescando per il 2025 da fondi speciali del Mimit, mentre per gli anni successivi fa affidamento sul combinato disposto di maggiori entrate e della riduzione della platea delle startup beneficiarie dei sostegni pubblici.