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Valenze dell’esilio letterario negli anni ’80 del Novecento: Norman Manea e Matei Vişniec

Valenze dell’esilio letterario negli anni ’80 del Novecento: Norman Manea e Matei Vişniec

2013
Emilia David
Abstract
Muovendo dai percorsi biografici e letterari di due scrittori romeni, che hanno scelto l’espatrio nel nono decennio del Novecento, il presente approccio si propone di indicare diverse valenze dell’esilio, insite in alcune opere letterarie di Norman Manea e Matei Vişniec, ma anche in interviste uscite a stampa in Romania e Italia, che faranno emergere due modalità, complementari a nostro avviso, di concepire la prosecuzione del proprio progetto letterario ed esistenziale in «terre aliene» (a New York e, rispettivamente, a Parigi). Sarà interessante e proficuo ripercorrere alcuni momenti rilevanti delle prime esperienze biografiche, maturate da Manea e Vişniec nei nuovi ambienti culturali e linguistici in cui sono approdati, attraverso la lettura delle note diaristiche del volume Jurnal 1985-1988 [Diario] del critico letterario Monica Lovinescu, ossia di uno dei testimoni rappresentativi dell’esodo degli intellettuali romeni in Francia e altrove, nonché di una delle voci più integre e culturalmente più avvedute, che hanno sostenuto nei decenni più difficili dal microfono della sezione romena della radio Europa Liberă/Free Europe (Monaco di Baviera) la sia pur sporadica dissidenza politica e letteraria dei propri connazionali rimasti in patria. Le opere dei due autori creano entrambe fertili dialoghi intertestuali con la letteratura di altri scrittori, ma le finalità si presentano ancora una volta diverse. Coerenti in Vişniec con precise funzioni di sperimentazione scenica e drammaturgica e di rappresentazione della storia recente dei regimi dittatoriali, secondo moduli che rivisitano il teatro dell’assurdo, mentre i ‘colloqui’ ideali di Manea con Kafka, Celan, Canetti ecc., ripropongono ed estendono le connotazioni dell’esilio letterario e linguistico, come pure le variegate accezioni dell’esule – l’emarginato, l’‘huligano’, l’apolide, l’ebreo, il diverso ecc. –, a un orizzonte più vasto, mitteleuropeo, europeo e universale. Ci siamo soffermati sugli elementi più importanti che indicano nei due autori modalità e prospettive diverse nel situarsi in modo sia pur parziale rispetto all’esilio romeno degli anni ’80, al fine di mettere in luce i significati della nozione stessa di esilio: particolarmente forte in Manea e assunta come tema cardine dell’opera, articolandosi come esilio linguistico problematico, tragico nelle profonde esplorazioni del perpetuo sradicamento ed estraniarsi dell’individuo, concetto convertito invece da Vişniec in fertile avventura del bilinguismo e, forse per questo, in un presumibile felix exilium.

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