Daniela
Danna
Sesso
e genere
Asterios
volantini militanti
3,00 € • N°11
ISBN: 9788893135108
Indice: Introduzione, 3 •1. Le parole e le cose: il sesso, 5 • 2. Le parole e le
cose: il genere, 12 • 3. La gerarchia dei generi, 17 • 4. Il genere postmoderno,
21 • 5. Medici, sessuologi e identità di genere, 25 • 6. I transattivisti, 32 • 7.
Corpi che non contano, 36 • Conclusione, 42 • Testi citati, 44
Daniela Danna, PhD in Sociologia e ricerca sociale, lavora e insegna all’Università
del Salento. Ha pubblicato libri, capitoli, articoli anche divulgativi su questioni di
sesso e genere, lesbismo e omosessualità, violenza contro le donne, politiche sulla
prostituzione, surrogazione di maternità, analisi dei sistemi-mondo e teorie sulla
popolazione.
Per Asterios ha pubblicato Che cos’è la prostituzione (2004), La gaia famiglia
(2005), Maternità. Surrogata? (2017), Il peso dei numeri. Teorie e dinamiche della
popolazione (2019).
volantiniasterios.it
NUMERI USCITI DISPONIBILI SU CARTA E IN FORMATO PDF*
1. Moishe Postone, Note sul Capitale
2. Emiliano Bazzanella, Il Capitale sorvegliante.
Il neo-panoptismo globale
3. Nicola Casale, Gilets Jaunes, La vittoria dei vinti?
La ribellione dei perdenti, dei “chi non è nessuno”
4. Emiliano Bazzanella, L’ideologia nel Capitale.
I tratti ideologici del capitalismo
5. Raffaele Sciortino, L’ascesa dei neopopulismi.
Quali gli elementi di rottura e in quale direzione vanno?
6. Fabrizio Li Vigni, Il neoliberismo
è il problema del XXI secolo
7. Ernesto Di Mauro, Il Golem che ci attende.
Un’etica per ogni cosa
8. Emiliano Bazzanella, L’uomo disincarnato.
Dal corpo carnale a corpo fabbricato
9. Mario Aldo Toscano (a cura), Poesie migranti.
Antologia della sofferenza ribelle
10. Peter Rifsneider, La rivolta dei fiocchi di neve.
Del fallimento della Sinistra e i nuovi movimenti radicali
del nostro presente/futuro
* il formato pdf è disponibile solo dal sito www.volantiniasterios.it
volantiniasterios.it è una pubblicazione della Asterios Abiblio Editore
diretta da Asterios Delithanassis. • Prima edizione Febbraio 2020.
© Daniela Danna 2019 ©Asterios abiblio editore, Trieste 2019.
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Sesso e genere
Introduzione
Sesso e genere sono due parole liberatorie! Le rende tali lo sfondo
culturale comune alle tre religioni dette del Libro, cioè la Bibbia,
fonte di precetti comuni all’ebraismo, al cristianesimo e all’Islam.
Le tribù del deserto discendenti da Abramo esaltavano l’ascesi –
per quanto riguarda il sesso – e richiedevano – per quanto riguarda
il genere – la sottomissione assoluta agli uomini delle donne, fonte
di ogni male e disgrazia secondo la loro mitologia. La colpa di Eva
è la giustificazione morale del trattamento diseguale riservato alle
femmine, dell’inferiorizzazione sociale che – tra le altre cose – tutt’ora impedisce l’accesso femminile al sacerdozio cattolico. Eva,
nata dalla costola di Adamo (Genesi 2:22) con una clamorosa inversione dei fenomeni naturali, lo istiga a disobbedire a Dio, benché
lei stessa sia una donna sottomessa, al contrario della prima donna
che l’aveva preceduta: infatti Dio li aveva già creati maschio e femmina al sesto giorno (Genesi 1:26-7). Lilith – questo il nome dato
alla prima creatura femminile dalla esegesi ebraica che rettificava le
incongruenze della Bibbia – poneva un problema simbolico di genere nel suo rifiuto di fare sesso con Adamo stando sotto di lui, e
per questa disobbedienza la divinità la tramutò in un demone.
Quando Paolo di Tarso, non ancora san Paolo, portò la religione
cristiana a Roma, confermò sia il messaggio di ascesi, condannando
l’edonismo che permeava la vita degli antichi Romani maschi nobili
o benestanti, sia quello di sottomissione delle donne ai loro mariti
(I lettera ai Corinzi 11:3). Sono questi i ruoli di genere con cui
tutt’ora abbiamo a che fare: dominio maschile e sottomissione femminile permeano la tradizione e la realtà in cui viviamo, benché la
distanza sociale tra maschi e femmine sia diminuita nel tempo.
È stato quindi liberatorio separare il sesso dal genere, termine usato
dal femminismo della seconda ondata (anni ’60 e ’70) in lingua inglese
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per indicare gli obblighi sociali cui le femmine – ma anche i maschi –
sono sottoposte. La parola “genere” è stata usata per riuscire a parlare
delle imposizioni che limitavano, e limitano, l’esistenza delle donne,
che il patriarcato attribuisce alle caratteristiche naturalmente legate al
sesso – sono i ruoli sociali di genere – in italiano si usava piuttosto
l’espressione “ruoli sessuali”. Nei loro incontri le giovani neofemministe mettevano in discussione la presunta realizzazione personale di
tutte le donne con la subordinazione devota al marito e con la maternità. Affermavano che si trattava di un modello, di un ruolo imposto
niente affatto corrispondente a ciò che le donne stesse vogliono.
L’aspirazione a rapporti sentimentali paritari e all’accesso al mercato
del lavoro era ed è infatti assai diffusa ben oltre il movimento femminista. Il genere – dunque il ruolo sociale femminile tradizionale – è
una costruzione sociale basata sul sesso: questo il messaggio femminista. È la società patriarcale a insegnare alle femmine che sono per
natura servizievoli e portate al sacrificio di sé, mentre addestra i maschi
all’aggressività contro le femmine e alla competizione tra loro, sempre
ritenendo che si tratti di natura femminile e maschile. Per liberare le
donne, per avere relazioni paritarie tra i sessi, il genere deve essere
abolito, cioè attivamente contrastato e poi dimenticato, cancellato.
L’espressione individuale deve subentrare al ruolo: solo così l’uguaglianza tra uomini e donne potrà essere realizzata.
Parlare oggi di “sesso” e “genere” significa però confrontarsi con
un uso diverso che si fa di questi due termini nel dibattito filosofico
e politico, un uso solo apparentemente ancora liberatorio, perché
in realtà fa ritornare a un unico concetto, che questa volta è chiamato “genere” e non più “sesso”. L’effetto è però il medesimo della
naturalizzazione del genere: si chiudono quegli spazi di libertà delle
donne che il femminismo della seconda ondata aveva aperto, si irrigidiscono i ruoli sociali di maschi e femmine con il pretesto di aiutare coloro che “non sono conformi al proprio genere” – fatto però
coincidere con il proprio sesso.
Questi sono i temi del volantino militante che avete tra le mani a
proposito di “sex’n’gender”. La mia prospettiva è ancora quella
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della liberazione del sesso e della liberazione dai generi, contro l’attuale ritorno in grande stile degli stereotipi.
1. Le parole e le cose: il sesso
La parola “sesso” deriva dal latino sexus, con la stessa radice del verbo
secare, cioè dividere. È quella tra maschi e femmine la divisione morfologica fondamentale degli esseri umani, finalizzata alla riproduzione
della specie, dimorfismo che abbiamo in comune con la gran parte
delle specie animali e vegetali del pianeta. La voce “sesso” del Vocabolario degli accademici della Crusca (1622) così recita:
Sesso. L’esser proprio del maschio, e della femmina, che distingue l’uno dall’altro.
Lat. sexus. Es: “ed è quello esecrabil sesso femmineo”
Ecco, appunto. L’esempio seicentesco di uso della parola “sesso”
non poteva essere che la colpa di Eva, con tutte le accessorie attribuzioni misogine di caratteristiche negative alle donne in generale1.
Dopo altri, più accettabili, esempi il vocabolario così prosegue: “Diciamo ad amendune le parti vergognose, sì dell’huomo sì della
donna”. Anche oggi “sesso” ha infatti due significati, o meglio tre: la
grande partizione dell’umanità a fini riproduttivi, le parti anatomiche
a questi relative per le quali siamo istruiti a provare vergogna, nonché
le attività che le coinvolgono (generalmente non a fini riproduttivi),
concetto più propriamente espresso oggi dalla parola “sessualità”.
Vediamole dunque, queste parti vergognose! Il pene maschile
e i testicoli sono ufficialmente proibiti alla vista, ma le manifestazioni itifalliche non sono affatto scomparse con il paganesimo:
ovunque spuntano falli e testicoli disegnati, palpati, mostrati alle
femmine e paragonati tra maschi. Sembra di capire che la vergo1
Un esempio migliore dell’uso della parola lo traggo da Noi e il nostro corpo (Boston
Women’s Health Collective 2011): “Il sesso a cui diciamo di sì e a cui partecipiamo attivamente può essere piacere puro, che ci permette di esprimere desiderio, giocosità, intimità,
vulnerabilità e potere”. Sul lato negativo i rischi di gravidanze non volute e di malattie sessualmente trasmissibili.
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gna socialmente trasmessa per il proprio sesso abbia poca efficacia
sui maschi. Anche la profusione di parole con cui indicare i genitali maschili è unica: per il sesso femminile scarseggiano i nomi.
Rimane nascosto, così come il sapere ad esso relativo, persino a
fini medici. Ancora circolano le antiche credenze deleterie, come
l’equivalenza tra stato di verginità e presenza dell’imene, la membrana che drappeggia l’apertura vaginale – ma non in tutte le ragazze – e si suppone si laceri soltanto con il primo coito e con
perdita di sangue. Invece normalmente è già parzialmente aperto,
e un’intensa attività fisica è sufficiente ad aprirlo completamente.
Le parti sessuali maschili e femminili hanno un’origine comune
e si corrispondono, sviluppandosi dal medesimo tessuto embrionale. Il glande della clitoride corrisponde a quello del pene, e corrispondono allo scroto le grandi labbra, quelle esterne, che possono
anche essere molto più piccole delle “piccole labbra”. La clitoride
è omologa al pene. Secondo il Vocabolario Treccani è “rudimentale” in confronto al pene2 – chiaro esempio di come il maschile sia
preso a norma. È invece il pene ad essere rudimentale quanto a sensazioni sessuali, che sono l’unica funzione della clitoride. Essa ha
un numero e concentrazione di terminazioni nervose di molto superiore al suo omologo maschile, soprattutto nel glande, cioè la
punta, che è ricoperta da un cappuccio o prepuzio (una piega mucosa). La clitoride non è affatto limitata a glande e asta (cioè alla sua
parte anteriore) ma si estende intorno all’apertura vaginale con due
radici – o crure – di tessuto erettile lungo 7-8 centimetri e attaccato
alle ossa pelviche. È inoltre collegata a due bulbi del vestibolo, collocati a fianco dell’apertura vaginale. Con l’eccitazione sessuale i
bulbi si erigono, si riempiono e si tendono proprio come le pareti
della vagina: insieme alla clitoride sono i soli organi deputati unicamente al piacere sessuale. La risposta sessuale femminile è molto
varia, ma principalmente incentrata sulla clitoride, e difficilmente
“Clitòride s. f. o m. [dal gr. (ἡ) κλειτορίς -ίδος; l’uso come masch. è dovuto a influenza del
fr. le clitoris]. – In anatomia, organo erettile femminile impari e mediano, omologo al pene virile,
però rudimentale, situato nell’angolo anteriore della vulva” (Vocabolario Treccani on line).
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le donne raggiungono l’orgasmo senza una sua stimolazione.
I futuri maschi e le future femmine nelle prime sei settimane di
vita embrionale sono identici. Il corso naturale dello sviluppo è un
corpo femminile: sono i geni contenuti nel cromosoma Y ad attivarsi
al 36° giorno bloccando lo sviluppo femminile delle strutture e mutandole in maschili.
I caratteri sessuali primari (cioè direttamente collegati alla riproduzione) sono detti gonadi: quelli maschili sono i testicoli e quelli
femminili sono le ovaie. Le gonadi producono i gameti, cioè le cellule riproduttive, e gli ormoni sessuali che differenziano morfologicamente maschi e femmine3. I caratteri sessuali secondari sono
le altre caratteristiche sessuali che distinguono i sessi. Gli organi
deputati alla riproduzione, cioè il pene, la vagina e l’utero, sono appunto caratteri sessuali secondari od “organi riproduttivi accessori”. Altri caratteri sessuali secondari sono tutte le differenze di
aspetto non direttamente coinvolte nella procreazione: la voce, la
barba e gli altri peli, le mammelle, la muscolatura, l’ossatura, il
grasso corporeo. Lo sviluppo delle differenze sessuali è condizionato da fattori genetici e dagli ormoni, in particolare da quelli sessuali, in piccola parte prodotti dal corpo anche al di fuori delle
gonadi. Gli ormoni sessuali non sono completamente distinti nei
due sessi, né l’azione di androgeni e di estrogeni è limitata ai corpi
rispettivamente maschili e femminili.
L’immaginario della riproduzione abbonda di equivoci ed errori.
Dobbiamo abbandonare il concetto dello spermatozoo vincitore della
corsa che – così come l’uomo penetra la donna – a sua volta penetra
l’ovulo per formare un nuovo essere umano. In realtà l’ovulo sceglie
uno degli spermatozoi che lo hanno raggiunto, inglobandolo grazie a
processi biochimici sconosciuti e completamente omessi nelle varie
forme di fecondazione artificiale, in particolare nell’ICSI, l’iniezione
del Dna di spermatozoi inadatti alla fecondazione direttamente nel nucleo dell’ovulo. L’immagine dell’agente della penetrazione che prorompe in qualcosa che lo attende passivamente potrebbe essere
3
Sul dimorfismo sessuale della specie umana vedi Figura e Spedini 1998.
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completamente ribaltata anche per il coito, descrivibile ugualmente
bene come un vorace sesso femminile che avvolge, ingloba, risucchia
un fragile sesso maschile, appropriandosene – ma l’attività dell’ovulo
è reale, non è questione di interpretazione.
Il fluido cervicale nella vagina nutre lo sperma e lo può tenere in
vita fino a cinque giorni, proteggendolo da quell’ambiente acido
con cui la vagina si prende benissimo cura di se stessa: non c’è affatto bisogno di “pulirla” con i prodotti dell’industria chimica. Il
corpo femminile è infatti bersaglio di richieste di adeguamenti continui ed esagerati, che fanno leva sul senso di vergogna instillato per
le sue funzioni fisiologiche come l’allattamento o le mestruazioni,
con l’obbligo sociale di nascondere questa fase di decadimento del
tessuto uterino. La vergogna per il corpo è imposta alle femmine
anche dall’invadenza e dalle molestie maschili con scuse pseudosessuali – nessun uomo ha mai ottenuto favori femminili fissando
parti anatomiche come le mammelle o commentandole a voce alta.
In Noi e il nostro corpo si legge: “Le nostre mammelle ci rendono
mammiferi. Queste ghiandole straordinarie producono latte che ha
la capacità incredibile di nutrire i cervelli umani sovradimensionati
e di combattere infezioni e malattie nei neonati” (Boston Women’s
Health Collective 2011). Dovrebbero piuttosto essere fonte di orgoglio, a prescindere dagli standard sociali (in realtà propugnati dai
mass media) di attrattività sessuale!
Si potrebbe proseguire a lungo sulla presunta inadeguatezza del
corpo femminile naturale e sul suo presunto bisogno di aggiustamenti e correzioni, che vanno dalla cosmesi alla chirurgia plastica,
che negli Usa – il paese con più chirurghi estetici e più operazioni
praticate – viene eseguita per il 90% sulle donne.
Arriviamo infine alla nascita, con un ultimo esempio di immaginario erroneo: la posizione passiva della partoriente coricata sulla
schiena e aiutata dal ginecologo o dall’ostetrica a partorire. Al contrario, il parto naturale non necessita di interventi estrattivi, e si avvale delle spinte della partoriente aiutata dalla forza di gravità,
sostenendosi a persone o a cose in una posizione verticale.
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La Treccani del 1994, nonché la sua versione correntemente on
line, dà questa definizione:
Sesso
1. il complesso dei caratteri anatomici, morfologici, fisiologici (e negli organismi
umani anche psicologici) che determinano e distinguono tra gli individui di una stessa
specie, animale o vegetale, i maschi dalle femmine e viceversa [alcuni esempi]. Sotto
l’aspetto biologico, la distinzione del sesso si ha soltanto negli organismi a riproduzione sessuale o gamica (la quale consiste, tipicamente, nella unione di un gamete maschile con uno femminile): il sesso maschile è caratterizzato dalla produzione di gameti
piccoli e per lo più mobili (spermatozoi o spermi negli animali, microgameti nelle
piante), quello femminile dalla produzione di gameti di dimensioni maggiori, talora
molto cospicue, per l’accumulo di sostanze di riserva (uova negli animali, macrogameti
o ovuli nelle piante). […] b. l’appartenenza di ogni singolo individuo all’una o all’altra
delle due condizioni [esempi] disputare sul s. degli angeli, perdersi in discussioni sottili
su problemi inconsistenti o su questioni non risolvibili. c. con valore collettivo, e con
riferimento a persone, il complesso degli individui che appartengono all’uno o all’altro
dei due tipi: la natural nobiltà del s. virile, cagione della prima potestà, che fu quella
sopra il s. donnesco (Visco); le prerogative, i privilegi, i vantaggi del s. femminile, del
s. maschile; sentire attrazione per il s. opposto, per il proprio s.; soprattutto in espressioni tradizionali ormai usate solo in tono scherz.: il s. forte, gli uomini; il s. debole o,
galantemente, il bel s., il gentil s., le donne. Di uso più recente, il terzo s., gli ermafroditi, o anche, talora, gli omosessuali (la locuz. è esemplata sul fr. troisième sexe, coniata
in origine per indicare le donne di comportamento mascolino).
2. letter. l’apparato sessuale, cioè gli organi della riproduzione, e più in partic.
l’organo genitale esterno, maschile o femminile [esempi].
3. i fatti e i fenomeni legati agli organi della riproduzione, soprattutto per ciò che
riguarda i rapporti sessuali e più genericamente. La vita sessuale, la sessualità
[esempi].
Affrontiamo subito quella che è l’obiezione postmoderna a questa
descrizione anatomica, morfologica, fisiologica dei due sessi
(quanto agli aspetti psicologici, ci torneremo). Esistono infatti persone che non sono nettamente maschi o femmine a causa di anomalie, o disordini, dello sviluppo sessuale (non sempre visibili).
Anticamente erano chiamate “ermafroditi”, oggi la parola usata è
“intersessuali/interessuati”, e in inglese si preferisce addirittura
chiamarli “persone con disordini dello sviluppo sessuale” perché
tutte le altre espressioni sarebbero stigmatizzanti.
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Le teorie postmoderne che pretendono di “decostruire” i concetti,
tra cui quello biologico di “sesso”, usano l’intersessualità per smentire il dimorfismo sessuale umano. La biologa Anne Fausto-Sterling
ad esempio afferma che esistono almeno cinque sessi – i tre aggiuntivi
essendo forme di intersessualità. Molti altri, non biologi, collocano i
sessi su un continuum, con il maschio “puro” e la femmina “pura”
come polarità di infinite gradazioni intermedie. Ma né Fausto-Sterling né i teorici del continuum possono riconciliare la loro inedita visione con il fatto che i gameti sono solo di due tipi, o maschili o
femminili, e hanno una precisa funzione riproduttiva ed evolutiva.
Questa nuova (o errata) visione potrà farsi strada nella cultura
(dubito che ciò avverrà in biologia) solo cancellando i significati
delle parole che da molto tempo usiamo. “Sesso”, in breve, è l’apparato che produce i gameti maschili e femminili necessari alla procreazione. Possiamo anche decidere di chiamare “sesso” qualcosa
di diverso, tuttavia le parole rimangono strumenti utili per nominare
le cose, e se assegniamo un significato diverso da quello originario
alla parola “sesso”, dovremo allora trovare un’altra parola per dare
un nome allo stesso fenomeno, che rimane immodificato. Meglio
dunque rifiutare le innovazioni linguistiche che creano confusione,
mantenendo il significato originario di tutte le parole che sono necessarie alla comprensione di fenomeni naturali4.
E che cosa vogliono poi gli intersessuati? Chiedono rispetto per i
propri corpi, che dal dopoguerra sono invece sottoposti di routine ad
adeguamenti “estetici” fin da neonati, normalizzati con operazioni dolorose per avvicinarli a un aspetto genitale maschile o femminile – più
spesso quest’ultimo perché è più facile togliere un pene “inadeguato”
che aggiungerne uno. Tuttavia gli intersessuati organizzati nell’ISNA
ritengono un’ulteriore stigmatizzazione il marchio come terzo sesso
sui documenti (né tantomeno ne auspicano un quarto o quinto). Vogliono piuttosto essere normalmente iscritti alle anagrafi come maschi
o femmine a seconda del sesso a cui assomigliano di più, ma senza alAd esempio i fautori della surrogazione di maternità pretendono di non chiamare più
“madre” una donna che ha partorito (Danna 2017).
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cuno snaturamento dei loro genitali: le operazioni sono rischiose e
possono diminuire la capacità di provare piacere. Invece in Germania
l’associazione di intersessuati Dritte Option ha ottenuto l’inserimento
di un terzo sesso nei certificati di nascita di coloro che da adulti lo desiderano. Sono state approvate opzioni simili negli Stati Uniti: “nonbinary” o campo vuoto in California, “X” nell’Oregon, “neutrale” nel
New Jersey, “X” a New York. Anche l’Ontario canadese ha introdotto
una terza opzione sui certificati di nascita, mentre la Tasmania australiana permette di non indicarvi il sesso – che generalmente sui documenti in lingua inglese è chiamato “genere”.
Alcuni genitori vorrebbero barrare la casella “X” per nascondere il
sesso del proprio neonato, non volendo sottoporre i propri figli agli
stereotipi di genere: “Se la gente non conosce il sesso di Zoomer, non
possono trattarlo come un maschio o una femmina, ma piuttosto come
l* straordinari* ragazzin* che loro sono, e fare esperienza di una
prima infanzia libera da stereotipi”. In inglese è più facile mantenere
l’ambiguità del genere grammaticale (che in italiano si può rendere
con l’asterisco) tranne quando si arriva a usare un pronome personale
– per questo i genitori di Zoomer ne parlano al plurale, dove la loro
lingua non distingue il maschile dal femminile. Vogliono che Zoomer
non sia sottoposto agli stereotipi di genere nascondendo il suo sesso
– che però esiste ed è chiaramente visibile, soprattutto nella prima infanzia in cui si necessita di cure intime da parte di altri. La terza opzione offerta riguarda però i certificati di nascita di persone adulte che
documentano di avere caratteristiche sessuali intermedie. Il caso dei
genitori di Zoomer non è contemplato perché la loro soluzione alla
pervasività del genere non sembra ragionevole, soprattutto il nascondere allo stesso bambin* la sua identificazione sessuale. Il Dipartimento della salute di New York ha anzi esplicitamente negato che il
“terzo genere” sui documenti possa essere una decisione presa dai
genitori, a causa della prevedibile stigmatizzazione futura cui un neonato non può evidentemente consentire – questo il suggerimento, accolto, del gruppo di intersessuati InterAct.
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2. Le parole e le cose: il genere
Il Vocabolario degli accademici della Crusca così definisce la parola:
Genere Secondo i Loici [logici], quel, che comprende sotto di sé le spezie [le specie]. Lat. genus. Gr. γένος [esempi] E GENERE diciamo a tutta la generazione
vmana. […]
Genere/o è anche termine gramaticale.
Quest’ultimo significato riguarda, per così dire, “il sesso delle
parole”. Così nel 1929 lo descrive Tommaseo nel suo Dizionario:
12. Grammatica: forma de’ nomi, denotante il maschio o la femmina, o enti altri
dagli animali, a quali in origine fu dato nome masch. o femm., per alcuna qualità
che riguardavasi più conforme al concetto dell’uno o dell’altro sesso.
“Genere” ha assunto solo nel post-1968 il significato di “ruolo
assegnato a ciascun sesso”, o ad amenduni i sessi – come avrebbero
detto i nostri antenati secenteschi. Etimologicamente proviene dal
latino genus –nĕris, affine a gignĕre, “generare” e alle voci gr. γένος
“genere, stirpe” γένεσις “origine”, γίγνομαι “nascere” (Treccani). La parola “genere” nel significato grammaticale ha quindi il
senso di un’assegnazione sociale, convenzionale, di mascolinità o
femminilità, ed è usata nello stesso senso anche al plurale “generi”.
Per la psicologa Viviane Burr: Genere è “il significato sociale del
sesso” e Ruolo di genere è “l’insieme di comportamenti, doveri e
aspettative connesso alla condizione maschile o femminile” (Burr
1998, 164 e 165). L’utilità di distinguere tra “sesso” e “genere”
sta quindi nel rilevare che a un gruppo sociale identificato in base
al suo sesso si applicano norme che ne plasmano i comportamenti
e principalmente – come detto – chi appartiene al sesso maschile
viene plasmato nella superiorità su chi appartiene al sesso femminile, chi appartiene al sesso femminile è plasmata nella sottomissione a chi appartiene al sesso maschile. Nell’interazione sociale gli
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uomini interrompono le donne, o non le ascoltano, mentre le donne
si rivolgono agli uomini sorridendo e mettendoli in una posizione
di autorità. Nella rappresentazione sociale, gli uomini agiscono e
le donne appaiono. Passività e disponibilità sono gli imperativi femminili. La reputazione sessuale raggiunta da chi è promiscuo è ben
diversa da quella che stigmatizza chi è promiscua. L’uomo adulto è
sempre signore, mentre le donne vanno distinte in “signore” o “signorine” a seconda della loro appartenenza o meno a un marito –
per indicare solo alcune delle polarizzazioni gerarchiche tra i generi. Ci sono poi le differenze materiali di potere e di reddito e proprietà tra i sessi che fungono da base per la perpetuazione delle
differenze di genere. Ecco, nelle parole di Maria Nadotti (1996, p.
9), un catalogo di stereotipi di genere:
si suppone che le femmine siamo naturalmente inclini al sacrificio e al lavoro di
cura, docili, abnegate, accomodanti, passive, portate alla sedentarietà e alla stabilità, paurose, fragili, bisognose di protezione, incapaci di pensiero astratto, emotive, inaffidabili, e i maschi naturalmente attivi, aggressivi, coraggiosi, forti, capaci
d’iniziativa e portati al movimento e all’esplorazione, protettivi, ardimentosi, adatti
ai mestieri rudi e all’aria aperta, razionali.
La forza maschile, tuttavia, è una differenza biologica: per quanto
esistano maschi deboli e femmine forti è innegabile che il corpo maschile tipico abbia una muscolatura più possente, certamente mantenuta con l’allenamento, ma in primo luogo sviluppata dagli ormoni
maschili. Quanto alle differenze psicologiche, sono innate o costruite? Non si può negare il fatto che il cervello è un organo sessuato. Non sono un’esperta e invito ad approfondire il tema, ma dalla
ricerche risultano differenze innate in questi ambiti: modalità visiva
e capacità uditiva, risposta allo stress e a situazioni rischiose, aggressività, tendenza a un pensiero più sistematico per i maschi e a un
pensiero più empatico per le femmine – come differenza media tra i
gruppi, senza capacità predittiva al 100% sugli individui. Il pensiero
empatico identifica le emozioni e i pensieri degli altri e risponde con
emozioni appropriate, mentre il pensiero sistematico analizza le vasesso e genere
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riabili di un sistema per scoprire le norme che lo governano secondo
lo schema input-operazione-output (Baron-Cohen 2007). Una ricerca dell’Università di Cambridge su neonati di un giorno di vita ha
mostrato che i maschi sono più attratti (con probabilità più che doppia) dalle forme in movimento, mentre le femmine da visi umani statici. Altri tratti tipici li vediamo nella sessualità, ambito certamente
influenzato dalle norme sociali ma che ha radici molto profonde nella
psiche: la preferenza per una sessualità legata all’amore nelle donne,
e viceversa slegata dall’affettività negli uomini si ritrova all’ennesima
potenza nelle pratiche del mondo lesbico rispetto a quello gay. Sono
differenze che possono avere un senso evolutivo, radicate in strategie
riproduttive diverse per i due sessi. Un’altra differenza interessante
risulta dagli esperimenti sull’eccitazione sia soggettiva (ovvero dichiarata) che oggettiva (ovvero accertata tramite l’osservazione dei
genitali). Gli uomini mostrano una elevata specificità nel sesso che
suscita il loro desiderio: sono in maggioranza eterosessuali e in minoranza gay, quasi mai bisessuali. Al contrario le donne si eccitano
sia con scene di sessualità eterosessuale che tra donne. Naturalmente
rimane il problema di distinguere ciò che è naturale da ciò che è sociale, insieme al fatto che i comportamenti non sono nettamente divisi tra i due sessi. Tuttavia si tratta di differenze tra i due gruppi assai
rilevanti, e sembra poco sensato escludere ogni influenza genetica.
È chiaro invece che le differenze tra i due sessi comprendono una
grossa componente sociale che nel patriarcato li ordina in una chiara
gerarchia.
Simone de Beauvoir, “madre” delle femministe della seconda ondata, ne Il secondo sesso (1949) affermava che: “Donna non si nasce
ma si diventa” – ovviamente venendo educate come tali sulla base
del possesso di un’anatomia femminile. Così scrive:
Ma per la prima volta dobbiamo chiedere: che cos’è una donna? Tota mulier in
utero, dice uno, la donna è un utero. Ma parlando di certe donne, i conoscitori dichiarano che non sono donne, benché equipaggiate con un utero come le altre.
[…] Se il suo funzionamento come femmina non è sufficiente per definire una
donna, se vogliamo anche evitare di spiegarla con “l’eterno femminino”, e se non-
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daniela danna
dimeno ammettiamo, provvisoriamente, che le donne esistono, allora dobbiamo
affrontare la questione: che cos’è una donna?
Questo è il genere: il fatto che la biologia non sia sufficiente per
definire socialmente una donna o un uomo. Come deve esprimersi
socialmente un essere umano di sesso femminile per essere considerata una vera donna? Le regole e le costrizioni relative, nota de
Beauvoir, sono molto più stringenti di quelle che servono a fare un
vero uomo. Inoltre l’uso comune di “uomo” denota l’essere umano
in generale, mentre “donna” è una limitazione: “Pensi così perché
sei una donna”, si sente dire, mentre essere un uomo non è una particolarità. Le donne sono state spesso chiamate semplicemente “il
sesso”, cioè ciò che appare all’uomo essenzialmente come un essere
sessuale. Il punto di vista del soggetto umano è a ben guardare un
punto di vista maschile.
Pur descrivendo i condizionamenti sociali negativi sulle donne,
de Beauvoir non ha usato il termine “genere”. Di “sistema
sesso/genere” ha parlato invece l’antropologa Gayle Rubin nel
saggio The trafficking in women (1975) considerandola
un’espressione analoga a “patriarcato” o “modo di riproduzione”.
Rubin scrive: “alla materia prima biologica del sesso e della procreazione umana è data una forma con l’intervento umano, sociale” (p. 165). Il genere è strutturato esacerbando le differenze
biologiche: “Genere è una divisione dei sessi socialmente imposta” (p. 179). Anche gli uomini vengono oppressi dalla divisione
delle caratteristiche personali tra “maschili” e “femminili”. Il genere assegnato a ciascuno e a ciascuna implica inoltre che il suo
desiderio sessuale debba essere diretto solo verso l’altro sesso,
sopprimendo la componente omosessuale della sessualità umana.
Rubin considera ideale una società androgina e priva di genere
(genderless), nonché pansessuale – abolendo i diversi orientamenti sessuali (a cui pure in molti rimaniamo affezionati).
Joan Scott (1986) esorta a usare “genere” in campo storico per
mostrare l’intreccio delle concezioni variabili del maschile e del
femminile nelle diverse epoche. “Genere” per Scott si riferisce alle
sesso e genere
15
origini esclusivamente sociali delle identità soggettive di uomini e
donne: “Il suo uso rifiuta esplicitamente le spiegazioni biologiche,
come quelle che trovano un comune denominatore alle diverse
forme di subordinazione delle donne nel fatto che le donne hanno
la capacità di partorire e gli uomini hanno maggiore forza muscolare” (p. 1056).
Questa terminologia inglese (gender) si è lentamente diffusa in
tutto il mondo, arrivando in Italia negli anni ’90 attraverso gli studi
accademici, e negli anni ’90 la parola “genere” è entrata anche nel
linguaggio dei trattati internazionali. La sostituzione di “genere” a
“sesso” ha avuto buon gioco perché “sesso” rimanda sia all’anatomia che all’attività sessuale, ed è quindi una parola disdicevole. A
volte nel linguaggio ufficiale si è operata una semplice sostituzione
tra i due termini, a volte invece si vuole sottolineare come il problema per le donne non sia il loro sesso ma il ruolo assegnatovi, il
genere appunto. L’impegno contro la violenza basata sul genere
(gender-based violence) è presente sia nel lavoro della CEDAW
(General Recommendation n. 19, 1992) sia nella Convenzione di
Istanbul contro la violenza nei confronti delle donne (art. 3, 2011).
La CEDAW definisce questa violenza come “una forma di discriminazione che impedisce gravemente la capacità delle donne di godere di diritti e libertà su una base di eguaglianza con gli uomini”,
e la Convenzione di Istanbul dà una definizione analoga. Per “violenza di genere” si intende oggi solitamente la violenza che è motivata dall’imposizione di ruoli di genere, quindi tutte le forme di
violenza contro le donne motivate dalla svalutazione del femminile,
ma anche la violenza perpetrata contro gay, lesbiche e bisessuali
proprio per il fatto di non essere eterosessuali, non rispettando questa prescrizione del ruolo di genere, nonché contro i e le trans per
la loro scelta di un sesso/genere non conforme al sesso di nascita.
Alla IV Conferenza mondiale sulle donne organizzata dall’ONU
a Pechino/Beijing nel 1995, il Vaticano e altri stati di religione cattolica si opposero all’uso del termine “genere”, che consideravano
una parola in codice per “omosessualità”. Non riuscirono a impe16
daniela danna
dirne l’uso nei documenti finali, ma la definizione di “genere” rimase ufficialmente indeterminata.
All’ONU ormai “genere” ha soppiantato “sesso”, mantenendo lo
stesso significato: nel 2000 la parità o uguaglianza di genere appare
tra gli obiettivi di sviluppo del millennio, e nel 2015 tra gli obiettivi
dello sviluppo sostenibile. L’Unione europea vuole impegnarsi per
l’eguaglianza tra uomini e donne, chiamandola però “eguaglianza di
genere” e nel 2010 ha inaugurato l’Istituto europeo per l’uguaglianza
di genere (ma l’articolo 23 della Carta di Nizza del 2000 è ancora intitolato alla “Parità tra uomini e donne”). L’espressione “parità di genere” è però evidentemente assurda nel lessico del femminismo della
seconda ondata, e non si comprende perché – se “genere” è sinonimo
di “sesso” – non si possa continuare a parlare di “parità tra i sessi”.
Dagli enti sovranazionali questa confusione di concetti è trasmessa ai
documenti ufficiali di tutti gli stati – che non citano Judith Butler, ma
aprono la strada alla sua ridefinizione postmodernista sia di “sesso”
che di “genere”, come vedremo nel cap. 4.
3. La gerarchia dei generi
Oscura è l’origine della dominazione maschile nei popoli europei,
diffusa poi in tutto il pianeta con l’imperialismo e la religione che
l’ha accompagnato. Nel cristianesimo solo il maschile ha un ruolo
sacro mentre il femminile funge da suo ausilio. Il ruolo della antica
Dea madre è rivestito da Maria madre di Dio, culto popolare che la
religione ufficiale non è mai riuscita a spegnere. Il matriarcato è
stato per Marija Gimbutas, che constata la prevalenza di simboli e
raffigurazioni femminili nelle fasi iniziali della cultura umana, la
condizione di partenza della nostra specie. In Europa fu sconfitto
dall’invasione della cultura dei Kurgan intorno alla metà del V millennio. Barbara Ehrenreich (1998) invece attribuisce lo status inferiorizzato del sesso femminile alla condizione di pericolo che il
sangue mestruale creava per le piccole bande in cui era organizzata
la specie umana nella preistoria, alla mercé degli animali predatori.
sesso e genere
17
Per Shulamith Firestone: “la disuguaglianza fondamentale l’ha
creata la natura facendo sì che metà della razza umana dovesse far
nascere e allevare i figli di tutti” (1970, 205). Sarebbe quindi folle
mettere in discussione la disuguaglianza tra i sessi prima di un certo
livello di sofisticazione tecnologica, perché solo la scienza renderà
possibile l’uguaglianza tra i sessi grazie a gravidanze maschili e uteri
artificiali. Ritenere che le donne possano raggiungere l’uguaglianza
con l’altro sesso solo tramite la riproduzione artificiale non pare comunque una prospettiva propriamente femminista: il femminismo
è nato per dare considerazione sociale al corpo femminile (cioè alle
donne), per rivendicarne l’autodeterminazione, l’importanza del
suo rispetto (”inviolabilità”) e il riconoscimento delle sue facoltà.
Le dita tagliate su cui l’antropologa Paola Tabet (2014) ha attratto
l’attenzione (accade o accadeva tra i Dugum Dani della Nuova Guinea)
sono un’immagine sia reale che simbolica della costrizione all’impotenza femminile da parte degli uomini nel patriarcato. È un caso
estremo di come alle donne sia generalmente negata l’autonomia, e
anche l’uso delle armi con cui difendersi dalle prevaricazioni maschili,
venendo così costrette a scambi sessuo-economici umilianti. Sconvolgente è anche l’immagine-simbolo dei piedi fasciati – e quindi deformati, mutilati nella loro funzione – delle donne cinesi, che per gli
uomini rappresentavano l’apice della bellezza femminile e un feticcio
sessuale. Mary Daly (1979) ha descritto con parole sferzanti questo
collegamento tra subordinazione delle donne e piacere sessuale maschile – piuttosto tipico anche in forme meno estreme.
Ma, a differenza del quadro tracciato da queste femministe, la dominazione maschile non è universale. L’antropologa Peggy Sanday
Reeves in Potere femminile e dominazione maschile. Sull’origine dell’ineguaglianza tra i sessi (testo sconosciuto in Italia, ma che ha
avuto una decina di edizioni in inglese a partire dal 1981) ha cercato
associazioni statistiche significative5 tra i tratti salienti di 156 società dello Standard Cross-Cultural Sample (Murdock e White
1969). Sanday Reeves ritiene che i sex-roles plans (gli schemi di
5
Il che significa che le associazioni scoperte non valgono per tutte le società.
18
daniela danna
ruolo legati al sesso, che equivalgono ai generi) rispondano all’esigenza di rendere prevedibile il comportamento sociale. Essi variano
moltissimo: in alcune società i due sessi sono poco distinguibili dal
punto di vista dell’autopresentazione e del comportamento sociale,
in altre i ruoli sono egualitari ma vi sono modelli diversi per maschi
e femmine, in altre ancora ritroviamo la gerarchia tra i generi che
ci è familiare. Spesso il cambiamento di genere è possibile senza
(ovviamente) alcun cambiamento di sesso. Tra i balinesi solo le
donne tessono e solo gli uomini si arrampicano sulle palme da
cocco, e se qualcuno vuole appartenere al sesso opposto “è esattamente facendo queste cose, arrampicandosi sulle palme da cocco o
tessendo, che esprime il suo desiderio” (p. 18). Nelle società più
semplici, senza patrimonio culturale scritto, i sessi si conformano
a una simmetria di base che deriva dal ruolo biologico delle donne
di dare la vita, a cui si contrappone quello degli uomini di uccidere,
cacciando e in guerra:
Le donne partoriscono e allevano bambini, gli uomini uccidono e costruiscono
armi. Gli uomini mostrano ciò che hanno ucciso (sia un animale, una testa umana
o uno scalpo) con la stessa fierezza con cui le madri mostrano i loro neonati. Se la
nascita e la morte sono tra le cose necessarie dell’esistenza, allora gli uomini e le
donne contribuiscono paritariamente, benché in modi molto diversi, alla continuazione della vita, e pertanto anche della cultura (p. 9).
Il potere di dare la vita per Sanday Reeves dovrebbe essere considerato allo stesso modo del potere di dare la morte. Perché allora
in alcune società la valutazione del potere tipicamente femminile e
di quello tipicamente maschile è simmetrica mentre in altre è asimmetrica? Quali sono le condizioni nelle quali la posizione delle
donne si avvicina di più all’uguaglianza?
I ruoli di potere maschili e femminili sono forgiati quando si forgia il proprio senso
di appartenenza a un popolo. Il senso di appartenere a un popolo implica un codice
condiviso che guida il comportamento – incluso quello dei sessi – non solo in relazione gli uni agli altri ma anche in relazione alle risorse cui si dà valore e al sovrannaturale. Il potere è accordato a quello dei due sessi che si pensa incarni o sia in contatto
sesso e genere
19
con le forze da cui la gente dipende per i suoi bisogni percepiti. Concependo il potere
in questo modo, si può dire che in alcune società le donne hanno più potere, o gli
uomini ne hanno di più, o i due sessi ne hanno una quantità uguale (p. 11).
La sacralizzazione delle forze della natura, che simbolicamente
sono sotto il controllo e la manipolazione delle donne, causa (o magari riflette?) il potere femminile nella società. Sono importanti i
concetti antichi di poteri sacri e i miti delle origini da cui derivano
i ruoli – anche se non è chiaro perché non possa essere il contrario,
secondo uno schema materialistico e non idealistico.
L’ambiente e il modo in cui fornisce risorse infatti si riflettono
nella simmetria o asimmetria dei poteri maschili e femminili: la migrazione e la caccia favoriscono la preminenza simbolica e politica
maschile, mentre il vivere dei doni della natura, cioè la raccolta, favorisce quella femminile. Se l’ambiente è percepito come favorevole, i sessi si mescolano, ma se l’ambiente è percepito come ostile
invece si separano, cosa che rappresenta il primo passo verso la dominazione maschile: “Gli uomini e le donne devono essere fisicamente e anche concettualmente separati perché gli uomini possano
dominare le donne” (p. 7). Gli uomini possono anche volgersi al
dominio delle donne come compensazione per una dominazione
subita. Vi è un rischio di instaurazione del patriarcato anche quando
il popolo è in pericolo:
Generalmente la dominazione maschile si sviluppa quando diminuiscono le risorse
e la sopravvivenza del gruppo dipende sempre più dagli atti aggressivi degli uomini.
L’oppressione maschile sulle donne, tuttavia, non è una risposta automatica né
immediata alla condizione di stress (p. 210).
L’esito dipenderà infatti anche dai concetti tradizionali legati al
potere, ovvero se prevalgono i culti e miti legati al principio femminile, nonché dalla gravità della minaccia all’identità collettiva.
Durante una lotta tra i sessi l’associazione della vita con le donne e
della morte con gli uomini gioca a favore degli uomini:
Se c’è una differenza di base tra i sessi al di là di quelle associate alla riproduzione
20
daniela danna
umana, è che le donne in quanto gruppo non hanno affrontato la morte volontariamente nei conflitti violenti. Questo fatto, forse più di qualunque altro, spiega
perché gli uomini sono diventati in alcuni casi il sesso dominante (pp. 210-1).
Le donne Igbo, che nel 1929 fecero scoppiare la “guerra delle
donne”, non hanno più rivendicato i poteri tradizionali dopo che le
truppe britanniche uccisero un centinaio di rivoltose. “L’albero che
porta i frutti” e “le madri degli uomini” non devono morire: le
donne si sono perciò ritirate dalla lotta, perdendola. L’effetto del
colonialismo europeo è sempre stato quello di disgregare il potere
femminile: indirettamente rompendo le basi culturali delle società
che ha dominato, rendendo più difficile l’acquisizione di risorse e
costringendo alla migrazione, e direttamente attraverso l’influenza
del cristianesimo e con il rifiuto dei dominatori di considerare le
donne come interlocutrici politiche. I simboli guida nella società
occidentale sono appunto per il maschile il dio patriarcale e per il
femminile la peccatrice che tenta l’uomo allontanandolo dalla rettitudine: le femmine non sono a immagine di Dio, solo i maschi possono riconoscervisi. In occidente la dipendenza psicologica delle
donne dagli uomini e dall’autorità maschile poggia su questo substrato simbolico, che ci condiziona, essendo pervasivamente presente nelle celebrazioni della nascita, del matrimonio e della morte.
4. Il genere postmoderno
Per Judith Butler il sesso è un comportamento, o meglio una performance: “non è un semplice fatto o una condizione statica di un
corpo”, perché si tratta di un’idea che si materializza. La differenza sessuale è “marcata e formata da pratiche discorsive”, e la
categoria di sesso è normativa, non descrittiva: “è una parte di una
pratica regolativa che produce i corpi che governa”6. Tutto questo
però è vero solo nell’eccezionale caso degli intersessuati, a cui
oggi si assegna un sesso. Ma il postmodernismo non rifugge dal
6
Introduzione a Bodies that matter (Butler 1993, 531-2).
sesso e genere
21
teorizzare a partire dalle eccezioni, ne fa anzi la sua specialità.
Per Butler poi la materia esiste, ma solo fino a un certo punto: “Affermare che il discorso è formativo non è affermare che esso origina,
causa, o compone in modo esaustivo quello che riconosce; piuttosto
è affermare che non esiste alcun riferimento a un corpo puro che non
sia al tempo stesso un’ulteriore formazione di quel corpo” (p. 537).
Il suo programma di disfarsi del concetto femminista di genere è
scritto a chiare lettere: “e non ci sarà alcun modo di comprendere il
‘genere’ come una costruzione culturale che viene imposta alla superficie della materia, chiamata o ‘il corpo’ o il suo dato sesso” (p.
532) perché anche il sesso è socialmente costruito.
La differenza sessuale e i suoi effetti, cioè che le donne rimangono
incinte e riproducono la specie, è espunta dalla teoria. Butler parla
sì di spermatozoi e ovuli, ma questi rimangono disincarnati, e l’origine materna cancellata (es. 2014, 44). “Genere” ha assunto per i
postmodernisti il significato di irrilevanza del sesso, insieme all’intero mondo materiale (Sokal e Bricmont 1999). Molti che oggi
usano “genere” non la pensano come i postmodernisti (anche se
parlano come loro), a partire dai ragazzi e ragazze che si identificano
come “gender non-binary” o “genderqueer”. Sono etichette identitarie equivalenti a “ribelli al genere”, proprio come “femminista”
o “androgino”, ma con un linguaggio a ben vedere privo di logica,
perché “al di fuori della dicotomia di genere” (nonbinary) indica
semplicemente un essere umano che non vuole sottostare a queste
imposizioni sociali, ma non può significare che non ha un sesso (né
necessariamente che lo voglia trasformare)7.
L’identificazione tra sesso e genere attraverso la cancellazione
del sesso dà i suoi effetti culturali anche in Italia già negli anni ’90.
Maria Nadotti (1996, 10) si chiede: “Il sesso, già maschile o femminile in partenza, esiste forse mai fuori dal genere e dalle sue determinazioni?”. Lo stesso anno esce Genere: la costruzione sociale
del femminile e del maschile, un’antologia accademica curata da Simonetta Piccone Stella e Chiara Saraceno. I testi raccolti danno il
7
Vedi anche Dall’Orto 2018.
22
daniela danna
colpo di grazia al femminismo, chiamato “fondamentalismo biologico” nel primo dei brani selezionati (Nicholson 1996). Il brano
incorpora il sesso all’interno del campo semantico di “genere”, giustificandosi con il fatto che il modo di vedere il corpo è influenzato
dalla società: “Ma se il corpo di per sé viene sempre filtrato attraverso un’interpretazione sociale, allora il sesso non è separato dal
genere ma è, semmai, qualcosa che fa parte del genere” (p. 41). Per
Linda Nicholson quindi non esiste la materia sottostante al genere
(o non va chiamata “sesso”), non esiste la conoscenza di essa, esistono solo le convenzioni sociali.
Robert Connell, poi diventato trans con il nome Raewyn, nel testo
molto studiato nelle università italiane Questioni di genere, gioca con
i vari significati di “genere” per dare infine alla parola un senso positivo. Il modello di genere “in apparenza rigido e stabile, può rivelarsi, a un esame più accurato, fluido, complesso e incerto”. Perciò:
Non possiamo pensare all’essere umano uomo o donna come a una condizione
stabilita dalla natura. Allo stesso tempo, però, non dovremmo nemmeno considerarla una condizione che viene imposta dall’esterno, dalle norme sociali o dalla
pressione delle autorità. Sono le persone stesse a costruirsi come maschili o femminili: ogni giorno nel modo in cui ci comportiamo (Connell 2006, 32).
Il genere è diventato qualcosa di interno, non è più imposto dalla
società come nell’analisi delle femministe. Siamo nel pieno dei processi di individualizzazione neoliberali. La definizione femminista di
genere era sociale e politica, riguardando i rapporti di potere tra i due
sessi, ma ora viene sostituita con una definizione individualizzata, che
banalizza le forze sociali all’opera riducendo il genere all’espressione
di genere, cioè alla scelta individuale se apparire più o meno maschili
o più o meno femminili. Questa ridefinizione del concetto però può
soltanto spostare di un gradino la natura sociale e costrittiva del genere, perché la questione diventa: come mostrano i singoli la loro femminilità e/o maschilità? Lo fanno naturalmente attingendo agli
stereotipi sociali, che quindi si rafforzano come punti di riferimento
indiscutibili, quasi dei dati di natura. Così infatti prosegue Connell:
sesso e genere
23
Sono le persone stesse a costruirsi come maschili o femminili, ogni giorno, nel
modo in cui ci comportiamo, noi reclamiamo il nostro posto nell’ordine di genere,
oppure reagiamo al posto che in quell’ordine ci viene riservato.
La maggior parte delle persone lo fa di buon grado, e spesso trae piacere da questa
polarità della differenza. Indossando una giacca di pelle e stivali da motociclista, il mio
corpo si dichiara felice di esser maschile, e io coltivo la durezza dei modi, i lati aspri
del mio carattere, la determinazione. Indossando, a contrario, un colletto di pizzo e
una gonna increspata, il mio corpo si dichiara felice di essere femminile, i miei modi
sono aggraziati e coltivo maniere dolci e piacevoli, la ricettività (2006, 32).
Ecco di nuovo l’assegnazione al maschile di durezza e asprezza e
al femminile di frivolezza e recettività, come nei trattati ottocenteschi di Lombroso e Mantegazza. Di veramente nuovo c’è solo il soggetto neoliberale, cioè adattato alla vita nel neoliberismo, felice di
scegliere quello che la società già gli impone, ignaro delle forze sociali (ed economiche!) che strutturano le vite individuali, disposto
ad assumersi la responsabilità delle sue sconfitte in quanto “scelte”.
Non stupisce che tante ragazze vogliano la transizione al maschile
come rimedio al sessismo (Danna 2018).
Questo senso individualizzato di “genere” è diventato oggetto di
rivendicazione politica nei Principi sull’applicazione della legislazione
internazionale sui diritti umani in relazione all’orientamento sessuale
e all’identità di genere (2007), detti semplicemente Principi di Yogyakarta, elaborati dall’International Service for Human Rights, presentati all’ONU, fatti propri dall’ILGA (International Lesbian, Gay,
Bisexual, Trans and Intersex Association). Vi si afferma:
L’identità di genere è intesa come l’esperienza del genere interna, individuale e
profondamente sentita di ogni persona. Può corrispondere o meno al sesso assegnato alla nascita8 e include la percezione personale del proprio corpo (che può
comprendere, se scelte liberamente, modifiche dell’aspetto o delle funzioni fisiche
con mezzi medici, chirurgici, o altri) e altre espressioni del genere, compresi il
modo di vestire, di parlare e le maniere.
È ovvio che il sesso è assegnato alla nascita solo agli intersessuati, mentre per tutti gli altri
l’affermazione non ha senso.
8
24
daniela danna
Si tratta di una formulazione che vuole proteggere i transessuali
e i devianti rispetto al genere imposto? Ma queste parole danno per
scontato che il genere sia abbinato al sesso, proprio ciò contro cui
le femministe si sono ribellate! E non è previsto che ci sia un rifiuto
del genere, perché per tutti (“ogni persona”) si tratterebbe di
un’”esperienza profonda”. Rebecca Reilly-Cooper si oppone:
“Sono donna non perché ho in me stessa un senso profondo dell’essere donna, ma solo perché sono femmina”9, e inoltre: “Ho un
sesso ma non ho un genere, perché non aderisco agli stereotipi”.
E c’è di peggio. L’omosessualità è definita nei Principi di Yogyakarta
come “attrazione per lo stesso genere”. Il che purtroppo ha conseguenze reali e fortemente negative proprio sul benessere psicologico
delle lesbiche, che gli autoginefili vogliono forzare ad avere relazioni
e rapporti sessuali con loro, motivati dal fatto che se una donna che
ama solo le donne li accetta come partner, allora sono confermati nell’identità femminile. Questo riescono a ottenerlo con ricatti emotivi e
accuse di transfobia: negli ambienti queer il gioco è riuscito e il desiderio lesbico è ormai dichiarato transfobico, chi non vuole ammettere
l’identità assoluta, l’indistinguibilità tra donne e donne trans è transfobica e TERF, acronimo che significa trans-excludent radical feminist, cioè femminista radicale che esclude le trans. In tali ambienti è
accettabile minacciare pubblicamente di morte le TERF. Ma sto anticipando. Prima che tutti questi attuali (e tristi) sviluppi risultino chiari,
bisogna comprendere che cos’è l’identità di genere.
5. Medici, sessuologi e identità di genere
Le femministe hanno spostato l’attenzione dal sesso al genere, i postmodernisti vogliono cancellare la nozione di un sesso indipendente dal genere, negli accordi internazionali vale l’uno o l’altro
significato? La partita è ancora aperta. Un altro attore protagonista
di questo dibattito, soprattutto negli Stati Uniti e in Canada, è la
Conferenza Critically examining the doctrine of gender identity, 20 marzo 2016,
https://www.youtube.com/watch?v=QPVNxYkawao.
9
sesso e genere
25
classe medica, inclusi gli specialisti della salute mentale e sessuale,
che vanta la primogenitura nell’aver definito il genere come caratteristica non sociale bensì individuale, in risposta alle richieste di
chi vuole cambiare sesso. Per chirurghi ed endocrinologi il sesso è
malleabile, e va adattato al ruolo di genere che il soggetto/paziente
ha scelto. Quando si tratta di trans adulti, tutto bene: non si tratta
di imporre un mutamento di sesso a devianti recalcitranti, e anche
se chi è transessuale ritorna a identificare il sesso con gli stereotipi
sociali, pazienza. Essi comunque affrontano i disagi della chirurgia
e della medicalizzazione evidentemente in risposta a un bisogno
profondo, e la transizione li porta spesso a migliore la qualità della
vita. Oggi però i soggetti sono posti di fronte alla scelta di identità
di genere/sesso a un’età sempre più precoce, creando nuovi mercati per le case farmaceutiche che producono ormoni – un’esigenza
del capitalismo e della sua spirale espansiva D-M-D’. La posta in
gioco è far rientrare le modificazioni corporee nel campo della “libera scelta”, celando le forze sociali che nell’infanzia e adolescenza
spingono verso la normalizzazione, cioè il riallineamento di genere
e sesso – non più biologico ma trasformato dai medici.
Ben prima delle femministe fu infatti la classe medica statunitense
a usare la parola “genere” traslandola dal senso grammaticale: lo
psicologo Madison Bentley nel 1945 (il genere è “il rovescio socializzato del sesso”); lo psicologo e sessuologo John Money dagli
anni ’50 (vi è un sé sessuato interno – internal sexed self – maschile
o femminile indipendentemente dai genitali10, e un’“identità/ruolo
di genere”: identità nel privato e ruolo nel pubblico); il sessuologo
Robert Stoller nel 1964 (identità di genere di base – core gender
identity – è “il senso di sapere a quale sesso si appartiene, ovvero la
consapevolezza: ‘Io sono un maschio’ o ‘Io sono una femmina’”).
Tutto ciò avrebbe dovuto chiamarsi “identità sessuale”, perché la
richiesta degli aspiranti transessuali emuli di Christine Jorgensen
che nel 1952 fu fatta diventare donna negli Stati Uniti, riguardava
sì il ruolo di genere, ma soprattutto il rifiuto dei propri genitali e la
10
La sessuologia ottocentesca ha solitamente concettualizzato in questo modo l’omosessualità.
26
daniela danna
richiesta ai medici di trasformarli in quelli dell’altro sesso. È recentissima invece la richiesta dei transgender di essere definiti maschi
o femmine (o genderqueer/gender nonbinary) per pura volontà o
convinzione, senza alcun cambiamento fisico: è il transattivismo,
che rivendica il cambio sui documenti e il pieno accesso alle prerogative legali dell’altro sesso cambiando le leggi che – in Italia dal
1984 – stabiliscono un percorso medico e chirurgico prima del
cambio ufficiale di sesso. Transgender peraltro non coincide con
transattivista. Susan Styrker definisce così questa identità, che si
era diffusa nel decennio precedente: “Il termine implica allontanamento dalla posizione di genere inizialmente assegnata. Generalmente si riferisce a qualunque tipo di variazione dalle norme e
aspettative di genere. […] Ciò che costituisce un transgender varia
quanto varia lo stesso genere, e dipende sempre dal contesto storico
e culturale” (2008, 19). È quindi un termine estremamente vago,
Styrker specifica che transgender indica le minoranze, e nel suo
libro lo userà per “coloro che cercano di resistere al genere cui sono
stati assegnati alla nascita senza abbandonarlo, o che cercano di
creare qualche tipo di nuova posizione di genere” – raggiungendo
così l’assoluta incomprensibilità. In fondo non è nemmeno chiaro
se transgender sia un’identità o un termine con cui si può oggettivamente descrivere qualcuno.
Su iniziativa di John Money, la Clinica sull’identità di genere fondata nel 1966 a Baltimora, iniziò ad applicare le tecniche chirurgiche per la transessualità agli intersessuati, di solito trasformati in
femmine con molteplici operazioni tra il primo e il quarto anno di
vita per costruire una vagina (“vaginoplastica”), e a bambini vittime
di incidenti come David Reimer, il cui pene venne distrutto durante
la circoncisione. Money riteneva che fino ai 18 mesi di età l’identità
di genere potesse mutare senza conseguenze, se i genitori e l’ambiente sociale erano assolutamente convinti della realtà del sesso
assegnato. Allevato come una femmina, Reimer da adolescente pretese la verità sulla sua vicenda, e ritornò a vivere da maschio, ponendo poi termine alla propria vita a 38 anni. Anche con gli
sesso e genere
27
intersessuati l’esperimento spesso falliva, ma Money propagandava
il proprio lavoro come un successo.
“Genere” è quindi la parola usata in ambito medico quando l’identità
sessuale non corrisponde al sesso biologico. Questo uso di “genere”
oggi lo riduce alla percezione individuale che riguarda sia il sesso che
il ruolo sociale, senza possibilità di distinguerli. L’American Psychological Association ha adottato nel 2009 questa fusione, o confusione,
del biologico con il sociale: “L’identità di genere si riferisce al senso
fondamentale di una persona di essere maschio, femmina, o di sesso
indeterminato”. Questo senso fondamentale è generalmente basato
sulla realtà, tuttavia attraversa fasi di sviluppo cognitivo: a 2-3 anni i
bambini sanno di essere maschi o femmine, ma non che questa qualità
è fissa, e ancora a sette anni alcuni possono credere che il sesso muti
a seconda degli abiti o del comportamento (Martin 2002).
Per tutte le fasce d’età il “disturbo dell’identità di genere” è oggetto
di attenzione psichiatrica dal 1980 con la terza edizione del Manuale
statistico e diagnostico dei disturbi mentali (Diagnostic and statistical
manual of mental disorders – DSM-III), che elenca i criteri diagnostici
per il transessualismo degli adulti e per il disturbo dell’identità di genere dell’infanzia11. Il DSM-IV vi aggiunge nel 1994 i “disturbi dell’identità di genere” negli adulti e negli adolescenti. È il Centro sulla
disforia di genere di Amsterdam che negli anni ’90 elabora per i minori il modello affermativo del genere (gender-affirming, “terapie affermative del loro genere percepito”), detto anche 12-16-18.
Consiste infatti nel diagnosticare la transessualità dai comportamenti
e dall’identificazione dei minori con l’altro sesso, per procedere a 12
anni (stadio Tanner 2) al blocco della pubertà, a 16 alla somministrazione di ormoni dell’altro sesso, e a 18 alla riassegnazione chirurgica
del sesso. Non entro nei dettagli della critica al modello12. Basti dire
“Ma la diagnosi non mette in discussione le norme di genere, la loro fissità e inflessibilità,
non si chiede se esse generino angoscia, disagio, se ostacolino la capacità di agire o siano
per alcuni, per molti, una fonte di sofferenza” nota la stessa Butler (2014, 157-8).
12
L’ho fatto in altri scritti. Il modello è dichiarato “convalidato” da un unico articolo (de
Vries et al. 2014) nonostante la morte postoperatoria di un giovane MtF, i tassi inaccettabilmente alti di non risposta, l’esclusione arbitraria dei soggetti che avevano avuto l’opera11
28
daniela danna
che gli ormoni sessuali rilasciati alla pubertà sono necessari allo sviluppo del cervello (Sisk 2005).
Il dottor Norman Spack importa negli USA l’“affermazione del genere” olandese, aprendo nel 2006 il primo Transgender center sulla
East Coast. Oggi le cliniche che lavorano con i minori “trans” su territorio statunitense sono una quarantina, e anche in Italia l’affermazione del genere per i minori sta facendo progressi con la possibilità,
dal marzo 2018, di usare la triptorelina “fuori prescrizione”, cioè a
titolo sperimentale, per bloccare la pubertà in numerosi centri ospedalieri del SSN. A dispetto della giustificazione ufficiale di dare più
tempo ai minori per capire cosa vogliono, praticamente la totalità di
chi blocca la pubertà poi cambia sesso (e qualcuno poi torna indietro:
sono i desisters13). La medicalizzazione dei comportamenti infantili
indesiderati è già molto avanzata negli Usa, ma questi interventi ormonali fanno ammalare persone sane: la struttura ossea maschile e
femminile è molto diversa, e il testosterone provoca problemi articolari, dato che ingrossa i muscoli in modo insostenibile per l’ossatura
femminile, e dolore all’orgasmo14. Senza parlare dei fallimenti della
falloplastica. La carenza di estrogeni aumenta il rischio di osteoporosi. L’uso di estrogeni nei maschi è collegato a un rischio più alto di
trombosi e malattie cardiovascolari.
Il modello affermativo del genere si rivolge a giovani immaturi e
con problemi cui promette la panacea nella transizione, in primis
alle ragazze – la grande maggioranza dei trans minorenni – che crescendo, sviluppandosi, si scontrano con la svalutazione patriarcale
dei loro corpi e del loro sesso. Nella definizione di disforia di genere
del DSM-V inoltre si trascurano le comorbidità. Le altre terapie
possibili sono poi state equiparate dai fautori dell’affermazione del
zione finale da meno di un anno, il cattivo stato di salute di altri soggetti a 18 anni che ha
reso impossibile che venissero operati “concludendo” il modello.
13
Vedi ad esempio questo documentario sui minori trans (le intervistate sono quasi tutte
femmine) The trans train (2019):
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=Epkp8pTO6l0, e le desisters sul
sito https://www.piqueresproject.com.
14
Sugli effetti deleteri per la salute del testosterone vedi https://transbrainfx.com/.
sesso e genere
29
genere alle terapie di conversione sui minori gay e lesbiche, e messe
fuori legge in Canada, Gran Bretagna e quindici stati degli Usa.
Se utilizziamo la terminologia femminista tutto risulta più chiaro:
con l’approccio affermativo del genere, a seguito di una diagnosi di
disforia, i medici dicono apertamente che il loro proposito è adeguare al genere, ovvero ai ruoli, i minori non conformi. Questo è
“affermare il genere”: modificare il sesso come “terapia” per chi
non riesce ad adempiere al proprio ruolo di genere. Ed è la terminologia femminista a essere corretta, perché “genere” non può essere univocamente considerato sinonimo di “sesso”.
Il modello affermativo per i minori con disforia di genere è adottato
nelle Guidelines for treatment of transgender persons, della Endocrine society, cioè le Linee guida della società degli endocrinologi
(2009). Nel 2017 le Linee guida sono state riviste preoccupandosi
per la sterilizzazione di questi minori. Il rimedio è un counseling
sull’opportunità di lasciar cominciare la pubertà allo scopo di ottenere gameti da congelare. Si ricorrerà poi, nel caso degli ovuli, alla
surrogazione di maternità. Gli endocrinologi aprono anche alla possibilità di somministrare ormoni, così come di fare mastectomie, a
un’età ancora più precoce se il minore è abbastanza maturo. L’importante è che le assicurazioni e i servizi sanitari nazionali paghino
tutti gli interventi medici (è esplicitato).
Nel DSM-V del 2013, scompare l’etichetta stigmatizzante di “disturbo” e la diagnosi viene chiamata “disforia di genere”,
un’espressione introdotta da Norman Fisk nel 1973. La mossa ha
successo: molti più minori e adulti accettano per sé questa etichetta.
La disforia di genere può riguardare semplicemente i comportamenti chiamati nei secoli passati “di inversione”, da sempre associati all’omosessualità, senza alcuna repulsione verso i propri
genitali e senza un’identificazione seria con il sesso opposto (al limite con il genere). È vero che altre definizioni della disforia di genere sono più stringenti, come questa del servizio sanitario
britannico: “La disforia di genere è un disturbo in cui una persona
prova disagio o angoscia perché c’è una discrepanza tra il loro sesso
30
daniela danna
di nascita (assegnato) e il genere con cui si identificano” (Clinical
Commissioning Policy 2016, 6, che ha evidentemente rinunciato
alla grammatica). Tuttavia seguendo il DSM-V si può fare una diagnosi in cui tra disforia di genere e disagio psicologico vi è una mera
associazione e nessuna causalità.
Nel maggio 2019 l’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases dell’Organizzazione mondiale per la sanità ha
cambiato la disforia di genere con “incongruenza di genere”, classificata tra le malattie relative alla salute sessuale e non più tra i disturbi mentali e comportamentali15. I servizi sanitari o le
assicurazioni devono perciò farsi carico delle “cure” di adulti e minori. L’incongruenza di genere negli adulti e adolescenti è:
una marcata e persistente incongruenza tra il genere vissuto (experienced gender)
dall’individuo e il sesso assegnato16, che spesso porta a un desiderio di “transizionare”. […] Il comportamento e le preferenze varianti rispetto al genere non possono dare adito a una diagnosi in questa categoria.
Il periodo necessario per la diagnosi è aumentato dai sei mesi del
DSM a due anni. Anche i bambini possono soffrirne prima della pubertà:
L’incongruenza di genere nell’infanzia è caratterizzata da una marcata e persistente
incongruenza tra il genere vissuto/espresso (experienced/expressed gender) dall’individuo e il sesso assegnato17 nei bambini prepuberi. Include un forte desiderio
di essere di un genere diverso dal sesso assegnato; una forte repulsione per la propria anatomia sessuale o per la prospettiva di avere le caratteristiche sessuali secondarie proprie e/o un forte desiderio di caratteristiche sessuali primarie e/o
secondarie future che siano quelle del genere che si vissuto (experienced gender),
e giochi di fantasia e finzione, giocattoli o attività e compagni di gioco che sono tipici del genere che si percepisce come proprio piuttosto che del sesso assegnato.
https://www.mentalhealthjournal.org/articles/gender-incongruence-is-no-longer-amental-disorder.html,
16
Il sesso è assegnato solo agli intersessuati – in tutti gli altri è riconosciuto.
17
Vedi note 10 e 17.
15
sesso e genere
31
Rimane insomma l’incongruenza e sparisce la sofferenza – perfino solo “associata” al modo di vivere il genere (questo anche negli
adulti e adolescenti). Si indaga quindi come il possibile paziente si
senta rispetto agli stereotipi, che vengono consolidati come punti
di riferimento. Di nuovo il rifiuto della propria anatomia non è un
requisito indispensabile: la diagnosi è possibile non solo per il rifiuto dei propri genitali ma anche per il “rifiuto” di trasformazioni
puberali future. I transattivisti hanno salutato la notizia come un
passo verso la normalizzazione della “scelta del proprio sesso”. Per
Martine Rothblatt, transattivista e transumanista, è questa la “liberta
di forma” da perseguire, anche con interventi à la carte18.
6. I transattivisti
Il braccio istituzionale del transattivismo è un’organizzazione strutturata a livello mondiale: la World Professional Association for
Transgender Health (WPATH). A dispetto del nome non si tratta
di un’associazione professionale: vi si può iscrivere chiunque abbia
“un interesse nei confronti del transgenderismo”. È la WPATH a
dare il la alle definizioni dell’identità di genere, fin dalle prime linee
guida (Standars of care) del 1979 dell’Harry Benjamin International Gender Dysphoria Association, poi diventata WPATH. Così
oggi essa definisce l’identità di genere:
Il senso intrinseco che una persona ha di essere maschio (un ragazzo o un uomo),
femmina (una ragazza o una donna), o un genere alternativo (ad esempio boygirl,
girlboy, transgender, genderqueer o eunuco)19.
Se ne parla ai congressi USPATH, branca statunitense di WPATH: “No menses, no mustache: Gender doctor touts nonbinary hormones & surgery for self-sacrificing youth”, 4
agosto 2017 in https://4thwavenow.com/2017/08/04/no-menses-no-mustache-genderdoctor-touts-nonbinary-hormones-surgery-for-self-sacrificing-youth/.
19
https://www.wpath.org/media/cms/Documents/SOC%20v7/SOC%20V7_Italian.pdf,
p. 92. Susan Styrker (2008, 13) definisce così: “Identità di genere. Ognuno ha un senso
soggettivo di star bene in una particolare categoria del genere; è questa l’identità di genere
di quella persona”. Anche qui la sofferenza è sparita, si tratta di una mera scelta.
18
32
daniela danna
Cosa significa “intrinseco”? Che può essere in contrasto con il
sesso che questa persona in effetti ha, cioè con il “sesso estrinseco”.
Su che cosa si basa questo senso in contrasto con la realtà? Chi lo
prova ritiene che sia innato (tranne quando si stabilisce a una certa
età, o quando crescendo scompare), e certamente non si può escludere che vi sia un locus fisico, tuttavia finora le ricerche non lo
hanno scoperto, rendendo appunto impossibile una diagnosi precisa di transessualità, in particolare sui minori. Ciononostante il
modello affermativo del genere è un caposaldo del transattivismo:
“Il principio terapeutico di base del modello che afferma il genere
è molto semplice: quando si tratta di conoscere il genere di un bambino, non dobbiamo dirlo noi, ma i bambini stessi”, sono parole
della psicologa Diane Ehrensaft (2017), che contro ogni evidenza
ritiene che l’identità di genere sia stabile dalla nascita, che i minori
non cambieranno mai idea. Per lei alcuni “portatori di pene”, come
li chiama, sono femmine così come alcune “portatrici di vagina”
sono maschi. Immagina vi sia una rete di diverse identità di genere,
cosa che ha senso solo se possiamo classificare come maschili o femminili tratti psicologici e presentazioni di sé, dando ad essi un valore
assoluto, come se fossero esistenti solo nei maschi o solo nelle femmine. Un altro principio del suo discorso che “afferma il genere” è
che sia la stessa cosa vivere nel proprio corpo o sottoporsi ad assunzioni di ormoni e chirurgia per ottenere un corpo che assomiglia a
quello dell’altro sesso. I corpi trans sono “ugualmente validi”, sostengono i transattivisti, che invece negano che esista una rapidonset gender dysphoria soprattutto nelle ragazze, che i casi di
desistenza siano numerosi, e che comunque una faccenda così delicata come l’interferenza con il proprio sistema endocrino non sia
saggio lasciarla alla decisione di un minore (si noti anche che il cervello matura pienamente a 25 anni, non a 18). Spargono il panico
su presunti rischi elevati di suicidio nei minori contrastati nella loro
aspirazione trans (ma vedi Bailey e Blanchard 2017b, Horvath
2018). Scrive la madre di un presunto minore trans: “I medici e terapeuti ci fanno pressioni perché accettiamo… accettiamo… accetsesso e genere
33
tiamo. Lo accetterei se sinceramente mi accorgessi che migliora il
suo destino nella vita, ma non è così. Un tentativo di suicidio è avvenuto DOPO che ha preso ormoni”20. Per definizione transattivista i genitori hanno dubbi sulle transizioni dei figli solo perché sono
bigotti e transofobi.
Il problema politico di chi proclama di avere un’identità di genere
non è chi sono, ma che cosa vogliono. Si tratta infatti, ritengo, di
una minoranza di transessuali, insieme ad altri attivisti che si identificano come transgender, giovani e arrabbiati per le ingiustizie sociali, che finiscono però a mirare ai bersagli sbagliati. È
problematico per prima cosa il fatto che i transattivisti vogliano attribuire a tutti un’identità di genere. Chi non è trans è “cisgender”
(cioè “al di qua del genere”). Però non si tratta di un’identità ma
una categoria imposta a tutti coloro che si suppone aderiscano agli
stereotipi del proprio genere solo perché non cambiano sesso né
identificazione sessuale (“cissexual” sarebbe un’espressione migliore, e a volte è usato). Per i pediatri statunitensi “cisgender” è
infatti qualcuno che “si identifica ed esprime un genere che è coerente con le norme culturalmente definite per il sesso cui si è stati
assegnati alla nascita”21. Poi i transattivisti pretendono di non essere
distinguibili da chi è nato nel sesso con cui si identifica. Il linguaggio va modificato in senso che chiamano “inclusivo”, con l’effetto
di uniformare al neutro, e quindi di tornare alla cancellazione delle
specificità femminili: “persone in gravidanza”, “menstruators”,
“persone con la cervice”, “alimentazione al petto” sono espressioni
oggi diffuse in lingua inglese. Infine proiettano le loro personali vicende passate su tutti i minori non conformi al genere, spingendo
perché possano accedere a un’età sempre più precoce a farmaci e
operazioni di modifica del corpo allo scopo di assomigliare all’altro
sesso. Le ricerche mostrano invece che i “minori trans” da adulti
sono non trans almeno per quattro quinti, e in maggioranza diven20
Forced2BFTMmom https://4thwavenow.com/about/comment-page-9/#comment30781, 9.1.2019.
21
https://pediatrics.aappublications.org/content/142/4/e20182162. Vedi note 8 e 16.
34
daniela danna
tano gay e lesbiche. Una ricerca longitudinale su 5.000 giovani ha
mostrato la grande corrispondenza tra comportamenti non conformi rispetto al genere a 3,5 e 4,75 anni di età e omosessualità a
15 anni (Li, Kung e Hines 2017); lo studio di Singh (2012) sui ragazzi con identità transgender a sette anni e mezzo ha trovato che
solo il 12% la mantiene a 17 anni di età – per fare alcuni esempi
delle numerose ricerche esistenti.
Un’altra questione trattata in modo dogmatico, e con falsità, non
solo nel transattivismo ma nel movimento LGBT-queer è la presunta mancanza di correlazione tra identità di genere (o meglio sessuale) e orientamento sessuale. Si disarticolano in tre assi presunti
indipendenti l’orientamento sessuale, l’identità di genere e il
sesso/genere: “La relazione tra identità di genere e orientamento
sessuale, infatti, è decisamente oscura: non possibile predire, in
base al genere di una persona, quale sarà la sua identità di genere e
quali saranno le direzioni del suo desiderio” (Butler 2014, 137).
Il sesso, si noti, nulla conta nella versione butleriana. Tuttavia nella
nostra società la maggior parte delle persone ha comportamenti eterosessuali, e chi manifesta tratti che si ritengono caratteristici del
sesso opposto, cioè ha un’espressione di genere non conforme al
proprio sesso, è spessissimo omosessuale. Quanto ai transessuali,
nel 1989 Ray Blanchard ha stabilito una classificazione delle diverse
forme di transessualismo. Le trans da maschio a femmina (MtF)
comprendono due gruppi: maschi omosessuali effeminati e maschi
eterosessuali autoginefili (Bailey e Blanchard 2017a). I maschi
omosessuali mostrano già da bambini un comportamento estremamente effeminato; gli autoginefili tendono invece a cominciare a
travestirsi nell’adolescenza a scopo erotico, e non tutti vogliono una
transizione chirurgica: “Quelli che amano gli uomini diventano
donne per attirarli. Quelli che amano le donne diventano le donne
che amano” (Bailey 2003, 12). L’autoginefilia è una parafilia: il
fatto di vedersi come una donna è un’esperienza erotica e di realizzazione emotiva, interpretata come una forma di masochismo da
Sheila Jeffreys (2003 e 2014). Le donne invece raramente presensesso e genere
35
tano parafilie, e i trans da femmina a maschio (FtM) sono in massima
parte attratti dalle donne, con confini molto incerti con il mondo
delle butch (lesbiche mascoline) che si presentano al maschile.
Negli ultimi dieci anni è sorta una sindrome nella quale adolescenti che non hanno mai manifestato comportamenti di “inversione” di genere si presentano all’improvviso come trans
(rapid-onset gender dysphoria, o ROGD). Lo fanno per imitazione
di altre (“contagio sociale”) o come soluzione a una serie di altri
problemi psicologici – spesso sono nello spettro dell’autismo – che
in questo modo non vengono affrontati. Il focus su cosa non si è diventa ossessivo in minori già predisposti, e questi adolescenti si ritirano dal mondo vivendo solo su internet: il distacco dal corpo e
dalle sue esperienze è associato alla decisione di transizione, che
ottiene il plauso nei gruppi di transattivisti che frequentano on line.
7. Corpi che non contano
L’espressione di genere può e deve essere protetta in quanto parte
della libera espressione della personalità, ma l’identità di genere?
Che cosa significa veramente introdurre un nuovo “diritto all’identità di genere”? Dare rilevanza nelle leggi antidiscriminatorie a
un’identità che alla maggior parte delle persone è imposta (“cis”) è
davvero impellente, oltre che saggio? Essa non è peraltro una caratteristica stabile secondo la stessa teorizzazione postmoderna che
la promuove. Non possiamo semplicemente rivendicare l’antidiscriminazione per chi è transessuale e transgender?
Le conseguenze negative di questa trasformazione semantica da
sesso a genere nelle leggi sono principalmente due: il cambiamento
di sesso dei minori devianti rispetto al genere e l’ingresso di maschi
biologici negli spazi femminili. Questo è ciò che accade quando il
corpo non conta: nel 2007 un centro per vittime di stupro a Vancover
è stato citato in giudizio da una trans che voleva esservi assunta (Nixon
v. Rape Relief). Il centro ha difeso il diritto delle vittime di stupro di
essere assistite da donne biologiche, diritto riconosciuto dal tribunale
36
daniela danna
al termine di un processo costoso. Il Canada nel 2016 ha però incluso
l’identità di genere tra le categorie protette dall’antidiscriminazione.
Ciò ha permesso alla transattivista Jessica Yaniv di citare in giudizio
per discriminazione ben sedici centri estetici le cui lavoranti si sono
rifiutate di adempiere alla sua richiesta di manipolargli i genitali per
una ceretta brasiliana allo scroto. Alcuni di questi centri hanno dovuto
chiudere, benché il verdetto sia stato sfavorevole a Yaniv. Che lo si
voglia definire maschile o femminile, si tratta pur sempre di un pene
e dei suoi annessi. Meghan Murphy (2019), giornalista ed editor del
blog Feminist Current, commenta:
Ci sono ragioni molto valide per le quali le donne non vogliono star sole con strani
uomini nudi. E la maggior parte della gente sana di mente comprende che una
donna non dovrebbe essere costretta a toccare i genitali di un uomo contro la propria volontà. Ma se esiste, come pretende il movimento transattivista, una cosa
come il “pene femminile”, ciò che è molto chiaro e ovvio improvvisamente diventa
indifendibile.
Murphy nota anche che:
Stranamente,i giornalisti che si occupano delle questioni queer hanno evitato di
fare il loro lavoro, a dispetto del fatto che questi processi avvengono solo per gli
avanzamenti ottenuti dal movimento queer nella sua lotta per rendere legge l’ideologia dell’identità di genere.
Rebecca Reilly-Cooper, filosofa oggi attiva in Gran Bretagna contro la modifica al Gender Recognition Act con l’autodefinizione del
genere, analizza quella che chiama la “dottrina dell’identità di genere”22: non ci sono criteri oggettivi che possano rivelare l’appartenenza a un genere piuttosto che a un altro; il genere non ha a che
fare con il corpo né con la socializzazione, deve essere quindi una
categoria innata con una base immateriale, cioè un’entità metafisica
o un’anima maschile, femminile o genderqueer. La dottrina delConferenza Critically examining the doctrine of gender identity, 20 marzo 2016,
https://www.youtube.com/watch?v=QPVNxYkawao.
22
sesso e genere
37
l’identità di genere è quindi una credenza religiosa o paranormale,
a cui si ha diritto ma che non deve avere protezione specifica per il
suo contenuto. Politicamente infatti la protezione dell’identità di
genere significa definire uomini e donne solo in termini di possesso
di uno stato mentale particolare. Da questo derivano un problema
simbolico e molti problemi materiali. Il problema simbolico è che
il mantra transattivista “le donne trans sono donne” continua la tradizione maschile di dire alle donne chi sono e cosa devono pensare
dei loro corpi. Non è poi accettabile costringere le persone a identificare gli individui sulla base dell’“identità di genere” invece che
del sesso. Ammettere come donna chiunque abbia questa identificazione cancella l’esperienza di vivere in un corpo femminile e il significato della socializzazione al genere. Uomini e donne
spariscono come classi politiche. Poco male, si dirà, siamo tutti individui, tutti diversi, che senso ha parlare ancora di donne? Si può
parlare di persone che partoriscono, di individui che allattano al
petto, che possono avere uno o due buchi, anteriore e posteriore.
Ed eccoci ritornati al concetto di donna-buco, non più direttamente
per maschilismo ma per aver modificato il significato della parola
“donna” per includere gli uomini (questa terminologia è davvero
usata in lingua inglese).
I transattivisti cercano di togliere la parola alle persone loro invise
nei campus universitari degli Usa (e non solo), cosa che gli studenti
solitamente fanno contro fascisti e nazisti. È quindi vincente la retorica che le femministe siano “feminazi” usata dalle associazioni
“per i diritti degli uomini” (Men’s rights associations – MRA), che
in realtà vogliono restaurare le prerogative patriarcali, come il controllo sui figli dopo il divorzio e la legittimazione della violenza in
famiglia. Queste persone invise solitamente sostengono l’antidiscriminazione delle persone trans, ma senza cedere sulla definizione di donna (biologica). (È questa anche la mia tesi.) In altri
ambiti la soggettività non ha ottenuto la vittoria sulla realtà: quando
si è scoperto che Rachel Dolezal, presidente di un ramo della National Association for the Advancement of Colored People
38
daniela danna
(NAACP), era bianca, gli attivisti neri l’hanno fatta dimettere, non
accettando che si fosse “sempre sentita nera”.
Megan Murphy nota una pericolosa novità in questa forma di attivismo per i diritti degli uomini:
Ciò che è unico nell’approccio del transattivismo è che non tenta di mascherare
gli incitamenti alla violenza contro le donne con la retorica sul “consenso” e
sull’”empowerment”. Non affermano che non sia vera violenza perché alle donne
piace, o perché hanno dato il loro consenso, o perché è “solo una fantasia”. Invece
la violenza che i transattivisti rivendicano, la ritengono giustificata a causa di opinioni, associazioni, linguaggio o condivisione di articoli o link giudicati sbagliati,
e disonestamente definiti “violenti”.
C’è un’altra sinistra particolarità dei transattivisti:
A differenza dei movimenti per i diritti delle donne, i diritti degli omosessuali e i
diritti civili dei neri, il movimento trans cerca di ridefinire il significato della biologia e delle parole – come “femmina” e “omosessuale” – che altri gruppi usano
per descrivere se stessi. Elimina le ragazze e le donne da posizioni che altrimenti
avrebbero ricoperto (ad esempio nello sport le donne perdono contro le donne
trans)23.
L’esempio più eclatante è quello della trans Rachel McKinnon
che negli ultimi due anni ha vinto il campionato mondiale di ciclismo femminile UCI Masters Track Cycling, stabilendo anche un record mondiale.
Dal 2014 il college femminile Mount Holyoke accetta l’iscrizione
di “donne transgender”, cioè uomini dal punto di vista fisiologico
e con apparato genitale intero, che però dichiarano di sentirsi
donne. L’anno successivo, un gruppo teatrale studentesco ha cancellato dalla sua programmazione I monologhi della Vagina, l’opera
di denuncia di Eve Ensler, perché la rappresentazione “non è inclusiva” nei confronti delle donne trans, offrendo “una prospettiva
molto angusta su quello che significa essere donna” dal momento
https://www.feministcurrent.com/2018/05/01/trans-activism-become-centered-justifying-violence-women-time-allies-speak/.
23
sesso e genere
39
che “il genere è un’esperienza vasta e variata, non può essere ridotto alle differenze biologiche o anatomiche”.
Il 2015 è stato anche l’ultimo anno del Michigan Womyn’s
Music Festival, lacerato dalle proteste dei transattivisti per la mancata inclusione ufficiale delle trans. Nell’organizzazione del Camp
Trans da cui partivano le azioni di protesta vi era Dana Rivers
(David Warfield), ora sotto processo e detenuto in una prigione
femminile a Oakland, praticamente colto in flagrante omicidio
multiplo di una coppia di donne con il loro figlio, che ha picchiato,
accoltellato, colpito con un’arma da fuoco, per poi bruciarne i
resti e uscire dalla loro casa coperto di sangue. I media tacciono
sul processo attualmente in corso per questo hate crime, non riconosciuto come tale24.
A Vancouver i transattivisti hanno preso il controllo organizzativo
della Marcia delle lesbiche del 2018 (Dyke March). Scrive Danielle
Cormier:
è diventata un evento in cui alle lesbiche che si rifiutano di accettare gli uomini
come partner sessuali viene detto che non sono le benvenute, etichettate come un
gruppo d’odio e molestate e minacciate se in modo pacifico partecipano comunque. Tutto questo sotto la bandiera dell’inclusività. Bisogna chiedersi quanto sia
“inclusivo” escludere le lesbiche dalla Dyke March. […] Non ci viene solo detto
che stiamo opprimendo gli uomini rifiutandoci di considerarli come partner sessuali, ma non ci è più consentito stabilire i nostri confini o definirci come donne.
Eppure gli uomini eterosessuali che affermano di essere donne sono autorizzati a
definirsi “lesbiche”. Siamo persino state posizionate come “privilegiate” rispetto
a questi uomini - uomini che, loro stessi, non possono cambiare il loro orientamento sessuale, ma si aspettano che cambiamo il nostro.
Queste sono lotte secolari. Il diritto delle donne di riunirsi, organizzarsi o vivere
le loro vite quotidiane separate dagli uomini non è mai stato tollerato. Il diritto di
dire “no” ai partner sessuali maschi ha sempre scatenato reazioni estreme da parte
degli uomini. Oggi, la stessa vecchia imposizione di eterosessualità, misoginia,
https://www.gendertrending.com/2019/08/13/media-blackout-on-dana-rivers-michfest-murder-trial/. Tra i commenti: “Se qualcuno avesse massacrato tre donne trans una
dopo l’altra, sparandole e pugnalandole ripetutamente in casa loro non smetterebbero mai
di parlarne. Ogni organizzazione LGBTQIA negli Stati Uniti sarebbe sul piede di guerra e i
democratici griderebbero fino al cielo: ‘Crimine d’odio!’”.
24
40
daniela danna
cultura dello stupro e disprezzo per i confini delle donne è stata rinominata come
giustizia sociale. Dov’è la giustizia in questo? (Cormier 2018)25.
In Italia nulla di comparabile, ma si muovono i primi passi. Un
esempio del modo dogmatico e violento di impedire il dibattito da
parte dei transattivisti è stata la reazione a un articolo di Panorama
di indagine sui presunti “minori trans”26. Nel 2016 la foto della
nuova segreteria alquanto butch di ArciLesbica, che cominciava un
percorso femminista di allontanamento dalle richieste LGBT-queer,
in particolare quella di legalizzare la compravendita della filiazione
di neonati, è stata così commentata sui social network: “Sono tutte
trans che non si accettano”. Una lesbica mascolina è già diventata
inaccettabile nello stesso movimento, la sua unica scelta deve essere
diventare un uomo. E questo già accade negli USA. Carol F. (2019)
“è una donna (una femmina adulta) di 39 anni di una zona conservatrice della California. È cresciuta in un ambiente religioso. Dai
35 ai 38 anni, si è identificata come un maschio transgender e ha
vissuto percepita come tale”, così la sua presentazione sul sito 4th
Wave Now. È proprio con la transizione che Carol, lavorando nel
campo della salute mentale, si rende conto di non poter essere altro
che una donna, decidendo infine di tornare indietro:
Ho visto entrare in ospedale tante ragazze giovani non conformi rispetto al genere,
ragazze che affermavano di essere uomini trans. Volevano essere chiamate con pronomi e nomi maschili. Avevano 13, 15, 17 anni. Mi sembravano tutte piccole lesbiche butch [mascoline], e provavo vergogna e tristezza, perché in loro vedevo me
stessa. Vedevo il dolore e la paura, e gli abusi che alcune avevano subito. Vedevo i
problemi di salute mentale contro cui lottavano e come questi problemi facessero
loro desiderare la fuga. Si facevano del male, cercavano di porre fine alla loro vita, e
soffrivano profondamente. Volevo essere loro vicina, per dire loro che è ok essere
una donna lesbica. Volevo mostrare loro una donna butch forte, senza troppi problemi. Ma come potevo, quando quello che vedevano guardandomi era un uomo barbuto? Come potevo dire a loro quello che non riuscivo a dire a me stessa?
25
https://hi-in.facebook.com/gendercriticalfem/posts/2122706251356140. Traduzione del gruppo Il mulino che vorrei.
26
Vedi la questione su http://www.danieladanna.it/wordpress/sui-minori-trans/.
sesso e genere
41
È stato in questa struttura che ho anche iniziato a lavorare a stretto contatto con
gli uomini, cosa che non avevo mai veramente fatto in vita mia. Avevo evitato in
ogni modo di stare vicino agli uomini anche se non me ne rendevo conto, era sempreinconsciamente. Essere considerata “uno dei ragazzi” e dover ricoprire quel
ruolo per quel che potevo mi lasciava un senso di profonda tristezza e un desiderio
di stare di nuovo con le donne. Sapevo che non era il mio posto. Non avevo avuto
un’infanzia da maschio né ero stata socializzata come maschio. Mi gettavano addosso abusi e discriminazioni solo perché ero nata femmina, una cosa che loro non
avrebbero mai potuto capire. […]
Oltre all’ansia e alla depressione di cui soffrivo, la transizione aveva finito per
peggiorare anche la mia disforia. Perché? Perché ora mi preoccupavo che gli uomini scoprissero che ero senza un pene quando usavo il loro bagno. Perché ero
più piccola della maggior parte dei maschi. Perché la mia voce non era così profonda. Perché le mie mani e i miei piedi erano più piccoli. Perché la mia forma corporea era più femminile che maschile. Perché il modo in cui parlavo e gesticolavo
risultava femminile. Perché il mio petto aveva delle cicatrici. Perché parlavo dolcemente e non ero aggressiva. Perché sono cresciuta come ragazza e non ho mai
fatto parte del giro dei maschi, quindi non sapevo come interagire nella cultura
maschile. Perché ogni giorno uscivo di casa atterrita dalla possibilità di venire scoperta per cos’ero e chi ero veramente: una donna. Una nuova serie di problemi
aveva preso il posto dei vecchi.
Carol parla di un periodo di ”luna di miele” nella transizione, un
periodo che dura da sei mesi a tre anni in cui ci si sente meglio. Attribuisce questo benessere al testosterone, di cui dice francamente
che è stato la sua droga, essendo una sostanza psicoattiva come
tante altre, che usava per lenire il dolore emotivo. Le dava più energia, era meno depressa e il suo umore era più stabile – effetti testimoniati anche dai maschi che lo prendono.
Conclusione
Ci sono dunque tre significati correnti di “genere”: il primo sono i
due ruoli gerarchici maschile e femminile tutt’ora contestati dalle
femministe radicali, mentre gli altri due significati sovrappongono
genere a sesso: il linguaggio ufficiale della “parità di genere”, che
pare essere una goffa sostituzione solo linguistica e non sostanziale,
e infine la sostituzione vera e propria di “sesso” con “genere”, che
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daniela danna
porta alla coincidenza tra “genere” ed “espressione di genere” e
alla molteplicità dei generi così come dei sessi. In che direzione
andrà il linguaggio ufficiale, nella tensione politica tra gli altri due
significati? Vincerà il transattivismo con la sua protezione
dell’“identità di genere” autodefinita stravolgendo i diritti delle
donne, o vincerà il buon senso?
In Italia dovremmo essere protetti dalla “riserva di scienza” menzionata dalla Corte Costituzionale in alcune sentenze per stabilire
che la legge non può andarvi contro.
Il collasso tra sesso e genere è una vecchia idea patriarcale, che
ora risorge con un linguaggio nuovo, che non vuole più parlare di
sesso, ma usa “genere” come suo sinonimo, ottenendo gli stessi effetti oppressivi dell’antica naturalizzazione come “sesso” dei ruoli
assegnati socialmente. Alla domanda di Simone de Beauvoir “Che
cos’è una donna?” si può dare un’altra risposta che non la lista delle
prescrizioni sociali cui una femmina adulta deve adempiere per essere considerata una donna. Si può agire senza rispettare le norme
ingiuste, e chiamarsi con orgoglio ugualmente donna.
Utilizzare il concetto di “genere” al posto di “sesso” è diventato
controproducente per tutti coloro che credono nell’uguaglianza tra
uomini e donne e nel pari valore sociale dei due sessi, pur rispettandone la differenza. E vi sono modi non sessisti di prendere atto
delle differenze tra i sessi scientificamente accertate, ad esempio i
lavori di Leonard Sax sulla pedagogia.
Le attuali battaglie LGBT-queer sono anch’esse controproducenti per raggiungere il rispetto delle relazioni sentimentali e sessuali tra persone dello stesso sesso. Sono le posizioni transattiviste
a far perdere consenso al movimento negli Usa (Suleman 2019)27,
27
Vedi anche, dalla Norvegia, Tonje Gjevjon: “Pride is no longer about fighting discrimination;
it’s no wonder people are choosing not to raise the flag. Pride has become one of the most intolerant political movements of our time, yet everyone is expected to get on board”.
https://www.feministcurrent.com/2019/08/03/pride-is-no-longer-about-fighting-discrimination-its-no-wonder-people-are-choosing-not-to-raise-the-flag/ 3.8.2019. Anche in Norvegia il movimento LGBT-queer richiede la compravendita della filiazione di neonati e la
legalizzazione come lavoro del subire atti sessuali per bisogno di denaro (chiamato sex work).
sesso e genere
43
e si tratta semplicemente di reazioni di buon senso davanti allo stravolgimento del linguaggio e della realtà.
E già la rivoluzione mangia i suoi figli: nel 2015 lo psicologo Kenneth Zucker, tra i proponenti più in vista delle transizioni precoci fin
dagli anni ‘80 è stato licenziato e il centro che dirigeva a Toronto
(Child Youth and Family Gender Identity Clinic) è stato chiuso28. Il
centro proponeva ai minori che dichiaravano un’identità di genere
non conforme al loro sesso innanzitutto terapie che cercassero di farli
stare bene nel proprio corpo invece di indirizzarli immediatamente
verso la transizione. Ora Zucker è stato reintegrato e la sua attività
terapeutica legittimata29. La marea sembra invertirsi: la clinica Tavistock di Londra (Tavistock and Portman NHS Trust) è accusata di
pratiche omofobiche, dal momento che i minori a cui pratica la transizione sono ritenuti, persino da uno degli amministratori della clinica, prevalentemente destinati a diventare omosessuali.
Testi citati
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Bailey, Michael e Ray Blanchard. 2017b. “Suicide or transition: The only options
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Sempre in Canada una campagna transattivista pretendeva il licenziamento dall’Università
di Toronto di Ray Blanchard, colpevole di aver descritto l’autoginefilia.
29
Anche se i transattivisti lo hanno cacciato da una conferenza della branca statunitense di
WPATH: https://thefederalist.com/2017/02/27/threatening-violence-trans-activistsexpel-un-pc-research-medical-conference/.
28
44
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46
Volantini clandestini,
eretici, anomali,
insicuri e militanti.
Perché?
Volantini clandestini, poiché mezzo di comunicazione inconsueto oggi, estraneo ad ogni schema editoriale dominante,
ma ancora rapido e sintetico come un tweet; Volantini eretici
poiché estranei a un “pensiero comune” ormai diffuso a livello
globale; Volantini anomali perché s’impongono di evitare
ogni idea di norma, normalità e normalizzazione; Volantini
insicuri poiché si oppongono al dispositivo di potere oggi imperante, basato sull’asse paura-sicurezza; Volantini militanti
poiché è forse giunto il momento di operare delle scelte che
non siano dei semplici palliativi nei confronti della crisi democlimatica che si sta profilando.
In un’epoca di mutazione radicale dei paradigmi della comunicazione, il volantino come mezzo d’espressione mantiene la velocità dei Social integrandola con la sintesi, la novità
e la profondità della riflessione propria dei testi classici.
www.volantiniasterios.it
leggere per apprendere, riflettere ed agire
“Donna non si nasce ma si diventa”
“Genere” è diventata una parola onnipresente, pur essendo relativamente nuovo il
suo impiego al di fuori della grammatica. Il suo primo uso e significato è infatti distinguere nomi, aggettivi anche verbi (in altre lingue) di genere maschile, femminile
e neutro (come in latino). È solo dagli anni ‘60 che la parola “genere” viene impiegata
per denominare anche i ruoli sociali dei due sessi, cioè il fatto che ciò che fanno uomini e donne, il modo in cui si comportano in famiglia, nella sfera economica governata dal denaro, nel tempo libero, e poi i loro gusti, preferenze, abiti, hobby siano
profondamente diversi, ma anche disuguali. Tali diversità e disuguaglianze sono normalmente concepite e propagate in tutte le società come un dato di natura: gli uomini
sono così, le donne sono diverse, e generalmente il tuo sesso determina il tuo modo
di stare al mondo, perché determina i compiti che ti sono assegnati, il tuo lavoro, il
tuo ruolo nella famiglia, il tutto ritenuto normale e naturale. Il “genere” in senso sociale è qualcosa che diventa evidente solo quando questi ruoli sono contestati, come
hanno fatto le femministe in ogni epoca, esprimendo disaccordo su regole e limitazioni penalizzanti per le donne (dopotutto viviamo nel patriarcato).
Contro la naturalizzazione dei ruoli sociali Simone de Beauvoir affermava:
“Donna non si nasce ma si diventa” ne Il secondo sesso (1949), un libro estremamente popolare. Fu attiva nelle lotte delle donne degli anni ’70, in particolare per
avere la possibilità di abortire in modo legale. Allora le femministe protestavano contro i doppi standard che rendevano e rendono il ruolo di genere maschile dominante
su quello femminile, volendo la scomparsa di questi ruoli: che il lavoro domestico e
di riproduzione familiare e sociale sia affidato gratuitamente alle donne, che certe
professioni siano riservate agli uomini, che la vita sessuale dei due sessi debba svolgersi con regole opposte: lode al Don Giovanni e biasimo alla puttana!
Oggi invece “genere” è impiegato sempre più frequentemente come sinonimo
di “sesso”. Se vivesse oggi Simone de Beauvoir sarebbe costretta a specificare
“Donne si diventa, ma la società ti fa diventare tale se nasci femmina”! Se il sociale
cancella il substrato biologico su cui è costruito, l’equiparazione di ciò che siamo
(maschi, femmine, e anche una piccola minoranza di intersessuati che hanno caratteristiche degli uni e delle altre) con i ruoli sociali che ci sono assegnati origina concetti strani come: “parità di genere”, “identità di genere”, leggi antidiscriminatorie
in base al “genere”, l’omosessualità definita nei Principi di Yogyakarta come “attrazione per lo stesso genere”. Sono gli esempi più eclatanti di come utilizzare il concetto di “genere” al posto di “sesso” sia diventato controproducente per le
femministe e tutti coloro che credono nell’uguaglianza tra uomini e donne, cioè nel
pari valore sociale dei due sessi. Questo Volantino militante mostra in dettaglio l’assurdità e le conseguenze negative di questa confusione, già visibili nel fenomeno
degli adolescenti che vogliono cambiare sesso solo perché ribelli al genere.
ISBN: 9788893135108
N°11
volantini militanti
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