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Tomus XXIII, Fasciculus  Budapestini, anno Domini MMXXII Redigit MÁRTON GERGELY HORVÁTH (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) Ad redigendum consilio adiuverunt ANIKÓ ÁDÁM (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) DÓRA BAKUCZ (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) GIUSEPPE FRASSO (Universitas Catholica Sacri Cordis Jesu Mediolani) ZOLTÁN G. KISS (Universitas Studiorum de Lorando Eötvös nominata) CLAUDINE LÉCRIVAIN (Universitas Studiorum Gaditana) ÉVA MARTONYI (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) ARMANDO NUZZO (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) ELVIRA PATAKI (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) NÓRA RÓZSAVÁRI (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) ÁGNES TÓTH (Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata) A Verbum XXIII/ () száma az OTKA K-. számú, Vestigia II. XIV–XVI. századi magyar történelmi és irodalmi források Olaszország levéltáraiban és könyvtáraiban című projektje keretében valósult meg. Invited Editor: GYÖRGY DOMOKOS (Pázmány Péter Catholic University) Reviewers: György Domokos Kinga Földváry Antonin Kalous Ilona Kristóf Dorottya Anna Kriston Hajnalka Kuffart Ágnes Ludmann Michele Sità Márton Szovák (Pázmány Péter Catholic University) (Pázmány Péter Catholic University) (Palacký University Olomouc) (Eszterházy Károly Catholic University) (Pázmány Péter Catholic University) (Research Centre for the Humanities, Institute of History) (Eötvös József Collegium) (Pázmány Péter Catholic University) (Pázmány Péter Catholic University) Technical editor ZOLTÁN G. KISS (Eötvös Loránd University, Budapest) Editorial correspondence should be addressed to VERBUM, PPKE BTK Institute of Classical and Romance Languages H– Budapest, Mikszáth Kálmán tér , Hungary E-mail: horvath.marton.gergely@btk.ppke.hu verbum.ppke.hu ISSN - INDEX Vestigia II Research – Documents Related to Hungary from Mantua, Modena and Milan György Domokos Dal Po al Danubio 259 Riccardo Pallotti Le nozze di Alisia di Châtillon con Azzo VI d’Este (1204). Alle origini dei rapporti fra Estensi e Ungheria al tempo di papa Innocenzo III 263 Hajnalka Kuffart Il diario di Giovanni Maria Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 289 Patrik Paštrnák Letentur et exultetur universa Panonia. An unknown gratulatory oration for King Matthias’s betrothal to Beatrice of Aragon 329 Tibor Martí La dote di Beatrice d’Aragona. Nuove fonti per la storia delle relazioni di Mattia Corvino con Napoli (1474–1476) 349 Ilona Kristóf Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 375 Ágnes Szabó “[…] cariche de perle tanto argente non ha Milano, Cremona ne Ferrara insieme” – Tessuti liturgici medievali ricamati con perle nel Tesoro della Cattedrale di Esztergom 391 Anna Rosa Venturi I codici corviniani della Biblioteca Estense 415 György Domokos Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) 421 Ágnes Szabó; György Domokos L’entrata del cardinal Tamás Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 433 Bálint Lakatos Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani alla luce delle ambasciate inviate e ricevute (1490–1526). Uno schizzo 455 Monika Tihányiová; Mária Medveczká Contactos comerciales del Conde Nicolás Pálffy (1552–1600) con el extranjero 483 Alberto Menziani Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria nel secolo XIX. Prime note di ricerca 501 Riccardo Pallotti Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria. Alcuni spunti di ricerca 513 Lidia Righi Guerzoni L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 527 Alberto Attolini Intrigo internazionale a Modena. La causa di Crouy-Chanel contro Francesco V tra alta politica, nazionalismo e massoneria 543 Mojmír Malovecký The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 573 RECENSIONES 587 Vestigia II Research Documents Related to Hungary from Mantua, Modena and Milan Dal Po al Danubio Così intitolato, il convegno dei giorni 7–8 maggio 2021 avrebbe dovuto aver luogo già nell’autunno del 2020, ma a causa della situazione pandemica venne prima procrastinato, poi fu deciso che si sarebbe potuto organizzare solo a distanza, ovverosia in versione “ibrida”. L’argomento specificato nel sottotitolo, I rapporti tra la Corte Estense e l’Ungheria attraverso i secoli, ha dato occasione di presentare i proprî contributi sia ai rappresentanti dei due enti promotori e ormai consolidati partner della ricerca “Vestigia” sui documenti con riferimento ungherese negli archivi italiani, cioè l’Archivio di Stato di Modena e il Gruppo di Ricerca Vestigia dell’Università Cattolica Péter Pázmány di Budapest, sia alla Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi (Modena e Reggio Emilia), all’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena, al Centro studi ARCE – Archivio Ricerche Carteggi Estensi, nonché al Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna. L’evento ha goduto anche del sostegno del Segretariato Regionale per l’Emilia-Romagna del Ministero della Cultura, dell’Archivio di Stato di Mantova e dell’Istituto Istruzione Superiore “Archimede” San Giovanni in Persiceto (Bologna). A distanza di poco più di un anno presentiamo in questo numero speciale di «VERBUM Analecta Neolatina» gran parte dei contributi che si possono anche reperire sul canale Youtube di Vestigia nella forma originale di lezioni. Inoltre, abbiamo il privilegio di offrire ulteriori studi che sono nati in collaborazione con il nostro gruppo di ricerca. Procedendo in senso cronologico, iniziamo con il primo contributo di Riccardo Pallotti, dell’Archivio di Stato di Modena, che ha ricostruito minuziosamente i documenti in riferimento al matrimonio tra Alisia de Châtillon e Azzo d’Este (1204), ovvero il primo contatto tra le dinastie regnanti dell’Ungheria e delle terre estensi. L’autore illustra il contesto politico-storico più ampio per spiegare l’importanza di queste nozze. Hajnalka Kuffart, una delle ricercatrici del Gruppo di Ricerca Vestigia, attualmente impegnata presso l’Istituto Storico dell’Ungheria, ha ricostruito con un lavoro preciso il testo di un itinerario particolarmente importante per i rapporti tra i due paesi. Giovanni Maria Parenti, chierico di Modena, descrive il viaggio compiuto nel 1486 da Venezia fino alla corte ungherese al seguito dell’oratore ducale Cesare Valentini, con l’intento 260 György Domokos di preparare l’arrivo del minorenne Ippolito d’Este, nominato arcivescovo di Esztergom. Il documento, conservato in pessimo stato ma ancora leggibile, offre interessantissimi spunti storico-culturali. Abbiamo poi un bel contributo che riguarda i reali d’Ungheria ma si basa su fonti diverse: Patrik Paštrnák, dell’Università Palacky di Olomouc presenta un’orazione gratulatoria dell’ambasciatore veneziano Badoer che riguarda il fidanzamento di Beatrice e Mattia, il cui testo è custodito stranamente in due codici che si trovano l’uno a Uppsala in Svezia e l’altro a Lipsia, in Germania. Dello stesso fidanzamento tratta anche l’articolo di Tibor Martí, dell’Istituto di Storia del Centro di Studi Umanistici di Budapest. I documenti, in base ai quali Martí ha riconstruito i contratti e le tappe delle trattative per la stipula del matrimonio sono stati scoperti in parte in Spagna. Ilona Kristóf, anche lei membro del gruppo Vestigia e professoressa di storia presso l’Università Cattolica Károly Eszterházy di Eger, espone le proprie osservazioni su un aspetto particolare di Beatrice d’Aragona, regina d’Ungheria e figura chiave nella storia dei rapporti italo-ungheresi nel Rinascimento. In base a documenti e riflessioni l’autrice si concentra sul ruolo „materno” di Beatrice, che non ebbe figli e perciò continuava a chiedere ai suoi parenti figli per potersi sentire madre. Ágnes Szabó, storica dell’arte e dottoranda presso l’Università Cattolica Péter Pázmány analizza alcuni aspetti particolari dei paramenti liturgici descritti nei documenti degli italiani in terra ungherese, alcuni pezzi dei quali sono ancora identificabili grazie agli inventari di epoca posteriore. Il titolo del suo saggio è preso proprio dalla relazione di viaggio di Giovanni Maria Parenti nel 1486, presentata nell’articolo di Hajnalka Kuffart. Anna Rosa Venturi, di Modena, docente della Scuola di Archivistica e già direttrice della Biblioteca Universitaria Estense, ripercorre le tappe dei rapporti tra Buda e Ferrara attraverso il patrimonio librario, da Ladislao V a Mattia Corvino. Lo scrittore di queste righe offre un saggio preliminare di un epistolario in corso di pubblicazione. Taddeo Lardi, ufficiale di Ippolito d’Este a Esztergom e Buda e quindi due volte governatore della diocesi di Eger, mandò dall’Ungheria a Ferrara più di settanta lettere durante gli oltre venti anni del suo soggiorno. Il saggio qui presentato si concentra sulle prime lettere che sono del periodo 1487–1499. Sempre György Domokos, ma stavolta assieme a Ágnes Szabó, propone anche un confronto di due relazioni dello stesso evento: l’entrata del cardinal Tamás Bakóc a Roma nel 1512. La sfilata, i vestiti, l’itinerario, il contesto vennero infatti immortalati sia da Stazio Gadio, per conto dei signori di Mantova, sia da Ludovico da Fabriano per gli Estensi di Ferrara. Bálint Lakatos, che lavora presso nel Gruppo di ricerca ungherese per gli studi medievali, riassume nel suo saggio le nozioni basilari sulle ambascerie e sugli ambasciatori tra gli stati Dal Po al Danubio 261 italiani e il Regno d’Ungheria, offrendo anche un elenco delle persone coinvolte nei rapporti diplomatici nel periodo di Mattia Corvino e i re Vladislao II e Luigi II. Due studiose della Slovacchia, Monika Tihanyiová dell’Università di Trnava e Mária Medveczká dell’Università di Comenio, hanno esaminato per Verbum un documento scoperto dal gruppo di ricerca a Mantova: Niccolò Pálffy, personaggio chiave della seconda metà del Cinquecento a Posonio (Bratislava) scrisse questa lettera a Vincenzo Gonzaga, marchese di Mantova. È curioso notare la lingua mista della lettera, ma il saggio va molto oltre e ricostruisce il contesto storico-culturale del documento. Con un salto nel tempo, arriviamo all’articolo di Alberto Menziani, della Deputazione di Storia Patria di Modena. L’autore offre uno sguardo sui rapporti tra gli Austria-Este e l’Ungheria, specialmente sui rapporti di carattere militare. Anche il secondo contributo di Riccardo Pallotti rientra nel periodo tra fine Settecento e inizio Ottocento, con speciale riguardo ai diari di viaggio del futuro Francesco IV di Austria-Este, il quale nel 1805 descrive le città dell’Ungheria. Un altro viaggiatore modenese dell’Ottocento, il conte Luigi Forni, viene analizzato insieme con la sua opera dalla professoressa Lidia Righi Guerzoni, dell’Archivio di Stato di Modena. Un ulteriore contributo che ci viene da Modena è quello di Alberto Attolini, che getta luce sullo scandalo o meglio intrigo politico dell’Ottocento, legato alla figura di Claudio Francesco Augusto Crouy-Chanel che pretendeva di essere discendente diretto del re ungherese Andrea III. Il fatto vede coinvolto anche il barone Albert Nyáry, pioniere delle ricerche ungheresi a Modena. L’ultimo contributo di questo numero di Verbum viene pure dalla Slovacchia ed offre un’interessante prospettiva nel tempo e nello spazio. Mojmír Malovecky ha analizzato nel suo articolo un romanzo ottocentesco dello scrittore slovacco Ján Kalinčiák, il quale prese come protagonista il figlio naturale di re Mattia Corvino, Giovanni Corvino, nominato da suo padre principe di Liptovia. L’autore del saggio confronta i fatti e personaggi storici con quelli del romanzo e inoltre analizza la possibilità di utilizzare nell’insegnamento questo tipo di testi. L’insieme di saggi del Gruppo di Ricerca Vestigia, degli studiosi dell’Archivio di Stato di Modena e delle altre istituzioni coinvolte dimostra che la ricerca nel campo delle fonti originali ha ancora molto da dire. Le relazioni che intercorrono dal Po al Danubio sono rafforzate ulteriormente da questo volume che si spera sia solo una tappa della collaborazione ormai decennale. György Domokos Università Cattolica Péter Pázmány, Budapest Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Le nozze di Alisia di Châtillon con Azzo VI d’Este (1204). Alle origini dei rapporti fra Estensi e Ungheria al tempo di papa Innocenzo III Riccardo Pallotti Archivio di Stato di Modena riccardo.pallotti@cultura.gov.it Abstract Firstly based on sources of the Modena State Archive, the essay focuses on the political and dynastic relations between the House of Este and the Kingdom of Hungary under king Imre Árpád (1196–1204) and pope Innocent III (1198–1216), providing a brief insight into relations between West and East (Papacy, Árpád House, Latin princedom of Antiochia and Byzantine empire) that served as background to the marriage between Alisia of Châtillon, Hungarian king’s aunt, and the margrave of Este. Focusing on the political context of this dynastic union, the essay aims at proving that the marriage between the daughter of Raynald of Châtillon and Azzo VI could be related to the crusader ideology of Innocent III and to his political relations as with king Imre in Hungary as with the Este margraves in northeast Italy. Letters of Innocent III confirm his political interest in Hungary and his support to Imre in the civil war against Andrea. Le fonti dell’Archivio di Stato di Modena documentano oltre sei secoli di relazioni politico-dinastiche tra la Casa d’Este e il Regno di Ungheria. Una lunga storia che ebbe inizio tra XII e XIII secolo, nel quadro di una complessa trama di rapporti internazionali tra Occidente e Oriente, ovvero tra il Papato di Innocenzo III, i regni dell’Europa orientale, l’impero bizantino e egli stati crociati della Terrasanta. Obiettivo del presente lavoro è proprio quello di ricostruire le prime relazioni del casato estense col l’Ungheria sulla base di fonti inedite dell’Archivio di Stato di Modena. Lo studio delle fonti d’archivio, inquadrate in un contesto storiografico, cercherà di dimostrare come le prime relazioni tra gli Este e la corona ungherese, risalenti al primo Duecento, si possano ricollegare 264 Riccardo Pallotti a scenari internazionali di ampio respiro, legati in primis all’azione temporale di papa Innocenzo III (1198–1216) nei confronti delle signorie del Patrimonium, dei regni europei e dell’Oriente cristiano. I marchesi d’Este, signori territoriali radicati nella terraferma veneta, instaurarono rapporti con il Regno di Ungheria agli albori del Duecento, quando Azzo VI d’Este sposò una principessa della corte ungherese, seppure originaria dell’Oriente crociato, Alisia (o Alice) di Châtillon. La terza moglie del marchese d’Este era figlia del noto crociato Rinaldo di Châtillon, morto per mano del Saladino.1 Le nozze di Azzo VI d’Este con Alisia di Châtillon ebbero luogo nel febbraio 1204, nel bel mezzo della quarta crociata, proprio poche settimane prima del saccheggio di Costantinopoli. A tale contesto internazionale e alle reti universalistiche create da papa Innocenzo III vanno riferite, con ogni probabilità, queste nozze, che avvicinavano la signoria estense ad una monarchia europea e, al contempo, agli stati crociati del Vicino Oriente. L’ipotesi trova conferma nel legame politico fra papa Innocenzo III e re Imre d’Ungheria (1196–1204), figlio di Béla III (1172–1196) e della sorella di Alisia, Agnese di Châtillon. Zia di Imre, Alisia di Châtillon aveva trovato riparo alla corte ungherese dopo la morte del padre in Terrasanta. Bolle papali trasmesse da Pellegrino Prisciani e da Lodovico Antonio Muratori attestano la speciale protezione conferita da Innocenzo III a re Imre e ad Alisia. Di una simile protezione papale godeva negli stessi anni il guelfo Azzo VI d’Este, la cui azione politico-militare nella terraferma veneta, a Ferrara e nella Marca di Ancona andava a vantaggio della politica di “recuperazione” di Innocenzo III. Alisia e Agnese di Châtillon/Antiochia Alisia era figlia del condottiero crociato Rinaldo di Châtillon e di Stefania di Milly, nata da Filippo, signore di Nablus, nella Cisgiordania.2 Rinaldo era giunto in Terrasanta al tempo della seconda crociata, negli anni Quaranta del XII 1 Su Rinaldo di Châtillon si veda: B. Hamilton, The elephant of Christ: Reynald of Châtillon, in «Studies in Church History», 15 (1978), pp. 97–108. 2 La madre di Alisia era anch’essa esponente di un casato francese che in Terrasanta aveva dato vita ad un dominio territoriale. Su Stefania di Milly si veda: L. Fragai, I complessi palatini islamici della Giordania tra XIII e XIV secolo: origine e ruolo storico, politico, ideologico di un tipo edilizio monumentale alla luce dell’archeologia leggera. Il caso di Kerak, Tesi di dottorato della Sapienza – Università di Roma, Scuola dottorale in Archeologia, Curriculum Archeologia e Antichità PostClassiche, tutor Prof. G. Vannini, Ciclo XXX (a.a. 2014–2015), pp. 91–93. La dote di Beatrice d’Aragona 265 secolo. Grazie alle sue prime nozze con Costanza di Antiochia aveva ottenuto la signoria di quel principato. Attorno al 1160 era stato catturato dai musulmani, rimanendo prigioniero ad Aleppo per lunghi anni.3 Con la prigionia aveva perduto il dominio sul principato di Antiochia, che con la morte di Costanza (1163) era passato a suo figlio Boemondo III d’Altavilla. Nonostante la perdita di Antiochia, però, Rinaldo, una volta riottenuta la libertà, era riuscito ad ottenere un nuovo dominio territoriale sposando Stefania di Milly (1175), erede della signoria dell’Oltregiordano. Si trattava dei territori situati ad est del fiume Giordano; qui il potere militare dei crociati aveva il suo fulcro nelle fortezze di Kerak e Montréal.4 È in uno di questi luoghi, sedi di Rinaldo, che con ogni probabilità Stefania diede alla luce Alisia, presumibilmente all’inizio degli anni Ottanta del XII secolo. Sono ben note le vicende della guerra tra Rinaldo di Châtillon e il Saladino; l’uccisione del condottiero crociato dopo la battaglia di Hattin e la caduta di buona parte dell’Oltregiordano causarono l’abbandono di questi luoghi da parte della piccola Alisia, che dovette così lasciare la Terrasanta. Le notizie di cui disponiamo sono assai scarse, ma sappiamo che la bambina fu accolta in Ungheria, regno della sua sorellastra Agnese (ca. 1153–1184), nate dalle prime nozze di Rinaldo con Costanza di Antiochia. Agnese era divenuta regina di Ungheria nel 1172, a seguito delle sue nozze con Béla III Árpád. Non sappiamo se ella era ancora in vita al momento dell’arrivo in Ungheria della sorella minore; se ipotizziamo, infatti, che Alisia abbia lasciato la Terrasanta solo dopo la morte del padre, nel 1187, a quella data la regina era già morta. Figlie dello stesso padre ma nate da madri diverse, le due principesse, molto distanti per età, conobbero destini assai differenti; nondimeno furono entrambe legate all’Ungheria, naturalmente soprattutto Agnese, che ne fu regina per oltre un decennio. Agnese era figlia di Rinaldo di Châtillon e di Costanza d’Altavilla, titolare del principato latino di Antiochia. Vedova di Raimondo di Poitiers, la principessa Costanza sposò Rinaldo nel 1153, e dall’unione nacque dopo poco la futura regina di Ungheria. Agnese era ancora molto giovane quando le travagliate vicende del principato di Antiochia la condussero a Costantinopoli, dove crebbe alla corte della sorellastra Maria, moglie dell’imperatore Manuele I Comneno.5 3 Hamilton, The elephant, cit., p. 99. Fragai, I complessi, cit., passim. 5 Maria era figlia di Costanza di Antiochia e del suo primo marito, Raimondo di Poitiers. 4 266 Riccardo Pallotti Le strette relazioni tra la corte bizantina e la dinastia franco-normanna regnante in Antiochia erano collegate all’azione politica condotta dall’imperatore Manuele I verso gli stati latini d’Oriente.6 Rinaldo di Châtillon fece atto di sottomissione al Basileús bizantino, che nel 1159 entrò in Antiochia.7 La successiva cattura di Rinaldo da parte dei Musulmani fu seguita dallo scontro tra la principessa Costanza e il proprio figlio Boemondo III per il controllo del principato antiocheno.8 In un contesto segnato da lotte interne e dalla crescente influenza bizantina, le due figlie di Costanza, Maria e Agnese, lasciarono Antiochia per Costantinopoli; Maria sposò l’imperatore Manuele nel 1161 e vari anni più tardi fu raggiunta sulle rive del Bosforo da Agnese, che là assunse il nome greco di Anna. Oltre al Vicino Oriente e all’Italia, dove Manuele riconquistò parte dei domini bizantini, la politica imperiale di quegli anni guardava ai regni dell’Europa centrale ed orientale, sospesi tra Occidente latino e Oriente greco. Le mire di Manuele I si concentravano in particolare sull’Ungheria, la cui ubicazione geografica le conferiva un’indubbia centralità nei rapporti tra il mondo greco e quello latino, sul piano politico e militare così come su quello ecclesiologico e culturale.9 Per assoggettare l’Ungheria l’imperatore dei Romei perseguì la via dell’intervento diretto nelle dispute interne al casato arpadiano.10 I fatti sono 6 Tale azione vide il principato di Antiochia sottomettersi alla sovranità bizantina, mentre lo stesso re di Gerusalemme Baldovino III si poneva sotto la protezione del Basileús Manuele I Comeno. Le notizie generali sul Comneno e i suoi rapporti con Antiochia e l’Ungheria sono qui tratte da: G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, trad. it. di P. Leone, Torino 2014 (III ed.), pp. 345–356. Vedi anche: R.-J. Lilie, Bisanzio. La seconda Roma, (tit. orig. Byzanz. Das zweite Rom), trad. it. di G. Montinari, Roma 2005, pp. 361–394. 7 Ostrogorsky, Storia, cit., pp. 350–352; Hamilton, The elephant, cit., p. 98. 8 Il tentativo di Boemondo III di estromettere la madre dal principato fu appoggiato dal re di Gerusalemme Baldovino III. Per conservare il potere Costanza si rivolse a Costantinopoli e le trattative che ne seguirono portarono alle nozze della figlia Maria con l’imperatore bizantino (1161). Nonostante l’appoggio bizantino, Costanza fu però cacciata da Antiochia, morendo attorno al 1163. 9 L’Ungheria, inoltre, era la terra d’origine della madre, la principessa Piroska, divenuta Basilissa dei Romei col nome di Irene. 10 Alla morte di re Géza II Árpád (1162) l’ascesa al trono di suo figlio Stefano III fu osteggiata da Stefano IV (1163) e Ladislao II (1162–1163), fratelli del defunto sovrano. L’imperatore Manuele I si inserì nel conflitto sostenendo i fratelli di Géza II contro Stefano III, che invece ottenne l’appoggio tedesco e del re di Boemia, quest’ultimo formalmente vassallo dell’imperatore d’Oriente. Per le vicende arpadiane principale riferimento sono naturalmente le opere di Attila Zsoldos e Gyula Kristó. La dote di Beatrice d’Aragona 267 ben conosciuti, tuttavia pare qui opportuno ricordarli; la diplomazia bizantina trovò un accordo (1164) fra le parti in lotta per il trono magiaro, in base al quale Béla, fratello minore di Stefano III Árpád (1162–1172), fu riconosciuto erede al trono ed investito dei territori di Croazia e Dalmazia; il giovane fu inviato come ostaggio a Costantinopoli, assumendo il nome greco di Alessio.11 L’imperatore bizantino consolidava così i propri domini nei Balcani e nell’Adriatico e legava alla propria famiglia il futuro re di Ungheria; per rafforzare tale vincolo Manuele I fidanzò la propria figlia al principe Béla/Alessio, che fu designato erede al trono bizantino. Tuttavia, quando Maria di Antiochia diede all’imperatore Manuele un erede maschio, Béla vide allontanarsi la porpora imperiale;12 il suo fidanzamento fu sciolto e il Basileús gli diede in sposa la propria cognata, Agnese/Anna, anch’ella ostaggio alla corte bizantina. Le nozze furono celebrate attorno al 1170 e due anni più tardi Béla salì sul trono d’Ungheria assieme alla moglie Agnese. Béla e Agnese avevano ereditato un regno assai vasto, che si estendeva dalla Galizia all’Adriatico;13 il nuovo re cercò di ampliarne ulteriormente i confini, perseguendo una politica di espansionismo nei Balcani che lo portò ad occupare territori soggetti a Costantinopoli.14 Nei Balcani gli Ungheresi si scontrarono non solo con l’impero bizantino ma anche con la repubblica di Venezia, il cui forte espansionismo commerciale nel Mediterraneo orientale si accompagnava a mire territoriali sulla vicina Istria e sulla Dalmazia.15 Seguirono così due guerre tra la corona ungherese la Serenissima (1180–1188, 1190–1191). Nel corso 11 Ostrogorsky, Storia, cit., p. 351. Su Béla/Alessio vedi Ostrogorsky, Storia, cit., p. 352 ; Lilie, Bisanzio, cit., p. 381. 13 Su Béla III e Agnese si veda il seguente volume: 150 Éve Történt… III. Béla és Antiochiai Anna sírjának fellelése, a cura di G. Fülöp, A Szent István Király Múzeum közleményei B. sorozat 49. szám, Székesfehérvár 1999. 14 La morte di Manuele I (1180) incrinò gli antichi legami di Béla III con l’Impero bizantino: l’imperatrice vedova Maria di Antiochia, cognata di Béla, reggente in nome di Alessio II, non poté conservare le conquiste del marito e già nel 1181 Béla III occupò la Dalmazia, la Croazia e Sirmio. La rottura definitiva ebbe luogo con il colpo di stato di Andronico Comneno, il quale prese il potere e mandò a morte Maria e suo figlio Alessio II (1183). In tutta risposta Béla III si alleò con Stefano Nemanja e occupò Belgrado, Branicevo, Nis e Sofia. La minaccia serboungherese, le rivolte interne e i successi dei Normanni decretarono, come è noto, la violenta fine di Andronico I Comneno. Con l’ascesa degli Angeli ripresero i rapporti fra l’Ungheria e Costantinopoli: Margherita, figlia di Agnese e Béla III, sposò l’imperatore Isacco II Angelo (vedi Ostrogorsky, Storia, cit., pp. 359–361). 15 Sulla politica arpadiana verso la Dalmazia si rinvia al recente volume di J. Gál, Dalmatia and the Exercise of Royal Authority in the Árpád-Era Kingdom of Hungary, Budapest, 2020. 12 268 Riccardo Pallotti degli anni Ottanta del XII secolo venne a morte la regina Agnese, che si spense attorno al 1184. Rimasto vedovo, Béla III optò presto per nuove nozze, sposando Margherita, sorella del re di Francia, Filippo Augusto, con la cui monarchia aveva avviato nuove relazioni. In tale contesto il re ungherese aderì, fra i suoi ultimi atti, al progetto della terza crociata, che vide, come noto, la partecipazione di Riccardo Cuor di Leone, del Barbarossa e dello stesso Filippo Augusto; in particolare il sovrano ungherese supportò le truppe imperiali tedesche nel loro viaggio attraverso i Balcani.16 Re Imre e papa Innocenzo III (1198–1204) Dalle nozze Béla III con Agnese erano nati due figli maschi, Imre (Emerico) e András/Endre (Andrea). Alla morte del re nel 1196, il trono ungherese passò al primogenito Imre, ma non senza contrasti. András infatti non tardò a rivendicare il trono e mosse guerra al fratello. La guerra tra Imre e András vide l’intervento della Chiesa di Roma, guidata in quegli anni da un pontefice dotato di straordinaria preparazione intellettuale ed energia, Innocenzo III, al secolo Lotario dei Conti dei Segni.17 Eletto al soglio pontifico nel gennaio del 1198, egli fin da subito indirizzò la propria azione spirituale e temporale verso est, dedicando particolare cura ai rapporti con i regni dell’Europa orientale, con Costantinopoli e con gli stati latini della Terrasanta. Il regno ungherese rivestiva un ruolo di primaria importanza nel disegno universalistico di Innocenzo III; la politica di questo papa, infatti, mirava decisamente all’affermazione della supremazia della Chiesa di Roma nell’Europa orientale, dal Baltico al Mar Nero. L’Ungheria, data la sua ubicazione strategica, svolgeva un ruolo fondamentale nell’azione politica del pontefice, finalizzata ad estendere l’influenza romana ai regni slavo-ortodossi di Serbia e Bulgaria. Tale azione ebbe successo nei confronti della Bulgaria, dove re Kalojan si sottomise 16 Sul contributo ungherese alla terza crociata si veda J. R. Sweney, Hungary in the Crusades, 1169–1218, in «The International History Review», vol. 3, n. 4 (ottobre 1981), pp. 467–481. 17 Per i regni di Imre e András II e più in generale per la storia della dinastia arpadiana si rinvia ovviamente alle opere di Attila Zsoldos e Gyula Kristó. Una buona sintesi in lingua italiana delle vicende ungheresi di inizio Duecento è offerta dal seguente lavoro: J. Radulović, L’Ungheria nella prima metà del Duecento. Rivolgimenti interni e pressioni esterne, Tesi di Dottorato di ricerca, Università degli Studi di Milano, Scuola di Dottorato in Humanae Litterae, Dipartimento di Studi storici, Corso di Dottorato in Studi storici e documentari, tutor Prof.ssa E. E. Occhipinti, co-tutor Prof. G. Andenna, Ciclo XXVI (a.a. 2012/2013), pp. 12–18, 43–62. La dote di Beatrice d’Aragona 269 alla Chiesa di Roma, ottenendo la corona dallo stesso Innocenzo III; richiese la corona al pontefice romano anche Stefano II Nemanijc di Serbia. Al contempo, l’espansionismo ungherese nei Balcani favoriva gli interessi papali, che venivano a coincidere con quelli arpadiani; particolarmente importante, per la Curia romana, era il sostegno di re Imre nei territori della Bosnia, ove si era affermata l’eresia bogomila. Ben nota, infatti, è la centralità della lotta all’eresia nell’ideologia di Innocenzo III, che negli stessi anni bandiva la crociata contro gli Albigesi (catari), nella Linguadoca. In Bosnia l’azione politica e militare ungherese contro i Bogomili favorì significativamente la Chiesa di Roma, con la sottomissione di Ban Kulin ad Innocenzo III nel 1203. Anche le vicende della quarta crociata videro il pontefice offrire la propria protezione al re ungherese, come avvenne durante i fatti di Zara del 1202, quando le truppe veneziane e francesi della quarta crociata deviarono sulla città dalmata, saccheggiandola; il papa scomunicò gli stessi crociati, macchiatisi del saccheggio di una città cristiana soggetta alla corona ungherese. L’influenza di papa Innocenzo III sugli indirizzi della politica ungherese si manifestò anche in relazione alle nozze di Imre; fu infatti attraverso la mediazione del pontefice che il sovrano magiaro sposò la principessa Costanza d’Aragona, attorno al 1199. Fu poi sempre per volontà di Innocenzo III che, molti anni dopo, Costanza, vedova di Imre, andò sposa al re di Sicilia, il giovane Federico II, pupillo del papa. Preziose testimonianze dell’azione papale nei confronti dell’Ungheria provengono dai registri della cancelleria di Innocenzo III.18 Essi conservano numerose lettere papali riguardanti il regno arpadiano, che fu al centro degli interessi di questo papa fin dai primi giorni del suo pontificato. Dai carteggi pontifici emergono i solidi legami della corte arpadiana con la Santa Sede, nonostante alcuni momenti di tensione dovuti specialmente a contenziosi tra l’autorità regia e il vescovo di Vác e l’arcivescovo di Kalocsa. Le lettere di papa Innocenzo III documentano ampiamente la guerra civile tra re Imre e il fratello András, duca di Croazia e Dalmazia. In tale conflitto il pontefice si schierò a favore di re Imre. Già il 29 gennaio 1198, pochissimi giorni dopo la sua elezione, il papa inviò una dura lettera ad András, sollecitandolo ad adempiere al voto della crociata fatto dal padre Béla III; in caso di rifiuto, egli sarebbe stato colpito dall’anatema e privato dei suoi diritti sul trono unghere18 Die Register Innozenz’ III. 1. Pontifikatsjahr, 1198/99: Texte, a cura di Othmar Hageneder e Anton Haidacher (Publ. der Abt. für Histor. Studien d. Österr. Kulturinstituts in Rom, II. Abt., I. Reihe, Bd. 1: Texte), Graz–Köln 1964. 270 Riccardo Pallotti se.19 Alcuni mesi più tardi, il 15 giugno 1198, Innocenzo III ingiunse ad András di essere fedele al re e gli proibì qualsiasi azione militare verso il fratello;20 in caso di rifiuto, gli arcivescovi Jób di Esztergom21 e Saul di Kalocsa22 avrebbero dovuto infliggergli sanzioni di carattere spirituale. Il pontefice intervenne anche contro il clero fedele ad András; il 30 dicembre 1198 ordinò all’arcivescovo Saul di Kalocsa e ai vescovi di Győr e Zagabria di annullare, dopo un nuovo esame, l’elezione dei vescovi di Zara e Spalato, vicini allo scomunicato András; come già il duca di Croazia, anche questi vescovi ribelli ad Imre venivano ipso iure scomunicati.23 Pochi giorni dopo, l’8 gennaio 1199, il papa vietava al clero ungherese di infliggere illecite sanzioni spirituali ai consiglieri e ai familiares di Imre.24 Nel 1198 il neoeletto pontefice aveva bandito la crociata per la liberazione dei luoghi santi; tuttavia, nel caso del regno ungherese, prendendo atto dello stato di guerra interna al regno, dispensò dal voto della crociata vari fedeli di re Imre; fu così per il conte Botho di Moson ed altri venti personaggi che su richiesta di Imre, il 16 giugno 1198, ottennero dal papa la dispensa dal voto, almeno finché il regno non si fosse pacificato. Già tra gennaio e febbraio di quell’anno Innocenzo III aveva concesso un’analoga dispensa temporale all’arcivescovo Jób di Esztergom.25 19 Die Register, cit., n. 10, p. 17. Ibidem, n. 271, pp. 374–375. 21 Sull’arcivescovo Jób e i suoi rapporti con la corona si veda Gy. Győrffy, Jób esztergomi érsek kapcsolata III. Béla királlyal és szerepe a magyar egyházi művelődésben, in «Aetas» 9 (1994/1), pp. 58–63. 22 Nelle lettere di Innocenzo III relative all’Ungheria rivestono particolare importanza la Chiesa di Kalocsa e il suo presule Saul. Il 14 giugno 1198 Innocenzo III ordinò al vescovo Elvin di Várad di comparirgli dinanzi, in Roma, entro la festa della Natività di Maria dello stesso anno, affinché gli fosse inflitta una penitenza per certi crimini di cui si era macchiato; per la sua condotta egli era già stato scomunicato dall’arcivescovo Saul di Kalocsa, di cui il vescovo di Várad era un suffraganeo (Die Register, cit., n. 269, p. 372). Inoltre il 22 dicembre 1198 il papa incaricò re Imre di obbligare al pagamento delle decime le comunità slave residenti nella diocesi di Kalocsa (Die Register, cit., n. 500, pp. 728–729). Innocenzo III intervenne anche in Transilvania, dove una disputa opponeva il vescovo Adriano di Gyulafehérvár (Alba Iulia) alla prepositura di Nagyszeben in merito ai rispettivi diritti sulle comunità sassoni di quei territori (Siebenbürger); con una lettera del 15 giugno 1198, il papa confermò la sentenza già emessa dal legato pontificio Gregorio de Sancto Apostolo (Die Register, cit., n. 272, pp. 375–377). 23 Die Register, cit., n. 510, pp. 745–746. 24 Ibidem, n. 511, pp. 746–747. 25 Ibidem, n. 270, pp. 373–374. Negli stessi giorni il papa sottopose il monastero di Telki alla giurisdizione ecclesiastica di Esztergom e incaricò lo stesso arcivescovo Job di riformare quella 20 La dote di Beatrice d’Aragona 271 Imre fu impegnato nel conflitto col fratello per quasi tutta la durata del suo regno. Fu però solo la sua prematura scomparsa, nel novembre 1204, a permettere ad András di salire al trono. Prima di morire Imre aveva fatto incoronare re il figlio Ladislao, un bambino, ottenendo dal fratello garanzie in merito al rispetto dei suoi diritti. Tuttavia, alla morte del re, András si impadronì del potere, costringendo Ladislao III e la madre Costanza d’Aragona a riparare a Vienna. Iniziò così il lungo regno di András II (1205–1235), monarca che in questa sede va ricordato soprattutto per le sue nozze con Beatrice d’Este, nel 1234.26 Alisia dalla terrasanta all’Ungheria Numerose lettere di Innocenzo III riguardanti l’Ungheria risalgono al giugno del 1198. Reca la data del 16 giugno, come già visto, la lettera riguardante la dispensa al conte di Moson, fidelis di Imre. È datato 16 giugno 1198 anche un altro documento innocenziano riguardante l’Ungheria, che ci è noto unicamente attraverso l’opera di Pellegrino Prisciani. L’umanista ferrarese trascrisse questo documento nelle sue Historiae Ferrariae alla fine del Quattrocento; la sua trascrizione, ripresa dal Muratori nel XVIII secolo, costituisce l’unico esemplare superstite di una bolla con cui il papa accordò la propria protezione ad Alisia di Châtillon. In appendice al saggio si riporta il testo della bolla trascritto dal Prisciani, comparato con l’edizione muratoriana. Pellegrino Priscani, custode dell’archivio estense tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, copiò il documento innocenziano nelle sue Historiae Ferracomunità monastica (Die Register, cit., mancano il numero e la pagina!). Va ricordato come proprio in quei giorni, il 3 febbraio 1198, Innocenzo III conferì un incarico analogo al vescovo di Ferrara Uguccione, chiamato a riformare l’antica abbazia nonantolana (Die Register, cit., n. 9, pp. 14–16). Sempre tra gennaio e febbraio del 1198 Innocenzo III permise a re Imre di portare avanti l’edificazione di un monastero già avviata dal conte Botho di Bihar, cambiando però il sito a vantaggio di un luogo meglio difeso e più adatto, con il consenso della locale autorità vescovile (Die Register, cit., n. 9, pp. 16–17). 26 Sulle nozze di András II con Beatrice d’Este si rimanda agli studi di Patrizia Cremonini: Ead., II. András és Beatrice d’Este házasságkötése. (Székesfehérvár, 1234. május 14. (titolo in italiano: “Il matrimonio tra il re d’Ungheria Andrea II Árpád e Beatrice d’Este – Székesfehérvár, 14 maggio 1234”), in Királynék a középkori Magyarországon és Európában (titolo in italiano: “Regine in Ungheria medievale e in Europa”) (konferencia, Székesfehérvár, 22 september 2016), a cura di Kornél Szovák e Attila Zsoldos, Városi Levéltár és Kutatóintézet, Székesfehérvár, 2019, pp. 187– 198; Ead., Note sulle testimonianze dell’Archivio di Stato di Modena con riferimento alle relazioni Stato estense – Regno d’Ungheria, in «RSU. Rivista di Studi Ungheresi», XVI (2017), pp. 105–154. 272 Riccardo Pallotti riae.27 È quindi possibile che egli avesse trovato un esemplare della bolla fra gli atti dell’archivio ducale, esemplare poi andato perduto. Già in età muratoriana non vi era più alcuna traccia di questo documento nell’archivio estense. La misteriosa bolla è trascritta nel terzo volume delle Historiae Ferrariae, alla carta 19v. Inoltre, le carte delle Historiae immediatamente precedenti recano notizie, ordinate cronologicamente, su Rinaldo di Châtillon, sulla sua prima moglie Costanza e sul principato latino di Antiochia. La c. 19v del terzo volume reca la trascrizione della bolla sul margine sinistro del foglio; al centro, invece, si staglia una magnifica illustrazione, raffigurante una flotta in mare e movimenti di truppe sulla terraferma. Al centro del disegno, in primo piano, si riconosce una figura femminile, evidentemente una principessa, a bordo di una nave. Poiché il disegno è collocato esattamente a fianco del testo, e considerando la funzione didascalica delle illustrazioni nell’opera del Prisciani, siamo portati ad ipotizzare che la principessa raffigurata in primo piano sia proprio Alisia di Châtillon, nel suo viaggio dalla Terrasanta verso l’Occidente a seguito dell’uccisione del padre. Il braccio di mare raffigurato potrebbe essere quindi il Mediterraneo orientale, con l’isola di Cipro, compreso tra l’Anatolia, l’Egitto e la Palestina. Come ci suggeriscono gli abiti e gli equipaggiamenti illustrati, le truppe raffigurate in alto potrebbero essere gli eserciti della terza crociata in marcia attraverso l’Anatolia bizantina; i soldati rappresentati in basso, invece, potrebbero essere le forze del Saladino che risalgono dall’Egitto. Solo uno studio più analitico delle illustrazioni e una completa trascrizione del testo di Prisciani potranno fornire elementi per una più sicura attribuzione. Il documento pontificio trasmesso dal Prisciani era ben noto a Lodovico Antonio Muratori, che lo pubblicò nelle Antichità Estensi.28 Su questa principessa l’erudito vignolese espresse le seguenti considerazioni: “Dirò solamente ch’essa (Alisia) dopo le disgrazie de’ Cristiani in Oriente si ritirò alla Corte del Re d’Ungheria, dove fu concluso il suo matrimonio col Marchese Azzo; e che il Prisciano ci ha conservato una Bolla di Innocenzo III. Papa alla medesima, che merita di essere qui riportata”.29 Inoltre, i documenti riguardanti la figlia di Rinaldo di Châtillon furono pubblicati anche nelle Ricerche istorico-critiche dell’estense Isidoro Alessi.30 27 P. Prisciani, Historiae Ferrariae, VII, ms. 131, c. 19 v. L. A. Muratori, Delle Antichità Estensi ed Italiane. Parte prima, Modena 1717, pp. 378–379. 29 Ibidem, p. 378. 30 I. Alessi, Ricerche istorico-critiche delle antichità di Este, I, Padova 1776, pp. 646 e segg. 28 La dote di Beatrice d’Aragona 273 Non è tutto. Sempre seguendo il filo conduttore Prisciani-Muratori è possibile risalire ad una seconda bolla papale del 1198, con cui la protezione di Innocenzo III fu accordata anche ad Azzo VI.31 Il testo, soprattutto nella parte dispositiva, ricorda molto da vicino il documento a favore della principessa. Questo secondo documento è datato Anagnie VII. Id. Ocotbris, Pontificatus nostri Anno I. Dunque, sarebbe stato rilasciato ad Anagni il 9 ottobre 1198, pochi mesi dopo la bolla di Alisia; confermerebbe questa datazione alta, come suggerisce il Muratori, il fatto che ad Azzo, nel documento, non venga attribuito il titolo di marchese di Ancona. Il Vignolese aggiunge però un’interessantissima considerazione: “Ma sembrando, che quivi il Sommo pontefice intenda di proteggere il Marchese Estense contra gli sforzi d’Ottone IV tal atto dovrebbe riferirsi all’anno 1212, cioè dopo le sentenze promulgate da esso Augusto contra del medesimo Azzo…”.32 Un’analoga osservazione potrebbe essere riferita anche alla bolla di Alisia. Cerchiamo dunque di tirare le somme. Della bolla papale riguardante Alisia non vi è traccia né nell’Archivio estense né fra i documenti noti di Innocenzo III. Neppure al tempo del Muratori esistevano copie dell’atto negli archivi ducali. La bolla del 16 giugno 1198 ci è nota unicamente attraverso l’opera di Pellegrino Prisciani, ripresa dall’erudito vignolese. Discorso identico vale per la bolla a favore di Azzo. È dunque verosimile che si possa trattare di documenti spuri, confezionati non nel 1198 ma più tardi, forse proprio nel 1212, al tempo delle controversie con Ottone IV, come suggerisce il Muratori. Lo scontro politico con l’imperatore si ricollegava ad un contenzioso di carattere patrimoniale che vedeva Azzo VI e Alisia contrapposti allo zio Bonifacio d’Este, legato ad Ottone IV. Porre se stessi e i propri beni sotto la protezione del pontefice significava, per i marchesi estensi, assicurarsi la migliore tutela giuridica possibile. La datatio al 1198, inoltre, rafforzava ulteriormente le posizioni di Azzo e Alisia, in quanto dimostrava che il papa aveva concesso loro protezione fin dagli esordi del suo pontificato; una protezione conferita ad essi separatamente, ben 6 anni prima del loro matrimonio. Al di là delle precise scansioni cronologiche e degli aspetti patrimoniali, la tutela accordata dal pontefice ad Alisia appare un dato oggettivo. Se la protezione da parte di Innocenzo III si ricollegava anche al suo interesse per cose ungheresi, va tuttavia considerato anche un altro aspetto molto importante, politico e simbolico ad un tempo, connesso alle origini familiari della bambina 31 32 Muratori, Delle Antichità, cit., pp. 401–402. Ibidem, p. 401. 274 Riccardo Pallotti e al suo legame con l’Oriente crociato. Nata presumibilmente nella signoria dell’Oltregiordano nei primi anni Ottanta del XII secolo, Alisia era figlia quel Rinaldo di Châtillon la cui uccisione per mano musulmana gli aveva ben presto conferito la fama di martire; una fama di santo martire della fede affermatasi già a fine XII secolo grazie all’opera di Pietro di Blois, che compose una Passio Raginaldi principis Antiochie. La fine del padre portò Alisia lontana dalla Terrasanta, anche se sono pochissime le notizie di cui disponiamo. Sappiamo che fu accolta in Ungheria, alla corte del cognato Béla III; tuttavia, il suo arrivo e la vita che trascorse alla corte ungherese sono in larga parte avvolti dal mistero. In questa sede non sarà possibile approfondire tale questione, assai complessa, che risulta peraltro già esaminata dalla storiografia ungherese.33 Qui ci limiteremo a ricordare che sono state avanzate precise ipotesi circa la vita alla corte arpadiana di antiochiai Alíz, che negli studi ungheresi viene definita hercegnő, “duchessa” in lingua italiana. Si è ipotizzato che Alisia in Ungheria avesse contratto un primo matrimonio; prima di andare sposa al marchese d’Este, la giovane sarebbe stata data in moglie ad un barone del regno, Domonkos di Miskolc, bano di Slavonia, evidentemente deceduto prima del 1204.34 Secondo un’altra ipotesi, invece, basata sull’interpretazione di un controverso passo della Chronica regia coloniensis, sarebbe da identificare con Alisia la misteriosa principessa, menzionata in quella fonte, che Béla III avrebbe voluto unire in matrimonio al proprio primogenito Imre, il futuro re.35 Al di là di queste interessanti ipotesi, quello che pare certo è che la figlia di Rinaldo di Châtillon abbia ricevuto dai sovrani ungheresi un considerevole patrimonio. La bolla papale trasmessa dal Prisciani menziona espressamente i 33 Si fa riferimento in particolare ai lavori di György Denés, Tamás Kádár e Tamás Körmendi, citati nelle note seguenti. 34 T. Kádár, Egy régi keletű genealógiai talány a 12. század végéről: Miskolc nembeli Domonkos bán rokonsága a magyar királyi családdal, in «Turul. A Magyar Történelmi Társulat, a Magyar Nemzeti Levéltár Országos Levéltára és a Magyar Heraldikai és Genealógiai Társaság Közlönye», XCII (2019), pp. 49–58. Notizie su Alíz anche in: T. Kádár, A külföldi uralkodóházak tagjai, a külhoni hűbéres fejedelmek, valamint az egyházi főméltóságok és a pápai legátusok tartózkodásai Magyarországon 1000‒1205 között, in «Történeti Tanulmányok», XXVI (2018), pp. 73–74. Le lettere di Innocenzo III confermano che Domonkos di Miskolc rientrava fra quei baroni del regno che erano stati dispensati dal voto della crociata. Le stesse lettere papali ci permettono di collocare la sua morte entro il 1207. 35 T. Körmendi, Alíz hercegnő és Imre király. Megjegyzések a Kölni Királykrónika 1199-i tudósítása kapcsán, in «Turul», XCII (2019), pp. 59–68. La dote di Beatrice d’Aragona 275 beni di Alisia quali frutto di una donazione di Imre. Il sovrano ungherese aveva assegnato alla sorella della madre una rendita annua di 400 marche d’argento e beni fondiari costituiti da cento mansi a conduzione servile, dalla villa quae dicitur Tornai e da altre quattro villae con le loro pertinenze.36 La villa di Tornai va identificata con la località di Torna (Turňa nad Bodvou/Tornau), oggi in territorio slovacco, nella regione di Kassa/Košice.37 È comunque ragionevole ritenere che Imre avesse confermato donazioni precedenti, disposte già da suo padre Béla al momento dell’arrivo della bambina. Il soggiorno della figlia di Rinaldo alla corte ungherese fu segnato dalla lotta tra Imre e il fratello András. Un dato almeno in apparenza degno di rilievo è la coincidenza temporale tra la fine del regno di Imre e la partenza di Alisia per l’Italia. Il 1204, infatti, vide le nozze della donna ma anche la malattia e la morte di Imre. È dunque possibile, a giudizio di chi scrive, che le nozze “estensi” avvenute proprio nel 1204 siano da ricondurre ai disegni pontifici ed ungheresi in relazione ai fatti della quarta crociata così come alla situazione interna dell’Ungheria, dove la ripresa delle ostilità e la salute di re Imre, forse, lasciavano già presagire l’ascesa di András II. Alisia in Italia: le nozze con Azzo VI d’Este (1204) L’Archivio segreto estense conserva una copia autentica dello strumento dotale di Alisia, che fu rogato dal notaio imperiale Bellellus il 22 febbraio 1204 in terra friulana, a Gemona, nella chiesa di S. Maria di Clemena.38 Gemona, ai piedi delle Alpi, sulla via del Tarvisio, era posta lungo la via che collegava la pianura 36 Si legge nel documento innocenziano: “….donationem quadrigentarum Marcharum annui redditus, et centum mansionum servorum, Villae etiam, quae dicitur Tornai, et aliarum quatuor Villarum cum omnibus pertinentiis suis…”. Alisia e le sue proprietà fondiarie di Torna sono oggetto dello studio di György Denés sul testamento di Béla III: Gy. Denés, III. Béla király végrendelete. Alíz antiochiai hercegnő Torna birtokosa, in Történet – muzeológia. Tanulmányok a múzeumi tudományok köréből a 60 éves Veres László tiszteletére, a cura di E. Gyulai e Gy. Viga, Miskolc 2010, pp. 337–346. 37 Torna si trova a brevissima distanza dal confine ungherese. Questo luogo è ancora oggi dominato dalle rovine di una rocca (“Tornai vár”, “Turniansky hrad”). 38 L’Archivio di Stato di Modena conserva una copia autentica rogata in Este il 16 gennaio 1210 dal notaio imperiale Bonifacio: Archivio di Stato di Modena (ASMo), Archivio Segreto Estense (ASE), Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 63. Si veda l’edizione muratoriana: Muratori, Delle Antichità, cit., pp. 379–380. 276 Riccardo Pallotti veneta all’Europa centrale, e quindi all’Ungheria; la scelta di questo luogo per le nozze va evidentemente ricondotta alla volontà del marchese Azzo VI di recarsi incontro alla sposa lungo il suo cammino e di scortarla fino ai domini estensi attraverso la Marca trevigiana. Lo strumento, pubblicato dal Muratori, ci indica l’ammontare della dote, pari a 2000 marche d’argento, che l’Estense, nell’atto, dichiara di aver ricevuto da Alisia. Contestualmente Alisia ottenne dal marito l’investitura dei propri beni, mobili e immobili. La dote di Alisia derivava dalle donazioni di re Imre e con ogni probablità di suo padre Béla III Árpád. La conferma di questo dato patrimoniale proviene dal fatto che Azzo VI trattò per le nozze (e quindi per la dote) direttamente con re Imre, inviando in Ungheria i suoi vassalli Alberto da Baone, Alberico Pandemiglio,39 Martino da Milano e Francesco da Caldiero; essi curarono il negoziato con il sovrano a nome del marchese e, una volta conclusi gli accordi, scortarono Alisia fino in Friuli.40 Oltre agli aspetti di carattere giuridico e patrimoniale, lo strumento dotale riveste anche un interesse storico-politico, in quanto esso mette in luce l’importanza acquisita dal casato estense e la sua centralità nell’aristocrazia veneta, come si evince dall’elenco dei testimoni: le nozze, infatti, ebbero luogo alla presenza del patriarca di Aquileia Pellegrino41 e dei vescovi Uberto di Vicenza e Matteo di Ceneda; oltre ai rappresentanti delle Chiese di Vicenza, Padova ed Este, erano presenti anche esponenti delle maggiori famiglie dell’aristocrazia veneta, ovvero Gabriele da Camino, Tommaso conte di Padova, Marsilio da Carrara e Bonifacio conte di Verona.42 Era presente in qualità di testimone anche il ferrarese Salinguerra Torelli, che negli anni seguenti avrebbe lottato 39 Sul trevigiano Alberico o Albrighetto Pandimiglio si veda G. M. Varanini, Azzo VI d’Este (†1212) e le società cittadine dell’Italia nord-orientale:convergenze e divergenze di progetti politici fra XII e XIII secolo, in Gli Estensi nell’Europa medievale. Potere, cultura e società, Convegno per l’ottavo centenario della morte di Azzo VI marchese d’Este, 1212–2012 (Este, 15 settembre 2012), a cura di C. Bertazzo, F.Tognana, Sommacampagna 2014, pp. 135–177, in partic. p. 147. Il saggio di Varanini è ricco di riferimenti alla figura di Alisia, qui denominata Ailice. 40 Si legge nel documento: “Promisit etiam et convenit suprascriptus Marchio, suprascriptam Dominam tamquam uxorem suam honeste tractare, profitendo Albertum de Baone, et Albericum Pandemilio, et Martinum de Mediolano, et Franciscum de Calderio ad hoc nunzio fuisse. Et quicquid super his in Curia Regis Ungarici pro ipso Marchione cum ipsa Domina fecerunt et pepigerunt, firmum et ratum habuit” (Muratori, Delle Antichità, cit., p. 380). 41 Gemona, teatro delle nozze, era soggetta al Patriarcato di Aquileia. 42 Il conte Bonifacio di San Bonifacio fu uno dei maggiori alleati di Azzo VI, col quale resse per anni la podesteria del Comune di Verona. La dote di Beatrice d’Aragona 277 duramente contro gli Estensi. Fra i notabili ferraresi presero parte alla cerimonia anche Ottolino Mainardi e Giacomo Fontana. Ai primi del Duecento gli Estensi erano ancora lontani dal conseguire un predominio indiscusso su Ferrara; essi possedevano case in città, ma la loro si configurava ancora, essenzialmente, come una signoria rurale, incentrata sui castelli e sul dominio fondiario. Tra fine XII e inizio XIII secolo i marchesi d’Este dominavano vaste aree del Veneto meridionale, nel basso Adige, tra la Marca veronese e il Polesine.43 Fulcro della signoria estense erano gli aviti castelli euganei: Este, il castello eponimo, e i vicini castra di Baone, Calaone, Cerro, cui si aggiungevano gli importanti centri di Monselice e, più ad ovest, di Montagnana. Il dominio signorile estense poggiava su un vasto patrimonio immobiliare, costituito da beni feudali, allodiali e livellari soggetti alla giurisdizione marchionale. Se da un lato Azzo VI puntava al consolidamento del dominio territoriale, dall’altro mirava decisamente all’ascesa politica all’interno dei Comuni cittadini, attraverso il controllo delle magistrature podestarili.44 A Ferrara egli aveva ottenuto la podesteria già negli anni Novanta del XII secolo, ma a partire dal 1206 divenne podestà anche a Verona, e più tardi di Mantova. Le ambizioni estensi erano però frenate dai potenti rivali della parte ghibellina, i da Romano nella Marca trevigiana e Salinguerra Torelli a Ferrara. A Ferrara gli Estensi 43 Ampia è la bibliografia sulle aristocrazie della Marca veronese e trevigiana fra XII e XIII secolo. In primo luogo vanno richiamati i numerosi studi di Andrea Castagnetti e Gian Maria Varanini, oltre ai lavori di Daniela Rando e Sante Bortolami. Sugli Este prima del loro radicamento in Ferrara si vedano: A. Castagnetti, Profilo dei marchesi d’Este (sec. XI–XIII), in Studi di storia per Luigi Ambrosoli, Verona 1993, pp. 1–5; Id., Guelfi ed Estensi nei secoli XI e XII. Contributo allo studio dei rapporti fra nobiltà teutonica ed italica, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX–XII), III, Roma 2003, III, pp. 41–102. Si vedano anche i saggi presenti nel volume Istituzioni, società e potere nella Marca Trevigiana e Veronese (secoli XIII–XIV). Sulle tracce di G.B. Verci, a cura di M. Knapton, G. Ortalli, Roma 1988. Più in generale si vedano studi contenuti nei seguenti volumi: Istituzioni, società e potere nella Marca Trevigiana e Veronese (secoli XIII–XIV). Sulle tracce di G.B. Verci, a cura di M. Knapton, G. Ortalli, Roma 1988; Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella Marca, a cura di A. Castagnetti, G.M. Varanini, Verona 1991. 44 Su Azzo VI si segnala il seguente saggio di Gian Maria Varanini, fra i pochi a contenere riferimenti alla figura di Alisia: Id, Azzo VI d’Este (†1212) e le società cittadine dell’Italia nordorientale:convergenze e divergenze di progetti politici fra XII e XIII secolo, in Gli Estensi nell’Europa medievale. Potere, cultura e società, Convegno per l’ottavo centenario della morte di Azzo VI marchese d’Este, 1212–2012 (Este, 15 settembre 2012), a cura di C. Bertazzo, F. Tognana, Sommacampagna 2014, pp. 135–177. Il saggio risulta importante anche per i ricchi riferimenti bibliografici. 278 Riccardo Pallotti avevano raccolto l’eredità politica degli Adelardi e si erano posti alla guida della parte guelfa, dando vita ad un conflitto con Salinguerra che si sarebbe protratto ben oltre la morte di Azzo VI. Nella Marca trevigiana e in quella veronese i nemici degli Este si battevano sotto le insegne dei da Romano, guidati, al tempo di Azzo VI, da Ezzelino II il Monaco, padre del celebre Ezzelino III. In quanto guida della parte guelfa, Azzo VI poteva beneficiare del pieno appoggio di papa Innocenzo III, fondamentale per gli Estensi al fine di ottenere una legittimazione giuridica ed un effettivo consolidamento dei loro poteri a Ferrara. Al tempo stesso il sostegno di Azzo VI d’Este consentiva ad Innocenzo III di estendere la sua azione di “recuperazione” territoriale fino al Po; obiettivo primario del pontefice, infatti, era assoggettare all’effettivo dominio papale le terre dell’Esarcato (Romagna) e della Pentapoli (Umbria, Marche) donate alla Chiesa di Roma già dai sovrani carolingi. Ferrara era parte integrante dell’antico Esarcato, ed in quanto tale rientrava tra i territori rivendicati dalla Santa Sede. É dunque in un siffatto contesto che, a giudizio di chi scrive, si possono inserire le nozze di Azzo VI, protetto di Innocenzo III, con Alisia di Châtillon, anch’essa una protetta del papa. La protezione concessa alla principessa scaturiva dall’alleanza di Innocenzo III con re Imre di Ungheria, ma anche dall’ideologia crociata dello stesso pontefice e dalla sua grande attenzione rivolta agli stati latini d’Oriente. Dovere della Chiesa universale e dei sovrani europei era quello di sostenere e tutelare dalla minaccia musulmana i principi crociati della Terrasanta. I principi crociati e i loro discendenti, come Alisia, appunto; una principessa, peraltro, figlia di un crociato del quale si andava diffondendo la fama di martire. In sintesi, favorendo le nozze di Alisia con Azzo d’Este, il papa affidava una propria protetta ad un casato fedele alla Chiesa di Roma; un casato, che con tale unione, rinsaldava il proprio legame col Papato, si legava ad un importante regno europeo quale era quello ungherese e si avvicinava così, almeno idealmente, alla Terrasanta, ai principati crociati e a quel mondo della cavalleria franco-normanna che aveva dato vita agli stati latini del Vicino Oriente. Un legame che favoriva l’ascesa della Casa d’Este sul piano politico ma che ancor di più rivestiva una importanza sul terreno simbolico ed ideologico, soprattutto in decenni che vedevano la diffusione dell’ideale cavalleresco nelle corti europee. Un legame con la Terrasanta e con il mondo cortese e cavalleresco che due secoli più tardi, nel 1413, sempre all’interno del casato estense, trovò espressione nel pellegrinaggio in Palestina di Niccolò III d’Este, che nel Santo Sepolcro di Gerusalemme nominò cavalieri i suoi cortigiani e sul Calvario ricevette gli speroni d’oro. La dote di Beatrice d’Aragona 279 Alisia e Azzo VI dopo il 1204 Il favore di Innocenzo III verso la Casa d’Este si manifestò con l’investitura della Marca di Ancona, concessa ad Azzo VI nel 1208. Va tuttavia rimarcato come l’Estense riuscisse per anni a condurre una politica di equilibrio tra Papato e Impero, che gli fruttò importanti concessioni. Il 18 giugno 1207, con un diploma emanato da Strasburgo, il re dei Romani Filippo di Svevia concedette in feudo ad Azzo VI d’Este e alla moglie Alisia le villae di Cologna, Pressana, Baldaria, Zimella e Bagnolo, ubicate nel distretto di Verona ma soggette alla diocesi di Vicenza.45 Questi luoghi ebbero un ruolo di rilievo nelle vicende di Alisia e del marito, soprattutto il castello di Cologna. Come sottolinea Varanini, Azzo VI aveva utilizzato i proventi della dote di Alisia per acquistare beni e diritti giurisdizionali sui suddetti luoghi, fra i quali Cologna rivestiva una particolare importanza nella progettualità politica del marchese.46 L’acquisto del castello di Cologna, ubicato in luogo strategico, permetteva ad Azzo VI di estendere la propria giurisdizione signorile dalle tradizionali basi di potere lungo l’Adige fino al cuore della Marca veronese, nel tentativo, attraverso il controllo del Comune di Verona, di dar vita ad una vera e propria signoria regionale.47 Il castello di Cologna venne dunque configurandosi come base patrimoniale e giurisdizionale della coppia marchionale. Qui la marchesa possedeva una casa, come attesta un atto del 22 settembre 1214 rogato in domo domine Ailix Hestiensis;48 possiamo quindi ipotizzare che ella abbia vissuto qui, almeno per certi periodi, alternando probabilmente soggiorni a Verona, presso il marito, Cologna Veneta ad altri castelli, in primis Calaone, dove negli anni seguenti troviamo attestata un’altra sua proprietà. Con l’atto del settembre 1214 Alisia, ormai vedova, designò quale suo procuratore nel distretto di Verona Ottolno di Calzolario, ad ulteriore testimonianza del radicamento estense nel Veronese. Come ricorda Varanini, inoltre, a Cologna sono attestati assessores, nuncii e vicecomites che agivano a nome della marchesa.49 45 ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 65. 46 Varanini, Azzo VI, cit., pp. 147–150. 47 Varanini, Azzo VI, cit., p. 149. 48 Si tratta di una pergamena dell’Archivio di Stato di Verona citata in Varanini, Azzo VI, cit., pp. 149, 171. Con questo atto la vedova di Azzo VI designò quale suo procuratore nel distretto di Verona Ottolno di Calzolario. 49 Varanini, Azzo VI, cit., p. 149. 280 Riccardo Pallotti Tre anni dopo l’investitura di re Filippo, la coppia marchionale ottenne la conferma di Cologna e delle altre quattro villae da parte del nuovo re dei Romani, Ottone IV di Brunswick.50 Dopo la morte di Filippo di Svevia, il guelfo Ottone, figlio del duca Enrico il Leone, nel 1209 discese in Italia per cingere la corona imperiale. Ottone IV riuscì temporaneamente a pacificare le fazioni, se pensiamo che nel suo viaggio verso Roma ottenne di essere scortato sia da Azzo sia dai suoi tradizionali rivali, Ezzelino II da Romano e Salinguerra Torelli. Fu nel contesto di questo Romzug che Azzo VI riuscì ad ottenere il rinnovo dell’investitura sulle villae di Cologna, Pressana, Baldaria, Zimella e Bagnolo. Il diploma di Ottone IV, datato Foligno 5 gennaio 1210, costituisce una nuova testimonianza della presenza di Alisia, che figura assieme al consorte in qualità di beneficiaria dell’investitura.51 Inoltre l’investitura era accordata anche ai figli nati dalla loro unione; qualora non fossero nati eredi maschi, il beneficio sarebbe passato alla loro discendenza femminile. Pochi giorni dopo, Azzo d’Este ottenne dall’imperatore anche l’investitura dell’intera Marca di Ancona, da Pesaro ad Ascoli, quello stesso territorio che già Innocenzo III nel 1208 gli aveva concesso con piene prerogative giurisdizionali. Questo secondo privilegio fu emanato dall’imperatore in Chiusi, nella giornata del 20 gennaio 1210.52 La caduta in disgrazia di Ottone IV, scomunicato da Innocenzo III, ricondusse stabilmente lo sposo di Alisia allo schieramento filopapale. Nel solco di un rinnovato legame con il pontefice, Azzo VI espulse da Ferrara il vicario di Ottone IV e Salinguerra Torelli. Dal canto suo il pontefice, interessato al rafforzamento della signoria estense su Ferrara, feudo della Chiesa, autorizzò Azzo ad edificare una castello in città; parimenti, esortò l’arcivescovo di Ravenna a cedere all’Estense l’importante castello di Argenta.53 La rottura con Ottone IV e la rivalità col Torelli ebbero forti ripercussioni. Azzo VI subì il bando e una sentenza sfavorevole nel contenzioso con Bonifacio 50 Sui diplomi di Ottone IV a favore degli Estensi si rimanda al seguente studio: R. Rinaldi, I documenti dell’imperatore. Ottone IV e i marchesi d’Este (1210–1212), con appendice documentaria a cura di L. Righi, in «Quaderni Estensi», VI (2014), pp. 245–257. 51 ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 1. Vedi Rinaldi, I documenti, cit., p. 246. 52 ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 5. Vedi Rinaldi, I documenti, cit., p. 246. 53 T. Dean, Este, Azzo d’, in Dizionario biografico degli italiani (=DBI), XLIII Roma, 1993, https: //tinyurl.com/5n8jkea5. La dote di Beatrice d’Aragona 281 d’Este che già abbiamo ricordato.54 Zio del marchese ma di lui più giovane, Bonifacio era soggetto alla tutela patrimoniale di Azzo; nel 1212, però, Bonifacio si rivolse all’imperatore, richiedendo di entrare in possesso della sua legittima eredità. Con una sentenza del 10 febbraio 1212, Ottone IV accolse la supplica di Bonifacio e lo affrancò dalla tutela di Azzo. La sentenza imperiale non dovette però chiudere un contenzioso che proseguì anche dopo la morte di Azzo VI, con il coinvolgimento della stessa Alisia. Alcune settimane dopo la sentenza sfavorevole, Azzo d’Este incontrò a Roma il rivale di Ottone, Federico di Svevia, pupillo del papa; come è noto, Innocenzo III era il tutore del giovane Federico, re di Sicilia, candidato papale al trono imperiale. Azzo VI scortò lo Svevo nel suo viaggio verso la Germania, assicurandogli un transito sicuro dall’Italia padana. Il legame con Innocenzo III consentì così ad Azzo VI, negli ultimi mesi della propria vita, di instaurare buoni rapporti anche col nuovo potere imperiale in ascesa. Nel corso del 1212 il marchese si ammalò e il 18 novembre di quell’anno, a Verona, dettò le sue ultime volontà.55 Nel testamento nominò eredi i suoi due figli, Aldobrandino, già adulto, e Azzo Novello (Azzo VII), un bambino; quest’ultimo era figlio del marchese e di Alisia, mentre Aldobrandino era nato dal primo matrimonio di Azzo. Il testamento fu poi integrato con alcuni codicilli; in essi il marchese dispose la restituzione alla moglie di 3000 lire di denari veronesi, somma impegnata per l’acquisto di Cologna. Il codicillo specifica che tale somma proveniva dalla dote di Alisia, ammontante a 2000 marche d’argento, e da altre 1000 marche possedute dalla donna a diverso titolo. Nei codicilli al testamento venivano disposti anche lasciti a favore delle due figlie, Beatrice e Costanza. Beatrice, fondatrice del monastero di Gemola e proclamata beata nel XVIII secolo, era figlia di Azzo VI e di una principessa sabauda, mentre Costanza era nata da Alisia. Azzo VI morì verso la fine del 1212 e il potere marchionale passò nelle mani di Aldobrandino. Egli raccolse un’eredità difficile, in quanto alla guerra in Veneto si aggiungevano i problemi riguardanti la Marca di Ancona. In piena continuità con l’operato paterno, il nuovo marchese si appoggiò a papa Innocenzo III e a Federico II. Il pontefice gli rinnovò l’investitura della Marca di Ancona, sollecitandolo all’intervento contro i conti di Celano; i costi della guerra furono però ingenti, al punto che il marchese dovette cedere in ostaggio il piccolo 54 ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, nn. 8–11. Sul contenzioso Azzo VI – Bonifacio si rinvia a Rinaldi, I documenti, cit., pp. 247–248. 55 Il testamento e i codicilli furono pubblicati dal Muratori: Id., Delle Antichità, cit., pp. 403–404. 282 Riccardo Pallotti Azzo VII ai creditori, i banchieri fiorentini. In tale frangente ritroviamo Alisia di Châtillon/Este, la quale provvide personalmente a riscattare il figlio con il pagamento di una forte somma. Alisia dovette ricoprire un ruolo di rilievo nelle vicende del casato estense durante il secondo decennio del Duecento. La sua importanza accrebbe con il vuoto di potere creatosi alla morte di Aldobrandino, nel 1215. Alla prematura scomparsa del fratellastro, il piccolo Azzo VII assunse formalmente le redini del casato sotto la tutela della madre, di Tisone da Camposampiero e di Alberto da Baone; quest’ultimo, lo ricordiamo, era uno dei quattro vassalli estensi che nel 1204 avevano scortato Alisia in Italia. Tisone e Alberto però dovettero morire di lì a breve, lasciando la sola Alisia, di fatto, a reggere le sorti della signoria. Nel suo ruolo di reggente de facto, la donna operò in primis per tutelare i beni di suo figlio. L’operato della vedova di Azzo VI a tutela del figlio non sfuggì al Muratori, che nel menzionare la scomparsa dei due tutori suddetti, così commenta: “Comunque sia, trovo io, che Alisia sua madre maneggiò dipoi gl’interessi di questo suo figliuolo”.56 Il ruolo di Alisia si era già distinto, probabilmente, nel quadro del contenzioso con Bonifacio d’Este. La sentenza di Ottone IV e la morte di Azzo VI non dovevano aver chiuso la disputa, in quanto il Muratori, riportando una nota del Prisciani, riferisce di una lite in sede di giudizio tra Bonifacio figlio di Sofia e del defunto Obizzo, da una parte, e Azzo (evidentemente Azzo VII) e Dominam Aliz ejus matrem dall’altra, riguardante il testamento del marchese Obizzo I.57 L’azione di Alisia a tutela del patrimonio del piccolo Azzo VII è confermata anche da un contratto stipulato a Rovigo il 14 marzo 1216.58 Si tratta di un contratto di livello stipulato con l’abate di un monastero particolarmente legato alla Casa d’Este, l’abbazia polesana di Santa Maria di Vangadizza, destinata ad accogliere le spoglie dei marchesi estensi, fra cui gli stessi Azzo VI e Alisia. Con tale atto la contessa d’Este, come viene definita nel documento, ricevette, a nome del figlio, dall’abate Sansone, 100 mansi di terra posti tra Mardimoco e il fosso Tartarello. Si trattava di beni fondiari dell’abbazia situati nelle valli comprese tra il Basso veronese e il Mantovano. Il livellario era tenuto a corrispondere al monastero, ogni anno, in occasione della festività dell’Assunzione di Maria, tre libbre di incenso. 56 Muratori, Delle Antichità, cit., p. 423. Ibidem, p. 399. 58 ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 18. 57 La dote di Beatrice d’Aragona 283 Il 16 luglio 1216 si spense a Perugia papa Innocenzo III, il grande pontefice che tanta parte aveva avuto nell’esistenza di Alisia così come nelle vicende estensi. Gli Este conservarono comunque il loro rapporto preferenziale con la Santa Sede, se si pensa che già pochi mesi dopo, nel 1217, il nuovo pontefice Onorio III rinnovò ad Azzo VII l’investitura della Marca di Ancona. Le successive testimonianze relative alla figlia di Rinaldo provengono dalle pergamene del fondo Casa e Stato, l’archivio dinastico estense. Tali testimonianze documentarie sono costituite da atti relativi a controversie patrimoniali che segnarono tutta l’ultima fase della vita di Alisia, impegnata in una strenua difesa dei diritti del proprio figlio Azzo VII. Alcuni documenti però sono andati perduti e ci sono noti solo grazie al Muratori; è questo il caso di un atto del 24 settembre 1217, con cui Alisia e la figliastra Beatrice si accordarono per una divisione dei beni di famiglia posti in Montagnana.59 Da questo atto apprendiamo che la madre del marchese risiedeva nel castello di Calaone, nei pressi di Este; il rogito venne infatti stipulato in Castro Calaonis in domo, in qua Domina Aylix habitat. Calaone e Cologna dovettero essere quindi fra i principali luoghi di residenza della figlia di Rinaldo di Châtillon. Anche le testimonianze successive provengono da rogiti notarili riguardanti il patrimonio di famiglia. Due anni dopo, nel 1219, con un atto rogato a Rovigo in domo Marchionis, Alisia nominò suo procuratore Giovanni di Canossa in relazione all’investitura di alcuni beni concessi a Migliore figlio di Odone. Altre investiture di beni ebbero luogo nel 1219 e nel 1222 con atti rogati in Gemola, in domo parlatorii. Alisia è infine menzionata in un atto di investitura rogato nel castello di Calaone, in sala camerae turris, dal notaio imperiale Enrico.60 Alla metà degli anni trenta del Duecento la donna era ancora in vita. Lo attesta, fra gli altri, un atto di donazione del 1235 a favore del monastero di Santa Maria delle Carceri, istituzione monastica strettamente legata al casato estense. Anche in questo caso si tratta di un documento andato disperso, e di cui abbiamo notizia unicamente grazie al Muratori.61 Il marchese Azzo VII effettuò una donazione al monastero delle Carceri praesente et consentiente ipsa Domina Adelice sua matre, et eius verbo. L’atto fu rogato negli appartamenti di Azzo VII 59 Le controversie patrimoniali che videro coinvolta Alisia sono attestate da pergamene relative agli anni 1229-1236: ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato, Membranacei, cass. 3, nn. 42, 46—51, 55. Per l’atto del 24 settembre 1217 si veda invece Muratori, Delle Antichità, cit., pp. 407–408. 60 Ibidem, cit., p. 423. 61 Muratori, Delle Antichità, cit., p. 423. 284 Riccardo Pallotti ubicati nel mastio del castello di Este (in Dolone Estensi in Camera picta Domini Azzonis Estensis Marchionis). Tuttavia, questa donazione del 1235 non rappresenta l’ultima testimonianza di Alisia. La marchesa infatti era ancora in vita nel 1236, come attesta l’ennesimo contenzioso, stavolta con il il Comune di Padova, per via del controllo di un bosco e di altri beni situati n Calaone. Il successivo silenzio delle fonti ci fa ipotizzare che ella sia morta di lì a breve, poco dopo la morte di re András II d’Ungheria, marito di Beatrice d’Este.62 Non conosciamo il ruolo di Alisia in riferimento alle nozze ungheresi della figlia di Aldobrandino; è tuttavia ipotizzabile che trattandosi della zia di András II, con lunghi trascorsi alla corte arpadiana, la vedova di Azzo VI abbia giocato una qualche parte in questo negotium matrimoniale. Le nozze furono celebrate nel 1234 ma già nel 1235 re András II morì e con l’ascesa di Béla IV la giovane vedova, incinta, cadde in disgrazia.63 Beatrice d’Este riuscì comunque a riparare all’estero, come già era accaduto trent’anni prima alla regina Costanza, vedova di Imre. Il regno di Beatrice fu dunque breve, tuttavia l’ascesa di una principessa estense sul trono magiaro coronò l’avvio di quei rapporti plurisecolari tra l’Ungheria e la Casa d’Este che si mantennero di fatto fino all’Ottocento. L’inizio di una lunga storia, con le nozze di András II e Beatrice d’Este, le cui premesse sono però rinvenibili, come visto, già trent’anni prima, quando Alisia di Châtillon, zia di re Imre, lasciò le pianure ungheresi per la corte estense. Appendice documentaria 1198 giugno 16, Roma Papa Innocenzo III prende sotto la propria protezione Alisia di Châtillon e i beni che le sono stati donati da Imre re di Ungheria. P. Prisciani, Historiae Ferrariae, VII, ms. 131, c. 19 v; L. A. Muratori, Delle Antichità Estensi ed Italiane. Parte prima, Modena 1717, p. 379. “Innocentius/ Episcopus Servus Servorum Dei. Dilec/tae in Christo filiae nobili mulieri Aliz64 / filiae quondam principis Rainaldi Salutem/ et apostolicam 62 L’ultima testimonianza di Alisia ancora in vita è della primavera del 1236: ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato, cass. 2, n. 55. 63 Si rinvia allo studio di Patriza Cremonini citato a nota 24. 64 Alis nel testo di Prisciani. La dote di Beatrice d’Aragona 285 benedictionem. Iustis pe/tentium desideriis dignum est nos facilem65 / praebere consensum et vota quae a ratio/nis tramite non discordant, effectu/ prosequente complere. Eapropter, dilecta in/ Domino filia, tuis justis postulationi/bus grato concurrentes assensu, personam66 / tuam cum omnibus bonis, quae in praesen/tiarum rationabiliter possides, vel in futu/rum justis modis, praestante Domino,67 poteris/ adipisci, sub b(eati) Petri et nostra pro/tectione suscipimus. Spetialiter autem/ donationem quadrigentarum marcharum/ annui redditus, et centum mansionum/ servorum, villae etiam, quae dicitur Tor/nai, et aliarum quatuor villarum/ cum omnibus pertinentiis suis, et alio/rum tam in annuis vestibus, quam in a/liis, factam tibi a karissimo in Christo/ filio nostro H[emerico]68 illustri Rege Unga/rie, sicut in ejusdem Regis autenti/co continetur, et tu ea juste possi/des et quiete, auctoritate tibi apo/stolica confirmamus, et praesentis prae/cepti patrocinio communimus. Nul/li ergo omnino hominum liceat hanc/ paginam nostrae protectionis et con/firmationis infringere, vel ei ausu te/merario contraire. Si quis autem hoc/ attentare praesumpserit, indignationem/ omnipotentis Dei et beatorum Petri/ et Pauli apostolorum eius se noverit/ incursurum.69 Datum Romae apud/ S. Petrum XVI. Kalendas Julii/, Pontificatus Nostri anno primo.” Tav. 1 – Albero genealogico sintetico. In evidenza i rapporti parentali tra gli Estensi, la discendenza di Rinaldo di Châtillon e la dinastia arpadiana regnante in Ungheria. (elaborato realizzato da Riccardo Pallotti) Tav. 2 – Illustrazione tratta dall’opera di Pellegrino Prisciani. Le scene militari e i luoghi raffigurati sono riconducibili alle crociate in Terrasanta. Gli eserciti in marcia potrebbero essere, in particolare, quelli della terza crociata. L’identificazione della principessa raffigurata in primo piano, su una nave, con Alisia di Châtillon sarebbe suggerita dal testo a fianco, in cui è riportata la bolla di Innocenzo III a favore della principessa. (P. Prisciani, Historiae Ferrariae, VII, ms. 131, c. 19 v) 65 facilis nel testo di Prisciani. personas nel testo di Prisciani. 67 Deo nell’edizione muratoriana. 68 H. sia in Prisciani sia in Muratori. 69 Muratori abbrevia il decretum e non riporta la sanctio: Nulli ergo omnino hominum etc. Datum… 66 286 Riccardo Pallotti Tav. 3 – 1204, febbraio 22, Gemona, chiesa di Santa Maria di Clemena. Strumento dotale di Alisia di Châtillon. Il marchese Azzo VI d’Este dichiara di ricevere dalla moglie Alisia una dote di duemila marche d’argento. Contestualmente l’Estense investe la sposa di tutti i suoi beni mobili e immobili. Il presente documento è una copia autentica dello strumento originale, rogata in Este in data 16 gennaio 1210. (ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 63) Tav. 4 – 1207, giugno 18, Strasburgo. Il re dei Romani Filippo di Svevia concede in feudo al marchese Azzo VI d’Este e sua moglie Alisia le ville di Pressana, Cologna, Baldaria, Simella e Bagnolo, poste nella diocesi di Vicenza. Diploma originale in pergamena, con traccia di sigillo pendente. (ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 65) Tav. 5 – 1210, gennaio 5, Foligno. L’imperatore Ottone IV di Brunswick conferma ai coniugi Azzo VI d’Este ed Alisia e ai loro eredi l’investitura delle ville di Pressana, Cologna, Baldaria, Simella e Bagnolo, in diocesi di Vicenza. Diploma originale in pergamena, con traccia di sigillo pendente. L’atto reca il monogramma dell’imperatore Ottone IV e la recognitio di Corrado vescovo di Spira e cancelliere aulico, in luogo di Teoderico, arcivescovo di Colonia e arcicancellerie imperiale per l’Italia. (ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 1) Tav. 6 – Copia autentica in pergamena dell’investitura di Ottone IV, rogata dal notaio ferrarese Guido Brusati in data 5 gennaio 1311. (ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 2) Tav. 7 – 1216, marzo 14, Rovigo. Alisia d’Este riceve dall’abate di Vangadizza, in nome del figlio Azzo Novello, 100 mansi di terra in livello perpetuo. (ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 18) La dote di Beatrice d’Aragona 287 Tav. 8 – Le rovine della rocca di Torna, nella regione di Kassa/Košice. La villa que dicitur Tornai fu donata ad Alisia da re Imre, come attesta la bolla papale riportata dal Prisciani. (By Martin Hlauka (Pescan), Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/ index.php?curid=247450 Tav. 9 – La fortezza crociata di Kerak, in Giordania. Fra gli anni Settanta ed Ottanta del XII secolo la fortezza, assediata dal Saladino, era il principale centro di potere di Rinaldo di Châtillon. (Di Alexander – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/ index.php?curid=3555127 Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Il diario di Giovanni Maria Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)1 Hajnalka Kuffart Centro di Ricerca delle Scienze Umanistiche, Istituto di Storia kuffart.hajnalka@abtk.hu Abstract Giovanni Maria Parenti was a learned cleric, poet and grammarian from Modena who wrote a biography of the city’s patron saint, St Geminianus, printed in 1495. It is less well known that he also participated in a mission, sent to Hungary by Duke Ercole I d’Este in 1486 headed by the orator Cesare Valentini. Parenti compiled a diary on their journey from Venice to the Hungarian royal court. The twelve-page manuscript is preserved in the State Archives in Modena. The text is not a simple list of places seen, but a lively and eventful account in which anecdotes, praise and sometimes even sharp criticism of the circumstances observed appear. This paper deals with the content of the document, the historical context, and makes an edition of the original text. The final table collects those Valentini letters that are written by Parenti’s hand. La figura di Giovanni Maria Parenti2 è una di quelle figure fortunate che si trovano nel fuoco delle ricerche contemporanee, dato che la sua opera composta sulla vita di San Geminiano, patrono della città di Modena, stampata nel 1495, 1 La ricerca è stata appoggiata dai seguenti programmi: “ITM NKFIH Innovációs Alap TKP 2021-NKTA15”, “NKFI K 128797” e “NKFI K 134690”. In questa sede vorrei esprimere la mia gratitudine agli studiosi seguenti: György Domokos, Tibor Neumann, Bence Péterfi, Norbert Mátyus, Boglárka Weisz, Ilona Kristóf, Judit Gál, István Kádas, Konstantin Vukov per i consigli preziosi, e agli studenti del Dipartimento dell’Italianistica dell’Università Cattolica Péter Pázmány (Mónika Mezei, Dóra Báthori e Balázs Endrédy) per il loro aiuto utile nei controlli della trascrizione del testo originale. 2 Ho scelto la forma arcaizzante del cognome (Parenti) al posto di quello usato dalla letteratura scientifica italiana (Parente), conservando così il caso genitivo del latino che esprime l’appartenenza ad una famiglia. 290 Hajnalka Kuffart è uscita recentissimamente in un’edizione critica.3 Oltre alla biografia del santo patrono di Modena scrisse anche un componimento in terzine, in forma di dialogo, che uscì nel 1483 con il titolo Dialogo in commendazione delle donzelle modenesi. L’autore era un chierico colto, discepolo di Bartolomeo Paganelli da Prignano, il cui Opus Grammatices pubblicò Parenti nel 1494, un anno prima del proprio capolavoro. Parenti è considerato anche come membro del gruppo di quei grammatici e letterati che, per la città di Modena, significavano la “Rinascenza modenese” nella seconda metà del Quattrocento.4 Nel presente e modesto contributo vorrei presentare un episodio della vita di quest’umanista modenese, pubblicando un suo autografo di dodici pagine, finora inedito, che è conservato presso l’Archivio di Stato di Modena e che sfiora, non poco, la storia del Regno d’Ungheria dell’epoca: si tratta del suo diario di un viaggio5 fatto tra il 13 giugno e il 24 luglio 1486 da Venezia fino alla corte reale ungherese. Il contesto storico Durante il Medioevo nel Regno d’Ungheria esistevano due sedi arcivescovili: Esztergom e Kalocsa, ai quali appartenevano, dal punto di vista organizzativo, gli altri vescovati del regno. Il primate, quindi il capo della chiesa ungherese, era sempre l’arcivescovo di Esztergom, ovvero l’autorità ecclesiale più importante del paese che, non a caso, era anche chiamato primo barone del regno. Mattia Corvino, re d’Ungheria (1458–1490), ebbe però modo di conoscere, per esperienza propria, il tradimento e l’infedeltà di due arcivescovi di Esztergom: prima, nel 1471, János Zrednai (Vitéz)6 preparò una congiura contro Mattia, 3 La Gloriosissimi Geminiani Vita di Giovanni Maria Parente. Edizione critica a cura di Anna Spiazzi. Milano: Ledizioni, 2021 (d’ora in poi: Gloriosissimi Geminiani Vita). Vedi anche G. Montecchi: ‘La vita di san Geminiano narrata, illustrata, e rappresentata ai cittadini di Modena (1494– 1495)’, in: Id.: Il libro nel Rinascimento. Volume secondo. Scrittura, immagine, testo e contesto, Roma: Viella, 2005: 99–126. L’incunabolo è disponibile online: http://digitale.beic.it/BEIC:RD01: 39bei_digitool536350. 4 Gloriosissimi Geminiani Vita, op.cit.: 20–21. 5 L’opera di Parenti rientra tra i resoconti di viaggio diffusi nel Medioevo. Su questo genere e sulla letteratura di viaggio si veda più ampiamente: I. Lazzarini: L’ordine delle scritture. Il linguaggio documentario del potere nell’Italia tardomedievale, Roma: Viella, 2021: 101–109. 6 János Zrednai (1408–1472) fu lo zio del poeta Janus Pannonius. Ho messo il nome Vitéz tra parentesi perché le nuove ricerche hanno dimostrato che il famoso arcivescovo umanista – conosciuto con il cognome Vitéz grazie ad Antonio Bonfini – in realtà non apparteneva a questa famiglia, cfr. K. Csapodiné Gárdonyi: ‘Vitéz János neve’, Turul 71, 1998: 25–29; T. Pálosfalvi: Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 291 volendo chiamare al trono Casimiro di Cracovia, figlio del re polacco.7 Cinque anni dopo Johann Beckensloer, il successore di Zrednai nella sede arcivescovile e, al tempo stesso, cancelliere del regno, fuggì dal paese sotto la protezione dell’imperatore Federico III d’Asburgo, portando con sè la sua tesoreria enorme.8 Di conseguenza il re Mattia voleva vedere, presso la sede di Esztergom, una persona politicamente meno significativa, uno che non diventasse la sua opposizione interna. Prima, nel 1479, fu nominato il cognato Giovanni d’Aragona,9 che poteva pure rappresentare gli interessi del re Mattia presso la Santa Sede dato che Giovanni, come cardinale, trascorse la maggior parte del suo tempo a Roma. Dopo la sua improvvisa morte, avvenuta nel 1485, il re ungherese, con un gesto “sfacciato”, scelse il nipote seienne, Ippolito d’Este, figlio del duca di Ferrara. Venuto a conoscenza dell’intenzione del re magiaro, Ercole I d’Este mandò un ambasciatore alla corte di Buda nella persona di Bartolomeo Bresciani.10 Prima di ribadire la nomina di Ippolito, Mattia voleva però aspettare il consenso del re di Napoli e la sua conferma di non aver altro figlio legittimo a cui cedere il beneficio ecclesiastico. La risposta di Ferdinando (Ferrante) d’Aragona ritardava, perciò l’ambasciatore ferrarese dovette aspettare alcune settimane in più, durante le quali – tra il 31 gennaio e l’8 marzo 148611 – scrisse nove relazioni in cui raccontava vari dettagli sulla vita della ‘Vitézek és Garázdák. A szlavóniai humanisták származásának kérdéséhez’, Turul 86, 2013: 15– 16; Id.: The Noble Elite in the County of Körös (Križevci) 1400–1526. Magyar Történelmi Emlékek. Értekezések. Budapest: Institutum Historicum Sedis Centralis Studiorum Philosophicorum Academiae Scientiarum Hungaricae, 2014: 168. 7 Il tentativo di Zrednai cadde presto e Mattia l’imprigionò, cfr. A. Kubinyi, Matthias Rex. Budapest: Balassi Kiadó, 2008: 91–93. 8 Ibid.: 97–99. 9 Giovanni d’Aragona (1456–1485), figlio del re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, e fratello di Eleonora e Beatrice d’Aragona. Sulla sua vita si veda Edit Pásztor, Giovanni d’Aragona, in Dizionario biografico degli italiani (=DBI), III Roma, 1961. https://www.treccani.it/enciclopedia/ giovanni-d-aragona_res-a1222702-87e6-11dc-8e9d-0016357eee51_(Dizionario-Biografico) 10 A quel tempo Bartolomeo Bresciani era un messo presso la cancelleria del ducato di Ferrara: U. Caleffini: Croniche 1471–1494. Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, ed. T. Bacchi & M. Giovanna Galli, Ferrara, 2006: 143. 11 Archivio di Stato di Modena (=ASMo), Archivio Segreto Estense (=ASE), Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, busta 1. fascicolo 6. Le fotoriproduzioni dei documenti originali sono consultabili anche nel database Diplomatikai Fényképgyűjtemény (=DF) dell’Archivio Nazionale Ungherese (Magyar Nemzeti Levéltár, Országos Levéltár = MNL OL), sotto le segnature MNL OL DF 294346–354. 292 Hajnalka Kuffart corte reale magiara. Tra le tante cose assicurò alla madre, Eleonora d’Aragona,12 che sua sorella, la regina Beatrice,13 aspettava Ippolito come proprio figlio. Il re Ferrante finalmente approvò la scelta di Mattia, così la missione di Bresciani ebbe fine. Mentre stava ritornando in Italia, tuttavia, venne derubato: il medico della coppia reale, Franceschino da Brescia, che peraltro probabilmente era in parentela con Bartolomeo, gli affidò una certa somma di soldi per mandarla in Italia. Alcuni vennero a saperlo, seguirono l’ambasciatore da lontano e, una volta vicini a Zagabria, lo svaligiarono. La regina non sapeva dell’azione del suo medico, altrimenti avrebbe dato una scorta armata a Bresciani, come scriveva ad Eleonora in una lettera.14 Questa brutta notizia spaventò le due sorelle e le spinse a curare con maggiore attenzione l’organizzazione del viaggio del fanciullo. Il duca di Ferrara scelse un cittadino modenese, Cesare Valentini,15 come suo oratore per la seconda missione inviata nel Regno d’Ungheria. Lo scopo era quello di effettuare predisposizioni per il viaggio e per l’organizzazione della corte di suo figlio, mentre aspettavano il consenso del papa. Valentini ricevette 12 Eleonora d’Aragona (1450–1493), figlia di Ferdinando I d’Aragona, moglie di Ercole I d’Este. Il compendio più recente sulla sua persona: V. Prisco: Eleonora d’Aragona e la costruzione di un “corpo” politico al femminile (1450–1493). Tesi di dottorato dell’Universidad de Zaragoza, Dipartimento della Historia Medieval, Ciencias y Técnicas Historiográficas y Estudios Árabes e Islámicos, tutori: Francesco Barra, Maria del Carmen Gracia Herrero, Francesco Storti, 2019. 13 Beatrice d’Aragona (1457–1508), figlia di Ferdinando I d’Aragona e seconda moglie di Mattia Corvino. Sulla sua vita si veda A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, a cura di R. Mosca, Milano: Edizioni “Corbaccio”, 1931. Una gran parte dei documenti relativi alla regina è raccolta sempre da A. Berzeviczy, in Acta Vitam Beatricis Reginae Hungariae Illustrantia. Aragoniai Beatrix Magyar Királyné életére vonatkozó okiratok, a cura di A. Berzeviczy. Monumenta Hungariae historica. Diplomataria = Magyar történelmi emlékek. Okmánytárak 39. Magyar Tudományos Akadémia, Budapest, 1914. (d’ora in poi: Acta Vitam Beatricis); mentre la corrispondenza con sua sorella Eleonora è stata edita da E. Guerra: Il carteggio tra Beatrice d’Aragona e gli Estensi (1476–1508), a cura di E. Guerra, Roma, 2010 (d’ora in poi: Carteggio). 14 Carteggio p. 75. 15 Valentini fu un dottore giurista, nacque in una famiglia nobile di Modena e sposò la figlia del giurista bolognese Scipione Gozzadini, di nome Maddalena. Tra il 1478 e 1483 servì il duca Ercole I d’Este come suo ambasciatore a Milano, poi nel 1485 faceva parte della missione inviata dal duca ferrarese al papa Innocenzo VIII. Cfr. G. Ferrarini: Memoriale Estense (1476–1489), ed. P. Griguolo, Rovigo, 2006: 221, 368; B. Zambotti: Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504, ed. G. Pardi, Bologna, 1937, (Rerum Italicarum Scriptores 24) p. 165; M. Folin: ‘Gli oratori estensi nel sistema politico italiano (1440–1505)’, in: Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, ed. G. Fragnito & M. Miegge, Firenze, 2001: 67; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450–1500) I–XV, ed. F. Leverotti et al, Roma, 1999–2003: XI. (1478–1479), pp. 168, 170, 180, 183, 188, 193, 204. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 293 il dispaccio ducale il 7 giugno 148616 e, in quel momento, sembrava che Ippolito sarebbe partito nel giro di poche settimane, la commissione dell’oratore, quindi, non sarebbe dovuta durare più di qualche mese. Alla fine il tutto si prolungò fino al settembre del 1487, quattordici mesi in totale, a causa degli ostacoli che vincolavano la partenza del giovane prelato: papa Innocenzo VIII rifiutò di confermare la nomina di Ippolito che, per di più, in quel periodo era stato colpito da una malattia che non gli consentiva di viaggiare. In pratica l’arcivescovo, con la sua comitiva, partì solo il 18 giugno 1487.17 Di questa missione faceva parte Giovanni Maria Parenti in qualità di cancelliere di Cesare Valentini. Quasi la metà delle circa ottanta relazioni di Valentini è scritta con la calligrafia cancelleresca di Parenti, che ho riassunto in una tabella inserita nell’Appendice II. Quel che si nota è che questa parte è stata quasi interamente pubblicata, mentre i testi scritti dalla mano di Valentini sono rimasti in gran parte inediti. Parenti, durante il viaggio verso la corte di Mattia Corvino, prendeva note per compilarne poi un’epistola di ampio respiro a favore di Eleonora d’Aragona. Questa è l’unica lettera scritta a nome suo durante l’intera missione. Dal testo si evince che l’autore voleva dipingere accuratamente i dettagli per riferirli alla madre ansiosa per suo figlio. Anche se il destinatario era la duchessa, il cancelliere ricevette questo compito del resoconto da Niccolò da Correggio,18 che era deputato ad essere il capo della comitiva di Ippolito e che, forse dopo aver sentito del caso sfortunato di Bartolomeo Bresciani,19 voleva esser informato quanto più approfonditamente possibilie sulle difficoltà del cammino. La trascrizione della lettera di Parenti è il primo passo di un progetto più ampio che ha l’obiettivo di preparare un’edizione completa delle più o meno 16 Edizione del testo: Magyar diplomacziai emlékek Mátyás király korából, Vol. III, a cura di I. Nagy & A. Nyáry, Budapest, 1877: 101–108 (d’ora in poi: MDE). 17 Sugli eventi, più dettagliatamente, si vedano A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, op. cit.: 171– 204; A. Morselli: Ippolito I d’Este e il suo primo viaggio in Ungheria (1487), Modena: Società Tipografica Editrice Modenese, 1957; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”. Az esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, Történelmi Szemle 63, 2021: 323–382. Le ultime due pubblicazioni contengono trascrizioni di fonti originali. 18 Niccolò Postumo Correggio, poeta e cavaliere: P. Farenga: ‘Niccolò Postumo Correggio’, DBI XXIX, Roma, 1983 (https://www.treccani.it/enciclopedia/niccolo-postumo-correggio_ %28Dizionario-Biografico%29/). Alla fine fu però suo cugino, Borso da Correggio, ad accompagnare Ippolito al posto di Niccolò, ciò perché il duca Ercole lo portò con sé per un pellegrinaggio cfr. H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 332, 336; B. Zambotti: Diario ferrarese…, op.cit.: 182–187. 19 Cfr. 11 luglio nell’Appendice I. 294 Hajnalka Kuffart ottanta relazioni di Cesare Valentini, tutte scritte durante i quattordici mesi della sua missione in Ungheria. Il viaggio Ricevuto il dispaccio ducale il 7 giugno 1486, Valentini e la sua comitiva in due giorni arrivarono a Venezia, dove furono costretti, a causa del maltempo che non permetteva a loro di mettersi in cammino, a trascorrere altri cinque giorni. Parenti cominciò il suo racconto il 13 giugno, nella speranza che quel giorno avrebbe avuto inizio il loro viaggio. Salirono su una barca noleggiata il 12 da Valentini. Parenti scrive poco sui costi del viaggio, sappiamo tuttavia che l’anno seguente Ippolito d’Este e la sua comitiva, che avevano bisogno di nove barche e quattro grippi20 per varcare il mare, pagarono otto ducati per il noleggio di una sola barca e mezzo ducato per ogni giorno seguente, fino all’arrivo a Segna.21 Il gruppo di Valentini, con la barca da loro affittata, incontrò qualche difficoltà a passare sotto i ponti dei piccoli canali, tra il Fondaco dei Tedeschi e San Marco, a causa dell’acqua alta. Parenti non spiega perché non potessero scegliere di attraversare semplicemente il Canal Grande. Il 14 giugno, dopo la partenza da Venezia, a causa del vento contrario dovettero tornare presto tra le lagune. Il giorno seguente decisero definitivamente di non attraversare il mare verso la penisola d’Istria, ma navigare lungo le coste e fare cabotaggio. Da Venezia fino a Segna22 Parenti dà una lunga descrizione di cinque pagine sul loro itinerario per mare, elencando quasi tutti i posti, scogli, porti, ville e città23 che toccavano e, in alcuni casi, di cui aveva sentito parlare i marinai e gli 20 Il grippo era un brigantino da corsa a un albero. Il costo dell’affitto di un grippo fu 17 ducati e un ducato in più dopo ogni seguente giorno: ASMo, ASE, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria b. 2. fasc. 19,2,3. (La segnatura della fotoriproduzione: HU MNL OL DF 295697.) Cfr. A. Morselli: Ippolito, op.cit.: 26; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 333. 21 Idem. 22 Senj (Segna), Croazia. 23 Per identificare i toponimi ho usato le mappe storiche dei siti https://maps.arcanum.com/en/ e https://maps.hungaricana.hu/en/ e la versione aggiornata (2021) dell’atlante storico digitale del Regno d’Ungheria di P. Engel: Magyarország a középkor végén. Digitális térkép és adatbázis a középkori Magyar Királyság településeiről (https://abtk.hu/hirek/1713-megujult-engel-paladatbazisa-a-kozepkori-magyarorszag-digitalis-atlasza). Sui toponimi dell’Istria e della Dalmazia si vedano P. Coppo: ‘Del sito dell’Istria a Gioseffo Faustino’, in: L’archeografo triestino raccolta di opuscoli e notizie per Trieste e per l’Istria, vol. II, Trieste, 1830: 26–44; V. A. Formaleoni: Topo- Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 295 abitanti locali. Questa descrizione può essere confrontata con un altro diario di viaggio simile a quello di Parenti: una missione fiorentina inviata in Ungheria nel 1427 doveva scegliere la stessa soluzione, tra Venezia e Segna, a causa del maltempo.24 Lo scrittore Luca di Maso degli Albizzi descrisse l’itinerario a partire da Firenze, ma soltanto fino a Segna e viceversa, perché una malattia grave non gli permise di continuare il viaggio fino a Buda. Il gruppo fiorentino passò otto giorni sul mare, toccando i porti di Livenza, Daira, Parenzo, Fagiana, Veglia, Pola, Promontore, Medulino, Ossero.25 Ben più dettagliatamente possiamo conoscere il percorso della comitiva ferrarese grazie al diario di Parenti: il 15 giugno partirono da Venezia e, attraverso le lagune, arrivarono per la sera alla Torre di Jesolo, dove le zanzare disturbavano il loro sonno. Qui troviamo una breve barzelletta sul rimedio insolito delle donne contro le zanzare, che Parenti vide in una villa ungherese appartenente all’arcivescovato di Esztergom. Questo dettaglio conferma, pertanto, che il testo è stato compilato posteriormente al viaggio. Il 16 giungo la loro barca entrò in mare attraverso il fiume Piave e, al finir del giorno, arrivarono al porto di Umago. Parenti elenca tutti i luoghi toccati, indicando anche le distanze dall’uno all’altro. Il 17 partirono da Umago e percorsero la parte occidentale della penisola d’Istria fino alla città di Fasana. Giunti a Parenzo, Parenti menziona che Ippolito, partendo da Venezia, potrebbe giungervi direttamente, con un tempo favorevole, in un giorno solo e senza dover fare cabotaggio. Il cancelliere non sbagliò di molto: l’anno seguente Ippolito sfruttò le circostanze adatte per attraversare il mare da San Niccolò di Lido fino a Pirano, più a nord del luogo precedentemente indicato da Parenti. Il 18 giugno la compagnia di Valentini percorreva la parte più difficile del viaggio in mare: prima dovevano superare il Capo Promontore, l’estremità meridionale della penisola, per questo dovevano aspettare il vento adatto, il Maestrale, che non spirava nel momento in cui giunsero al porto più vicino. Mentre attendevano la volta del vento allestirono un bel “picnic”, mettendosi a mangiare il pranzo preparato in precedenza su un prato da dove si potevano godere il panorama. Poi, dopo pranzo, riuscirono a procedere nella navigazione su un mare chiamato Quarnaro, che Parenti grafia Veneta Ovvero Descrizione Dello Stato Veneto, vol. I, Venezia, 1787; G. Marieni: Portolano del mare Adriatico compilato sotto la direzione dell’Instituto Geografico Militare dell’I.R. Stato Maggiore Generale, Milano: Imperiale Regia Stamperia, 1830. 24 K. Prajda: ‘Egy firenzei követjárás útinaplója (1427)’, Lymbus 2011, 2012: 7–16. La pubblicazione contiene la trascrizione della fonte italiana. 25 Ibid.: 13–14. 296 Hajnalka Kuffart descrive come un tratto molto pericoloso. Alla fine del giorno arrivarono al porto Caldonto, dove il popolo non capiva più la lingua italiana ed i membri della comitiva dovevano farsi capire a gesti. Dalle righe di Parenti si sente la liberazione dalla paura e dalla tensione, dopo aver lasciato dietro di loro il Quarnaro. Attraversando il Quarnerolo, quindi, il giorno seguente raggiunsero le coste di Segna. Dopo lo sbarco, Valentini venne accolto con onore dai cittadini di Segna, dove la compagnia si riposò per un giorno. Il 21 giugno si misero di nuovo in cammino e il primo giorno giunsero fino a Brinje, poi il secondo a Modrus, città di Bernardino Frangipani, che era in parentela con gli Aragona.26 Sulla terraferma Parenti descrive più approfonditamente le città maggiori, elenca meno toponimi rispetto alla parte marina, ma fa notare ugualmente quello che vede intorno, riportando ciò di cui sente parlare da altri e quel che succede all’interno della comitiva. Il 24 giugno arrivarono a Zagabria, dove restavano più di due settimane aspettando le istruzioni della regina. Valentini scrisse da lì tre lettere a Ferrara27 e mandò avanti un suo servo a Buda, per ricevere ordini da Beatrice. Il 10 luglio arrivarono due cortigiani mandati dalla regina: un barone ungherese e un gentiluomo cremasco che può essere identificato con Bernardo Monelli da Crema.28 Oltre la regina anche Bernabò Brancia, governatore di Esztergom, mandò una delegazione a Zagabria per accogliere e accompagnare suo fratello Antonio, che doveva arrivare come ambasciatore del re di Napoli ma, a causa di un pericolo sospetto di un’avanzata turca, non gli fu possibile arrivare. Fu così che anche la delegazione di Esztergom si unì alla missione di Valentini. Partendo da Zagabria l’11 luglio Parenti menziona – come eco di un caso sfortunato – il fatto che non lontano da quella città si trova il luogo in cui l’ambasciatore Bartolomeo Bresciani era stato derubato. Nel giro di due giorni giunsero alla Drava, il fiume di confine tra la Slavonia (Schiavonia) e l’Ungheria, da dove Valentini scrisse di nuovo una lettera a Ferrara29 in cui fa una relazione 26 La moglie di Bernardino Frangipani era Luisa Marzano d’Aragona, cugina di Eleonora e Beatrice. Bernardino scrisse due lettere ad Eleonora dopo lo svaligiamento di Bartolomeo Bresciani offrendo i suoi servizi per i viaggi degli ambasciatori ferraresi, riferendosi soprattutto ad Ippolito: ASMo, ASE, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, b. 1. fasc. 7. 1–2. (Le segnature della fotoriproduzione: HU MNL OL DF 294355–356.) 27 Due lettere il 6 e una il 9 luglio: MDE III. pp. 117–125. Cfr. l’Appendice II. 28 Si veda più dettagliatamente l’Appendice I. 29 MDE III. pp. 125–126. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 297 sul trasferimento della coppia reale da Buda a Posonio,30 così come anche sul cambiamento della loro destinazione.31 Il barone ungherese parlava con loro in latino e Parenti cita alcune delle sue frasi, nello stesso tempo lo deride per i suoi errori grammaticali, aggiungendo subito che l’uomo gode un gran prestigio presso la corte reale. Non erano queste le uniche parole taglienti di Parenti: il giorno seguente – dopo aver incontrato un ladrone sulla loro via – il cancelliere faceva una forte critica sulla coltivazione dell’uva che vedeva da quelle parti, tuttavia il vino lo trovava ottimo sia lì sia a Fehérvár (Alba Regia), la città di incoronazione dei re ungheresi. L’episodio del ladro è davvero notevole: Parenti ci svela che si tratta di un nobile bandito dal re Mattia, che portava il nome di “Bottocapra”, di cui non si può decidere se fosse un soprannome tradotto in italiano oppure un nome ungherese frainteso. Una possibile identificazione è la persona di István Botkai, che era un nobile con possedimenti nella provincia di Somogy, e fu nominato latro insignis in un diploma reale.32 Il 16 luglio giunsero a Fehérvár e, nel corso di questa giornata, basandosi sul testo, sembrerebbe che Parenti, per un tratto, abbia viaggiato da solo. Da Fehérvár in due giorni giunsero ad Esztergom, la città destinata ad Ippolito d’Este, e per volontà della regina vi trascorsero due giorni.33 A questo punto Parenti ci fornisce la descrizione più ampia di tutta l’epistola, lodando il luogo, la chiesa, i tesori, le entrate, gli edifici, in sostanza la ricchezza dell’arcivescovato sotto ogni aspetto. Con le sue parole cerca di rendere visibile la collocazione del castello, le sue camere e la sala grande, in cui erano presenti vari affreschi: ritratti dei principi e dei re ungheresi che dominavano una volta il paese. Secondo Antonio Bonfini era stato l’arcivescovo János Zrednai (Vitéz) a farli dipingere, come scrive il cronista riferendosi a lui: 30 Posonio (Pozsony, Posonium, Pressburg) era una delle più importanti città del Regno d’Ungheria, oggi è la capitale della Slovacchia, a partire dal 1919 si chiama Bratislava. In questa sede userò la forma italiana medievale. 31 R. Horváth: Itineraria regis Matthiae Corvini et reginae Beatricis de Aragonia (1458–[1476]– 1490), Budapest: MTA Történettudományi Intézete, 2011: 121–122, 135. 32 Cfr. HU MNL OL Diplomatikai Levéltár (=DL) 19205. La proposta dell’identificazione è di Tibor Neumann a cui ringrazio anche in questo luogo per avermi suggerito di consultare questa fonte. 33 Valentini scrive il 3 agosto 1486 al duca: “Dipoi procedendo più ultra e pervenuto ad Strigonio, ove honorato assai et ivi dimorato dui giorni per ordine lassato ivi dala regina, me ne inviai verso Possonio”, MDE III. p. 137. 298 Hajnalka Kuffart Vir fuit archiepiscopatui vehementer accommodus, quippe qui triclinium in arce amplissimum erexit, prominens vero ante triclinium e rubro marmore ambulacrum cum duplici podio et superbissimum extruxit. Ad triclinii caput Sibyllarum sacellum e fornicato opere acuminatum statuit, ubi Sibyllas omnes connumerare licet. In triclinio non modo omnes ex ordine Ungarie reges, sed et progenitores Scythicos cernere erit.34 Parenti ci dà ben più informazioni: ai piedi delle figure – che erano quindi integrali – c’era scritto quanti anni vissero ed il loro luogo di nascita. Parenti ci svela, inoltre, che la serie parte da Attila, sovrano degli unni, la cui persona appare poi anche nel suo capolavoro (Gloriosissimi Geminiani Vita) come prefigura delle campagne ungheresi contro la città di Modena. Per di più è un’informazione completamente nuova l’indicazione relativa alla presenza di una pittura sulla conquista della patria, nella quale il popolo ungherese era rappresentato, con greggi e mandrie, mentre arrivava nel bacino dei Carpazi. Da Esztergom viaggiarono sul lato settentrionale del Danubio, attraverso alcuni villaggi dell’arcivescovato come Gúta e Püspöki, fino a Posonio. Arrivarono nella città del re nel giro di tre giorni, domenica 23 luglio. Fu questo il giorno in cui fecero l’ingresso solenne in città, videro tuttavia la coppia reale solo da lontano e, tramite un messo, chiesero formalmente udienza.35 Lunedì, dopo aver ascoltato il vespro nella capella del castello, la regina accolse Valentini ed i suoi compagni, il re Mattia, tuttavia, non era presente a causa di una malattia alle gambe. Per un incontro con lui dovettero attendere una seconda udienza che, però, venne fissata solo per il 30 luglio. Le due udienze rappresentano una parte rilevante sia nell’epistola di Parenti sia nelle due relazioni di Valentini36 scritte alla coppia ducale a Ferrara. Nella descrizione si legge che la regina, quasi trascurando il dialogo protocollare, fece mostrare subito le effigi dei due fanciulli ducali, Alfonso ed Ippolito, baciando tante volte quella di Ippolito, che trattava come se fosse suo figlio. Nella lettera di Parenti non appare, ma Valentini racconta che, dopo un’ora di contemplazione, la regina mandò i due ritratti al marito, Mattia Corvino, che mostrò non meno entusiasmo verso le effigi, baciò quella di Ippolito – che chiamava il suo “hungaro” – e così fecero 34 Antonius de Bonfinis, Rerum Ungaricarum decades. Ediderunt Iosephus Fógel, Bela Iványi & Ladislaus Juhász, tom. IV, pars I, Lipsiae & Budapest, 1941: 47 (IV. 3. 99–101). 35 MDE III. p. 138. 36 MDE III. pp. 137–143, 144–152. Cfr. Appendice II. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 299 tutti i baroni e nobili che erano presenti.37 Il 30 luglio, come si accennava in precedenza, anche il re diede un’udienza ufficiale e accolse formalmente l’oratore a casa sua. L’epistola di Parenti finisce con le preparazioni dell’assedio di Cittanova (Wiener Neustadt, Austria), poi troviamo due poscritti in cui il cancelliere informa la duchessa che Bernardino Frangipani è disposto ad incontrare Ippolito anche a Segna. Viene inoltre chiesto di trasmettere l’epistola a Niccolò da Correggio, da cui ha ricevuto questa commissione di raccontare il viaggio. Il periodo tra il 30 luglio e il 3 agosto 1486 fu molto denso per Parenti: oltre alla sua epistola scrisse anche le già citate due ampie relazioni di Valentini: la prima, indirizzata ad Ercole, il 3 agosto, la seconda invece, indirizzata ad Eleonora, il giorno seguente. Rimane ancora una cedola al duca e una lettera alla duchessa.38 Inoltre è conosciuta anche una relazione di Valentini indirizzata al duca, datata il 4 agosto e scritta dall’oratore di sua propria mano, perciò manca dall’Appendice II.39 Giovanni Maria Parenti rimase in Ungheria fino alla fine del febbraio 1487, quando la regina Beatrice prima decise di scegliere lui come cancelliere per la corte arcivescovile di Ippolito, poi di mandarlo a Roma, al fianco di France- 37 La relazione al duca: “Dipoi epsa (scil. Beatrice) remandò ambi li fogli ala maestà del signor re, qual non ne mostrò mancho piacere e contenteza dela regina, subito pigliando parte ch’el suo hungaro era molto più bello del altro, et etiam laudando l’altro e per tenereza non se potè retenere che molte volte non basiasse la figura e così fecerno tutti li baroni e nobili ch’erano al conspecto, e dicto foglio andò per tutta la corte. E veramente per quello ch’io ho potuto comprehendere in dies sue maestate non poterebono (scil. potrebbero) havere miglior amore e desiderio verso epso don Hipolyto come hano.” MDE III. p. 139. La versione alla duchessa: “Dipoi epsa rimandò ambi li fogli ala maestà del signor re, quale non ne mostrò mancho piacere e contentezza dela regina, subito pigliando parte ch’el suo hungaro era molto più bello del altro et etiam laudando l’altro. E per tenereza non se potte ritenere che molte volte non basiasse la figura, e così fecerno tutti gli baroni e nobili ch’erano al conspecto. E dicto foglio andò per tuta la corte e certamente per quello ch’io ho potuto comprendere in dies sue maestate non potrebono havere magior amore e dessiderio verso epso don Hipolyto come hano.” MDE III. 146. L’episodio viene esposto anche nella monografia di A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona op.cit.: 180. 38 Cft. Appendice II. 39 ASMo, ASE, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, b. 1, fasc. 13, 9. (= HU MNL OL DF 294499.) La lettera è inedita. 300 Hajnalka Kuffart sco Palude,40 per sollecitare l’emissione delle bolle papali. Beatrice chiese alla sorella di acconsentirne con queste parole: Quisti dì passati havemo vista experiencia dele virtute, prudencia et sufficiencia del venerabile donno Johanne Maria, quale venne qua per cancellero del magnifico messer Cesare Valentino, vostro ambassatore, et certamente ne pare assai disposto ad essere cancellero delo illustre et reverendo don Hyppolito, archiepiscopo de Strigonio,41 figliolo de vostra illustrissima signoria et nostro nepote, et si non havessemo dubitato de non dispiacerli, ià lo haveriamo electo et factolo restare qua, como haveamo deliberato in lo animo nostro. Puro non dubitando che vostra signoria se ne contentarà, lo havemo accompagnato con lo magnifico Francesco da Palude, nostro familiare, quale mandamo llà et in Roma per la facenda de l’annata ad tale che dicto donno Johanne Maria faza dui boni effecti: l’uno che vegna ad pigliare licencia da vostra signoria et ne li basa le manu, et l’altro che informa quella dele cose de qua et de dicto archiepiscopato, et se ne possa retornare qua con lo illustre et reverendo archiepiscopo, suo patrone. Pregamo per tanto la signoria vostra illustrissima che lo voglia havere per recomandato et acceptare la deliberatione nostra de haverlo electo cancelleri, perché ne rendimo certisseme se portarà in dicto officio che da omne homo serà commendato, et lo dicto archiepiscopo et nui qua ne seremo ben serviti perché è diligente, sollicito et docto. Da lo dicto Francesco de Palude se referarà quisto nostro desiderio più amplamente ala signoria vostra, la quale pregamo li voglia prestare indubia fide et credenza.42 Al contrario della volontà della regina, Parenti non ritornò mai in Ungheria. Non è conosciuta la data del suo rincasamento a Modena da Roma, come 40 Francesco Palude, figlio di Nicola Palude, luogotenente di Alessandro, poi Costanzo Sforza in Pesaro. Nel 1479 sposò Margherita Marzano e, dal 1486, lo troviamo alla corte di Beatrice d’Aragona. Fino alla morte di Mattia Corvino rimase in Ungheria, poi servì il duca di Milano come oratore (1490–1493), maestro di casa (1494–1495) e maestro delle entrate (1497). Per i suoi titoli accanto agli Sforza si veda S. Eiche: ‘Towards a study of the ’Famiglia’ of the Sforza Court at Pesaro’, Renaissance and Reformation 9, 1985: 96. 41 Esztergom, Ungheria. 42 Carteggio pp. 105–106. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 301 rimangono pure in ombra i suoi motivi. Ciò che è certo è però che la coppia ducale selezionò un altro cancelliere per la corte arcivescovile di Ippolito nella persona di Borso Bruttura che poi Beatrice, forse deludente per l’assenza di Parenti, rifiutò, e mantenne nell’ufficio Vincenzo Pistacchio, servitore del cardinale Giovanni d’Aragona.43 Il documento L’originale della lettera di Parenti si trova nell’Archivio di Stato di Modena, sotto la segnatura Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, busta 1., fascicolo 12., ed è stato aggiunto al database del progetto “Vestigia” sotto il numero 1414. Inoltre l’Archivio Nazionale Ungherese ha ammesso il documento nel suo repertorio sotto il numero HU MNL OL DF 294488. Il manoscritto originale consta di due quaderni di quattro fogli, dei quali sono numerati dagli archivisti solo quelli che contengono scrittura. Nella trascrizione i numeri delle pagine sono indicati tra parentesi quadrate in grassetto. La tabella seguente mostra le concordanze dei fogli e delle pagine: Foglio Pagina Foglio Pagina 1 retto: 1 verso: 2 retto: 2 verso: 3 retto: 3 verso: 4 retto: 4 verso: 1 2 3 4 5 6 7 8 5 retto: 5 verso: 6 retto: 6 verso: 7 retto: 7 verso: 8 retto: 8 verso: 9 10 vuota vuota 11 12 13 vuota 43 Cfr. G. Ferrarini: Memoriale…, op.cit.: 276; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 347. Vincenzo Pistacchio, oltre a quest’ufficio, tra il 1486 e il 1493 si assunse un ruolo di governatura dell’abbazia di Pétervárad a nome di Rodrigo Borgia, il futuro papa Alessandro VI. Fu inoltre ambasciatore della regina ungherese almeno una volta a Napoli nel 1488, cfr. M. Folin: ‘Gli oratori…’, op.cit.: 68. Dopo almeno 15 anni trascorsi in Ungheria, nel 1494, fu nominato vescovo di Conversano, poi, nel 1499 vescovo di Bitetto, che occupò fino alla morte avvenuta nel 1518. Pistacchio imparava sicuramente la lingua ungherese, perché nelle sue lettere troviamo prestiti magiari. Cfr. H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 329, 347–348. 302 Hajnalka Kuffart Parenti usa un linguaggio volgare dell’Italia settentrionale. Nonostante si tratti di un’epistola, per chiarezza ho scelto la forma del diario e ho diviso il testo a seconda dei giorni, segnalando le date tra parentesi quadrate e in grassetto. La datazione della lettera è il 3 agosto 1486, dodici giorni dopo del loro arrivo a Posonio. Parenti probabilmente, durante questi dodici giorni, compilò e copiò la lettera: si tratta infatti di una copia che dimostra il gran numero degli errori tipici delle copie, come l’aplografia, la dittografia, o il salto da uguale a uguale (saut du même au même). Questi ultimi più volte rendono le frasi incomplete, per cui alcune parti del testo rimangono difficilmente comprensibili, allo stesso tempo non è facile decidere, a volte, se i raddoppiamenti siano figure retoriche o semplici errori di copiatura. Rende ancora più complicata l’interpretazione il fatto che la maggior parte del manoscritto sia sbiadita a causa dell’umidità, tanto da risultare illeggibile senza luce ultravioletta. Le parole incerte sono messe tra parentesi tonde, mentre gli altri errori (a voltre presupposti) sono segnati nell’apparato. Le abbreviazioni sono state sciolte e le interpretazioni incerte sono state annotate. Le parti troncate e non completabili sono contrassegnate con tre punti messi tra parentesi tonde. La mancanza di una variante, purtroppo, non ci permette di integrare il testo, ma le lettere di Cesare Valentini ci svelano più volte i dettagli mancanti dall’epistola di Parenti. Oltre agli errori della copiatura, anche nel contenuto troviamo alcuni equivoci, per esempio a proposito delle direzioni (14 giugno: Burano, Torcello e Mazzorbo sono situati a nord di Venezia, e non a sud) o dei toponimi (18 giugno: la penisola di Sabbioncello non è parte dell’Istria). Nella trascrizione volevo mantenere i caratteri specifici del testo, modernizzando solo la punteggiatura, gli accenti e le maiuscole. Per rendere più comprensibile le parti arcaiche, ho aggiunto spiegazioni nell’apparato. Ho lasciato i numeri romani e arabi in forma originale. Dato che Parenti usa le preposizioni articolate molto più frequentemente in modo composto, ho unificato anche quelle poche scritte separatamente. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 303 Appendice I Datazione: Posonio, 3 agosto 1486. Destinataria: Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara. Segnatura dell’originale: Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, busta 1., fascicolo 12. Segnatura nel database Vestigia: nr. 1414. Segnatura nell’Archivio di Stato Ungherese: HU MNL OL DF 294488. [13 giugno 1486] [1.] Illustrissima et excelentissima, madama mia singulare! Per questa mia la celsitudine vostra serà advisata totalmente degli progressi de tutto el viagio incomenzando al partire da Venetia del magnifico oratore44 d’epsa45 con la soa famiglia. Et primo doppo sei46 giorni che stete in Venetia per non poter pigliare il camino per el contrario tempo, gionsi la barcha nostra al botto de una hora47 de nocte per megio Realto.48 E venendo per el rio dreto49 al Fontegho degli Todeschi50 per rispecto de l’acqua che crescea in modo che la barcha non potea passare per li ponti che sono sopra epso rio, stessimo per hore sei a fare epsa via dal dicto Fontegho a San Marcho.51 E intrato che fossemo nel Canal Grando incomenzorno gli marinari a navigar verso gli duo Castella52 al porto de Venetia, e per il contrario vento stessemo lì per quella nocte. 44 Cesare Valentini epsa: “essa”. Fa riferimento alla duchessa. 46 In realtà soltanto cinque: Valentini ed i suoi compagni arrivarono a Venezia il 9 giugno 1486. 47 Le ore in quest’epoca si contano a partire dalla recitazione dell’Ave Maria, cioè dal tramonto. 48 Ponte di Rialto in Venezia. 49 dreto: “dietro”. 50 Fondaco dei Tedeschi, Venezia. 51 Basilica di San Marco, Venezia. 52 Uscita marina di Venezia. 45 304 Hajnalka Kuffart [14 giugno] E facto giorno con bonazza del mare facessemo vela e navigassemo circha dece miglia in mare lassando a man dextra53 uno loco dicto le Contrate che sono tre castella cioè Torecello, Mazorbo e Burano,54 distante da Venetia cinque miglia, nel qual transito incontrassimo uno delphino che senza incomodo nostro trapassò ultra. E in uno istanti sopragionsi uno contrario vento in modo che fu forza butare l’anchora in mare e così stessimo ivi per hore cinque. E vedendo li marinari che non potevano passar el golpho,55 feceron vela, e tornassemo a dietro agli duo Castella et alogiassemo con gli monachi de San Benedecto in San Nicolò da Lido.56 E per quel giorno che fu a dì 14 e mercure de zugno se ritrovassemo lontano uno miglia da Venetia e per quella nocte stessemo. [15 giugno] La zobia seguente a dì 15 et ad hore 15 cognoscendo ogniuno non se poter intrare in mare facessemo vela dentro via per le lacune, lassando a man mancha una chiesia dicta San Francesco dal Deserto,57 lontan 3 miglia dal loco, dove58 se partessemo59 quel giorno. Poi procedendo a 5 miglia giongessemo ad una chiesia rotta come una torre60 dicto Lido Mazore61 per acqua (dolce) e de quel loco a 5 miglia trovassemo uno passo come una torre dicta Torre de Caligo62 posta s’una fiumara adimandata la Piava63 che vien del Friullo.64 E de lì venendo 53 In realtà dovrebbe essere sinistra – Parenti forse posteriormente sbagliò la direzione. Torcello, Mazzorbo e Burano, Venezia Insulare. 55 Intende la parte del Mare Adriatico situata tra Venezia e l’Istria. 56 San Niccolò del Lido, Venezia. 57 San Francesco del Deserto, Venezia Insulare. 58 dove: “da dove”. 59 se partessemo: “partimmo”. 60 Probabile errore di copiatura: ‘come una torre’ ripete nella riga seguente in cui fa riferimento alla Torre Caligo. 61 Lio Maggiore, oggi frazione di Jesolo. 62 La Torre Caligo oggi appartiene al comune di Jesolo. 63 Il fiume Piave. 64 Friuli-Venezia Giulia. 54 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 305 a secunda per epsa fiumara per 3 miglia trovassemo Torre dicta Jesula,65 e per quella nocte alogiassemo in quel loco, dove (non) trovassemo alcuna cosa da viver, da vino in forra, e fu necce(ssario) [2.] dormire in nave, e tirare66 al antenna il (s)paravero67 da lecto delo oratore. E questo per tante cenzale68 che vi sono senza comparatione più che in ferrarese. Al remedio dele quale, madama mia illustrissima, in una villa de Strigonio, dove ne sono tante che affaticha, le matre pono69 campare da epse, li fanzuletti, cum riverentia, pigliano stercho de bove seccho e ne fan focho, e per niente per el fumo non se puono aproximare che quando nol fusse tal riparo non gli potria in epsa villa habitare persona. Pareno nuvole che descendano dal’aere. [16 giugno] El venaro a dì 16 de doe hore ananti giorno navigando la Piava intrassemo in mare, lontan dala soprascripta torre per cinque miglia per lo porto de Jesula, al intrar del quale fu gran combattemento de l’acqua salsa e dolce. Epso porto è largo et ha grande acqua. E come fossemo dentro se fece subito gran bonazza. E lassassemo a man sinestra dove sono le infrascripte terre e porti, qual intenderà la celsitudine vostra una con la distanza dal’una al altra cioè dal porto de Jesula a quel a’ Livenza70 ce sono 15 miglia, da quello a quel de Cauerli71 10, poi a quel del Taiamento72 9, a Lignano73 XI, al Amphora74 10, a quel de Buso75 9, a Grao76 65 Jesolo, Veneto. e tirare: due volte (dittografia). 67 sparavero: “sparviero”, padiglione di letto. 68 cenzale: “zanzare”. 69 pono: “possono”. 70 Il fiume Livenza. 71 Caorle, Veneto. 72 Il fiume Tagliamento. 73 Lignano Sabbiadoro, Veneto. 74 Bocca d’Anfora, Friuli-Venezia Giulia. 75 Porto Buso, Friuli-Venezia Giulia. 76 Grado, Friuli-Venezia Giulia. 66 306 Hajnalka Kuffart 9, a Premaro77 3, al Isonza78 5, a Sdobba79 e a quel de posta overo Monfalchono80 che è cità 2, a San Zoanne81 1, a quel de Trieste82 cità 15, a quel de (Mina)83 cità 5, a Cave d’Istria84 principar cità d’Istria 5, a quel de Isola85 cità 5, a quel che Piran86 cità 5, nela qual rhiva è una cità dicta Umago87 ala qual navigando gionssemo la sera, e da Piran ad epsa ce sono 10 miglia. Essendo in mare a 25 miglia, presso quella sopravene el vento de Provenza88 in poppe ala barcha in modo che a vela imbrochata in uno istanti giongessemo sotto el porto de Umago. A 3 miglia cessato el vento nostro ne sopravena uno contrario, intanto che fu necessario intrare in uno porto per forza de septi remi cum faticha e (maresello),89 e consumassemo in quele 3 miglia più de quatro hore. [17 giugno] El sabbato a dì 17 partessemo da Umago, lassassemo una cità dicta San Laurentio90 a 5 miglia, quale ha molte ville, e a 9 miglia passassemo sotto una cità dicta Cità Nova,91 quale è molto molestata dala pestilentia. Transfretassemo poi el porto de Quieta92 che va giù da terra s’uno fiume, dreto qual a 7 miglia [3.] è una cità dicta Montona.93 A 10 miglia una terra dicta San Laurentio da 77 Primero, Friuli-Venezia Giulia. Il fiume Isonzo. 79 Punta Sdobba (allo sbocco dell’Isonzo), Friuli-Venezia Giulia. 80 Monfalcone, Friuli-Venezia Giulia. 81 San Giovanni di Duino, Friuli-Venezia Giulia. 82 Trieste, Friuli-Venezia Giulia. 83 Probabilmente Muggia (Milje), Friuli-Venezia Giulia. Il timbro dell’archivio copre i caratteri. 84 Koper (Capodistria), Slovenia. 85 Izola (Isola d’Istria), Slovenia. 86 Piran (Pirano), Slovenia. 87 Umag (Umago), Croazia. 88 Il maestrale, il vento che spira da nord-ovest. 89 Lettura incerta. 90 Lovrečica (San Lorenzo), Croazia. 91 Novigrad (Cittanova d’Istria), Croazia. 92 Il fiume Mirna (Quieto), Croazia. 93 Motovun (Montona), Croazia. 78 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 307 Passenadegha94 cum assai altre ville, e a 2 miglia ge è la valle de Cervera,95 qual terre lassate sul dicto fiume96 giongessemo a Parenza97 bella cità, e visitassemo una bella chiesia dicta San Nicolò,98 dove habitano monachi de San Benedecto.99 E partendosi lo illustre e reverendo signor don Hipolyto da Venetia può quel giorno con bon vento capitarvi et alogiarli non tochando niuno di prenominati porti e cità. Epso San Nicolò è s’un schoio lontan da Parentia uno quarto de miglio, qual schoio è pien da ogni canto de olive et è invero un bello loco. Epsi monachi dano a naviganti recapito del logiamento, tanto el resto l’homo porta cum lui. E perché da Venetia fin a Segna non se trova bon pan, fa bisogno fornire la mensa d’epso, de vino, carne e formagio dreto la rivera de Istria e ad un tertio miglior mercato. Visto el loco facessemo vela lassando nel navigare doppo nui ben 19 schoi e passassemo sotto el porto de Orsara,100 cità quantuncha trista, da cui a Lemo101 sono 7 miglia, al porto de Ruigno102 3 che è tale che a terra103 senza butar ponte se acosta ogni calea104 e naviglio, et è cità. E passassemo uno schio105 nel qual se incava e intagliassi marmo. In quietate de lì a Sant’Andrea106 è uno miglio dove stano frati de San Francesco de Observantia, quali viveno de helimosina. Passassemo ultra schoi infiniti, quali non potea numerare. E a 8 miglia trovassemo uno porto dicto Porto de Colona107 sul quale è una cità dicta Valle,108 da cui ala villa de Pedroi109 sono 8 miglia. È una bella villa, e 94 Sveti Lovreč Paženatički (San Lorenzo del Pasenatico), Croazia. Črvar (Cervara), Croazia. 96 Errore dell’autore: dal punto di vista geografico dovevano navigare sul mare e non sul fiume. 97 Poreč (Parenzo), Croazia. 98 Sveti Nikola (San Niccolò), Croazia. Isolotto vicino a Parenzo. 99 Sulla storia dell’abbazia si veda R. Cigui: ‘I Benedettini nella Venezia Giulia di Antonio Alisi’, Atti XXXVII, 2007: 432–433. 100 Vrsar (Orsera), Croazia. 101 Limski kanal (il canale di Leme), Croazia. 102 Rovinj (Rovigno), Croazia. 103 terra: due volte. 104 calea: “galea”. 105 schio: “scoglio”. 106 Sveti Andrija (Isola di Sant’Andrea), Croazia. Isolotto vicino a Rovigno. 107 Otočić Kolona (Isolotto di Colona), Croazia. 108 Bale (Valle d’Istria), Croazia. 109 Peroj (Peroi), Croazia. 95 308 Hajnalka Kuffart de lì navigassemo a Fasana,110 villa col reducto non molto bona d’habitatione, ma bon formagio se gli fa. E per quella nocte ponsassemo111 lì non in vero comodamente. [18 giugno] La domenicha udita la messa e cocta el desinare facessemo vela e venessemo a Stignano112 distante dal porto suo dicto Valbandono113 2 miglia e a uno miglio giongessemo ad una isola dicta Brioni,114 qual volta 4 miglia et ivi sono in copia fasiani e coniglii per prerogativa, adimandassi115 el loco delitie de venetiani. Ha una villa col reducto presso quale è una (villa) dicto San Hieroymo,116 dove se intagliano colone de marmo et ivi fu intaglia(to) [4.] quella colona ch’è a Po. Da quella isola a 2 miglia trovassemo uno monte grando che tutto è uno saxo et in fondo presso l’acqua ge è una crotta che ha rento l’acqua una porta aperta che’l significa nol scio. E de lì a Pola117 ce sono 5 miglia, cità bella de venetiani già de greci presso quale è uno palazo facto in modo de uno theatro che ha 366 fenestre e rotondo. Dicono quelli homini dev’esser stato habitato per Orlando,118 e in similitudine de una harena, come quella de Verona. Et ad uno miglio presso epso palazo gli’è la forma de uno castello inhabitato con una via sotto terra, che va al dicto palazo, quale hora è chiusa. E presso Pola s’un schoio al basso vedessemo homini squartati per mal oprar loro. De lì a 3 miglia venessemo ad una punta d’uno monte dicto Branchorsa,119 dove120 feceron factodarme in bello navali insieme greci, venetiani e zenovesi, 110 Fažana (Fasana), Croazia. ponsassemo: “riposammo”. 112 Štinjan (Stignano), Croazia. 113 Valbandon (Val Bandone), Croazia. 114 Brijuni (le isole Brioni), Croazia. 115 adimandassi: “si chiama”. 116 Otok Sveti Jerolim (Isola San Girolamo), Croazia. 117 Pula (Pola), Croazia. 118 Roland, eroe della letteratura cavalleresca nel Medioevo in Francia, che nel Rinascimento si diffuse molto nella poesia italiana. 119 Brancorso: nome storico del monte dove oggi si trova Fort Musil. Cfr. P. Coppo: ‘Del sito dell’Istria…’, op.cit.: 42. 120 dove: due volte. 111 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 309 e fu secundo el dir degli habitatori per voce de antiquitate grandissima strage. Dura epso monte per longo uno miglio e mirandolo, essendo in mare, pare tutto un muro senza scropulo tanto e polito. Da qual monte sono 5 miglia al porto bellissimo de Veruda,121 simile a quello de Orsara a uno miglio è el porto del Olmo122 ad uno altro qual del Olmesello.123 E de qui a 2 migila aplicassemo al Premontorie124 porto alo intrar periculosissimo per gli venti e mar grando qual non se può passare per vento Garbino,125 per l’Ostro126 e non per Syroco127 al intrar del Carnare128 sule Premontorie, non però quale tanto exorbitanto dove non s’acosta naviglio alcuno, ma per megio qualle sun molte (…)(…)129 diricissemo lo soprascripto sparavero in modo che parea uno pavagliono da campo, qual se potea contemplare cinquanta miglia in mare. Et ivi posto li tapetti e sopra le odvaglie,130 epso orator sul herbetta siecha una cum li marinari e la famiglia soa fece un desinare molto consolato de victuaglia che haveamo portato cocta. Non penso mai veder tanto piacere per el contemplar circumcirca. E fra doe hore sopragionsi per nui el vento de Provenza, quale havessemo in poppo. E facto via passassemo el Carnare che dura 30 miglia in spatio, de hore tre. Epso Carnare è el più periculoso golpho che sia dal Levante al Poncto, e non è così praticho marinare che non tema non havendo el vento al modo suo. E remise dale Premontorie è el porto de Sabionzello131 a 3 miglia, e 3 de lì a quel de Medolino,132 quale ha reducto, e a 5 el porto dele Cove Picole, [5.] e a 2 miglia 121 Fratarski otok (Veruda), Croazia. Porto Volme (Olmo, Olmo Grande), porto della città Banjole (Bagnole), Croazia. 123 Uvala Valmižeja (Olmicello, Olmo Piccolo), Croazia. 124 Premantura (Promontore), Croazia; è anche il nome della penisola situata all’estremità meridionale dell’Istria. 125 Nome del vento che spira dalla direzione che si trova tra sud e sud-sud-ovest. 126 Nome del vento che spira da sud. 127 Nome del vento che spira da sud-est. 128 Il nome della parte del Mare Adriatico che si trova tra l’Istria e le isole di Cherso e Lussino: Kvarner (Quarnaro), Croazia. 129 Errore di copiatura: manca la fine della frase e l’inizio della seguente. 130 odvaglia: probabilmente “tovaglia”. 131 Pelišac (penisola di Sabbioncello), Croazia. È un possibile fraintendimento dell’autore, perché la penisola di Sabbioncello è situata molto più di sud, lontano dall’Istria. 132 Medulin (Medolino), Croazia. 122 310 Hajnalka Kuffart quello dele Cove Grande,133 a 3 quello de Baldò,134 a 2 quello dele Vignole,135 a 2 Porto Longo.136 Poi venessemo137 uno castello dicto Arsa138 col porto, a 3 miglia qualle de San Zoanne,139 a 3 la Valle Maistra, a 3 Santa Marina,140 a uno miglio uno altro Porto Longo,141 a 2 una cità dicta Albona142 col porto,143 e a 2 miglia una altra cità dicta Fianona,144 qual ha pur porto, a 3 miglia poi uno castello delo imperatore, dicto Berseci,145 dal quale eramo discosti in mare circa 40 miglia. Da Berseci autem callando146 dreto la costera è uno reducto dicto Leurana,147 ala Valle de Prelucha148 5 miglia, e a 5 è Fiume,149 cità e tutte terre delo imperatore, quale restano longe da nui. E venendo dietro al mare da Berseci a 15 miglia è San Nicolò dela Faresina150 ch’è de venetiani, a 20 miglia una terra dicta Cherse,151 a 10 uno castello dicto Ledenizze,152 a 3 da Valle de San Martino,153 a 5 el porto de Carnisa.154 Havendo però lassato a megio il Carnare uno schoio nel quale ce sono infiniti migliara de fasiani e coniglii, tandem uscissemo fuori del Carnare 133 Probabilmente si tratta di Porto Cuje (Uvala Kuje), crf. Marieni, Portolano op.cit.: 64. Uvala Budava (Porto Badò), si veda Marieni, Portolano op. cit.: 64–65. 135 Vinjole (Vignole), Croazia. 136 Duga Luka (Portolungo), Croazia. 137 venessemo: la parola è depennata. 138 Raša (Arsia), Croazia. 139 Probabilmente si tratta della chiesa di San Giovanni Battista del villaggio Brovinje (Brovigne), Croazia. 140 Sveta Marina (Santa Marina d’Albona), Croazia. 141 Duga Luka (Porto Lungo), Croazia. Appartiene al comune di Labin (Albona). 142 Labin (Albona), Croazia. 143 Rabac (Portalbona), Croazia. 144 Plomin (Fianona), Croazia. 145 Brseč (Bersezio), Croazia. 146 callando: “calando”. 147 Lovran (Laurana), Croazia. 148 Luka Preluk (Valle Preluca), Croazia. 149 Fiume, Croazia. 150 Porozina (Faresina), Croazia. 151 Cres (Cherso), Croazia. 152 Lubenice (Lubenizze), Croazia. 153 Martinšćica (San Martino in Valle), Croazia. 154 Camisa, porto antico di Ustrine, Croazia. Può trattarsi di una errata lettura dei caratteri r ed n al posto di m da parte di Parenti. Sul manoscritto è scritta evidentemente la forma “Carnisa”. 134 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 311 Deo duce a salvamento. Ma foria155 longo a ricontare156 li delphini che nui vedeamo far cazza d’altri pessi come levereri157 ale lepore. E giongessemo ad una cità dicta Osoro,158 lontano 5 miglia da Carnisa, nel porto dela qual s’entra per uno monte tagliato già per più comodità da venetiani. Epsa cità è principio de Dalmatia, e da epsa a 5 miglia capitassemo al porto de Caldonto159 dove cenato a gran piacere passassemo la nocte. E nel smontare a terra pareamo che volessemo transcorrere el paese chi cercava focho chi una160 altra cosa, e quel che ce dava più piacere era che non erramo161 intesi, per tanto era necessario far cenno de quello che volevamo. [19 giugno] El lunì a dì 19 iterum facessemo vela sul’alba e ad162 uno miglio163 uno loco dicto le Murate164 a uno miglio Cardotto Picolo, e a 3 Porto Longo, a 2 Santa Croce,165 e a uno porto Cadena venendo tra dui monti per spiaza. E a 18 miglia trovassemo una isola dove è Pago vechio e Pago novo infra terra,166 e da l’uno al altro è uno miglia. E da dicta isola a 10 miglia è una cità dicta Newaglia,167 e a 3 miglia el porto de Tavernelle,168 ma dal’isola ad una cità dicta Arbi169 ce sono 5 miglia. Ale la qual ge conducta uno medicho, subdito de vostra celsitudine, modenese, cognato de Jacobo Saiano dicto maestro An(tonio).170 155 foria: probabilmente si tratta di un errore di copiatura e voleva scrivere “saria”. ricontare: “raccontare”. 157 levereri: “levrieri”. 158 Osor (Ossero), Croazia. 159 Kaldonta, Kalk, oggi appartiene a Punta Križa, Croazia. 160 chi una: due volte. 161 erramo: “eravamo”. 162 Sopra la riga: “E”. 163 Manca il predicato: si vede una croce sopra la riga che poteva essere un segno di correzione, però sul margine non si legge alcuna parola inserita. 164 Lettura incerta. 165 Punta Križa (Punta Croce), Croazia. 166 Otok Pag (Isola di Arbe), Croazia. 167 Novalja (Novaglia), Croazia. 168 Tovrnele/Tovarnele (Tavernele), Croazia. 169 Rab (Arbe), Croazia. 170 A causa di uno squarcio della carta non si vede la fine del nome. 156 312 Hajnalka Kuffart [6.] Da Arbi a San Christophoro171 porto in mare ce sono 3 miglia, a Santa Margarita172 2, ala Valle de San Petro173 3, a San Nicolò da le Saline174 5, a San Gregorio175 5, ad uno schoio dicto Privichio176 5, e così giongessemo poi sotto l’isola de Vegia177 ad uno miglia nela qual è uno castello dicto Muschio.178 A 10 miglia ge è una villa dicta Dobasinazza179 che ha reducto poi a 3 miglia è Santa Maria de Cavo,180 a 4 miglia Porto Longo, et de lì a San Zorzo181 3, a Vegia182 5, a San Nicolò de Cavo del’Isola183 5, ha dicto loco porto col reducto de lì ad uno castello dicto Bascha184 ce sono 10 miglia. E navigando uno brazo de mare dicto Carnarolo185 venessemo cum la vella inbrochata nel porto de Segna, nela qual cità possassemo per tucto el marte seguente e fossemo carezati, honorati, ben alogiati et aliqualmente presentati, lo oratore.186 [21 giugno] El mercure se partessemo e montassemo circa a 4 miglia uno monte saxoso dove qui altro che salvia non ge nasce et altre herbe odorifere. Passato quello che assai havere bono le camoze a salirla altri assai ne passassemo horidi et 171 Uvala Kristofor (Porto San Cristoforo), Croazia. Porto Santa Margarita: porto antico vicino alla Chiesa di Santa Margherita (Crkva svete Margarite, Kampor) sull’isola di Arbe. 173 Supetarska Draga (Valle San Pietro), Croazia. 174 Probabilmente equivale alla Chiesa di San Niccolò (Crkva sv. Nikola) che è situata sull’estremità settentrionale dell’isola di Arbe. 175 Sveti Grgur (Isola di San Gregorio), Croazia. 176 Prvić (Pervicchio o Parvicchio), Croazia. Oggi appartiene a Krk. 177 L’isola di Krk (Veglia), Croazia. 178 Omišalj (Castelmuschio), Croazia. 179 Malinska-Dubašnica (Malinsca-Dobasnizza), Croazia. 180 Probabilmente si tratta di Santa Maria di Capo, l’estremità occidentale dell’isola di Krk. 181 Uvala Sv. Juraj (Porto San Giorgio), vicino alla città di Krk. 182 La città di Krk (Veglia), Croazia. 183 Chiesa di San Niccolò, situata vicino a Punta Negritto (Tranjevo). 184 Stara Baška (Besca Vecchia), Croazia. 185 Kvarnerić (Quarnerolo, piccolo Quarnaro), la parte del Mare Adriatico situata tra le isole Cherso, Pago, Arbe, Veglia ecc. 186 Stile orale, Parenti probabilmente esprime in questo modo il fatto che solo Valentini abbia ricevuto doni. 172 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 313 inculti, e giongessemo quel giorno lontan da Segna 15 miglia ad uno castello dicto Brigno187 e lì possassemo la nocte. [22 giugno] La zobia se partessemo venendo per monti horibili saxosi et in folti de boschi che mai se veddi li simili, e montavamo 4 miglia, e 4 ne calavamo et era necessario andare a pedi. Et a 8 miglio presso Modrusio188 ce è una chiesia de San Francesco,189 e Dio gratia a salvamento giongessemo a Modrusio, cità del signor conte Bernardino Frangipani che ha uno castello190 in una sumità d’un monte che dentro ha acqua viva. Et è inexpugnabile capo dela Croatia, ivi erano turchi prisoni che lavoravano nella fortezza. Del dicto castello se vede le confine del turcho che sono ad uno fiume dicto Uno.191 E lì sono le case travi coperte d’asse, ivi fu presentato l’oratore de pane, vino, capretti e lamprede, e per quella nocte possassemo lì. [23 giugno] El vegnare montassemo a cavallo e caminando non per tali dicti monti, venessemo a desinare a Lipa,192 castello del re, dove in loco de pan se mangiano fogazze azime cocte nel fogo sì che chi havea pan con lui, parea homo da ben. E cambiassemo lì cavalli da soma193 e venessemo quella sera dece miglia ad uno loco dicto la Coppa che sono due hostarie s’uno fiume, pur dicto Coppa194 qual passassemo com barche incavate in modo de uno albio195 da salare, con 187 Brinje, Croazia. Modruš, Croazia. 189 Crkva sv. Duh, Croazia. Per maggiori informazioni sul monastero si veda M. Bolonić: ‘Crkveni patronat na području Senjsko-modruške biskupije’, Senjski zbornik 5, 1971–1973: 273. 190 Stari grad Modruš (Tržan-grad), Croazia. 191 Il fiume di Una. 192 Lipa, Croazia. Oggi appartiene al comune di Generalski Stol. 193 Sopra la parola si vede un segno di abbreviatura per contrazione, ma in questo caso senza alcuna funzione. 194 Il fiume di Kupa (Kolpa). 195 albio: “alveo”. 188 314 Hajnalka Kuffart reverentia, porci come è loro costume si per lo Danubio come etiam per altri fiumi, [7.] ivi ha la sua maestà del signor re196 el theolomo.197 E dormissemo quella nocte sotto el porticho dela casa bona, fu che’l sparavero dal lecto ce fu un tecto. [24 giugno] El sabbato partessemo de lì venendo pur per selve, e presso Zagrabria198 a 2 miglia passassemo uno fiume dicto la Sava199 qual corre con grande inpeto. Epso fiume divide la Croatia dala Schiavonia200 che s’incomenza lì. E passato in pocho d’hora giongessemo a Zagrabria, nel qual loco è situata s’uno monte una cità qui inexpugnabile per sito et è ducato. Epsa cità è del re, ma al basso è uno castello quale è del vescovo et ivi habitano canonici et altri preti, e pochi anni passa, secundo che dicono l’homini, lì ge corseno parechi migliara de turchi, quali con damno e vergogna loro se partirno. Havessemo una bona habitatione e fu presentato de alcune robe da mangiare lo oratore dal castellano e dal capitolo e fategli honore. E stessemo per giorni 17 lì, aspectando resposta del ordine già scripto a vostra excellencia per la signora regina maestà201 e così vivessemo con letitia et anchora cum gran suspecto. Era, illustrissima madama mia, concitato fama del oratore a 200 miglia con questo credea che havesse multo più de quello che havea, e ogni giorno veneano homini ala famiglia per voler intendere la partita de lì, ben pareano usi assassini ne la loro cera, pensa la signoria vostra che era necessario de tristeza mostrare guardi(a), ma pur Dio gratia se levassemo senza pericolo. 196 Mattia Corvino. Probabilmente si tratta di un frainteso e voleva scrivere el thelonio in senso di dazio. 198 Zagreb (Zagabria), oggi è la capitale della Croazia. 199 Il fiume di Sava. 200 Slavonia: regione storica tra i fiumi Sava e Drava. 201 Beatrice d’Aragona. 197 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 315 [11 luglio] Marti a dì XI de luio che già el dì inanti, erano venuti uno barone del re et uno taliano cremascho cortisano dela regina,202 zentilhomo per levarne, trova(r)no le carette e se partesseno da Zagrabria con circa 30 cavalli armati e tre carete. E perché a casu el gobernatore de Strigonio203 havea mandato deci cavalli e una caretta coperta al’hungarescha per far condurre uno suo fratello204 a Buda205 che se dicta venire oratore dal re de Napoli,206 havendo nova epsi soi servitori che non venea per non poter passare el golpho d’Anchona per la suspitione de alcune fuste de turchi, quali van trans(co)rrando epso golpho, detino la soa carretta alo oratore, e ge feceno conpagnia. E nel camino pocho lontan da Zagrabria arivassemo dove fu svalisato207 Bartholomeo Bressano208 e passando utra per monti, pianura e per selve, alogiassemo ad uno castello dicto Rochenocha209 li cui homini [8.] tucti corseno su li repari et ala porta con l’arme credendo 202 Il barone ungherese non è identificabile, il cortigiano della regina Beatrice era Bernardo Monelli da Crema, la cui lapide sepolcrale oggi è conservata nel Museo Storico di Budapest. Sulla sua vita si vedano Historia di Crema, 570–1557 [di] Pietro da Terno (Pietro Terni), ed. M. Verga & C. Verga, Crema, 1964: 230–231; La historia di Crema, raccolta per Alemanio Fino da gli annali di messer Pietro Terni, Velence, 1566. ff. 55v–56r; P. Lővei & B. Weisz: ‘A gazdaság- és pénzügyigazgatás szereplőinek szórványos síremlékei a középkori Magyarországon’, in: B. Weisz (ed.): Pénz, posztó, piac. Gazdaságtörténeti tanulmányok a magyar középkorról, Budapest: MTA BTK Történettudományi Intézet, 2016: 251–253; J. Szendrei: ‘Monelli Bernát síremléke 1496-ból (Egy szövegközti hasonmással)’, Turul 41, 1927: 71–76. 203 Bernabò Brancia, governatore dell’arcivescovato di Esztergom a partire dall’epoca del cardinale Giovanni d’Aragona. Cfr. H. Kuffart: Modenában őrzött esztergomi számadáskönyvek és az esztergomi érsekség udvartartása, Tesi di dottorato dell’Università Cattolica Péter Pázmány, Scuola di Dottorato in Scienze Storiche, Budapest, 2018: 17–27; N. C. Tóth: Magyarország késő középkori főpapi archontológiája. Érsekek, püspökök, illetve segédpüspökei, vikáriusaik és jövedelemkezelőik az 1440-es évektől 1526-ig, Győr: Győri Egyházmegyei Levéltár, 2017: 26–28. 204 Antonio Brancia, ambasciatore di Ferrante d’Aragona. L’edizione dei suoi dispacci per questa missione: Acta Vitam Beatricis pp. 89–100; Regis Ferdinandi Primi. Instructionum liber (1486– 1487), a cura di S. Volpicella, Napoli, 1861: 25–38. 205 Buda: la capitale del Regno d’Ungheria. Dopo l’unione di Buda, Pest ed Óbuda (1873) è parte di Budapest. 206 Ferdinando o Ferrante I d’Aragona (1458–1494), padre di Beatrice ed Eleonora d’Aragona. 207 svalisato: “svaligiato”. 208 Bartolomeo Bresciani, ambasciatore del duca ferrarese. Fu derubato mentre stava ritornando da Buda a Ferrara nell’aprile del 1486: MDE III. pp. 96–98; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 326–327. 209 Rakovec (Rakonok), Croazia. 316 Hajnalka Kuffart che fossemo turchi. Epsa forteza è tuta de legname e de terra, e per niente se haverebe per bataglia da mano. [12 luglio] Mercure a dì 12 venessemo pur per selve come etiam ho scripto de sopra vero è che li monti sono in modo de coline. A 15 miglia alogiassemo ad uno altro simil castello dicto Cruseze,210 e la sera a 15 altre miglia ponsassemo ad una bella villa dicta Capronzo.211 [13 luglio] Zobia a dì 13 montassemo per tempo in caretta e caminando passassemo due ville che sono s’una bella pianura e poi passassemo uno altro gran fiume che corre fortissimamente, dicta la Drava.212 Epso fiume divide la Schiavonia dal’Hungaria e de lì a 2 miglia capitassemo ad una gran villa, dicta Zachan,213 dove alogiassemo quella nocte. [14 luglio] El vegnare a dì 14 trovassemo a 5 miglia una villa dicta Curgo214 e una altra dicta Sancta,215 pur a 5 miglia. E quel che se216 fece smentichare ogni pagura fu che quel barone che ce conducea, veni a me dicendo “Canzelarie, habemus satis piscis de vivendo (propter)217 ad comendum”.218 E per l’habito de Hungaria è de parlar 210 Križevci (Kőrös), Croazia. Koprivnica (Kapronca), Croazia. 212 Il fiume di Drava. Confine storico e anche odierno tra Croazia e Ungheria. 213 Zákány (provincia di Somogy), Ungheria. 214 Csurgó (provincia di Somogy), Ungheria. 215 Nei dintorni di Csurgó erano situati due villaggi, a quell’epoca con nomi simili: Csente oppure Szenta, (provincia di Somogy), Ungheria. 216 se: “ci”. 217 Può essere propter o prope. 218 Tutte e tre frasi latine citate dal barone ungherese sono grammaticalmente scorrette. 211 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 317 per littera219 cum li taliani. Fra l’altre eloquantie ne havea una quello barono dele excellente parlando dela doctrina dela regina, disse “per Deum, regina est vera sapientia mulier”. E volendo dire che la soa maestà gli era stata maestra, dicta “fuit ad me regina meus discipulus”. Staria ben Italia se havesse una simil gramaticha! Invero è però gran barone e molto lo adopra la regina a soi serviti, e così in piacere desinassemo lì. E venessemo ad alogiare ad uno altro loco dicto Segeste,220 lontana da Sancta 15 miglia. [15 luglio] El sabbato a dì 15 a 5 miglia trovassemo una villa dicta Blatan221 e un’altra a 5 miglia dicta Lenza222 dove desinassemo. E caminando iterum a 5 miglia capitassemo ad una villa dicta Fais,223 e a 5 altra una ne trovassemo dicta Somogiovaro,224 dove era quello excellente ladro dicto Bottocapra qual ce expectava, ma cognobe non ce poter nocere. Ha dodeci homini a cavallo che metono ale armatti, è gintilhomo bandito dal re e de bona famiglia. E passando ultra, lì alogassemo. In epso loco nasce bon vino, è paese tale che faria richo due Italie se’l fusse cultivato come se fa in Italia, ma tanto ne lavorano quanto gli basta per viver solum. 219 per littera: “in latino”. Segesd, (provincia di Somogy), Ungheria. 221 La mappa di Pál Engel non conosce alcun villaggio di nome Blatan in questo territorio. La unica soluzione è Balogd, che era situato vicino a Segesd e oggi non esiste più. Vale la pena menzionare che il nome “Blatan” è una parola slava con il significato di “paludoso”, da cui deriva anche il nome del lago di Balaton. 222 Lencsen, (provincia di Somogy), Ungheria. Oggi non esiste più. 223 Fajsz, (provincia di Somogy), Ungheria. 224 Somogyvár, (provincia di Somogy), Ungheria. 220 318 Hajnalka Kuffart [16 luglio] La domenicha partessemo e capitassemo ad una villa dicta Tura225 a 5 miglia et ad altre 5 una altra Tur,226 dove passa uno lago dicto Balaton,227 largo in alcun loco 5 miglia e in longo va asai producendo bon pescio. E lassando [9.] le infrascripte ville, cioè Cephel,228 Chrusugio,229 Samar,230 Foch231 e venessemo adesinare a Lepsi,232 bella villa, non sono molto distante l’una dal’altra. Da qual villa ad Alba Regale233 sono 15 milglia taliane come sempre intendo nel numero dele miglia soprascripte, et io monto in una careta dicta da Cozzo,234 qual tiravano tre cavalle che qua sono dicte jumente, gionsi ad Alba Regale in una hora e uno quarto. Ma prima trovai due ville lontane l’una dal altra 5 migla. Epsa Alba Regale è una bella terra, ma picola, senza vescovato, et ha questa pregoativa235 che se gli incorona gli regi e regine.236 E quella nocte alogiassimo lì nel borgo, e gustassemo de uno vino de 5 anni de sapore meglio de malvasia et in colore d’acqua de limpido fonte, passa ogni conditione de vino. E perché la celsitudine vostra non creda che ne havesse due o tre misure, fu io nel celaro e videne tre botte piene che l’una tenea più de 100 misure ferrarese. 225 La mappa di Pál Engel non conosce alcun toponimo simile in questo territorio. Una possibilità: Tóti, Lengyeltóti (provincia di Somogy), Ungheria. 226 Túr, (oggi: Somogytúr, provincia di Somogy), Ungheria. 227 Il lago di Balaton. 228 Csepely (oggi: Nagycsepely, provincia di Somogy), Ungheria. 229 Probabilmente Kőröshegy (provincia di Somogy), Ungheria. 230 Zamárd: Balatonzamárd oppure Egyházaszamárd (oggi: Zamárdi, provincia di Somogy), Ungheria. 231 Fok (oggi: Siófok, provincia di Somogy), Ungheria. 232 Lepsény, (nel Medioevo provincia di Veszprém, oggi provincia di Fejér), Ungheria. 233 Fehérvár (oggi: Székesfehérvár, provincia di Fejér), Ungheria. 234 Kocs, (provincia di Komárom, oggi provincia di Komárom-Esztergom), Ungheria. Da questo villaggio prende nome il cocchio. 235 Scrittura erronea di prerogativa. 236 In Ungheria nel Medioevo c’erano tre criteri fondamentali per la validità dell’incoronazione di un re: essere incoronato (1) dall’arcivescovo di Esztergom (2) a Fehérvár (3) con la Sacra Corona di Santo Stefano. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 319 [17 luglio] El lune, a dì 17 partendosi da Alba passassemo due ville e ala secunda desinassemo, la sera autem alogiassemo ad una villa del reverendo et illustrissimo don Hipolyto dicta Orse237 et ivi fu facto honore da quelli dal gubernatore suo alo oratore da li quali se238 hebbe nel camin bona compagnia. [18 luglio] El martì, a dì 18 partessemo de lì e caminando per una pianura bella, venessemo a 10 miglia a desinare a Strigonio,239 dove ponsassemo el mercure, la zobia e facessemo colatione el vegnare matino. E fussemo ben visti, carezati et honorati del qual loco benché sia impossibile poterli figurarlo col calamo a chi non l’ha visto con l’ochio, tanto è bello, ben edificato e situato.240 Primo è collocato in apice unius montis in forteza inexpugnabile circa el quale el re Mathia già gli241 steti a campo.242 L’habitatione del castello è bella e vedese a ciascuna fenestra circumcirca coline, pianure e lo Danubio, qual circumisse epsa forteza da dui canti. Ha zardino dentro, camere belle e molte, una gran sala, dove sono depincti quanti duca e regi dominorno mai Hungaria incomenzando ad Atila, Dei flagellum et in che modo venerno primo le persone ad habitare Hungaria cum bovi, pecore et altri armenti. Fra altri regi ge ne è 237 Örs (provincia di Esztergom, oggi: Alsóörs-puszta nei dintorni di Mány, provincia di Fejér), Ungheria. 238 se: “ci”. 239 Esztergom (provincia di Esztergom, il nome odierno della provincia è Komárom-Esztergom), Ungheria. 240 Sull’edificio e sulle stanze del castello di Esztergom si vedano K. Vukov: A középkori esztergomi palota épületei, Budapest: Építésügyi Tájékoztatási Központ Kft., 2004; Id.: ‘Az esztergomi palota díszterme török kori szemtanúk leírásában’, in: B. Bence, P. Miski & R. Törtei (eds.): “A magyar múltat kutatni, írni és láttatni – ez által szolgálni a hazát”: Tisztelgő kötet J. Újváry Zsuzsanna 25. Pázmányos oktatói éve előtt, Budapest & Piliscsaba: Szent István Társulat, 2020: 19– 34; M. Prokopp, K. Vukov & Zs. Wierdl: From discovery to restoration. The history of the Hungarian Medieval Royal Chapel in Esztergom, Esztergom, 2014. 241 gli: “ci”. 242 Intende forse il caso in cui il re Mattia accerchiò Esztergom, nel settembre del 1471, a causa della congiura di János Zrednai (Vitéz). A. Kubinyi: Matthias Rex op.cit.: 93. 320 Hajnalka Kuffart uno243 che nacque de una Madama de casa Estense, illustrissima e celeberrima, el nome dela quale non me occorre a memoria, fu regina facunda, prudente e de gran governo.244 Hano epsi regi sotto loro pedi scripto quanto visceno245 [10.] e la nation loro.246 È una gran maestà a vederli. Ha etiam epso castello una bellissima chiesia ben officiata e celebrata, ha prepositi, archidiaconi, canonici e prebendarii più de 50,247 e incomenzando ananti giorno fin nona se li celebra messa, e tre se li cantano. Ha etiam tante reliqe248 che è cosa stupenda: brazzi d’arzente e d’oro, cristalli, ce è tal calice che vale più de 1000 ducati, ce son pianete col resto da cantar messa in pontificale, cariche de perle, tanto argente non ha Milano, Cremona né Ferrara insieme. Io non ne potria dir tanto che più non ne fusse, vale innumerabile migliara de ducati. Ha etiam nela rocha che guarda sul Danubio – che li batte ale mure a dui canti – uno molino249 che macina cum acqua calda che sorze250 lì in modo è uno fonte. Nasceli etiam difor251 uno bagno pur d’acqua calda che tocha qui le mure, e lo Danubio ha dentro acqua assai e bona. Se entra nel castello per 5 porte. Ha conti rendini e soccorsi.252 In conclusione, illustrissima madama mia, è tale che se la excellenzia vostra ne volesse adunar 243 András III degli Arpadi (1290–1301) fu il nipote di Beatrice d’Este. Beatrice d’Este, quarta moglie di András II degli Arpadi. Sul loro matrimonio si veda P. Cremonini: ‘II. András és Beatrice d’Este házasságkötése. (Székesfehérvár, 1234. május 14.)’, in: K. Szovák & A. Zsoldos: Királynék a középkori Magyarországon és Európában, Székesfehérvár: Városi Levéltár és Kutatóintézet, 2019: 187–198. 245 visceno: “vissero”. 246 la natione loro: “il luogo della loro nascita”. 247 La più recente pubblicazione dei dati sui canonici di Esztergom: N. C. Tóth: Az esztergomi székes- és társaskáptalanok archontológiája 1100−1543. (Subsidia ad Historiam Medii Aevi Hungariae Inquirendum 9), Budapest: Magyar Tudományos Akadémia Magyar Medievisztikai Kutatócsoportja, 2019. 248 reliqe: “reliquie”. 249 La torre chiamata Veprech. 250 sorze: “sorge”. 251 difor: “difuori”. 252 Intende che l’arcivescovato ha entrate ordinarie e straordinarie. I libri di conto dell’anno 1486 non sono sopravvissuti, conosciamo solo un resoconto compilato nel mese di gennaio del 1487, pubblicato con testo completo: H. Kuffart: ‘Az esztergomi érsekség pénzügyei és személyi állománya Estei Hippolit érkezése előtt’, in: Gy. Domokos, J. W. Somogyi & M. Szovák (eds.): Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a tizenöt éves háború idejéről, Budapest: Balassi Kiadó, 2020: 115–120. 244 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 321 uno altro pro voluntate, sia inpossibile se trovasse. Recoglie pan, vino, carne e altre cose necessarie al vivere ch’è una cosa maravigliosa.253 Ha uno altro castello254 forte asai e più de 100 ville,255 ha uno pallazo in Buda,256 uno in Posonio e uno altro ne ha donato el re ala regina in Viena qual sua maestà vole donare alo illustre et reverendo archiepiscopo. È lo primo baron presso la sua maestà del re, receve decime a più de 100 miglia.257 È tanto desiderato, lassamo stare le sue maestate paterne, ma da altri hungari che è cosa miranda: assai più sua reverenda signoria che non è da hebrei lo Messia. Serà cortezato sua signoria da baroni258 et zentilhomini e già se li prepara una corte magnifica.259 [21 luglio] El vegnare partessemo, in compagnia havea l’oratore el gubernatore de con octo carette, e passassemo per megio Strigonio lo Danubio. E in dece hore benché se li consumasseno 3 giorni venesseno 100 miglia sule carette da Cozze che volano sula terra tirate da jumente. Alogiassemo la prima sera ad una villa delo archiepiscopato dicta Guda260 dove è copia de pescio, decima solum lì del dicto pescio più de 200 ducati.261 253 Oltre la decima in natura, si tratta anche dei munera, che era una delle tasse in natura che l’arcivescovato raccoglieva sia a titolo ecclesiastico che feudatario. 254 Il castello di Drégely (provincia di Hont, oggi provincia di Nógrád), Ungheria. 255 In quest’epoca l’arcivescovo, come proprietario fondiario, aveva 98 villaggi e 14 città in totale, cfr. E. Fügedi: ‘Az esztergomi érsekség gazdálkodása a 15. század végén’, Századok 94, 1960: 88. 256 Cfr. A. Végh: Buda város középkori helyrajza 1. (Monumenta Historica Budapestinensia 15), Budapest, 2006: 157–159. 257 Si tratta di una grande esagerazione: l’arcivescovato riscuoteva circa 12 mila fiorini per anno dalle decime ricevute dalle sue regioni. Con le decime minori il totale sicuramente non superava i 20 mila fiorini. Per approfondirne si veda H. Kuffart: Modenában őrzött esztergomi számadáskönyvek…, op.cit.: 216. 258 da baroni: due volte. 259 Parenti poteva vedere queste preparazioni alcuni giorni più tardi, nella corte del re a Posonio, meno ad Esztergom. Sull’organizzazione della comitiva di Ippolito si vedano H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.; A. Morselli: Ippolito, op.cit. 260 Kolárovo, Slovacchia. Nel Medioevo: Gúta (provincia di Komárom), Ungheria. 261 Il pescato di questo villaggio era veramente significativo, soprattutto a causa dello storione ladano, sulla cui vendita l’arcivescovato prendeva un’entrata rilevante. 322 Hajnalka Kuffart [22 luglio] [11.] Lo sabbato venessemo a desinare sul Danubio, a desinare262 ad una villa de l’archiepiscopo, e passato lo Danubio263 in poche d’hore facessemo 20 miglia ad una bella villa del re e lì alogiassemo. E nel venire trovassemo monitione de feno sulla ripa del Danubio posto in cavalato264 come se fa in Italia cavaioni de frumento, qual in longe erano più de uno miglio taliano. [23 luglio] La domenicha a dì 23 venessemo a desinare ad una gran villa dicta Piscopi265 delo archiepiscopo, e come havessemo desinato gionsi lì el maestro de stalla dela regina con 15 cavalli portanti per nui. Li venerli soi secretari e capellani, e passati iterum lo Danubio266 venerno ad honorar l’oratore incontro lui: baroni, vescovi, e altri prelati e cavaleri e la famiglia del re che erano più de 400 cavalli. Fu invero grandissimo honore e gionti apresso le porte passorno da circa 60 cavalli del re senza sella che andavano alo Danubio e studiose ge ne era parte hungari, vallachi, transilvani e turchi che valeano un thesoro. Dentro la terra autem in uno pallazo erano le loro maestate quale ce veneano passare, ma nui non loro e acompagnati cum trombeti smontassemo sula piaccia in una bella casa parata in doe stantie de razzi e tapeti circumcirca. Serimo mirati in quella delo archiepiscopo, ma parse ala regina non far removere lo signor thesaurero267 del signor re che è veschovo, considerato anchora che ce havea facto provedere de bon e comodo logiamento, e così possassemo quelle nocte. [24 luglio] El lune a dì 24 sul hora del vespro la regina mandò dui baroni, quali acompagorno l’oratore ad sua maestà, quale audiva el vespro in una chiesia, e dicto che 262 La ripetizione del verbo ‘desinare’ è un probabile errore di copiatura. Deve trattarsi di un affluente del fiume Danubio di nome Csalló (oggi: Malý Dunaj, Slovacchia): la compagnia varcò sul Danubio ad Esztergom e rimase su quel lato del fiume, dato che la destinazione era Posonio. 264 cavalato: “cavalletto”. La parola precedente (‘mediatem’?) è stata cancellata. 265 Podunajské Biskupice, oggi parte di Bratislava, Slovacchia. Nel Medioevo: Püspöki (provincia di Pozsony), Ungheria. 266 Si tratta di un affluente del Danubio (‘Piccolo Danubio’/‘Kis-Duna’). 267 Orbán Nagylucsei, cfr. N. C. Tóth: Magyarország késő középkori főpapi archontológiája…, op.cit.: 51, 71. 263 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 323 sia, vene a pallazo, e quivi gli deti grata audientia, e de uno in uno dela famiglia sua genufle(ttando) gli bassò268 la mano.269 Reasumpsi, illustrissima madama mia, sua maestà la comissione delo oratore cum tanta eloquentia, gratia e bei modi come, un parlare Arragonese et expedito che se Sapho, Salustio o Tulio resuscitasse, mancharia cum sua maestà de facundia sì per lo elloquente parlare, sì per el modo e venusto e maturo gesto come etiam per la grata racoglientia sua reginale quale è tale e tanta che se ne stancharia mille lengue a dir de epsa. E resposto ch’ebbe, sua maestà senza più replicare disse “mostatime270 la idea del figliol mio, qual intendo haver cum vui pincta”. Pensa la celsitudine vostra quanto cordialmente lo accepta in figlio che altro non volse respondere doppo el replicar del oratore se non che chiessi dicta figura. [12.] E presentate che ge furno ambedue le imagine deli illustri figlioli vostri, mostrò tanta alegreza, fece che fu cosa ultra modo, eo magis de quella del signor don Hypolito et incomezola bassare, e una e due e 100 fiate, dicendo sua maestate che era bello come de continuo pregava Idio in questo modo: “O Dio, falo essere bello”. [30 luglio] Seguitando l’oratore el cortezare e presentarsi a sua maestà ogni giorno. Domenica passata che fu lo penultimo de luio celebrata che fu la messa, hebbe audientia dala sua maestà del re, quale quando se celebrava la messa, fecesse presentare dicta figura e mai non cessò mirarla. E tanto piacere e consolatione ne prese che più non ne haverebbe facto se gli fusse stato figlio. Ha una gratia mirabile, excellentissima madama mia, dal canto de qua che Idio lo augumenta cum felicità, magnificentia et honore a quanto271 può assequir l’habito clericale. Reasumpsi sua maestà la congratulatoria del dono facto ala prole de vostra celsitudine e la contristactione dela felice memoria delo illustrissimo e reverendissimo cardinale vostro fratello272 che così se continea lo exponere del oratore cum grande eloquentia e modi regali offerendosi sua maestà ad ogni benemerito verso la illustrissima casa Estense, e com altre molte bone parole. 268 bassò: “baciò”. Sul margine sinistro: e preposta. 270 mostatime: “mostratemi”. 271 quanto: “quando”. 272 Il cardinale Giovanni d’Aragona (1456–1485). 269 324 Hajnalka Kuffart Poi tandem resposto che li hebbe l’oratore, disse sua maestà queste formal parole: “huc usque fuistis orator, nunc autem eritis domesticus et utimini bonis et (…)” (…)lare nostro.273 E pigliando l’oratore licentia nui altri tuti dela famiglia genufle(ttando) gli bassassemo la mano. [3 agosto] Stasse hora l’oratore e spectamo el partire dela maestà del signor re per andare ala dietta col re de Boemia.274 E già qua se sono careqate275 bombarde per mandar via e sono cavalcate più de 8000 persone armate. Dicessi che vano a Citanova,276 terra delo imperatore277 obsessa per sua maestà, partiti che serà, credo faremo compagni(a) alla maestà dela regina a Viena, (cità) d’Austria. Aspectando lo fortunato advento delo illustre e reverendo figlio de vostra celsitudine agli pedi dela quale humilmente di continuo mi racomando. Possonii, die III Augusto MCCCCLXXXVI. Eiusdem illustrissime dominationis vestre humilis servus Johannes Maria Parenti A Segnia per incontrare el signor don Hipolyto gli (sono) desposto andare el signor conte Bernardino Frangipani, lo veschovo de Modrusio278 e altri baroni e zentilhomini. 273 L’errore della copiatura ha troncato entrambe le frasi. Le parole del re però sono conosciute dalle due relazioni di Valentini in queste forme: “sua maestà non replicò altro se non ch’io volesse reputare non esser più oratore, ma homo de casa et ch’io volesse usare per comodo mio tutte le cose sue, poi volse che tutta la famiglia mia gli tochassi e basiasseli la mano nel pigliar licentia” MDE III. p. 140. “Sua maestà non replicò altro se non che io non volesse reputarmi più oratore, ma homo de casa et ch’io volesse usare per commodo mio tutte le cose sue, poi volse che tuta la famiglia mia nel pigliare licentia de uno in uno gli tochasse e basiasse la mano.” MDE III. p. 147. 274 Vladislao II (Jagellone) di Boemia che, dopo la morte di Mattia Corvino, diventò anche re d’Ungheria. Sulle trattative dei re: L. Óváry: ‘A modenai és mantuai levéltári kutatásokról’, Századok 23, 1889: 393–398. 275 careqate: “caricate”. 276 Wiener Neustadt, Austria. 277 Federico III d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero. 278 Kristóf da Ragusa, cfr. N. C. Tóth: Magyarország késő középkori…, op.cit.: 79. Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 325 Supplico vostra celsitudine, se degna participar questa mia col signor messer Nicolò da Coreze279 per parte del qual me fu comesso e facto instantia che gli volesse mandar scripto de parte in parte questo viagio se bene me si extese più che non se conveniria. [13.] Illustrissime et excellentissime domine, domine sue singulari, domina Elionore de Arragonia, ducisse Ferrarie. Appendice II: Relazioni di Cesare Valentini scritte dalla mano di Giovanni Maria Parenti Data Luogo Scritta da Cesare Valentini ad Originale nell’ASMo Amb. Ung. b. 1. Vestigia280 HU MNL OL DF Edizione del testo281 12.06.1486. 13.06.1486. 13.06.1486. Venezia Venezia Venezia 13,1 13,2 13,3 1415 1416 1417 294489 294490 294491 MDE III 83 MDE III 85 MDE III 84 06.07.1486. 06.07.1486. Zagabria Zagabria 13,4 13,5 1418 1419 294492 294493 MDE III 90 MDE III 89 09.07.1486. 13.07.1486. 03.08.1486. Zagabria Zákány Posonio Ercole I d’Este Ercole I d’Este Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este Ercole I d’Este Ercole I d’Este 13,6 13,7 13,8 1420 1421 1422 294494 294495 294496 04.08.1486. Posonio 13,10 1423 04.08.1486. — 13,9a 1426 294497, 294497-1 294499-a. MDE III 91 MDE III 92 MDE III 100 MDE III 101 — 04.08.1486. Posonio 13,10a 1427 10.08.1486. Stomfa282 13,11 1428 279 Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este (cedola allegata) Eleonora d’Aragona Eleonora d’Aragona 294497, 294497-2 294502 Niccolò da Correggio, cugino di Ercole I d’Este. Il numero nel database https://vestigia.hu/kereses. 281 Al posto delle pagine sono segnati i numeri dei documenti nell’edizione MDE III. 282 Oggi: Stupava, Slovacchia. 280 MDE III 101 MDE III 106 326 Hajnalka Kuffart Data Luogo Scritta da Cesare Valentini ad Originale nell’ASMo Amb. Ung. b. 1. Vestigia HU MNL OL DF Edizione del testo 10.08.1486. Stomfa Ercole I d’Este 13,12 1429 294503 17.08.1486. Zistersdorf283 13,14 1466 294539 17.08.1486. Zistersdorf Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este 13,15 1469 294542 17.08.1486. 11.09.1486. 11.09.1486. Iglau284 Iglau Iglau Ercole I d’Este Ercole I d’Este Ercole I d’Este 13,16 13,17 13,18 1472 1477 1479 294545 294550 294552 25.09.1486. Posonio Ercole I d’Este 13,19 1502 294574 07.10.1486. Posonio Ercole I d’Este 13,23 1514 294586 18.10.1486. Znaim286 Ercole I d’Este 13,24 1515 294587 30.10.1486. Retz287 13,25 1516 294588 30.10.1486. Retz Eleonora d’Aragona (una poesia) 13,25a 1517 294589 04.11.1486. Retz Ercole I d’Este 13,27 1520 294592 04.11.1486. Retz Ercole I d’Este 13,27a 1521 294593 18.11.1486. Retz 13,29 1523 294595 23.11.1486. Retz Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este 13,30 1524 294596 23.11.1486. Retz 13,31 1525 294597 MDE III 107 MDE III 110 MDE III 111 — Óváry285 MDE III 117 MDE III 119 MDE III 121 MDE III 123 MDE III 127 MDE III 127 MDE III 128 MDE III 128 MDE III 132 MDE III 134 MDE III 133 283 Eleonora d’Aragona Zistersdorf, Austria. Oggi: Jihlava, Repubblica Ceca. 285 L. Óváry: ‘A modenai…’, op.cit.: 394–397. 286 Oggi: Znojmo, Repubblica Ceca. 287 Retz, Austria. 284 Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486) 327 Data Luogo Scritta da Cesare Valentini ad Originale nell’ASMo Amb. Ung. b. 1. Vestigia HU MNL OL DF Edizione del testo 29.11.1486. 22.12.1486. Hainburg288 Vienna Ercole I d’Este Ercole I d’Este 13,32 13,35 1526 1529 294598 294601 22.12.1486. Vienna 13,36 1530 294602 09.01.1487. Vienna Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este 14,2 1534 294606 10.01.1487. Vienna Eleonora d’Aragona 14,6 1538 294610 10.01.1487. Vienna 14,6a-b 1539 12.01.1487. Vienna 14,7 1540 294611, 294611-1, 294611-2 294612 05.02.1487. Vienna 14,8 1541 294613 08.02.1487. Vienna Eleonora d’Aragona, Ercole I d’Este Eleonora d’Aragona Eleonora d’Aragona Ercole I d’Este 14,9 1542 294614, 294614-1 — MDE III 140 MDE III 139 MDE III 145 MDE III 146: pp. 241–245 MDE III 146: pp. 244–245 MDE III 147 MDE III 154 MDE III 158 288 Oggi: Hainburg an der Donau, Austria. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Letentur et exultetur universa Panonia. An unknown gratulatory oration for King Matthias’s betrothal to Beatrice of Aragon Patrik Paštrnák Palacký University Olomouc patrikpas@gmail.com Abstract This study offers a scholarly edition of the newly discovered oration by the Venetian ambassador, Sebastiano Badoer, delivered to King Matthias Corvinus during his proxy betrothal in Wrocław. Aside from a description of the manuscripts that contain this text, the study puts the speech into the diplomatic and historical context of the 1476 Hungarian royal wedding, using additional new evidence in the reconstruction of the engagement ceremonies that featured unusual rites of dressing the king in the garment sent by his future wife. Furthermore, the thematic analysis of the oration bears witness to Venice’s diplomatic endeavour, striving to use the wedding as a tool for strengthening the alliance with the Hungarian king, while the contextual stylistic comparison places the speech as the first scion of the emerging genre of Humanist wedding orations beyond the Alps. Royal weddings were pivotal moments in the medieval and early modern period. As a major event in the life of a monarchy and dynasty, nuptials had a grave political as well as diplomatic dimension, and even more so if an upcoming royal consort was coming from abroad. Diplomacy was involved in arranging the marital bond, when envoys and ambassadors of two wedding parties travelled to negotiate specifics of the marriage contract, and in preparing the logistics of the bride or bridegroom’s transfer. However, third parties were also involved – many times, a prospect of marital union was first proposed or explored via a ruler who had dynastic or friendly connections with both potential wedding parties. Due to political needs or dynastic bonds, foreign rulers 330 Patrik Paštrnák participated directly in the wedding festivities, or sent their representatives who were to offer their regards and gifts to the newlyweds. Each step in this process might have come hand in hand with delivering formal speeches: wedding negotiators, representatives of third parties, city delegations receiving the bride passing through their territories etc. used this medium to arrange the marriage, convey messages of friendship and good wishes, or welcome the special guest. On top of that, court poets and humanists, striving to attain the favour of a wealthy patron, could author special laudatory orations that strictly followed the principles of the epithalamia genre. As indispensable pieces of dynastic propaganda and memory, these epithalamia were subsequently elaborated into lavishly decorated manuscripts or published as occasional prints. The nuptials of King Matthias of Hungary and Beatrice of Aragon in 1476 was no exemption to this rule. For instance, the Neapolitan chronicle of notar Giacomo states: On the 20th day of June of the said year (1475), an orator of the most serene King Matthias of Hungary entered the city of Naples on account of the matrimony with the most illustrious madame Beatrice, a legitimate daughter of the most serene King Ferdinand, who heard the ambassador on the 23rd day of the same month in the hall of Castel Nuovo.1 In the course of the marriage negotiations and festivities, there must have been a formal speech not only at the occasion of this sort but many others. However, unlike for other royal weddings from this period, the full transcripts of these addresses for the 1476 nuptials have not been known to scholarship thus far. This is no longer the case as this study aims to present a newly resurfaced oration of the Venetian envoy Sebastiano Badoer, delivered to King Matthias on the 5th of February 1475. Who was Sebastian Badoer and what was the objective of his speech? Could it tell us something about the political climate of the 1470s in Central Europe and Italy? In what way was it influenced by the emerging genre of Renaissance wedding orations? Aside from providing a critical edition of Badoer’s oration, this study aims to provide a deeper look into the diplomatic background of the 1476 Hungarian royal wedding. The analysis of the oration shows 1 P. Garzili (ed.): Cronica di Napoli di notar Giacomo, Napoli: Stamperia reale, 1845: 129. Letentur et exultetur universa Panonia 331 the precarious position of the Venetian diplomacy when confronted with an emerging union between the traditional rivals, i.e. Hungary and Naples, and its improvised yet prompt reaction, striving to maintain amity. The political manifesto however lags behind the literary qualities of the text which, as it is argued, represents a clear shift from the medieval matrimonial orations to the Humanistic models emerging at that time in Italy. In the first part of this study, attention is brought to the conditions and qualities of the text as such. Subsequently, the persona of the author alongside his role in the wedding and the wider political-diplomatic atmosphere, as evidenced by the content of the speech, is discussed. At the same time, attention is brought to the events surrounding the date of its delivery, that is the proxy-engagement rites in Wrocław (Breslau)2 , drawing upon another newly discovered source. The last part looks into the stylistic aspects of the oration, juxtaposing the oration with the other marriage speeches. The preservation of the text and its textual qualities The text of Badoer’s oration has survived in two copies, in the codex C 700 stored in the Uppsala University Library and the manuscript 1674 of Leipzig University Library. The Uppsala codex was compiled no sooner than in 1479, probably in Warmia (Ermland), and was a part of the cathedral library in Frombork. Aside from Badoer’s speech on folios 24v–26r, the codex contains the treatise of Aeneas Silvius Piccolomini about the Prussians (De situ et origine Prutenorum); bulls of Pius II (against Turks), Paul II (e.g., against King George of Poděbrady), and Sixtus IV; letters of bishop Nicolaus of Tüngen, bishop of Warmia, as well as letters of Jacopo Piccolomini in the lawsuit between the bishop Nicolaus of Warmia and the bishop Vincentius of Chełmno.3 Nicolaus of Tüngen was a canon of Wrocław and an ally of King Matthias, whose support Tüngen needed in the conflict to claim his diocese against the king of Poland. Thus, if we are to speculate, Tüngen was present during the speech and got a copy of it, which later on was added to the codex which might have been commissioned by him. 2 I use modern names of the cities. M. Andersson-Schmitt, H. Hallberg & M. Hedlung: Mittelalterliche Handschriften der Universitätsbibliothek Uppsala. Katalog über de C-Sammlung. Band 6. Handscriften C 551–935, Stockholm: Almqvist & Wiksell International, 1993: 313–315. 3 332 Patrik Paštrnák The Leipzig codex compiled between 1474–1483 belonged to the Leipzig professor and rector Johannes Weiße (d. 1486). It contains around 120 Latin and German texts of various genres, such as imperial decrees, charters, papal bulls, legal records, letters, reports, or pieces of occasional poetry, assembled by Weiße, who intended to make the codex a sort of archival dossier of the important ongoing news and reports. Hence, the manuscript contains a report on the 1475 Landshut wedding, as well as several texts related to Hungary and King Matthias (reports about his campaigns against Turks, etc.).4 Johannes Weiße, an owner and compiler of the manuscript, was interested in Matthias’s acts and recorded also the events occurring in Wrocław around the time of Badoer’s oration, such as the arrival of the news of the wedding in October 1474, or the presence of the Neapolitan delegation in February 1475 (see below). Given their positions within wider opuses, none of these versions can be an autograph. If we compare the two versions, it becomes evident that both were copied from a lost original: while the Leipzig version (L) contains a considerable amount of grammatical and syntactical errors that are corrected by a different hand and ink, sometimes in the margin, sometimes in the text itself, the Uppsala version (U) skips words such as ‘caritate’ and ‘eucrathon’ that were illegible or unknown to the scribe, leaving blank spaces instead. In addition, in one case, U omits the whole sentence. On the other hand, L has an additional title that reiterates the original one and marginal notes referring to the personages as well as the authors cited in the text. Sebastiano Badoer and the role of Venice in the 1476 wedding Sebastiano Badoer (1425/7–1498) was born into a patrician family in Venice. During his childhood or adolescence, he probably obtained a good level of humanistic education as in later years he was able to speak Latin fluently and compose letters in an embellished style. This skill served him well in several diplomatic missions on behalf of the Venetian republic: to the pope during the crisis following the Pazzi conspiracy in 1478, to the emperor during the war of Ferrara in 1484, to the duke of Milan, and many others. A collection 4 F. Eisermann: ‘Archivgut und chronikalische Überlieferung als vernachlässigte Quellen der Frühdruckforschung’, Gutenberg-Jahrbuch 81, 2006: 50–61, p. 57; R. Deutinger & C. Paulus: Das Reich zu Gast in Land. Die erzählenden Texte zur Fürstenhochzeit des Jahres 1475, Ostfildern: Jan Thorbecke Verlag, 2017: 209. Letentur et exultetur universa Panonia 333 of his orations and epistles was published in 1477 and was cited by many Venetian historians. However, this volume is now lost and up until now, his only surviving piece of rhetorical expertise has been the oration addressed to the newly elected Pope Alexander VI in 1492.5 Most likely, the oration addressed to King Matthias in 1475 was one of Badoer’s first works of this sort since his diplomatic beginnings were connected with Hungary. A year before, in 1474, he was charged with the task of persuading the Hungarian ruler to attack the Ottomans, who were then laying siege to the Venetian-held town of Shkodër (Scutari). Badoer succeeded in his mission, and what is more, he seems to have won the special affection of the monarch, who knighted him.6 For his aid, Corvinus was promised a sum of 30 thousand ducats by the Serenissima but eventually he was paid only half.7 Badoer kept sending dispatches to Venice about the campaign against the Ottomans and monitoring the events in Hungary throughout the year 1475, as is evident from several letters exchanged between him, the doge, King Matthias, and Gabriele Rangone, bishop of Eger.8 The last trace of Badoer’s activity in Hungary can be found in September 1476 when he took part in Matthias’s parade of captured Turks and held a speech in laudem regis exhorting the king to carry on with the Turkish campaign “in a manner which surpassed the speech of Marcus Antonius after the death of Julius Caesar”.9 As a Venetian envoy, Badoer had to deal not only with the coordination of the ongoing war against the Ottomans but also with the union of King Matthias and Princess Beatrice, which heralded the reconfiguration of political alliances and deepening of ties between Hungary and Naples at the expense of the Serenissima. The match with the Hungarian ruler and the Aragonese dynasty was already considered a decade earlier, in 1465, when both the king of Naples and the duke of Milan offered their daughters to Matthias. In the case of Naples, 5 G. Cracco: ‘BADOER, Sebastiano’, in Dizionario Biografico Degli Italiani, 1963, https://www. treccani.it/enciclopedia/sebastiano-badoer/_(Dizionario-Biografico). 6 Idem. 7 A. Simon: ‘Crusading between the Adriatic and the Black Sea: Hungary, Venice and the Ottoman Empire after the Fall of Negroponte’, Radovi zavoda za hrvatsku povijest 42, 2010: 195– 230, p. 203. 8 I. Nagy & A. B. Nyáry (eds.): Magyar diplomácziai emlékek Mátyás király korából 1458– 1490 II [Monuments of Hungarian diplomacy from the time of King Matthias, henceforth: MDE], Budapest: A M.T. Akadémia könyvkiadó-hivatalában, 1877: n. 187, pp. 267–268; n. 195, pp. 279– 2782; n. 196, pp. 282–283; n. 197, pp. 283–284; n. 198, p. 285; n. 200, pp. 287–288; n. 201, pp. 288– 291. 9 Giustiano Cavitelli to Duke Galeazzo Maria Sforza, Buda, 8 September 1476, MDE II, n. 224, pp. 325–326. 334 Patrik Paštrnák Beatrice’s elder sister Eleanor was considered to be a future queen of Hungary, but reportedly Matthias was not interested in her on account of her physical qualities, as the Milanese ambassador put it: “la figliola del predicto Re Ferrando non è bella, e lo Re de Ungaria se voleva una belissima.”10 Venice was supposed to serve as an intermediary in arranging the wedding – King Ferdinand offered the hand of his daughter via the Venetian senate which formally agreed to act in this matter. However, despite a positive answer, the talks dragged out and eventually the matrimonial project was abandoned.11 The reasons for this might have been the quoted insufficient beauty of the bride, but more likely Matthias’s interest in finding a wife from one of the Central-European rather than Italian dynasties.12 If one is to speculate, the Venetians too might have secretly worked on thwarting the match, since the Hungaro-Neapolitan alliance would by no means have benefitted their interests. However, as Albert Berzeviczy supposes, the matrimonial discussions between Naples and Buda restarted in 1468 and culminated in 1474, when – after the intercession of Lorenzo Roverella, bishop of Ferrara, and Antonio d’Ayello, archbishop of Bari – Matthias agreed to actively proceed with the nuptials and sent his legation to Naples.13 King Ferdinand, Beatrice’s father, consented to the union in a letter from 5 September, which was delivered to Matthias at the end of October in Wrocław. According to the city chronicler, the king ordered celebration of the news by lighting bonfires and candles and ringing the bells for an entire hour. At that time, Wrocław was surrounded by Bohemian and Polish troops so the fire show made the besiegers think that the entire city is burning and affected by the plague.14 10 Gerardo Colli to the duke of Milan, Venice, 21 November 1465, in: A. Berzeviczy: Aragoniai Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok [Documents related to the Life of Beatrix of Aragon, Queen of Hungary], Budapest: Magyar Tud. Akadémia, 1914: 16; A. Kalous: ‘Tři týdny slávy, tři roky šťastného manželství: Beatrix a Matyáš’ [‘Three Weeks of Glory, Three Years of Happy Marriage: Beatrix and Matthias’], in: P. Kras & M. Nodl (eds.): Manželství v pozdním středověku: rituály a obyčeje [Marriage in the Late Middle Ages: Rituals and Customs], Praha: Filosofia, 2014: 187–205, pp. 188–189. 11 A. Berzeviczy: Beatrix királyné (1457–1508). Történelmi élet- és korrajz [Queen Beatrix. Historical Biography], Budapest: A magyar történelmi társulat, 1908: 106. 12 A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 106; A. Kalous, ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 188. 13 A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 108; A. Kalous, ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 189. 14 P. Eschenloer: Geschichte der Stadt Breslau II, G. Roth (ed.), Münster: Waxmann, 2003: 954– 955; A. Kalous: ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 189. Letentur et exultetur universa Panonia 335 Thanks to the better network of informants or just because of the sheer geographical proximity, the Venetians learned about Ferdinand’s approval for the union much sooner than Matthias, already on 17 September. However, unlike the Hungarian ruler, they were not particularly excited about the match, quite the opposite: Leonardo Botta, the Milanese ambassador in Venice, informs his lord that the new dynastic bond made the Venetians quite displeased, probably more than one can see.15 Yet the outer reaction was supposed to convey the contrary: reportedly, on the very same day (17 September), the senate addressed a gratulatory letter to Matthias, stressing the ancient and constant friendly relations between the king and the republic and lauding Beatrice’s qualities.16 With respect to Corvinus’s marriage, Venice had to walk a fine line: on the one hand, the republic was aware that only Hungary had the power to stop the Ottoman threat and therefore she needed Matthias’s help. On the other hand, there were fears of the king becoming too powerful, either by expansion into Dalmatia, or alliance with the Habsburgs, thus creating a major Central European power that would threaten Venetian dominance in the region.17 Such an alliance was looming in 1470 when there were talks about concluding a marriage between Matthias and Kunigunde, daughter of Emperor Frederick III, that would corroborate the peace between the two rulers. As a part of the dowry, Kunigunde should have received Trieste, Pordenone, and other towns bordering the Venetian territory.18 Ultimately, this union did not take place; however, the matrimonial alliance with Naples, a traditional enemy of the maritime republic, was yet another blow to the interests of the Serenissima, who feared seeing the Hungarian king in a potential anti-Venetian coalition. 15 ‘Qui sono venute littere da Roma como el re Ferdinando ha concluso parentato col Re de Ungaria et che il dicto re Ferdinando gliha dato per mogli l’ultima figliola legiptima, che l’havevo della quale parentela questa brigata monstra haverne displicentia, et credo ne habiano anche piu che non dimonstrano.’ Leonardo Botta to Duke Galeazzo Maria Sforza, Venice, 17 September 1474, Archivio di stato di Milano (ASMi), Carteggio Visconteo-Sforzesco, Potenze estere 650, f. 207. Accessible online: vestigia.hu/kereses/nyomtat.php?a=1415005611. 16 A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 109. According to Berzeviczy, the transcript of the letter should be in MDE II, pp. 305–307, however, this reference is wrong and the letter is not at the other place of the volume either. However, the letter must have existed since Badoer refers to it at the beginning of his speech. 17 G. Nemeth: ‘Mattia Corvino e Venezia: Gli anni della collaborazione nella lotta antiottomana’, Studia historica adriatica ac danubiana I, 2008: 45–57. 18 A. Papo: ‘Mattia Corvino e la politica ungherese al confine orientale d’Italia’, Studia historica adriatica ac danubiana I, 2008: 59–72, pp. 60–64. 336 Patrik Paštrnák Hence it was necessary for Venetian diplomacy to adapt – to keep Corvinus in the anti-Ottoman league and out of Italian squabbles and Dalmatia. As Adriano Papo points out, these fears were unjustified since Matthias’s mind was fully occupied with the campaign in Bohemia and Austria and he never really considered a war against Venice.19 Nonetheless, the republic did not take any risk and put her best foot forward, by assuring the king of Venice’s joy from the wedding and alliance with the Aragonese dynasty of Naples. This task was given to her ambassador in Hungary – Sebastiano Badoer. Betrothal festivities in Wrocław Badoer’s time came at the beginning of February 1475. According to the Wrocław chronicler Peter Eschenloer, Matthias came back to the city on Candlemas Day and on the following Saturday (4 February) […] an honourable delegation from the king of Naples and Venice came to him, which he quite generously received. They brought him great honours from his upcoming lady bride, some expensive royal garments which the bishop of Bari, the head of this delegation, put on him (Matthias) in the church of Saint Elizabeth during the great solemnities. He (Matthias) spent with him and other lords a pleasant carnival with jousting, dancing, and all sorts of joy.20 A much more in-detail report of the events is preserved in the Leipzig codex, on the folios following the Badoer’s oration. According to this account, the legation consisted of the archbishop of Bari, Sebastiano Badoer, and a certain crusader from Catalonia (crucifer de Cattolonia), and was accompanied from Hungary by Miklós Báthori, bishop of Vác. One mile before the city, the embassy was greeted by John Pongrácz of Dengeleg (Pangracius Weyda, regius patruus) as well as by townspeople. Surprisingly, the king was also present but not in an obvious way: The king, disguised in a certain hamlet nearby the road, where he was hiding because of the people, saw their (the townsfolk’s) 19 20 Ibid.: 69. P. Eschenloer: Geschichte, op.cit.: 980. Letentur et exultetur universa Panonia 337 splendour and how everything is well organized, which made him very proud. Having seen this, he returned to the city via a different road.21 Following the joyous entry, the envoys were lodged in the town. On Mardi Gras (7 February), the king dined with the ambassadors and other prominent lords, and the report explicitly mentions Haubold of Sleynitz, Johann of Weisenbach, the future bishop of Meißen, Rudolf of Rüdesheim, bishop of Wrocław, and Miklós Báthori sitting at the king’s left side, and the archbishop of Bari, Sebastiano Badoer, and the enigmatic crusader on the right side.22 The Leipzig manuscript also expounds on the gifts sent to Matthias by Beatrice. The handover indeed took place during high mass in the church of Saint Elizabeth. Bishop Rudolf of Rüdesheim officiated the service and during it he and other prelates […] dressed the king in the white damask undergarment (albicanti tunica ex adamesco) and girded him with a black belt. Then, they brought him before the altar and there dressed him in a precious cloak (precioso pallio) with a red Persian trimming (parsica subductura ex rubeo), adding a necklace of precious Arabian gold [on the neck] together with a ring on the finger. Decorated in this way, the king awaited the end of the holy office.23 In the codex’s margin, this rite is described as desponsatio – the betrothal. The staged acceptance of the clothes, jewels, and most importantly the ring, gives evidence to the fact that it was indeed an engagement in absence. Such a rite was quite common in the Middle Ages, especially in the case of princely newlyweds who often lived in different parts of Europe. Yet usually this sort of engagement was accompanied by a sole exchange of rings, sometimes with letters containing the bride and groom’s consent to the marriage, not by a church ceremony and ritual investiture of the clothes sent by another matrimonial party.24 Thus, the 1475 desponsatio in Wrocław shares many features with the usual wedding by proxy (per procurationem), especially in the public 21 UB Leipzig, Ms. 1674, fol. 49v–50r. Ibid.: fol. 50r. 23 Idem. 24 C. Debris: ‘Tu Felix Austria, nube’: la dynastie de Habsbourg et sa politique matrimoniale à la fin du Moyen Age (XIIIe –XVIe siècles), Turnhout: Brepols, 2005: 362–371. 22 338 Patrik Paštrnák character and involvement of the Church. However, at the same time, it cannot be denoted as a proxy wedding since there is no description of an exchange of the verbal consent and the symbolic bedding ceremony, such as lying down in the bed and touching each other with a bare foot, that were typical for these rituals.25 Nonetheless, the Wrocław betrothal is a proof that medieval matrimonial rites were to a great extent in a state of flux, and that both wedding parties tried to secure the solidity of the proposed union as firmly as possible. Matthias and Beatrice’s nuptials are no exception: before the princess departed from Naples, the wedding by proxy took place, and not surprisingly, it featured the same people present at the betrothal in Wrocław, such as Bishop Rudolf of Rüdesheim or John Pográcz who stood in for Matthias.26 Perhaps the most intriguing part of the ceremony is the fact that the garments, ritually conferred on Matthias, were sent by Beatrice herself. As part of the nuptial transition, princely brides were sometimes required to accept the sartorial code of the husband, thus visualizing their incorporation and adaptation to the new environment. Often, the husband’s emissaries were instructed to learn the bride’s measurements so that fitting clothes could be made for her in time for her arrival, or alternatively, bridal trousseaus could contain pieces associated with the new environment.27 For Beatrice, yet another way was used: she was given pieces of attire all’ongaresca, in the Hungarian manner, as a wedding gift from Matthias himself.28 If the garments used during the 1475 Wrocław ceremony, were indeed sent by Beatrice, it does not only make for an unusual reversal of gender roles but it also evidences the active role of the princess in the marriage 25 K.-H. Spieß: ‘Unterwegs zu einem fremden Ehemann. Brautfahrt und Ehe in europäischen Fürstenhäusern des Spätmittelalters’, in: I. Erfen & K.-H. Spieß (eds.): Fremdheit und Reisen im Mittelalter, Stuttgart: Steiner, 1997: 17–36, p. 26; K. Vocelka: Habsburgische Hochzeiten 1550–1600: kulturgeschichtl. Studien zum manieristischen Repräsentationsfest, Vienna: Böhlau, 1976: 31. 26 A. Kalous: ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 190. 27 K. O. Frieling: ‘Dressing the Bride: Weddings and Fashion Practices at German Princely Courts in the Fifteenth and Sixteenth Centuries,’ in: E. Griffey (ed.): Sartorial Politics in Early Modern Europe. Fashioning Women, Amsterdam: University Press, 2019: 75–92, pp. 78–85; D. Antille: ‘Valentina Visconti’s Trousseau: Mapping Identity through the Transport of Jewels’, in: T. Chapman Hamilton & M. Proctor-Tiffany (eds.): Moving Women Moving Objects (400–1500), Leiden: Brill, 2019: 247–71. 28 See my forthcoming article ‘Mechanics of royal generosity: The wedding gifts from King Matthias Corvinus and Beatrice of Aragon’s wedding (1476)’, Speculum 3, 2023. Letentur et exultetur universa Panonia 339 from its very beginning, which became more visible later on, for instance, in the Italicization of Hungarian court, patronage of offices, or foreign policy.29 The Leipzig codex claims that the peculiar engagement ceremony took place on dominica Invocavit, i.e. 12 February, a week after the arrival of the Italian delegation and Badoer’s speech, which supposedly occurred on 5 February. It is not out of the question that both events occurred at the same time, on 5 February, especially given the fact that the latter Sunday was already in Lent. However, there is no reason to suspect the veracity of details in the Leipzig manuscript, considering the correct chronological order of the events, such as placing dominica Invocavit rightly after Shrove Tuesday, or noting that the Italian embassy departed from Wrocław on dominica Reminiscere (19 February). Therefore, most likely, the engagement ceremonies spread over the course of two weeks, and the oration of the Venetian ambassador was the first item on the menu. What exactly did it contain? Badoer’s speech and epithalamic tradition At first glance, the oration is not particularly vocal in expressing the bonds between Hungary and Venice. The first passage is devoted to spelling out the alleged joy with which the senate accepted the news of the match: “…nothing more pleasant, nothing more desired, nothing more delightful could have happened to the Venetian republic”. As stated above, this was not true, quite contrarily, the union of Matthias and the king Naples went directly against the interests of the Serenissima. However, this does not prevent Badoer to draw a comparison of the union, in which Venice plays a crucial role. The wedding should, according to him, give rise to the alliance of not two, but three sides – Venice, Matthias, Ferdinand – a pact of “true love, mutual goodwill, and indissoluble bond” that will mimic the “indivisible Trinity” in heavenly spheres. This political manifesto, dressed in semi-religious terms, ends with an exhortation to unity and uniformity. The role of Venice is highlighted, but at the same time, limited to the first paragraph as Badoer does not elaborate on the famous personages or history of the good relations between this projected “holy Trinity” of his, simply because there was none. Quite contrarily, the opposite interests of each of these polities, especially Venice and Naples led them often on a collision course, not only prior to Matthias and Beatrice’s nuptials but 29 A. Kubinyi: Matthias rex, Budapest: Balassi Kiadó, 2008: 137–40. 340 Patrik Paštrnák many times after it as well.30 On the other hand, the marriage only strengthened the already good Hungaro-Neapolitan relations that went back to the early 1470s when, for example, the war provisions for Matthias’s army in Bosnia were supplied from the southern Italian regions.31 However, the intensification of the contacts dragged Matthias too close to his Neapolitan relatives and the Italian matters in general, which proved to be often detrimental to the Hungarian interests.32 More than for its political contribution, the speech deserves attention because it employs many elements of the new genre of wedding orations, epithalamia, emerging at this time in Italy. Drawing upon the classical patterns of panegyrics, Italian humanists used this rhetorical form to not only extol their patrons but also to spread political propaganda, court ideals, philosophical, religious ideas about marriage and sexuality, etc.33 Although very rudimentarily, Badoer’s oration also follows this model. Firstly, he extols the qualities of the bride, both physical and mental. According to him, Beatrice possesses “abundantly all virtues that are necessary for the importance of a matrimonial bond”, namely “nobility and antiquity of blood, the beauty of body and manners, pre-eminence in all virtues”. Elaborating on these points, Beatrice’s father Ferdinand and grandfather King Alphonso, as the most recent scions of the noble lineage, going back to the first man, are mentioned. Furthermore, special attention is paid to the bride’s chastity – it is, in the words of Jerome – “the first ornament of matrons” and “the most beautiful flower”. Stating that in this respect, the future queen of Hungary “does not only surpass female sex” but she is “a disguised god (sic, not goddess) in a human body” was not only meant to praise her qualities, but it had very practical repercussions for Matthias and Beatrice’s potential offspring. Sexual purity and chastity was a critical factor not only in the public image of medieval queens but also for the legitimacy of 30 For instance, in the upcoming war of Ferrara in 1482–1484, Naples and Venice stood at opposite sides. J. H. Bentley: Politics and Culture in Renaissance Naples, Princeton, NJ: University Press, 1987: 30. 31 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly politikai kapcsolatai a Mátyás-korban’ [‘Political relations of Hungary and Naples in the age of Matthias’], in: P. Fodor, G. Pálffy & G. I. Tóth (eds.): Tanulmányok Szakály Ferenc emlékére, Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, 2002: 229–247, p. 233. 32 Ibid.: 240–243. 33 A. F. D’Elia: The Renaissance of Marriage in Fifteenth-Century Italy, Cambridge, MA: Harvard University Press, 2004. Letentur et exultetur universa Panonia 341 their offspring and dynasty as a whole.34 The praising of the bride is followed by the extolling of the groom, about whom one can say so many lauds that “no generation will ever put an end to them”. According to a usual list of masculine virtues, Matthias excels in prudence, equanimity, military prowess, magnanimity, the aid of providence, and “imperial” courage, which are “like walls that surround him and make him always invincible”. Finally, the speech ends with exhortations to joys and wishes that the royal pair enjoy a happy life and “divine” offspring. If we compare the wording of the oration with other rhetorical pieces delivered on similar occasions just two decades earlier, we can see a clear shift in style. When István Várdai, archbishop of Kalocsa, addressed the king of France, demanding the hand of his daughter Magdalene for King Ladislaus Posthumous in 1457, he also went to great lengths in praising both kings, uniting by the marriage. However, when listing Ladislaus’s virtues, emphasis is put on his “compassion, piety, how he helps and protects those who suffer, how he is gracious to those who are oppressed, how he is just and merciful to those who are faithful […] and how he will not succumb to any crime”.35 The bride’s qualities are briefly outlined in one sentence, starting with piety and ending with a statement that she could call herself “happy to be the wife of such a king”,36 therefore using her only as a tool for the further promotion of Ladislaus. The whole union is framed as a result of God’s will, in allusion to the Psalm 118, verse 24: “This is a day made by God, let us rejoice in it!” Similarly as in Badoer’s oration, the final words are an exhortation to joy, but it is not Pannonia or Bohemia who are exhorted but “the entire Christian kind”.37 The liturgical language and use of Biblical references is visible in other matrimonial speeches. For instance Jacob Motz, an envoy of Frederick III, sent to marry by proxy the future empress, Eleanor of Portugal in 1451, does not hesitate to compare himself to God’s angel: The most serene emperor (Frederick III) sent priests (to fetch the bride) because every divine work is done in this way in both the 34 E. Woodacre: ‘Saints or Sinners? Sexuality, Reputation and Representation of Queens from Contemporary Sources to Modern Media’, De Medio Aevo 10/2, 2021: 371–85, p. 372. 35 E. Sándor (ed.): ‘Várdai István beszéde a Francia király előtt’ [‘The speech of István Várdai before the king of France’], Egyetemes Philologiai Közlöny 62, 1938: 101–104, p. 103. 36 Ibid.: 104. 37 Idem. 342 Patrik Paštrnák Old and New Testaments. That is why a prophet says when speaking about the Incarnation: “I send my angel before you,” that is, a priest.38 Likewise, the bride is hailed in spiritual terms: You are all beautiful, beautiful on the inside, beautiful on the outside […] You are all beautiful by nature, more beautiful by virtues, more beautiful for the grace given from above. You are a maid of King Ahasuerus […]39 While the wording “You are all beautiful” alludes strongly to the ancient Christian hymn Tota pulchra es, Maria, thus putting the princess side by side with God’s mother, the expression “the maid of Ahasuerus” refers to the biblical queen Esther. In medieval instructional treatises, both personages were presented as models for queens,40 so it is no surprise that this theme found its way into matrimonial rhetoric as well. Beyond Italy, it was still quite usual to follow this pattern of panegyric, for instance when the bishop of Metz, coming to conclude the wedding by proxy between Mary of Burgundy and Maximilian of Habsburg in 1477, greeted the upcoming bride by basically paraphrasing the Annunciation scene from the gospels: “You are blessed amongst the women; you are in Emperor Frederick’s (Maximilian’s father) grace […]”. (Having heard these words) the lady (Mary) rejoiced and responded: “I am a humble servant of my most excellent lord. May everything which pleases him happen…”41 Badoer sometimes, but very seldom, uses religious rhetoric (the quoted “holy Trinity” analogy, “enemies of the cross”) but he refers to God in a classical 38 ‘M. Iacobi Motzii theologi, legati caesarei coram serenissimo Alphonso rege Portugaliae oratio, pro filia eius Lionora Friderico caesari desponsanda’, in: M. Freherus (ed.): Germanicarum rerum scriptores aliquot insignes, hactenus incogniti, qui res in Germania & Imperio sub Friderico III. & Maximiiano I. impp. memorabiliter gestas, illo aevo litteris prodiderunt II, Frankfurt am Main: Typis Wechelianis apud Claudium, 1602: 15–16. 39 ‘Eodem tempore ad imperatricem tunc futuram oratio facta, in praesentia regis, et sui perlamenti’, in: M. Freherus (ed.): Germanicarum rerum…, op.cit.: 16–71. 40 J. C. Parsons: ‘Queens and empresses: The West’, in: M. Schaus (ed.): Women and Gender in Medieval Europe, New York: Routledge, 2006: 683–691, p. 689. 41 J. A. Buchon (ed.): Chroniques de Jean Molinet II, Paris: Verdière, 1828: 94–95. Letentur et exultetur universa Panonia 343 term rerum opifex (“artificer of things”) and on the other hand, in an almost blasphemous way, he does not eschew calling Beatrice a god. Although lacking a complex philosophical ideology or a deeper exposition of particular heroic deeds, Badoer’s oration marks a break from the previous formulations and models: he relies heavily on the quotes from pre-medieval, though mostly patristic literature (Jerome, Boethius, Justin) while ignoring ancient Roman historians or philosophers, and he does not go into specifics at all when talking about the glorious history of uniting dynasties, like Giovanni Francesco Marliani did during the proxy nuptials of Bianca Maria Sforza and John Corvinus in 1487.42 However the renouncement of biblical language and older medieval moral models, as well as the introduction of classical references and adherence to the themes of the epithalamia genre, clearly makes this oration worthy of attention and it is yet more proof of cultural exchange between Hungary and Italy in this period, when Corvinus’s realm stood first in line in terms of of promoting Humanist erudition and literature beyond the Alps. Appendix The oration of Sebastiano Badoer The critical edition of the speech is reconstructed from the two codices, C 700, stored in the Uppsala University Library (U), and Ms. 1674 of Leipzig University Library (L). Minor typological variations are not marked (haut L – haud U, christianissime U – cristianissime L, sidus U – sydus L). Quotes and very close paraphrases from other sources are in italics. [U 24v, L 48r]43 Clarissimi patricii veneti viri senatorii eloquentissimi44 Sebastiani Baduari, dignissimi oratoris illustrissimi senatus veneti apud invictissi- 42 ‘Ioanni Francisci Marliani … epithalamium … in nuptiis illustrissimae virginis Blancae Mariae Sphortiae vicecomitis et illustrissimi ducis Ioannis Corvini’ in: J. Ábel (ed.): Olaszországi XV. századbeli iróknek Mátyás királyt dicsőítő művei [Works of the fifteenth-century Italian authors glorifying King Matthias], Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, 1890: 359–381. 43 L habet superscriptionem alio atramento et alia manu Oratio ad Mathiam regem Hungarie super nuptiis cum filia regis Neopolitani habita die 5.a mensis Februarii anno 1477.to Wratislavie in ecclesia sancte Elizabeth in media sollemnitate misse maioris. 44 eloquentissimi ] eloquetissimi U 344 Patrik Paštrnák mum principem dominumque serenissimum dominum Mathiam Hungarie et45 Bohemie46 regem christianissimum oratio pro faustissimis nuptiis suis, habita die quinto februarii m. cccc. lxxv Wratislavie in ecclesia sancte Elisabeth in media sollempnitate celebrationis misse maioris.47 Licet regia celsitudo tua, christianissime et invictissime rex, ducalibus et meis literis de facili intelligere potuerit conceptum a senatu veneto48 gaudium ex faustissimis et felicissimis nuptiis tuis, tamen tante rei magnitudini convenire videtur id etiam certiori firmiorique adhuc medio, hoc est vive vocis oraculo explicare, quoniam, ut ayt49 divini eloquii princeps ille Paulus habet nescio quid energie viva vox,50 et doctissimus phisicarum disciplinarum Gilbertus Poretanus verba sunt earum, que anime insunt passionis note,51 et moralissimus52 stoicorum ille Seneca ymago animi sermo est,53 quantam ergo animi leticiam conceperit ex tanto sacramentali connubii tui vinculo venetum dominium illustrissimum et si haud complete non modo orationis ornatu, verum haud ex54 verbis exprimi non posset, hoc unum tamen indubie teneatis, tu rex christianissime, oratores clarissimi, heroes55 et viri prestantissimi,56 nichil iocudius, nichil optatius, nichilve delectabilius venete57 rei publice potuisse contigere, et hoc58 merito iure veri amoris, mutue benivolentie, indissolubilisque federis inter maiestatem tuam, Ferdinandum59 [U 25r] regem serenissimum, ipsumque senatum vene- 45 et ] et cetera U Bohemia omisit U 47 habita… maioris omisit L 48 veneto ] venetu U 49 ayt omisit U 50 Cf. Hieronymus, Epistulae 53. 51 Cf. “Sunt ergo ea quae sunt in voce earum quae sunt in anima passionum notae et ea quae scribuntur eorum quae sunt in voce.” Boethius, In librum Aristotelis Peri hermeneias commentarii, 1. 52 moralissimus ] molarissimus L 53 Cf. Publius Syrus, Sententiae. 54 ex omisit L 55 heroes ] heroas U et sic passim 56 prestantissimi insertum alio atramento et alio atramento in margine L 57 venete ] veneto L 58 hoc ] hac U 59 Ferdinandum ] Fredinandum U ; Fferdinandum L 46 Letentur et exultetur universa Panonia 345 tum, quo fiet, ut60 inter vos verum individue trinitatis exemplar et vestigium continue intueri61 licebit, ut quemadmodum62 simplicissima eterna illa essentia trium realem personarum distinctionem in esse naturali63 compatitur, ita et vos suppositales differentias ex individuali64 caritate65 conceptas servabitis, servaturique estis cum voluntatum66 conceptuumque omni unanimi, uniformi, indivisaque in omnibus existentia. Quis enim tam67 excors, qui nullo ductus errore ex diva Beatrice tibi matrimoniali vinculo assignata,68 non summe letetur, cum in ea omnia cumulatissime sunt, que ad amplitudinem cuiusque coniugalis federis sint requisita. Hec enim sunt, rex invictissime, que divo huic [L 48v] sacramento decorem maximum asserunt et ornamentum: sanguinis nobilitas et vetustas, corporis species et decor morum, virtutumque omnium prestancia et dignitas, diva69 ipsa Beatrix, recte nomen consequens rei, cum omni ea beatitudinis et felicitatis gradu sit predita, quo nos mortales in hoc viatico beatos aut felices appellari liceat. Nonne Ferdinandi regis christianissimi filia, Ferdinandus nonne70 divi Alfonsi semen in lucem eductus,71 et sit ab Alfonso ad avum proavum attavumque ascendentes usque ad primum humani generis parentem, nichil preter regalem sanguinem, quo nil prestantius decursu72 inveniemus,73 corporis videlicet speciem artiumque omnium conformitatem tantam in ea apposuit rerum opifex et magister, ut de ipsa recte dici possit: Spes tua, universi orbis imperio digna, digna hoc regali solio. Et quod Nicodemus de divino supposito hoc idem de ipsa Beatrice recte fari possit:74 Vere corpus hoc 60 ut omisit U intueri ] retueri L, alio atramento deletum et in margine emendatum 62 quemadmodum ] quamadmodum L 63 naturali ] munerali U ; alio atramento munerali deletum et naturali suprascriptum L 64 individuali ] “in-” alio atramento addita L 65 loco caritate habet U spatium vacuum 66 voluntatum ] voluptatum U 67 tam ] tamen L 68 assignata ] assingnata L 69 diva] originaliter divina, alia manu et alio atramento emendatum L 70 nonne omisit L 71 eductus ] edoctus U 72 decursu ] decursum L 73 inveniemus ] originaliter innomemus, alia manu et alio atramento emendatum L 74 Spes … possit omisit U 61 346 Patrik Paštrnák eucrathon75 et coequale, morum virtutumque omnium prestantiam, quantam in se contineat, haud copiose explicare posset. Nam pudiciciam ipsam primam rerum matronarum ornamentum, ut priscus ille Pitagoras asseruit,76 adeo supra humane fragilitatis vires omni etatis sue gradu coluit, ut immaculatam semper illesamque servavitur, quod eo divinius [U 25v], eo preclarius, quo difficilius cum phisica summa circa difficile sit virtus constituta. Et Barbatus ille Hieronimus77 tenera res in mulieribus fama pudicitie est, quasi flos pulcherrimus78 ad levem79 marcescit 80 auram, levique flatu corrumpitur, maxime ubi etas consentit ad vicium, et maritalis deest autoritas, cuius umbra tutamen uxoris est,81 et difficile, quod ymmo impossibile sit,82 rex christianissime, deliciis et voluptatibus affluentes, non ea cogitare, que gerimus, frustraque quidem simulant salva fide, pudicitia et mentis integritate, se abuti voluptatibus, cum contra naturam sit, copiis voluptatum sine voluptati perfrui.83 Et divinum equidem sit in maxima peccandi licencia a peccato abstinuisse, que omnia cum diva Beatrix continentissime immaculateque servaverit, dubitabimus eam celitus84 lapsam preditare reliquis vero animi dotibus omnibusque liberalibus artibus ita decorata, ut non modo femineum sexum, verum omnes humani generis metas excesserit, ut non universalibus [L 49r] educata principiis, sed potius deus unus humano in corpore latitatus85 dicenda sit. Quibus rebus est86 divum certe faustum felicissimumque87 connubium Mathia etiam principe invictissimo orna- 75 loco eucrathon habet U spatium vacuum Cf. “…vera ornamenta matronarum pudicitiam, non vestes esse.” Justinus, Historiarum Philippicarum 20, 4. 77 Hieronimus ] Ieronimus L 78 pulcherrimus ] pulcherrimum L 79 levem ] levam L, alio atramento ad litteram a cauda addita 80 marcescit ] marcessit L 81 Cf. Hieronymus, Epistulae, 79. 82 sit omisit U 83 Cf. Hieronymus, Adversus Jovinianum II, 9. 84 celitus ] colitus L 85 latitatus ] latitusque L 86 est ] o U 87 felicissimumque ] felicissimum U 76 Letentur et exultetur universa Panonia 347 tum, cuius laudum88 preconia tanta sunt, ut nulla89 eis etas sit unquam90 finem allatura. Quis enim eo uni prestantissimi91 aut rerum gerendarum prudentia, aut juris equanimitate conficiendis bellis fortitudine omnibusque animi dotibus prestantior, clariorque visus est, qui virtutibus omnibus tanquam menibus septus invincibilis inexpugnabilis semper extitit, cui illa ipsa rerum humanarum diva fortuna, que viri magnam habere dicitur, cedit locumque prestat. Quorum omnium testes sunt clarissima gesta, testes estis vos, heroes et viri clarissimi, qui in dies intellex estis92 animi sui virtutem incredibilem, rerum inauditam providenciam in adeundis periculis, cesariem93 fortitudinem omnibusque in rebus celitus lapsam magnanimitatem, [U 26r] adeo, ut humanae religionis splendor, virtutumque exemplar esse dicatur, demum diva Beatrice, quam in94 corporis specie virtutum prestancia tamquam sidus splendidissimum95 intuemur. Letare igitur, rex christianissime, letamini heroes et viri prestantissimi, letentur et exultetur universa Panonia, Moravia, Slesia, Bohemia, que tante96 domine splendore illustrande omni ex parte clariores, omnique ex parte lucidiores eius decoris puditia, future sunt, dentque vobis superi felicem et peroptatam vitam, divamque sobolem et filiorum filios videatis, usque ad extremos mundi limites97 tranquillumque regni statum, et de crucis inimicis gloriam et triumphum reportare, quemadmodum eterna providentia tibi, rex invictissime, indubie est assignatum, que omnia ut quam faustissime felicissimeque fiant, deum optimum maximum, que precamur. 88 laudum ] laudem L nulla ] ulla U 90 unquam ] in quem U 91 uni prestantissimi ] prestantissimi uni U 92 estis ] sistis L 93 cesariem ] cesarem L 94 in ] et L 95 splendidissimum ] splendissimum L 96 tante ] tanta L 97 limites ] limitas L 89 348 Patrik Paštrnák Acknowledgements I want to thank to György Domokos and Tibor Martí for bringing the Leipzig codex to my attention and to Bence Péterfi for providing me with many important details and literature on this source. My thanks also go to Antonín Kalous who, as always, read the entire manuscript and provided me with much needed feedback and comments, and to Martin Dixon who proofread the article. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK La dote di Beatrice d’Aragona. Nuove fonti per la storia delle relazioni di Mattia Corvino con Napoli (1474–1476)1 Tibor Martí Centro di Ricerca delle Scienze Umanistiche, Istituto di Storia marti.tibor@abtk.hu Abstract This aim of the present paper is to reconstruct the history of Hungarian–Napolitan relations in the period (1474–1476) preceding the marriage (1476) between Matthias Corvinus (1443–1490) and Beatrice of Naples (1457–1508), and the negotiations leading to the marriage contract and the dowry agreement, on the basis of newly discovered sources in Spanish archives. One set of sources is preserved in the so-called mixed Valencian origin (Varios de Valencia) documents in the “Órdenes Militares” section of the Archivo Histórico Nacional de Madrid, and the other set of documents is in the series of Patronato Real of the Archivo General de Simancas. These sources were previously published in two issues of Történelmi Szemle (review of the Institute of History of the Research Centre for the Humanities: ‘Unpublished Charters from the Legacy of Beatrice of Naplesʼ, Történelmi Szemle 59, 2017: 491–523, and ‘The Dowry of Queen Beatrix of Aragon: New Sources about the Neapolitan Connections of King Matthias Corvinus (1474–1476)ʼ, Történelmi Szemle 63, 2021: 605–630). The newly discovered sources allow us to clarify the chronology and composition of the Neapolitan envoys’ visits between 1474 and 1476, in other words, to reconstruct in detail the history of the negotiations that led to the alliance between King Matthias Corvin and Ferdinand I of Naples and the dynastic relationship. 1 Questo saggio è stato scritto con il sostegno della Borsa di Studio di Ricerca János Bolyai. Per questo studio ho ricevuto preziose fonti dell’Archivio di Stato di Milano (Fondo Sforzesco, Potenze Estere, Napoli), fornite dal Prof. Francesco Storti (docente dell’Università di Napoli Federico II, Dipartimento di Studi Umanistici) che vorrei ringraziare molto per il suo aiuto nel quadro della cooperazione internazionale. Per la definizione della forma defintiva del manoscritto e il controllo del testo mi hanno fornito preziosi suggerimenti György Domokos, Hajnalka Kuffart, Bálint Lakatos, Tibor Neumann e Ágnes Szabó. 350 Tibor Martí “La Maestà del signor Re2 mio è stato continuamente in Buda, et è al presente, et non se intende se non al ordine de mandare a torre la Serenissima Regina3 a Napoli. Già sono venuti in Buda Vescovi et altri cum cavalli assai per andare. Io non posso scrivere il vero numero de cavalli, perché non è ancora determinato, et lo Ambasiatore del Serenissimo Signor Re Ferdinando,4 avegna, ebe el solecita de intenderlo per avisare, non ha più ferma notizia de mi. Se pò conjecturare, saranno cavalli più de 400, e manco de 500. Li Ambassatori sono perfino adesso el Vescovo de Vratislavia,5 el Vescovo de Varadino,6 Pancrazio Capitaneo de Transilvania cosino germano del Re,7 el Conte Gioanne Grofti[!],8 le cose sono in fieri, e tutti hanno avuto dinari per la spesa, excepto el dicto Vescovo de Vratislavia, che li aspecta de giorno in giorno, et cum essi anderano Cortegiani et altri Nobili assai. Credo non tarderano de partirni da Buda ultra 10. a 15. di al più tardo, in questo mezo si averò il numero vero et si altri Ambaxadori se manderano et del tutto sarà avvisata la Vostra Illustrissima Signoria.9 – Ultra le potenzie d’Italia, che sono invitate alle noze et cosi l’Imperatore et tutti Duca, Conti e Baroni de Alemagna e invitato ancora el Duca de Borgogna.10 La Maestà del Signor Re mio, ha fatto il mandato de recevere la dota, che como sa la Illustrissima Signoria Vestra, e de ducati 200 millia, cioè 170 millia in contanti, e trenta millia in zoje, et ultra la dota el Signor, Re mio, gli ha fatto mandato de far donatione alla dicta Serenissima Regina del terzo della dota cioè de 66 milia ducati ultra la dota, benché l’oratore del Serenissimo Signor Re Ferdinando cioè de Archivescovo de Bari11 in Buda havesse commissione de levarse de Buda et andare in Borgogna, como che serisse per altre mie, et fosse venuto l’Angelotto Macedonio Ambaxadore, del dicto Re, nientedimeno el Re mio, non l’à voluto lassar partire, et ha reserito a Napoli et così l’Angelotto ritornerà, credo, indreto 2 Mattia I Corvino re d’Ungheria (1458–1490). Beatrice d’Aragona (1457–1508), regina d’Ungheria. 4 Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli (1458–1494) 5 Rudolf von Rüdesheim, vescovo di Breslavia (lat. Vratislavia, ted. Breslau, pol. Wrocław, ung. Boroszló, Polonia), (1468–1482). 6 János Filipec, vescovo eletto di Várad (Oradea, Romania), 1476–1490. 7 Pongrác Dengelegi, voivoda della Transilvania. 8 Conte János Szentgyörgyi. 9 Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (1466–1476). 10 Carlo il Temerario, duca di Borgogna (1467–1477). 11 Antonio d’Ayello [di Taranto], arcivescovo di Bari. Cfr.: G. Musca: ‘Antonio Aielloʼ, in: Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 1, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960: 517–518. 3 La dote di Beatrice d’Aragona 351 insiema cum quelli, chi vanno per la Regina et meritamente e sta retenuto per essere così docto et fatico homo como pochi ne sia. Apresso la Maestà del Signor Re mio e uno Legato apostolico, quale è il governo et ochio diritto suo. Costui è Frate di San Francisco de Observantia, et sono circa anni 25, che l’è in le parte tra dela Alemagna et d’Ungheria.”12 La relazione di Luca Lupo13 è stata scritta direttamente prima della partenza della delegazione ungherese che, nell’estate del 1476, si dirigeva da Buda a Napoli. Nella sua lettera questo personaggio comunica informazioni puntuali sugli oratori ungheresi e sulla dote di Beatrice d’Aragona, riassumendo i dati conosciuti dalle persone dell’ambiente di Mattia I Corvino, re ungherese (1464– 1490) e re boemo (1469–1490).14 Nel periodo della stesura della nostra fonte le trattative tra Mattia e Ferrante I d’Aragona, re di Napoli (1458–1494) erano in corso da anni. In seguito al lavoro preparatorio degli ambasciatori, tra i due sovrani si è creata un’alleanza e si è realizzato anche il matrimonio tra la figlia minore di re Ferrante I, la principessa Beatrice e il re ungherese Mattia.15 12 1476. Relazione di Luca Lupo da Buda al duca di Milano, sugli eventi polacchi e turchi, sui doni di fidanzamento per Beatrice e sui preparativi per le celebrazioni delle nozze, Buda, 19 maggio 1476. I. Nagy & A. Nyáry (a cura di): Magyar diplomácziai emlékek Mátyás király korából [Memorie diplomatiche ungheresi dall’epoca del re Mattia Corvino], Vol. II, Budapest, 1877: 309– 310; A. Berzeviczy: Beatrix királyné 1457–1508. Történelmi élet- és korrajz [Regina Beatrice 1457– 1508. (Biografia e quadro storici)], Budapest, 1908: 129 (Magyar Történeti Életrajzok [Biografie storiche ungheresi]); A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, a cura di R. Mosca, Milano, 1931: 83. 13 Luca Lupo, latinizzato nella forma Lucas Lupus, “serenissimi regis Hungariae consiliarius”. Cfr. P. Haraszti Szabó & B. Kelényi: Magyarországi diákok francia, itáliai, angol és német egyetemeken a középkorban 1100–1526 [Studenti d’Ungheria alle università francesi, italiane, inglesi e tedesche nel Medioevo 1100–1526], Budapest, 2019: 337. nr. (p. 1066). 14 R. Horváth: Itineraria regis Matthiae Corvini et reginae Beatricis de Aragonia (1458–[1476]– 1490), Budapest, 2011: 104 (História Könyvtár. Kronológiák, adattárak 12). 15 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly politikai kapcsolatai a Mátyás-korban’ [‘Rapporti diplomatici tra Ungheria e Napoli nell’epoca di Mattia Corvino’], in: P. Fodor, G. Pálffy & I. Gy. Tóth (a cura di): Tanulmányok Szakály Ferenc emlékére [Studi in ricordanza di Ferenc Szakály], Budapest: MTA TKI, 2002: 231–240; P. E. Kovács: ‘Hunyadi Mátyás és Aragóniai Beatrix: Maties Hunyadi i Beatriu d’Aragó’, in: Cs. Tóth & R. Sarobe (a cura di): Princesses from afar: Hungary and Catalonia in the Middle Ages, Budapest, 2009: 421–429; P. E. Kovács: ‘Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona: un incontro storico’, in: É. Vígh (a cura di): Annuario dell’Accademia d’Ungheria in Roma (2007–2009): Mitografia del potere principesco fra l’Italia e l’Europa Centrale nei secoli XV–XVII, Roma, Aracne: 2009, 287–294; O. Réthelyi: ‘King Matthias in the Marriage Market’, in: P. Farbaky et al. (cura di): Matthias Corvinus, the King. Tradition and Renewal in the Hungarian Royal Court 1458–1490, exhibition catalogue, Budapest, 2008: 247–250; Á. Mikó: ‘Queen Beatrice of Aragon’, in: Matthias Corvinus, the King, op. cit.: 251–253; R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix. Egy oklevél-formuláról s általa a királyné hatalmi helyzetéről a Mátyás- 352 Tibor Martí Sulle trattative in vista delle seconde nozze del sovrano ungherese, svoltesi a Buda ed a Napoli tra il 1474 ed il 1476, il punto di partenza per la ricerca ungherese, come per quella internazionale, lo si individua, fino ad oggi, nella biografia di Beatrice d’Aragona scritta da Albert Berzeviczy16 e nella raccolta di documenti ad essa legata.17 Si è soliti porre l’accento, da parte ungherese, sull’importanza del matrimonio dal punto di vista della storia della civiltà. Con queste nozze ebbe inizio un periodo in cui l’influenza del rinascimento italiano sulla corte reale di Buda si fece sentire in maniera del tutto unica.18 Sulle circostanze della realizzazione del matrimonio dinastico, sul viaggio di Beatrice d’Aragona fino alla corte di Buda,19 sulle celebrazioni del matrimonio e dell’incoronazione a Székesfehérvár,20 ma anche su tutto il resto della vita di Beatrice, disponiakorban’ [‘Beatrice “velenosa”. Su una formula diplomatica e mediante ciò sullo stato politico della regina nell’epoca di Mattia Corvino’], in: K. Szovák & A. Zsoldos (a cura di): Királynék a középkori Magyarországon és Európában. [Regine nell’Ungheria e nell’Europa medievali], Székesfehérvár, 2019: 133–171 (Közlemények Székesfehérvár történetéből). 16 A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit. La biografia è stata pubblicata anche in lingua spagnola, italiana e in due versioni francesi: Beatriz de Aragón, reina de Hungría. Madrid, [1912]; A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, a cura di R. Mosca, Milano, 1931; A. Berzeviczy: Béatrice d’Aragon, Reine de Hongrie [s. l., s. d.], e A. Berzeviczy (1911–1912): Béatrice d’Aragon, Reine de Hongrie (1457–1508), I–II, Paris (Bibliotheque Hongroise 3–4). In seguito faremo riferimento all’edizione originale del 1908, in lingua ungherese dell’opera di Berzeviczy. 17 A. Berzeviczy (a cura di): Aragoniai Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok. [Documenti relativi alla vita di Beatrice d’Aragona, regina ungherese], Budapest, 1914 (Magyar Történelmi Emlékek. Okmánytárak. 34). 18 Gy. Domokos: ‘Codici e libri a stampa nel regno di Mattia Corvino’, Studia Historica Adriatica ac Danubiana 1–2, 2008: 37–44; K. Pajorin: ‘La rinascita del simposio antico e la corte di Mattia Corvino’, in: Sante Graciotti & Cesare Vasoli (a cura di): Italia e Ungheria all’epoca dell’umanesimo corviniano, Firenze, 1994: 179–216; K. Pajorin: ‘Aragóniai Beatrix szerepe Mátyás király irodalmi mecenatúrájában’ [‘Il ruolo di Beatrice d’Aragona nel mecenatismo letterario del re Mattia Corvino’], Irodalomtörténeti Közlemények 115, 2011: 158–167; P. Farbaky: ‘Patrons and Patterns. The Connection between the Aragon Dynasty of Naples and the Hungarian Court of Matthias Corvinus’, Radovi Instituta za povijest umjetnosti 41, 2017: 23–31; D. Csánki: Mátyás király udvara [La corte di Mattia Corvino], Budapest, 1884. 19 P. Eschenloer: ‘Nápolyi Beatrix útazása Pettauból Budára. 1476’ [Il viaggio di Beatrice napoletana da Pettau a Buda. 1476], in: I. Szamota (a cura di): Régi utazások Magyarországon és a Balkán-félszigeten, 1054–1717. [Vecchi viaggi in Ungheria e sulla penisola balcanica, 1054–1717], Budapest, 1891. 20 Sul viaggio, l’incoronazione e il matrimonio di Beatrice d’Aragona nel 1476 esiste un documento alla Biblioteca Nazionale Széchényi, recentemente studiato e di prossima pubblicazione, cfr. Gy. Domokos: ‘Különös kézirat Beatrix királyné koronázásáról’ [‘Manoscritto speciale sull’incoronazione della regina Beatrice’] (OSzK fol.ital.15), in: Scriptorium IV, a c. di I. Boros La dote di Beatrice d’Aragona 353 mo di informazioni innanzitutto da tre gruppi di fonti: dalla corrispondenza diplomatica coeva (sostanzialmente le relazioni degli ambasciatori di Milano, Ferrara, Mantova e certamente del papa); dalle fonti cronachistiche conosciute ed elaborate da Berzeviczy e, infine, dalle narrazioni dei cronisti attivi presso la corte ungherese. C’è un triste parallellismo tra le sorti infauste del materiale documentario di Buda e di Napoli: i documenti regi della corte ungherese sono stati annientati nel periodo della dinastia dei Jagelloni, in seguito al saccheggio della capitale magiara da parte degli Ottomani, mentre il prezioso materiale dell’archivio regio di Napoli è caduto vittima della barbarica distruzione della Seconda guerra mondiale. Queste deplorevoli circostanze rivalutano particolarmente le ricerche archivistiche svolte a Napoli prima della guerra mondiale e, per la stessa ragione, potranno avere un’importanza straordinaria anche le fonti superstiti di copie o di originali conservate, per varie ragioni, in archivi diversi. Nell’ambito delle mie ricerche, svoltesi nel recente passato in Spagna, sono riuscito ad identificare diversi documenti, studiando i quali si possono conoscere nuovi particolari sulla storia delle trattative tra il 1474 ed il 1476, volte a preparare il matrimonio tra Mattia e Beatrice. Ho pubblicato queste fonti provenienti da Valencia (ma oggi conservate all’Archivo Histórico Nacional di Madrid) nel numero 2017/3 della rivista di storia ungherese Történelmi Szemle.21 Un altro documento che riunisce diplomi copiati dopo il maggio del 1475 è conservato nella serie Patronato Real dell’Archivo General de Simancas;22 questi sono stati da me elaborati in un’altra pubblicazione (Történelmi Szemle, 2021/4).23 Le due unità di fonti sono fondamentali per ricostruire il quadro completo: i due gruppi di documenti sono di carattere simile e sono anche collegati & L. Takács (in corso di stampa). Si confronti inoltre un altro progetto in corso che l’Archivio Nazionale Ungherese, in collaborazione con gli archivi spagnoli, porta avanti per la ricostruzione degli itinerari di diversi sovrani: Sigismondo di Lussemborgo, Maria d’Angiò, Elisabetta di Bosnia, Borbála Cillei, János Hunyadi, Mattia Corvino, Beatrice d’Aragona, Carlo V (d’Asburgo), Giuseppe II (d’Asburgo): https://itinerarium.mnl.gov.hu/ (2022.01.30.). 21 T. Martí: ‘Oklevelek Aragóniai Beatrix hagyatékából. Magyar vonatkozású források a spanyol katonai lovagrendek iratanyagában’ [‘Diplomi dal lascito di Beatrice d’Aragona. Fonti con relazioni ungheresi negli archivi degli ordini cavallereschi spagnoli’], Történelmi Szemle 59, 2017: 491–523. 22 http://pares.mcu.es/ParesBusquedas20/catalogo/show/2216454 (consultato l’11 gennaio 2021). 23 T. Martí: ‘Aragóniai Beatrix hozománya. Újabb források Mátyás nápolyi kapcsolatainak történetéhez (1474–1476)’ [‘La dote di Beatrice d’Aragona. Nuove fonti per la storia dei rapporti napoletani di Mattia Corvino (1474–1476)’], Történelmi Szemle 63, 2021: 605–630. 354 Tibor Martí in diversi punti, per cui vanno studiati nel loro insieme. Vale la pena riassumere le informazioni sui preparativi del matrimonio tenendo in considerazione i due materiali. Il presente articolo ha proprio questo fine: offrire un conciso riassunto delle conclusioni tratte dalle fonti nuovamente scoperte. Le fonti recentemente scoperte e la loro provenienza I documenti provengono da diversi archivi della Spagna: una parte delle fonti appartengono al fondo Patronato Real dell’Archivio di Stato di Simancas ([Archivo General de Simancas] = AGS), mentre l’altro gruppo di documenti, che contengono tra gli altri anche la copia del contratto matrimoniale con l’elenco della dote di Beatrice, appartiene al fondo Órdenes Militares, ai cosidetti “Documenti misti di Valencia” (Varios de Valencia) dell’Archivio Storico Nazionale di Madrid ([Archivo Histórico Nacional] = AHN). Per quanto riguarda le fonti riferentisi alla persona di Beatrice che ora si trovano a Madrid, io suppongo che essi dovessero fare parte del suo lascito. Questi documenti furono trasferiti col tempo, probabilmente tramite suo nipote Ferdinando, Duca di Calabria (1488– 1550), che dal 1526 divenne viceré di Valencia, prima in questa città e poi, assieme ad altri documenti24 della sua biblioteca, custodita presso il monastero San Miguel de los Reyes,25 divennero proprietà dello Stato alla fine dell’Otto24 Sul materiale archivistico trasferito nel 1896 da Valencia a Madrid, subito dopo l’arrivo di questo a Madrid ha pubblicato un elenco l’archivista Vicente Vignau y Ballester (1834–1919). V. Vignau: ‘Inventario de los documentos y libros que han ingresado en el Archivo Histórico Nacional, en el mes de la fecha, procedentes del general del Reino de Valencia’, in: Revista de Bibliotecas y Museos, 1897: 465–473. A pagina 473 si legge l’elenco di quei monasteri da dove, nel corso del 1896, sono stati raccolti i 334 diplomi, nella maggioranza medievali (documenti datati nel periodo 1236–1706). Secondo questa lista 79 documenti erano custoditi nel monastero dell’ordine di San Giacomo, San Miguel de los Reyes, però non viene chiarito se questo materiale documentario, a cui si fa riferimento nella bibliografia spagnola come “Varios de Valencia”, provenisse direttamente dall’edificio del monastero oppure dalla sede dell’ordine cavalleresco Montesa, chiamata Palacio del Temple di Valencia. Nel materiale, come si è capito studiando dettagliatamente i documenti, ci sono decine di documenti dei secoli XIV e XV emanati dai membri della dinastia napoletana, da re Giacomo II di Napoli fino a Ferdinando d’Aragona (il Cattolico), quindi dall’inizio del secolo XV all’inizio del secolo XVI. 25 Sulla biblioteca del duca Ferdinando d’Aragona v. J. M. Ferrando: ‘La Biblioteca Real llega a Valencia. Fernando de Aragón, duque de Calabria’, in: San Miguel de los Reyes: de Biblioteca Real a la Biblioteca de Valencia. Valencia, 2001: 45–72 [2a edizione]; S. López-Ríos: ‘A New Inventory of the Royal Aragonese Library of Naples’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 65, 2002: 201–243. Sulle relazioni culturali tra Napoli e Valencia: A. Colella: Música y cultura renacentista La dote di Beatrice d’Aragona 355 cento. In seguito furono collocati nel fondo degli ordini militari dell’archivio di Madrid. Il chiarimento sulla provenienza delle fonti attualmente è possibile solo entro limiti precisi. Il fatto che i documenti si ritrovino oggi all’Archivo Histórico Nacional nel fondo Órdenes Militares può essere spiegato così: essi sono stati trasferiti dal materiale del Monasterio del Temple di Valencia, che era stato la sede dell’ordine cavalleresco (militare) Montesa (quindi da una collezione valenciana diversa). Possiamo però supporre, con grande probabilità di verità, che il fascio di documenti abbia viaggiato insieme, nel corso dei tempi, per via della connessione di contenuto: dall’Italia (Napoli) è probabilmente giunto alla collezione valenciana del duca di Calabria e, da lì, al luogo dove oggi è custodito.26 Secondo gli archivisti di Madrid il materiale diplomatico è rimasto senza ordine fino a tempi recentissimi. Non è quindi colpa degli studiosi precedenti se non si era a conoscenza delle fonti di Napoli-Simancas, così come di quelle con riferimento ungherese: la ricerca di queste fonti è partita con ritardo e lentamente. Balza comunque all’occhio che, alla data della pubblicazione della monografia di Berzeviczy su Beatrice (1908) – ma nemmeno sei anni dopo, quando vede la luce il volume con le fonti utilizzate – i documenti degli archivi spagnoli non rientravano nella sfera di ricerca degli studiosi ungheresi.27 Eppure i documenti con riferimento ungherese degli archivi di Spagna erano già noti da molto tempo agli storici ungheresi. A Simancas svolse le prime ricerche Ernő Simonyi (1865) e, dopo di lui, Vilmos Fraknói (1868), ma lo studio sistematico con un’attenzione specifica agli hungarica è cominciato più tardi rispetto alle ricerche di Berzeviczy.28 Benché Lipót Óváry avesse redatto già entre Valencia y Nápoles: la corte valenciana de Fernando de Aragón, duque de Calabria (1526–1550), Madrid: Sociedad Española de Musicología, 2019. 26 T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 491–495. 27 Nel contesto delle ricerche precedenti di archivisti ungheresi negli archivi spagnoli, alcune delle fonti dell’epoca sono state copiate, così per esempio quelli che sono stati registrati su microfilm e si trovano nel Fondo Microfilm dell’Archivio Nazionale Ungherese (= MNL OL), provenienti dalla collezione Salazar y Castro della Real Academia de Historia (= RAH), per esempio: RAH Colección de Don Luis de Salazar y Castro. A-I. Fol. 21. Roma, 27 marzo 1493. Si tratta di una lettera pontificia che comunica la decisione del papa in merito alla causa della regina Beatrice. (“Utilizzato nell’opera di Albert Berzeviczy: Beatriz de Aragon, Reina de Hungría”), nonché A-10. Fol. 18. Pest, 20 giugno 1503. Lettera di Beatrice a Ferdinando il Cattolico, in cui si congratula con lui per la vittoria delle sue truppe in Italia, con firma autografa. MNL OL Fondo Microfilm, microfilm n. 29972/1. 28 Sui documenti fatti copiare nell’archivio di Simancas per incarico della Commissione Storica dell’Accademia delle Scienze dell’Ungheria, v. I. Lukinich: ‘A Magyar Tud. Akadémia Történettudományi Bizottsága másolat- és kéziratgyűjteményének ismertetése’ [‘Presentazione della 356 Tibor Martí nel 1890 un elenco delle copie di documenti precedenti al 1526, raccolti su incarico della Commissione Storica dell’Accademia delle Scienze dell’Ungheria, in questa lista non figura nessun documento con riferimento ungherese, precedente al 1514, fatto copiare a Simancas.29 L’archivio cancelleresco della dinastia aragonese si trova presso l’archivio della Corona d’Aragona di Barcellona, e qui la ricerca dal punto di vista ungherese era cominciata all’inizio del 20. secolo da parte di Lajos Thallóczy, pubblicando la corrispondenza tra il governatore dell’Ungheria János Hunyadi e re Alfonso V, relativa agli anni 1447–1448. In questo volume sono stati raccolti i documenti relativi alla famiglia Frangepán (1910).30 Lajos Thallóczy fu il primo anche a informarsi sui documenti con riferimento ungherese dell’Archivio Storico Nazionale di Madrid e della Biblioteca Nazionale di Madrid, ma lo fece solo ormai pochi anni prima della sua morte, nel 1912. L’importanza dei documenti dell’archivio di Simancas venne ribadita da Fraknói già nel 19. secolo. Durante i suoi brevi viaggi di studio lui si concentrò sul materiale documentario del periodo di Péter Pázmány (prima metà del Seicento) e non sulla serie del Patronato Real. Eppure in questo ultimo fondo, con segnature attigue, si trovano i due documenti relativi a Beatrice d’Aragona: il documento notarile contenente le fonti degli anni 1474–1475,31 e una trascrizione del 1516 del testamento, originalmente redatto nel 1508, della regina vedova ritornata a Napoli.32 raccolta di copie e manoscritti della Commissione degli Studi Storici dell’Accademia Ungherese delle Scienze’], Akadémiai Értesítő XLV, 1935: 18–19. Sulla storia della ricerca degli hungarica in Spagna v. L. Barta: ‘A spanyol hungarika-kutatás története’ [‘La storia delle ricerche degli hungarica in Spagna. Rivista degli Archivi’], Levéltári Szemle 39, 1989: 76–84. 29 L. Óváry: A Magyar Tudományos Akadémia történelmi bizottságának oklevélmásolatai. I. A Mohácsi vész előtti okiratok kivonatai. [Copie dei diplomi della Commissione degli Studi Storici dell’Accademia Ungherese delle Scienze. I. Estratti dei documenti precedenti della disfatta di Mohács], Budapest, 1890. 30 Á. Anderle: ‘Alfonso V, el Magnánimo and the Hungarian throne. Études sur la Région Mediterranéenne’, Mediterrán tanulmányok 6, 1995: 17–28. 31 AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. 32 AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 4. Il testamento di Beatrice d’Aragona (secondo la copia del documento di Simancas) attende pure un’edizione, anche se i suoi dati sono in parte conosciuti. Cfr. P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 246. La fonte si trova in microfilm all’Archivio Nazionale Ungherese, tra le copie fatte preparare dai documenti degli archivi spagnoli. MNL OL Fondo Microfilm, microfilm n. 45229/5. 11 settembre 1508, testamento di Beatrice d’Aragona, regina dell’Ungheria, in cui nomina suo erede universale il nipote Ferdinando d’Aragona, duca di Calabria ed i figli di re Ferdinando di Sicilia, lasciando 50.000 ducati a Giovanna d’Aragona, La dote di Beatrice d’Aragona 357 Il fondo Patronato Real dell’archivio di Simancas risulta una raccolta di documenti di primario interesse, legati a personaggi rilevanti, membri di case regnanti (innanzitutto bolle e brevi papali, testamenti di sovrani e contratti di matrimonio), costituita nel periodo della creazione stessa dell’archivio di Simancas, alla metà del Cinquecento.33 La provenienza dei documenti conservati in questo fondo dell’archivio è quindi difficile o addirittura impossibile da stabilire.34 I documenti rendono possibile puntualizzare i particolari delle ambascerie tra Buda e Napoli nel periodo tra il maggio del 1474 e il settembre del 1476. I documenti relativi al matrimonio sono delle copie e contengono diverse fonti: la delega degli ambasciatori di Mattia, i giuramenti degli ambasciatori e le clausole che rendono possibile la ricostruzione dell’iter che ha condotto all’accordo matrimoniale, integrando i dati forniti da Albert Berzeviczy nella sua opera fondamentale. Per ricostruire l’andamento delle trattative dobbiamo studiare “incrociando” le informazioni dei due gruppi di documenti (cioè quelli precedentemente individuati a Madrid e già pubblicati e quelli recentemente ritrovati e finora rimasti sconosciuti). Il documento notarile custodito a Simancas rispecchia lo stato delle trattative all’inizio di settembre del 1474 (includendo, però, anche la copia di tre altri documenti compresi tra febbraio e maggio del 1475),35 corrisponde regina della Sicilia [Traduzione coeva su pergamena di grande dimensioni.] Albert Berzeviczy, nell’edizione italiana della sua biografia di Beatrice, osserva che non si conosce il testamento di Beatrice, eppure i colleghi spagnoli e la bibliografia spagnola sembrano conoscerlo: Dolores Carmen Morales Muñiz: ‘Beatriz de Aragón’, in: Real Academia de la Historia, Diccionario Biográfico electrónico (in rete: https://dbe.rah.es/biografias/8255/beatriz-de-aragon; consultato il 17 gennaio 2021). 33 I documenti del fondo Patronato Real sono stati studiati inizialmente da Dénes Szittyay, invitato da Kunó Klebelsberg nel 1920 ad elaborare i documenti con riferimento ungherese nell’archivio di Simancas, Cfr. A. Molnár: ‘A római magyar iskola. Magyar jezsuita történészek Rómában 1950 után’ [‘La scuola ungherese a Roma. Storici gesuiti ungheresi a Roma dopo il 1950’], in: A. Molnár, Cs. Szilágyi & I. Zombori (a cura di): Historicus Societatis Jesu. Szilas László emlékkönyv [Historicus Societatis Jesu. Libro di memoria di László Szilas], Budapest, 2007: 48 (METEM Könyvek 62). 34 Sussidio archivistico: Patronato Real (834–1851). Edición completa. I–II. Revisión e Índices por Amalia Prieto. Valladolid, 1946–1949. II. (= AGS Catálogo V.) 35 Il documento contiene, oltre al documento notarile del 3 (11) settembre 1474 (AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. ff. 1r -5v .) anche la copia di altri tre documenti del 1475: 1. Breslavia, 1475.02.16. Mattia I conferma il contratto matrimoniale (ivi, ff. 5v –6v .); 2. Brünn, 1475.04.01. Lettera credenziale da parte di Mattia I a Francesco Fontana con incarico di trattare sulla dote [copia]; 3. Napoli, Castel Nuovo, 1475.05.29. [05.24.?] Documento di Ferrante I, re di Napoli sulla dote di Beatrice d’Aragona (ivi, ff. 6v –8r .). 358 Tibor Martí cioè ad una situazione che precede di due anni la versione finale, confermata da ambedue le parti. D’altro canto il materiale documentario ritrovato a Madrid, originario di Valencia, comprende il contratto matrimoniale accettato da Mattia nel dicembre del 1476 e precedentemente accettato, nel settembre dello stesso anno, anche da parte di re Ferrante. Questa copia del contratto deve essere stata preparata evidentemente dopo il controllo e la presa in consegna della dote di Beatrice, avvenuta a Napoli nel settembre del 1476, siccome comprende anche il documento di conferma datato da Buda 19 dicembre 1476.36 In ambedue i gruppi di documenti troviamo parti che si riferiscono all’alleanza e quelle posteriori, riferentisi al contratto di matrimonio. Nella seguente tabella ho riassunto i dati principali: Dati principali dei documenti di Spagna sulle ambascerie di Mattia e Ferrante, nonché sui preparativi e sulla stipulazione del matrimonio. Data del documento Breve regesto Segnatura 1. Buda, 1474.05.18 Lettera credenziale di Mattia ai suoi ambasciatori inviati a Napoli, Miklós Alsólindvai Bánfi e Francesco Fontana per la stipulazione del contratto d’alleanza. Madrid, AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–1. Nr. 8. (Edizione: TSz 2017/3. 495–501. 1a.) 2. Buda, 1474.05.18 Lettera credenziale di Mattia a Miklós Alsólindvai Bánfi e Francesco Fontana per la stipulazione del contratto di matrimonio. Simancas, AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. (Edizione: TSz 2021/4. 620. 1.) 36 T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 517–518. documento 3c. Nel caso delle fonti sui matrimoni degli Sforza (di Milano) si può osservare una prassi simile: gli atti, consistenti in parte di documenti di cancelleria e in parte notarili, sono stati riuniti in fascicoli (ed i documenti precedenti venivano ricopiati nel diploma redatto attualmente), così si può seguire tutto il processo delle trattative matrimoniali. Cfr. C. Santoro: ‘Un registro di doti Sforzesche Milanoʼ, Archivio Storico Lombardo 80, 1954: 134. La preziosa pubblicazione mi è stata fatta notare da Ágnes Szabó. La dote di Beatrice d’Aragona 359 Data del documento Breve regesto Segnatura 3. Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 Contratto di alleanza stipulato dagli ambasciatori di Mattia con Ferdinando (Ferrante) I, re di Napoli e di Sicilia il 3 settembre 1474; diploma notarile relativo. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–1. Nr. 8 (Edizione: TSz 2017/3. 497–501. 1b.) 4. Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11) Diploma notarile relativo al contratto di matrimonio (e il fidanzamento) tra Beatrice d’Aragona e Mattia I. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. (Edizione: TSz 2021/4. 621–627. 2.) 5. Breslavia, 1475.02.16 Mattia I conferma il contratto di matrimonio. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. Fol. 5v –6v [Copia.] (Edizione: TSz 2021/4. 627–628. 3.) 6. Ratibor, 1475.03.08 Lettera credenziale per gli ambasciatori inviati da Mattia a Napoli al fine di contrarre il matrimonio. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–1. Nr. 9. (Edizione: TSz 2017/3. 501–502. 2.) 7. Brünn (Brno), 1475.04.01 Lettera credenziale di Mattia a Francesco Fontana in cui quest’ultimo viene incaricato delle trattative sulla dote. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. (Edizione: TSz 2021/4. 628–629. 4.) 8. Napoli, Castel Nuovo, 1475.05.29 (05.24?) Diploma di Ferdinando (Ferrante) I, re di Napoli sulla dote di Beatrice d’Aragona. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. Fol. 6v –8r . [Copia.] (Edizione: TSz 2021/4. 629–630. 5.) 360 Tibor Martí Data del documento Breve regesto Segnatura 9. Buda, 1476.06.05 Mattia, re d’Ungheria e di Boemia incarica il vescovo di Breslavia, Rudolf von Rüdesheim, il vescovo eletto di Várad, János Filipec, il voivoda della Transilvania János Dengelegi Pongrác e il conte János Szentgyörgyi, di agire in qualità di suoi ambasciatori in merito alla dote della principessa Beatrice di Napoli. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–2. Nr. 6. (Edizione: TSz 2017/3. 503–504. 3a.) 10. Napoli, Castel Nuovo, 1476.09.16 Gli ambasciatori di Mattia prendono in consegna davanti al notaio la dote della principessa Beatrice, assieme all’inventario dei gioielli e beni mobili della principessa. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–2. Nr. 6. (Edizione: TSz 2017/3. 504–517. 3b.) 11. Buda, 1476.12.19 Mattia conferma il documento notarile sulla dote di Beatrice, datata 16 settembre 1476. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–2. Nr. 6. (Edizione: TSz 2017/3. 517–518. 3c.) 12. Posonio, 1482.08.08 Re Mattia concede a sua moglie, regina Beatrice, di raccogliere le tasse regie sui possedimenti attuali e futuri per i propri fini. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–2. Nr. 14. (Kiad. TSz 2017/3. 519. 4. sz.) La dote di Beatrice d’Aragona 13. 361 Data del documento Breve regesto Segnatura Andria, 1499.03.25 Federico IV, re di Napoli (1496–1501) dona alla sorella Beatrice d’Aragona la città di Salerno col castello e con il territorio ad essa appartenente. AHN Órdenes Militares. Carpeta 1007–1. Nr. 1. (Edizione: TSz 2017/3. 520–523. 5.) (TSz 2017/3 = T. Martí: ‘Oklevelek Aragóniai Beatrix hagyatékából. Magyar vonatkozású források a spanyol katonai lovagrendek iratanyagában’, Történelmi Szemle 59, 2017: 491–523; TSz 2021/4 = T. Martí: ‘Aragóniai Beatrix hozománya: Újabb források Mátyás únápolyi kapcsolatainak történetéhez (1474–1476)’, Történelmi Szemle 63, 2021: 605–630.) I diplomatici di Mattia e di Ferrante d’Aragona inviati gli uni nella corte dell’altro, alla luce delle fonti recentemente scoperte (1474–1476) Le carriere dei diplomatici che Mattia e Ferrante avevano inviato l’uno nelle corti dell’altro sono state riassunte recentemente, dopo gli studi fondamentali di Fraknói, da Tamás Fedeles, concentrandosi sulle ambascerie presso la Santa Sede.37 Albert Berzeviczy ha descritto i vari progetti di matrimonio, sorti dalle varie corti sovrane, relativamente a Mattia, a partire dalla morte della prima moglie, Caterina Poděbrady, avvenuta il 23 febbraio 1464,38 abbozzando anche i passi diplomatici compiuti da Mattia, con speciale riguardo all’evoluzione delle relazioni con Napoli. Le fonti recentemente scoperte non fanno che alludere alle trattative precedenti, risalenti a diversi anni addietro. Prima della primavera del 1474 per diversi anni non ci si era occupati del progetto di matrimonio.39 37 V. Fraknói: Mátyás király magyar diplomatái [I diplomatici ungheresi di Mattia Corvino], Budapest, 1898; T. Fedeles: ‘The Diplomatic Representation of the Kingdom of Hungary to the Holy See (1458–1526)ʼ, in P. Tusor & M. Sanfilippo (a cura di): Gli agenti presso la Santa Sede delle comunità e degli stati stranieri I. secoli XV–XVIII, Viterbo: MTA-PPKE Fraknói Vilmos Római Történeti Kutatócsoport, Sette Citta, 2020: 17–40. 38 N. C. Tóth: ‘Mátyás király első feleségeʼ [‘La prima moglie di Mattia Corvino’], in: K. Szovák & A. Zsoldos (a cura di): Királynék a középkori Magyarországon és Európában [Regine nell’Ungheria e nell’Europa medievali], Székesfehérvár, 2019: 131 (Közlemények Székesfehérvár történetéből). 39 “Dei negoziati le prime tracce risalgono al 1465, quando si parlava probabilmente di Eleonora; nel 1468 si riprendono le trattative ed ora entra Beatrice in primo piano. La prima ambasceria 362 Tibor Martí Il motivo, secondo la lettera credenziale rilasciata al conte di Posonio Miklós Bánfi40 e al dottore Francesco Fontana41 sul contratto di matrimonio (Buda, 1474.05.18),42 è da ricercare nell’occupazione bellica di Mattia.43 Alle trattative precedenti (interrotte) avevano preso parte, oltre a György Handó44 e Miklós ungherese si reca a Napoli nel 1469, ma l’accordo viene concluso solo nel 1474; Mattia annuncia pubblicamente il suo fidanzamento a Breslavia; Beatrice si fa chiamare regina d’Ungheria a partire dall’estate del 1475”. È così che Albert Berzeviczy riassunse, alla fine della sua biografia di Beatrice (nell’indice del volume), i nodi più importanti delle trattative sul matrimonio (A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 677–678). Berzeviczy utilizzava anche storiografi e cronache napoletani, tra cui Michele Vecchioni: Notizie di Eleonora e di Beatrice di Aragona. Napoli, 1790. In base a quest’opera scrive: “Vecchioni […] racconta la stipulazione dell’accordo sul matrimonio tra Mattia e Beatrice tra gli eventi del 1473, precedentemenre al matrimonio di Eleonora; (Dec. IV. 149. l.) ma questo è solo una piccola imprecisione nella cronologia del racconto di Bonfini. L’annuncio avvenuto a Vratislavia ebbe luogo, come si sa, nell’ottobre del 1474, e non rimane traccia di un accordo sul matrimonio tra i due re prima di questa data, nell’anno 1473” (ibid.: 105, nota n. 4). 40 V. Fraknói: ‘Mátyás király magyar diplomatái. VII. közlemény. X. Bánfi Miklós’, Századok 33, 1899: 1–3; N. C. Tóth, R. Horváth, T. Neumann & T. Pálosfalvi (a cura di): Magyarország világi archontológiája 1458–1526, I., Főpapok és bárók. [Archontologia secolare d’Ungheria 1458–1526. I. Prelati e baroni 1458–1526], Budapest, 2017: 216 (Magyar Történelmi Emlékek. Adattárak =Arch. I.). 41 M. N. Covini: ‘Francesco Fontanaʼ. Dizionario Biografico degli Italiani 48, 1997: 649–651. Sugli incarichi diplomatici posteriori di Fontana v. I. Kristóf: ‘Gabriele Rangone (Veronai Gábor) pályája (1410/20–1486)ʼ [‘La carriera di Gabriele Rangone da Verona (1410/20–1486)’], in T. Fedeles (a cura di): Mátyás király és az Egyház. [Mattia Corvino e la Chiesa], Pécs, 2019: 66, 77 (Thesaurus Historiae Ecclesiasticae in Universitate Quinqueecclesiensi 10). 42 Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11.), AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3 fol. 1r–5v. [Copia]. 43 “… quidem matrimonium succedentibus tunc bellis in dicto Regno Hungarie ad effectum perduci non valuit, nunc vero quiescentibus bellis in dicto Regno Hungarie, et eo iam parta victoria paccato et in tranquilitate firmato iterum, quo amicitia, amor et benivolentia, quibus dicti serenissimi domini reges mutuo devincti sunt fueruntque semper cum quadam eorum animorum conformitate firmiori, stabiliori atque arctiori nexu et vinculo corroboretur denuntiaturque, de contrahendo et firmando dictum matrimonium inter ipsas partes tractatum et conventum extitit…” 44 Handó, György, preposito maggiore di Pécs (1465–1480), arcivescovo di Kalocsa-Bács (1478– 1480). Arch. I. 130.; N. Mátyus: ‘Vespasiano da Bisticci és két György, Handó és Kosztolányi (1467) [‘Vespasiano da Bisticci ed i due Giorgio: Handó e Kosztolányi (1467)’], in Gy. Domokos, N. Mátyus & A. Nuzzo (a cura di): Vestigia I. Mohács előtti magyar források olasz könyvtárakban [Vestigia I. Fonti ungheresi precedenti del 1526 in biblioteche italiane], Piliscsaba, 2015: 113–123; D. Pócs: ‘Handó György könyvtáraʼ [‘La biblioteca di György Handó’], Ars Hungarica 42, 2016: 309–338. La dote di Beatrice d’Aragona 363 Bánfi, anche Albert Vetési, vescovo di Veszprém45 e János Laki Túz, bano della Dalmazia, Croazia e Slavonia.46 Si può considerare come il risultato dei loro viaggi il fatto che, dopo un’interruzione di alcuni anni, le parti sono potute ritornare alle trattative di matrimonio, portando avanti i colloqui precedenti. Durante le trattative, che abbracciarono quasi dieci anni, sorsero nomi di diverse persone candidate (tra cui anche quello dell’altra figlia di re Ferrante, Eleonora (1450–1493),47 però i progetti di un possibile matrimonio si dimostrarono vani in tutti i casi. Fraknói, e poi, partendo dalle sue supposizioni anche Berzeviczy, hanno considerato quanto segue: “Vi è motivo di supporre che i negoziati fossero ripresi fino dal settembre 1468 in occasione dell’arrivo dell’ambasciatore di Ferrante alla corte di Mattia e che continuassero durante la primavera del 1469, quando il re di Ungheria inviò a Napoli Giorgio Handó, priore di Pécs, e Nicola Bánfi di Lindva, gran siniscalco e conte di Pozsony (Posonio)” quando anche il Consiglio di Venezia era a conoscenza di un certo accordo tra Mattia e il re di Napoli.48 Sebbene una delle biografie di Handó menzioni le sue trattative napoletane sul matrimonio del re,49 in verità se queste trattative si fossero svolte davvero, le loro date sarebbero incerte, siccome (come vedremo più avanti) nella primavera del 1474 e più tardi Handó non faceva più parte della delegazione inviata a 45 Vetési, Albert, vescovo di Veszprém. Arch. I. 53.; P. Rainer: ‘Vetési Albert veszprémi püspökʼ [’Albert Vetési, vescovo di Veszprémʼ], in Z. Törőcsik & A. Uzsoki (a cura di): A Veszprém megyei Múzeumok Közleményei 18 [Bollettino dei Musei della Provincia di Veszprém 18], Veszprém, 1987: 227–232. 46 Laki Túz, János cameriere regio, bano di Dalmazia, Croazia e Schiavonia. Arch. I. 108. Sull’importante ruolo dimplomatico di Fontana avevano scritto già Vilmos Fraknói e Albert Berzeviczy. Cfr. V. Fraknói: Mátyás király diplomatái…, op.cit.: 108, A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110, 136, nota 5, 180. Nell’opera citata, Santoro afferma che il dottor Fontana aveva avuto l’incarico da Mattia el 1475, assieme a “Alberto Latesi” [Vetési Albert] e “Giovanni Lakimano” [Laki Túz János], per svolgere dei negoziati con Venezia ed il papato oltre alla sua altra missione, quella volta ad ottenere un accordo sul matrimonio con Beatrice. Fontana aveva svolto una missione diplomatica anche a Milano dove il 17 gennaio 1487 gli fu cincessa la cittadinanza. Morì in questa città all’età di 70 anni, il 13 novembre 1504. Santoro: Un registro, 143. nota 3. L’ambasciata di Albert Vetési e János Laki Túz János nell’agosto del 1474 viene menzionata da T. Neumann: A Szapolyai család oklevéltára. I. Levelek és oklevelek (1458–1526) [L’archivio della famiglia Szapolyai. I. Lettere e diplomi (1458–1526)], Budapest, 2012: 138–139 (Magyar Történelmi Emlékek. Okmánytárak). 47 Okiratok 7–9. 48 A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 107; I. Tringli: ‘Mátyás király külpolitikája és diplomatáiʼ [‘La politica estera ed i diplomatici del re Mattia Corvino’] Művelődés 63, 2010: 19–22. 49 N. Mátyus: ‘Vespasiano…ʼ, op.cit.: 120. 364 Tibor Martí Napoli e, recentemente, sono sorti dei dubbi perfino sul presunto viaggio del 1469.50 Il biografo ungherese di Beatrice d’Aragona attribuisce, nel rafforzamento delle relazioni tra Ungheria e Napoli e nella realizzazione del progetto di matrimonio, un ruolo eminente al vescovo di Ferrara e legato pontificio Lorenzo Roverella,51 il quale nel 1469 si era recato, tra l’altro, alla corte di Mattia per rappacificare il re con l’imperatore e per prendere dei provvedimenti contro gli utraquisti.52 Nella preparazione del progetto di matrimonio possono aver avuto un loro ruolo anche due altri personaggi: da parte napoletana l’arcivescovo di Bari, Antonio d’Ayello [di Taranto], il quale aveva accompagnato Mattia alla sua campagna in Slesia53 e, quindi, poteva informare senz’alcun dubbio il sovrano di Napoli e la sua corte sulla persona di Mattia e sulle condizioni della corte ungherese; inoltre Ugoletto Facino54 che, in qualità di ambasciatore ferrarese, si trovava a Napoli nel 1473.55 L’ambasceria, avente lo scopo diretto di preparare il contratto di matrimonio, secondo la lettera credenziale di Mattia datata 18 maggio 1474,56 ebbe luogo nella primavera dello stesso anno. I suoi ambasciatori, il conte di Posonio Miklós Bánfi e il dottore Francesco Fontana, avevano come compitodi realizzare da una parte un contratto di alleanza con re Ferrante di Napoli, dall’altra di stipulare il vero e proprio contratto di matrimonio. Nel materiale dei documenti di Simancas si trova la lettera credenziale, datata lo stesso giorno, in cui Mattia incarica gli stessi ambasciatori, Bánfi e Fontana, a stipulare anche quest’ultimo contratto.57 In ambedue i casi le lettere credenziali figurano trascritte nei con50 D. Pócs: ‘Handó György…ʼ, op.cit.: 328. G. Liboni: ‘Lorenzo Roverellaʼ, Dizionario Biografico degli Italiani 88, 2017: 189–194; «Beatissime Pater». Documenti relativi alle diocesi del Ducato di Milano. I “registra supplicationum” di Pio II (1458–1464), a cura di E. Canobbio & B. Del Bo, Milano, 2007 (Materiali di storia ecclesiastica lombarda [secoli XIV–XVI] 9) XXXVIII, 114. j. 52 A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 108.; P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ op.cit.: 231–232. 53 G. Musca: ‘Antonio Aielloʼ. Dizionario Biografico degli Italiani 1, 1960: 517–518. 54 M. Catalano: ‘Vita di Ludovico Ariosto. I–II. Genève, 1930–1931.ʼ (Biblioteca dell’«Archivum Romanicum») vol. II. 113, 114, 121, 270. 55 Okiratok 16–18. 1475.05.19. Cfr. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 108.; P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ, op.cit.: 231–233. 56 T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 495–496. documento 1a. 57 Buda, 1474.05.18. Inserito nel diploma seguente: Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03. (e 09.11.). AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. 51 La dote di Beatrice d’Aragona 365 tratti scritti il 3 settembre. Vedendo i due documenti risulta chiaro che i due contratti erano considerati due cause separate e, proprio per questo motivo, vennero preparate due lettere credenziali.58 Péter E. Kovács ha già avanzato l’ipotesi che, contemporaneamente alla contrazione del matrimonio, fosse avvenuta anche la stipulazione di un accordo di alleanza,59 eppure il contenuto preciso dei due contratti si può conoscere esclusivamente dalle fonti recentemente scoperte in Spagna. L’alleanza confermata comprendeva un impegno vicendevole a difendersi e, inoltre, un accordo nel caso in cui una delle parti avesse iniziato una guerra (in questo caso l’aiuto da parte dell’altra parte era legato a certe condizioni ed ulteriori accordi). In merito alla difesa dai Turchi, ambedue le parti si impegnarono a prepararsi ad una campagna, assieme al papa e alle altre potenze dell’Italia, nell’ambito della quale si sarebbe dovuta raccogliere la somma più alta possibile per il pagamento dei soldati. In tal modo sarebbero stati pronti ad affrontare i Turchi con l’esercito più grande possibile. Gli ambasciatori avevano promesso che Mattia avrebbe confermato il contratto di alleanza entro sei mesi e che, tale documento di ratifica, sarebbe stato mandato a re Ferrante in forma pubblica e confermata.60 Questo documento stabiliva l’alleanza che re Mattia (ma già i suoi predecessori, specialmente il padre, János Hunyadi) aveva stretto, riferendosi in particolare ai legami di amicizia verso la Sicilia, stabilendo che questo legame era in vigore anche con il re attuale, Ferrante: “al fine di poter meglio difendere la Respublica Christiana, intende non solo conservare l’amicizia tra gli antichi re, ma stringerla ancora più forte.” Il contratto fu stipulato a Napoli e venne 58 Il contratto di alleanza di Ferrante d’Aragona del 3 settembre 1474 (T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 497–501, documento 1b) nomina solo Bánfi e Fontana. Sembra logico considerare solo questi due ambasciatori. Allo stesso tempo Berzeviczy, chiaramente in base ad altre fonti, ha nominato Handó, le cui trattative napoletane vengono menzionate da Vespasiano da Bisticci (nella biografia dell’arcivescovo György Kosztolányi). Berzeviczy comunque ha notato che il nome di Handó non compare nelle fonti e lettere credenziali posteriori. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 136, nota 5: “[Bánfi e Fontana] sono venuti a Napoli nel 1474, mentre nel 1475 sono arrivati ormai altri ambasciatori; se fossero stati presenti, certamente i loro nomi non potrebbero mancare sul documento di presa in consegna della dote e sull’elenco di Ferrara. È comunque possibile che ci sia stato Francesco Fontana, il quale nella primavera del 1476 ebbe un nuovo incarico a Napoli (Dipl. Eml. II. (Budapest, 1877), 347.).” 59 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ, op.cit.: 230–231. 60 Questo è il regesto da me scritto in merito alla parte della fonte pubblicata nel 2017. V. T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 498–499, documento 1b. 366 Tibor Martí ratificato da re Ferrante il 3 settembre 1474.61 Nella stessa data è stato stilato anche il documento contenente il contratto di matrimonio. Siccome il 3 settembre la stipulazione del contratto avvenne davanti a testimoni, il documento doveva essere scritto in quel medesimo luogo. L’11 settembre, sempre davanti a testimoni, venne recitato il testo formale necessario, da una parte dagli ambasciatori dello sposo e dall’altra da parte di Beatrice, ma non ne venne redatto un documento a parte, questo fu scritto sul contratto.62 Il contratto di matrimonio, in questo modo, entrò in vigore secondo la concezione del documento notarile di Napoli, per cui l’accordo sul matrimonio e, ai sensi del documento, lo stesso matrimonio, venne messo in atto: ecco perché nella titolazione di Beatrice si adopera ormai il titolo di regina d’Ungheria.63 La stipulazione del contratto (dei contratti) risultò una notizia importante che giunse, attraverso vari canali, all’importante alleato di Napoli, la corte sforzesca di Milano. Il sovrano napoletano annunciò in una lettera al duca Gian Galeazzo Sforza (1444–1476) il contratto matrimoniale già il giorno seguente, il 4 settembre 1474.64 Sul viaggio napoletano degli ambasciatori ungheresi e sulla stipulazione del contratto matrimoniale stese una relazione anche Francesco Maletta, ambasciatore del duca di Milano a Napoli,65 menzionando e nominando il conte di Posonio Miklós Bánfi e il dottor Francesco Fontana. L’informazione preziosa che si può ricavare da questa fonte è che si giunse ad un accordo sul valore della dote di Beatrice già in questa data (il valore della dote, corrispondente a 200.000 ducati, viene infatti menzionato nella lettera). Siamo informati, sempre grazie alla lettera di Maletta, che re Ferrante conferì ad uno 61 Ibid.: 497–501, documento 1b. Gli ambasciatori di Mattia, prima dell’accordo realizzato a Napoli all’inizio di settembre del 1474, probabilmente avevano svolto anche un’altra missione. Sarebbe logico supporre che gli ambasciatori mandati a Napoli si siano fermati a Roma, come avvenuto l’anno successivo, nel 1475 (sull’ambasciata nominata senza nomi v. L. Óváry: A Magyar Tudományos Akadémia, I. n. 521.), ma ciò non è ancora una prova. Come persona inviata a Roma nel tardo autunno del 1474, sarebbe palese pensare al vescovo Vetési (anche in base ai documenti dei Szapolyai), eppure è arrivato a Roma assieme a Osvát Szentlászlói [Túz] solo nel febbraio del 1475. V. Fraknói: Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a római Szentszékkel [Rapporti ecclesiastici e politici d’Ungheria con la Santa Sede romana], I–III, Budapest, 1901: Vol. II. (1418–1526), 146–147. Fraknói menziona come ambasciatori, per l’anno 1474, i canonici Miklós Mohorai e Mihály Szántai, ma senza indicare date più precise. 62 Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11.), AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. 63 A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110; P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ, op.cit.: 233. 64 Archivio di Stato di Milano, Fondo Sforzesco, Potenze Estere, Napoli, cartella 226, fol. 145. 65 M. N. Covini: ‘Francesco Malettaʼ, Dizionario Biografico degli Italiani 68, 2007: 162–164. La dote di Beatrice d’Aragona 367 degli ambasciatori del sovrano ungherese, Miklós Bánfi, l’Ordine dell’Ermellino da lui fondato, che il re di Napoli intendeva inviare a Mattia.66 La notizia sui negoziati del matrimonio tra Beatrice e Mattia non rimase senza eco: il duca di Milano, nella sua risposta scritta al suo ambascitore, espresse la sua gioia.67 Secondo la disposizione del documento napoletano Mattia doveva ratificare il contratto entro dieci mesi. I tempi furono rispettati, come risulta dal documento inserito nella copia del contratto di matrimonio, recentemente scoperta a Madrid: Mattia confermò il contratto di matrimonio con il suo diploma, rilasciato a Buda il 5 giugno 1476.68 Il progetto delle nozze fu messo per iscritto già nel settembre del 1474, nel contratto matrimoniale e, probabilmente, era già stato raggiunto in precedenza un accordo a voce. A questo accordo preliminare fa allusione anche Albert Berzeviczy, in base alle relazioni degli ambasciatori ferraresi e veneziani datati maggio e giugno del 1474, le quali descrivono il matrimonio “per verba de futuro”.69 Berzeviczy (pur non conoscendo i contratti di matrimonio del 3 e dell’11 settembre del 1474, ma basandosi sui lavori di László Szalay e di Vilmos Fraknói) fa riferimento alla lettera di re Ferrante del 5 settembre,70 in cui il sovrano di Napoli “informò Mattia che, accettando la sua richiesta, gli concedeva la mano della figlia”.71 Dopo che gli ambasciatori, Miklós Bánfi e Francesco Fontana, nel settembre o forse nei primi giorni di ottobre del 1474, ritornarono a Napoli, Mattia or66 Francesco Maletta a Galeazzo Maria Sforza, Napoli, 4 settembre 1474. ASMi SPE, Napoli, 226, 126/127–128. Maletta, nella relazione da lui stilata il mese successivo, scritta il 28 ottobre 1474, ha menzionato che: “Mattìa Corvino e Carlo il Temerario sono stati insigniti da re Ferrante dell’Ordine dell’Ermellino: l’onorificenza è stata inviata in Ungheria tramite gli ambasciatori del re Mattìa, al quale sono stati donati anche due bellissimi puledri bardati secondo l’uso napoletano.” Dalla relazione dell’ambasciatore milanese risulta chiaro che re Ferrante abbia mandato l’Ordine dell’Ermellino tramite gli ambasciatori del sovrano ungherese, assieme a due bellissimi corsieri con finimenti. ASMi SPE, Napoli, 226, 60. Originale autografo. 67 “Havemo havuto una tua lettera del quattro del presente, per la qual ce avisi del parentato concluso tra Maestà del signor re et lo re de Hungaria per madona Beatrice, lo qual tanto ne è piaciuto e tanta consolatione ne havemo recevuto.” Galeazzo Maria Sforza a Francesco Maletta, Lomellino, 9. IX. 1474, ASMi SPE, Napoli, 226, 138. 68 T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 503–504. documento 3a. Lettera credenziale di Mattia ai suoi ambasciatori, il vescovo di Breslavia, Rudolf von Rüdesheim, il vescovo di Várad, János Filipec, il voivoda della Transilvania, Pongrác Dengelegi e conte János Szentgyörgyi. 69 A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110. 70 La lettera, datata 5 settembre 1474, non è pubblicata nella raccolta di documenti relativi alla vita di Beatrice (cfr. Okiratok). 71 A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 109. 368 Tibor Martí ganizzò una festività nella città assediata di Breslavia, annunciando l’accordo di matrimonio.72 “All’inizio del seguente anno, nel 1475, la domenica dopo la Purificazione, Mattia ricevette a Breslavia gli ambasciatori del re di Napoli e della Repubblica veneta, i quali, guidati dall’arcivescovo di Bari, gli rimisero da parte della fidanzata ricchi doni, fra cui degli abiti ornati in modo principesco, e indossati dal re per la prima volta nella chiesa di Santa Elisabetta. Egli poi organizzò in onore degli ospiti grandi feste accompagnate da corse e caccie.”73 Gli eventi di Breslavia sono descritti anche da altre fonti.74 Quasi contemporaneamente a questi eventi, all’inizio del 1475, si verificò il viaggio di re Ferrante a Roma; “Ferrante si recò a Roma per presentare il suo ossequio al papa in occasione dell’anno giubilare, che allora avveniva ogni venticinque anni; in tale occasione, tra cortesie e doni, discusse col pontefice sulla presa di posizione contro l’alleanza di Milano e Venezia e sulla guerra antiturca.”75 Il re di Napoli, ormai alleato di Mattia a Roma, cercò di ottenere un sostegno materiale per la guerra contro gli Ottomani. Al centro delle sue trattative, secondo la releazione dell’ambasciatore milanese Francesco Maletta, c’era soprattutto il sostegno da procurare a Mattia.76 Il documento seguente nella cronologia del fondo di Simancas è il già menzionato diploma, rilasciato a Breslavia da parte di Mattia il 16 febbraio 1475.77 72 “Il giorno 30 ottobre dello stesso anno, nella città di Breslavia, assediata dalle truppe del re boemo e del re polacco, Mattia fece accendere fuochi di gioia…” (Ivi, 105, nota 5); E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 233. Cfr. P. Eschenloer: Geschichte der Stadt Breslau, Hrsg. v. Gunhild Roth, Bd. II, Münster – New York – München – Berlin: Waxmann, 2003: 954 (Quellen und Darstellungen zur Schlesischen Geschichte 29). 73 Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 109–110. 74 Due relazioni di ambasciatori mi sono state fatte notare da Bence Péterfi, partendo da un dato avuto da Dániel Bácsatyai: “Oratio ad Mathiam regem Hungariae super nuptiis cum filia regis Neopolitani habita die II. mensis Februarii anno 1475to Wratislavie in ecclesia Sancte Elizabeth in media sollemnitate celebrationis misse maioris…” Universitätsbibliothek Leipzig. Ms. 1674. ff. 48r –49r , “Ex alia epistola de eaque super nuptiali materia et assensu memoriali doctor Favianus canonicus Wratislaviensis”. ibid.: ff. 49r –50r (https://digital.ub.uni-leipzig.de/mirador/index.php/ #7c2034f8--5f90--4b82--8899--17543f6b523d; consultato l’11 novembre 2021). 75 A. Berzeviczy: Aragóniai Beatrix…, op.cit. 76 “Ferrante d’Aragona avrebbe richiesto al papa, ai fiorentini e ai veneziani di raccogliere un sussidio per il re d’Ungheria contro il Turco, ma gli alleati temono che egli intenda solo favorire di denaro il genero Mattia Corvino.” Francesco Maletta a Galeazzo Maria Sforza, Napoli, 15 dicembre 1474. ASMi SPE, Napoli, 226, 120–121. Originale autografo. 77 Mattia I conferma il contratto matrimoniale: Breslavia, 1475.02.16. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. ff 5v–6v [Copia]. La dote di Beatrice d’Aragona 369 Ne siamo a conoscenza grazie al documento notarile di Napoli in cui venne inserito il diploma del sovrano ungherese, in cui Mattia aveva confermato il contratto matrimoniale.78 Secondo le disposizioni del diploma il contratto, stipulato tramite gli ambasciatori, venne ratificato da Mattia stesso. In questo documento non si parlava ancora della dote, i negoziati ulteriori erano incentrati a raggiungere un accordo proprio su questo punto. Un mese dopo questa data Mattia emanò la lettera credenziale ai suoi ambasciatori: ai due che in quel momento svolgevano delle trattative a Roma,79 il vescovo di Veszprém, Albert Vetési e il bano della Schiavonia, János Laki Túz, nonché a Francesco Fontana, che sostava presso la sorte ungherese (Ratibor, 8 marzo 1475). In questo documento gli ambasciatori ricevono l’incarico di stipulare (in realtà di preparare) il contratto matrimoniale.80 Nel documento viene menzionato il fatto che la lettera sui doni nuziali e sul contratto, consegnatagli precedentemente da Miklós Bánfi e Francesco Fontana, fu ratificata da Mattia con il suo sigillo pendente d’oro. La copia originale di questo documento si trova tra le fonti di Valencia.81 La bibliografia specifica precedente ipotizzava, fino a questo momento, che la missione degli ambasciatori a Napoli nel giugno del 1475 aveva come scopo quello di trovare l’accordo sulla dote,82 eppure ciò avvenne molto prima. Come accennato in precedenza, già in occasione della stipulazione del contratto, nel settembre del 1474, si era parlato della grandezza della dote, come scrisse Francesco Maletta nella sua relazione inviata a Milano. La stessa persona un mese più tardi, il 17 ottobre 1474, comunicò informazioni ulteriori al duca di Milano circa il negoziato intorno alla dote di Beatrice.83 78 Ai sensi del documento dell’inizio di settembre del 1474, Mattia Hunyadi doveva confermare il contratto entro sei mesi. 79 V. Fraknói: Magyarország egyházi összeköttetései…, op.cit.: vol. II, 146–147. 80 T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 501–502, documento 2. Ratibor, 1475.03.08. 81 Ivi. 82 “Gli ambasciatori di Mattia, il vescovo di Veszprém Albert Vetési, il bano di Schiavonia János Laki Túz e Francesco Fontana giunsero a Napoli il 20 giugno 1475. Il loro compito fu contrarre a voce il matrimonio. Tre giorni dopo il loro arrivo Ferrante d’Aragona li ricevette nella Sala Grande del Castel Nuovo, alla presenza degli ambasciatori veneziani e milanesi, dove si misero d’accordo sui particolari del matrimonio. Probabilmente fu allora che trovarono l’accordo anche sulla dote. Beatrice a partire da quel giorno usava ormai il titolo di regina d’Ungheria.” E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 233, cfr. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit: 110. 83 Francesco Maletta a Galeazzo Maria Sforza, Napoli, 17 ottobre 1474: “Mattia Corvino aveva richiesto al re Ferrante, attraverso il fu vescovo di Ferrara, autore della pratica, che la dote di Beatrice ammontasse a 200.000 ducati d’oro: tuttavia, il re di Napoli intende versare 200.000 ducati aragonesi di carlini, che, al cambio, corrisponderebbero a 175.000 ducati, dai quali andrebbero dedotte inoltre le spese per il trasporto.” ASMi SPE, Napoli, 226, 22/23–24. Originale autografo. 370 Tibor Martí Precedentemente non se ne conoscevano i particolari da altre fonti. Secondo l’ambasciatore milanese Mattia, tramite il vescovo di Ferrara, avrebbe chiesto a re Ferrante di offrire una dote di 200.000 ducati d’oro. Se possiamo dare credito a Maletta, l’accordo sulla somma fu reso difficile perché il sovrano napoletano pensava di calcolare la dote in “ducati aragonesi di carlini”,84 che in realtà equivalevano,85 per come intendeva Mattia, a soli 175.000 ducati. Da tale somma, come osserva Maletta, anche le spese del trasferimento dovevano essere detratte. È possibile che sia stata questa la base del calcolo più tardivo nell’accordo finalizzato a Napoli nel maggio del 1475, secondo cui la dote di Beatrice consisteva di 170.000 ducati in contanti e di beni mobili per un valore di 30.000 ducati. Una curiosità della relazione di Maletta del 17 ottobre 1474 consiste nel fatto che, in merito al vescovo di Ferrara, accenna al fatto che sia lui “l’autore della pratica”. Conoscendo gli antefatti possiamo essere sicuri che si tratta del vescovo di Ferrara Lorenzo Roverella che, in qualità di legato pontificio, svolse delle trattative con Mattia a Brünn nel marzo del 1469. Sappiamo però dalla sua biografia che egli morì nell’estate del 1474 (il 23 luglio 1474),86 per cui non era più in vita al momento della stipulazione del contratto a Napoli, avvenuta nel settembre di 1474. Dopo la morte del diplomatico furono gli ambasciatori Miklós Bánfi e Francesco Fontana a portare avanti il negoziato ed i particolari dell’accordo effettivo che, poi, sarebbero stati inseriti nel contratto matrimoniale. L’accordo fu raggiunto al più tardi nel maggio del 1475. Ciò lo si può dedurre da un’altra fonte legata all’accordo sulla dote, che si trova in copia nel fondo di Simancas: si tratta del documento87 redatto a Castel Nuovo di Napoli il 29 maggio 1475,88 in cui il sovrano napoletano confermò che si era giunti ad un accordo con Miklós Bánfi e Francesco Fontana sul contratto matrimoniale e, come parte di questo, sulla dote. In merito a quest’ultima re Ferrante dichiarò che tra Fontana e il re, ai sensi della lettera credenziale separata che riguardava lui, si è raggiunto un accordo sulla grandezza e la composizione 84 Fiorini d’oro aragonesi. Mattia esigeva il valore della dote in fiorini d’oro di Firenze. 86 Liboni, op.cit.: 189–194. 87 Documento di Ferrante I re di Napoli sulla dote di Beatrice d’Aragona. Napoli, Castel Nuovo, 1475.05.29. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. ff. 6v–8r [Copia]. 88 Al diploma si fa riferimento nelle fonti di Valencia con data 24 maggio 1474: “… in […] litteris eiusdem serenissimi domini regis Sicilie datis in Castello Novo civitatis Neapolis die vigesimaquarta mensis Maii millesimo quadringentesimo septuagesimo quinto”. T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 505, 3b. oklevél. Napoli, Castel Nuovo, 1476. szeptember 16. 85 La dote di Beatrice d’Aragona 371 della dote: 170 mila ducati in contanti e gioielli per un valore di 30 mila ducati. Questo dato contenuto nel documento qui indicato è la prima menzione sul valore della dote di Beatrice.89 Inserita in questo documento troviamo anche un’altra lettera credenziale di Mattia.90 In questa lettera, rilasciata a Brünn il 1 aprile 1475, il re ungherese incaricò il solo Francesco Fontana di svolgere le trattative e l’accordo espressamente sulla dote (in questo documento non figurava il nome di Miklós Bánfi). Nel documento il sovrano di Napoli faceva riferimento agli antefatti al contratto matrimoniale (che il re non ratificava ma menzionava soltanto) e citava un punto specifico del contratto che riguardava la dote.91 Tale punto specificava che sulla dote (e sui doni da dare in occasione delle nozze, probabilmente da parte di Mattia a Beatrice, così come sulla data del conferimento di Beatrice) era necessario stipulare un accordo a parte, per cui Ferrante avrebbe mandato degli ambasciatori a Mattia. Ciò avvenne per qualche ragione nel modo opposto, nonostante il contratto fu di nuovo Mattia ad inviare degli ambasciatori (nel giugno del 1475), ma non si capisce il motivo. Sempre tra gli antefatti nel documento viene citato l’incarico di Fontana per trattare sulla dote e il suo 89 Il valore della dote di Beatrice d’Aragona non è un dato nuovo: il riferimento alla somma di 200.000 ducati si riscontra anche in Bonfini. Antonius de Bonfinis: Rerum Ungaricarum decades, ediderunt Iosephus Fógel – Bela Iványi – Ladislaus Juhász, Lipsiae–Budapest, 1936–1941: IV, 207 (Liber X); Dipl. Eml. [Memorie diplomatiche] II. 310. Relazione di Lukács Lupus da Buda al duca di Milano. Buda, 1476.05.19. e nella fonte n. 193: Prospetto delle spese detratte dalla dote della regina ungherese Beatrice [settembre 1475], inoltre si trova certamente anche nella biografia di Beatrice scritta da Albert Berzeviczy (Berzeviczy fa riferimento alla relazione di Luca Lupo); inoltre lo si conosce anche dalla raccolta di documenti della vita di Beatrice, dove una fonte menziona la somma. Okiratok CLXV. 241–242. 1492.06.04. Relazione dell’oratore Giacomo Trotti da Milano al duca di Ferrara, in cui in base al racconto dell’ambasciatore Francesco Fontana informa sul progetto di rimandare in patria Beatrice e sulle rivendicazioni legate a questo fatto dalle due parti. “… Messer Francisco [Fontana], li dixi che pure la doveria havere la sua dotta de 200,000 ducati, che la potette cum epsa” (Okiratok, 242). 90 Lettera credenziale da parte di Mattia I a Francesco Fontana per portare avanti le trattative, tra l’altro sulla dote, Brünn, 1475.04.01. Ricopiato nel seguente documento: AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. ff 6v–8r [Copia]. 91 “Conventum est inter dictas partes, quod quantitas dotium ipsius illustrissime dominae Beatricis et etiam donatio facienda propter nuptias et tempus traductionis dicte domine Beatricis ad regnum Hungarie concordari habeat per supradictum dominum regem Hungarie et oratores, quos prefatus serenissimus dominus rex Ferdinandus de proximo missurus est ad prefatum serenissimum dominum regem Hungarie.” (T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 505, documento 3b. Napoli, Castel Nuovo, 1476.09.16. Cfr. documento notarile sul contratto matrimoniale e sul fidanzamento di Beatrice d’Aragona e Mattia I, Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11.). AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3 ff. 1r–5v [Copia]. 372 Tibor Martí arrivo (Et noviter…),92 in seguito si legge la parte definitoria che parla del contenuto dell’accordo sulla dote (Idcirco…).93 Gli ambasciatori di Mattia tornarono nel territorio del Regno d’Ungheria all’inizio di settembre del 1475, lo si può dedurre dalla lettera del doge veneziano al suo ambasciatore in Ungheria (1 settembre 1475).94 Il pezzo successivo dei documenti di Spagna è ormai la versione definitiva del contratto matrimoniale, confermata da ambedue le parti, cioè il documento notarile confermato da Mattia a Buda il 19 dicembre 1476.95 Questo documento contiene in verità tre fonti, copiate in esso: (1) la lettera credenziale che Mattia diede al vescovo di Breslavia, Rudolf von Rüdesheim, al vescovo di Várad, János Filipec, al voivoda della Transilvania, János Dengelegi Pongrác e al conte János Szentgyörgyi (Buda, 5 giugno 1476), in cui gli ambasciatori ottennero l’incarico di prendere effettivamente in consegna (ad acceptandum et recipiendum) la dote e tutto quello che Beatrice intende eventualmente portare con sé oltre il contratto. Si faceva inoltre giuramento di restituire il tutto nel caso di risoluzione del matrimonio (in casu soluti matrimonii); (2) gli ambasciatori, il conte di Posonio Miklós Bánfi e Francesco Fontana, davanti ai notai prendono in consegna la dote della principessa Beatrice – questo documento (Napoli, Castel Nuovo, 16 settembre 1476) contiene l’elenco della parte della dote di Beatrice consistente in beni mobili, in tutto 142 unità. Il tutto è poi contenuto nel (3) documento di conferma rilasciato da Mattia. 92 “Et noviter pro implemento, perfectione et executione dicti matrimonii et capitulorum et etiam capituli suprainserti venerit ad maiestatem nostram prefatus magnificus Franciscus Fontana orator, nuntius et procurator prefati serenissimi domini regis Mathie regis Hungarie, de cuius mandato, potestate, procuratione fidem fecit per litteras patentes eiusdem serenissimi domini regis Mathie regis Hungarie suo sigillo sigillatas et aliis solemnitatibus roboratas, quarum tenor de verbo ad verbum infra describetur.” Documento del re di Napoli Ferrante I sulla dote di Beatrice d’Aragona, Napoli, Castel Nuovo, 1475.05.29. AGS Patronato Real, legajo 29. Nr. 3. f. 6v. 93 “Idcirco prout ad conventionem devenimus cum eodem Francisco oratore et procuratore, ut supra, tenore presentium de certa nostra scientia constituimus et ordinamus in dotem et pro dote eiusdem illustrissime domine Beatricis filie nostre ducatos ducentum mille de auro, hoc modo: videlicet centum septuaginta mille ducatos in ducatis auri et reliquos triginta mille in iocalibus et apparatibus pretiosis solvendos siquidem et assignandos per nos eidem serenissimo domino regi Hungarie prefatos ducatos ducentum mille modo quo supra consistentes una cum dicta illustrissima domina Beatrice, tempore quo prefatam illustrissimam dominam Beatricem ad eundem serenissimum dominum regem Hungarie suum maritum transmittemus.” AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. 94 L. Óváry: A Magyar Tudományos Akadémia…, I., op.cit.: n. 521. 95 T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 503–518, documenti 3a–3c. La dote di Beatrice d’Aragona 373 Conclusione In base alle fonti già precedentemente note e a quelle recentemente scoperte in archivi spagnoli, confrontandole con la bibliografia specifica, ci viene permesso di trarre le seguenti conclusioni. Albert Berzeviczy non aveva conosciuto le fonti custodite in Spagna, nell’introduzione alla raccolta di documenti relativi alla vita di Beatrice d’Aragona, pubblicata nel 1914, non figura nessun archivio spagnolo. Dal materiale documentario spagnolo si chiarisce che gli ambasciatori di Mattia furono incaricati separatamente della stipulazione del contratto di alleanza e della stipulazione del contratto di matrimonio (Buda, 18 maggio 1474, in due documenti separati, ma datati nello stesso giorno). Miklós Bánfi e Francesco Fontana svolsero delle trattative a Napoli e in seguito nella stessa data, il 3 settembre 1474, furono stesi a Napoli i due contratti nelle due cause. All’ambasceria della primavera del 1474 sicuramente non prese parte il prevosto di Pécs, György Handó, come neanche alle ambascerie successive a questa data. Sulla sua supposta partecipazione all’ambasciata del 1469, ipotizzata anche da Vilmos Fraknói e Albert Berzeviczy, non siamo in grado di prendere una posizione, essendo le nostre fonti riferite ad un periodo molto più tardo. In merito all’andamento dell’accordo sulla dote ricaviamo, come nuovo risultato, il dato che gli ambasciatori di Mattia inviati a Napoli e re Ferrante trovarono un accordo già nell’autunno del 1473, in occasione della stipulazione del contratto, anche se il documento definitivo venne stilato poi solo nel maggio del 1475. Sulla dote il negoziato venne condotto dal dottor Francesco Fontana. Sono fonti nuove relative a questo processo la lettera credenziale del 1 aprile 1475 (in cui Mattia incarica solo Fontana della stipula dell’accordo sulla dote), come anche i documenti rilasciati da re Ferrante nei giorni 24 e 29 maggio 1475, in cui questa lettera credenziale venne ricopiata. Siamo venuti a conoscenza del testo definitivo del contratto di matrimonio, confermato da ambedue le parti, grazie al materiale documentario custodito a Madrid, con l’elenco particolareggiato della dote di Beatrice. Albert Berzeviczy, nella sua biografia su Beatrice d’Aragona, menziona in diversi luoghi, senza far riferimento ad una segnatura, un “documento sulla presa in consegna della dote”. Parlando delle trattative dell’estate del 1475 a Napoli scrive che, sul risultato del negoziato degli ambasciatori di Mattia, “veniamo informati un anno più tardi” – ma questa fonte non venne pubblicata nella raccolta di documenti e, in realtà, non viene reso noto da nessuna pubblicazione precedente o coeva. Vale la pena tener presente il fatto che, da una parte, 374 Tibor Martí Berzeviczy conosceva più fonti rispetto a quelle che aveva pubblicato nella raccolta, d’altra parte aveva potuto tuttavia vedere a Napoli delle fonti che più tardi, nel corso della guerra, erano andate distrutte: lo dimostra, per esempio, la lettera di donazione di Salerno del 1499 che faceva parte del fondo di Valencia ed è stata ritrovata a Madrid. Berzeviczy aveva visto ancora una copia di questo documento custodita a Napoli, siccome vi fece riferimento nella sua opera.96 Il testo definitivo del contratto di matrimonio, confermato da ambedue le parti, l’elenco particoleraggiato della dote di Beatrice, il fatto e la data dell’ambasceria del giugno del 1476 a Napoli, così come la conferma del contratto da parte di Mattia il 19 dicembre 1476 a Buda, sono diventati noti grazie alle fonti scoperte a Madrid.97 Traduzione di György Domokos 96 Documento rilasciato dal re di Napoli Federico IV alla sorella Beatrice, direttamente prima del ritorno di questa a Napoli, sul dono di Salerno. Andria, 1499.03.25. T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 520–523, documento 5. 97 Berzeviczy, pur facendo menzione di un documento del 1476 che riguarda la consegna della dote, non entra nello specifico e, tra le fonti della raccolta di documenti pubblicata nel 1914, non se ne trova traccia. Cfr. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico Ilona Kristóf Università Cattolica Károly Eszterházy, Eger kristof.ilona@uni-eszterhazy.hu Abstract Beatrix of Aragon (1457–1508) is considered by public opinion, based on the opinion of her contemporaries, to be among the most influential Hungarian queens. In this paper I will examine the elements of her activity when she lived up to the expectations placed on her, and contrast her norm-breaking actions; I will compare her effectiveness with the image of herself that was communicated. Based on this examination, it can be stated that she attributed far more influence to herself in her letters than can be verified by analysing the events. Until the early 1480s, she wanted to strengthen her positions with her family’s dynastic interests in mind. Her infertility endangered the expected succession to the throne of John Corvinus, and this caused her to change her policy. Although the appointment of Ippolito d’Este as archbishop of Esztergom was the only case in which the queen’s influence on her husband could be demonstrated and considered successful, this did not change Beatrice’s position by then. According to the sources, Beatrix’s power and influence, despite her spectacular foreign manifestations, were entirely at the will of her husband. Beatrice d’Aragona (1457–1508) viene considerata dall’opinione pubblica ungherese, basandosi sul parere dei contemporanei, una delle regine più influenti della storia magiara. Le ricerche storiche svoltesi in Ungheria avevano dato credito, fino a tempi recenti, a questa opinione. Risulta indubbio il fatto che non si possiede una documentazione così vasta, prodotta nelle corti estere e in quella ungherese, di nessun’altra regina d’Ungheria. Ciononostante, la sua immagine è stata sempre maggiormente influenzata dalle fonti narrative e, solo in misura minore, dalle fonti archivistiche. Nella tradizione storiografica ungherese le mogli reali politicamente attive hanno avuto tutte, senza eccezione, una considerazione negativa: il “potere 376 Ilona Kristóf delle donne” non era tollerato dalla corte ungherese.1 Di Beatrice sono state pubblicate, anche recentemente, delle descrizioni che la dipingono come lo “spirito cattivo” di Mattia Corvino, sottolineandone non solo il carattere violento e capriccioso ma anche il suo forte influsso su re Mattia.2 Nel mio saggio intendo esaminare, in base a fonti d’archivio, la capacità di Beatrice di far valere i propri interessi. In questa ricerca mi sono servita di fonti edite ed inedite: si tratta per lo più della corrispondenza di Beatrice, delle relazioni di ambasciatori che parlano di lei, di documenti diplomatici e ufficiali.3 La base dell’influenza, vera o supposta, di Beatrice, la possiamo rinvenire nel matrimonio da lei contratto con il re ungherese Mattia Corvino. Nella realizzazione di questo matrimonio la ricerca ungherese sottolinea piuttosto il ruolo dell’obbligo, della pressione sul sovrano e del successo della diplomazia pontificia, nella persona del legato papale Lorenzo Roverella.4 La creazione della dinastia era di primaria importanza per Mattia, anche in vista della revisione della clausola sulla succesione aggiunta alla pace di Wiener Neustadt del 1463.5 La ricerca italiana, di contro, sottolinea la politica dinastica di Ferrante d’Aragona. Ferrante, infatti, già nel 1465 aveva avanzato una proposta di matrimonio a Mat- 1 J. Thuróczy: Chronica Hungarorum, L. Geréb (trad.), Budapest: Helikon, 1957: Zsigmond király koronázásáról (cap. III.), https://mek.oszk.hu/10600/10633/10633.htm/#77 2 E.g. K. Nehring: ‘Mátyás külpolitikája’, Történelmi Szemle XXI: 3–4, 1978: 427–440; E. Guerra: ‘Niuna cosa violenta pò essere perpetua’. I conflitti europei del secolo XV nella vita di Beatrice d’Aragona, regina d’Ungheria’, in: E. Guerra (ed.): Voci di donne. La guerra nelle testimonianze femminili, Roma: Aracne, 2009: 37–60, p. 41; P. Engel, Gy. Kristó & A. Kubinyi: Magyarország története (1301–1526), Budapest: Osiris, 2005: 261; V. Fraknói: Hunyadi Mátyás király (1458–1490), Budapest: Magyar Történelmi Társulat, 1890: Libro VI. http://mek.oszk.hu/05700/05736/html/; A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, Milano: Corbacci , 1931: 375, etc. 3 T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok, Budapest, 1914; I. Nagy & A. Nyáry: Magyar diplomacziai emlékek Mátyás király korából 1458–1490. III, Budapest, 1877 (MDE); E. Guerra: Il carteggio tra Beatrice d’Aragona e gli Estensi (1476–1508), Roma: Aracne, 2010, Magyar Nemzeti Levéltár Országos Levéltár Diplomatikai Levéltár, Diplomatikai Fényképtár (MNL OL DL, DF), ed i documenti identificati e digitalizzati negli archivi di Milano e Modena dal gruppo di ricerca Vestigia. 4 Zs. Teke: ’Az itáliai államok és Mátyás’, In: Gy. Rázsó & L. V. Molnár (eds.): Hunyadi Mátyás. Emlékkönyv Mátyás király halálának 500. évfordulójára, Budapest: Zrínyi, 1990: 245–275, p. 258. 5 P. E. Kovács: ‘A Hunyadi-család’, in: Gy. Rázsó & L. V. Molnár (eds.): Hunyadi Mátyás. Emlékköny Mátyás király halálának 500. évfordulójára, Budapest: Zrínyi, 1990: 29–51, pp. 41– 42, P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly politikai kapcsolatai a Mátyás-korban’, in: P. Fodor, G. Pállfy & Gy. I. Tóth (eds.): Tanulmányok Szakály Ferenc emlékére, Budapest: MTA, 2002: 229–247, p. 229. Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 377 tia,6 appena rimasto vedovo, sperando che questa alleanza progettata potesse portare ad un miglioramento delle sue posizioni in Italia e in relazione al papato. Si sperava inoltre di poter contare poi su Mattia per il rafforzamento delle loro posizioni nei Balcani,7 interessandosi anche, in linea con la pretesa al trono ereditata dagli Angioini di Napoli, al trono d’Ungheria.8 Si voleva infine attribuire a Mattia un ruolo attivo anche nell’alleanza contro Venezia. Il re ungherese, negli anni 1460, intendeva tuttavia rafforzare la sua posizione stipulando le relazioni dinastiche centro-europee consuete, prendendo in considerazione la proposta di Napoli solo dopo i rifiuti da parte dei Jagelloni e degli Asburgo. Dopo queste premesse non stupisce che, rispetto al matrimonio, le aspettative delle due parti differissero notevolmente. Mattia desiderava univocamente dei successori al trono e, in tal modo, veniva assegnato anche il ruolo che sarebbe spettato a Beatrice: adeguarsi alle pretese della corte reale ungherese, come altre regine avevano fatto, ritirandosi nel retroscena. Napoli mirava invece ad un rapporto ravvivato, rinforzato, di cui la regina sarebbe stata promotrice e perno. Dopo lunghe trattative9 il matrimonio per procuram ebbe luogo a Napoli il 15 settembre 1476, ripetuto poi in Ungheria, in presenza dei coniugi, il 12 dicembre 1476.10 Beatrice era stata preparata al ruolo di regina. La sua educazione umanistica serviva certamente allo scopo di poter servire, anche nella sua nuova patria, le ambizioni politiche della sua casata. Per Beatrice, come alcuni anni prima per la sorella Eleonora,11 il loro educatore, il famoso cortegiano napoletano Diomede Carafa, scrisse un Memoriale come falsariga da seguire nell’inserimento nella corte reale ungherese. I consigli dati ad Eleonora ne I doveri del 6 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 230; Zs. Teke: ‘Az itáliai államok…’, op.cit.: 251; 21. nov. 1465: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: X, 14–16. 7 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 231. 8 E. Guerra: Il carteggio tra Beatrice d’Aragona e gli Estensi (1476–1508), Roma: Aracne, 2010: 12; E. Guerra: ‘Niuna cosa violenta pò essere perpetua’…, op.cit.: 39. 9 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 232. 10 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 233–240; T. Martí: ‘Oklevelek Aragóniai Beatrix hagyatékából. Magyar vonatkozású források a spanyol katonai lovagrendek iratanyagában’, Történelmi Szemle LIX/3, 2017: 491–523. 11 V. Prisco: ‘Eleonora d’Aragona come corpo politico itinerante. Il simbolismo del corteo da Napoli a Ferrara (23 maggio–3 luglio 1473)’, Revista de Historia Jerónimo Zurita 96, 2020: 203– 227, pp. 226–227; C. Vecce: ‘I memoriali ungheresi di Diomede Carafa’, Prospettive settanta 4, 1992: 467–487, p. 470. 378 Ilona Kristóf principe e a Beatrice ne Il memoriale a la serenissima Regina de Ungaria (in traduzione latina: De institutione vivendi) corrispondono: tra i tratti del giusto comportamento vengono sottolineati l’obbedienza al marito, la vita religiosa e pia, la presa di posizione silenziosa e decisa, il riconoscimento acuto delle situazioni.12 Possedendo queste qualità le principesse sarebbero state capaci di essere all’altezza del loro compito nella corte del marito e, quindi, di reggere la prova degli sguardi sempre critici dei cortegiani. Eppure, nei due libri, gli accenti sono diversi. Eleonora aveva sposato Ercole I d’Este e l’ambiente della corte ducale di Ferrara non differiva moltissimo da quello di Napoli. Eleonora riuscì così a rappresentare in maniera efficace, a Ferrara, non solo gli interessi della sua famiglia, ma ebbe anche l’opportunità di imparare l’arte del governare, pur se il suo potere politico era ristretto entro certi limiti. Dovette pur sempre rispondere ad una corte dominata dagli uomini ed al marito ma, in assenza di suo marito, poté prendere decisioni in maniera autonoma, riscuotendo unanime stima tra i suoi contemporanei.13 Di contro, nel memoriale preparato per Beatrice, non si parla affatto delle pratiche per ottenere ed esercitare il potere. Carafa vedeva chiaramente che la corte del coniuge straniero funzionava con meccanismi del tutto diversi da quelli italiani. Nell’opera raccomandò quindi, alla sua già discepola, lo stesso adeguamento e quel ritirarsi sullo sfondo che, apertamente o tacitamente, si aspettava da lei anche a Buda.14 Beatrice però conobbe, con ogni probabilità, anche il memoriale dedicato alla sorella; aveva infatti anche una copia della poesia di Antonio Cornazzano intitolata De modo regendi, scritta nel 1476 ad Eleonora.15 Beatrice non poté e non volle neanche corrispondere al ruolo che le era stato assegnato. 12 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 236–237; J. Csontosi: ‘Diomedes Carafa: De institutione vivendi. A pármai Corvin-codexből’, Magyar Könyvszemle 15/1–2, 1890: 54–86, pp. 63–64; D. Carafa: ‘DE INSTITUTIONE VIVENDI. Tanítás az életvezetés szabályairól. Emlékeztetõ Magyarország felséges királynéjának’ ed. et trad.: I. D. Lázár, É. Vígh & E. Ekler, Budapest: Országos Széchényi Könyvtár, 2006. 13 V. Prisco: Eleonora d’Aragona e la costruzionedi un “corpo” politico al femminile (1450–1493), Zaragoza, 2019 [tesi di dottorato]; C. Vecce: I memoriali…, op.cit.: 480, E. Guerra: ’Eleonora d’Aragona e I doveri del principe di Diomede Carafa: l’esercizio del governo tra realtà e precettistica’, in: A. Giallongo (ed.): Donne di palazzo nelle corti europee. Tracce e forme di potere dall’età moderna, Milano: Unicopli, 2005: 113–119; E. Guerra: ‘Lo spazio del potere: Eleonora e Beatrice d’Aragona nei “Memoriali” di Diomede Carafa’, Annali dell’Università di Ferrara – Sezione Storia 2, 2005: 323–361. 14 C. Vecce: I memoriali…, op.cit.: 476–479. 15 Ibid.: 474–475. Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 379 Arrivata a Buda sembrava che lei volesse prendere in mano la gestione delle cose. L’opinione dei contemporanei, tra cui anche quella di Antonio Bonfini, che certamente non fu un grande fautore di Beatrice, coincise nel ritenere che la giovane regina esercitò sul re una grande influenza, riuscendo ad ottenere da lui tutto quello che desiderava.16 Quali potevano essere, principalmente, le richieste della regina? Un tenore di vita ed uno stile dell’ambiente addicente a quella dignità a cui era stata abituata a Napoli. Perché a Buda, dal 1440 non vissero delle regine, non avevano una corte propria, eccezione fatta per quei pochi anni in cui la giovanissima Caterina di Podjebrady soggiornava a corte.17 Con l’arrivo della nuova regina certamente comincia a fervere la vita, le abitudini della corte si trasformano, cambia l’ordine del giorno e, quindi, si organizza anche la corte della regina. Tutti questi sono cambiamenti vistosi, eppure avevano poco effetto sulla politica e sulle decisioni del re. Negli ultimi anni è tornato alla ribalta il ruolo di Beatrice anche nelle ricerche storico artistiche: oltre alle apparenze esteriori di corte, quale poteva essere il suo ruolo nel mecenatismo di Mattia? Árpád Mikó e Klára Pajorin, nelle loro ricerche, mettono il ruolo della regina sotto una nuova luce.18 Anche se il mecenatismo legato direttamente al suo nome è un aspetto di minori dimensioni, sembra inevitabile che, come mediatrice, abbia ispirato Mattia, spingendo quindi ad esercitare una sorta di protezione verso alcuni artisti. Inoltre, tramite la sua fitta rete di rapporti, influenzò certamente anche le scelte sugli umanisti da invitare in Ungheria. Sorge però una domanda: oltre alla vita di corte nel senso più stretto del termine, la sua influenza si estendeva al marito? L’autore della prima monografia sulla regina, Albert Berzeviczy, si riferiva a Beatrice utilizzando addirittura il termine di “consovrana”.19 16 A. Bonfini: Rerum Ungaricarum Decades. Tomus IV, Pars I, Decades IV et Dimidia V, J. Fógel, B. Iványi & L. Juhász, Budapest: Egyetemi Nyomda, 1941: 4.7. 65. 17 Per il primo matrimonio del re Mattia vedi: N. C. Tóth: ‘Mátyás király első felesége’ in: K. Szovák & A. Zsoldos (eds.): Királynék a középkori Magyarországon és Európában, Székesfehérvár: Városi Levéltár és Kutatóintézet, 2019: 115–133. 18 K. Pajorin: ‘Aragóniai Beatrix szerepe Mátyás irodalmi mecenatúrájában’, Irodalomtörténeti Közlemények 115, 2011: 158–167; Á. Mikó: A reneszánsz Magyarországon (Stílusok – korszakok), Budapest, 2009: 30–53; V. Rees: ‘ “A woman of valour”: Towards a reappraisal of the presence of Beatrix of Aragon in the Hungarian court’, in: E. Bartha (ed.): Matthias Rex 1458–1490: Hungary at the Dawn of the Renaissance, Budapest, 2012: 1–21. 19 06 agosto 1479: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: XXX, 42–43. 380 Ilona Kristóf Nonostrante la regina fosse Beatrice, che fece di tutto per metterlo in evidenza, non possiamo tuttavia dimenticare nemmeno la madre del re, Erzsébet Szilágyi. Già Carafa aveva richiamato l’attenzione della regina sulla necessità di stabilire buoni rapporti con la suocera, consigliandole di cedere l’iniziativa alla madre del re e di adeguarsi alle aspettative di Erzsébet Szilágyi. In verità, però, non fu il rapporto tra suocera e nuora a mettere in dubbio l’influenza di Beatrice sulla politica interna: esaminando gli itinerari della regina e di sua suocera si capisce chiaramente che si erano incontrate pochissime volte, allo stesso tempo risulta un dato eloquente il fatto che Erzsébet Szilágyi passava molto tempo a Óbuda che, dai tempi degli Angioini, era una delle città della regina. La posizione di Erzsébet Szilágyi però era ambigua: non era né regina, né regina vedova, perciò sicuramente non le spettavano i feudi della regina. Le ricerche sui feudi svolte da Norbert C. Tóth20 hanno chiarito che Mattia, dopo essere salito al trono, creò la posizione della “madre del re”, affidando a sua madre una parte dei feudi della famiglia e una parte dei feudi della regina, tra cui anche la città di Óbuda, che sarebbe appartenuta alla regina.21 Certamente anche a Beatrice vennero conferite delle entrate in occasione dell’incoronazione, ma non abbiamo a disposizione dati sicuri. Non sappiamo nemmeno quando la proprietà dei feudi delle regine, consegnati precedentemente a Erzsébet Szilágyi, siano poi stati trasferiti a Beatrice. I dati relativi, peraltro sporadici, provengono dagli inizi degli anni 1480, sembra tuttavia probabile che solo con la morte di Erzsébet Szilágyi, avvenuta nel 1484, questi possedimenti siano passati in mano a Beatrice.22 In questo contesto va ricordata l’analisi che Richárd Horváth ha condotto sui diplomi di donazione di re Mattia, con particolare attenzione alla clausola relativa all’approvazione dell’atto da parte della regina.23 Anche se numericamente l’approvazione di Beatrice appare più volte sotto il suo nome che in quello dei suoi predecessori, non è possibile trarre la conclusione che Beatrice abbia avuto un’influenza maggiore. Si può infatti supporre la volontà esplicita di Beatrice solo nelle questioni documentate che 20 N. C. Tóth: ‘Szilágyi Erzsébet “udvara” ’, in: I. Kádas, R. Skorka & B. Weisz (eds.): Márvány, tárház, adomány: Gazdaságtörténeti tanulmányok a magyar középkorról. Magyar Történelmi Emlékek-Értekezések, Budapest: MTA Bölcsészettudományi Kutatóközpont Történettudományi Intézet, 2019: 51–114. 21 N. C. Tóth: ‘Szilágyi Erzsébet…’, op.cit.: 75–76. 22 Ibid.: 55–59. 23 R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix. Egy oklevél-formuláról, s általa a királyné hatalmi helyzetéről a Mátyás-korban’, in: K. Szovák & A. Zsoldos (eds.): Királynék a középkori Magyarországon és Európában, Székesfehérvár: Városi Levéltár és Kutatóintézet, 2019: 133–173. Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 381 riguardavano la corte della regina, negli altri casi queste clausole sono presenti anche in circostanze in cui non si può logicamente supporre la volontà - e nemmeno il consenso - da parte della regina (come per esempio nelle questioni riguardanti il figlio naturale di Mattia, Giovanni Corvino).24 In numerosi casi, inoltre, si può dimostrare che, nel momento della promulgazione del documento, la regina non soggiornava nell’ambiente del re – quindi l’approvazione di Beatrice deve essere considerata una mera formalità. Non è estraneo alla tecnica dell’esercizio del potere di Mattia supporre che, anche se era tenuto a conferire entrate reali a Beatrice, non abbia per questo tolto a sua madre i possedimenti della regina.25 Queste clausole servivano perché l’influenza della moglie sulle questioni di corte e sulla loro documentazione fosse solo apparente. A confermare tale ipotesi si può indicare il fatto che solo dopo la morte di Erzsébet Szilágyi compare l’attività autonoma della cancelleria della regina, contemporaneamente alla presa di possesso delle proprietà regali e, in parallelo, al calo delle clausole di approvazione da parte della regina sugli atti di donazione da parte del re. Allo specchio delle ricerche finora svolte possiamo stabilire, quindi, che Beatrice riuscì ad esercitare poca influenza sulla politica interna ungherese e non cercò (senza averne la reale occasione) di ottenere la simpatia e l’appoggio dei suoi sudditi ungheresi. Nonostante non godesse di quasi nessuna autonomia materiale, i suoi contemporanei ribadivano l’influenza da lei esercitata sul re. Questa è una conclusione che possiamo trarre da un altro tipo di fonti: le lettere di Beatrice e le relazioni diplomatiche degli ambasciatori stranieri. Da una parte possiamo notare che il materiale archivistico relativo a Beatrice supera, per quantità, il numero dei documenti riguardanti le regine precedenti, dall’altra la maggior parte di questo materiale è formato dalle lettere da lei scritte e ricevute, le quali la misero al centro dell’attenzione, molto più di quanto non fosse abitudine presso la corte ungherese. Beatrice cercò di applicare, anche in Ungheria, i metodi usuali imparati a Napoli.26 Le sue intenzioni in politica estera potrebbero essere descritte con l’aggettivo dinastico: cercò di far valere e confermare gli interessi e le posizioni della sua famiglia, anche creando di sé stessa l’immagine di una figura di estrema utilità ed importanza all’interno della sua dinastia. La sua attività tra il 1476 ed il 1486 fu in linea con le aspettative, supposte o reali, provenienti dalla sua famiglia. In base alla sua corrispondenza si 24 R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix…’, op.cit.: 156–157. Ibid.: 168–169. 26 Ibid.: 135–136. 25 382 Ilona Kristóf può affermare che le sue relazioni con la sorella Eleonora fossero intime e fraterne. Certamente non sarà stato un caso che, viaggiando da Napoli verso Buda, si poteva omettere dal programma previsto la fermata a Roma,27 ma dell’accoglienza a Ferrara non si poteva fare a meno: le due sorelle dovevano sapere che si sarebbero viste per l’ultima volta personalmente. Oltra all’amore fraterno nel loro rapporto si percepisce anche la rivalità delle sorelle. I progetti di Beatrice riguardavano, oltre ai fratelli minori, anche i figli di Eleonora e, in queste occasioni, si voleva mostrare come una potente mecenate . Beatrice fu spesso accusata, non senza fondamento, di nepotismo. Eppure, se si considerano tutti i suoi piani e la loro realizzazione, contrariamente alla sua condanna, in realtà non ebbe un così grande successo. Senza dubbio il fratello minore, Francesco d’Aragona, era arrivato in Ungheria assieme a Beatrice e visse alla corte di Mattia Corvino fino al 1484. Come si evince dal Memoriale del Carafa, lo scopo era quello di imparare, dal nuovo cognato, le virtù militari e la vita virtuosa.28 Tale combinazione, secondo gli usi dei tempi era probabilmente compresa già nell’accordo stipulato tra Mattia e Ferrante, non possiamo quindi necessariamente supporre che, dietro questa iniziativa, ci fosse Beatrice. D’altronde non c’era nulla di sorprendente nel fatto che un principe venisse educato, per un certo tempo, presso altre corti: anche i figli più giovani della duchessa Eleonora avevano passato lunghi anni presso la corte napoletana, corrispondendo alla richiesta esplicita del nonno.29 L’altro fratello di Beatrice, Federigo d’Aragona, viene menzionato a proposito della pace di Gmunden-Korneuburg del 1477, e ciò è interpretato come una prova dell’influsso di Beatrice.30 In questo trattato di pace, stipulato sotto la pressione della diplomazia papale tra Mattia e l’imperatore Federico III si trattava, oltre che del riconoscimento del titolo di re di Boemia a Mattia (cosa che più gli interessava), anche della sottrazione del Ducato di Milano agli Sforza e del conferimento di questo al fratello di Beatrice, assieme alla mano della figlia dell’imperatore, Kunegunde. Fuori da ogni dubbio questo matrimonio avrebbe 27 Anche Eleonora visitò il papa, Sisto IV, mentre si recava a Ferrara per il suo matrimonio: V. Prisco: Eleonora d’Aragona come…, op.cit.: 213–220. 28 C. Vecce: I memoriali…, op.cit.: 481, D. Carafa: DE INSTITUTIONE…, op.cit.: 158–160. 29 Le lettere di Beatrice d’Este a suo padre e a sua madre da Napoli dal 1479 al 1482 sono conservate presso l’Archivio di Stato di Modena. 1479. 04. 01. ASMo Casa e Stato 130. 1682. II. 1, 1482. 11. 14. ASMo Casa e Stato 130. 1682. II. 2, 1484. 04. 09. ASMo Casa e Stato 130. 1682. I. 1. 30 Zs. Teke: ‘Az itáliai államok…’, op.cit.: 260. Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 383 giovato tanto alla posizione di Beatrice e dell’intera dinastia napoletana. Nel caso però di un trattato di pace in cui le parti non prendevano sul serio la messa in atto di nessuna delle condizioni, la realizzazione di questo matrimonio non aveva grandi probabilità di diventare effettiva. Per Mattia non rappresentava quindi un forte rischio il fatto di appoggiare il matrimonio progettato di suo cognato e, con questo, compiere un gesto nei confronti della propria moglie. È proprio in seguito al fallimento della pace di Gmunden-Korneuburg che, nel 1478, ebbe luogo a Olmütz la pace tra Vladislao e Mattia in cui, considerando la situazione esistente, conclusero la guerra promossa per l’ottenimento della corona della Boemia. Alle trattative di pace era presente anche Beatrice, la quale vedendo la riuscita dell’atto di pace propose la sua prima mossa in politica. Dalla lettera della duchessa Eleonora dell’estate del 1481 sappiamo che aveva in progetto il matrimonio delle nipoti con Vladislao Jagellone. Eppure, Eleonora rifiutò in maniera decisa la proposta avanzata a Isabella d’Este oppure a Beatrice d’Este, esponendo a lungo i progetti di matrimonio ferraresi che, certamente, erano risaputi anche a Buda.31 Nel rapporto tra le due sorelle negli anni a venire si percepisce qualche tensione e rivalità. Soprattutto nel periodo della guerra contro Venezia,32 negli scambi di lettere degli anni 1482–1484,33 si ha la sensazione che Beatrice si fosse posizionata come colei che conosce tutto su tutto e, guardando gli eventi quasi da lontano, evitava di eseguire le richieste di Eleonora e di Ercole che volevano spingere Mattia a partecipare attivamente alla guerra contro i veneziani. Certamente qui interpretava il punto di vista di Mattia il quale, facendo riferimento innanzitutto al pericolo turco, si teneva lontano dalla lega. Eppure Beatrice, con le sue lettere impassibili in cui non si vede nemmeno la preoccupazione per la salute fisica del marito, vuole raggiungere una posizione decisamente più vantaggiosa.34 Fino ai primi anni del 1480 Beatrice cercò di posizionarsi entro i limiti diplomatici-dinastici portati con sé da casa, anche se i suoi progetti volti a 31 03 giugno 1481: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: XXXII, 45–47. 32 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 242; Zs. Teke: ‘Az itáliai államok…’, op.cit.: 262; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 41–43. Guerra nella sua opera assegna erroneamente a questa lettera la data del 1484. 33 30 marzo 1482: T T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: XXXIV, 48–49; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 31–32, MNL OL DF 295011; 06 maggio 1482: ibid.: 32–34; 14 maggio 1482: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: XXXVIII, 53–54; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 35–36; 31. maggio 1482: MDE III. 10. 13–14; ibid.: 36–37, MNL OL DF 295012-295013; 08 giugno 1482: ibid.: 38–39, MNL OL DF 295015-295016. 34 E. Guerra: ‘Niuna cosa violenta pò essere perpetua’…, op.cit.: 46, 50. 384 Ilona Kristóf combinare matrimoni erano destinati a fallire uno dopo l’altro. Mattia si fece coinvolgere nella politica italiana solo nel tempo e nella misura in cui i suoi interessi attuali lo indirizzavano e, in ciò, sua moglie non poté esercitare su di lui nessuna influenza. Ai posteri, comunque, a sembrare una prova di potenza di Beatrice non furono questi tentativi, bensì la nomina di Giovanni d’Aragona ad amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Esztergom. Il fratello della regina, Giovanni d’Aragona poté vantare una carriera ecclesiastica promettente. Alla fine del 1479 il giovane cardinale, che ha appena compiuto i venti anni, arrivò in Ungheria in qualità di legato apostolico di papa Sisto IV per trattare con il re sulla guerra antiturca. Poco dopo il suo arrivo, il 1 febbraio 1480, Mattia gli conferì la dignità di arcivescovo di Esztergom. Ad essere più precisi poté conferirgli solo l’amministrazione dell’arcidiocesi, dal momento che János Beckensloer (Johann Beckenschlager/Beckenschläger), che era fuggito a Salisburgo e si era posto sotto la protezione dell’imperatore Federico III, portava formalmente ancora l’ufficio di arcivescovo di Esztergom. La storiografia ungherese è concorde nel considerare ben pensata la scelta di Giovanni d’Aragona da parte di Mattia, risultato della conclusione tratta dai suoi conflitti precedenti.35 Il giovane di grandi speranze, essendo già cardinale, risultava accettabile: non conoscendo la politica ungherese il re non dovette temere che gli si sarebbe opposto, contava inoltre che non sarebbe rimasto per lungo tempo in Ungheria. Certamente influenzò la decisione del re anche il fatto che il neonominato arcivescovo era anche parente di sua moglie, ma un fattore ancora più incidente dovette essere anche la considerazione di poter avere un cardinale arcivescovo, lontano dalla sua sede, che avrebbe rappresentato gli interessi del re ungherese alla curia pontificia.36 Oltre tutto questo va ricordato anche che, nelle lettere di Beatrice, non c’è alcuna traccia in cui risulti che si fosse occupata della nomina del fratello. Certamente dobbiamo tener presente il calo delle fonti, ma sembra proprio che, intorno al 1480, Beatrice si preoccupasse solo di sposare i suoi parenti, e sia stata del tutto insensibile alla corte ungherese, alla politica interna ungherese, ma anche al peso politico ed economico della sede arcivescovile.37 Forse è stato in questi anni che ha 35 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 243. Ibid.: 140–141; P. Tusor: Purpura Pannonica. Az esztergomi “bíborosi szék” kialakulásának előzményei a 17. században (Collectanea Vaticana Hungariae Vol. 3), Budapest & Roma, 2005: 44–48. 37 18 marzo 1486: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 59–62, MNL OL DF 295025. Beatrice ha menzionato una volta il fratello defunto in questa lettera: “Essendo nui tribulata et affannata per la cruda nova de la morte de la felice memoria del signore cardinale, nostro commune frate”. 36 Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 385 notato l’importanza dell’arcidiocesi di Esztergom, diventata presto il centro dei suoi progetti. Il suo ruolo politico e la sua autorappresentazione cambiarono verso la metà degli anni Ottanta del Quattrocento e andarono oltre la consueta prassi e le aspettative precedenti. Da una parte alla metà del decennio, dopo la morte della suocera, ebbe la proprietà integrale dei possedimenti della regina e ciò confermò la sua posizione economica. Dall’altra la sua sterilità risultava un problema sempre più grave, entrò quindi in scena anche il figlio naturale di Mattia, Giovanni Corvino. I conferimenti di possedimenti terrieri a Giovanni Corvino e, come successore al trono ungherese, il suo previsto matrimonio milanese con Bianca Maria Sforza, non mettevano a rischio solamente i progetti dinastici di Beatrice, ma anche la sua stessa posizione.38 Fece comunque un ulteriore tentativo per neutralizzare la situazione, diventata per lei problematica: offrì a Giovanni Corvino la mano della figlia di suo fratello, il già menzionato Federigo, che nel frattempo aveva sposato Anna di Savoia ma era già rimasto vedovo. Mattia ritenne tuttavia più importante l’alleanza con Milano, perciò nel 1485 si cercò di tenere segrete, dinanzi a Beatrice, le trattative sul matrimonio.39 Chiaramente in questo modo Mattia poté solo guadagnare del tempo, perché l’ambasciatore ferrarese presso la corte milanese, già nella primavera del 1485, riferì alla duchessa Eleonora del fidanzamento che si intendeva tenere nascosto e, di conseguenza, il fatto non poté restare un segreto nemmeno davanti a Beatrice. La regina dovette vedere in questo il totale fallimento del suo metodo per far valere i suoi interessi. Alla metà di ottobre del 1485 si spense a Roma Giovanni d’Aragona40 e, la sede arcivescovile, rimasta in questo modo vacante, destò l’attenzione anche di Beatrice. Fu a questo punto che oltrepassò i limiti a lei imposti: nel dicembre del 1485 Perotto Vesach, personaggio dell’ambiente della regina, scrisse alla duchessa Eleonora a Ferrara che il re, vedendo il profondo lutto della regina per via della morte del fratello, le aveva affidato la sorte della sede arcivescovile di Esztergom. Potremmo aggiungere che questa grazia da parte di Mattia fu una ricompensa per le ingiustizie subite e che, quindi, un altro parente napoletano alla guida dell’arcivescovado si inseriva benissimo nei progetti del re. Nel dicembre del 1485 Vesach non era ancora sicuro della persona scelta e, certamente spinta da Beatrice, la duchessa Eleonora si 38 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 244. 19 marzo 1485: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: XLVIII, 70. 40 E. Pásztor: ‘Giovanni d’Aragona’, in: Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3, 1961. 39 386 Ilona Kristóf apprestava a compiere dei passi nell’interesse del piccolo Ippolito d’Este. Per destare l’interesse di Eleonora, Perotto da Vesach accennò alle entrate cospicue dell’arcivescovado di Esztergom, nominandolo un “piccolo papato” per il giovane duca.41 I conflitti diplomatici intorno all’arcivescovado di Ippolito sono ben documentati, in questa sede intendo presentare solo la concezione che se ne formò Beatrice. Tra il marzo del 1486 e il giugno del 1487 i corrieri percorsero il tratto tra Ferrara e Buda con un’intensità mai vista prima. Il tono delle lettere di Beatrice cambiò sensibilmente. Da una parte fece sentire la sua supremazia sulla sorella maggiore, considerata più fortunata in tutti i campi, comunicando con un tono inappellabile le sue idee alla corte ferrarese.42 Optare per Ippolito era sembrata a Beatrice una scelta molto consapevole, utilizzando ancora la procedura Aragonese basata sulla famiglia. L’impressione è che abbia cercato di introdurre “il modello domestico” all’interno della corte ungherese, in particolare per quel che riguardava l’educazione dei figli dei suoi parenti. Sappiamo da una lettera di Nicolò Sadoleto del 1482 che la coppia ducale aveva promesso a Beatrice, in occasione della sua visita a Ferrara durante il tragitto verso l’Ungheria, che le avrebbero inviato uno dei figli, sotto le ali protettive della zia regina.43 Ebbene, Beatrice prese la sorella sulla parola. Certamente nelle sue lettere sottolineò gli sforzi che aveva compiuto per assicurare fortuna al nipote, si aspettava quindi anche la loro gratitudine. D’altra parte gestiva il fatto come una causa personale: nelle sue lettere si colgono sempre di più sentimenti individuali.44 Assicurò alla sorella, che le scriveva dei suoi sentimenti materni, che anche lei aveva sentimenti del genere, chiamando se stessa “l’altra madre” e Ippolito “nostro comune figliolo”. Nei mesi di attesa accadeva anche che si mettesse a lodare la bellezza del ragazzo. Per lei l’occupazione della sede arcivescovile di 41 06 dicembre 1485: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LII, 73–75. 42 06 marzo 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LVI, 81–84, MDE III. 67, IV. 367; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 46, MNL OL DF 295019; ibid.: 47, MNL OL DF 295020; 08 marzo 1486: ibid.: 48–51, MNL OL DF 295021; ibid.: 49–55, MNL OL DF 295022; ibid.: 56–57, MNL OL DF 295023; 03 aprile 1486: ibid.: 64–65, MNL OL DF 295027. 43 N. Mátyus: ‘Nicolò Sadoleto követjárása Magyarországon (1482–1483)’, in: Gy. Domokos, J. W. Somogyi & M. Szovák (eds.): Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a tizenöt éves háború idejéről, Budapest: Balassi Kiadó, 2020: 150–164. pp. 156–157; 11 settembre 1482: MNL OL DF 294380. 44 V. Rees: ‘ “A woman of valour”: Towards…’, op.cit.: 14. Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 387 Esztergom divenne sicuramente una questione di prestigio, un suo successo.45 L’importanza della cattedra arcivescovile è dimostrata dal fatto che anche le comitive italiane del giovane arcivescovo erano assemblate con cura. Non solo i genitori d’Ippolito, la regina Beatrice, ma anche il re Mattia presero parte alla selezione dei membri della comitiva e della corte. Proprio per questo divenne sempre più impaziente con l’andare del tempo, quando il malaticcio Ippolito venne fatto partire da Ferrara solo nell’estate del 1487.46 Forse non è un caso nemmeno il fatto che il piccolo Ippolito, arrivato finalmente in Ungheria, dovette aspettare delle settimane a Zagabria per avere istruzioni su dove seguire il re e “l’altra madre”…47 Il piccolo arcivescovo di Esztergom soggiornò spesso nei pressi della coppia reale.48 Sebbene i membri della corte di Ippolito a Esztergom fossero stati selezionati con cura e attenzione, le idee iniziali del re e della regina si realizzarono solo in parte. Le intenzioni di entrambi erano chiare: un controllo più stretto sull’arcidiocesi di Esztergom offriva vantaggi finanziari e di potere. Benché questo fosse l’unico caso in cui si può dimostrare l’influsso di Beatrice e il suo successo, la presenza di un suo parente in Ungheria, 45 13 aprile 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LIX, 87–88; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 66–67; 25 aprile 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXII, 100; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 71–72, MNL OL DF 295029; 28 aprile 1486: ibid.: 71–72, MNL OL DF 295030; 02 maggio 1486: ibid.: 72– 74, MNL OL DF 295031; 05 maggio 1486: ibid.: 75–76, MNL OL DF 295032; 07 maggio 1486: ibid.: 76–77, MNL OL DF 295042; 17 giugno 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXVII, 104–105; 04 agosto 1486: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 78– 79, MNL OL DF 295043, ibid.: 79–80, MNL OL DF 295044; ibid.: 80–82, MNL OL DF 295045; 13 agosto 1486: ibid.: 82–85, MNL OL DF 295046; 14 agosto 1486: ibid.: 85–86, MNL OL DF 295048; 15 agosto 1486: ibid.: 86, MNL OL DF 295049; 06 novembre 1486: ibid.: 92–93, MNL OL DF 295052; 04 s.m. 1487: ibid.: 94–95, MNL OL DF 295055; 06 gennaio 1487: ibid.: 97–100, MNL OL DF 29572– 1; 10 marzo 1487: ibid.: 111–114; 17 aprile 1487: ibid.: 114–115, MNL OL DF 295102; 25 maggio 1487: ibid.: 119–120, MNL OL DF 295106; 27 maggio 1487: ibid.: 122–123; 17 giugno 1487: ibid.: 124–125. 46 H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”. Az esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, in: Történelmi Szemle LXIII/3, 2021: 323–383, pp. 326–330. 30 giugno 1487: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 126–127, MNL OL DF 295107; 10 luglio 1487: ibid.: 127–128, MNL OL DF 295108; ibid.: 129–131, MNL OL DF 295110. 47 Anche Beatrice ha espresso la sua gioia per l’arrivo di Ippolito in una lettera a lui indirizzata, fornendo dettagli sulla sua comitiva ungherese e sul suo itinerario in Ungheria: 30 giugno 1487: MNL OL DF 295107. 48 A. Morselli: Ippolito I d’Este, e il suo primo viaggio in Ungheria (1487), Modena: Accademia di Scienze Lettere e Arti di Modena, 1957: 58; H. Kuffart & T. Neumann: “‘Olyan szép…’, op.cit.: 332–335; A. Bonfini: Rerum…, op.cit.: 4.8.50. 388 Ilona Kristóf l’arcivescovo di Esztergom, ormai non cambiò molto la posizione della regina. Ciò dimostra che era consapevole della sua fragile situazione e, dalle lettere alla sorella, si evince che non ha mai perso la speranza di generare un erede al trono.49 Dopo l’estate del 1487 gli scambi epistolari tra le sorelle divennero di nuovo più rari: dalle lettere della regina vengono a mancare le espressioni di un coinvolgimento sentimentale. Beatrice tornò al suo stile freddo e distaccato di un tempo, condividendo soprattutto informazioni politiche con la sorella e il cognato.50 La regina dedicò, negli anni successivi, tutte le sue energie e tutti i suoi sentimenti ad ostacolare il previsto matrimonio di Giovanni Corvino.51 Il conflitto arrivò al culmine quando il re, suo figlio naturale e la regina si insultarono con parole pesanti e il re concluse la lite con un’agressione fisica.52 Ecco, questi sono i passi di Beatrice che dimostrano il suo coinvolgimento sentimentale e che erano contrari alle abitudini dell’epoca, generando l’opinione negativa dei contemporanei e dei posteri, non solamente riguardo alla sua natura difficile. Questi gesti vennero proiettati anche come il suo presunto influsso, a posteriori, fino al suo primo incontro con il re.53 In maniera paradossale, la politica feudale di Mattia negli anni 1480 rese ricchi contemporaneamente sia suo figlio naturale che sua moglie. Ciò permise poi a Beatrice, dopo la morte di Mattia, di esercitare, anche se per poco tempo e con risultato dubbio, una potenza politica capace di influenzare il paese tramite il suo matrimonio contratto con Vladislao II.54 Allo stesso tempo, la corrispondenza diplomatica prima della morte del re Mattia rivelò che, nel 1489, Beatrice si considerava in grado di governare non solo in riferimento ai possedimenti della regina e alla sua presunta futura vedovanza, ma anche in virtù della sua 49 04 gennaio 1487: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 95–97, MNL OL DF 295056. 26 novembre 1487: ibid.: 135, MNL OL DF 295115; 20 gennaio 1488: ibid.: 136–137, MNL OL DF 295118; 20 febbraio 1488: ibid.: 139–140, MNL OL DF 295121; 9 marzo 1488: ibid.: 141; 03 aprile 1488: ibid.: 142, MNL OL DF 295123; 06 luglio 1488: ibid.: 153–154; 23 settembre 1488: ibid.: 157–158, MNL OL DF 295129; 19 novembre 1488: ibid.: 159–160; 13 gennaio 1490: ibid.: 173–174, MNL OL DF 295150. 51 V. Rees: ‘ “A woman of valour”: Towards…’, op.cit.: 9; 30 agosto 1487: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXX, 109–110; 03 settembre 1487: ibid.: LXXI, 110–112; 20 maggio 1489: ibid.: XCI, 134–136. 52 18 settembre 1489: ibid.: XCIV, 138–140. 53 Attila Bárány ha espresso un parere simile esaminando la politica estera italiana del re Mattia. A. Bárány: Magyarország nyugati külpolitikája (1458–1526). Angol-magyar kapcsolatok Mátyás és a Jagellók korában I, Debrecen, 2014: 78. 54 R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix…’, op.cit.: 171. 50 Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico 389 educazione.55 A lungo andare anche l’arcivescovado di Ippolito d’Este giocò in favore della regina, anche se non nel modo da lei previsto. Dopo il 1490, quando gli argomenti delle lettere diplomatiche consistevano soprattutto nei particolari relativi al suo matrimonio segreto con Vladislao II, lei stessa non fu ormai capace di compiere attivamente passi diplomatici, per molti anni fu il nipote a offrirgli rifugio a Esztergom.56 La ricerca sul periodo di vita tra il 1490 ed il 1508 sarà un argomento di altre ricerche. Secondo quanto mi ero prefissata, ho cercato di offrire un abbozzo di quello che fu il potere di Beatrice e delle possibilità che questo ebbe di evolversi durante la vita di Mattia, volendo con questa ricerca rendere più sfumata l’immagine negativa che si era creata di lei. Ho cercato di contrapporre ai fatti in cui aveva obbedito alle aspettative nei suoi confronti quelle sue azioni che andavano invece contro le norme e che, in un certo senso, avevano ottenuto un risultato positivo, sottolineando anche l’immagine che lei voleva comunicare di sé. Riassumendo si può affermare che il potere e l’influenza di Beatrice, nonostante le sue manifestazioni vistose verso l’estero, furono dipendenti unicamente dalla volontà del marito. Traduzione di György Domokos 55 27 settembre 1488: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXXXIII, 124–126, 11 marzo 1489: ibid.: LXXXIX, 132–133. 56 P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 245, 13 giugno 1491: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: CXXXIV, 190–191, MNL OL DF 295151; 29. dicembre 1491: ibid.: CXLIX, 209. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK “[…] cariche de perle tanto argente non ha Milano, Cremona ne Ferrara insieme” – Tessuti liturgici medievali ricamati con perle nel Tesoro della Cattedrale di Esztergom1 Ágnes Szabó Università Cattolica Pázmány Péter szaboagnes8@gmail.com Abstract Modenese cleric, Giovanni Maria Parenti, member of the entourage of young Ippolito d’Este arriving in Hungary in 1486 mentions the treasuries of Esztergom Cathedral in his diary. On the basis of his statements, this study aims to collect all written sources, mainly inventories of the former treasury of the Cathedral, referring to pearl embroidered liturgical textiles in order to recognize the volume and type of pearl embroidered paraments in Hungary’s oldest treasury. Besides the Esztergom registers, the investigation reckons with the existing inventories of Late Medieval Hungary’s ecclesiastic centres to reveal the phenomenon of pearl embroidered garments in a wider geographical context. The study is a first step of widespread research in the field of Central-European pearl liturgical textiles from the Middle Ages. Cesare Valentini fu inviato come ambasciatore a Esztergom per preparare l’arrivo di Ippolito d’Este, figlio della coppia ducale di Ferrara, il 7 giugno 1486. Giovanni Maria Parenti, ecclesiastico di origine modenese che era segretario di 1 Il mio studio è stato presentato al convegno congiunto dell’Archivio di Stato di Modena e del Gruppo di Ricerca “Vestigia” dell’Università Cattolica Péter Pázmány, Budapest (‘Dal Po al Danubio. I rapporti tra la Corte Estense e l’Ungheria attraverso i secoli’, il 7‒8 maggio 2021). La mia ricerca è stata sostenuta da viaggi di studio all’estero resi possibili dal Programma di Ricerca di Storia dell’arte di Isabel e Alfred Bader dell’Accademia Ungherese delle Scienze, per cui vorrei esprimere la mia gratitudine. Grazie ad Ágnes Veres per la traduzione italiana del testo. 392 Ágnes Szabó Valentini all’ambasciata ferrarese, scrisse un diario di 12 pagine del suo viaggio in Ungheria, in cui riportò alcune frasi sulle sue esperienze nel castello e nella cattedrale di Esztergom, compresi i ritratti dei monarchi che aveva visto nel primo e i tesori della cattedrale, che commentò come segue: “Ha etiam tante reliquie che è cosa stupenda brazzi d’arzente e d’oro, cristalli ce è tal calice che vale più de 1000 ducati ce son pianete col resto da cantar messa in pontificale cariche de perle tanto argente non ha Milano, Cremona ne Ferrara insieme. Io non ne potria dir tanto che più non ne fusse vale innumerabile migliara de ducati.”2 Ispirandosi alle parole di Parenti, il presente studio ha lo scopo di ricostruire, in base alle fonti scritte e ai materiali disponibili, la suppellettile della fine del XV secolo della cattedrale di Esztergom, con particolare riguardo ai tessuti liturgici. La citazione riportata sopra parla della presenza significativa dell’uso delle perle sulle casule, mettendo in evidenza la questione tipologica dei loro ricami, più precisamente la differenza nello stile tra le casule ricamate con perle e quelle italiane, decorate con l’oro velato. Gli studi di Éva Kovács sull’arte del tesoro medievale ungherese e sull’insieme delle insegne dell’incoronazione si sono incentrate, in precedenza, sui dettagli perlati degli oggetti in Ungheria.3 Le ricerche di Árpád Mikó hanno richiamato la mia attenzione sulle suppellettili liturgiche decorate con perle delle tesorerie dei centri ecclesiastici del Regno Ungherese e sulla loro storia.4 2 DF294488; Il diario di viaggio citato di Giovanni Maria Parenti è stato scoperto da Hajnalka Kuffart, membro del Gruppo di Ricerca “Vestigia”, durante il suo viaggio di ricerca a Modena nel 2019. Vorrei ringraziarla per aver portato la fonte alla mia attenzione e avermela messa a disposizione. Il diario di viaggio di Parenti è pubblicato in questo stesso numero di Verbum. Vedi anche H. Kuffart & T. Neumann: ’ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”. Az esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, Történelmi Szemle 3, 2021: 323‒382, p. 328. 3 É. Kovács: ‘Koronázási infula’, in: Á. Mikó & I. Takács (eds.): Pannonia Regia. Művészet a Dunántúlon 1000–1541, Budapest: Magyar Nemzeti Galéria, 1994: 531‒533; É. Kovács: ‘Casula Sancti Stephani Regis’, in: É. Kovács: Species Modus Ordo, Budapest: Szent István Társulat, 1998: 15‒56, pp. 19, 47; É. Kovács: ‘Anjou-kori ötvösdíszű mitrák; Textilek, címerek’, in: E. E. Marosi (ed.): Magyarországi művészet 1300‒1470 körül, I. kötet, Budapest: Akadémiai Kiadó 1987: 227‒229, p. 228. 4 Á. Mikó: ‘Bornemisza (Abstemius) Pál veszprémi püspök mitrája’, Á. Mikó & I. Takács (eds.): Pannonia…. op.cit.: 536‒538; Á. Mikó: ‘Bornemisza (Abstemius) Pál püspök végrendelete 1577-ből’, Művészettörténeti Értesítő 1996: 203–221; Á. Mikó: ‘A középkori váradi székesegyház gyöngyhímzéses paramentumai és ezüsttárgyai Bornemissza Gergely püspök hagyatékában Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 393 Evelin Wetter, nelle sue ricerche sui ricami provenienti dal territorio del Regno Ceco, ha riferito anche sui paramenti ricamati con perle trovati negli inventari cechi del XIV secolo, sottolineando che le decorazioni di perle in essi registrate potevano essere di diversi tipi: gli amitti, le croci di casule decorate con ricami a rilievo, o le croci di paramenti ricamate ad ago usavano perline di diverse proporzioni.5 Nel suo lavoro ha anche evidenziato che le vesti, arricchite abbondantemente di perle, erano considerate eccezionali nel XIV secolo e, di solito, venivano donate alle tesorerie delle chiese dai sovrani, dai nobili o da alti dignitari ecclesiastici.6 Più recentemente, nel suo catalogo dei corredi liturgici della Chiesa Nera di Braşov (RO), ha affrontato il problema dei paramenti con rilievi ricamati con perle dell’Europa centrale, delineando i legami stilistici tra gli esempi mitteleuropei.7 Il presente studio, basato sugli inventari noti e sugli oggetti della collezione del Tesoro di Esztergom, cerca di fare il punto sui diversi tipi di casule appartenenti alla Cattedrale di Esztergom alla fine del XV e all’inizio del XVI secolo, collegandosi così anche alla ricerca sui paramenti ricamati con perle in Ungheria. Riflettendo sulle parole citate da Giovanni Maria Parenti ed esaminando le suppellettili liturgiche delle cattedrali di Ferrara e Milano nella seconda metà del XV secolo, risulta che negli inventari di entrambe le chiese vengono menzionati pochi oggetti decorati con perle rispetto al numero totale dei paramenti liturgici. L’inventario del 1462 della cattedrale di Ferrara registra sette vesti liturgiche ricamate con perle: una mitra, due paia di chiroteche, una bursa, un piviale, una pianeta (questi ultimi due, in base alla loro descrizione, erano parte di un unico ornamento) e un’altra pianeta.8 Siccome la presenza della perla vera (Kassa, 1588)’, Művészettörténeti Értesítő 2, 2011: 285–292; Á. Mikó: ‘Főpapi kincstárak a 16. század második felében Magyarországon’, in: Sz. Varga & L. Vértesi (eds.): Egyházi társadalom a magyar királyságban a 16. században (Seria Historiae Diocesis Quinqueecclesiensis XVII), Pécs: PHF, 2017: 319‒330. 5 E. Wetter: Böhmische Bildstickerei um 1400. Die Stiftungen in Trient, Brandenburg und Danzig. Berlin: Gebr. Mann Verlag, 2001: 23. 6 Ibid.: 20‒23. 7 E. Wetter: Liturgischen Gewänder in der Schwarzen Kirche zu Kronstadt in Siebenbürgen, Abegg-Stiftung, 2015: Kat.14., pp. 337‒343. 8 Ferrara: “(147) Unum pluviale de carmexino de auro riçato cum uno pulcerimo frixo recamato de auro et perlis cum figuris cum caputio suo recamato de auro cum s. Georgio super equo cum ficho. (148) Item unam planetam eiusdem panni auri cum frixo recamato ut supra. (181) Unam planetam de panno serico carmixino brocato de auro cum uno frixo de veluto nigro cum canibus multis recamatis de perlis et sepibus de auro cum armis illorum de Tiapretis.” E. Peverada: Suppellettile liturgica nella cattedrale di Ferrara in un inventario del 1462, Ferrara: Centro Culturale di Ferrara, 1981: 86–87; 95–96. 394 Ágnes Szabó aveva un valore convertibile in denaro, è improbabile che questa forma di decoro sia sfuggita all’attenzione dei redattori degli inventari, ma è più probabile – come vedremo in seguito – che si tratti di un tipo diverso di decorazione in Italia. A proposito del piviale e della pianeta elencati nell’inventario come parte di un unico ornamento complesso, Enrico Peverada ha anche scoperto delle fonti precedenti per la realizzazione delle vesti sacerdotali. Da qui sappiamo che, nel marzo del 1452, il mansionario episcopale, su ordine del vescovo Francesco da Padova, tra le altre cose, pagò 10 ducati d’oro per una collana di perle dal peso di un’oncia e mezza, contenente 1500 perle, per poter decorare le aureole delle figure della pianeta che il vescovo desiderava.9 In base al testo possiamo precisare che soltanto le aureole dei santi erano impreziosite da perle. La maggior parte dei paramenti ritrovabili nell’inventario, però, era decorata con dei ricami a filo d’oro ‒ il cosiddetto ricamo di or nué – rappresentanti delle figure o delle storie. Emerge un quadro simile esaminando l’inventario della basilica di Milano composto nel 1453. Qui troviamo solamente una mitra, due pianete e due paliotti perlati. Le perle sono presenti in gran numero soltanto sugli amitti.10 La decorazione degli amitti con perle, tuttavia, può essere considerata tradizionale nel Medioevo.11 La perla vera, che arrivava a Milano principalmente dal mercato veneziano e dalla Spagna, era tipicamente usata per fare bottoni sulle suppellettili delle cattedrali.12 Gli esempi di Ferrara e di Milano, però, non sono eccezionali in Italia. Nono9 “per una cholana de perle che pexò onz. una e meza e anumerò perlle millecinquanta per le diademe de le figure suxo la pianeda fa fare el dito mess. Francesco da Padoa vennero pagati a mess. don Stefano mansionario in vescovado, adì 29 de marzo 1452, duch. X d’oro m. a S 49 d. 3 […]”, Peverada: Suppellettile…, op.cit.: 88; La decorazione perlata delle aureole delle figure ricamate dei santi è ritrovabile anche alla fine del XIV secolo. Evelin Wetter menziona la croce della pianeta di Trento. E. Wetter: Böhmische…, op.cit.: 23; D. Cattoi: ‘I ricami negli antichi inventari: Regesto’, in: D. Primerano (ed.): Una storia a ricamo. La ricomposizione di un raro ciclo boemo di fine Trecento, Trento: Tipografia Editrice Temi s.a.s., 2011: 80. 10 “(111) Item planeda una veluti celestis cum croxera in pectore recamata cum capitibus leonum et certis roxetis perlarum. (152) Item planeda una zetonini nigre avelutati, recamati cum certis foleis et perlis cum croxera zetonini raxi rubei abrochati auro cum cordis cum grupis et foleis absque insigniis fodrata bombaxine celestra.” M. Magistretti: ‘Due Inventari del Duomo di Milano del sec. XV’, Archivio Storico Lombardo 36, 1909: XII, pp. 285‒362. 11 P. Johnstone: High Fashion in the Church, Leeds: Maney, 2002: 8; J. Braun: Das liturgische Gewandt im Occident und Orient, Intank publishing, [1907] 2018: 57–65. 12 P. Venturelli: Glossario e Documenti per la Gioielleria Milanese 1459‒1631, Milano, 1999: p. 104; Nell’area milanese e lombarda per decorare la superficie dei tessili veniva utilizzato anche un particolare elemento decorativo, il magete, conosciuto anche come magetta, magieta, maglietta. Questi minuscoli anelli piatti di metallo, argentati, dorati o di ottone, simili a paillettes, si trovano Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 395 stante la presenza di perle nella decorazione degli indumenti laici, tra le vesti liturgiche predominava il ricamo a filo d’oro come decorazione principale.13 Mentre nell’Italia settentrionale, a Milano e a Venezia come centri, prevalgono gli artigiani ricamatori lombardi con i loro ricami caratteristici di tipo San Marco (Venezia), a Firenze troviamo, sulle vesti sacerdotali, soprattutto i ricami disegnati dalle grandi manifatture del dipinto. Una delle maggiori imprese del lavoro di ricamo nel Quattrocento è legata proprio a Firenze. Si tratta della collezione di vesti liturgiche fatta per il Battistero della città, i cui ricami sono stati disegnati da Antonio Pollaiuolo. Questi paramenti, fatti tra il 1466 e il 1487, sono dei capolavori veri e propri dell’epoca non solo per la monumentalità del lavoro, ma anche per la tecnica adoperata, cioè per il ricamo a filo d’oro. Dai documenti scritti durante la realizzazione delle vesti si chiarisce che, già nel 1470, cioè nella prima fase dei lavori, si presentò l’idea della decorazione con perle, che però fu abbandonata l’anno successivo: “perle non si mettino sopra i paramenti ricamati che si fanno per la chiesa di S. Giovanni”.14 Malgrado le fonti abbiano registrato l’omissione della perlinatura nella decorazione liturgica, le ricerche eseguite durante gli ultimi lavori di restauro suppongono una certa presenza, in passato, delle perline.15 Non si può quindi escludere, nell’elaborazione dei dettagli raffinati dell’opus fiorentinum, l’uso della simbologia e dell’eleganza formale della perla vera, si può tuttavia affermare che questa non era una caratteristica presente negli splendidi ricami fatti con una combinazione di filo d’oro e fili di seta colorati. su tessuti sia liturgici che laici. Ch. Buss: Silk, Gold, Crimson. Secrets and Technology at the Visconti and Sforza Courts, Milano: Silvana Editoriale, 2009: 51. 13 Nel 1488, per sposare Isabella d’Aragona, giunse a Napoli una delegazione milanese straordinariamente pomposa. Nel magnifico corteo nuziale al seguito di Hermes Maria Sforza spiccava Rolando Pallavicino per le sue vesti dalle maniche adornate di grandi perle, zaffiri e rubini. I documenti contemporanei, tuttavia, menzionano anche l’abito di seta dei servi, la cui manica sinistra era ricamata con filo d’argento e perle. P. Venturelli: La moda alla corte degli Sforza. Leonardo da Vinci tra creatività e tecnica, Milano: Silvana Editoriale, 2019: 16; M. Carmignani: ‘Ricami ecclesiastici del Rinascimento’, in: L. Dal Prà, M. Carmignani & P. Peri (eds.): Fili d’oro e Dipinti di seta. Velluti e ricami tra Gotico e Rinascimento, Trento, 2019: 35. 14 A. Wright: The Pollaiuolo Brothers: the Arts of Florence and Rome, New Haven: Yale University Press, 2005: 261; 475; A. di Lorenzo & A. Galli (eds.): Antonio and Piero del Pollaiuolo, Milano: Skira, 2014: 186; A. Galli & F. Siddi: ‘Antonio del Pollaiolo e il Parato di San Giovanni’, in: M. Ciatti et al. (eds.): Segni di maraviglia. I Ricami su Disegno del Pollaiolo per il Parato di San Giovanni. Storia e Restauro, Firenze: Mandragora, 2019: 57. 15 S. Conti & L. Triolo: ‘Una struttura architettonica in miniatura: la tecnica esecutiva dei ricami per il Parato di San Giovanni’, in: M. Ciatti et al.: Segni…, op.cit.: 101. 396 Ágnes Szabó Leggendo la breve descrizione di Parenti sul Tesoro di Esztergom invidiandolo per aver potuto vedere, nella loro forma originale, degli oggetti dell’epoca che da allora hanno subito cambiamenti, i paramenti liturgici della sede reale di un tempo e della sede arcivescovile di allora potevano sembrare, al viaggiatore ferrarese, una vera e propria novità. Anche se l’intera cattedrale di Esztergom ‒ a differenza delle città italiane menzionate prima ‒ non dispone di un inventario dalla metà del XV secolo, i cataloghi dell’inizio del XVI secolo ci danno alcuni indizi sulla composizione precedente dei corredi liturgici. L’unico inventario del XV secolo che può essere collegato alla cattedrale di Esztergom, fu scritto nel 1484 e contiene solo l’elenco delle proprietà della prepositura, che porta il nome del primo martire Santo Stefano. Dalla sua descrizione si delinea un’immagine di una proprietà riccamente dotata, arricchita fin dall’inizio con donazioni, ma non si conoscono i dettagli della decorazione dei pezzi, salvo il colore e il tessuto dei paramenti.16 Il primo elenco che registra i beni di tutta la cattedrale, non solo di una prepositura o di una cappella, risale al 1527, cioè all’anno successivo della sconfitta tragica della battaglia di Mohács. Siccome le truppe nemiche dei turchi avanzavano nel Paese, i tesori della cattedrale furono trasportati verso Nord, nella fortezza vicina di Drégely. Reliquie, documenti, pianete e tanti tessili liturgici imballati ‒ che costituivano solo una parte dei tesori medievali della chiesa – furono messi in quattro cassoni, dando avvio alla loro lenta dispersione.17 Dall’elenco del 1527 ‒ che fu scritto in gran fretta ‒ non possiamo ricostruire dettagliatamente le vesti di allora, solo la quantità enorme degli oggetti portati via. Il terzo dei quattro cassoni menzionati conteneva la “plena casularum cum cophijs”, ossia i paramenti ricamati con scofium, cioè con filo di metallo prezioso.18 Il contenuto del cassone purtroppo non è conosciuto, ma il numero dei paramenti liturgici – 50 cappe, 40 dalmatiche, 54 casule, senza contare i paramenti delle cappelle Kanizsai e Bakóc – che per essere salvati erano stati avvolti in tappeti, è eloquente.19 Il catalogo, che non è dettagliato e che fu evidentemente compilato in 16 Registrum factum super bonis et rebus Ecclesiae Collegiate Sancti Stephani prothomartyris Castri Strigoniensis ad divinos cultus spectantibus. Archivio Privato del Capitolo Generale di Esztergom (di seguito EF Mlt), Lad.53. Fasc.1 Nr.15. In: N. Fodor: Az esztergomi Főszékesegyházi Kincstár leltárai 1397–1919 (manoscritto, sottomesso per la pubblicazione). 17 Á. Mikó: ‘Várday Pál esztergomi érsek hagyatéki leltára (1549) és az esztergomi egyház kincseinek sorsa Mohács után’, Ars Hungarica 21, 1993: 61. 18 Il catalogo riporta un unico lotto di pezzi ricamati: otto scudi, presumibilmente per una cappa, ricamati con filo d’oro: “(63) Scuta contexta ac acu elaborata in aureis filis VIII”, ibid.: 71. 19 Per l’etimologia dello scofium vedi: Gy. Zolnay: Magyar oklevél szótár – Pótlék a Magyar nyelv- Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 397 gran fretta, riporta un unico lotto di pezzi ricamati: otto scudi, presumibilmente per una cappa, ricamati con filo d’oro.20 La prima fonte scritta che dà informazioni sui dettagli delle suppellettili liturgiche della cattedrale di Esztergom è un registro compilato nel 1528.21 Figura 1: Prima pagina dell’inventario del 1528 del Tesoro di Esztergom, Archivio Primaziale, Esztergom Quest’elenco, nella sua terminologia, rappresenta un caso particolare rispetto ai registri ulteriori, ciò perché descrive l’ornamentazione degli oggetti “cum lapidibus pretiosis et gemmis […] ornata” o “decorata”, ossia con delle perle e pietre preziose. Nel registro, tra gli oggetti ornati in questo modo, troviamo delle casule con i loro appartenenti veli omerali e manipoli, nonché delle daltörténeti szótárhoz, Budapest, 1902‒1906: 511; L. Benkő (ed.): A magyar nyelv történeti–etimológiai szótára 3. Budapest: Akadémiai Kiadó, 1976: 554‒555. 20 Á. Mikó: ‘Várday…’, op.cit.: 67–71. 21 Regestrum antiquum de rebus Capitulli Strigoniensis et capellae Thomae Archepiscopi Strigoniensis. EF Mlt Lad. 85. Nr.1. In: N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.; J. Dankó: Történelmi, műirodalmi és okmánytári részletek az esztergomi főegyház kincstárából, Esztergom, 1880: 142‒144. 398 Ágnes Szabó matiche e, naturalmente, delle mitre. I termini sopraccitati non li troviamo più insieme negli inventari successivi. Dalla metà del XVI secolo in poi viene prevalentemente usato il termine cum cruce gemmata, probabilmente riferendosi alla presenza dei ricami con perle.22 L’elenco non datato di Drégely, allegato all’inventario del 1528, contiene quindi dei paramenti decorati con pietre preziose e perle. Delle venti voci registrate ce ne sono tre (un ornato “molto antico”, una casula “molto preziosa” e dei frammenti “veramente splendidi”) menzionate in questo modo, di cui due con un riferimento alla loro antichità.23 Altre tre croci di casule erano inoltre ricamate con perle, ma tra i tesori salvati c’era anche un paliotto perlato. Infine, ma non meno importanti, sono le tre infule: due di esse erano “splendidamente decorate” con pietre preziose e perle, la terza era “riccamente” ornata di perle.24 Nel 1549, nell’inventario dell’eredità di Pál Várday, che salvò una parte dei tesori di Esztergom nel già citato castello di Drégely, troviamo sei casule con croci ricamate con perle, altri due paliotti, tre vecchie infule e due pezzi di tessuto perlati che, dopo la morte del prelato, furono conservati insieme ad altri tesori della chiesa di Esztergom nella sacrestia del capitolo di Bratislava.25 Tra i registri dell’età moderna il primo e il più completo è quello del 1609, in cui vengono menzionate 34 casule, delle quali sei erano adornate di una croce ricamata con perle.26 Tre di queste possono essere identificate ancora 22 L’altro termine latino che si riferisce al ricamo con perle, “cum margaritis”, appare per la prima volta negli inventari di Esztergom solo alla fine del XVII secolo, nel 1678. 23 “Item. Casula una de atlasio rubro satis antiqua unacum duabus dalmaticis humeralibus et aliis attinentiis seu particulis etiam cum attinentiis capparum et manipulis cum lapidibus pretiosis et gemmis valde speciose contexta et decorata. Item. Certe particule de flaveo et viridi veluto et colore pro dalmaticis et cappis similiter valde speciose cum gemmis et parvis lapidibus pretiosis ornate et fallerate, sed antique. Item. Casula una de albo veluto satis pretiose cum filis aureis contexto cum cruce gemmata et parvis lapidibus pretiosis ornata omnes habens attinentias.” J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 145; Un frammento, decorato con pietre preziose e perline, si trova nel tesoro dell’abbazia di Klosterneuburg. Il frammento, che una volta serviva come traversa sinistra della croce ricamata di una pianeta, mostra le figure ricamate a rilievo e a mezzo busto di San Giovanni e San Paolo sotto un baldacchino. Le loro vesti erano un tempo ricoperte di perline. Tra le figure dei santi e sulla cornice ci sono ornamenti di pietre rosse e bianche incastonate in piccoli fiori a quattro petali. (Inv. Nr. KG 194.) W. Ch. Huber: Die Schatzkammer im Stift Klosterneuburg. Verlag Janos Stefkovics, 2011: 151. 24 J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 146. 25 Á. Mikó: ‘Várday…’, op.cit.: 64‒65; 73‒84. 26 1) Una casula bianca intessuta d’oro, con il suo amitto, con il nome di Gesù ricamato con pietre rosse e verdi e con perle. 2) Una casula bianca intessuta d’oro, con una croce perlata sia sul fronte che sul retro. Su quest’ultimo c’era una raffigurazione della Vergine Maria, sopra di Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 399 oggi. La loro croce corrisponde, o quasi, alla descrizione, ma due di esse hanno un tessuto di fondo che differisce dal loro stato seicentesco. L’oggetto del registro del 1609, descritto come una pianeta tessuta con fili d’oro e rossi, decorata con dei fiori e con una croce larga raffigurante la Vergine Maria con Gesù Bambino, Santa Dorotea, Santa Margherita, Santa Caterina e Santa Barbara, può essere identificato con la casula del Tesoro della Cattedrale corrispondente al numero d’inventario 1964.310.27 In base al doppio stemma in fondo alla croce (lo stemma del palatino István Bátori (III) e di sua moglie, Sofia, principessa di Masovia), il tessuto di quest’oggetto, il quale è conosciuto anche come il paramento Bátori, può essere identico al tessuto menzionato nella descrizione dell’inizio del XVII secolo.28 essa due angeli che tengono una corona, sotto di lei i dottori della chiesa, tra cui San Girolamo. Questo paramento comprendeva anche un velo omerale di perline con la figura del Salvatore circondato, su entrambi i lati, da angeli. 3) Una casula bianca intessuta d’oro e di seta verde, con una croce perlata sulla quale la Vergine Maria tiene il bambino Gesù in braccio, con le figure di un monaco da un lato e di un vescovo dall’altro, la cui infula è decorata con perline e pietre (preziose). In basso c’è la figura di un vescovo e di Santa Caterina con la ruota. 4) Una casula rosso porpora con dei fiori dorati, una volta di proprietà dell’arcivescovo Miklós Oláh di Esztergom, con una croce perlata e un velo omerale ricamato con perle, con l’iscrizione “Jesus Christus” e con la figura della Vergine Maria al centro. 5) Una casula floreale tessuta con fili d’oro e rossi, con una larga croce ricamata in parte con filo d’oro e in parte con perle, con le figure della Vergine Maria con il Bambino Gesù e con Santa Dorotea, Santa Margherita, Santa Caterina e Santa Barbara. Sul suo velo omerale c’è un ricamo di perle raffigurante la Vergine Maria, Santa Caterina e un vescovo che tiene in mano un’ascia. 6) Casula di colore viola tessuta in oro, con la Santa Trinità sulla croce di perline e con angeli su entrambi i lati. Sotto ci sono raffigurazioni di Santa Maddalena, San Nicola e San Giorgio. J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 155‒158. 27 “Quarta ex aureis ac rubris filis intertexta ac diversis floribus distincta habet crucem latam partim gemmatam partim ex filis aureis, in qua est imago B. Virginis cum infante, item S. Dorotheae, S. Margarethae, S. Catherinae et S. Barbarae cum calice. Habet humerale gemmatam cum imaginibus B. Virginis, S. Catherinae, et unius Episcopi securim baiulantis. Habet omnia attinentia. “(Inventarium Casularum Rubrarum) In: Inventarium clenodiorum Metropolitanae Ecclesiae Strigoniensis […] 1609. EF Mlt. Lad.85. Nr.18; J. Dankó Történelmi…, op.cit.: 156; L’oggetto è anche descritto nell’inventario datato intorno al 1600. EF Mlt. Lad. 85. Nr.13. In: N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit. 28 Ltsz. (numero d’inventario) 1964. 310; M. Csernyánszky: Az esztergomi Főszékesegyházi Kincstár paramentumai, Budapest, 1933: 54‒58; Il matrimonio tra il paladino István Bátori e la principessa Sofia del casato dei Piast fu contratto il 29 agosto 1520, le nozze ebbero luogo il 28 gennaio 1523 a Buda. N. C. Tóth: ‘Ajándékok az ifjú párnak Bátori István és felesége, Zsófia mazóviai hercegnő nászajándékai’, Acta Historica 142, 2017: 77‒89, pp. 77‒79. 400 Ágnes Szabó Figura 2: Dietro di una casula, Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964.310, foto: Attila Mudrák L’inventario del 1609 sottolinea che il paramento ha una larga croce ricamata con perle e filo d’oro. Si tratta di una croce davvero imponente: le intere e le mezze figure ricamate a rilievo sono poste sotto baldacchini tardogotici plastificati, l’esterno delle loro vesti è poi interamente ricoperto di piccole perline, la cui presenza fa sembrare la corona di gigli sulla testa delle sante un gioiello. Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 401 Figura 3: Figura di Santa Dorotea. Casula (particolare), Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 310, foto: Attila Mudrák Sono inoltre ricoperti di perle anche la superficie dei baldacchini a schiena d’asino, intrecciati da viticci di piante, nonché il doppio stemma alla base della croce. La croce della casula registrata nell’inventario del Tesoro di Esztergom del 1609 come paramento di colore viola, tessuto con filo d’oro, portava un tempo l’immagine della Santa Trinità, con gli angeli su due lati e con le raffigurazioni di Santa Maddalena, San Nicola e San Giorgio sotto. È una disposizione che corrisponde alla casula che ora porta il numero d’inventario 1964.303.29 29 “Prima casula violacei coloris auro et serico caelestino intertexta habens crucem gemmatam cum imagine SS. Trinitatis cui ab utraque parte astant angeli. Sub crucifixo est imago Magdalenae, sub ea imagines S. Nicolai et S. Georgii cum omnibus attinentiis.” (Casulae caelestini ac violacei coloris) In: Inventarium clenodiorum Metropolitanae Ecclesiae Strigoniensis […] 1609. EF Mlt. Lad.85. Nr.18; J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 157; La descrizione del paramento si trova anche nell’inventario del 1600 circa. Il suo testo menziona una croce “pulchram gemmatam”. EF Mlt. Lad. 85. Nr.13 (N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.). 402 Ágnes Szabó Figura 4: Figura di un santo vescovo. Casula (particolare), Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 303, foto: Attila Mudrák La composizione della croce ricamata, posta su un fondo di velluto attualmente di colore rosso e intrecciato con filo metallico, è intatta e la sua base è curvata. In un lavoro che riassume il materiale archeologico ungherese dell’esposizione mondiale di Vienna del 1873, si nota tuttavia che la croce fu restaurata in molti punti.30 30 I. Henszlmann: A bécsi 1873. évi világtárlatnak magyarországi kedvelőinek régészeti osztálya, Budapest, 1875/76: 190. Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 403 Figura 5: Dietro di una casula, Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 303, foto: Attila Mudrák Dato che gli inventari del 1818 e del 1852 registrano ancora quest’oggetto come “caerulea”, cioè di colore blu, è probabile che in seguito sia stato messo su un fondo nuovo.31 Dal libro d’inventario del 1818 si evidenzia che a Nagyszombat (Trnava, SK), negli anni prima del trasferimento a Esztergom, c’erano in 31 Inventarium S. Supellectili Ecclesise Cathedralae M.E.S. 1818. EF Mlt. Lad. 196. Inventario dei tesori d’arte e delle suppellettili conservati nel tesoro in occasione della visita alla Cattedrale di Esztergom. 1852. Archivio Primaziale (di seguito PL), Esztergom, Visitationes Canonicae, Liber 652. 21. voce 15. 404 Ágnes Szabó totale 11 vecchie casule con le perline tutte consumate o cadute, principalmente a causa della loro età. Queste vecchie casule, quindi, non venivano usate nel servizio sacro, erano tuttavia conservate appese negli armadi.32 La terza casula identificabile era una veste precedentemente bianca, il cui tessuto di fondo era stato ravvivato, nel 1609, da colori oro e verde. La sua “preziosa” croce di perline raffigurava la Vergine Maria che teneva in braccio il Bambino, con un monaco da un lato e un vescovo dall’altro.33 Il testo ricorda pure che l’infula del santo vescovo era decorata con perle e piccole pietre. La casula, in base alla sua croce ricamata, può essere identificata con il paramento corrispondente al numero d’inventario 1964.308, con la differenza che l’inventario registra che il braccio longitudinale della croce fu decorato nel XVII secolo con la figura di un santo vescovo e con quella di Santa Caterina con la ruota. Figura 6: Figura di un vescovo (particolare), Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 308, foto: Attila Mudrák Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 405 La parte superiore della croce sul dietro del paramento è identica al testo corrispondente all’inventario del 1609, le raffigurazioni del braccio della croce sono tuttavia diverse, poiché oggi vediamo la figura di Santa Dorotea e la raffigurazione della Sant’Anna Metterza sotto la figura di Santa Caterina. Grazie a una tecnica speciale e al bellissimo disegno rinascimentale dell’attuale tessuto di fondo del paramento, questo viene chiamato dai posteri la casula di Mattia Corvino. Figura 7: Dietro di una casula, Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 308, foto: Attila Mudrák 406 Ágnes Szabó L’ultimo e molto dettagliato libro d’inventario, quello di Nagyszombat del 1818, offre una descrizione corrispondente all’attuale tessuto di fondo e all’odierna disposizione della croce del paramento, un eventuale cambiamento nella composizione della croce, quindi, potrebbe essere stato fatto prima del 1818.34 Tutti e tre gli oggetti appartengono alla categoria delle croci altamente plastiche realizzate con la tecnica del ricamo a rilievo. A differenza dei paramenti italiani ricamati con l’oro velato, che usano strumenti di disegno sofisticati e che danno l’impressione lucida di una pittura a olio, i pezzi di Esztergom rievocano la tardogotica tecnica scultorea degli altari alati.35 Nel caso della casula con una croce ricamata raffigurante la Crocifissione (1964.303), la minuscola iscrizione “Mit Gott” sul libro tenuto dal vescovo, suggerisce che l’uso – e presumibilmente anche la produzione – del paramento può essere associato alle aree di lingua tedesca del Regno d’ Ungheria. Henrik Horváth la considerava addirittura un’opera sassone dalla Transilvania.36 Evelin Wetter, riferendosi alla croce ricamata del paramento di velluto nero appartenente alla collezione della Chiesa Nera di Braşov (RO), ne ha delineato il contesto stilistico.37 La Madonna che tiene in braccio il Bambino Gesù e le figure intere di due sante sono similmente collocate, sul paramento di Braşov, sotto i baldacchini, come le sante della casula Bátori (1964.310, Fig. 2) a Esztergom, ma la forma dei baldacchini mostra una connessione più stretta con il paramento della Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo a Brno (CZ).38 Per quanto riguarda le figure, la perlinatura e le colonne dei baldacchini, si può tuttavia dimostrare una relazione anche tra la croce di casula di Brno e il paramento di Esztergom.39 Evelin Wetter ha ipotizzato, quindi, l’esistenza di una manifattura più grande che, con i suoi prodotti, era disponibile sia nelle città di Brno e Braşov che ad Esztergom.40 È importante notare che il ricamo di perline dei paramenti medievali della cattedrale di Esztergom non lo si può considerare, in sé, un fenomeno singo34 “Casula gemmea cum fundo rubro, in dorso habens figuram B.M.V. cum Jesulo in templo: circa eam dui Sti Abbates; inferius tres Sanctae in quarum medio est Sta Dorothea; infima autem Stā duos gestat infantes: copiosis unionibus gravis.” Inventarium 1818.I/106. EF Mlt. Lad. 196 (N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.). 35 M. Csernyánszky: Az esztergomi…, op.cit.: 50. 36 H. Horváth: Zsigmond király és kora, Budapest: Budapest Székesfőváros Házinyomdája, 1937: 176; 37 Inv. Nr. 333. E. Wetter: Liturgischen…, op.cit.: Kat.14; pp. 337–343. 38 Inv. Nr. 27412 Moravská Galerie, Umĕleckoprůmyslové Muzeum, Brno, E. Wetter: Liturgischen…, op.cit.: 339. 39 M. Csernyánszky: Az esztergomi…, op.cit.: 469; E. Wetter Liturgischen…, op.cit.: 340. 40 E. Wetter Liturgischen…, op.cit.: 339. Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 407 lare. Bisogna considerare questi oggetti come parti degli insiemi complessi di suppellettili liturgiche e di paramenti, poiché i registri del tesoro della metà del XVI secolo menzionano anche gli accessori che li accompagnavano, cioè camici, veli omerali, manipoli, stole, cinture, spesso anche dalmatiche e mantelli, similmente decorati con perle e pietre preziose.41 All’inizio del XVII secolo, la maggior parte di questi oggetti era ancora intatta. L’inventario del 1609 fornisce parecchi dettagli sulle raffigurazioni decoratissime dei ricami con oro e perle, sulle iscrizioni e sulla decorazione con gemme dei veli omerali.42 Più tardi, nel 1654, la tesoreria aveva 22 “antiche casule di perline preziose”, per non parlare delle immagini e delle infule ricamate con perle.43 Nell’inventario del 1659, però, risultano solo 12 casule perlate, oltre alle quali erano registrate 14 casule “preziose e antiche”.44 Anche l’elenco dell’inizio del XIX secolo, cioè del 1818, contava 12 casule di perline, di cui dieci possono essere identificate con oggetti ancora conservati nella cattedrale. È importante aggiungere che, anche se la perlatura si trova tipicamente nella decorazione delle croci dei paramenti con ricami a rilievo, ci sono due tendenze principali: l’evidenziazione dei contorni e dei dettagli con perline e la copertura, con queste, delle superfici.45 Considerando il territorio del regno ungherese, si può notare che tutte le tesorerie delle cattedrali episcopali avevano delle casule riccamente perlate, ma in quantità proporzionalmente inferiore al Tesoro di Esztergom. Nell’elenco del 1531 della cattedrale di San Michele di Gyulafehérvár (Alba Iulia, RO) sono 41 Vedi nota 23. Alcuni esempi: “Prima casula alba ex puris aureis et argenteis filis contexta cum crucibus ante et post ex eiusdem generis filis in modum retis nexis cum rubro atlasco habens humerale ex aureis filis reticulatis cum omnibus attinentiis. Secunda casula alba pretiosa ex filis aureis contexta et rubro serico varia duplici viridi taffota suffulta, habens crucifixum gemmatum et humerale gemmatum cum nomine JESU, cuius nominis litteras, lapides rubri et virides distinguunt, habet omnia attinentia. Tertia casula alba ex filis aureis contexta, habens ante et retro crucem gemmatam, in cruce a tergo est imago B. Virginis duorum Angelorum coronam tenentium supra caput Virginis, a latere vero et subtus sunt imagines Doctorum quorumdam et S. Jeronymi. Humerale habet gemmatum cum imagine Salvatoris cui duo angeli assistunt in pectore lapillum gestantes. Habet omnia attinentia.” Inventarium clenodiorum Metropolitanae Ecclesiae Strigoniensis […] 1609. EF Mlt. Lad.85. Nr.18; J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 152‒162; J. Braun: Das liturgische…, op.cit.: 55, 63. 43 “Casulae antiquae pretiosae gemmis ornatae 22.” EF Mlt. Lad.85. Nr. 26 (N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.). 44 EF Mlt. Lad.85. Nr.25 (ibid.). 45 I tipi di ricamo di perline usati sui paramenti di Esztergom richiedono ulteriori ricerche, soprattutto perché il posizionamento delle perline e la loro estensione sono cambiati durante i molteplici restauri degli oggetti. 42 408 Ágnes Szabó registrate due croci di casule perlate: una su un paramento tessuto con fili rossi e d’oro, un tempo di proprietà del governatore János Hunyadi (1446‒1453), l’altra su una casula di fattura più modesta e di valore inferiore che, al momento della redazione dell’inventario, era già consumata dall’uso.46 Tra gli oggetti del tesoro della cattedrale di Várad (Oradea, RO), i quali per essere salvati erano stati trasportati nell’Alta Ungheria (in ungherese Felvidék, nome storico della parte settentrionale del Regno d’Ungheria), c’erano dei veli omerali, delle dalmatiche, un’alba di perline e sei casule, di cui cinque avevano una croce ricamata con perle. Una di queste presentava delle decorazioni sontuose, anche secondo le stime del loro valore. La casula tessuta con filo d’oro aveva una croce sul retro raffigurante i santi re ungheresi. Al centro del paramento si vedeva San Ladislao, con il capo cinto da una corona in argento placcata in oro e con dodici pietre di cristallo incastonate, mentre in mano teneva uno scettro d’argento placcato in oro. Sotto il re cavaliere c’era un angelo, mentre ai suoi lati stavano due figure ricamate con perle: il re Santo Stefano sulla sua destra e il principe Sant’Emerico sulla sua sinistra. Tra i paramenti perlati delle suppellettili liturgiche di Várad c’era un altro pezzo legato a un membro della famiglia Hunyadi, questa volta si tratta di Mattia: il suo stemma era posto sulla veste raffigurante il Cristo Crocifisso, con la Vergine Maria e San Giovanni Evangelista ai piedi della croce.47 Continuando la rassegna bisogna considerare l’inventario del 1530 della cappella del Palazzo Reale di Buda, che conteneva tre casule riccamente decorate, con croci ricamate con perle su un tessuto di fondo pregiato. Tra queste casule quella che raffigurava l’Assunzione di Maria portava anche lo stemma di Mattia Hunyadi.48 La donazione in suffragio dell’anima di Giovanni Hunyadi, detto Corvino (1473‒1504), riguarda la stessa famiglia nobile. I doni, dati al monastero paolino di Lepoglava (HR) nel 1505 da Beatrice Frangipani, moglie del defunto, comprendevano suppellettili liturgiche, tra cui quattro casule ricamate con perle e dei veli omerali gemmati.49 Tra i tesori della cappella di San Giovanni del castello di Buda, che erano stati trasportati a Eperjes (Prešov, SK) dopo l’occupazione turca di Buda (1541), c’era una casula ricamata con perle, la croce della quale raffigurava Cristo crocifisso. 46 A. Beke: ‘Az erdélyi székesegyház készlete’, Magyar Sion, 1867: 193. Á. Mikó: ‘A középkori…’, op.cit.: 287. 48 N. Knauz: ‘A budai királyi várpalota kápolnájának 1530-as inventáriuma’, Tudományos Értekező 1862: 52–53. 49 J. Balogh: A művészet Mátyás király udvarában, Budapest: Akadémiai Kiadó, 1966: 382. 47 Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 409 Ad arricchire la decorazione si trovano anche uno stemma e uno scettro.50 Nell’inventario dell’eredità di István Radecius, vescovo di Eger e vicario reale a Bratislava, compilato nel 1581, c’era un cassone che veniva conservato nella cappella. In esso sei casule su dieci e tre infule su cinque erano ricamate con perle.51 È degno di nota il fatto che la casula rossa tessuta con fili d’oro e con “una bella perlatura nel mezzo […], aveva lo stemma dei signori Bátori” (forse similmente al paramento di Esztergom di cui sopra), mentre un’altra raffigurava la storia di Santo Stefano.52 Per la datazione delle croci di casula perlinate può essere importante studiare i registri dei tesori del capitolo di Veszprém, dove tra il 1429 e il 1437 solo uno dei quasi quaranta paramenti era perlinato: si tratta di quello che, tra il 1399 e il 1402, era stato donato alla cattedrale dal vescovo Mihály di Veszprém.53 Il fenomeno della prima età moderna relativo alle croci di paramenti decorate con ricami a rilievo e con perle solleva molti interrogativi per la ricerca, tuttavia, in base a quanto sopra, si delinea un gruppo di oggetti la cui creazione, nonché il programma iconografico e la loro lavorazione sontuosa, sono strettamente legati al mecenatismo reale e aristocratico ungherese del basso Medioevo. Per quanto riguarda il periodo medievale, si può notare che nell’Europa centrale l’uso del ricamo con perle non era limitato alle aree ungheresi.54 Anche nella pratica dei ricami liturgici cechi del Medioevo appare l’uso delle pietre preziose per decorare certi dettagli, similmente agli oggetti d’oreficeria, ne è un esempio la croce ricamata della casula di Broumov (CZ).55 50 ibid.: 383; S. Takáts: ‘A Budavári királyi Szt. János kápolna kincsei’, Archeológiai Értesítő 21, 1901/3: 287‒288. 51 A. Komáromy: ‘Radecius István egri püspök ingóságainak leltára 1581. március 30’, Magyar Történelmi Tár 3. sor. 15. köt., 1892: 56. 52 Ibid.: 563. 53 L. Fejérpataky: ‘A veszprémi káptalan kincseinek összeírása 1429–1437. évekből. Második közlemény’, Magyar Történelmi Tár 3. sorozat 2. kötet, 1887: 180‒181. 54 Sull’uso della decorazione con perline e gemme nel XIV secolo al di fuori dell’Europa centrale vedi ancora: L. Monnas: ‘The Making of Medieval Embroidery’, in: C. Browne, G. Davies & A. A. Michael (eds.): English Medieval Embroidery. Opus Anglicanum, New Haven & London: Yale University Press, 2017: 12. 55 Oggi al Museo delle Arti Applicate di Praga: Umĕleckoprůmyslové Museum v Praze. Ch. M. Jeitner: ‘A cseh hímzések kézművesjegyeinek osztályozása és összehasonlító vizsgálata. Megjegyzések Hannelore Sachs feltevéseihez a cseh gótikáról Brandenburg tartományban’, Művészettörténeti Értesítő 44, 1995: 79‒80. 410 Ágnes Szabó Figura 8: Casula di Broumov (particolare), Umeleckoprůmyslové Museum v Praze, n. inv. 52.901, foto: u(p)m, The Museum of Decorative Arts in Prague Secondo la tradizione, la regina Elisabetta (Přemysl) di Boemia, madre di Carlo IV, imperatore del Sacro Romano Impero (dal 1355 al 1378) decorava i suoi ricami con perle e pietre preziose (anche i ricami di perle della cattedrale di San Vito sono a lei attribuiti).56 Tracce di una donazione simile da parte di una regina si trovano anche nel Regno d’Ungheria: si sa, infatti, che la moglie di Carlo Roberto d’Angiò (1308‒1342), ossia Elisabetta di Polonia (Łokietek, 1305‒1380), nel suo testamento della fine del XIV secolo (1380) donò diversi 56 Ibid.: 5. Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 411 paramenti perlati alle chiese ungheresi, tra cui le clarisse di Óbuda.57 Alcune delle vesti liturgiche ricamate con perle (due dalmatiche e una casula), che secondo l’inventario erano decorate anche con pietre preziose, presumibilmente erano ancora esistenti nel XVIII secolo.58 Considerando le opere legate alle corti reali medievali, non si può tralasciare il collare del mantello dell’incoronazione dei re ungheresi, un tesoro frammentario dal disegno e dai dettagli tecnici raffinati. Il collare, probabilmente della fine del XII secolo, potrebbe originariamente essere stato utilizzato come razionale (superhumerale), non apparteneva quindi ai paramenti realizzati su incarico di Santo Stefano e della regina Gisella. Le estremità delle palmette a forma di cuore che riempiono il bordo del colletto sono incastonate con un trio di piccole perle vere, mentre la fila interna di arcate e le raffigurazioni sottostanti sono decorate, con perle, sulle loro linee di contorno.59 Il paramento donato invece dalla prima coppia reale del Casato degli Árpád e conosciuto come la casula di Metz, aveva pure un collare decorato con medaglioni ricamati con perle. Si pensa che la casula sia stata inviata dal re Stefano e dalla regina Gisella a papa Giovanni XIX e, successivamente, donata dal papa Leone IX al monastero di Sant’Arnolfo a Metz, dove fu distrutta durante la Rivoluzione francese.60 Il mezzo principale della tradizione del ricamo con perle, che ha conservato e custodito questa tecnica come una speciale eredità medievale della regione, va tuttavia cercato non nell’ambito delle vesti ma delle insegne pontificali. Negli inventari delle tesorerie medievali ungheresi, come abbiamo già avuto modo di vedere, la mitra decorata con perline e gemme è molto comune. Grazie alle ricerche di Árpád Mikó abbiamo ancora notizie su due mitre di Nagyvárad (Oradea, RO), ormai inesistenti, che erano riccamente decorate con pietre preziose. Queste mitre erano simili all’infula medievale del vescovo Pál Bornemisza (Paolo Astemio), anch’essa del periodo angioino, che lui da vescovo di Vesz57 E. Śnieżyńska & XXX. Stolot: ‘Tanulmányok Erzsébet királyné mecénási tevékenykedéséről’, Ars Hungarica 7, 1979: 23. 58 “Una casula bianca con una dalmatica, anch’essa dono della santa Regina, decorata con perle e fibbie.” (1770); “Una Casula preciosa, cujus medium unionibus et lapillis preciosis Manu piissimae Reginae Elisabet exsutam” L. Némethy: ‘A budai clarissák leltárai’, Egyházművészeti Lap 2, 1881: 208; F. Rómer: ‘Szt. Margit házi oltára’, Archeologiai Közlemények 7, 1868: 37. 59 É. Kovács: ‘A székesfehérvári királyi bazilika 11. századi kincsei’, in: M. Verő & I. Takács (eds.): Species…, op.cit.: 108–109; I. Bardoly (ed.): A magyar királyok koronázó palástja, Budapest, 2002: 205. 60 É. Kovács: ‘Casula Sancti Stephani Regis’, in: M. Verő & I. Takács (eds.): Species…, op.cit.: 45. 412 Ágnes Szabó prém fece rinnovare e che, oggi, la si può vedere presso il Museo Diocesano di Győr.61 Anche la mitra di Zagabria è di origine angioina, risale al XIV secolo e, come quella di Veszprém, fu similmente rinnovata a metà del XVI secolo.62 La cosiddetta infula d’incoronazione della prima metà del secolo XV, custodita nel Tesoro di Esztergom, è un oggetto ricamato interamente con piccole perle, sulla cui superficie ci sono delle stelle delicatamente a rilievo e delle pietre preziose.63 Tornando ai paramenti del Tesoro di Esztergom, negli inventari della prima età moderna, oltre ai ricami di perle, era presente anche un tipo di ricamo italiano a filo d’oro, che viene registrato nel vocabolario degli inventari come “habet crucem latam ex aureis filis”.64 Esaminando le suppellettili di altre cattedrali in Ungheria, troviamo una tipologia simile nelle fonti scritte: oltre ai termini “gemmata”, “degemmata”, “aurifilata”, “ex aurifilo simplici”, il registro della cattedrale di Nagyvárad, nel 1557, riferendosi alla natura bidimensionale della superficie della croce, utilizza il termine ungherese “a cum cruce vulgo syk ornata”.65 L’inventario del 1530 della cappella del Castello di Buda, descrive le vesti decorate con filo d’oro come “cum cruce aurata de opere ( o labore) Italico”, mentre quelle ricamate con perle sono menzionate con l’espressione “cum cruce aurata et gemmata”.66 Lo studio della terminologia cinquecentesca è un capitolo importante della cultura oggettistica liturgica nell’Ungheria dell’epoca: da un lato ci permette di conoscere precisamente la storia degli oggetti, dall’altro di individuare le singole categorie tipologiche. Nelle tesorerie delle cattedrali gli oggetti si influenzavano a vicenda e favorivano la comparsa di nuove varianti. Si è sviluppata così una variante ungherese del tipico ricamo veneziano, riportata sulla casula con il numero d’inventario 1964.299 del Tesoro di Esztergom. Troviamo qui raffigurati i santi re ungheresi, Santo Stefano e San Ladislao e il principe Sant’Emerico, con una rappresentazione iconografica ben conosciuta dai dipinti su tavola medievali. Su questo paramento i dettagli delle figure venivano evidenziati da perline, non solo sulle loro aureole, ma anche sugli orli dei loro vestiti e sulle cornici circostanti. 61 Á. Mikó & A. Molnár: ‘A váradi középkori székesegyház kincstárának inventáriuma (1557)’, Művészettörténeti Értesítő 52, 2003: 303‒318; Á. Mikó: ‘Főpapi kincstárak…’, op.cit.: 324, 328. 62 Á. Mikó: ‘Főpapi kincstárak…’, op.cit.325; É. Kovács: ‘Casula…’, op.cit.: 227. 63 É. Kovács: ‘Koronázási…’, op.cit.: 531–533. 64 1610. EF Mlt, Lad. 85, nr. 19. 65 Á. Mikó & A. Molnár: ‘A váradi…’, op.cit.: 310. 66 N. Knauz: ‘A budai…’, op.cit.: 52‒54. Tessuti liturgici medievali ricamati con perle 413 Figura 9: Figura di San Ladislao re d’Ungheria. Casula (particolare), Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 299, foto: Attila Mudrák Inoltre, su un frammento lapideo di un sepolcro pontificale sconosciuto della prima metà del XVI secolo, rinvenuto nel Castello di Buda, è riconoscibile un’altra variante del ricamo a filo d’oro delle croci di casula. Si tratta in questo caso di una versione perlata basata sui motivi tipici del Rinascimento all’antica, dove la decorazione con perle appare sui bordi della croce.67 Il ferrarese Giovanni Maria Parenti, vedendo i corredi di Esztergom, nota, nel suo resoconto, un’importante differenza tipologica tra l’Italia e il Regno 67 Budapesti Történeti Múzeum, Inv. nr. BTM‒KO 65.100.1. 414 Ágnes Szabó d’Ungheria. Se osserviamo, però, le suppellettili liturgiche del tardo medioevo e della prima età moderna nascoste nel Tesoro di Esztergom, si delinea un quadro molto complesso delle tesorerie delle cattedrali del Regno d’Ungheria dell’epoca. La composizione e lo stile dei paramenti delle sedi episcopali e arcivescovili, infatti, non possono essere separati dalla posizione geografica e culturale di ciascun centro all’interno del regno. La maggior parte di essi, purtroppo, può essere identificata solo in base agli inventari risalenti alla metà del XVI secolo, perciò la presenza dei viaggiatori italiani e la loro intensa attività scritta (documenti amministrativi, corrispondenze, relazioni) rappresentano, nel caso di Esztergom, un valore inestimabile. La loro attività permette di dare un ultimo sguardo ai tesori di una cattedrale medievale che, nel corso dei secoli successivi, si erano poi dispersi. Traduzione di Ágnes Veres Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK I codici corviniani della Biblioteca Estense Anna Rosa Venturi Biblioteca Estense Universitaria Modena annarosa.venturi@tiscali.it Abstract The history of the Corvinian books is long and controversial. Their traces have been followed all over the world, so that it has been possible to virtually reconstruct a meaningful portion of the extraordinary collection that Matthias Hunyadi put together. Tracking the origin of the seventeen codices which ended up in the Estense Library is quite simple: they were bought in a single lot by the Duke Alfonso II of Este in Venice. However, today there are only fifteen of them, and they were exhibited in Modena in 2002. They are being examined one more time, with the aim to add some new insight. Se dovessimo limitarci ad elencare i quindici codici già di Mattia Corvino e oggi conservati in Biblioteca Estense, ci troveremmo di fronte ad un lavoro arido che rischierebbe di ripetere cose già scritte e sapute. È necessario partire da più lontano, cioè dai rapporti non casuali, ma importanti e dagli stretti legami esistenti tra lo stato estense ai tempi di Ercole I, e ancor prima di Borso, e il regno ungherese di Mattia Hunyadi detto Corvino. Va aggiunto che, se il sovrano ungherese costituì quell’unicum che era la sua biblioteca, questo deve in piccola parte attribuirsi anche alle sollecitazioni culturali e agli esempi provenienti proprio da Casa d’Este. Tralascio le figure di Giano Pannonio e di Andrea Pannonio, l’anima della rappresentanza ungherese in Italia, per accennare alle documentazioni dirette, conservate in Archivio di Stato, e a quelle sollecitazioni che Mattia, e ancor prima di lui Ladislao V, poterono trarre dagli Este in campo culturale e librario. È proprio ascrivibile a lui la testimonianza precoce della bibliofilia e delle aspirazioni umanistiche che si volevano importare a Buda. Il re infatti, in due diversi momenti, nel 1452 e nel 1457, rivolge a Borso d’Este richieste riferentisi, 416 Anna Rosa Venturi una in particolare, a cultura, storia e libri.1 In questa chiede espressamente in prestito dalla biblioteca del duca opere sulla storia dei romani e degli antichi principi per poterli studiare e fare trascrivere. Se da un lato questo conferma quanto la fama del contesto culturale estense fosse ben nota a livello europeo e quanto ricche fossero le collezioni di cui Ladislao conosceva la rigogliosa abbondanza, dall’altro getta luce sulla volontà di cominciare ad adeguare decorosamente e signorilmente la corte e la reale biblioteca di Buda. Nelle sue parole registriamo infatti la precisa volontà di volersi accostare agli antichi, traendo dalle loro gesta e dalle loro imprese un esempio perenne di virtù, di costumi, di buon governo e di valore; inoltra pertanto la sua richiesta, di cui si stralcia un breve ma indicativo lacerto: “[…] requirimus et rogamus Serenitatem Vestram ut ad complenda vota […] librum aliquem vel libros, unum aut duos qui vetera romanorum seu aliorum principum egregia et virtuosa gesta aut alia antiquorum studia solidius et gravius exprimunt et qui apud nos legi digni sunt quorum uberem copiam in archivis dominii vestri ferrariensis aggregatam intelleximus, nobis, pro vestra erga nos benevolentia, per hunc oratorem nostrum mittere velitis…”.2 Se Ladislao si era limitato alla trascrizione di alcuni testi sulla storia antica, collocandosi comunque direttamente nel solco dell’umanesimo dei principi italiani ed europei, Mattia va ben oltre, decidendo di allestire un’opera mirabile, da ricordare nei secoli e da stupire il mondo.3 Egli gode nel sentirsi lodato non solo per le gesta militari, ma per la cultura e, nei rapporti con i parenti ferraresi, si sente largamente una volontà emulativa. A Ferrara vengono richieste, ancor più dopo l’insediamento di Ippolito a Strigonia, figure professionali specifiche: medici, astrologi, artisti, ma anche setayoli, musici e quant’altro.4 Addirittura apprezzatissimi i generi alimentari, i formaggi e le cipolle conservate in barattolo.5 Ercole manda al cognato il suo astrologo personale Antonio Arquato.6 1 ASMo, Cancelleria Ducale. Carteggio Principi esteri. Ungheria. Fasc. 1622. Idem. 3 Naldo Naldi: Epistola de laudibus Augustae Bibliothecae atque libri quattuor versibus scripti celebrativa della biblioteca del re Mattia, ms. 1488–1490, Toruń, Biblioteca Municipale “N. Copernico”. 4 Lettera di Beatrice ad Eleonora del 4 novembre 1486. ASMo, Carteggio Principi Esteri. Ungheria. Filze 1622–1624. Cito da Anna Rosa Venturi Barbolini: ‘Testimonianze dei rapporti tra l’Ungheria e lo Stato Estense’, in: Nel segno del Corvo, Modena: il Bulino, 2002: 43–63. 5 Lettera di Beatrice ad Eleonora del 12 gennaio 1487, ibid. 6 Cfr. Anna Rosa Venturi Barbolini: ‘Testimonianze…’, op.cit.: 46. 2 I codici corviniani della Biblioteca Estense 417 Una corte, dunque, decisa a plasmarsi sull’esempio dei modelli italiani. Per i libri, in parte li fa trascrivere da copisti e miniatori locali, guidati sovente da un esperto venuto da fuori, dall’Italia soprattutto, mentre alcuni tra i più prestigiosi e finemente miniati vengono commissionati direttamente presso le scuole fiorentine, in primis quella di Attavante e dei suoi collaboratori. Abbiamo notizie certe della veicolazione di diversi codici importanti, chiesti ed ottenuti per essere copiati, da corti italiane. Dalla Milano degli Sforza giunge un Vitruvio Milanese, forse lo stesso posseduto secondo alcuni dal Filarete e mai più restituito, oggi alla biblioteca Széchényi,7 e a Napoli risultano fatte altre richieste di libri. Quelli provenienti da Roma sono procacciati da Giano Pannonio, altri da tutt’Europa vengono ottenuti tramite Taddeo Ugoleto e altri infine sono donati dai Malatesta di Rimini.8 Una testimonianza singolare ci viene dalla filze dell’archivio di stato Amministrazione della Casa Biblioteca, Filza 1, Fasc.20. Il 25 gennaio 1510 il miniatore Sigismondo de’ Sigismondi scrive al Duca Ercole II, supplicandolo (“Mi getto a li piedi di V. S.”) di essere assunto per la stesura di codici e, come referenza, afferma di aver lavorato per molto tempo a Firenze come scrittore di Lorenzo de’ Medici e del re Mattia. A conferma di quanto sopra riferito.9 Mattia non è solo cognato di Ercole I dato che la sua seconda moglie, Beatrice d’Aragona,10 è sorella della sposa dell’Estense, Eleonora, ma anche un suo munifico benefattore: ha consegnato il ricco cardinalato magiaro di Strigonia prima al cognato Giovanni d’Aragona, poi al giovanissimo nipote Ippolito, figlio di Ercole e di Eleonora. I due principati con cui è dunque imparentato, quello di Ferrara e quello di Napoli, sono animati entrambi da una fervida attività artistica e culturale. Gli manca solo un blasone. Se Mattia, eroe cristiano e dotto umanista, non ha sangue blu da esibire, storici italiani, Antonio Bonfini in primis, accettano senza farsi pregare di confezionargli un’ascendenza pari a 7 Gábor Hajnóczi: ‘Il Vitruvio di Budapest e le sue origini milanesi’, Arte Lombarda 139/3, 2003: 9 sgg. 8 Árpaá Mikó: ‘La nascita della biblioteca di Mattia Corvino e il suo ruolo nella rappresentazione del sovrano’, in Nel segno del Corvo, op.cit.: 26–27. 9 ASMo, Filza 1, Fasc.20: 25 genn.1510: lettera di Sigismondo de’ Sigismondi al Duca Ercole II. Dice di essere stato per molto tempo a Firenze come scrittore di Lorenzo de’ Medici e del re Mattia e, dopo l’espulsione del Magnifico Piero, di essere stato scrittore del re del Portogallo per la Bibbia commentata da Nicolò da Lira “… et tanto ben ornata et guarnita di miniature et serature d’oro, scripta tutta a littera antiqua ferma che costò 10000 ducati… Mi getto a li piedi di V.S…”. 10 Sposata nell’anno 1476. 418 Anna Rosa Venturi quella del cognato: sarà proprio Ercole, il mitico eroe che compare nell’albero gentilizio estense ad essere ugualmente invocato come capostipite Hunyadi. Saranno in seguito la gens Valeria e i Corvini, a Roma nobilissimi e valorosi, a figurare nell’ascendenza latina degli stessi Hunyadi.11 Il gioco è presto fatto e i due sovrani cognati sono collocati sullo stesso piano. Il nobilissimo lignaggio è stato fornito, manca il contesto: la biblioteca ne diventa una componente fondamentale, specchio del prestigio, della grandiosità e del potere. Venendo ai corvini oggi in estense essi sono nel numero di 15, ridotti così a più riprese e dopo alterne vicende dagli originari 17. E’ ormai accettato che l’acquisto dei pezzi venne fatto dal duca Alfonso II d’Este, noto bibliofilo, e desideroso di arricchire la biblioteca. Durante il suo governo infatti i suoi emissari, soprattutto da Venezia (Girolamo Falletti), ma anche da Firenze e dal resto d’Italia colmarono molte lacune nelle collezioni della casa. Voglio ricordare ad esempio il Corpus lullianum in molti volumi manoscritti, commissionato a Venezia appunto da Alfonso per colmare le mancanze nelle sue raccolte con questo importante corpus di scritti teologici, filosofici, mistici e alchemici. Prendendo a segnale il numero progressivo dell’inventariazione dei corvini estensi, ben 14 dei 15 si collocano entro un medesimo arco temporale, sono i latini 391, 419, 425, 432, 435, 436, 437, 439, 441, 447, 448, 449, 458, 472. Il quindicesimo, il Lat. 1039 appartiene ad un momento successivo e porta nel risguardo anteriore le scritte “Sancti Petri Mutinae” e “Ad usum P. D. Benedicti Bacchinii Cassinensis”. La provenienza riferisce dunque il passaggio alla biblioteca ducale dopo la soppressione degli Ordini religiosi a fine Settecento, ma non risponde al legittimo dubbio sulla sua reale provenienza. Pare molto difficile ipotizzare che l’opera sia stata acquistata dai benedettini all’epoca della dispersione dei corviniani, mentre è certamente plausibile il suo acquisto, insieme agli altri, da parte del Duca. Durante la direzione estense di Padre Bacchini (1697-1698) è possibile che il codice gli sia stato consegnato in uso, quindi considerato una sorta di usucapione, senza poi mai venire restituito se non al momento delle soppressioni. Il contenuto di questo codice, le opere dello Pseudo Dionigi Areopagita, suffraga l’interesse per la materia religiosa da parte dei monaci.12 Il codice porta ancora la legatura originale, proprio perché non era alla Libraria 11 Antonio Bonfini fu storico italiano al servizio di Mattia dal 1486 che lusingò il sovrano con la nobilitazione della sua casata. Cfr. Péter E. Kovács: ‘Ritratto di Mattia Hunyadi re d’Ungheria’, in: Nel segno del Corvo, op.cit.: 19. 12 Altre opere di analogo tenore sono emerse proprio dalla soppressione dei Benedettini di Modena e convogliate alla Biblioteca Estense e a quella dell’Università. I codici corviniani della Biblioteca Estense 419 Ducale nella fase tiraboschiana, questo ne ha salvato l’integrità, di fronte alle legature che Girolamo Tiraboschi fece eseguire su tutto il resto del lotto.13 Piccarda Quilici ascrisse questa coperta sontuosa ad una manifattura ungherese, per alcuni caratteri orientaleggianti e lontani dal gusto italiano. Porta le armi reali ed era dotata di bandelle che reggevano i fermagli di chiusura del codice, di cui restano oggi solo le impronte. Un sedicesimo testo che rinvia a Buda è il Latino 429,14 contenente le Vite di Plutarco. Oltre alla contiguità nel numero d’inventariazione, suggestivo della comune appartenenza, il codice riporta le armi di Beatrice d’Aragona e si colloca, dal punto di vista artistico, entro i moduli miniaturistici fiorentini. Proprio la sposa italiana di Mattia potrebbe averla commissionata a Firenze per collocarla nella grandiosa biblioteca del marito, ma con un orgoglioso riferimento alla sua personale, nobile stirpe. Del resto in un altro caso dei corvini estensi troviamo le armi fuse degli Aragona e degli Hunyadi. Un indizio che ci suggerisce l’epoca dell’acquisto da parte degli Este è l’inedito inventario dei libri di Alfonso II, conservato in Archivio di Stato. Sappiamo che è stato compilato nel 1552 e formulato in modo estremamente sommario, con indicazioni relative al valore estrinseco dei pezzi (coperte, fibbie, miniature), ma senza riferimenti intrinseci come il nome completo degli autori, i titoli, i contenuti, le datazioni. Pur con queste limitazioni, è assolutamente da escludere che vi siano elencati i codici di Mattia, segno questo che l’arricchimento della biblioteca ducale è avvenuto successivamente, nella seconda metà del Cinquecento. Un secolo più tardi, in pieno Seicento, nel mastodontico catalogo-rubrica conservato in Archivio di Stato, figurano voci che possono riferirsi ai corvini, in particolare il Valturio, manoscritto che in Biblioteca Estense esiste in una sola copia.15 La redazione del catalogo è certamente prebacchiniana in quanto sono mescolate opere a stampa e manoscritte.16 Per la mancanza di descrizione specifica per le altre voci si resta nel campo delle ipotesi. 13 Girolamo Tiraboschi diresse per oltre un ventennio la Biblioteca Ducale dal 1770 al 1794 e, in ossequio ad un malinteso senso di modernizzazione e di igiene, fece rilegare ex novo tutto il corpo dei manoscritti estensi che persero così le loro coperte originali anche medievali e rinascimentali. 14 Lat.429 0 Alfa W. 1.4, Plutarchus, Vitae. 15 ASMo, Amministrazione della Casa. Biblioteca. filza 21. 16 Benedetto Bacchini, bibliotecario dal 1697 al 1698, fu il primo a catalogare i manoscritti dell’Estense scorporandoli dalle edizioni a stampa. 420 Anna Rosa Venturi Questi dunque i 14 pezzi rimasti da elencare: Lat.391 = Alfa G.4.22 Johannes Chrisostomus, Scripta; Pseudo Dionisius Areopagita, Epistola ad Thimoteum, Basilius (Sanctus), Scripta nonnulla Lat.419 = Alfa O.3.8 Leon Battista Alberti, De re aedificatoria Lat.425 = Alfa Q.4.17 Ammianus Marcellinus, Rerum gestarum libri Lat.432 = Alfa W.1.8 Tommaso d’Aquino, Super librum primum Sententiarum Lat.435 = Alfa Q.4.4 Dionisius Halicarnassensis, Originum sive antiquitatum Romanarum libri XI. Storia antica di Roma) Lat.436 = Alfa Q.4.19 Aurelius Augustinus, Opus contra Faustum manichaeum, Opus contra Julianum Pelagianum. Lat.437 = Alfa Q.4.15 Cornelius Nepos, De excellentibus ducibus exterarum gentium et alii : Lucius Annaeus Florus,Titi Livii Epitomae; Gaius Plinius Secundus, Epitomae in Historiam naturalem; Pomponius Mela, De situ Orbis; Zombinus Grammaticus, Abbreviatio de orbis; Cornelius Nepos, Pomponii Attici vita; Festus Rufius, Breviarium Lat.439 = Alfa S 4.18 Ambrosius (Sanctus), Hexameron et alia scripta Lat.441= Alfa S 4.2 Giorgio Merula, Opera varia (sei trattati soprattutto su scritti degli antichi) Lat.447 = Alfa S 4.1 Roberto Valturio, De re militari. Lat.448 = Alfa U 4.9 Gregorius PP.I (Magno), Homiliae in Ezechielem Prophetam. Lat.449 = Alfa G 3.1 Gregorius Magnus Papa, Dialogi; De vita et miraculis Patrum Italicorum libri IV; Vita Gregorii Magni per Johannem Diaconum Lat.458 = Alfa M 1.14 Origenes, Homiliae in Genesim, in Exodum, in Leviticum Lat.472 = Alfa X 1.10 Strabo, Geographia a Guarino [Veronensi] in latinum traslata libri XVII. Anche soltanto da questo stralcio di opere corviniane si può desumere quanto il proposito di Ladislao di avere opere sugli antichi condottieri e per trarne esempio e spunto per la vita attuale fosse condiviso anche da Mattia. Ben quattro sono le compilazioni storiche: Ammiano Marcellino, Cornelio Nepote, Dionigi d’Alicarnasso e le vite parallele di Plutarco. Aggiungendo la Geografia di Strabone e l’architettura dell’Alberti raggiungiamo la metà di opere profane: per l’epoca averne il cinquanta per cento rispetto a quelle religiose era una percentuale notevole. La straordinaria stagione dell’umanesimo magiaro voleva essere ed era fervida e feconda quanto quella delle corti della rinascenza italiana ed europea. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) György Domokos Università Cattolica Péter Pázmány, Gruppo di Ricerca “Vestigia” domokos.gyorgy@btk.ppke.hu Abstract The article aims to give an overview of the activity of Taddeo Lardi, a servant of the Este court in Ferrara, who accompanied in 1487 the eight-year-old Ippolito d’Este to the Hungarian court. During his first stay (or first two stays) in the Kingdom of Hungary (1487–1499), Lardi had important charges at the young archbishop’s court, and his letters testify his overall interest towards the land where he returned to again after some years and where he died in 1512. Vogliamo esaminare, qui di seguito, le prime nove lettere di Taddeo Lardi, corrispondenti al periodo 1487–1499, relative ai suoi soggiorni in Ungheria precedenti al suo incarico di governatore della diocesi di Eger. Lo scopo del presente saggio è presentare il contenuto, la lingua ed i riferimenti ad eventi e personaggi noti, anche in vista di un’edizione di tutto il corpus di 71 lettere, compreso anche il secondo periodo del suo governatorato a Eger. Il ferrarese Taddeo Lardi (varianti del suo nome sono Thadeo, Thaddeo de Lardi, di Lardi, de Lardis) fu un chierico1 e familiare della corte estense, nato intorno al 1450. Non abbiamo prove, ma solo un’ipotesi riguardante suo padre, che potrebbe essere identificato con Vincenzo Lardi, cancelliere della duchessa 1 Il suo essere chierico si ricava dalla lettera del 4 novembre 1487 in cui parla di sé come di futuro sacerdote. Cfr. Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1487.11.04, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295509, 1r. 422 György Domokos di Ferrara, Eleonora d’Aragona.2 Arriva in Ungheria nel 1487 alla corte di Mattia Corvino,3 accompagnando il giovanissimo Ippolito I d’Este, figlio di Eleonora e quindi nipote della regina ungherese Beatrice,4 nominato arcivescovo di Esztergom a sette anni. Saranno Esztergom e la capitale Buda le città ad ospitare Lardi durante i suoi primi soggiorni in Ungheria, dal 1487 al 1499. In questi anni sicuramente soggiornò anche in Italia e, siccome sembra essere entrato nella comitiva più stretta di Ippolito, è logico supporre che sia tornato con lui in Italia nel 1494, per poi seguirlo in Ungheria nel 1495 e di nuovo in Italia nel 1496.5 Il secondo periodo ungherese (1501–1512) di Taddeo Lardi sarà invece legato alla città di Eger, la seconda sede in Ungheria di Ippolito dopo lo scambio operato con Tamás Bakóc nel 1497. Le funzioni e gli incarichi di Lardi si evolvono ovviamente nel tempo:6 all’inizio, nei primi due anni, a partire dal 1487, è stato nominato sescalco con un guadagno previsto di 100 ducati all’anno. Poi ha ricevuto il ruolo del tesorie- 2 Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara (1450–1493). Sin dalla prima lettera Taddeo non cessa di raccomandare il padre affinché potesse entrare nelle grazie della duchessa Eleonora: “ve supplico ve sia aricomandato mio patre el quale di novo ve lo aricomando” che poi spiega più dettagliatamente: “Facia extima vostra signoria de fare una grandindissima elimosina perché si no sum certo faciandolo vostra signoria non ne potrà exire si non bono et perfecto fructo et quella serà causa de sublevare mio patre et darli requie riposo con sua famigliola da miseria el quale iterum genibus flexis supplico vostra illustrissima signoria li sia ricomandato et che lo voglia conservare et tenirlo in del numero de soi fedeli et minimi servitori”. Segue da questo che il padre di Taddeo era stato al servizio della duchessa. Cfr. Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Wiener Neustadt, 1487.08.25, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295508, 1r-v. 3 Mattia I Corvino, re d’Ungheria (1458–1490). 4 Beatrice d’Aragona, regina consorte d’Ungheria, moglie di Mattia Corvino (1457–1508), zia di Ippolito d’Este. 5 Nell’insieme di documenti che si trovano sotto la segnatura Amm.Princ. 823 dell’Archivio di Stato di Modena si trovano infatti documenti firmati da Taddeo Lardi in Italia, in queste date: 10 ottobre 1496 (Ferrara), 27 novembre 1497 (Certosa di Ferrara), 27 gennaio 1498 (Ferrara). Ringrazio ancora Hajnalka Kuffart per avermi segnalato questi dati. 6 H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában.” Az esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, Történelmi Szemle 2021: 323–382, p. 380; in italiano: A. Morselli: Ippolito I d’Este e il suo primo viaggio in Ungheria [1487], Modena: Società Tipografica Editrice Modenese, 1957; N. C. Tóth: Magyarország késő középkori főpapi archontológiája. Érsekek, püspökök, illetve segédpüspökeik, vikáriusaik és jövedelemkezelőik az 1440-es évektől 1526-ig (A Győri Egyházmegye Levéltári Kiadványai. Források, feldolgozások 17), Győr, 2017: 52–53. Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) 423 re7 e anche maggiordomo della casa dell’arcivescovo, situata nella capitale del Regno, quindi a Buda. Il camerlengo e guardarobiere (guardarobo) Francesco da Bagnacavallo, avendo offeso nel 1489 il governatore Beltrame Costabili, dovette ritornare in patria, fu così che Lardi dovette assumersi per forza questi uffici. Lardi risulta quindi, fino al 1492, tesoriere e guardarobiere nella casa di Buda dell’arcivescovo.8 Nel 1493 diventa cameriere di Ippolito, facendo quindi un grande salto di carriera, anche se dopo la morte di re Mattia la situazione generale non era favorevole ai prelati italiani e ai loro familiari. Infatti, tornando Ippolito in Italia nel 1494, le circostanze di Esztergom cambiano notevolmente. Tra il 1496 ed il 1501 molto probabilmente anche lo stesso Taddeo Lardi soggiorna a Ferrara, almeno non abbiamo notizie di lui in Ungheria, mentre abbiamo, oltre ai sopraccitati documenti da lui firmati nel periodo 1496–98, tre libri di conto del periodo 1497–1501.9 Il suo secondo soggiorno ungherese lo lega ormai alla città di Eger, dove accetta di svolgere l’ufficio di governatore della diocesi in assenza del vescovo, Ippolito. In questo contesto avviene anche uno scambio di benefici: Taddeo, precedentemente arcidiacono di Pankota, per espressa volontà di Ippolito d’Este scambia questo suo beneficio con Domenico Crispo all’arcidiaconato di Ung.10 Come si legge sulla sua lastra tombale di fine fattura rinascimentale,11 fu due volte governatore della diocesi: abdicò nel 1508, quando arrivò a sostituirlo Ercole Pio di Savoia,12 ma dopo il ritorno (e la 7 Le categorie degli ufficiali di corte tra Ferrara ed Esztergom non coincidono nel contenuto, per questo i termini ‘sescalco’ e ‘tesoriere’ sono messi tra virgolette, perché non coincidono con gli uffici di ‘udvarmester’ e ‘kincstartó’. Come descrive G. Guerzoni: Le corti estensi e la devoluzione del 1598, Modena: Archivio Storico Comunale di Modena, 1999. 8 V. più ampiamente sul caso H. Huffart: Modenában őrzött esztergomi számadáskönyvek és az esztergomi érsekség udvartartása (tesi di dottorato, relatore: K. Szovák), Budapest, PPKE BTK, 2018: 196-197. 9 ASMo, Amministrazione dei Principi nr. 758, 760, 761. Ringrazio per la segnalazione Hajnalka Kuffart. 10 P. E. Kovács: ‘Léhűtők Egerben. Mindennapi élet Estei Hippolit egri püspök udvarában’, in: Memoria Rerum – Tanulmányok Bán Péter tiszteletére, Eger, 2008: 157. 11 E. Berkovits: ‘La pietra sepolcrale di un umanista ferrarese a Cassovia’, Corvina 4/12, 1941: 164–174; T. Myskovszky: A Renaissance kezdete és fejlődése, különös tekintettel hazánk építészeti műemlékeire, Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, 1881: 34–35; B. Wick: Kassa régi síremlékei, Kassa, 1933: 70–72; Á. Mikó: ‘Jagelló-kori reneszánsz sírköveinkről’, Ars Hungarica 14, 1986: 101. 12 Le lettere di Ercole Pio di Savoia dall’Ungheria sono state pubblicate con un saggio in ungherese: Gy. Domokos: A jámbor Herkules. Estei Hippolit bíboros egri kormányzója, Ercole Pio beszámolói Magyarországról, 1508–1510, Budapest: Balassi Kiadó, 2019. 424 György Domokos morte) di questo, Lardi, ormai vecchio e malato, ricevette di nuovo l’incarico. Non possiamo essere sicuri che la morte lo colse nella città di Kassa, dove oggi si trova la tomba: si sa tuttavia che il materiale da costruzione, dopo la demolizione della cattedrale e di parte del castello di Eger, è stato trasferito anche in città lontane, quindi Lardi potrebbe essere morto proprio a Eger, che era stata teatro di gran parte della sua vita. Il contenuto delle lettere La prima lettera viene inviata da Lardi il 25 agosto 1487 da Wiener Neustadt, allora sotto la giurisdizione di Mattia. Arriva in questa città come membro del seguito del giovanissimo arcivescovo Ippolito d’Este e la lettera è indirizzata alla madre, Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara. Dopo le scuse, che presenta alla sua signora per il ritardo della missiva, in un curioso passaggio ricorda lungamente il momento del congedo da Eleonora, il non aver potuto proferire nessuna parola e l’aver dato, mentre piangeva, solo un bacio prolungato alla mano. …le parole inornate quale volea havere davanti vostra illustrissima signoria furono reducte e unite in uno basare de mane el quale basar de mane fu misto con multe lacrime et s’el fusse stato possibile a prolungarlo ancora più lo averia facto…13 Ricorda inoltre la partenza sul Bucintoro, la galea ducale che portava Ippolito verso il porto di mare. Con strana eloquenza Lardi inserisce un’adulazione particolare: pur trattandosi di un evento che non è ritenuto degno della memoria della duchessa, l’umanità di Eleonora sarebbe, secondo lui, così forte da ricordare perfino il proprio battesimo. …Vostra Illustrissima Signoria se dè ben aricordare abenché non sia cosa degna de habitare in tal memoria, nientedimeno la humanità di Quella è tanta che sum più che certo non le cose infine passate, ma eciamdio el baptesmo quale recepette Vostra Signoria se debe aricordare…14 13 Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Wiener Neustadt, 1487.08.25, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295508, 1r. 14 Ibid. Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) 425 Invece di dare notizie attuali relative al luogo in cui soggiorna, dice semplicemente che Eleonora sarà sicuramente informata da altre fonti (cosa in effetti vera: in questo periodo il flusso di lettere è continuo da parte di vari familiari di Eleonora15 ) ed accenna al fatto che Ippolito sta bene e che è quasi incredibile che Beatrice ami tanto Ippolito. Nella chiusura della lettera troviamo le immancabili raccomandazioni: prima di tutto ad Eleonora raccomanda il padre, chiede invece a lei di essere appoggiato presso la regina Beatrice in qualità di futuro sacerdote. La seconda lettera, scritta nel novembre dello stesso anno, ci attesta il fatto che Eleonora ha degnato Taddeo di una missiva che lo commuove. …una littera de vostra illustrissima signoria io indigno de quella ò receputo quisti dì passati, la quale me à pieno de consolatione et factome reputare multo più digno che primo non me tenea…16 Eleonora sembra aver fatto la richiesta raccomandazione per Taddeo, che la ringrazia per questo rivolgendole belle parole. Ippolito, secondo lo scrivente, sviluppa ottime capacità, sia nello studio che nel comportamento. …benissimo et ogni zorno se cognosse tanta differencia de bene in meglio in lui che l’è quasi una cosa incredula siando che l’età che l’è sì in le opere del studio sì anco in discrecione et gravità a loco et tempo dove che bisogna…17 In chiusura Taddeo non manca di ricordare suo padre nelle grazie della duchessa. La lettera forse più interessante e ricca di particolari è la terza, perché ci racconta l’entrata di Ippolito a Vienna, da dove Taddeo Lardi scrive ad Eleonora d’Aragona. La prima persona ad accogliere Ippolito, ancora fuori città, fu ovviamente la zia, Beatrice, accompagnata da tre vescovi: quello di Várad (János Filipec), quello di Eger (Orbán Nagylucsei) e quello di Győr (Tamás Bakóc) 15 In questo periodo scrivono regolari relazioni dall’Ungheria: Beltrame Costabili, Borso da Correggio, Bartolomeo Bresciani, Ludovico Zangarino, Giovanni Valla, Francesco dalle Balestre, Francesco Bagnacavallo, Tadeo di Lardi, Antonio Sbelzarino, Francesco Palude, Gregorio di Pannonia. Cfr. H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete…” ’, op.cit.: 333, nota 58. 16 Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1487.11.04, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295509, 1r. 17 Ibid. 426 György Domokos nonché il despota di Serbia (György Brankovics) e il conte Bernát Frangepán. La forma del saluto del giovanissimo arcivescovo di Esztergom consiste nel “toccare la mano” ad ognuno di loro. …la maestà de madama se li venne incontra fora deli borgi de Vienna per spacio de uno bono migliara, e dicta maestà era acumpagniata dal vescovo Valadino, dal vescovo d’Agria et dal vescovo de Giavarino, e poi dal dispoto de Servia et dal conte Bernardino e facto monsignore il debito suo, la maestà de madama dicti signuri de uno in uno li tocharon la mano…18 Salito sul carro di Beatrice, Ippolito viene travolto da baci ed abbracci finché non arrivano al punto dove li attende Mattia Corvino, che lo accoglie con segni di vero affetto. La lettera ci informa del seguito ungherese di Ippolito, ed è una fonte del tutto particolare e fondamentale per ricostruire il suo ambiente. Un episodio interessante che Taddeo racconta, ci dipinge Ippolito con Beatrice e Mattia quasi come una famiglia. …dicta maestà s’el tolse in caretta sua e s’el ge fu abrazamenti e basi il lassò pensare a vostra illustrissima signoria e cussì intrando con gran triumpho arivorno dove che stava el signore re e sua maestà se ge fece portare incontra insino al primo usso de sue stancie et feceli honore et carize assai. La humanità quale usò sua maestà verso dicto reverendissimo signore fu cosa multo notabile et signo de sviscerato amore…19 Beatrice, a quanto pare già nel 1488, pensava di farlo nominare cardinale, ne parlava apertamente calcolando chi avrebbe appoggiato la proposta. Se Ippolito fosse stato di 4 anni più grande (se avesse avuto quindi 12 anni), in tal caso, a quanto dice, si sarebbe potuto anche tentare. A cena, poi, il re guarda dentro il sacchetto (indicato con il termine ferrarese “carnirolo”) del piccolo Ippolito e vi mette venti ducati. …cussì appresso al re sua maestà se mise a cerchare dentro a uno carnirolo che tenea a lato monsignore per vedere se tenea dinari 18 Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1488.04.04, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295510, 1r. 19 Ibid. Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) 427 alcuno et non trovando niente ge posse vinti ducati d’oro e basollo più de vinte volte…20 La lettera successiva, del 23 giugno 1491, quindi ormai dopo la scomparsa di Mattia Corvino, ci testimonia il fatto che Eleonora d’Aragona ha pensato di assicurare il futuro del suo fido servo, Taddeo Lardi, consegnandogli un beneficio a Camurano. È da questa lettera che veniamo informati della rinuncia di Taddeo all’ufficio di guardaroba, atto che lui giustifica con una malattia degli occhi ma anche col fatto che il figlio della duchessa Eleonora, Ippolito, ha bisogno di lui e il governatore, messer Beltrame Costabili, non ha tutto quel tempo che conviene dedicare all’educazione di un ragazzo della sua età: deve ancora correre e giocare molto. …io non ò rifutato dicto officio si non per potere melgio servire il signore mio et starli continuamenti ali piedi perché oramai Dio gratia l’è uno homo, non pò cussì star fermo, bisogna che joca et corra qualche volta secundo conviene ala etate sua, non sempre Misser Beltrame li pote esser apresso non perché da lui manchi ma per occupacione di facende reginale onvero del Patrone, proprio et per questo non sempre ge pote essere et io per havere lo obbligo de servitù dala mathina insino a sera et tucta la nocte con sua illustrissima et reverendissima signoria…21 Con parole adulatorie Taddeo aggiunge che ad Ippolito manca solo il cappello cardinalizio, perché è attratto dall’onore e dalla virtù come il ferro dalla calamita. Lo stesso anno, il 15 dicembre del 1491, scrive una lettera anche alla sorella Beatrice, così veniamo informati circa il nome di due altri suoi fratelli: Domitilla e Patrizio: probabilmente l’ultimo è la stessa persona che comparirà, qualche anno più tardi, a Eger vicino a Taddeo. … fariti la scusa con sore Domecilla et con Patricio deli speroni per lo primo che venerà mandarò il tucto…22 20 Ibid. Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1491.06.23, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295511, 1r. 22 Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1491.12.15, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295512, 1r 21 428 György Domokos Le lettere del 1498–1499 potrebbero appartenere ad un soggiorno successivo: abbiamo le prove del suo ritorno in Italia. Nel 1494, con il ritorno di Ippolito, un folto gruppo abbandona l’Ungheria e pertanto, vista la sua assenza, anche il sistema gestionale delle sue prebende e dei suoi interessi subì un cambiamento.23 Pare che nel 1498 Taddeo Lardi sia intento a mettere in ordine gli interessi di diversi italiani che hanno delle entrate in Ungheria. …el me pare che lo vicario24 qui agia alcuni vostri dinari et cercha de mandarveli: lo tenerò sollicitato che ve li mandi per bona via…25 Nella lettera che scrive il 7 settembre 1498 a Tommaso Fusco, segretario del cardinale Ippolito, nomina oltre a lui anche altri interessati non ancora identificati: Vittore, Giulio, Giovanni. Nel gennaio del 1499 indirizza una sua lettera sempre a Fusco, in questo caso già l’attacco della lettera è alquanto curioso: “Non tenebre, sed mea lux”. Rende qui conto delle trattative intorno allo scambio delle diocesi ancora in corso. Assicura lo stesso Fusco che l’arcivescovo Bakóc protegge gli interessi degli italiani e, tra tutti, soprattutto quelli di Fusco. …pareme agiati scripto a lo gubernatore stia alquanto sopra di sé ne la permutatione vostra, credo che presto andarà a Strigonia, chiamato da lo reverendissimo archiepiscopo, et io interim andarò ad Agria et parlerò con lui, siati certissimo che epso et io non si sforzaremo d’altro se non di fare cosa vi sia grata, et a proposito eo maxime per essere ben disposto epso reverendissimo archiepiscopo verso vui, perché l’altro giorno qui in Buda li parlai di facti vostri, oldendome graciosissimamente mostrando de amarvi supra ogni familiare de lo illustrissimo patrone et essere desideroso mantenirvi le cose vostre si come le avesiti in Italia et darve ogni 23 H. Kuffart: Modenában őrzött…, op.cit.: 29, nota 152. Tommaso Amadei de Ferrara, vicario di Esztergom, 1495–1510, cfr. N. C. Tóth: Az esztergomi székes- és társaskáptalanok archontológiája 1100–1543 (Subsidia ad historiam medii aevi Hungariae inquirendam 9), Budapest, 2019: 259. 25 Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Esztergom, 1498.09.07, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295620, 1r. 24 Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) 429 adiuto et favore li sia possibile et a me parea non ge fusse niente di finto…26 Si tratta anche di benefici di Esztergom che gli italiani cercano di accaparrarsi, ormai però senza successo. …da lo lectore non est sperandum, perché l’è ito in li frati di Sancto Paulo27 ut ait vulgus ut hoc est certum che l’à renunciato lo lectorato ad uno chiamato Truzo,28 giovene da bene: et hoc factum est per istegnio ch’à avuto di parole con lo provisore di Stigonia quale se chiama Ussi Georgio29 …30 C’è un’unica lettera superstite di questo periodo che Lardi scrive direttamente al cardinale Ippolito, il 12 luglio 1499. Circostanziate e lunghe scuse intendono motivare il ritardo. …Se io credesse che vostra illustrissima et reverendissima signoria havesse una sol sentilla ne l’animo suo, che’l ritornare mio non cusì presto fusse per altro che per impossibilità, de la pegior voglia me ritrovaria che mai homo al mondo se ritrovasse et più presto non voria haver impedito el ventre de mia matre un sol giorno, afinché simel oppinion non fusse intravenuta; ma perché cogniosco vostra 26 Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Esztergom, 1499.01.27, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295621, 1r. 27 Frate di Sancto Paulo: Kesztölci, Mihály dal 1483 fu canonico lettore ad Esztergom e, fino alla scoperta di questa lettera, si sapeva della sua presenza fino al 1496 (N. C. Tóth: Az esztergomi…, op.cit.: 33). Questa lettera è inoltre la prova del fatto che questa persona risulta il vicario dei Paolini a Nosztra, menzionato là ancora nel 1504 (cfr. ibid.: 44; Id.: Az esztergomi székeskáptalan a 15. században III. rész. Az ún. 1397. évi esztergomi székeskáptalani egyházlátogatási jegyzőkönyv (Subsidia ad historiam medii aevi Hungariae inquirendam 13), Budapest, 2021: 249). 28 Truzo: Turzó, Zsigmond (figlio di Márton) dal febbraio del 1500 attestato come canonico lettore a Esztergom (N. C. Tóth: Az esztergomi…, op.cit.: 33). 29 Da identificarsi con György Ősi amministratore delle entrate arcivescovili di Esztergom negli anni 1498–1506 (N. C. Tóth: Magyarország…, op.cit.: 30; Ulteriori dati su Ősi recentemente: I. Kristóf: ‘Bortizedbérlők a késő középkori egri számadáskönyvekben’, Acta Universitatis de Carolo Eszterházy Nominatae. Sectio Historiae [Tanulmányok Dr. Kozári József és Dr. Kriston Pál tiszteletére], Eger, 2019: 221–236). 30 Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Buda, 1499.01.27, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295621, 1r. 430 György Domokos illustrissima et reverendissima signoria sapere tanto bene discernere el negro dal bianco et conprehendere il vero da la busia, che mi tengo certissimo per sua sollita clementia se digniara pigliare el mio tardare sì come egli è…31 Poi rimanda alla relazione che verrà presentata oralmente da Ludovico Floreno, governatore di Eger, che sta tornando a Ferrara. La lettera pullula di raccomandazioni di personaggi che stanno lasciando l’Ungheria: forse la nuova ondata sarà legata ai decreti delle diete che non lusingano gli stranieri di buoni uffici nel paese. Una sola settimana più tardi, precisamente il 19 luglio 1499, Lardi scrive anche al segretario Tommaso Fusco, sottolineando il personaggio del vescovo Cantelmo32 che aveva parlato alla dieta in maniera assai forbita, partendo dal concetto della Trinità. Lardi è del parere che Cantelmo sarebbe la scelta ideale per fungere da vicario di Ippolito ad Eger. …siti ad plenum informato per le littere quale scrive el gubernatore alo illustrissimo patrone et anche a messere Cantelmo, el quale è persona dignia et da bene et in ogni sua cosa dove che ripresenta la persona de sua reverendissima signoria ne riesse con grande honore et in ogni suo judicio et cause. Et maxime in questo sinodo33 a lui è tocato el primo sermone et àllo recitato con grandissima elegancia, breve con substancia de trinitate, che multo piacque a li intelligenti auditori, et ultra questo fece adiungere alcune clausule ne le constitucione sinodale nomine illustrissimi et reverendissimi domini, molto fructuose, siché in ogni suo atto mi pare reusirne bene et con honore de epso illustrissimo patrone. In lui non regnia superbia aspreza ni rapacità, anci cum omnibus humilità grandissima et liberalità, per le qual cose generaliter da ognuno sumamente è amato et venerato. Et pareme in quanto al mio debile 31 Lettera di Taddeo Lardi ad Ippolito d’Este, Eger, 1499.07.12, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/29, MNL OL DF 294622, 1r 32 Giulio Cesare Cantelmo, vescovo titolare di Nizza 1490–1503, il quale in qualità di ambasciatore ferrarese, tra il 1499 ed il 1503, soggiornò in Ungheria e vi morì nell’anno 1503 (cfr. I. Kristóf: ‘Utazás Itáliába 1501 nyarán. Egy számadáskönyv tanulságai’, in: Akit Clio elbűvölt : In honorem Romsics Ignác, Eger, 2021: 187–209). 33 Si tratterà probabilmente della dieta del giorno di San Giorgio, dell’anno 1499, nella città di Pest (DL 20883). Ringrazio Norbert C. Tóth per l’indicazione. Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499) 431 ingegnio che messere reverendissimo et illustrissimo facesse una optima electione a mandare tal homo qua, il quale da vui aspecta risposta…34 Osservazioni linguistiche Per quanto riguarda la lingua di Taddeo Lardi, nell’epistolario integrale che copre 25 anni e conta una settantina di lettere (da pubblicarsi integralmente nel prossimo futuro) vediamo un cambiamento notevole. In questo primo periodo, preso in esame nel presente articolo, le lettere abbondano di latinismi (ad plenum, auditori, cum omnibus, genibus flexis), ma anche nella scrittura latineggiante (efecto, fructuoso, electione). Nella grafia, in mancanza di un’ortografia stabilita per il volgare, si appoggia certamente sul latino, qualche volta questo influenza anche le forme stesse delle parole: scrive multe per ‘molte’, hore per ‘ore’. Troviamo una certa influenza anche della scrittura francese, nella grafia della parola partença Lardi utilizza il grafema ‘ç’. Usa spesso e volentieri espedienti per dare dimostrazione della sua cultura: doppia aggettivazione e verbalizzazione (illustrissimo e reverendissimo; reducta e unite, multe e migliore, bone e perfecte, braciano et basiano, prego e pregarò, joca e corra), metafore (requie riposo, stare continuamenti ali piedi, como fa la calamita il ferro, littera tutta gemmata) e rimandi dotti al limite della comprensibilità, come per la descrizione della capacità di Eleonora d’Aragona di ricordare il proprio battesimo, o appellandosi a Fusco come “mea lux”. Col tempo il suo stile si semplificherà, pur mantenendo l’encomio e l’adulazione richiesti ad un servo del cardinal Ippolito. In questo corpus di nove lettere risalenti ai suoi primi due soggiorni in Ungheria, troviamo poco accostamento al volgare locale ferrarese. Sembrano essere caratteristiche della parlata emiliana le a- prostetiche nelle parole aricordare, abenché, aricomandare. Forse la parola carnirolo, adoperata per indicare la borsetta del giovanissimo arcivescovo a tavola con Beatrice e Mattia, potrebbe essere un elemento lessicale localizzabile35 nel ferrarese. Non 34 Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Eger, 1499.07.19, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/29, MNL OL DF 294623, 1r. 35 carnirolo: tipo di sacca, tasca a foggia di carniere. G. Trenti: Voci di terre estensi. Glossario del volgare d’uso (Ferrara-Modena) da documenti e cronache del tempo. Secoli XIV–XVI, Vignola: Fondazione di Vignola, 2008: 135. Ringrazio Elena Ferrazzi per l’indicazione. 432 György Domokos cede in questo periodo a volgarismi; una sola volta si concede una locuzione del tipo ge ne incago,36 peraltro con riferimento incerto ad un affare con un concittadino. Certamente i prestiti dall’ungherese (parole come filer, cozi, suba, segin ecc.) si faranno più frequenti nel secondo periodo, quando il suo ambiente normale a Eger sarà fatto per lo più di ungheresi. Indubbiamente una parte di un epistolario non può essere oggetto di valutazione da parte della storiografia, può tuttavia apportare elementi importanti, come nel nostro caso sulla corte arcivescovile del giovanissimo Ippolito (lettera del 4 aprile 1488) o la situazione del capitolo di Esztergom (lettera del 27 gennaio 1499). Speriamo di contribuire in futuro con ulteriori elementi, tramite la sperata pubblicazione di tutte le lettere di Taddeo Lardi, alla ricostruzione del suo ambiente. 36 Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Esztergom, 1498.09.07, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295620, 1r. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK L’entrata del cardinal Tamás Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte Ágnes Szabó; György Domokos Università Cattolica Pázmány Péter szaboagnes8@gmail.com; domokos.gyorgy@btk.ppke.hu Abstract The authors of this article compare two manuscripts (one from Mantua and one from Modena) regarding the solemn Entrata to Rome of the Hungarian cardinal Tamás Bakóc in 1512. The event is placed in a historical and artistic context, and a special emphasis is placed on the description of the cloths of the prelate’s sequalae, as they were really astonishing to the contemporary Italians. Recentemente, in occasione del 500° anniversario della morte del cardinal Tamás Bakóc, ha avuto luogo un convegno scientifico nella sua città sede, Esztergom. All’Adalbertinum, anticamente Seminario Maggiore della città, fungeva da sfondo ai relatori un’opera del pittore Ernő Jeges. Quest’opera rappresentava l’entrata di Bakóc nella Città Eterna nel 1512, un evento carico di simbologia e richiamato dalla storiografia ungherese come occasione culminante del Regno d’Ungheria, il cui Primate, avendo impressionato fortemente i romani, avrebbe sfiorato la possibilità, l’anno seguente, di diventare addirittura papa. La pittura di Jeges non è certamente un’opera storiografica e, anche se attinge le informazioni da un racconto, a sua volta ispirato ad una pubblicazione del grande storico Vilmos Fraknói, conserva tuttavia elementi veritieri.1 1 La nascita della pittura fu ispirata dal racconto dello scrittore Ferenc Herczeg intitolato Az élet kapuja [La porta della vita] (Budapest, 1919), il quale attinge le informazioni, con ogni probabilità, dalla monografia di Fraknói su Tamás Bakóc. Il dipinto è stato preparato da Ernő Jeges (1898–1956) nel periodo 1931-34 quando era borsista del Collegium Hungaricum a Roma. Cfr. E. Bodonyi: Jeges, Szentendre: Pest Megyei Múzeumok Igazgatósága, 2008: 24–26. 434 Ágnes Szabó; György Domokos Nel presente saggio intendiamo fornire una trascrizione e l’analisi comparata, oltre che della relazione di Stazio Gadio (la fonte esaminata a Mantova da Fraknói), anche di quella di Ludovico da Fabriano, un altro testimone oculare che ha scritto la sua relazione per conto della corte estense di Ferrara, che oggi si ritrova presso l’Archivio di Stato di Modena. L’intervento di Ágnes Szabó al detto convegno era incentrato sui vestiti del seguito del cardinale; il presente studio si amplia con una piccola analisi linguistica e, dove questo si rende possibile, con delle note prosopografiche. Il corteo degli ungheresi al seguito del cardinal Bakóc viene descritto da ambedue i testimoni come esotico, soprattutto per il vestiario, che è diverso da quello consueto in Italia. Alcune particolarità di queste due descrizioni sono preziose proprio dal punto di vista della storia del costume. Per studiare i particolari vestiti indossati dal seguito di Bakóc in occasione dell’entrata a Roma, possiamo prendere in esame i parallelismi italiani della mecenatura del Primate d’Ungheria, soprattutto l’attività in tal senso di Giovanni de’ Medici. Si è dimostrata molto utile, inoltre, una linea di ricerca portata avanti, negli anni passati, su un pezzo di vestimento laico, la “turca”, che troviamo spesso menzionata nelle fonti coeve.2 Fonti scritte sull’aspetto degli ambasciatori ed inviati ungheresi all’estero si hanno anche dal periodo precedente il secolo 16. Jolán Balogh ha pubblicato un’ampia e curiosa antologia sulle fonti che descrivono il modo di vestire ungherese nel periodo di Mattia Corvino.3 Una di queste fonti, datata 1489, esemplifica in maniera eccellente le caratteristiche della “civiltà dell’ambasceria” e del vestire accettata alla fine del secolo 15 alla corte reale ungherese. Il testo riguarda un messaggio fatto arrivare in forma scritta al duca di Milano, Ludovico Sforza, tramite il segretario ducale Bartolomeo Calco da parte dell’arcivescovo milanese.4 Il messaggio giungeva dopo un loro colloquio a proposito di una delegazione in procinto di partire per l’Ungheria: 2 Á. Szabó: ‘Turca, suba és a nevető harmadik. Egy öltözék az itáliai-magyar diplomáciai forrásokban a 15. század második felében és a 16. század elején’, in: B. Gulyás, Á. Mikó & B. Ugry (eds.): Reneszánsz és barokk Magyarországon. Művészettörténeti tanulmányok Galavics Géza tiszteletére. I–II, Budapest: ELKH Művészettörténeti Kutatóintézet, 2021: 143–158. Sull’entrata di Tamás Bakóc a Roma nel 1512: D. Görög: ‘Bakócz Tamás római bevonulása’, in: O. Báthory & F. Kónya (eds.): Egyház és reprezentáció a régi Magyarországon, Budapest: MTA-PPKE Barokk Irodalom és Lelkiség Kutatócsoport (Pázmány Irodalmi Műhely, Lelkiségtörténeti Tanulmányok 12), 2016: 113–119. 3 J. Balogh: A művészet Mátyás király udvarában. Budapest: Akadémiai Kiadó, Budapest, 1966: I. Adattár, 414–435. 4 Guidantonio Arcimboldi, arcivescovo di Milano (1489–1497). L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 435 Ma in specie ha dicto parerli, che al conte Alexandro siano dati qualche camereri et gentilhomini honorevoli, per essere de quella condizione et grado e tochando, poich’el numero de tutta la comitiva non dovesse essere mancho de 600 persone, alle quale fusse deputato uno, che generalmente havesse comandarli a tutte le familie loro, cum tenerle regulate et farli andare cum bono ordine senza confusione et costumatamente, peroche in quella corte observano non solamente el parlare de ciascuno, ma anchora li modi et gesti suoi, demonstrando appresso, che el fusse bene admonire ognuno ad portare veste longhe, peroche così è il costume loro et damnano grandamente questi habiti corti.5 È stato lo stesso Bartolomeo Calco a conservare per noi la memoria dell’ambasciatore ungherese, Mózes Buzlai, che indossa la “turca” sopra menzionata: Dicto ambaxiatore haveva una belissima turcha de drappo d’oro, cum uno friso in testa rivolto ad treze et perle, cum li capilli longi anellati et di gratissimo aspecto et belissima statura, de etate de trenta anni et richissimo de bona maynera et costumi, et è cum bella compagnia di numero solamente de persone 18, et tra cavalli e muli 17.6 Dal ritratto del vescovo di Pécs, “messer Giovanni”, scritto da Vespasiano da Bisticci, siamo informati del carattere ungherese, della grandezza e della composizione della delegazione ungherese, la cui parte preponderante spettava alla cavalleria. Si tratta dell’ambasciata di Giano Pannonio che, nel 1465, per conto di Mattia di Corvino, si reca alla corte di papa Paolo II (1464–1471) con una delegazione composta da trecento persone a cavallo: …è lunghissimo tempo che in Italia non venne mai più degna legazione di questa, né con più cavalli, né con maggior pompa, venendo 5 I. Nagy & A. Nyáry (eds.): Magyar diplomácziai emlékek Mátyás király korából IV. (Monumenta Hungariae Historica. Acta extera), Budapest, 1878: 31. J. Balogh: ‘Mátyás-kori, illetve későközépkori hagyományok továbbélése műveltségünkben’, Ethnographia LIX, 1948: 14; J. Balogh: A művészet…, op.cit.: 430; J. Szendrei: A magyar viselet történeti fejlődése, Budapest, Hermit, 2019: 15. 6 J. Balogh: A művészet…, op.cit.: 435; L. Zanichelli: ‘Gergelylaki Buzlay Mózes milánói követjárása (1489)’, in: Gy. Domokos, N. Mátyus & A. Nuzzo (eds.): Vestigia. Mohács előtti magyar források olasz könyvtárakban, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 129–130. 436 Ágnes Szabó; György Domokos dalle estreme parti del mondo. Non si vide mai legati sì bene a cavallo, né i famigli sì bene a ordine, e i più begli uomini che si vedessimo mai. […] Vennon qui a Firenze, e alloggiorono in quanti alberghi v’erano. Istettono parecchi dì a rimettersi in ordine, e a vedere la terra. Partitisi da Firenze, n’andorono alla via di Roma, incontrati da’ cardinali in fuora; che fu cosa mirabile a vedergli entrare in Roma.7 L’entrata di Tamás Bakóc a Roma, come prelato ungherese, non è quindi un evento senza precedenti. I brani citati, anche se rimandano solo di sfuggita al vestiario dei membri della delegazione della fine del Quattrocento, sono comunque un importante punto di riferimento per le ricerche sulla storia del costume in Ungheria. I documenti che ora presentiamo non solo mostrano una continuità rispetto ai fatti conosciuti del secolo precedente, ma integrano notevolmente anche le nostre conoscenze particolari a riguardo. Conosciamo la descrizione particolareggiata dell’entrata di Tamás Bakóc a Roma, nell’anno 1512, grazie alla biografia di Vilmos Fraknói.8 In essa l’autore, partendo da diverse fonti, ha ricostruito l’arrivo del cardinale di Esztergom alla Città Eterna, descrivendo gli eventi di due giorni: l’entrata stessa nel giorno 27 gennaio 1512, la seduta del concistoro avvenuta tre giorni dopo e il suo incontro con papa Giulio II. Per delineare il suo arrivo si appoggia sulla “relazione dell’ambasciatore mantovano del 2 febbraio 1512”, mentre per quanto riguarda l’incontro non cita una fonte precisa, anche se, in base ad una nota a piede di pagina presente in un altro punto, si può supporre che abbia riassunto le cose accadute sempre in base alle relazioni del 2 febbraio “inviate dagli oratori di Mantova e di Ferrara”.9 Fraknói può aver letto, quindi, tutte le fonti che qui presentiamo, è tuttavia la prima volta che vengono edite e comparate insieme. All’Archivio di Stato di Modena, nella serie degli Ambasciatori, tra le buste che conservano le relazioni arrivate da Roma, è stata ritrovata quella di Lu7 F. Pulszky: ‘Bisticci Vespasiano Janus Pannoniusról és György kalocsai érsekről’, Budapesti Szemle 3, 1873: 5–6, p. 283; V. da Bisticci: Vite de Uomini Illustri del Secolo XV. Rivedute sui manoscritti da Ludovico Frati. Volume primo, Bologna: Romagnoli-Dall’Aqua, 1892: 248–249. 8 V. Fraknói: Erdődi Bakócz Tamás élete, Budapest: Méhner Vilmos kiadása, 1889, 117–120; V. Fraknói: Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a Római szent-székkel, Budapest: Szent István Társulat, 1902: 304–306. 9 V. Fraknói, Erdődi Bakócz…, op.cit.: 118–120; per calcolare il numero delle persone del seguito, Fraknói si appoggia ad una relazione precedente, mandata da Segna a Venezia il 28 novembre 1511. Cita una nota dei Diarii di Marin Sanudo a proposito dell’alloggio romano di Bakóc. L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 437 dovico da Fabriano, risalente all’anno 1512, che rende conto ad Ippolito d’Este della preparazione e del modo in cui si svolse l’entrata della comitiva ungherese al concistoro. I fatti in questione li ritroviamo nelle sue lettere del 1, 30 e 31 gennaio e, pur non essendo molto particolareggiato, alla vista dei vestiti esotici dimostra la stessa meraviglia del suo collega mantovano. All’Archivio Gonzaga dell’Archivio di Stato di Mantova siamo riusciti ad identificare il documento che Fraknói, con ogni probabilità, aveva utilizzato per la ricostruzione dell’entrata del 27 gennaio 1512.10 Esso venne spedito a Isabella d’Este da Stazio Gadio, oratore del marchese di Mantova a Roma, sei giorni dopo l’evento stesso, ovvero il 2 febbraio 1512.11 Il documento è una copia della stessa mano di Gadio di un’altra lettera, da lui spedita lo stesso giorno al marito di Isabella, il marchese di Mantova, Francesco Gonzaga. In base alla lettera che accompagna il documento, si chiarisce che la copia fu inviata da Gadio alla marchesa Isabella d’Este Gonzaga. Questa lettera di accompagnamento, peraltro, ha un alto valore anche per via di un altro particolare: grazie ad essa si è riusciti ad identificare una statua antica che oggi si trova al Museo Louvre di Parigi, raffigurante il dio Tevere e facente parte, un tempo, della famosa collezione d’arte di papa Giulio II.12 Stazio Gadio accompagnò, nel 1510, in qualità di maestro di casa e segretario particolare, il primogenito Federico Gonzaga alla corte di papa Giulio II, da dove informava la marchesa sull’andamento del figlio.13 I suoi scritti permettono di 10 Il giorno dell’entrata fu identificato molto puntualmente da Stazio Gadio: “[…] fatto una bella entrata: marti proximo passato alli XXVII di jan […]”, Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 860 (Roma), 1 febbraio 1512, 1r.; si conoscono inoltre, sullo stesso evento, le lettere di Ludovico da Fabriano del 31 gennaio 1512. I testi citati in ungherese da Fraknói coincidono con la lettera di Stazio Gadio, tanto che gli elementi comuni tra le relazioni di Gadio e di Fabriano potrebbero rimandare ad una possibile collaborazione tra i due. John Shearman, a proposito delle fonti relative all’entrata a Firenze di Leone X nel 1515, parla di un volume manoscritto della British Library, l’Harley 3462. Sembra che in questo libro siano redatti dei testi per il segretario di Francesco Gonzaga, a partire dalle relazioni di oratori gonzagheschi, tra cui Stazio Gadio. In questo volume compilativo, che risale al periodo 1500–1517 e riguarda questioni politiche, dinastiche e di celebrazioni, si potrebbero trovare ulteriori fonti con riferimento ungherese. J. Shearman: ‘The Florentine Entrata of Leo, 1515’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 38, 1975: 138. 11 Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 860 (Roma), 2 febbraio 1512. 12 Musée du Louvre, Inv. nr. Ma 93; A. Bertolotti: Artisti in Relazione coi Gonzaga Signori di Mantova. Ricerche e Studi negli Archivi Mantovani, Modena: Tipi di G.T. Vincenzi e nipoti, 1885. 70; H. H. Brummer: The Statue Court in the Vatican Belvedere, Stockholm: Almqvist & Wiksell, 1970: 191. 13 Il bambino, dell’età di 10 anni, a partire dall’incarcerazione di suo padre, avvenuta a Venezia nel 1509, viveva alla corte pontificia praticamente come ostaggio. Cfr. R. Tamalio, Stazio Gadio, in: 438 Ágnes Szabó; György Domokos comprendere non solo lo svolgimento della vita quotidiana a Roma, ma di avere anche una visione sulla serie di festività religiose e profane del pontificato di Giulio II.14 Nelle sue descrizioni è caratteristica la sensibilità ai messaggi visivi dell’epoca, l’annotazione della rappresentazione araldica e anche dei particolari del vestiario, dei colori, delle stoffe e degli ornamenti.15 La relazione sull’arrivo di Tamás Bakóc, come si capisce dal paragrafo introduttivo del testo, fa parte della serie di lettere che rendono conto sullo stato di salute di Federico Gonzaga a Roma: “Il signor Federico sta bene et sano et ogni sera magna et gioca con Nostro Signore, pigliandone sua Santità gran piacere, lo vede voluntieri, et lo accareza al solito.”16 Gadio, nelle sue lettere, descrive la figura e le attività quotidiane di papa Giulio II con il piglio di un vero cortigiano, tuttavia in questo testo la sua attenzione è maggiormente presa dall’arrivo del cardinale di Esztergom alla Città Eterna. Dall’introduzione veniamo a sapere che Gadio era ben informato anche sul viaggio di Tamás Bakóc verso Roma. Rende conto del fatto che il cardinale sostava ad Ancona, in attesa di un breve papale che gli assicurasse il diritto di lasciare liberamente testamento (anche il diritto di nominare il successore, in caso di morte di Bakóc a Roma, sarebbe passato al papa). Si capisce inoltre che Giulio II, per qualche ragione, non era incline a riceverlo subito, però: “[…]volse vedere la sua famiglia, informato che era bella, et ben in ordine, como fu vero”.17 Già nella lettera del 1 gennaio 1512, Ludovico da Fabriano rende conto al duca di Ferrara dei preparativi, delle trattative per scegliere il giorno dell’entrata, non descrive però l’evento del 27, solo quello del 30, giorno in cui gli ungheresi si recano al concistoro. Dell’entrata in città del 27 gennaio scrive solo sommariamente, riferendone in proposito all’evento di due giorni dopo: “L’intrata loro in Roma fo ancho um bello spectaculo. Venivano al ordinanza Dizionario biografico degli italiani (=DBI), LI Roma, 1998: https://www.treccani.it/enciclopedia/ stazio-gadio_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 15 gennaio 2022). A. Modigliani: ‘Roma 1512. Echi del Concilio e vita di corte attraverso le lettere di Stazio Gadio’, in: M. Chiabò, R. Ronzani & A. M. Vitale (eds.): Egidio da Viterbo. Cardinale Agostiniano tra Roma e l’Europa del Rinascimento. Atti del Convegno. Viterbo 22–23. settembre 2012, Roma: Centro Culturale Agostiniano ‘Roma nel Rinascimento’, 2014: 191. 14 Dopo la morte di papa Giulio II, Federico Gonzaga ottenne, dal collegio cardinalizio, il permesso di ritornare a Mantova. Sia lui che Stazio Gadio lasciarono quindi Roma. 15 Ha lasciato una descrizione dettagliata anche delle esequie di papa Giulio II (lettera del 3 marzo 1513). 16 Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 860 (Roma), 2 febbraio 1512, 2v. 17 Ivi,1r. L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 439 con loro pennachie, targhe guarnite et tucti foderi de simitarre d’argento, pure con fornimenti, speroni richi et maniche racamate de perle. È stata reputata una sumptuosa comitiva, più che se ricorde um tempo.”18 Procediamo quindi secondo il racconto di Gadio. Il cardinale ed i personaggi più nobili del suo seguito vennero accompagnati, il 27 gennaio 1512, solo fino al luogo citato come “Popolo”, mentre l’altra parte della delegazione andò verso il Ponte Molo (Ponte Milvio)19 per arrivare da lì al Belvedere ed entrare in città da Porta di San Pietro, così da permettere al Santo Padre di vedere la sfilata. Siccome il testo di Gadio non menziona poi più la persona del cardinale, si può supporre che lui, da Porta del Popolo, sia andato con il seguito più stretto direttamente al palazzo affittato in Campo de’ Fiori.20 In seguito si legge la descrizione dettagliata della delegazione, un racconto che ci fa avere l’impressione di vedere proprio quel che si trovò davanti ai suoi occhi papa Giulio II. Davanti camminavano quaranta muli carichi, coperti di rosato (stoffa fine di lana) di color giallo e bianco, con al centro lo stemma cardinalizio di Tamás Bakóc, “megia rota sopra qual sta megia cerva in campo agiuro”.21 Secondo la descrizione “tutti quaranta ad uno modo ordinatamente che faceva bel vedere”. Conosciamo una dettagliata descrizione dell’entrata di papa Leone X a Firenze nel 1515, dove a guidare la processione erano pure dei muli (in questo caso ottanta), coperti anche questi di rosato, sui quali si distingueva lo stemma di papa Leone X.22 Siccome il ritorno di Giovanni de’ Medici a Firenze è molto ben documentato, sappiamo che due anni prima della sua entrata in città, il 20 luglio 1513, fu pagata ad un certo maestro ricamatore chiamato Ghalieno una somma notevole, 54 ducati, per dei lavori: tra questi 18 Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 30 gennaio 1512, 1r. Il termine “Popolo” indicato nel testo rimanda, con ogni probabilità, a Porta del Popolo, l’entrata di Roma per millecinquecento anni più importante venendo da Nord, fino alla sistemazione urbanistica dell’Ottocento; Ponte Milvio fu costruito nel 109 a.C. come prolungamento della Via Flaminia. Il nome originale “Mulvius” si trasforma col tempo in “Milvius”, nel Medioevo “Molbius” e “Mole”, anche oggi ci si riferisce come “Molle”, in: Roma. Guida d’Italia, Milano: Touring Club Italiano, 1999: 708. 20 V. Fraknói, Erdődi Bakócz…, op.cit.: 117–118; EF Mlt Lad. 49. 3. 24. Documento notarile. 21 Lettera di Stazio Gadio a Isabella d’Este-Gonzaga 3 febbraio 1512, 1r.; P. Fabbri: La moda italiana nel XV secolo. Abbigliamento e accessori. Rimini, Bookstones, 2017, 139. 22 “Lo ingresso principiò con questo ordine: passorno prima LXXX mulli del papa con le coperte rosate con li festoni in mezo l’arma del papa seguiano dui à piedi vestiti de rosato con maze di legno argentate in mano che faceano far largo alla brigata che passava”: descrizione di Francesco Chiericato del 30 novembre 1515. In: J. Shearman: The Florentine…, op.cit.: 150. 19 440 Ágnes Szabó; György Domokos c’era la preparazione di nove coperte per muli con lo stemma di papa Leone X.23 Oggi, cinquecento anni dopo, non si riesce a far corrispondere in tutti i casi gli ordini scritti agli oggetti d’arte superstiti o agli eventi documentati, eppure nell’ambiente di Giovanni de’ Medici, salito al trono pontificio, abbiamo a disposizione un insieme abbastanza ricco di oggetti. È comunque importante rilevare che, nel caso delle entrate solenni in Italia ebbero un ruolo rilevante drappi ed oggetti con elementi araldici. Sempre a proposito della persona di papa Leone X possiamo portare, come un altro esempio, la sua entrata a Siena, poi non realizzata, che avrebbe preceduto proprio quella di Firenze. In quel caso l’entrata non ebbe luogo perché non era stato raggiunto un accordo politico. A Siena, comunque, erano stati preparati i palazzi che avrebbero ospitato il Santo Padre e la sua comitiva, si stavano inoltre preparando anche gli archi di trionfo effimeri, in stile all’antica; dal documento superstite veniamo anzi informati anche del fatto che, tra i quindici maestri impegnati per contratto nella realizzazione dell’opera, sette pittori erano dedicati esclusivamente alla pittura di stemmi colorati.24 In Italia, fortunatamente, sono rimasti molti esemplari di stoffe araldiche destinate alla rappresentanza. Oltre che per le sue straordinarie caratteristiche tecniche e stilari, spicca tra loro, per la sua integrità e compiutezza, l’ornato Passerini che era stato usato per l’occasione e che, oggi, è custodito a Cortona. L’insieme di paramenti liturgici furono fatti preparare da papa Leone X per il vescovo di Cortona Silvio Passerini, più tardi cardinale. La stoffa di base è un velluto intessuto con fili d’argento dorato ed i motivi sono attinti tra gli emblemi della famiglia Medici (ramo tagliato, anello con diamante) e della famiglia Passerini (toro coricato). I paramenti (l’ornato e il pluviale) furono indossati da papa Leone X in occasione della sua santa messa celebrata a Cortona nel 1515, durante il suo viaggio da Roma a Firenze.25 Tre anni prima il suo predecessore, papa Giulio II, vide procedere il seguito del cardinale ungherese nel seguente ordine: dopo i muli venivano tre uomini bellamente vestiti in broccato turco, con copricapi all’ungherese, ornati di oro, 23 J. R. Mariotti: ‘Selections from a ledger of Cardinal Giovanni de’ Medici 1512–1513’, Nuovi Studi 9, 2001–2002: 119. L’incarico era integrato anche da altri capi: venti coperte per muli simili, quattro sedili in cremesino e un tessuto lungo rosso. Inoltre figura, tra gli ordini, anche una borsa in rosato. 24 F. Nevola: ‘ “El Papa non verrà”: The Failed Triumphal Entry of Leo X de’Medici into Siena’, The Sixteenth Century Journal 42/2: 426–446. 25 M Collareta & D. Devoti (eds.): Tesori dalle chiese di Cortona. Arte Aurea Aretiana. Cortona, Palazzo Casali, 1987, 57–59; J. R. Mariotti: Selections…, op.cit.: 118; L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 441 gemme e perle, come anche le maniche destre dei loro vestiti, coperte anche queste riccamente di perle, “…sopra tre cavalli turchi molto belli guarniti di argento et di recame, dreto lor venevano quindeci ben a cavallo, sei portavano lanzi con le banderoli rossi et bianchi a modo di stratiotti, li altri nove haveano in testa penacchi grandi bianchi che li coprevano quasi tutte le spalle.”26 A seguire, “cinque a cavallo conducevano cinque belli cavalli a mane con coperti ben lavorati, altri quindeci con li lanzetti et bandere andavano subito dretto.”27 Dalla descrizione si evince che il vestito delle tre persone in broccato turco, quelle che precedevano la prima parte sostanziale della delegazione con lance e piccole bandiere, offriva una visione spettacolare. L’espressione “broccato” è assai frequente nelle fonti scritte dell’epoca e rimanda, per lo più, a tessuti riccamente ornati con filo metallico, quindi argento o argento dorato. L’unica cosa che Stazio Gadio sottolinea, a proposito della stoffa, è il suo carattere “turchesco”. Uno spettatore esperto della civiltà cortigiana italiana dell’inizio del Cinquecento poteva facilmente distinguere, a prima vista, il broccato turco da quello italiano partendo dai motivi e dai colori. In questo caso potremmo pensare, prima di tutto, alla stoffa turca detta kemha,28 un tessuto “lampasso” preparato utilizzando fili colorati di seta o di metallo, oppure al velluto turco, che era prodotto pure con l’uso di fili metallici. Ambedue facevano parte, proprio per l’utilizzo dei fili metallici e per la tessitura, della categoria dei tessuti di lusso. Nei territori ungheresi erano facilmente raggiungibili i tipi di tessuto della vasta scala offerta dall’Impero ottomano: lo si deduce sia dalle fonti scritte sia dall’oggettistica sacra, in seguito alla trasformazione di pezzi di vestiario laici in paramenti liturgici. Benché Stazio Gadio non riveli di più sui particolari di questi vestiti, possiamo tuttavia cogliere un particolare: il braccio destro dei vestiti era ricoperto di ricami di perle, rendendo questi pezzi veramente straordinari. Nella parte restante della comitiva si ripete questo particolare, accennando al fatto che il braccio destro dei vestiti era di raso, quindi di un tessuto finissimo di lana. L’origine e la fattura di questo tipo di ornamento, 26 Hans Dernschwam, descrivendo il suo viaggio a Costantinopoli negli anni 1552–1555, ricorda i tempi di re Vladislao II (era venuto in Ungheria nel 1514, durante il regno di questo re, quando i signori ungheresi portavano ancora copricapi di pellame di zibellino e grandi piume), in: L. Tardy (ed.): Rabok, követek, kalmárok az Oszmán birodalomról, Budapest: Gondolat, 1977: 377. 27 Lettera di Stazio Gadio ad Isabella d’Este Gonzaga, 3 febbraio 1512, 1v. 28 E. Pásztor (ed.): Az Esterházy-kincstár textíliái az Iparművészeti Múzeum gyűjteményében. Thesaurus Domus Esterhazyanae II, Budapest: Iparművészeti Múzeum, 2010: 305. 442 Ágnes Szabó; György Domokos tuttavia, deve essere ancora oggetto di ulteriori ricerche.29 Anche i copricapi “all’ongaresca” portavano una decorazione di perle. Questo ornamento ci richiama alla mente i vestiti dei baroni e nobili al seguito di Mattia Corvino, presenti all’incontro dei sovrani a Iglau nel 1486. La descrizione dell’ambasciatore ferrarese Cesare Valentini dice di loro: “[…] tutti [erano] in vesti curti, alcuni ce n’erano con veste rechamate de perle, una bona parte et alcuni altri vestiti de crimisino e d’altri colori con foglie di testa assai ornate e belle, chi con perle e chi con zoye et alcuni che haveano le guagline.”30 Così i copricapi, riccamente ornati di perle, gemme e ricami, sembrano essere una caratteristica costante del vestiario della nobiltà ungherese. In seguito, nella sua descrizione, Valentini separa nettamente l’uso del vestito corto da quello del vestito lungo, essendo quest’ultimo usato in maniera univoca per il periodo della solennità liturgica, mentre il vestito corto, riccamente ornato anche questo di ricami e perle, era il vestito da corte e da cavalcatura. L’ambasciatore ferrarese chiama “turca” il vestito lungo, cucito all’esterno da broccato d’oro o di argento, oppure di seta colorita e foderato, all’interno, da pellicce fini. Nella descrizione dell’entrata a Roma, Gadio non rende conto della lunghezza dei vestiti, non nomina esplicitamente “turca” nessuno dei vestiti foderati, benché in Italia, da un po’ di tempo, facesse già parte della guardaroba di moda maschile e femminile questo pezzo di vestiario lungo, dalle funzioni variegate, fatto di stoffe varie, elegante ed esotico allo stesso tempo. Il suo approdo nella penisola sarà stato effettuato, molto probabilmente, per tramite della diplomazia turca, facendo presa sul gusto dei nobili dei territori nemici.31 Agli occhi del cortegiano italiano è molto più sorprendente, più che il vestiario e il copricapo degli ungheresi, un elemento accessorio: l’arma (decorativa) attaccata alla cintura ampia, decorata in argento, assieme agli speroni sugli stivali e ai finimenti dei cavalli, come vediamo dalla continuazione della lettera: Doppoi venero ottanta a cavallo a dui a dui vestiti tutti de veste di rosato,32 cinti ad una foggia con adornamenti di argento adorati 29 È possibile che si tratti di una variante del futuro dolmány e del mente senza manica, dove una delle maniche del dolmány viene decorata in questo modo. Per ulteriori dettagli si veda più avanti. 30 L. Óváry: ‘A modenai és mantovai levéltári kutatásokról’, Századok 23, 1889: 395. 31 Á. Szabó: Turca…, op.cit. 32 “Alli quali seguiano II vestiti de rosato à cavallo con due maze di argento in mane: Et doppoi epsi LXXX scuderi del papa vestiti rosato, subsequendo ad epsi XL Camarieri pur di sua S.ta et vestiti al medemo modo” (J. Shearman: The Florentine…, op.cit.: 150). L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 443 in petto che seravano denanti li vesti, e tanto grandi erano quelli allazamenti o botonaturi che coprivano quasi tutto il pecto lor, li lor manichi de li brazi destri tutti erano di ricami richi di oro, di perle coperti, li lor spade, stocchi et daghi haveano li fodri di argento, attacati a cinture largissimi, coperti di argento, sino li bolzadini a meza gamba al modo lor erano adornati di argento et li speroni anchor. Ciascuno de li cavalli havea fornimenti coperti di argento lavorato, perhò grossamente, ma in gran quantità, et vi erano de belli cavalli turchi, ongari et valacchi, et con questo ordini passorno per la Piaza di San Petro, per borgo, per ponti et per la via dritta de banchi andando al pallatio del signor Zo Jordano in Campo de Fior, ove allogiano et ultra questi che ho detto venuti ordinatamente passorno senza ordine molti che veramente computandoli tutti erano più di ducento cavalli con li muli.33 Il caratteristico pezzo di vestito decorativo, allacciato con cordicelle sul petto, come integrazione al già menzionato vestito in broccato turco, ritorna anche nella descrizione di due giorni dopo, quando la delegazione ungherese si reca alla seduta del concistoro. A questo punto possiamo citare anche l’altro testimone oculare, Ludovico da Fabriano, l’ambasciatore ferrarese che descrive questo evento del 30 gennaio 1512: …monsignor reverendissimo de Strigonio intrò et facte sue cerimonie consuete comparse la sua comitiva con gran pompa. Li primi forono octo gentili homini con veste d’oro con bellissime fodere com pecti de argento, perle et alcuni diverse zoie, apresso una infinità de altri con veste de brochati turcheschi de diversi colori, dipo de velluti rasi et rosati tucti con fodere et quelli soi pecti d’argento furono al numero de cento sedici. Li loro cavalli quasi tucti guarniti d’argento con certi ornamenti de fogliame relevato sopra la groppa. Fra questi forono ben IIII guarnimenti de perle, cavalli turchi assai che andavano ballando per la piaza. Cum tempo fo tirata certa artiglieria.34 33 34 Lettera di Stazio Gadio a Isabella d’Este-Gonzaga, 3 febbraio 1512, 1v–2r. Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 30 gennaio 1512, 1r. 444 Ágnes Szabó; György Domokos Tutto questo offriva, allo spettatore italiano, una visione straordinaria, inusuale, può essere quindi considerato come una caratteristica speciale del vestiario della delegazione ungherese. In base alla descrizione, tuttavia, non si riesce a capire nemmeno se, questa specie di mantello, si potesse allacciare tramite nastri ampi di fili di seta o metallo, oppure tramite cordicelle.35 Comunque sia, più tardi, verso la fine del Cinquecento, troviamo nei documenti italiani il termine ungherina, espressione che si riferisce ad un vestito aperto, in uso all’inizio del Seicento, che si poteva allacciare tramite cordicelle. Quanto detto ci permette di concludere che il vestiario ungherese poteva fungere, in questa evoluzione, da tramite nel campo della moda.36 Questo indumento con l’allacciamento tramite cordicelle lo ritroviamo anche nelle memorie di László Gorove, che descrive l’entrata del re ungherese Vladislao II nella città di Lőcse (oggi: Levoča, Slovacchia). In quell’occasione il vescovo di Eger, Tamás Bakóc, fece accompagnare il sovrano dal suo seguito personale per conferirgli una degna immagine. Come scrive Gorove: “Il vestito degli studenti luccicava di tanto oro, perle e frange, non solo al loro collo brillavano collane d’oro, ma perfino i cavalli erano adorni di decorazioni preziosissime e di finimenti, selle artifatte. Con tale ornamento questi cavalcavano precedendo i due re.”37 Abraham de Bruyn, incisore originario di Anversa che viveva a Colonia, in Germania, nel 1588 diede alla luce un lavoro sul modo di vestire dei popoli di quattro continenti. In quest’opera i nobili e cavalieri ungheresi, polacchi, russi e turchi sono rappresentati con questo vestito allacciato sul petto. L’ornamento a cordicelle ci conduce a due elementi importanti del vestiario dei nobili ungheresi nei secoli 16 e 17: il dolmány e il mente.38 Il mente poteva essere preparato di stoffa pesante o anche di tessuto di seta, quelli usati d’inverno erano anche foderati.39 Le prime menzioni in lingua ungherese risalgono 35 L. Tompos: ‘Példák a magyar férfiöltözék gombolásmódjának változataira a 16-tól a 20. századig’, Etnographia 17, 2006: 77–87. 36 G. Butazzi: ‘Oriente e moda nel Rinascimento. Una proposta di ricerca’, Arte Tessile 1991/2: 5. 37 L. Gorové: Eger történetei, Eger: Érseki Lyceum, 1876: 60; O. Bubryák: Családtörténet és reprezentáció. A galgóci Erdődy-várkastély gyűjteményei, Budapest: MTA BTK Művészettörténeti Intézet, 2013: 43. 38 L. Tompos: ‘Oriental and Western Influences on Hungarian Attire in the 16th and 17th Centuries’, in: I. Gerelyes (ed.): Turkish Flowers. Studies on Ottoman Art in Hungary, Budapest: Hungarian National Museum, 2005: 91; L. Tompos: Hatások, Jelek, Irányok. A magyarországi öltözetek és jelentéstartalmuk változása a 16–20. században, Budapest: Martin Opitz, 2022: 17‒24. 39 E. Pásztor (ed.): Az Esterházy-kincstár…, op.cit.: 306; L. Tompos: Oriental…, op.cit.: 91–92. L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 445 però solo alla metà del Cinquecento, mentre il dolmány è, sicuramente, una denominazione di origine turca-ottomana e, già alla fine del 15. secolo, inizio del 16. secolo, era presente nelle fonti.40 Jolán Balogh ha dimostrato la sua esistenza nell’inventario del lascito di Ippolito d’Este, dove viene menzionato in italiano nella forma “duloman al’hungarescha”.41 Il dolmány e il mente erano di foggia simile, ambedue erano una specie di cappotto. Il dolmány poteva essere di tessuto di seta, di velluto o di stoffa pesante, aveva una variante lunga, fino a mezza gamba, mentre il dolmány corto arrivava fino alla vita. La parte della vita era arcuata, Lilla Tompos la descrive come una caratteristica dei vestiti turchi, così come la parte anteriore, con chiusura in sovrapposizione, poteva ricalcare i modi del vestire turchi.42 La vita del dolmány, inoltre, era cinta normalmente da una cintura larga e caratteristica. La descrizione dell’entrata fatta da Stazio Gadio assume, in base a tutti questi elementi, un ruolo importante nella ricostruzione dei vestiti dei nobili. Ciò non solo per l’attenzione minuziosa della relazione, che accenna a vari dettagli, ma anche per le piccole osservazioni soggettive. Nella lettera sul concistoro del 30 gennaio, per esempio, parla di sei cavalieri, “[…] quatro vestiti di brocato d’oro nostrano, con belle fodre et collane, gli dui extremi grandi homini et parenti del cardinale, vestevano due vesti di panno d’oro richo et bello con collane grosse, et gioie assai nelle berette”. L’ambiente più vicino al cardinale comunicava quindi, tramite il vestiario, di essere “romano” e “cortegiano”, cosa che era subito evidente a chi appartenesse ad un contesto umanistico. Balza subito all’occhio, inoltre, che la persona e il vestito dello stesso cardinale vengono appena menzionati nel testo. Sorge la domanda sul perché Gadio abbia voluto descrivere quella scena quando, su richiesta del cardinale e su concessione del papa, tutta la delegazione fatta entrare nel concistoro, 111 persone, si recano 40 L. Benkő (ed.): A magyar nyelv történeti etimológiai szótára 1, Budapest: Akadémiai Kiadó, 1967: 656; J. Nagy: ‘Mente. Adalékok a magyar és szász összehasonlító viselettörténeti kutatásokhoz’, Ethnographia 104, 1993: 14–15; J. Balogh: Mátyás-kori…, op.cit.: 16. 41 Ibid. La parola ungherese dolmány, di origine turca-ottomana, si ritrova contemporaneamente anche nelle fonti italiane, come prestito, nella forma di tulimano. Da una lettera di un agente veneziano di Francesco Gonzaga veniamo a sapere, nel 1492, che il tulimano viene indossato sotto il casachie (un mantello lungo in uso a Venezia). In questo senso ha, quindi, una funzione analoga al dolmány ungherese. M. Bourne: ‘The Turban Turk in Renaissance Mantua: Francesco II Gonzaga’s Interest in Ottoman Fashion’, in: Ph. Jackson & G. Rebecchini (eds.): Mantova e il Rinascimento italiano. Studi in onore di David S. Chambers, Mantua: Sometti, 2011: 59. 62. 42 L. Tompos: ‘Az Esterházy-kincstár öltözékei’, in: E. Pásztor (ed.): Az Esterházy-kincstár…, op.cit.: 73. 446 Ágnes Szabó; György Domokos a baciare il piede del Santo Padre. Sulla figura di Tamás Bakóc, d’altro canto, vengono riferiti e tramandati ai posteri elementi in maniera relativamente schematica. Il seguito di Tamás Bakóc ha offerto una visione stupefacente e assai ricca di colori. Nella sua struttura aveva elementi simili alle processioni in uso in Italia, come i portatori di bandiere, i muli carichi, l’uso del rosato e la presenza di sei uomini con vestiti rinascimentali. Dalla trattazione dei vestiti, descritti nei minimi particolari, si evince che Stazio Gadio possiede una cultura del vestire sostanzialmente diversa da quella italiana. Nella comitiva del cardinale di Esztergom era rappresentato l’elemento “esotico” nella forma dei vestiti “alla turca”, la differenza fondamentale, tuttavia, consisteva nella visione unitaria dei vestiti e dell’armamento. Per quanto riguardava i vestiti si nota la predominanza dell’ornamento e dei materiali (metalli preziosi, perle, ricami), mentre nelle entrate italiane la parte maggiore spettava, seguendo i modelli antichi, alla metacomunicazione dei tessuti e degli elementi araldici. Fonti Presentiamo ora, in ordine cronologico, le quattro fonti consultate presso l’Archivio di Stato di Modena e presso l’Archivio di Stato di Mantova: le prime tre consistono nelle lettere di Ludovico da Fabriano, quella del 1 gennaio 1512 (in cui si accenna già al progetto, la scelta del giorno dell’entrata ed il colloquio tra Giulio II e Tamás Bakóc), la seconda del 30 gennaio 1512 (tre giorni dopo l’evento, una descrizione sommaria, però con elementi inediti) e la terza del 31 gennaio 1512 (con un ulteriore accenno all’incontro tra il papa e il cardinale ungherese). Le trascrizioni sono state eseguite in base alle lettere originali conservate presso l’Archivio di Stato di Modena, tenendo presenti le loro copie novecentesche che si conservano presso la Sala dei Manoscritti dell’Accademia delle Scienze Ungherese, le quali sono state preparate più di cento anni fa, con le originali ancora in buono stato. Segue poi, al n. 4, la lettera di Stazio Gadio del 2 febbraio 1512 a Isabella d’Este (la lettera che contiene anche la notizia del ritrovamento della lupa capitolina e della statua del dio Tevere e, in allegato, ricopia la descrizione minuziosa dell’entrata di Bakóc). Anche in questo caso possiamo fornire la trascrizione in base all’originale presente nell’Archivio di Stato di Mantova. Per la trascrizione abbiamo cercato di intervenire, tramite i segni diacritici e la punteggiatura moderni, solo al fine di rendere comprensibile il testo, senza L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 447 modificare le caratteristiche dell’ortografia cinquecentesca. La corrispondenza tra le diverse corti d’Italia era caratterizzata da una lingua aulica, “cortegiana”, ormai praticamente ripulita di elementi locali. Né Ludovico da Fabriano, né Stazio Gadio adoperano forme prettamente volgari, il loro stile è fine e l’ortografia è ancora priva di una norma stabile, rendendo perciò opaca, in qualche punto, l’interpretazione di alcuni passaggi. I termini tecnici che si riferiscono al vestiario sono ben padroneggiati, soprattutto da Stazio Gadio che, come detto, sembra essere stato un esperto nel campo della comunicazione visiva, oltre ad essere molto attento agli elementi relativi agli indumenti e all’organizzazione di eventi celebrativi. 1. Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 1 gennaio 1512 Segnature: Vestigia43 30. = Magyar Tudományos Akadémia, Kézirattár Ms. 4999/ 2, 11. La trascrizione è stata eseguita in base all’originale: Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Roma 19, Ludovico da Fabriano. [1r] Illustrissimo signore, questa matina visitando monsignore reverendissimo de Strigonio, me viste volontieri, li recomandai le cose de Vostra Signoria Illustrissima, informandolo che La se era ben portato con Nostro Signore, maxime circa concilium pisanum.44 Dipo multe bone parole che usò verso la prefata Vostra Signoria Illustrissima me disse che il Nostro Signore stava multo sdegnato contra de Lei, havendo portato le arme contra Sua Santità, dipo el caso occorso al signor Duca suo fratello (…)45 mandato el suo homo a Milano, et che Sua Santità stava in proposito vo(…) contra de Lei ad privationem, et sua Signoria Reverendissima havea facto un bonissimo (…) et farà bisognando regratiar quella de tanta humanità et tucto era per fare a savere ad Vostra Signoria scusandola che questa imputatione procedeva da maligni, et che non posseva essere vero, savendo che era in Ferrara et omne zorno cavalcava per la città col suo habito da cardinale, et non armato, como se scrivea. 43 Segna il numero nel database http://vestigia.hu/kereses/ Il Concilio di Pisa del 1511 era stato convocato, per volontà di re Luigi XII di Francia, per intimidire papa Giulio II. Secondo l’accenno della lettera Bakóc avrebbe chiarito davanti al papa la posizione di Ippolito d’Este. 45 Nella copia segnato allo stesso modo. 44 448 Ágnes Szabó; György Domokos Dipo disse haver facto grande instantia, che la privatione de San Severino46 se feria a uno altro tempo et non al zorno de la sua intrata et non possecte haver gratia. Disse apresso che havea inteso che Vostra Signoria Illustrissima rimandava a visitare in Ancona de (…) non era comparso homo al mondo, et quando havesse saputo stare tanto lì, haria mandato un suo sino a Ferrara, per visitare Quella. Respusi non havendo mandato deve essere proceduto per l’impedimento dela guerra, et non solo haria mandato, ma seria andato im persona, per fare quel debito se ricercava verso sua Signoria Reverendissima, alla quale era servitore et obediente figliolo. Parme adonqua Vostra Signoria Illustrissima senza dilatione scriva secondo li parerà et remediare con Nostro Signore non li vengha fantasia procedere più avante. Questo me pare, poterà disporre de Nostro Signore quanto vorrà per la dependentia de quelli regni in questi tempi. [1v] et bene valeat Dominatio Vestra Illustrissima, Rome, prima Januarii 1512. Dominationis Vestre Illustrissime humillimus servulus Ludovicus Fabrianus Strigonio è de quel medesimo parere, secondo ho scripto, che il cardinale de Arragona [32]47 perderia tempo intrometterse per accordio [47] fra il Christianissimo48 et il Papa [XV] et tene pro firmo il Papa mai li verrà salvo forzato non parendoli altra mente che mi ne parle, l’ò priegato (…) ne faza una parola. Adzò Sua Santità cognosca el bono animo de Vostra Signoria [32] verso la (…) [1v] Illustrissimo et Reverendissimo Domino, Domino Hippolito Sancte Romane Ecclesie Diacono Cardinali Estensi et Domino Singularissimo. 2. Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 30 gennaio 1512 Segnature: Vestigia 29. = Magyar Tudományos Akadémia, Kézirattár, Ms. 4999/2, 10. La trascrizione è stata eseguita in base all’originale: Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Roma 19, Ludovico da Fabriano 46 Cardinal Federico Sanseverino (1472–1516), privato dal titolo di cardinale da parte di papa Giulio II per aver concorso al concilio pisano del 1511. 47 I numeri inseriti nel testo sono, in verità, delle cifre che rimandano alle persone, i cui nomi sono stati aggiunti da un’altra mano. 48 Luigi XII, re di Francia (1498–1515). L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 449 [1r] Illustrissimo Signore. Questa matina che è el penultimo del mese, Nostro Signore in publico consistorio ha privato Santo Severino. Le cause dela privatione, secondo referì l’avocato consistoriale è state che sempre è aderito alli cardinali sismatici dipo andato in Lamagna49 per indurre lo imperatore al concilio pisano et dismembrare da l’amicitia et devotione de Nostro Signore et questa Santa Sede. Hoc facto monsignor reverendissimo de Strigonio intrò et facte sue cerimonie consuete, comparse la sua comitiva con gran pompe. Li primi forono octo gentili homini con veste d’oro con bellissime fodere com pecti de argento, perle et alcuni diverse zoie, apresso una infinità de altri con veste de brochati turcheschi de diversi colori, dipo de velluti rasi et rosati tucti con fodere et quelli soi pecti d’argento furono al numero de cento sedeci. Li loro cavalli quasi tucti guarniti d’argento con certi ornamenti de fogliame relevato sopra la groppa. Fra questi forono ben IIII guarnimenti de perle, cavalli turchi assai che andavano ballando per la piaza. Cum tempo fo tirata certa artiglieria. La persona del cardinale era sopra uno cavallo pomato. L’intrata loro in Roma fo ancho um bello spectaculo. Venivano al ordinanza con loro pennachie, targhe guarnite et tucti foderi de simitare d’argento, pure con fornimenti, speroni richi et maniche ricamate de perle. È stata reputata una sumptuosa comitiva, più che se ricorde un tempo. La sua persona sta robiconda et multo vivace et atende a fare bona cera. Et bene valeat Dominatio vestra illustrissima. Rome, penultima Januarii MDXII. Eiusdem Vestre Dominationis Illustrissime humillimus servulus Ludovicus Fabrianus [1v] Reverendissimo et Illustrissimo Domino, Domino Ippolito Sancte Romane Ecclesie Diacono Cardinali Estensi et Domino meo singularissimo. 3. Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, 31 gennaio 1512 Segnature: Vestigia 28. / Magyar Tudományos Akadémia, Kézirattár, Ms. 4999/2,9. / Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Roma 19, Ludovico da Fabriano [1r] Illustrissimo Signore, per diverse mie dava aviso più dì sono como Nostro Signore è intrato suspecto che Vostra Signoria Illustrissima habbia mandato uno de li soi stratioti como porcuratore a trovarese presente alla messa canto santa croce al zorno di Natale in Milano et da quel tempo più volte ha detto che 49 Alemagna, i.e. Germania. 450 Ágnes Szabó; György Domokos trovando essere vero ne farà desmontrazione. Ho aspectato che Vostra Signoria Illustrissima in zò voglia chiarire la mente de sua Santità et sino requstanti non ho un minimo aviso. Le ultime de Quella sonno state de XVII de dicembre. Dipo la presa de la Bastia e eleaso sucurso al Signor Duca de la percossa de la testa è stato decto ad sua Santità como el governo et tucte gente d’arme era apresso la prefata Vostra Signoria Illustrissima et più che là se trovava im persona in argenta con gente d’arme. Nostro Signore con alcuni ne ha parlato et decto: Alfonso stae male et el cardnale governate e (…) et che La se trova in campo alla disconecta. Circa viii dì parlando como altro disse el simile, dicendo il cadinale ce fa più guerra che non feva Alfonso, per mia fe. Per mia fe forse ce poteria fare mutare de fantasia. Venero matina uscito di concistoro publico dispogliandose il piviale disse a [23] cardinale de Aragonia: el cardinale da Este sta in campo – l’amico sentiva. Secondo referisce il suo medico judeo. Questo me ha pregato se così è che la preghi per l’amor di Dio a honestare, per non indurre Nostro Signore a qualche inconveniente. Questo aviso primo è venuto da [Bernardo Bibiena] quale scrive queste formal parole: Domino Alfonso da Este sta male a non se lassar vedere et bisogno se faza tragniare la testa; Dono Hippolyto governa con le gente d’arme, et non trova chi voglia stare in la Bastia. Monsignor reverendissimo de Strigonio per el mastro de cerimonie supplicò Nostro Signore li fesse gratia che non se voleva trovare alla privatione di San Severino. Sua Santità respose queste formali parole: Siamo contenti in questo satisfarlo, dipo serà buon mezo aconzare le cose del cardinale da Este et de suo fratello, savendo po disporre di questi signori. Et bene valeat Dominatio Vestra Illustirissima. Roma, ultima Januari MDXII. Eiusdem Vestre Dominationis Illustrissime humillimus servitor Ludovicus Fabrianus [1v] Reverendissimo et Illustrissimo Domino, Domino Ippolito Sancte Romane Ecclesie Diacono Cardinali Estensi, Domino meo singularissimo. 4. Lettera di Stazio Gadio a Isabella d’Este Gonzaga, con copia della lettera dello stesso giorno indirizzata a Francesco Gonzaga, Roma, 2 febbraio 1512 Segnatura: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga b. 860 (Ambasciatori Roma, anno 1512) [1r] Illustrissima et excellentissima signora mia unica, non havendo altro di posser scriver a vostra excellentia, mando la copia de la lettera ch’io scrivo allo L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 451 illustrissimo signor mio de la entrata del cardinale di Strigonia, et l’aviso como il signor Federico si conserva sano et bello al possibile et spesso va a solazo per Roma, et à piacer al parco di terme di San Petro in Vincula ad far correr daini, capre, cervi et coniglii. Nostro Signore lo accareza al solito benissimo, et ogni dì magna et gioca seco con gran piacer di sua Santità. Qua in Roma in una casa sotto terra è stà ritrovato uno marmore nel qual sono intagliate di relevo quatro figure, il dio del fiume Tevere, homo grande più del naturale, con la barba longa et capilli et una girlanda in testa de fronde, stassi apostato sopra il cubito destro et ha uno corno de divitie nella man dritta, ha panni a torno ma il corpo è quasi tutto scoperto nudo e sopra l’acqua nella ripa è una lupa a colegata con Romulo e Remo putini che tetano, fatti con bono modo et gratia, cosa molto laudata, benché alli putini manchino le teste, uno brazo et una gamba, et alla lupa megio il mustatio. Nostro Signore se l’ha fatto menar il Belvedere, per metterlo presso le altre antiquità belle che vi sono. Agurolo a vostra Excellentia, benché il seria alquanto discontio ad poterlo condur sin lì, ma voria che vi fusse senza pensar di trovare modo di posserlo condure. Baso la mane a vostra excellentia et me le racomando. Rome, secundo Febrauarii MDCXII. Messer Bonifacio Parmesano basa la mane a vostra Excellentia et se le racomanda. Di vostra Excellentia servo fidelissimo Statio Copia [1r] Illustrissimo et excellentissimo signore mio colendissimo: Vostra Excellenza debbe saper che ’l reverendissimo cardinale de Strigonia è stato molti giorni in Ancona et prima che’l habbi voluto partire de là per venir a Roma, ha voluto uno breve da Nostro Signore de licentia di poter testar de le cose sue accadendo la morte sua in queste parti et che’l vescovato di Strigonia si intenda esser vacato non in corte di Roma ma in Ongaria, qual obtenute queste gratie da Nostro Signore è venuto qua et ha fatto una bella entrata. Marti proximo passato alli XXVII di januario entrò adunche in Roma, et venne al Populo, non volendo la Santità di Nostro Signore che’l venessi a pallatio sino veneri et per questo non comparse sino quel giorno. Ma perché il papa volse vedere la sua famiglia, informato che era bella, et ben in ordine, como fu vero, accompagnato il cardinale nel Populo, et restando perhò con lui li più nobili et principali, il resto de la famiglia ritornò per Pontemolo, et voltò sotto Belvedere, entrando 452 Ágnes Szabó; György Domokos per la Porta de la Piaza di San Petro, a questo modo stando Nostro Signore ad vedere. Prima venero inanti quaranta muli carichi con li coperti di rosato con panno biancho et gialo intertagliato sopra et l’arma sua in meggio che è megia rota sopra qual sta megia cerva in campo agiuro et tutti quaranta ad uno modo ordinatamente che faceva bel vedere, segueva poi la famiglia, prima tre ben vestiti di veste brocato turchesco con capelli al ongarescha adornati de gioie, perle et lavorati d’oro, con la manica dritta del brazzo destro tutta [1v] recamata de richo lavoro, et de molti perle sopra tre cavalli turchi molto belli guarniti di argento et di recame, dreto lor venevano quindeci ben a cavallo, sei portavano lanzi con le banderoli rossi et bianchi a modo di stratiotti, li altri nove haveano in testa penacchi grandi bianchi che li coprevano quasi tutte le spalle, poi cinque a cavallo conducevano cinque belli cavalli a mane con coperti ben lavorati, altri quindeci con li lanzetti et bandere andavano subito dretto, doppoi venero ottanta a cavallo a dui a dui vestiti tutti de veste di rosato, cinti ad una foggia con adornamenti di argento adorati in petto che seravano denanti li vesti, e tanto grandi erano quelli allazamenti o botonaturi che coprivano quasi tutto il pecto lor, li lor manichi de li brazi destri tutti erano di ricami richi di oro, di perle coperti, li loi spade, stocchi et daghi haveano li fodri di argento, attacati a cinture largissimi, coperti di argento, sino li bolzadini a meza gamba al modo lor erano adornati di argento et li speroni anchor. Ciascuno de li cavalli havea fornimenti coperti di argento lavorato, perhò grossamente ma in gran quantità, et vi erano de belli cavalli turchi, ongari et valacchi, et con questo ordini passorno per la Piaza di San Petro, per borgo, per ponti et per la via dritta de banchi andando al pallatio del signor Zo Jordano in Campo de Fior, ove allogiano et ultra questi che ho detto venuti ordinatamente passorno senza ordine [2r] molti che veramente computandoli tutti erano più di ducento cavalli con li muli. Veneri alli XXX dil passato havendo Nostro Signore fatto concistorio publico nella gran sala, sì per privar San Severino, como per acceptar questo cardinale. La matina a bon hora tutti gli cardinali andorno ad tuor ditto cardinale ongaro al Populo, ove era, et lo conducero in pallatio con questo ordine: prima venero tutte le famiglie de cardinali confusamente, poi tutti li ongari ordinatamente a dui a dui, inanti erano otto vestiti di veste di brocato d’oro turchesco con quelli adornamenti di petto di argento adorato che ho detto, fodri de arme cincture, speroni et bolzadini forniti, anzi coperti de lamme di argento, li altri haveano vesti di diversi drappi con qualche belle fodre di vulpe bianche, dossi martori et zibellini, nel ultima di questa compagnia erano sei cavallieri, quatro vestiti di brocato d’oro nostrano, con belle fodre et collane, gli dui extremi grandi homini et parenti del cardinale, vestevano due L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte 453 vesti di panno d’oro richo et bello con collane grosse, et gioie assai nelle berette. Questi sei haveano cavalli sotto grandi capeza di mori con fornimenti larghi tutti recamati di perle, gioie et oro superba, et richa cosa, ciascuno de li altri era ben a cavallo chi con turcho con girelli di raso di veluto et li testere tutte di argento, chi con cavalli vestiti al ongarescha, et tutti li fornimenti coperti di argento lavorato a fogliami con vasi sopra la croppa di argento alti una spanna, con collane alli cavalli di argento adorate e botoni grossi di argento pendenti sotto la gola. [2v] Inmediate doppo questi venero li cardinali, excepto l’ongaro accompagnato da dui diaconi, Senna et Cornaro: che lo conducero in pallatio per un’altra via et lo posero in alcune camere, ovi stette con la sua compagnia, sino che fu finita la privatione di San Severino alla qual non volse ritornarsi. Fornita essa, el prefato cardinale, accompagnato pur da dui diaconi venne in concistorio et fece reverentia a Nostro Signore basandoli il piede, la mane, et il volto, al qual sua Santità fece bona cera et accarezò assai poi andò a basar tutti li cardinali et posesi al loco suo primo de li cardinali preti. Stato ivi alquanto si levò, et andò ad dimandar gratia a Nostro Signore che si lassasse basar il piede alla sua famiglia al che voluntier condescese e prima venne uno ambasator ongaro, prelato, poi cinque vescovi et successive vinticinque preti. Doppoi li seculari quali erano ottanta et con questo finiò il concistorio, et tutti li cardinali accompagnorno il ditto cardinale ongaro a casa con sono di trombe, tamburini et artigliaria nel giongere et partir di pallatio, et nel passar da castello Sant’Angelo. Sabbato andò a visitar Nostro Signore et mo andarà ad visitar tutti li cardinali a casa loro. Hozi la Santità di Nostro Signore dovea andar al Populo ad far la cerimonia de le candele, ma non vi è andato, et li cardinali l’hanno fatta lor. Il signor Federico sta bene et sano et ogni sera magna et gioca con Nostro Signore, pigliandone sua Santità gran piacere, lo vede voluntieri, et lo accareza al solito. Raccomandomi alla bona gratia di vostra Excellentia. Rome, secundo Februarii MDXII. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani alla luce delle ambasciate inviate e ricevute (1490–1526). Uno schizzo Bálint Lakatos Gruppo di ricerca ungherese per gli studi medievali claustrarius@gmail.com Abstract The relationships between the Hungarian-Bohemian kings Vladislaus II (1490–1516) and his son Louis II (1516–1526) and certain Italian states can be characterised by the number and distribution of the envoys sent and received. Milan, Florence and Naples were occasional, while the Holy See and Venice were regular destinations of the Hungarian diplomats. In the case of the former, relations were largely determined by the dynastic ties that King Matthias Corvinus had established or sought to establish, and then they were cut (the remarriage of the widowed Queen Beatrix to Vladislaus II and their curial divorce, lasted until 1500). Florence’s connections extended to commercial interests. With the Pope and Venice there was a reciprocal, balanced ambassadorial presence, also because of the common Ottoman threat, but on the Hungarian side an ‘ultramontane’, more archaic system of ad hoc missions, based on personal specialisation, can be compared with a hierarchical and representational diplomatic organisation with long-term assignments. Oggigiorno l’esame dei rapporti diplomatici viene considerato un elemento delle ricerche più ampie sulla storia delle relazioni tra Paesi. Questa concezione può essere utile nella presentazione dei rapporti molteplici tra due Paesi. Nel mio saggio, invece, mi concentro esclusivamente sulla comunicazione politica a livello superiore, ossia su un solo elemento: l’invio e l’accoglienza degli ambasciatori tra alcuni stati italiani e il Regno d’Ungheria nei trentasei anni che 456 Bálint Lakatos intercorrono tra la morte del re Mattia Corvino (1490) e la sconfitta di Mohács (1526), che segnò la fine del Medioevo ungherese. Questo periodo può essere interpretato solo dal punto di vista storico ungherese: copre i regni di due re, padre e figlio del ramo ungherese-ceco della dinastia Jagello, Vladislao II (1490–1516) e Luigi II (1516–1526). Perché prendo dunque in considerazione solo gli ambasciatori? Perché l’invio degli ambasciatori è il livello superiore della creazione dei legami diplomatici tra due paesi, ovviamente senza contare l’incontro personale dei sovrani. Ovunque mandassero un inviato, era considerato un importante sodalizio. Se solo scrivevano una lettera all’altra parte, in quel periodo veniva inviata anche tramite un corriere, dunque il rapporto aveva sicuramente un carattere personale. L’intensità e la ripartizione dell’invio e dell’accoglienza degli ambasciatori delineano quindi anche il modello delle relazioni.1 Prima della mia analisi – che è solo abbozzata – premetto quattro cose. Primo, essendo la politica estera primariamente dinastica nel medioevo e nella prima età moderna, parlerò della politica estera di sovrani e non di stati, anche se menzionerò i Paesi coinvolti. Secondo, nell’epoca non esisteva ancora il concetto di sovranità; praticamente chiunque avesse abbastanza autorità, potere, possibilità e naturalmente soldi, poteva mandare degli ambasciatori. Nella mia analisi, tuttavia, tengo presente primariamente il restringimento dato dalla concezione di sovranità, non parlerò quindi, per esempio, degli ambasciatori della regina Beatrice, vedova di Mattia Corvino (†1508).2 Terzo, all’epoca non era precisamente definito chi potesse identificarsi come ambasciatore. La serie di relazioni scoperte dal Gruppo di Ricerca Vestigia, per esempio, proveniva dai deputati residenti in Ungheria di Ippolito d’Este, arcivescovo di Esztergom, poi vescovo di Eger, ma secondo i nostri termini di oggi loro non potrebberro essere considerati ambasciatori.3 1 W. Höflechner: ‘Anmerkungen zu Diplomatie und Gesandtschaftswesen am Ende des 15. Jahrhunderts’, Mitteilungen des Österreichischen Staatsarchivs 32, 1979: 1–23, p. 23 (nel appendice, tavola C). 2 Aragoniai Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok, a cura di Albert Berzeviczy, Budapest: Akadémia, 1914 (Monumenta Hungariae Historica, Magyar történelmi emlékek. Diplomataria, Okmánytárak 39): passim, Lipót Óváry (ed.): A Magyar Tud. Akadémia történelmi bizottságának oklevél-másolatai. 1. füzet. (A mohácsi vész előtti okiratok kivonatai), Budapest: Akadémia, 1890 (= Óváry I): 153 (n. 624, Felice da Nola), 169 (n. 695), 170 (n. 699). Vedi anche Albert Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, tradotto dall’ungherese da Rodolfo Mosca, Milano: Corbaccio, 1931 (ristampa Milano: Dall’Oglio, 1962): passim. 3 http://vestigia.hu/kereses/ (data della visita: 20 gennaio 2022), Gy. Domokos: ‘A pestis és a gepárd: Ercole Pio, Estei Hippolit egy ügynökének beszámolói Magyarországról, 1508–1510’, in: Gy. Domokos, N. Mátyus & Armando Nuzzo (eds.): Vestigia. Mohács előtti magyar források olasz Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 457 In quarto e ultimo luogo devo menzionare “il mito” delle legazioni permanenti. Applicando i termini diplomatici dell’età moderna si crede che, a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, ci fosse il periodo delle legazioni permanenti, mandate in un solo luogo.4 In realtà in quest’epoca le ambascerie permanenti sono rarissime fuori dall’Italia. I trattati dell’epoca dissertano sul fatto che le legazioni solenni sono missioni casuali, di genere ad-hoc, solo gli amministratori si trovano costantemente nelle corti dei sovrani. La situazione cambiò in Europa alla fine del Cinquecento.5 È quindi importante rendersi conto che, in questo senso, l’Italia sia un’eccezione. Fritz Ernst, in un suo articolo del 1951, offrì un modello divenuto poi utile che distingue tre categorie, che Ernst considerava successive nel tempo e interdipendenti, adesso siamo portati a tenerle tutte distinte. Dunque la prima categoria è l’ambasceria rappresentativa e casuale, la seconda è un tipo di ambasceria “comunicativa” di una durata più lunga e che abbracciava più temi, la terza è un tipo di ambasceria stabilizzata e rappresentativa.6 Come vedremo, le missioni casuali erano la norma all’epoca, quelle prolungate, comunicative e stabilizzate sono quindi da considerarsi qualcosa di eccezionale. könyvtárakban, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 185–196, Gy. Domokos (ed.): A jámbor Herkules. Estei Hippolit bíboros egri kormányzója, Ercole Pio beszámolói Magyarországról 1508–1510, Budapest: Balassi Kiadó, 2019, Gy. Domokos & R. Erős: ‘Ercole Pio e le indulgenze di Eger’, Verbum 16, 2015: 43–58. Il professor György Domokos pubblica anche la corrispondenza di Taddeo Lardi, governatore del vescovato di Eger. 4 Adolf Schaube: ‘Zur Entstehung der ständigen Gesandtschaften’, Mitteilungen des Instituts für österreichische Geschichtsforschung 10, 1889: 501–552, pp. 501–505, 535–542, Garrett Mattingly: Renaissance Diplomacy, 2nd ed., Baltimore: Penguine Books, 1964 (Peregrine Books 45): 47– 70, 87–93, 132–139, Donald E. Queller: The Office of Ambassador in the Middle Ages, Princeton: Princeton University Press, 1967: 75–84, Matthew S. Anderson: The Rise of Modern Diplomacy 1450–1919, London & New York: Longman, 1993: 8–20. 5 Per l’edizione dei trattati sugli inviati, vedi Vladimir E. Hrabar (ed): De legatis et legationibus tractatus varii. Bernardi de Rosergio Ambaxiatorum breviolgus, Hermaolai Barbari De officio Legati, Martini Garrati Laudensis De Legatis maxime principum. Ex aliis excerpta qui eadem de re usque ad annum MDCXXV scripserunt, Dorpat: Mattiesen, 1906. Betty Behrens: ‘Treatises on the Ambassador Written in the Fifteenth and Early Sixteenth Centuries’, The English Historical Review 51, 1936, 616–627, pp. 620–621; Catherine Fletcher: Diplomacy in Renaissance Rome. The Rise of the Resident Ambassador, Cambridge: Cambridge University Press, 2015: 38–45, Manfred Hollegger: ‘Anlassgesandtschaften – ständige Gesandtschaften – Sondergesandtschaften. Das Gesandtschaftswesen in der Zeit Maximilians I.’, in: Sonja Dünnebeil & Christine Ottner (eds.): Aussenpolitisches Handeln im ausgehenden Mittelalter: Akteure und Ziele. Wien–Köln–Weimar: Böhlau, 2007 (Forschungen zur kaiser- und Papstgeschichte des Mittelalters, Beihefte zu J. F. Böhmer, Regesta Imperii 27): 213–225, pp. 213–218. 6 Fritz Ernst: ‘Über Gesandschaftswesen und Diplomatie an der Wende vom Mittelalter zur Neuzeit’, Archiv für Kulturgeschichte 33, 1950–1951: 64–95, pp. 88–90. 458 Bálint Lakatos La distribuzione degli inviati dai re ungheresi in generale Vediamo ora lo spazio relazionale europeo dal punto di vista del re ungheresececo.7 Vladislao II e Luigi II mandavano ambasciatori in 15 centri di potere. I partner destinatari si dividono in due gruppi: le corti visitate occasionalmente e quelle ricorrentemente, normalmente più di 10 volte. I partner ricorrenti, oltre la Santa Sede Apostolica, erano esclusivamente i paesi vicini. Per quanto riguarda l’Italia era designata la Repubblica di Venezia, mentre Milano, Firenze e Napoli erano potenze visitate solo occasionalmente.8 Destinazione n. Destinazione n. Sacro Romano Impero Regno di Polonia Impero Ottomano Repubblica di Venezia Santa Sede Moldavia Valacchia Regno di Francia 55 35 32 22 17 13 7 4 Repubblica di Ragusa Repubblica di Firenze Regno d’Inghilterra Granducato di Muscovia Cavalieri di Rodi Ducato di Milano Regno di Napoli 3 2 2 2 2 1 1 Tavola 1. Destinazioni delle ambasciate ungheresi (1490–1526). – Gli stati italiani sono elencati in grassetto. Fonte dei dati: B. Lakatos: ‘A király diplomatái… I e II.’, op.cit.: passim. Per il Sacro Romano Impero, ho contato le ambasciate inviate all’imperatore, all’assemblea imperiale (Reichstag) e a certe zone dell’Impero (Baviera, Austria, Brandeburgo). Il Regno di Polonia è incluso con il Granducato di Lituania (non c’era un inviato separato al Granducato di Lituania dal re ungherese-ceco). Ho preso solo le date sicure. Il segno n. = numero delle ambasciate (e non il numero degli ambasciatori, poiché un’ambasciata era talvolta composta da più persone). 7 I dati qui presentati sono tratti da un mio studio precedente, pubblicato in due parti: B. Lakatos: ‘A király diplomatái. Követek és követségek a Jagelló-korban (1490–1526). I. rész. Kutatási vázlat’, Történelmi Szemle 61, 2019: 593–616 e idem.: ‘A király diplomatái. Követek és követségek a Jagelló-korban (1490–1526). II. rész. Adattár’, Történelmi Szemle 62, 2020: 281–362. Il suo antecedente, pubblicato in inglese, era semplificato e conteneva ancora meno dati: B. Lakatos: ‘Diplomats of the Kings of Hungary and Bohemia (1490–1526)’, in: S. Miljan, É. B. Halász & A. Simon (eds.): Reform and Renewal in Medieval East and Central Europe: Politics, Law and Society (Minerva III. Acta europea 15/Studies in Russia and Eastern Europe 14), Cluj-Napoca–Zagreb– London: Romanian Academy, Centre for Transylvanian Studies & Croatian Academy of Sciences and Arts & School of Slavonic and East European Studies, University College of London, 2019: 305–338. 8 La mappa è stata disegnata da Béla Nagy. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 459 460 Bálint Lakatos La stessa immagine si profila organizzando i Paesi destinati e organizzati in scala discendente. Nella politica estera, tra gli stati italiani, la Signoria di Venezia fu partner 22 volte e il Santo Padre 17 volte, mentre Milano, Firenze e Napoli solo una o due volte adeguatamente ai summenzionati. Inoltre, come vedremo, di queste ultime missioni le ambasciate a Firenze sono state effettuate alla fine del periodo studiato, nel 1522 e nel 1525, quelle a Milano e a Napoli, invece, nel 1491 e nel 1493. Questa rappresenta, tuttavia, solo una delle facce della medaglia. Nel segno della vicendevolezza è necessario esaminare anche gli ambasciatori inviati dall’estero alla corte ungherese. Quanto è stato equilibrato il numero di ambasciate inviate e ricevute? Gli stati italiani offrono buoni esempi per esaminare la questione. Tra i cinque poteri più notevoli della Penisola italiana – nel periodo successivo alla pace di Lodi (1454), fino all’inizio delle grandi guerre in Italia (1494–1559) vale la pena trattare separatamente Roma e Venezia, perché i rapporti con gli altri stati italiani erano caratterizzati principalmente da legami dinastici, stretti o desiderati da Mattia Corvino9 e, dopo la sua morte, dall’eliminazione di essi: dal problema del matrimonio non consumato della regina vedova Beatrice d’Aragona con Vladislao II (che oggi sarebbe chiamato uno scandalo internazionale), dal loro processo di divorzio prolungato alla Curia Romana fino al 150010 e, nello stesso tempo, dalla questione del matrimonio reale ungherese della duchessa Bianca Maria Sforza, una volta fidanzata con János Corvin. Firenze invece restò fuori anche da questo cerchio. Per i dati sulle ambasciate discusse qui di seguito, si veda l’Appendice. Napoli, Ferrara, Milano e Firenze Vediamo questi legami dinastici da più vicino. Fin dall’inizio del processo di divorzio furono inviati da Napoli in Ungheria, in favore di Beatrice, più ambasciatori, mentre Vladislao II mandò solo una volta a Napoli, nel gennaio del 1493, il vescovo Antal Sánkfalvi, che viaggiò a Roma attraverso Venezia e, alla 9 A. Kubinyi: Matthias rex, Tradotto in inglese da A. T. Gane. Budapest: Balassi Kiadó, 2008: 135–136, 138–140, 143–144. 10 La sentenza: Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 387–403, A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, op.cit.: 264–271. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 461 Curia, prese parte al processo.11 Non tratterò qui degli inviati e dei delegati della regina Beatrice a Napoli, Ferrara e Venezia. Siccome la regina Beatrice fu la cognata di Ercole duca di Ferrara tramite Eleonora, sua sorella, si ebbe una legazione del 1490 e 1491 da Ferrara che non fu costituita dagli agenti già menzionati dell’arcivescovo Ippolito, ma fu direttamente mandata alla corte reale.12 L’incarico del vescovo di Adria, Nicolò Maria d’Este, nipote del duca Ercole e quelli di Armano de Nobili servirono per il saluto d’onore al nuovo re, per comprendere il valore effettivo del suo matrimonio con la regina Beatrice e perla difesa degli interessi d’Ippolito. Due rapporti finali sull’ambasciata sono sopravvissuti con più o meno lo stesso contenuto. Dopo alcuni mesi di prigionia a Zagabria, ritornarono a seguito di varie peripezie, nella primavera e nell’estate del 1491, senza maggiori risultati.13 Non siamo invece a conoscenza delle legazioni mandate direttamente dal re ungherese ai duchi di Ferrara. Tutto questo fu colorato dal tiremmolla diplomatico con il Ducato di Milano. L’ambasciatore Maffeo di Treviglio, mandato alla corte di Mattia Corvino da Milano nel 1485, originalmente lavorava per la realizzazione del matrimonio di János Corvin e Bianca Maria Sforza14 e, al tempo della morte di Mattia Corvino, fu alla corte a Vienna. Nella nuova situazione restò in Ungheria fino all’estate del 1491 e fece trattative sul matrimonio di Bianca Maria e Vladislao, comunicando soprattutto con il cancelliere ungherese, Tamás Bakóc.15 Anche dopo il suo ritorno rimase in contatto con la corte di Buda: le trattative segrete continuarono, attraverso corrispondenze, fino all’autunno del 1492 grazie alla mediazione dell’abate di San Mercuriale di Forlì e, nel contempo, del governatore dell’abbazia benedettina di Pécsvárad, Nicolò Bartolini. Nel frattempo 11 M. Hlavačková: ‘A Diplomat in the Service of the Kings of Hungary. The Activity of the Bishop of Nitra Antony of Šankovce at the End of the Middle Ages’, Historický časopis 59, 2011/Supplement: 3–24, pp. 16–18. 12 Vedi in generale M. Folin, ‘Gli oratori estensi nel sistema politico italiano (1440–1505)’, in: G. Fragnito & M. Miegge (a cura di): Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, Firenze: SISMEL – Edizioni del Galuzzo, 2001: 51–83. 13 A. J. Sárközi: Documenti di una ambasciata difficile: Lettere di Nicolò Maria d’Este ed Armanno de’Nobili, Tesi MA, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 10–17, 26–39 (edizione). 14 A. Kubinyi: Matthias rex, op.cit.: 143–144. 15 Lucia Maria Negri: Lettere dall’Ungheria di Maffeo di Treviglio: La fine del regno di Mattia Corvino, Tesi di laurea, Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Filologia Moderna, 2007: XXII–XXIII, pubblicazione sue lettere fino al 6 settembre 1490: ibid.: 2–86, D. Labancz: Lettere su e dall’Ungheria 1491. Tesi di laurea, Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Filologia Moderna, 2012: 5–14. 462 Bálint Lakatos due altri ambasciatori arrivarono in Ungheria da Milano, Rafaello de la Caude e Paolo Lanterio. Alla fine, per le conseguenze degli sviluppi avvenuti a Roma, la parte milanese fece un passo indietro sul matrimonio progettato e supportò Napoli, o meglio dire Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero, marito di Bianca Maria,16 al contrario di quanto accadde in occasione del divorzio di Beatrice e Vladislao. Dopo quest’occasione apparse una legazione milanese a Buda solo nel febbraio del 1500, non si è però a conoscenza di chi fossero gli ambasciatori. Quest’ambasceria è conosciuta con una sola data sporadica e finora non verificata. Vladislao II mandò a Milano un ambasciatore, il boemo Petrus Falco, che non è stato ancora identificato (forse un Petr Sokol z Mor, dal paese di Mory – membro di una famiglia di origine borghese della città di Louny in Boemia?), solo una volta per le trattative segrete sul matrimonio. Quella tra l’Ungheria e Milano, quindi, non è una relazione diplomatica continua. La relazione diplomatica con la Repubblica di Firenze non era continua nemmeno all’epoca di Mattia Corvino.17 I contatti nell’epoca dei Jagelloni si limitarono alle interessenze commerciali tra fiorentini e ungheresi e, a questo proposito, devo menzionare le ricerche di Zsuzsa Teke, Krisztina Arany e Katalin Prajda, che si concentra più sulla prima metà del Quattrocento.18 Questi contatti non erano quindi generalmente di livello diplomatico, tranne in casi come nel gennaio del 1524, quando papa Clemente VII, della famiglia Medici di Firenze, indirizzò diversi brevi al legato Vio, al re Luigi II d’Ungheria e al cancelliere ungherese László Szalkai, riguardo ai beni confiscati e alla successione del mercante Pietro Corsellini, che era morto a Buda.19 Dall’epoca di 16 D. Unterholzner: Bianca Maria Sfoza (1472–1510). Herrschaftliche Handelsspielräume einer Königin vor dem Hintergrund von Hof, Familie und Dynastie. Dissertation zur Erlangung des Doktorgrades der Philosophie an der Philosophish-Historischen Fakultät der Leopold-FranzensUniversität zu Innsbruck. Innsbruck: Leopold-Franzens-Universität, 2015: 36–51. (Online: https: //diglib.uibk.ac.at/ulbtirolhs/download/pdf/761506?originalFilename=true – data della visita: 20 gennaio 2022.) 17 Zs. Teke: ‘Economia e politica nei rapporti tra Firenze e Ungheria durante il Quattrocento’, in: P. Farbaky et al. (eds.): Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria, Firenze: Giunti, 2013: 68–75, pp. 70, 72–73. 18 Zs. Teke: ‘Egy firenzei kereskedő a Jagelló-korban: Raggione Bontempi 1488–1528’, Századok 141, 2007: 967–990, K. Arany: Florentine Families in Hungary in the First Half of the Fifteenth Century. A Prosopographic Study of Their Economic and Social Strategies, Kiel: Solivagus, 2020, K. Prajda: ‘Florentines’ Trade in the Kingdom of Hungary in the Fourteenth and Fifteenth Centuries: Trade Routes, Networks, and Commodities’, Hungarian Historical Review 6, 2017/1: 36–58, K. Prajda: Network and Migration in Early Renaissance Florence, 1387–1433. Friends of Friends in the Kigdom of Hungary, Amsterdam: Amsterdam University Press, 2018: 21–22, 38–64. 19 G. Nemes (ed.): Brevia Clementina. VII. Kelemen pápa magyar vonatkozású brévéi. The Hungarian-ralted Breves of Pope Clement VII (1523–1526) (Collectanea Vaticana Hungariae I/12), Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 463 Vladislao II ho una sola data sui rapporti con Firenze, ma neanche questa è di genere politico: nella primavera del 1498 Alexander Farmoser, di origine tedesca, pittore attivo a Firenze nonché “agente artistico” del re Mattia Corvino, sempre a Firenze, negli anni 1470 e 1480,20 viaggiò da Buda a Firenze su incarico del re per documentarsi sull’esistenza delle Corvine ordinate ancora da Mattia, ma non finite.21 Da parte ungherese abbiamo dati di ambascerie solo a partire dalla fine dell’epoca esaminata, dal 1522 e dal 1525. L’ambasciatore reale István Brodarics, nel suo viaggio a Roma, fece trattative anche a Venezia e a Firenze, chiedendo aiuto alla Repubblica di Firenze contro i turchi. Da Firenze, invece, non mandarono ambasciatori a Buda nell’epoca esaminata. La Santa Sede Ci occuperemo ora dei due poteri che ebbero relazioni continue, quindi la Santa Sede Apostolica e Venezia. La Curia Romana era una delle burocrazie meglio organizzate nell’Europa tardomedievale, il che è visibile anche nella sua diplomazia. La comunicazione tra la Santa Sede Apostolica e la parti (partes) della Res publica Cristiana non era separata dalle questioni del governo e della disciplina ecclesiastici né dai casi politici. In conseguenza del potere di capo della chiesa, giudiziario e spirituale del Santo Padre, anche i rapporti risultavano molto più vari, come se parlassimo di due poteri secolari. Dal punto di vista ungherese questo dato è stato confermato, negli ultimi anni, anche dalle ricerche di Tamás Fedeles e Gábor Nemes.22 Budapest–Győr–Roma: MTA–PPKE V. Fraknói Vatican Historical Research Group–Diocesan Archives Győr, 2015: 4–7 (nn. 3–5). 20 L. A. Waldman: ‘Alexander Farmoser: un pittore straniero, mediatore di cultura fiorentina’, in: P. Farbaky et al. (eds.): Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria, Firenze: Giunti, 2013: 300–303 e 306–307: pp. 300–301, L. A. Waldman: ‘Commissioning Art in Florence for Matthias Corvinus: The Painter and Agent Alexander Farmoser and His Sons, Jacopo and Raffaello del Tedesco’, in: P. Farbaky & L. A. Waldman (eds.): Italy & Hungary, Humanism and Art in the Early Renaissance, [Firenze]–Milano: Officina Libraria–Harvard University Press, 2011 (Villa I Tatti): 427–501, pp. 438–444, 452–457, D. Pócs: ‘White Marble Sculptures from the Buda Castle: Reconsidering some Facts About an Antique Statue and a Fountain by Verocchio’, in: ibid.: 553–607, pp. 563–564. 21 L. B. Kumorovitz: ‘II. Ulászló levélváltása Firenzével az ott rekedt Corvinák ügyében’, Magyar Könyvszemle 72, 1956: 294–296, L. A. Waldman: ‘Commissioning Art…’, op.cit.: 454–457, 498–501. 22 Fedeles Tamás: ‘Budáról Rómába. A Magyar Királyság szentszéki diplomáciai képviseletének jellemzői a késő középkorban (1458–1526)’, Pontes. A PTK BTK Történettudományi Intézetének Évkönyve 4, 2021: 164–193, p. 171, G. Nemes: ‘Magyarország kapcsolatai az Apostoli Szentszék- 464 Bálint Lakatos La Curia fu il centro di potere di informazione più importante d’Europa anche nei primi anni del Cinquecento. Già András Kubinyi richiamò l’attenzione sul fatto che il papa avesse la possibilità di selezionare i propri diplomatici da tutto il territorio d’Europa, compresi i sudditi del re d’Ungheria. Risulta quindi evidente che, nella corte del sovrano ungherese-ceco, il Santo Padre sia stato rappresentato da ecclesiastici ungheresi.23 I gradi, il rango, la competenza e l’intitolazione degli ambasciatori furono già prestabiliti nel Quattrocento. I deputati più importanti erano i legati de latere, mandati in più Paesi e provincie, dotati di competenza nel governo ecclesiastico con il rango di cardinale. Per lo svolgimento degli avvenimenti casuali venivano mandati i nunzi (nuncii), normalmente vescovi. Qua dobbiamo distinguere il vescovo dotato della competenza di legato e quello “semplice”, che invece non la possedeva. In questo caso, in pratica, non c’erano differenze nell’intitolazione ma, per quanto riguarda l’importanza, si possono fare distinzioni. Il nunzio senza il potere del legato corrisponde all’oratore con poteri secolari, considerando che si tratta di un deputato casuale mandato in un luogo solo. Gli internunzi (internuncii) e i cavallari (cursori) avevano una posizione inferiore; questi ultimi normalmente erano magistrati della Curia che consegnavano una lettera papale.24 Nel periodo oggetto di studio, i delegati e gli inviati papali presso Vladislao II e Luigi II non comprendono le categorie di nunzio della competenza di legatus de latere e internuncius; Bernat Albisi è menzionato una volta nel 1515/16 come internunzio,25 ma è altrimenti indirizzato come nunzio. kel (1523–1526)’, Századok 149, 2015: 479–506, pp. 483–495, G. Nemes: ‘The Relations of the Holy See and Hungary Under the Pontificate of Clement VII (1523–1526)’, in: A. Bárány (ed.): The Jagiellonians in Europe: Dynastic Diplomacy and Foreign Relations (Memoria Hungariae 2), Debrecen: Hungarian Academy of Sciences & University of Debrecen “Lendület” Hungary in Medieval Europe Research Group, 2016: 171–182. 23 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések a Jagelló-kori magyar állam és a pápaság között (1490–1526)’, in: I. Zombori (ed.): Magyarország és a Szentszék kapcsolatának ezer éve, Budapest: METEM, 1996: 119–134, pp. 119–120. 24 Dalla biblioteca della letteratura, vedi per esempio in generale P. Blet: Histoire de la représentation diplomatique du Saint-Siège: des origines à l’aube du XIXe siècle (Collectanea Archivi Vaticani 9), Città del Vaticano: Archivio Segreto Vaticano, 1982: 159–215; con una rassegna della letteratura vedi Wolfgang Untergehrer: Die päpstlichen nuntii und legati im Reich (1447–1484): Zu personal und Organisation des kurialen Gesandtenwesens, Inauguraldissertation zur Erlangung des Doktorgrades der Philosophie an der Ludwig-Maximilian-Universität München, 2012: 37– 60, A. Kalous: Late Medieval Papal Legation. Between the Councils and the Reformation (Viella History, Art and Humanities Collection 3), Roma: Viella, 2017: 19–49. 25 S. Katona: Historia critica regum Hungariae, stirpis mixtae ex fide domesticorum et exterorum fide concinnata, tomulus XII, ordine XIX. Ab anno Christi MDXVI ad annum usque MDXXVI, Budae: Regia Universitas, 1793: 13, 15. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 465 Se consideriamo insieme la distribuzione cronologica degli inviati papali spediti al Regno d’Ungheria e degli inviati dal re d’Ungheria alla Curia Romana, emerge il seguente quadro: nel periodo esaminato si verificarono quattro missioni di legati intervallati da grandiiati nel tempo. Per la loro importanza dobbiamo aggiungere anche i tre nunzi dotati della competenza di legato. Con l’eccezione di Tamás Bakóc, tutti appartenevano alla frontiera della diplomazia della Santa Sede e, le loro missioni sono ben documentate ed esaminate – basti pensare, oltre a Vilmos Fraknói, anche alle opere di Antonín Kalous e di Wolfgang Untergehrer.26 Angelo Pecchinoli soggiornava in Ungheria, presso la corte di Mattia, a partire dal 1488 e la sua missione continuò anche all’epoca di Vladislao II.27 Nel nome del Santo Padre lo seguirono Orso Orsini dal 1493 al 1495, con il rango di nunzio, il legato Pietro Isvalies dal 1501 al 1503 e il nunzio Achille Grassi nel 1510. Tamás Bakóc fu legato per una durata di tempo dalla lunghezza record, dal 1513 fino al 1519 circa – non sappiamo precisamente la data finale.28 Si tenga tuttavia conto che, dopo l’insuccesso della ribellione dei crociati di Dózsa, il peso diplomatico della sua missione si limitò solo al livello formale. Alla fine delle loro missioni i legati Tommaso Vio e Lorenzo Campeggio ebbero un ruolo importante nella difesa antiturca.29 Le missioni dei legati si sovrappongono nel tempo a quelle dei nunzi e dei cursori, spesso precedendole o seguendole da vicino. Ci sono però diversi periodi (1491–1492, 1497– 1498, 1505–1510, 1512, 1520–1523) in cui la Santa Sede non ha una missione diplomatica in Ungheria. L’assenza dei primi anni del 1490 può essere spiegata 26 V. Fraknói: Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a római szent-székkel, II. Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a római szent-székkel a konstanzi zsinattól a mohácsi vészig, Budapest: Szent István Társulat, 1902: 245–399, A. Kalous: ‘Jagiellonian Kings of Bohemia and Hungary and Papal Legates’, in: A. Bárány (ed.): The Jagiellonians in Europe: Dynastic Diplomacy and Foreign Relations (Memoria Hungariae 2), Debrecen: Hungarian Academy of Sciences & University of Debrecen “Lendület” Hungary in Medieval Europe Research Group, 2016: 159–169, pp. 162–169. 27 A. Kalous (ed.): The Legation of Angelo Pecchinoli at the Court of the King of Hungary (1488– 1490) (Collectanea Vaticana Hungariae II/8), Budapest & Rome: MTA-PPKE V. Fraknói Vatican Historical Research Group, 2021. 28 La corte dei legati del cardinale continuò fino alla sua morte nel 1521, vedi più recentemente G. Nemes: ‘Bakóc Tamás legátusi bírósága’ (studio nel prossimo libro commemorativo di Bakóc, prima della pubblicazione). 29 A. Kalous: Plenitudo potestas in partibus? Papežští legáti a nunciové ve střední Evropě na konci středověku (1450–1526) (Knižnice Matice moravské 30), Brno: Matice moravská, 2010: 343–406, A. Kalous: ‘Jagiellonian Kings…’, op.cit.: 164–168, G. Nemes: ‘Pápai követek a Mohács előtti Magyarországon’, Századok 150, 2016: 369–385, pp. 369–376. 466 Bálint Lakatos con il periodo di attesa, presso la Santa Sede, dovuto all’incertezza causata dalla lotta per il trono, il periodo più sorprendente è tuttavia quello tra il 1505 e il 1510, quando c’è meno attività da parte di Vladislao II, in particolare gli anni tra il 1505 e il 1507 sono trascorsi in completo “silenzio diplomatico”. Tra i nunzi il barone Burgio, ossia Antonio Giovanni Buglio (l’unico personaggio secolare in questo servizio) fu ambasciatore in Ungheria in un’epoca importante. Le sue relazioni in lingua italiana sono ben note, anzi in Ungheria influenzavano il modo di pensare comune sulla battaglia di Mohács. Tra i nunzi Bernát Albisi, il sassone transilvano Jacobus Piso, il croato Simon Kožičić e il dalmato Johannes Stafileus e, nel rango di legato, anche il già menzionato Bakóc, furono sudditi del re ungherese. Da parte ungherese, nel primo decennio del regno di Vladislao II, si vede una presenza culminante nella Curia Romana, con l’attività in contemporanea di più ambasciatori. Tutto ciò è una conseguenza del processo di divorzio. Un argomento ancora più importante e comune tra il re ungherese e il Papa, era il progetto di una crociata generale anti-ottomana e, oltre a ciò, il supporto finanziario apostolico della difesa contro i turchi sul confine ungherese.30 Alla fine dell’epoca esaminata, l’arcidiacono di Nógrád, Francesco Marsuppini, una volta familiare e agente a Roma di Bakóc, divenne deputato di Luigi II.31 Se in quest’epoca un ambasciatore si presentava dal Santo Padre da solo, come fece István Brodarics nel 1522 e nel 1525, Marsuppini doveva affiancarlo nel suo lavoro. Il periodo di mezzo è l’epoca delle legazioni casuali da parte ungherese; qua possiamo menzionare, oltre alle tre missioni a Roma di Péter Beriszló, anche quelle di Zsigmond Turzó e di Márton Atádi, nonché l’ambasceria dei nobili regnicoli, guidata da István Verbőci (Werbőczy) nel 1519. Quest’ultima ambasciata era eccezionale anche perché differiva da tutte le altre inviate alla Santa Sede che, solitamente, erano composte da chierici.32 Risulta importante anche il fatto che, con l’eccezione di un paio di casi, il re ungherese mandava dal Santo Padre esclusivamente deputati ecclesiastici. Per quanto riguarda la linea tra la Santa Sede e l’Ungheria, quindi, si vede una 30 A. Kalous: ‘Jagiellonian Kings…’, op.cit.: 159, 164–168. Per la sua carriera, vedi Zs. Teke: ‘A firenzei Francesco Marsuppini magyarországi pályafutása (1489–1539)’, in: Gy. Kövér, Á. Pogány & B. Weisz (eds.): Magyar Gazdaságtörténeti Évkönyv 2016. Válság – kereskedelem, Budapest: MTA Bölcsészettudományi Kutatóközpont & Hajnal István Alapítvány, 2016: 359–369. 32 Cf. T. Fedeles: ‘Budáról Rómába…’, op.cit.: 171, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 127–128. 31 Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 467 presenza di ambasciatori reciproca ed equilibrata. I dati mettono in evidenza anche il fatto che la minaccia ottomana, nell’epoca che precedeva Mohács, motivava entrambi gli stati all’attività. Venezia La diplomazia veneziana era l’organo meglio strutturato dell’epoca. Aveva un carattere rappresentativo, operante con i deputati mandati in un luogo per un lungo periodo. L’incarico degli ambasciatori aveva una durata di due anni ma, sul posto ungherese, alcuni servirono per quattro anni. Si tenga tuttavia conto che un diplomatico non ritornava mai nello stesso luogo. Per quanto riguarda il loro incarico, distinguiamo gli oratori, gli oratori di compagnia o di secondo grado, mandati per motivi pratici, infine i segretari che potevano rappresentare la Signoria contemporaneamente o autonomamente.33 La frequenza delle loro relazioni dipendeva dagli accadimenti. A volte scrivevano lettere ogni settimana, ogni due settimane o ogni giorno. Le loro lettere, i dispacci, venivano letti e discussi al Collegio o davanti al Senato di Venezia, veniva poi preparata una risposta ogni settimana o ogni mese. Una parte delle relazioni mandate dall’Ungheria venne conservata in copie originali, questa corrispondenza è conosciuta anche dalla ricerca ungherese, ma solo in base ai compendi dei diari monumentali di Marin Sanudo. Sulla base delle ricerche di Vilmos Fraknói e Péter E. Kovács, conosciamo il corpus dei dispacci di Pietro Pasqualigo del 1509–1512, che furono compilati in un volume.34 L’oratore o il segretario, al suo ritorno, scriveva una relazione finale che leggeva davanti al Consiglio dei Pregadi. La relazione presenta le condizioni politiche precedenti della sede, riassumendole e concentrandosi sui personaggi politici e sui dati importanti dal 33 G. Mattingly: Renaissance Diplomacy, op.cit.: 89–90, D. E. Queller: The Office of Ambassador…, op.cit.: 66–69, 83–84, I. Balogh: Velenczei diplomaták Magyarországról (1500–1526). Forrástanulmány (A Szegedi Magy. Kir. Ferencz József-Tudományegyetem Közép- és Újkori Történeti Intézete, 2), Szeged: Új Nemzedék Nyomda, 1926: 10. 34 V. Fraknói: ‘Magyarország és a cambrayi liga 1509–1511’, parte I–IV, Századok 16, 1882: 177– 201, 366–387, 705–727, 793–811; in seguito pubblicato come libro separato in tedesco, V. Fraknói: Ungarn und die Liga von Cambray 1509–1511, Budapest: Kilian, 1883, P. E. Kovács: ‘I dispacci dell’ambasciatore di Venezia Pietro Pasqualigo dell’Ungheria (1509–1512)’, in: Annuario 1997. Accademia d’Ungheria in Roma Istituto Storico «Fraknói». Studi e documenti italo-ungheresi (diritta da József Pál), Roma: Rubettino, 1997: 182–201. 468 Bálint Lakatos punto di vista di Venezia.35 Queste relazioni finali vennero archiviate e furono utilizzate, anche in seguito, come materiale di appoggio. Questo è illustrato, per esempio, dal fatto che l’oratore Lorenzo Orio, nella sua stessa relazione, cita i suoi due predecessori, Pasqualigo e Alvise Bon.36 Per quanto riguarda Venezia rimane ancora da esaminare la missione di Marco Dandolo e Pietro Cappello negli anni 1490;37 si tratta del periodo che precede la serie di diari di Marin Sanudo, perciò ne sappiamo poco. La ripresa delle relazioni comincia nel 1501 con la preparazione della lega triplice veneziano-papale-ungherese. Prima mandarono un segretario, nella persona di Francesco de Zuecha o della Giudecca, poi un’ambasceria duplice. La morte di Vetor Soranzo portò ad un cambiamento anticipato del co-ambasciatore ed anche dell’oratore-compagno Pisani, che ritornò prima dell’oratore Giustiniani. Dal 1504 al 1510 da parte di Venezia si vedono solo deputati di rango minore, quindi segretari. La guerra della lega di Cambrai e la possibile partecipazione ungherese resero nuovamente attiva la diplomazia. Dal 1510 al dicembre 1523 Venezia stanziava ambasciatori presso la corte ungherese in maniera continuativa. Si trattava unicamente di diplomatici di prima linea della propria patria. Sebastiano Giustiniani e Pietro Pasqualigo, per esempio, erano già stati oratori presso il Sacro Romano Imperatore Massimiliano, il primo nel 1498, il secondo tra il 1505 e il 1507, così come all’epoca della guerra austriaca-ungherese del 1506. Alvise Bon fu assegnato alla corte di papa Clementino VII nel 1524 e Lorenzo Orio fu ambasciatore in Inghilterra nel 1525.38 L’unico a ritornare con il 35 W. Andreas: Die venezianischen Relazionen und ihr Verhältnisse zur Kultur der Renaissance, Leipzig: Quelle und Meyer, 1908: passim, G. Mattingly: Renaissance Diplomacy, op.cit.: 98–99, D. E. Queller: The Office of Ambassador…, op.cit.: 137–138, 142–148. 36 M. Sanuto: I Diarii, 1496–1533, Tom. I–LVIII, a cura di R. Fulin et al, Venezia: a spese degli editori, 1879–1903 (= Sanudo) XXXV: 299, I. Balogh: Velenczei diplomaták…, op.cit.: XLV. 37 Dizionario biografico degli italiani, vol. 1–100, a cura di R. Romanelli ed altri, Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, 1960–2020 (=DBI), vol. 32, 1986, s. v. M. Dandolo (2) (autore G. Gullino), https://www.treccani.it/enciclopedia/marco-dandolo/_%28Dizionario-Biografico%29/ (data della visita: 20 gennaio 2022). 38 DBI vol. 11, 1969, s. v. A. Bon (autore A. Ventura), vol. 52, 1999, s. v. Gaurco, Luca (autore Franco Bacchelli – Gaurico succedette a Orio come ambasciatore in Inghilterra dal 1526), vol. 57, 2001, s. v. Giustinian, Sebastiano (autore Guiseppe Gullino), https://www.treccani.it/enciclopedia/ alvise-bon o …luca-gaurico… o …sebastiano-giustinian_%28Dizionario-Biografico%29/ (data della visita: 20 gennaio 2022), e poi Sanudo III. 84. Per la missione di Pasqualigo nel 1506, vedi Andrea Lanzer: Die Gesandten der süd- und westeuropäischen Mächte 1501–1508. Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde an der Geisteswissenschaftlichen Fakultät der Karl-Franzens- Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 469 rango di segretario fu, in ambedue i casi, Vincenzo Guidoto. Siccome da Venezia, a quel tempo, non volevano inviare oratori, la sua missione si svolse dal 1523 al 1525. Nella successione degli ambasciatori prima veniva accettata la supplica di dimissione dell’ambasciatore in carica, poi veniva eletto il successore che doveva accettare l’incarico. Fino all’arrivo del successore, l’ambasciatore restava ancora nella sua sede e presentava il suo nuovo collega al re. L’ambasciatore uscente riceveva regali dal re che, addirittura, lo poteva insignire della carica di cavaliere; nell’epoca esaminata quest’onore fu ottenuto da Marco Dandolo e Giovanni Badoer (Baduario),39 mentre il segretario Giovanni Francesco Benedetti rifiutò cortesemente il proprio cavalierato offertogli da Vladislao II, sostenendo che il re doveva riservare questo favore ai patrizi veneziani. Lorenzo Orio rifiutò invece la proposta di Luigi II nell’estate del 1519, appellandosi al suo dottorato.40 Prima dell’inizio del periodo preso qui in esame il re Mattia, due giorni prima della sua morte, fece cavaliere Domenico Bollani a Vienna, durante la domenica delle Palme del 1490.41 Gli ambasciatori veneziani ritornati, se non ottenevano un nuovo incarico diplomatico, ricevevano compiti nell’amministrazione dello stato. Sia dalla parte veneziana che da quella ungherese, tuttavia, contavano sulle loro esperienze e sui loro rapporti precedenti. Secondo i dati a disposizione sappiamo che, anni dopo, l’ex-ambasciatore mandato in Ungheria partecipava all’accoglienza degli ambasciatori dall’Ungheria e nelle trattative. Nella primavera dell’anno 1519, per esempio, diversi ex ambasciatori veneziani che erano stati precedentemente delegati presso il re ungherese, entrarono Universität zu Graz. Graz: Karl-Franzens-Universität, 1986: 314–317 (sulla base di Sanudo VI. 183, 214, 234, 276, 310, 370, 380, 401, 415, 456, 503, VII. 32, 36, 45, 48, 51). 39 DBI vol. 32, 1986, s. v. Dandolo, Marco (2) (autore Giuseppe Gullino), op.cit., vol. 5, 1963, s. v. Badoer, Giovanni (autore Angelo Ventura). Secondo l’autore il suo cavalierato gli fu conferito l’8 gennaio 1504, data che lo stesso Badoer non menziona nella sua relazione orale, Sanudo V. 823, I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XII. 40 Sanudo VI. 510 e XXVII. 501 = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXXV–XXXVI. 41 I. Nagy & A. Nyáry (eds.): Magyar diplomacziai emlékek Mátyás király korából 1458–1490, IV, Budapest: Akadémia, 1878 (Monumenta Hungariae Historica. Magyar történelmi emlékek. IV. Acta extera. Diplomacziai emlékek 4) (= MDE IV) 161 (nome omesso) = Vestigia infocus n. 274 (datata 5 aprile 1490 – http://vestigia.hu/infocus/kepek/1333623854.jpg, in realtà senza nome, menzionato solo per funzione), Antonius de Bonfinis [Antonio Bonfini]: Rerum Ungaricarum decades I–VI/1, edd. I. Fógel, B. Iványi & L. Juhász, Lipsiae [Szeged–Budapest]: Teubner [Árpád Nyomda], 1936–1941: VI/2. Appendix, fontes, index, ed. P. Kulcsár. Budapest: Akadémiai, 1976 (Bibliotheca scriptorum medii recentisque aevorum, saec. XVI) (= Bonfini) IV/1. 161. = decas IV. liber 8. sent. 190 (menzionato solo per funzione). 470 Bálint Lakatos in contatto con la suddetta ambasciata ungherese guidata da István Verbőci, che era in viaggio verso la Santa Sede ma aveva anche visitato Venezia. Tra i membri del commissariato veneziano, che contava venti o ventidue persone ed era stato inviato a Mestre il 22 marzo per ricevere questa ambasciata, c’erano l’ex ambasciatore Giovanni Badoer e il futuro ambasciatore Lorenzo Orio, già nominato.42 Si tratta delle stesse persone che, il 24 marzo, erano state inviate a comunicare la risposta della Signoria.43 Il 25 marzo l’ambasciata ungherese non si presentò al Collegio, chiese tuttavia che alcuni delegati andassero a parlare con loro; uno dei nominati era Giorgio Pisani.44 Il 26 marzo Antonio Surian (ex ambasciatore) e Lorenzo Orio (inviato designato) sostennero insieme, presso il governo veneziano, la richiesta di Verbőci per una piccola reliquia di Sant’Elena.45 Le ambascerie mandate a Venezia da Vladislao II e Luigi II erano organizzate, rispetto alla pratica veneziana, secondo una struttura e una logica diverse. I loro ambasciatori vi trascorrono un breve periodo, normalmente un paio di settimane, con un incarico casuale, in particolare per facilitare il pagamento degli aiuti militari in contanti. Secondo la testimonianza di Sanudo gli ambasciatori ungheresi residenti a Venezia scrivevano e ricevevano lettere da Buda, ma non ne sappiamo di più. Nella stessa fonte troviamo molti dati sulla loro comitiva, sulla loro accoglienza, sul loro alloggio e sulle loro trattative, dunque le missioni sono ben conoscibili. L’ambasceria reale ungherese era costituita, normalmente, da una persona. Fece eccezione l’ambasceria rappresentativa del 1502 che accolse la sposa reale, oltre a quella già menzionata a proposito di Roma, riguardante l’elezione cesarea del 1519, guidata da István Verbőci e composta da tre persone. Era frequente che lo stesso ambasciatore fosse mandato più volte, come nel caso di Albert Lónyai (4 volte), Péter Beriszló (3) e Fülöp Móré (6). La richiesta degli specialisti, tuttavia, era anche rapportata con la puntualità. Essendo mandato l’ambasciatore per un breve periodo, era utile delegare la stessa persona anche altre volte. Sulla scelta di chi inviare prevaleva, quindi, una sorta di risparmio, quindi il deputato mandato più lontano e con un incarico diverso, si poteva fermare e fare trattative nella città delle lagune, pur se solo di passaggio. All’epoca di Mattia Corvino Venezia rappresentava una sosta, una fermata di mezzo sia nelle 42 Sanudo XXVII: 86–87. Ibid.: 101. 44 Ibid.: 102. 45 Ibid.: 108. 43 Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 471 missioni borgognoni, spagnole e francesi fatte alle spalle dell’imperatore del Sacro Impero Romano, sia in quelle dell’Italia centrale e meridionale. Durante il regno di Vladislao e di Luigi II, tuttavia, rimase solo la seconda direzione, quindi quella italiana, tranne l’unica ambasceria in Francia nel 1500. Per quanto riguarda le missioni di transito, Venezia potette venire in discorso quattro volte a Roma, una volta a Firenze ed una a Napoli. Nel 1522 István Brodarics e nel 1492 Antal Sánkfalvi proseguirono verso Napoli attraversando Firenze e Roma. Nella maggior parte dei casi gli ambasciatori ungheresi (come i veneziani verso la corte di Buda) viaggiavano a Venezia attraverso Zagabria e Segna, poi da Segna proseguivano per mare. L’unica eccezione terrestre fu l’ambasceria del 1502, ma al ritorno una parte della comitiva, insieme alla futura regina, viaggiò in nave.46 Per quanto riguarda l’invio degli ambasciatori, le relazioni dal 1490 al 1500 languivano anche dalla parte ungherese. Dell’epoca che precede il 1502 conosciamo solo un’ambasceria di una persona non identificata nel 1490, poi quella di transito di Antal Sánkfalvi, già più volte menzionata nel turno del 1492– 1493. Dopo l’accoglienza della regina Anna nel 1502, fino al 1510 le ambascerie ungheresi divennero improvvisamente più frequenti, mandate due volte all’anno fino alla terza legazione di Fülöp Móré nel 1509 e nel 1510. Quest’ultima, sulla base delle ricerche di Márton Szovák, va considerata come una missione separata.47 L’intero periodo in questione è quello in cui Venezia era rappresentata a Buda da un solo deputato con il rango di segretario. Dopo che, dal 1510 al 1524, l’ambasciatore veneziano aveva sempre il rango di oratore nella corte ungherese, dalla parte ungherese le ambascerie divenivano più rare ma, secondo l’esempio di Fülöp Móré, potevano essere anche prolungate. In questi anni apparvero a Venezia anche membri della nuova generazione di ambasciatori, Statileo e Brodarics; l’ultima ambasciata da parte ungherese in questo periodo fu una breve missione del 1523 da parte di un chierico italiano o dalmata, Tommaso Niger (Crnić). Tra gli ambasciatori ungheresi, Albert Lónyai era un agente con le conoscenze giuste per la sua posizione di capitano di Segna 46 A. Györkös: Reneszánsz utazás. Anna királyné 1502-es fogadtatásának ünnepségei ÉszakItáliában és Magyarországon (Scriptores rerum Hungaricarum 9), Máriabesnyő: Attraktor, 2016: 52, 130–131 (edizione), 154. 47 M. Szovák: ‘Újabb adatok Csulai Móré Fülöp diplomáciai pályájához’, in: Gy. Domokos, J. W. Somogyi & M. Szovák (eds.): Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a tizenöt éves háború idejéről, Budapest, 2020: 197–215, pp. 200–201. 472 Bálint Lakatos e la sua esperienza lì acquisita,48 Beriszló ebbe anche incarichi focalizzati sui Balcani, dovuti soprattutto alla sua origine dalmata (era di Traù),49 Fülöp Móré di Csula, invece, un nobile rumeno (‘kenéz’) della contea di Hunyad, era una scelta adatta al re ungherese per la sua educazione italiana e la sua lingua madre rumena. Móré era anche diventato una specie di specialista attraverso le sue diverse missioni a Venezia, mantenendo buoni rapporti non solo con i politici della città delle lagune, ma anche con alcuni umanisti, come il famoso editore e stampatore Aldo Manuzio.50 Per quanto riguarda i rapporti con Venezia, si può affermare che, dopo i contatti apparentemente disordinati degli anni 1490, nel 1500 cominciò un periodo intenso, verificato anche dalla creazione di una lega, tanto che l’ambasceria continua si ridusse fino al 1525. Il tema più importante era la difesa antiturca e il sussidio militare di Venezia erogato all’Ungheria. Per il potere sempre più minaccioso dell’Impero Ottomano, il governo di Venezia preferì la sicurezza al posto di una politica militante e, per i suoi interessi commerciali, aveva sempre meno conflitti con il sultano. Lo scioglimento del filone ungherese, anche già prima di Mohács, è dovuto a questo motivo.51 Conclusioni In base a quanto detto, quali tendenze si possono rinvenire e quali sono le conclusioni che da queste si possono trarre? Il numero di ambasciate italiane inviate e ricevute dai re ungheresi nel periodo 1490–1526 fu il seguente: 24 inviate / 17 ricevute dalla Sede Apostolica, 22 inviate / 14 ricevute da Venezia, 1 inviata / 5 ricevute da Milano, 1 inviata / 5 ricevute da Napoli, 2 inviate / 0 ricevute a Firenze, 0 inviate / 1 ricevuto a Ferrara. 48 V. Fraknói: ‘Lónyai Albert zengi kapitány velenczei követségei 1501–1515. Közlemények a velenczei állami levéltárból’, Magyar Történelmi Tár 22, 1877: 3–44, pp. 3–4. 49 J. Köblös: Az egyházi középréteg Mátyás és a Jagellók korában. (A budai, fehérvári, győri és pozsonyi káptalan adattárával) (Társadalom- és művelődéstörténeti tanulmányok 12), Budapest: MTA Történettudományi Intézete, 1994: 337. 50 T. Fedeles: ‘Egy Jagelló-kori humanista pályaképe: Csulai Móré Fülöp (1476/1477–1526)’, Levéltári Közlemények 78, 2007: 35–84, pp. 36–39, 47–53, R. Gerézdi: ‘Aldus Manutius magyar barátai’, Magyar Könyvszemle 69, 1945: 38–98, pp. 63–64, 67–72, 75–76, 82–84. 51 M. Jászay: Velence és Magyarország. Egy szomszédság küzdelmes történte, Budapest: Gondolat, 1990: 211–221. Vedi il capitolo corrispondente nella versione italiana: J. Magda: Venezia e Ungheria. La storia travagliata di una vicinanza, traduzione di A. Venturini, Martignacco: Edizioni del Labirinto, 2004. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 473 Nel caso del rapporto del Regno d’Ungheria con la Santa Sede Apostolica o Venezia, al livello delle ambascerie si delinea un certo tipo di parità, ma la simmetria è difficilmente interpretabile. Pone un limite al calcolo il fatto che si metta a paragone un sistema diplomatico subalpino più arcaico, che lavora con incarichi casuali, con un sistema meglio organizzato, gerarchizzato, operante con un punto di gravitazione rappresentativo e con incarichi più lunghi. Sia Venezia che il Papato possedevano, inoltre, poteri straordinari, la prima per il carattere commerciale ed il secondo per quello spirituale e universale. I rapporti con gli altri poteri italiani sarebbero, d’altro canto, più facilmente comparabili. La maggior parte di queste relazioni aveva la base dinastica ereditata da Mattia Corvino, all’epoca di Vladislao II, tuttavia, divennero inutili e furono ridotti da entrambe le parti. Il caso di Ferrara, da me separatamente non esaminato, fu atipico per i feudi e per il ruolo del cardinale Ippolito I d’Este. Mentre nessuno rappresentava la corte ungherese-ceca dagli Este, i commissari arcivescovili-cardinalizi, oltre ai loro doveri amministrativi, erano anche dotati, fino alla partenza finale di Ippolito nel 1520, di incarichi di ambasciatore in Ungheria. Per terminare, risalendo anche al regno di Mattia Corvino, si vede quanto sia invariabile l’interesse geopolitica d’Ungheria. La comunicazione sistematica verteva sempre sulla stessa tematica ed era caratterizzata dalla minaccia ottomana e dall’esigenza dell’insorgenza comune antiturca, prima e dopo il 1490. Al contrario del suo predecessore, Vladislao II aveva un rapporto molto più stabile e più redditizio, dal punto di vista economico, con la Repubblica di Venezia. Appendice Il seguente elenco, nell’ordine alfabetico degli stati italiani, enumera prima gli inviati dagli stati italiani al re ungherese-ceco, poi da Vladislao II e Luigi II al rispettivo stato o monarca in ordine cronologico. Le date indicate si riferiscono all’intera durata della missione, ma in alcuni casi sono approssimative. Per ogni ambasciata ho riportato solo i dati bibliografici e le fonti più importanti; per gli ambasciatori e gli inviati ungheresi, rimando alla mia base di dati pubblicata, dove si possono trovare ulteriori dettagli. Per la Santa Sede e Venezia ho distinto gli ambasciatori di diverso grado con caratteri in grassetto e corsivo: con il grassetto il legato de latere e l’oratore veneziano, con il corsivo il cursore/segretario. Nel caso delle ambasciate reali ungheresi, anche i corrieri appaiono in corsivo. 474 Bálint Lakatos Ferrara Gli inviati del duca di Ferrara, Modena e Reggio al re d’Ungheria Nicolò Maria d’Este, Armanno de Nobili: ottobre 1490–marzo 149152 Firenze Gli inviati reale ungherese alla Repubblica di Firenze (Alexander Farmoser: maggio 1498)53 István Brodarics: giugno 1522.54 Vedi anche alla Santa Sede. István Brodarics: aprile 1525.55 Vedi anche alla Santa Sede. Milano Gli inviati del duca di Milano al re d’Ungheria Maffeo di Treviglio: 1485–giugno 149156 Nicolò Bartolini (abate di San Mercuriale di Forlì): giugno 1491–ottobre 149257 Raffaello de la Caude: giugno 149158 Paolo Lanterio: luglio–ottobre 149259 ignoto: aprile 150060 52 D. Labancz: ‘Az 1491-es év eseményei Magyarországon a Milánói Állami Levéltárban őrzött dokumentumokon keresztül’, in: Gy. Domokos, M. Norbert & A. Nuzzo (eds.): Vestigia. Mohács előtti magyar források olasz könyvtárakban, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 131–140, p. 139, M. Szovák: ‘I rapporti magiari di Ferrara nello sguardo di Bernardino Zambotti’, Verbum 17, 2016: 129– 146, p. 143, Óváry I. 157 (n. 643), elaborata in dettaglio da A. J. Sárközi: Documenti…, op.cit.: passim (istruzione: ASMo C. Est. Amb. Ungh. b. 3/4, 1, la parte segreta delle istruzioni in italiano: ibid.: 3/2, 2. Due rapporti finali sull’ambasciata, con più o meno lo stesso contenuto, ibid. b. 3/5, 1 e 3/6, 1, quest’ultimo firmato dagli ambasciatori). 53 Pittore di origine tedesca residente a Firenze, già “agente artistico” del re Mattia Corvino. A. Waldman: ‘Alexander Farmoser…’, op.cit.: 300–301, L. A. Waldman: ‘Commissioning Art…’, op.cit.: 438–444, 452–457. Incaricato per le Corvine rimaste a Firenze. L. B. Kumorovitz: ‘II. Ulászló levélváltása…’, op.cit.: 294–295 = L. A. Waldman: ‘Commissioning Art…’, op.cit.: 498–502 (pubblicazione di testo completo, con traduzione in inglese ed elenco delle edizioni precedenti). 54 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 342–343 (n. 167a). 55 Ibid.: 348 (n. 184a). 56 L. M. Negri: ‘Lettere dall’Ungheria…’, op.cit.: XXII–XXIII, pubblicazione delle sue lettere fino al 6 settembre 1490: ibid.: 2–86. Vedi anche MDE IV. 425–426, Vestigia infocus n. 242. e n. 2923, poi Óváry I. 157 (n. 646), 158 (n. 649), 159 (nn. 654–655) e 160 (n. 656). Un resoconto degli eventi della missione dopo la morte del re Mattia Corvino: D. Labancz: Lettere…, op.cit.: 5–14. 57 Vestigia infocus n. 2923, Óváry I. 163 (n. 671), 164 (n. 677), 170 (n. 697), 173 (n. 712), poi ibid. 174–175. (nn. 718–720), come “Jakab” (Giacomo). 58 Óváry I. 160 (nn. 657–658). 59 Óváry I. 176 (n. 726) instruzione ibid.: 177 (n. 730); è anche menzionato prima dall’ambasciatore Maffeo Treviglio nella sua lettera dell’8 settembre 1490: MDE IV. 259. 60 Sanudo III., 132. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 475 Inviato reale ungherese al duca di Milano Petrus Falco: novembre 149161 Napoli Gli inviati reali da Napoli al re d’Ungheria ignoti (4 persone): settembre 149062 Alvise Catullo: febbraio 149163 Francesco de’ Monti: febbraio–agosto 149264 Andrea Caraffa: giugno 1492. VI–all’inizio del 149365 (Antonio Brancia: agosto 1494)66 (ignoto: aprile–ottobre 1500)67 Inviato reale ungherese al re di Napoli Antal Sánkfalvi: gennaio–febbraio 1493.68 Vedi anche alla Santa Sede e a Venezia. Santa Sede / Papa Inviati papali al re d’Ungheria69 Angelo Pecchinoli nuncius/legatus: settembre 1488–settembre 149070 György Horvát cursor: aprile 149371 61 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 292 (n. 7) = Óváry I. 164 (n. 675). Menzionato da Maffeo Treviglio nel suo rapporto dell’8 settembre 1490: MDE IV. 256. 63 Óváry I. 155–156 (n. 638, 640), e cf. 167 (n. 687). 64 Óváry I. 167 (n. 690) e 168 (n. 692). 65 Óváry I. 169 (n. 695), 170 (n. 699), 171 (n. 701), 173–174 (n. 715) e 177 (n. 727), M. Hlavačková: ‘A Diplomat in the Service…’, op.cit.: 17. 66 Accanto alla regina Beatrice. Vestigia infocus n. 1328, 1r, senza nome, come ‘ambasciatore’. 67 Un’ambasciata spagnola di Ferdinando II d’Aragona detto “il Cattolico”, Sanudo III. 213 “esser lì l’orator yspano e dil re di Napoli”, 985 “l’orator yspano e neapolitano”. Probabilmente Luis Mercader o Francisco Muñoz, conosciuti dal 1499, vedi M. Á. Ochoa Brun: Historia de la diplomacia española, Apéndice 1, Repertorio diplomático. Listas cronológicas de representantes desde la Alta Edad Media hasta el año 2000 (Biblioteca diplomática española. Sección estudios 6), Madrid: Ministerio de Asuntos Exteriores, 2002: 194. 68 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II’, op.cit.: 293 (n. 14). 69 La lista è basata su A. Kalous: Late Medieval Papal Legation…, op.cit.: 207–208. Elenco solo gli ambasciatori che furono delegati anche in Ungheria (non quelli che furono inviati solo nel territorio dell’Impero). 70 A. Kalous (ed.): The Legation of Angelo Pecchinoli, op.cit.: passim; A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 343–351, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121. 71 Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 285, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 351. 62 476 Bálint Lakatos Antonio Fabregues (Fabrignisi) cursor: agosto–settembre 149372 Orso Orsini nuncius/legatus: ottobre 1493–giugno 149573 Antonio Fabregues (Fabrignisi) cursor: agosto 149574 Bartolomeo de Miranda cursor: novembre 149675 Gaspare Golfi nuncius: ottobre 1499–marzo 150076 Gaspare Golfi nuncius: agosto–settembre 150077 Pietro Isvalies legatus de latere: novembre 1500–ottobre 150378 Gaspare Golfi nuncius: febbraio 150179 Iacobus Neretus cursor: marzo 150480 Achille Grassi nuncius/legatus: aprile–agosto 151081 72 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 352–353. 73 Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 311–318, V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 253–255, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, W. Untergehrer: Die päpstlichen nuntii…, op.cit.: 446. 74 V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 272–273, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 352–353. 75 Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 392–393, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 353–355. 76 V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 256–257, Sanudo III. 57–58, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 355–356. Cf. B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 296. 77 V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 257–258, Sanudo III. 294, 309, 343–344, 378, 384–385, 402, 409, 412, 566–567, 791. A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122. 78 G. Nemes: ‘Cardinal Pietro Isvalies, the Bishop of Veszprém’, Archivum Historiae Pontificiae 53, 2019: 69–110, pp. 71–81, 86–90, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 356–361. 79 Lettera di Tommaso Danieri a Ercole d’Este, Buda, il 25 febbraio 1501, edita per Cesare Foucaud: ‘Lettere di Tommaso Dainero ad Ercole duca di Ferrara 1501–1502’, in: Modenai és velenczei követek jelentései Magyarország földrajzi és culturai állapotáról a XV. és XVI. században. Descrizione dell’Ungheria nei secoli XV. e XVI, Edita in occasione del congresso geografico internazionale di Venezia, settembre 1881, Budapest: senza editore, 1881: 5–25, p. 7. Sanudo III. 1535, 1549. A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122. 80 G. Pray (coll.): Epistolae procerum regni Hungariae, pars I. Complectens epistolas ab anno MCCCCXC ad MDXXXI, Posonii: G. A. Belnay, 1806: 49, Sanudo VI. 36, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 123, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 363–364. 81 Sanudo XI. 577, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 124, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 366–368, B. Lakatos: ‘A tatai országgyűlés és diplomáciai háttere (1508–1510)’, in: László János (ed.): A diplomácia válaszútján. 500 éve volt Tatán országgyűlés, Tata: Tata Város Önkormányzata & Komárom-Esztergom Megyei Önkormányzat Múzeumainak Igazgatósága, 2010 (Annales Tataienses VI): 29–65, pp. 8, 13, 14–15, 18, 22. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 477 Simon Kožičić (Modrusi/de Begna) nuncius: luglio 151082 Iacobus Piso: luglio 151083 Iohannes Staphileus: ottobre 151184 Tamás Bakóc legatus de latere: luglio 1513–151985 Vincenzo Andrić (de Andreis) nuncius: marzo 151486 Pietro Bergnano (Brignani?), Bernát Albisi nuncius e ignoto: giugno–luglio 151487 Vincenzo Andrić (de Andreis), Iulius Cortonensis nuncii: aprile 151588 Bernát Albisi nuncius: maggio 1515–marzo 151689 Nikolaus von Schönberg (Schomberg) nuncius: marzo 1517–151890 Tommaso de Vio legatus de latere: luglio 1523–gennaio 152491 82 A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 368, B. Lakatos: ‘A tatai országgyűlés…’, op.cit.: 20–21. Sanudo X. 849, 851. 83 V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 460–461, nota 910, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 124, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 364–366. 84 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 125, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 368, B. Iványi: ‘Adalékok nemzetközi érintkezéseink történetéhez a Jagelló-korban’, Történelmi Tár [29], 1906: 139–151, 161–197, 321–367, p. 189. 85 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 125–126, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 368–370, G. Érszegi: ‘A Curia Romana középkori levéltárai’, Levéltári Szemle 28, 1978: 321–399, pp. 336–338, G. Érszegi: ‘Bakócz Tamás pápai követi megbízatása’, in: Á. Somorjai & I. Zombori (eds): Episcopus, Archiabbas benedictus, Historicus ecclesiae. Tanulmányok Várszegi Asztrik 70. születésnapjára (METEM-könyvek 85), Budapest: METEM, 2016: 193–202. 86 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126. 87 V. Kenéz, L. Solymosi & G. Érszegi (eds.): Monumenta rusticorum in Hungariam rebellium anno MDXIV (Publicationes Archivi Nationalis Hungarici II-12), Budapest: Akadémiai, 1979: 145, il 27 giugno 1514, lettera di incarico al re d’Ungheria da parte del famigliare papale Pietro Bergnano (il nome potrebbe essere rotto al posto di ‘Brignano’ o ‘Brignani’), vedi ibid.: 172–173, con il quale fu inviato Bernato Albisi come nuncius: ibid.: 146 (4 luglio 1514). Infine, tre messi lasciarono Roma il 12 luglio, ibid.: 157, linea 22. Vedi B. Lakatos: ‘Hírek Magyarországról. Külföldi értesülések 1514-ben a parasztháború eseményeiről’, in: N. C. Tóth & T. Neumann (eds.): Keresztesekből lázadók. Tanulmányok 1514 Magyarországáról, Budapest: MTA Bölcsészettudományi Kutatóközpont Történettudományi Intézete, 2015: 155–217, pp. 192–193. 88 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126. 89 G. Pray (coll.): Epistolae procerum… I, op.cit.: 100–103, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 370–371. 90 V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 326, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126–127, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 371–372. 91 A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 128, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 377–379, G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 370–373. 478 Bálint Lakatos Giovanni Antonio Buglio (Pulleo / Burgio, barone) nuncius: luglio 1523– settembre 152692 Lorenzo Campeggio legatus de latere: gennaio 1524–giugno 152593 Giovanni Verzelio cursor: giugno–settembre 152694 Gli inviati reali ungheresi alla Santa Sede95 László Kemendi: maggio–giugno 149296 Antal Sánkfalvi: novembre 1492–1496.97 Vedi anche a Venezia e a Napoli. Miklós Bacskai: agosto 1493–settembre 149698 Fülöp Bodrogi: ottobre 1494–150099 Iohannes Brandis: ottobre 1494–1499100 János Móré corriere: novembre 1494101 ignoto: ottobre 1498102 Miklós Bánfi (alsólendvai): aprile 1500103 Alexander de Servis (de Senis?): novembre 1500104 92 La sua corrispondenza diplomatica è stata pubblicata da V. Fraknói: Mon. Vat. Hung. II/1. 1–455. Vedi anche A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 382–406, G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 376–381. 93 A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 380–382, G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 373–376. 94 V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 398. Lettere superstiti: Mon. Vat. Hung. II/1. 422–424, 429–430, 437, 442–444, 446–447, 453, 455–456., G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 381. 95 Per una rassegna delle persone, dello status sociale e delle qualifiche di questi ambasciatori, distinguendo tra ambasciatori e agenti (procuratores), si veda da ultimo il lavoro di T. Fedeles: ‘Budáról Rómába…’, op.cit.: 173–183. 96 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 292 (n. 9). 97 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 293 (n. 13), Óváry I. 171–172 (n. 705) – Sulla base di Höflechner ho ipotizzato (B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 295 [n. 19]) che nel gennaio-febbraio 1494 anche Tamás Bakóc fosse un inviato ungherese, anch’egli incaricato da Massimiliano I. Si tratta di un errore: l’oratore di Massimiliano I era János Vitéz, vescovo di Veszprém e amministratore di Vienna. Lo sappiamo da un rapporto milanese dell’8 dicembre 1498. Si ringraziano Hajnalka Kuffart e Tibor Neumann per il loro aiuto. 98 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 294 (n. 17). 99 Ibid.: 294 (n. 17) e 295–296 (n. 23). 100 Ibid.: 295–296 (n. 23). 101 Ibid.: 294 (n. 17). 102 Forse Albert Lónyai. Sanudo III. 792. Vedi B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 300 (n. 36). 103 Ibid.: 301 (n. 41). 104 Ibid.: 302–303 (n. 47). Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 479 Péter Beriszló: dicembre 1502–febbraio 1503105 Zsigmond Turzó (Thurzo): settembre–ottobre 1507106 Péter Beriszló: maggio–agosto 1508.107 Vedi anche a Venezia. Péter Beriszló: dicembre 1511–marzo 1512108 Márton Atádi: agosto–settembre 1513109 Francesco Marsuppini (procuratore): 1518–1526110 István Verbőci ed altri: aprile–giugno 1519.111 Vedi anche a Venezia. Márton Mlatkovith Horvát corriere: maggio 1520112 István Brodarics: settembre 1522–agosto 1524.113 Vedi anche a Firenze. István Brodarics: febbraio–agosto 1525.114 Vedi anche a Firenze. Venezia Gli inviati della Signoria di Venezia al re d’Ungheria115 Marco Dandolo oratore: febbraio 1492–novembre 1495116 Pietro Cappello oratore: febbraio 1492–novembre 1495117 Francesco de Zuecha (della Guidecca) segretario: settembre 1499–ottobre 1500118 Sebastian Zustignan (Sebastiano Giustiniani) oratore: gennaio 1500–marzo 1503119 105 Ibid.: 308 (n. 59). La missione potrebbe non essere stata realizzata. B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 316 (n. 87). 107 Ibid.: 317 (n. 93). 108 Ibid.: 323 (n. 117). 109 Ibid.: 328 (n. 128). 110 Ibid.: 332–333 (n. 139), G. Nemes: ‘The Relations of the Holy See…’, op.cit.: 177–178. 111 Gli altri due membri dell’ambasciata erano Pál Csavlovics (gyurkovci) e Imre Fáncsi. B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 335–336 (n. 150). 112 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 337 (n. 155). 113 Ibid.: 344 (n. 171), G. Nemes: ‘The Relations of the Holy See…’, op.cit.: 178. 114 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 348–349 (n. 186) 115 Per le ambasciate ben documentate nei Diari di Marino Sanudo, nelle note enumero solo i dati più importanti. 116 Óváry I. 177 (n. 731), senza nome; dato successivo del 1500: “fo ambasador in Hongaria”, e del 1501, ibid.: 1533, “stato alias orator nostro in Hongaria…”. 117 Secondo inviato, insieme a Dandolo. Óváry I. 177 (n. 731), senza nome. 118 Óváry I. 203 (n. 862); Sanudo II. 1374, III. 57–58, 213, 702, 985, 1009, 1054. 119 Sanudo III. 75, 84, 119, 193, 213, 1177, IV. 86, 251, 284, 286, 563–564, 792, 863–865, 866. Relazione finale ed. Alfred von Reumont: Un’ ambasciata veneziana in Ungheria (1500–1503). Commentario, Estratto dall’Archivio storico italiano 4a série, tomo III, anno 1879) Firenze: 106 480 Bálint Lakatos Vetor Soranzo oratore: gennaio–†14 novembre 1500120 Zorzi Pixani (Giorgio Pisani) oratore: gennaio–novembre 1501121 Zuan Badoer (Giovanni Baduario) oratore: novembre 1501–gennaio 1504122 Zuan Francesco di Benedeti (Benedetti) segretario: gennaio 1504–dicembre 1506123 Vincenzo Guidoto segretario: novembre 1506–maggio 1510124 Pietro Pasqualigo oratore: ottobre 1509–agosto 1512125 Antonio Surian (Suriano) oratore: luglio 1512–luglio 1516126 Alvise Bon oratore: agosto 1516–giugno 1519127 M. Cellini, 1879 (online: https://opacplus.bsb-muenchen.de/title/BV020963522 – data della visita: 22 gennaio 2022): 8–12, Sanudo IV. 858–863 = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: III–XI. Il suo segretario era Pollo Zoltarello, vedi Sanudo IV. 862. 120 Secondo inviato, insieme a Giustiniani. Sanudo III. 75, 84, 119, 193, 213, 1113, 1158–1159 (era morto), 1177 (seppelito a Buda). Il suo segretario era Andrea di Franceschi, vedi Sanudo III. 1453, IV. 862. 121 Secondo inviato, in sostituzione di Soranzo. III. 1186, 1205–1207, 1214, 1230, 1247, 1262, 1316, 1357–1358, 1453, 1535–1537, 1603–1604, IV. 86, 96–97, 176. Vedi anche Riccardo Predelli (a cura di): I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, VI., Venezia: a spese della Società, 1903 (Monumenti storici publicati dalla R. deputazione veneta di storia patria, serie I. vol. XI): lib. 18. pp. 46–47 (trattato del 13 marzo 1503). Il suo segretario era Geronimo Donato, vedi Sanudo IV. 862. 122 Sanudo IV. 96–97, 174–175, 284, 563–564, V. 70, 72–73, 135, 241, 769, 804–805. Il sommario della relazione ibid.: V. 823. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XII; V. Fraknói: ‘Lónyai Albert zengi kapitány velenczei követségei 1501–1515. Közlemények a velenczei állami levéltárból’, Magyar Történelmi Tár 22, 1877: 3–44, p. 16–20. Il suo segretario era Alvise Rosso, vedi Sanudo IV. 862. 123 Sanudo V. 766–768, 828–831, 388, VI. 410–411, 438, 510. 124 Sanudo VI. 410–411, 503–506, 536, VII. 716, VIII. 129, IX. 234, 380, 519, 546, X. 55, 503–506, 536–537. 125 Sanudo IX. 234, 241, 245, 289, 380, 546, X. 55, 503–506, 537, 847–851, la fine della missione: Sanudo XIII. 405, XIV. 560–561. Vedi anche V. Fraknói: Magyarország és a cambrayi liga, op.cit., P. E. Kovács: ‘I dispacci…’, op.cit. 126 Óváry I. 243. (nn. 1046–1047), Sanudo XIV. 560–561, 638, rapporti regolari dalla corte reale ungherese, vedi Sanudo XIV–XXII, per esempio XX. 412–413, 428, XXII. 63, 69–70 (testo completo del suo dispaccio del 13 marzo 1516 sulla morte di Vladislao II), la fine della missione: Sanudo XXII. 250–251, 458. Il sommario della relazione ibid.: XXIII. 348–354. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XIII–XXIII. 127 Sanudo XXII. 273, 458, 555–556, rapporti regolari dalla corte reale ungherese, vedi Sanudo XXII–XXVI, per esempio ibid.: XXV. 230–231, XXVI. 238–239, 415, 418–419, 428, 506–507, la fine della missione: ibid.: XXVII. 287–288, 352, 408, 419, 543. Il sommario della relazione ibid.: 495–502. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXIV–XXXVI. Il suo segretario era Giacomo Vedoa, vedi Sanudo XXVII. 501. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXXV. Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani 481 Lorenzo Orio oratore: giugno 1519–dicembre 1523128 Vincenzo Guidoto segretario: novembre 1523–luglio 1525129 Gli inviati del re d’Ungheria alla Signoria di Venezia ignoto: dicembre 1490–gennaio 1491130 Antal Sánkfalvi: novembre 1492.131 Vedi anche alla Santa Sede e a Napoli. Lőrinc Újlaki, Ferenc Szatmári ed altri: luglio–agosto 1502132 Albert Lónyai: agosto–settembre 1503133 Péter Beriszló, Máté Jurisics: ottobre–dicembre 1503 (a Traù, Dalmazia)134 Albert Lónyai: marzo 1504135 Péter Beriszló: settembre–dicembre 1504136 Fülöp Móré (csulai Móré): luglio–dicembre 1505137 András Bot (bajnai Both): giugno 1506138 128 Sanudo XXVI. 317, XXVII. 119, 133, 230, 386, 419, 543–544, rapporti regolari dalla corte reale ungherese, vedi Sanuto XXVII–XXXV. La fine della missione: ibid.: XXXIV. 186, XXXV. 40, 174– 175, 277, 282, 286, 289. Sua relazione in sommario, vedi ibid.: 295–300 = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXXVII–XLVI. La sua udienza finale e il discorso del 17 novembre 1523, e la risposta reale ungherese del 20 novembre: Krzysztof Szydłowiecki kancellár naplója 1523-ból [Acta legationis], tradotto in ungherese da I. Boronkainé Bellus, il testo latino è stato curato da G. Érszegi, a cura di I. Zombori, Budapest: METEM, 2004: 179–182, 187 (testo latino). Il suo segretario era Francesco Massaro (relazione da ottobre 1523 in Sanudo XXXV. 99–116 = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XLVII–LXVIII). 129 Sanudo XXXIV. 376, XXXV. 40, 277, 282, rapporti regolari dalla corte reale ungherese, vedi Sanudo XXXV–XXXIX. La fine della missione: ibid.: XXXIX. 64, 104, 105, 315, 318–320. Relazione finale ed. F. Firnhaber: ‘Vinzenzo Guidoto’s Gesandschafts am Hofe K. Ludwigs von Ungern 1523–1525’, in: Quellen und Forschungen zur vaterländischen Geschichte, Literatur und Kunst, Wien: Braumüller, 1849: 66–138. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: LXIX–LXXXV. 130 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 291 (n. 3). 131 Ibid.: 293 (n. 12). 132 Delegazione ungherese a Padova per accogliere Anne de Foix, la futura regina ungherese; altri membri: Tamás Szentgyörgyi-Bazini, Mihály Ország, András Bot (bajnai), Bátori György. Ibid.: 305–306 (n. 56), vedi anche V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 12. 133 V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 13–15, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 309 (n. 62). 134 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 310–311 (n. 66). 135 V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 20–25, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 311–312 (n. 68). 136 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 312 (n. 71). 137 Ibid.: 312–313 (n. 73), Szovák M.: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 198–200. 138 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 313 (n. 76). 482 Bálint Lakatos György Merzini (Korbáviai): febbraio–marzo 1507139 Albert Lónyai: giugno–settembre 1507140 Péter Beriszló: marzo 1508.141 Vedi anche alla Santa Sede. Fülöp Móré (Csulai Móré): settembre–ottobre 1508142 Fülöp Móré (Csulai Móré): giugno 1509–marzo 1510143 Fülöp Móré (Csulai Móré): ottobre 1512–agosto 1514144 István Telegdi: novembre 1512145 Albert Lónyai: gennaio–aprile 1515146 Fülöp Móré (Csulai Móré): ottobre 1517–marzo 1518147 István Verbőci ed altri: marzo–aprile 1519.148 Vedi anche alla Santa Sede. Fülöp Móré (Csulai Móré): dicembre 1520–agosto 1521149 Statileo János: luglio–settembre 1521150 Brodarics István: aprile–maggio 1522.151 Vedi anche a Firenze e alla Santa Sede. Thomas Niger (Crnić): ottobre–novembre 1523152 Traduzione di Dorottya Anna Kriston 139 Ibid.: 314–315 (n. 81). V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 25–28, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 315 (n. 84). 141 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 317 (n. 92). 142 Ibid.: 318 (n. 96). La missione è stata erroneamente confusa con quella successiva, iniziata nel giugno del 1509. Vedere correttamente M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 200–201. 143 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 318 (n. 96), aggiunto come seconda parte alla missione, vedere correttamente M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 201–203. 144 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 326–327 (n. 124), M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 203–205. 145 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 326 (n. 124). Inviato accanto all’ambasciata precedente. 146 V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 29–44, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 331 (n. 133). 147 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 333–334 (n. 141), M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 205–206. 148 Gli altri due membri dell’ambasciata erano Pál Csavlovics (gyurkovci) e Imre Fáncsi. B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 334–335 (n. 147). 149 Ibid.: 339–340 (n. 159), M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 206–209. 150 B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 341–342 (n. 164). 151 Ibid.: 343 (n. 169). 152 Ibid.: 347 (n. 182), cf. A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 376. 140 Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Contactos comerciales del Conde Nicolás Pálffy (1552–1600) con el extranjero1 Monika Tihányiová; Mária Medveczká Universidad de Trnava en Trnava; Universidad Comenius de Bratislava monika.tihanyiova@truni.sk; medveczka@fedu.uniba.sk Abstract The study is based on a letter of the Hungarian nobleman Nicolás Pálffy (1552–1600) from February 1596, addressed to Vincenzo I. Gonzaga, Duke of Mantua (1562–1612). The subject of the letter was horses and greyhounds. This prompted a study of Pálffy’s correspondence in terms of his business activities and contacts. Upon closer examination of the surviving letters, in addition to the well-known grain and wine trades, frequent horse and game hunting trades were also discovered. Among those interested in these goods were not only prominent local nobles, but also members of well-known foreign families. The research has also confirmed the number of languages that this early medieval nobleman was able to communicate in, besides Latin, Hungarian, German, Italian also in Spanish, which is the language of this letter. The study concludes with a linguistic analysis of the letter and its transcription. En la historiografía eslovaca y húngara, Nicolás Pálffy (1552–1600) es conocido por sus logros en diferentes ámbitos. En primer lugar, ha pasado a la historia como quien sentase una sólida base para la rica historia de la familia Pálffy. En los ámbitos militar y político, tuvo un rol destacado tanto en el campo de batalla como en el campo diplomático, no sólo en el ámbito húngaro, sino en toda la monarquía de los Habsburgo. Además, son bien conocidas sus actividades económicas y comerciales. Un aspecto interesante de la vida de Nicolás es su 1 El presente estudio ha sido realizado en el marco del proyecto de investigación VEGA 1/0563/19 Neznáme pramene k dejinám Slovenska v talianskych archívoch (14.–16. storočie) [Fuentes desconocidas sobre la historia de Eslovaquia en los archivos italianos (siglos XIV–XVI)]. 484 Monika Tihányiová; Mária Medveczká red de contactos con socios comerciales extranjeros con los que comunicaba no sólo en latín, húngaro o alemán, sino también en italiano y español. Retrato de Nicolás Pálffy, 1615 (Rijksmuseum Amsterdam)2 El éxito de Nicolás Pálffy en Hungría y en la monarquía habsbúrgica en el dificilísimo periodo del último tercio del siglo XVI, un tiempo de constantes conflictos con los otomanos que ocupaban las partes centrales del antiguo Reino de Hungría, se debió entre otros a su origen familiar.3 Era el menor de los ocho hijos de Pedro Pálffy (hijo de Pablo Pálffy y Clara Erdődy) y Sofía Dersffy. Los lazos de parentesco, establecidos paulatinamente desde finales del siglo XV por su abuelo y su padre, contribuyeron significativamente a la propiedad y al estatus social de la familia, que descendía de la baja nobleza. Incluso el emperador 2 https://www.rijksmuseum.nl/en/collection/RP-P-1908--3838 Sobre los orígenes de la familia, véase: G. Pálffy: ‘A Pálffy család felemelkedése a 16. században’, in: A. Fundárková & G. Pálffy (eds.): Pálfiovci v novoveku. Vzostup významného uhorského šľachtického rodu, Bratislava & Budapest: Spoločnosť Pro Historia, 2013: 17–36. 3 Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 485 Rodolfo II de Habsburgo (1576–1608),4 cuando en 1581 concedió a la familia Pálffy el título de barón, señaló los orígenes de la familia y sus vínculos con las familias Erdődy y Dersffy. La madre de Nicolás, Sofía, era sobrina de Francisco Batthyány (1525–1533), ban croata-eslavón, conocido luchador antiotomano, participante en la batalla de Mohács y uno de los dignatarios húngaros más importantes e influyentes durante el reinado de Fernando I (1527–1564). La influencia de Francisco y su estrecha relación con su hermana Perpetua (la madre de Sofía) se pone de manifiesto en la colocación de varias de sus hijas en la corte de Francisco con el fin de adquirir una mayor educación social y, en particular, para encontrar pretendientes adecuados.5 Sofía y Pedro continuaron en una línea similar. Proporcionaron a sus hijos una buena educación en casa con un tutor contratado, el letrado llamado Valentino, y al mismo tiempo concertaron para ellos matrimonios con miembros de las entonces prominentes familias aristocráticas.6 Dado el turbulento periodo de la intensa defensa del Reino húngaro contra los otomanos, no sorprende la carrera militar de los hermanos mayores de Nicolás.7 Los contactos de Pedro Pálffy y su esposa Sofía con muchas personalidades influyentes de la época contribuyeron a que su hijo menor, Nicolás, de once años, se educara directamente en Viena, en la corte de Maximiliano II (1564– 1576). Esto ocurrió poco después de que su hijo y el hermano mayor de Nicolás, Jorge Pálffy (†1562),8 sucumbiera a sus heridas tras una batalla con los otomanos. El periodo en el que Nicolás fue educado en la corte vienesa y luego española junto al archiduque Rodolfo fue mencionado por este último en 1581, cuando ya era rey magiar y emperador, al enumerar los méritos de Nicolás y sus hermanos. No olvidó mencionar la lealtad de Nicolás durante su viaje a España y posteriormente a otros países, durante el cual le prestó muchos y 4 P. Jedlicska: Adatok erdődi báró Pálffy Miklós a győri hősnek életrajza és korához 1552–1600. Eger: Az érseki lyceum könyvnyomdája, 1897: 5. 5 Magyar Nemzeti Levéltár, Országos Levéltára, Diplomatikai Levéltár 104464. 6 G. Pálffy: ‘A Pálffy…’, op.cit.: 27–29. 7 En la época de la incipiente carrera de los hermanos de Nicolás, en estas batallas ya se habían distinguido con éxito los hermanos de Sofía – Esteban Dersffy, capitán de los distritos de Košice (Kassa) y de las regiones transdanubianas, y Farkas Dersffy, capitán de Szigetvár. E. Terbe: Batthyány Ferencné Svetkovics Katalin levelei (1538–1575), Budapest: Magyar Nyelvtudományi Társaság, 2010: 55. Sobre los éxitos y fracasos de los hermanos de Nicolás, véase: G. Pálffy: ‘A Pálffy…’, op.cit.: 27–28. A. Fundárková: ‘Rábsky hrdina Mikuláš Pálffy – mýtus a skutočnosť’, Historické štúdie 53, 2019: 45–58, pp. 47–48. 8 Ibid.: 47. 486 Monika Tihányiová; Mária Medveczká buenos servicios.9 Sabemos que este viaje duró casi ocho años (1563–1571) y que, además del archiduque Rodolfo, participaron en él sus hermanos Ernesto, Wenceslao y Alberto.10 A España fueron invitados por su tío (el hermano de su madre, la emperatriz María), el rey español Felipe II de Habsburgo, para adquirir experiencia práctica en todas las esferas importantes de la vida monárquica de la época -la política, la diplomacia y el ejército- bajo la estricta supervisión de la Iglesia católica. Los acompañaban hijos de algunos de los magnates húngaros, entre ellos Nicolás Pálffy. Así, estos tuvieron la rara oportunidad de ser educados por los mejores maestros y además hacerlo en la corte del monarca europeo más importante de la época. Nicolás pudo acompañar a los archiduques incluso en sus viajes a otros países de Europa Occidental (Sacro Imperio, Francia, Flandes), ampliando considerablemente sus conocimientos, incluyendo los lingüísticos.11 El archiduque Rodolfo, acompañado por Nicolás, regresó a Viena poco antes de su coronación como rey de Hungría, que tuvo lugar en 1572. No es de extrañar que Nicolás se convirtiera inmediatamente en miembro de su corte. Le sirvió como dapifer, luego como panatier, y finalmente, a partir de 1575, como Jefe mayor de la Vajilla de Plata (Oberstsilberkämmerer). Siguió ocupando este puesto en la corte de Rodolfo también más tarde, después de que éste tomara el relevo de su padre Maximiliano II (†12.10.1576). A partir de 1579, Nicolás Pálffy fue el único verdadero mayordomo húngaro (Kämmerer).12 Sería, por tanto, el más importante miembro de la aristocracia húngara de la época con verdadera ascendencia sobre el rey y emperador y, al mismo tiempo, quien entrase entre 9 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: 5. Z. A. Liktor: ‘ “Spanyol az Isten”. Egy Spanyolországhoz erősen kötődő dinasztia a Magyar Királyság élén a XVI–XVII. században: a Habsbug-ház’, Jogtörténeti szemle 1, 2020: 43–50, p. 45. Su tío, el hijo menor del rey Fernando I, Carlos, también estaba en Madrid en ese momento. Mientras Rodolfo y Ernesto, junto con Nicolás Pálffy, regresaron a Viena, Wenceslao y Alberto permanecieron en España. Wenceslao se puso a la cabeza de los Caballeros de Malta en Castilla y León hasta su temprana muerte, mientras Alberto llegó a ser Cardenal, Arzobispo de Toledo y Virrey de Portugal, hasta que en 1595 le fue encomendado el gobierno de los Países Bajos españoles, tierra que recibió su futura esposa, la infanta Isabel Clara Eugenia de Habsburgo, como soberana en 1598. Ibid:, p. 49. El viaje a España para conseguir mayor educación confirma los continuos y estrechos lazos de la corte vienesa con la de Madrid, la promoción de la etiqueta y cultura españolas en la corte de Maximiliano (especialmente por iniciativa de su esposa), y el recordar constante de su ascendencia común. 11 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: 5. 12 G. Pálffy: ‘Baróni a magnáti v Uhorskom kráľovstve v 16. storočí’, Forum Historiae 4, 2010: 1–13, p. 12. 10 Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 487 sus connacionales en el círculo de personas cercanas a él provenientes de la nobleza de la Baja Austria, Bohemia y Alemania e influyentes en la política interior y exterior del monarca. Desde finales de 1583, Nicolás se convirtió también en conde supremo -főispán (comitatus Posoniensis supremus comes) y capitán en jefe del castillo de Bratislava.13 Rodolfo mostró su confianza en él desde el principio, como lo demuestra, por ejemplo, el hecho de que aún en 1574 fuera enviado como diplomático a Constantinopla, y un año después a Buda, sede del bajá del eyalato de Buda. Otra exitosa etapa en la vida de Nicolás fue su matrimonio concertado con la hija del chambelán del archiduque Ernesto, Marcos Fugger (1529–1597), que era miembro de una rica familia de banqueros de Augsburgo, alcalde de esta ciudad y reputado hombre de negocios. El compromiso tuvo lugar en dicha plaza germánica a principios de 1583, junto con la celebración de un nuevo matrimonio en la familia, el del hermano de la novia, Jorge Fugger, con la baronesa italiana Elena Madruzzo (Madrutsch).14 De esta manera, Nicolás no se emparentó solo con la todavía muy influyente familia Fugger, sino también con una familia de barones italianos. Sus contactos mutuos son atestiguados por su correspondencia conservada. En abril de 1585, el padre de Elena, el barón Fortunato Madruzzo (1538–1604), escribió a Nicolás. En la carta le expresó la sincera amistad y confianza que le tenía y le instó a que, si necesitaba algo, no dudara en acudir a él.15 Además de la creación de estos nuevos parentescos influyentes, un otro asunto importante transcurrió en la vida de Nicolás: la compra gradual de la parte restante del dominio del castillo de Červený Kameň16 a los Fugger (una parte había recibido a través de la dote de su esposa), que la poseían desde 1535 y la habían dividido en varias cuotas de propiedad. Nicolás no lo consiguió definitivamente hasta 1588.17 El castillo, construido en el territorio del actual 13 Pozsony (hún.) La boda tuvo lugar originalmente en Trento, y las celebraciones continuaron en Augsburgo. La ausencia de Jorge en la boda en Trento está documentada en una carta de su prometida y de su futura suegra, en la que lamentan su ausencia y le agradecen los numerosos regalos, entre ellos las preciosas rosas. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 95, nr. 29. 15 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 186, nr. 209. El barón Fortunato Madruzzo, exitoso comandante militar, era hermano del obispo de Trento Ludovico, de quien también se tiene constancia en cierto momento de la historia de la monarquía de los Habsburgo cuando organizó el ejército papal para luchar contra los otomanos. I. Gy. Tóth: ‘A Propaganda megalapítása és Magyarország (1622)’, Történelmi szemle 42/1–2, 2000: 19–68, p. 28. 16 Vöröskő (hun.) 17 P. Kalus: Die Fugger in der Slowakei, Augsburg: Wißner, 1999: 264–265. 14 488 Monika Tihányiová; Mária Medveczká suroeste de Eslovaquia, al pie del sureste de los Pequeños Cárpatos, cerca de la ciudad de Trnava,18 se convirtió así en la nueva sede de Nicolás Pállfy y de su creciente familia.19 La adquisición del pujante dominio perteneciente a la familia Fugger, que lo había elevado considerablemente gracias a sus actividades empresariales y a su meticulosa gestión,20 supuso para Nicolás nuevas oportunidades de hacer uso de sus conocimientos y habilidades, así como de sus influyentes contactos. Además de organizar los costosos trabajos de construcción del castillo, Nicolás continuó en las actividades económicas de sus predecesores, incluyendo las actividades de poblamiento. Al mismo tiempo, en el dominio de Červený Kameň organizó el cultivo masivo de tierras, que decidió utilizar para su negocio de cereales (trigo, centeno, avena, cebada). En tiempos de permanente estado de guerra y de la necesidad de abastecer constantemente a las guarniciones (y a sus caballos) de los castillos fronterizos, esta materia prima era una de las más codiciadas. Ya en 1584 podemos rastrear el suministro regular de grano por los dominios pertenecientes a Nicolás a la hacienda real, lo que le reportó un considerable beneficio (por ejemplo, en 1596 vendió grano por 33.622 florines). Además, a la cámara de la corte también ofrecía de venta vino, que procedía de los extensos viñedos de sus dominios. Tras el estallido de la llamada Guerra de los Quince Años con los otomanos (1593–1606), a menudo concedía a la hacienda imperial préstamos en suministro de grano. A cambio, recibía ingresos administrados por la Cámara.21 18 Nagyszombat (hun.) I. Štibraná: Rodová portrétna galéria a umelecké zbierky Pálffyovcov na Červenom Kameni. Obdobie prvých troch generácií rodu v 16.–17. storočí, Kraków: Towarzystwo Slowaków w Polsce – Trnava: Filozofická fakulta Trnavskej univerzity v Trnave, 2013: 19. En la segunda mitad del siglo XVI, además del castillo, que daba nombre a todo el dominio, pertenecían al dominio de Červený Kameň tres ciudades pequeñas (Častá, Doľany, Dolné Orešany) y la mitad de 15 pueblos (Bohdanovce nad Trnavou, Borová, Budmerice, Dlhá, Dubová, Jablonec, Kaplná, Klčovany, Košolná, Suchá nad Parnou, Šelpice, Štefanová, Vištuk, Zvončín y parte de Slovenská Nová Ves). V. Čičaj: ‘’Ekonomické pozadie vzostupu Pálfiovcov v 16. storočí’, in: A. Fundárková & G. Pálffy (eds.): Pálfiovci v novoveku. Vzostup významného uhorského šľachtického rodu, Bratislava & Budapest: Spoločnosť Pro Historia, 2013: 37–46, p. 39. 20 Sobre las actividades económicas en el dominio de Červený Kameň bajo los Fugger, véase. J. Žudel: Fuggerovci na Červenom Kameni 1535–1583, Bratislava: Veda, 1991. O más recientemente E. Benková: ‘„Statuta den newgeseczten Richtern, Burgern und allen Underthanen in der gannczen Herschafft Bybersburg”. Príspevok k poddanskému právu v Uhorskom kráľovstve v 16. storočí’, Opus caementum. Historia nova 19. [en línea] Bratislava: Stimul, 2021: 85–131. Accesible en: https://fphil.uniba.sk/fileadmin/fif/katedry_pracoviska/ksd/h/Hino19.pdf 21 V. Čičaj: ‘Ekonomické…’, op.cit.: 44–45. Véase, p. ej. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 343, nr. 545. 19 Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 489 El comercio de grano y vino de calidad atrajo a Nicolás incluso clientes extranjeros: unos italianos desconocidos de Venecia y el propio rey polaco.22 En 1590, también Marcos Fugger pidió a su yerno que le comprara grano de Hungría.23 La documentación sobre el comercio de trigo, madera y ganado es algo más numerosa y está directamente relacionada con los otomanos (por ejemplo, con el Beg de Strigonia24 ).25 En tiempos de escasez, la demanda de grano obligó a Nicolás a negociar su compra e importación a los nobles de la Baja Austria.26 Los productos mencionados no fueron los únicos con los que Nicolás Pálffy comerciaba con éxito. Ya en una de sus primeras cartas que se conservan, de 1577, observamos sus conocimientos en materia de precios y venta de caballos.27 Cinco años más tarde, se conoce por una carta de su suegro, Marcos Fugger, que Nicolás le había remitido un caballo turco gris y que pensaba enviarle otro. Sin embargo, Fugger tuvo que rechazarlo debido a que su caballeriza estaba atestada de animales. Sin embargo, le sugirió a Pálffy que colocara este caballo en su propio establo.28 Un año después, en diciembre de 1583, Fugger pidió a su yerno que le enviara los dos caballos acordados con arreos, aconsejándole que los mejores arreos se compraban en Trnava. Sobre la calidad de estos caballos debía haber informado a Nicolás en una carta anterior.29 No cabe duda de que el suegro de Nicolás era un gran conocedor de las razas y la calidad de los caballos. Los Fugger eran conocidos en aquella época no sólo por sus actividades financieras y económicas, sino también por su gran interés por los caballos, la equitación e incluso el cuidado de estos animales. El primo de Marcos, Juan Jacobo Fugger (1516–1575), con el que el primero dirigió el 22 V. Čičaj: ‘Ekonomické…’, op.cit.: 45. Nos enteramos del comercio de cereales con los italianos por una carta de un oficial de Pálffy, fechada en marzo de 1591. Escribió a Nicolás que en Trnava se había encontrado con un representante de los comerciantes italianos y que este le dijo que no compraría más trigo por el momento, ya que sus amos le habían informado de que estaban esperando la posibilidad de comprar trigo de Inglaterra. Según el oficial de Pálffy, se trataba sin duda de una táctica para reducir el precio del trigo. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 420, nr. 729. 23 Ibid.: p. 418, nr. 725. 24 Esztergom (hún.), Ostrihom (eslov.) 25 V. Čičaj: ‘Ekonomické…’, op.cit.: 45; P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 156, nr. 156. 26 En 1586, por ejemplo, le mandaron sus ofertas el conde Segismundo de Hardegg (en la Baja Austria) y Ernesto Roggendorf. Ibid.: p. 209, nr. 257, p. 211, nr. 265. 27 Ibid.: p. 81, nr. 2. 28 Ibid.: p. 89, nr. 20. 29 Ibid.: p. 104, nr. 45. 490 Monika Tihányiová; Mária Medveczká negocio de los Fugger durante un tiempo tras la muerte de su padre, incluso llegó a escribir un libro sobre la cría de caballos, que se publicó en Worms en 1578. Sin embargo, en su traducción al húngaro de 1786, la autoría de este libro se atribuyó a Marcos, sin duda, porque también era conocido por su gran interés en los caballos y la equitación.30 Por último, lo vemos en la correspondencia con su yerno Nicolás. La caballeriza que mencionó en su carta a Nicolás era, al parecer, una de sus conocidas caballerizas en la ciudad bávara de Sonthofen o Bad Hindelang. Asimismo, se sabe que Marcos también compraba caballos en España. El libro mencionado anteriormente recoge su viaje a este país en 1563, donde supuestamente llamó su atención el innovador cuidado por la salud de los caballos, que en España ya no era responsabilidad de los herreros (como lo era en aquella época, por ejemplo, en Hungría), sino de expertos formados para ello: los albéitares.31 En Madrid adquirió un libro de medicina equina árabe, ilustrado con bellas imágenes en color, cuyos conocimientos fueron puestos en práctica por sus mozos de cuadra y otros sirvientes que cuidaban de sus caballos.32 El interés de Fugger por los caballos de Hungría no es sorprendente también por otra razón. Ya en la época medieval eran conocidos por ser excepcionalmente resistentes, duros, fuertes y rápidos. Otra razón por la que había un gran interés por ellos fuera de Hungría, era su bajo precio. Además de los caballos de montar, también los caballos de tiro se consideraban de una calidad excepcional, ya que eran robustos y un animal era capaz de tirar de un carruaje con seis u ocho personas. Además de los caballos húngaros, en la Edad Media los nobles húngaros más ricos también poseían caballos comprados en el extranjero. Estos caballos procedían principalmente de Europa occidental donde ya en aquella época se mantenían en establos, a veces durante todo el año. Del mismo modo, aparecían en Hungría en aquel periodo los caballos árabes, o cada vez más a menudo llamados turcos, exactamente los que Nicolás regaló a su suegro. En la Edad Media, sólo eran propiedad de los gobernantes y de la más alta aristocracia y se encontraban entre los caballos más destacados de sus cuadras. La resistencia y el aguante de estos animales se basaba, como en el caso de los 30 D. Karasszon: ‘A címlapon látható képről bövébben’, Magyar Állatorvosok Lapja 124, 2002: 130, p. 130. Sobre los datos biográficos de Juan Jacobo y Marcos, véase: https://www.deutschebiographie.de/sfz18012.html/#ndbcontent; https://www.deutsche-biographie.de/sfz18022.html/ #ndbcontent. 31 J. Carpio Elías: Las caballerizas reales de Córdoba en el siglo XVI: un proyecto de Estado, Sevilla: Editorial Universidad de Sevilla, 2017. D. Dvořáková: Kôň a človek v stredoveku. Budmerice: Rak, 2007: 119. 32 Ibid.: p. 119. D. Karasszon: ‘A címlapon…’, op.cit.: 130. Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 491 de Hungría, en el pastoreo libre (a diferencia de los de Europa occidental que se mantenían con avena en establos).33 Los Fugger se dedicaron a la crianza de caballos también en la época en la que eran propietarios del castillo y del dominio de Červený Kameň. En 1546, el padre de Marcos, Antonio Fugger, envió aquí de sus fincas alemanas 11 yeguas y un semental y comenzó la crianza local de caballos. Cuatro años después ya había en el establo 24 yeguas y 10 caballos jóvenes de uno a tres años. La prometedora crianza se vio interrumpida inesperadamente por el traslado de las yeguas a otro dominio perteneciente a los Fugger (el dominio del castillo de Plavec34 ) y el envío de cinco caballos jóvenes a Augsburgo. La reanudación de la crianza de caballos en la finca de Červený Kameň, quizá por iniciativa de Marcos, tuvo lugar a principios de la década de 1580. La caballeriza señorial fue restaurada y en 1581 contaba con 1 semental, 18 yeguas y 7 potros.35 Además, en el dominio se mantenían caballos de trabajo y para tirar carruajes. Se conocen tales números gracias a varios registros económicos del dominio de la época cuando era propiedad de los Fugger. El número más alto, 73, se registró en 1550.36 Pero volvamos a Nicolas Pálffy y Marcos Fugger. Para qué se utilizaban los caballos de los Fugger, además de para viajar, lo sabemos también por su correspondencia. Por la mencionada carta de enero de 1583, escrita a Nicolás por su prometida María Magdalena y su madre Sibila Eberstein, nos enteramos del pesar del hermano de María, Jorge Fugger, por no asistir Nicolás a su boda y cabalgar con ellos. En la invitación a la boda se pedía incluso la confirmación no solo de la asistencia, sino también del número de caballos con los que el invitado llegaría a Trento.37 Sin duda, Nicolás debió de tener una caballeriza con un número no despreciable de caballos. Los caballos eran un bien muy codiciado pero escaso en los mercados durante las guerras que asolaron Hungría a lo largo de la segunda mitad del siglo XVI. En 1584, cuando Nicolás fuera el primer noble húngaro en solicitar el puesto de comandante militar de la importante fortaleza de Komárno, en su oferta de mantener entre 40 y 50 caballos a su cargo para la defensa de la fortaleza pesó mucho en la aprobación de su solicitud.38 No se 33 D. Dvořáková: Kôň…, op.cit.: 46–49. Detrekő (hun.) 35 J. Žudel: Fuggerovci…, op.cit.: 71–72. 36 Ibid.: 73. 37 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 95, nr. 29, p. 90, nr. 21. 38 Ibid.: p. 106, nr. 50. A. Fundárková: ‘Rábsky…’, op.cit.: 52. 34 492 Monika Tihányiová; Mária Medveczká sabe si estos caballos procedían de sus establos. Sin embargo, es cierto que él y su gente fueron capaces de mantenerlos, incluso gracias al grano proveniente del dominio de Červený Kameň. Los caballos también son mencionados por su pariente cercano Esteban Dersffy en una carta que le escribió en mayo de 1585. Se enteró de que Nicolás iba a Praga a ver al monarca que debía proporcionarle fondos para la compra de 200 caballos. Le rogó a Nicolás que en el encuentro con el rey le mencionara a él también.39 En mayo de 1586, escribió a Nicolás su suegro Marcos Fugger, de nuevo en relación con los caballos. Esta vez nos enteramos claramente del comercio de caballos de Nicolás y de su buen conocimiento de las distintas razas. De hecho, Fugger le pidió que le proporcionara y enviara dos caballos destinados para el tiro, que ya le había solicitado varias veces el príncipe Guillermo de Baviera. Quería tenerlas a más tardar a mediados de agosto, ya que pensaba regalárselas al italiano duque de Urbino.40 A base de lo dicho anteriormente tampoco cabe duda de que los caballos turcos procedentes de Hungría o disponibles en este país seguían siendo demandados en los países desarrollados de Europa en aquella época. Uno de los intermediarios de su exportación fue Nicolás Pálffy. Por una carta escrita a Pálffy a Červený Kameň a finales de noviembre de 1585 por su empleado de Komárno, Juan Trombitás, nos enteramos indirectamente de dónde compraba Pálffy los caballos. En su carta, Trombitás informaba a su señor sobre el sultán y el bajá de Buda, mencionando también a un tal otomán, del que se dice que partió hacia la Puerta y le avisó que los caballos estaban en camino y que sus hombres se los enviarían en cuanto llegaran. Le comunicó a Nicolás que el que le gustara se lo podía quedar de inmediato.41 Por una carta de otro oficial de Pálffy en Komárno de finales de diciembre del mismo año, nos enteramos incluso de la adquisición de un caballo directamente de un prisionero otomano. Sin embargo, tras inspeccionarlo, el oficial en cuestión concluyó que a su amo no le gustaría nada. Por lo tanto, devolvió el caballo y liberó al cautivo, con la condición de que obtuviera otro, por valor de 400 monedas de oro. Si no encontrara uno, que al menos consiguiera ganado de ese valor. El agha otomano incluso llegó a sugerir a Pálffy que diera más tiempo al prisionero para encontrar un caballo, ya que así sería de mejor calidad.42 Está claro, por tanto, que los caballos que se utilizaban en las batallas contra 39 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 136, nr. 112. Ibid.: p. 233, nr. 312. 41 Ibid.: p. 180, nr. 202. 42 Ibid.: p. 194, nr. 224. 40 Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 493 los otomanos, o que Nicolás conseguía para sí mismo y para sus conocidos, procedían también directamente de los propios otomanos. Uno de estos caballos le pidió a Pálffy el vicecapitán de Komárno, Erasmo Praun, en 1585. De la carta se desprende que el caballo fue obtenido como botín.43 El hecho de que estos caballos no siempre fueron adquiridos por los nobles de la época directamente a través del comercio también se evidencia en la batalla con los otomanos en las montañas de Vértes, que tuvo lugar el 27 de junio de 1587. El motivo del estallido de esta batalla, iniciada por las tropas de Nicolás Pálffy, Francisco Nádasdy y el capitán de Nové Zámky44 Juan Görög, fue supuestamente el pastoreo de manadas de caballos del beg Hamza en los alrededores de Buda. Según el informe de Nicolás Pálffy, con provocar esta batalla, las tropas húngaras reaccionaron a varias razzias de las tropas otomanas a la fortaleza de Komárno, durante los cuales capturaron a varios pescadores húngaros o robaron caballos que pastaban cerca del edificio del nuevo castillo.45 Este incidente también confirma que, aunque se concluyó una tregua con los otomanos, las escaramuzas menores en la zona fronteriza eran algo cotidiano. Las razones eran comprensibles; los suministros a los castillos fronterizos, así como los pagos a las guarniciones, se retrasaban constantemente, por lo que ambos bandos lo compensaban con pequeñas provocaciones de este tipo, que finalmente se traducían en saqueos y, sobre todo, botines. Como hemos visto, las tropas húngaras, al igual que las otomanas, también secuestraban a soldados, que luego eran liberados a cambio de un rescate, a menudo en forma de algunos bienes, incluidos los caballos. Así lo demuestra también una carta del archiduque Ernesto (entonces gobernador de Hungría) a Nicolás Pálffy, fechada en marzo de 1589. De ella se desprende que el ejército húngaro había logrado capturar a los dos más altos oficiales los begs-, del sancajado de Pécs y Koppány. Fue justo Nicolás el encargado de negociar su liberación, estando en juego no sólo el rescate en forma de bienes, sino también la liberación de los cautivos húngaros. Los otomanos solían ser rescatados también con caballos, entre otros bienes, y el archiduque Ernesto subrayó en una carta a Pálffy que seleccionara sólo equinos de razas nobles.46 43 Ibid.: p. 186, nr. 209. Numerosas manadas de caballos, capturadas a los turcos, incluidos los caballos ensillados, también son mencionadas por el propio Nicolás en varios de sus informes al rey Rodolfo o al archiduque Matías (desde 1593 gobernador de la Alta y Baja Austria y comandante militar supremo, el futuro rey Matías II). Ibid.: p. 627, nr. 694/a, p. 629, nr. 965/c., p. 702, nr. 1082, p. 706, nr. 1090. 44 Érsekújvár (hún.) 45 Para más información sobre esta batalla, véase: A. Fundárková: ‘Rábsky…’, op.cit.: 55–57. 46 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 359, nr. 578. En 1589, se incautaron los caballos que pertenecían directamente a los enviados de Pálffy, a los que había enviado a negociar con los otomanos. 494 Monika Tihányiová; Mária Medveczká Del lugar en el que mandó construir Nicolás la caballeriza en la que guardaba sus caballos, y que se menciona también en una carta de Marcos Fugger, tenemos noticias por los informes de un empleado de Nicolás en Červený Kameň. A finales de septiembre de 1585, informó a su señor de la buena cosecha de la temporada anterior, incluida la vendimia. Escribió que ya a mediados de septiembre se habían conseguido los barriles, pero que su número era insuficiente. Por ello, pidió a Nicolás que le enviara algunos barriles vacíos desde Komárno, ya que él sólo podía conseguir unos muy caros. Al final, también sabemos de la existencia de una caballeriza, tal vez en algún lugar del dominio de Červený Kameň o directamente en un lugar cerca del castillo, de la que el citado oficial debía seleccionar cinco hermosos potros.47 No conocemos si se trataba de establos en los que se colocaban los caballos de trabajo, o si se trataba de una caballeriza, que Nicolás pudo haber utilizado para continuar con la cría de caballos de raza que se había iniciado en el dominio en la época de los Fugger. Teniendo en cuenta el contenido de muchas cartas, que demuestran que Nicolás era un gran conocedor de las razas de caballos y que por eso le contactaron varios aristócratas, archiduques e incluso el propio emperador, es probable que tuviera una caballeriza de este tipo en su dominio.48 Esto queda confirmado por la mención en una carta de 1595 escrita por otro oficial de Červený Kameň, en la que se mencionan dos sementales de raza que el dapifer dejó a Nicolás Pálffy tras su muerte. Como escribe el oficial, estos caballos ya se encuentran en Červený Kameň junto con otros caballos del mencionado dapifer.49 Como sabemos por el testamento de Nicolás, que hizo en Bratislava en marzo de 1596, después de su muerte debía ser mandado un caballo de su caballeriza, quizás de la de Červený Kameň, al emperador Rodolfo y otro al archiduque Matías.50 Uno de los últimos pedidos de caballos, dirigido a Nicolás, también estaba relacionado con la dinastía de los Habsburgo. Con motivo de la boda del archiduque Fernando (más tarde rey Fernando II) que se estaba aproximando, éste se La queja de Pálffy sobre este incidente fue dirigida directamente al bajá de Buda, que le respondió en una carta que ya había ordenado a los culpables que devolvieran los caballos. Ibid.: p. 394, nr. 652. 47 Ibid.: p. 164, nr. 174. 48 Pál Jedlicska en su obra sobre Nicolás Pállfy menciona también la caballeriza de Pusté Úľany (Födémes). A diferencia de otros datos de la parte introductoria de su obra, no añade a esta información una referencia a la fuente correspondiente. Ibid.: 17. 49 P. Jedlicska: Eredeti részletek gróf Pálffy család okmánytárához 1401–1653 s gróf Pálffyak életrajzi vázlatai, Budapest, 1910: p. 4, nr. 9. 50 P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 611, nr. 933. Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 495 dirigió a Nicolás con la petición de que le proporcionara siete caballos negros o blancos para su novia y futura esposa.51 Unas semanas más tarde le escribió de nuevo (a través del capitán Hans Sigismundo de Herberstein), esta vez haciendo hincapié en que debían ser caballos utilizados para el tiro. También le recordó que, si no podía conseguir caballos blancos o negros, debía comprarlos de color marrón oscuro, pero sobre todo que no debían ser espantados. En ambas cartas se ve que Fernando tenía la máxima confianza en Nicolás en cuanto a la elección de estos animales. Nicolás debía recibir el dinero para su compra de un comerciante vienés. Herberstein añadió a la carta también su propia petición de que Nicolás junto con los equinos de Fernando enviara un caballo también para él.52 Esta petición no hace más que confirmar la posición destacada de Nicolás en la sociedad de la época, y además, que su fama no sólo estaba relacionada con sus éxitos militares, como parece sugerir la mayor parte de la literatura, sino también con su experiencia y conocimiento sobre la cría de caballos, sobre las razas y sin duda también sobre su cuidado. Así lo confirma la carta de otro de los archiduques, esta vez el archiduque Matías, que escribió a Nicolás expresando su satisfacción por poder acompañarle en la ya mencionada boda de Fernando. Se interesaba por el número de sirvientes que le iban a acompañar y, en particular, por el número de caballos que llevaría consigo. Expresó la esperanza de que participaran allí juntos en los tradicionales torneos de justas o juegos ecuestres. También esperaba que Nicolás trajera caballos de una raza más noble para la ocasión.53 Unos días más tarde, Matías volvió a dirigirse a él, esta vez con la petición de que le proporcionara dos o tres caballos rápidos para la boda de Fernando.54 Así, en los ejemplos anteriores, tenemos la oportunidad de ver, entre otras cosas, las razones por las que a los aristócratas de la temprana Edad Moderna les gustaba cualquier tipo de celebración, incluidas las bodas. Los caballos y las justas seguían siendo el mayor entretenimiento y, en una época de constantes conflictos con los otomanos y poco antes del estallido de la primera sublevación contra los Habsburgo, sin duda, un acontecimiento adecuado para distraerse de estas difíciles circunstancias. La demanda de caballos para la monta, ya sea para juegos o para la caza, sugiere que Nicolás también 51 Ibid.: p. 716, nr. 1109. La boda debía celebrarse el 23 de abril. La futura esposa de Fernando iba a ser la hija del duque Guillermo V de Baviera, María Ana de Wittelsbach. 52 Ibid.: p. 723, nr. 1125. 53 Ibid.: p. 728, nr. 1139. 54 Ibid.: p. 729, nr. 1142. 496 Monika Tihányiová; Mária Medveczká sabía cómo entrenar a los caballos para estos fines, o que tenía entrenadores experimentados a su disposición. La correspondencia conservada de Nicolás revela cómo obtenía los caballos, a quién y cómo los negociaba, y que entre sus clientes no sólo había nobles y conocidos locales, sino también extranjeros. Además de los ya mencionados, su correspondencia a partir de 1586 conserva interesantes contactos con otros italianos, justo en relación con los caballos.55 En febrero de 1586, un tal Octavio Cavriani se dirigió a él de forma muy amistosa, pidiéndole seis faisanes hembras, por los que dijo que le gustaría pagarle. También añadió que estaría encantado de recibir un buen y gran busardo ratonero.56 Así llegamos a saber que Nicolás también era conocido por su capacidad de proporcionar animales de caza de buena calidad y bien amaestrados (perros y aves de rapiña), o quizás incluso por criarlas directamente. Octavio volvió a dirigirse a Nicolás en el verano de ese mismo año, el 12 de agosto de 1586. Esta vez queda claro de la carta que fue su amo quien encomendó el negocio con Pálffy. De hecho, en su nombre pidió a Nicolás que le proporcionara entre 16 y 18 yeguas para engancharlas a su carroza. También añadió su sincero agradecimiento por la ayuda y el servicio de Pálffy.57 Octavio provenía de Mantua y en la historia húngara es conocido sobre todo de principios del siglo XVII como chambelán y confidente del archiduque Matías, hermano del rey Rodolfo. Sin embargo, los orígenes de su actuación en la monarquía de los Habsburgo se remontan a finales de la década de 1570, cuando sirvió en la corte imperial de Viena como enviado del Ducado de Mantua. Poco a poco se fue abriendo paso hacia las personas más cercanas al rey Rodolfo, a quien siguió hasta Praga. Tras algunas desavenencias con el monarca, comenzó a actuar en la corte vienesa de Matías.58 55 En la correspondencia de Nicolás, publicada por P. Jedlicska: encontramos también los contactos con un italiano llamado Pedro Foscarini, que podría ser miembro de la conocida familia veneciana Foscari. Pedro escribió a Nicolás el 19 de agosto de 1586 desde Venecia. Escribió cómo él y sus parientes (las familias Strozzi, Dandoli, Contarini, Barbarigi y Cornari) recordaban la amabilidad y el afecto que les había demostrado y le invitaban a ir a Venecia a visitarlos. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 25, p. 260, nr. 374. 56 Ibid.: p. 209, nr. 260. 57 Ibid.: p. 25, 259, nr. 369. 58 T. Kruppa: ‘Tervek az erdélyi kormányzóság megszerzésére 1601–1602-ben. Erdély és a Gonzaga dinasztia kapcsolatai a XVI.–XVII. század fordulóján’, in: Hadtörténelmi közlemények 115, 2002: 281–308, p. 287–288. P. Ötvös: ‘Illésházy István az emigrációban’, Századok 1983: 609– 625, p. 620. Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 497 El amo mencionado por Octavio Cavriani en su segunda carta, fechada en agosto de 1586, puede identificarse muy probablemente con el duque de Mantua, Vicente Gonzaga (1562–1612). También él marcó activamente la historia de la monarquía de los Habsburgo, incluida la de Hungría, cuando, tras el estallido de la llamada Guerra de los Quince Años con los otomanos, se unió directamente a la lucha, con una visión de gloria como héroe de guerra.59 Como es sabido, en esas batallas se distinguió también Nicolás Pálffy.60 El valiente Gonzaga, sin experiencia militar previa, se puso al frente de un ejército de 400 hombres, que reunió a sus gastos.61 Su ejército, junto con sus cortesanos, entró en Hungría a principios de septiembre de 1595, tras una breve estancia en Praga y Viena. Sin embargo, sus planes militares no estaban claros. A Esztergom llegó sólo después de su exitosa conquista, en la que tomó parte activa también Nicolás Pálffy con su ejército. En Esztergom, se decidió entonces hacia dónde se movería el ejército de Gonzaga. Es probable que participara en la conquista de Visegrád, pero no registró más éxitos y, ante la llegada del invierno, volvió a Mantua. Durante su viaje desde Viena, Gonzaga también permaneció unos días en la actual Bratislava, como demuestran sus cartas desde esta ciudad a su padre, Carlo Gonzaga.62 Ya al salir de Hungría, Gonzaga planeó volver y así ganar la deseada gloria en la lucha contra los otomanos. Los contactos de Vicente con Hungría y con los comandantes locales después de la expedición de 1595 se evidencian también en una carta inédita, descubierta en el Archivio di Stato de Mantua.63 Entre otras cosas, completa la imagen de las 59 En aquella época, la monarquía de los Habsburgo recibió ayuda financiera y también ayuda activa de varios estados italianos, incluido el Papa Clemente VIII que envió 12 mil infantes y mil jinetes a Hungría. Z. Bagi: ‘Az alsó-magyarországi császári-királyi hadsereg, az oszmán őrség, valamint a megsegítésükre küldött csapatok létszáma és veszteségei Esztergom 1595. évi ostromának idején’, in: E. Erzsébet (ed.): Évkönyv 2010, Komárom-Esztergom Megyei Önkormányzat Levéltára 19, Esztergom, 2010: 42–52, p. 43. 60 Entre sus logros más conocidos destaca la conquista del castillo de Győr. A. Fundárková: ‘Rábsky…’, op.cit.: 46. 61 Las informaciones sobre el número de su ejército varían. Para más informaciones sobre esto, así como sobre los motivos de la expedición de Gonzaga y todo su recorrido, véase: Z. Bagi: ‘I. Vincenzo Gonzaga mantovai fejedelem 1595. évi hadjárata a Magyar Királyságban a Fuggerzeitung alapján’, in: Gy. Domokos, J. W. Somogyi & M. Szovák: Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a tizenöt éves haború idejéről, Budapest: Balassi Kiadó, 2020: 15–25, pp. 18–20. 62 Z. Bagi: ‘I. Vincenzo…’, op.cit.: 24. P. Bertelli: ‘I Gonzaga e l’impero. Storia di nobilta e dipinti’, Atti dell’accademia roveretana degli agati VII, 2006: 93–149, pp. 139–140. 63 Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 533. La carta fue descubierta y digitalizada por el equipo de investigación Vestigia en 2014 y 2019. 498 Monika Tihányiová; Mária Medveczká continuas actividades comerciales de Nicolás Pálffy con el príncipe de Mantua. La carta fue escrita por Nicolás en Esztergom el 2 de febrero de 1596, menos de medio año después de la conquista de la ciudad. Los caballos y animales de caza amaestrados volvieron a ser objeto de su contacto mutuo. De la parte introductoria de la carta queda claro que Pálffy respondía a la petición de Vicente de conseguirle buenos caballos. Octavio Cavriani también vuelve a entrar en acción. Nicolás había escrito a Gonzaga pidiéndole que enviara a Octavio para que este viera no solo los caballos de los establos de Nicolás, sino también otros, por supuesto, de raza noble, que pudiera conseguir. Y que fuera el propio Cavriani quien seleccionaría los mejores sementales para él. Al mismo tiempo, le ofreció un número ilimitado de yeguas de sus propios establos, que estaría encantado de ceder y enviarle. Sin embargo, si Gonzaga quisiera enviar a su propio hombre por los caballos, que lo hiciera en cualquier momento, ya que Nicolás creía que en su caballeriza seguramente encontraría los caballos que deseaba. Además de los caballos, Nicolás menciona también a galgos, buscados por Gonzaga sin duda para la caza. Como supuestamente le había prometido Nicolás, estaría encantado de enviárselos, así como cualquier otra cosa que pudiera necesitar. La carta está escrita de forma muy cortés y servicial. Además del interesante contenido que completa nuestra imagen de las actividades comerciales de Nicolás Pálffy, incluidos los contactos que tenía, y las pruebas claras de la cría de caballos de raza por parte de él y de la existencia de su caballeriza, la carta también enriquece nuestro conocimiento de las habilidades lingüísticas de Pállfy, ya que la carta fue escrita en español. El autor utiliza el lenguaje del siglo XVI, que estaba en fuerte evolución, lo que se refleja también en este texto escrito. Así podemos ver el deslizamiento de la vocal no acentuada i a e (recevido, mesmo) que copia la pronunciación de aquella época,64 pero aparece también el uso de h- en lugar de f- (hebrero) que manifiesta una vacilación en el momento cuando la f- inicial latina tendía a desaparecer o ser aspirada. En dos casos se nota la conservación de grupos consonánticos que más tarde se simplificarán (monstrar, prompto), en mayor grado está representada la confusión de /b/ y /v/ (Ottabio, recevido, savré, embiar) que demuestra la neutralización de la oposición de sus rasgos distintivos en el habla castellana del periodo. La carta demuestra ya la naturalización del superlativo -ísimo (aún escrito como -issimo) que corresponde a ese siglo.65 En cuanto al vocabulario, destaca la palabra ansina, usada en el Siglo de Oro pero hoy día ya desaparecida. 64 65 A. Alatorre: Los 1,001 años de la lengua española. México: Tezontle, 1989: 257. R. Lapesa: Historia de la lengua española. Madrid: Gredos, 1981: 396. Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero 499 El texto refleja también el influjo del italiano en el español del autor que, como hemos mencionado, dominaba ambas lenguas pero ninguna de ellas era su lengua materna (estalones, condurre). Aún queda por explicar el uso del posesivo vossa en la forma de tratamiento Vossa Alteza que no es propio ni del español ni del italiano, sino del portugués. El hecho de tratarse de una carta escrita en lengua extranjera para el autor podría explicar también otras formas inusuales, incluido el uso de los tiempos verbales. Aún se desconocen los motivos de Nicolás de la elección del español para comunicarse con el príncipe italiano. Tal vez el descubrimiento de otras cartas de su comunicación mutua, cuya existencia hay que suponer a base de esta carta, las aclare en el futuro. Para facilitar la comprensión, en nuestra transcripción de la carta original escrita por Nicolás Pállfy a Vicenzo Gonzaga hemos modificado el uso de algunos signos ortográficos auxiliares (tilde, diéresis) y de algunas mayúsculas, hemos suprimido el uso del punto (.) delante de las abreviaciones (.V. Alteza). Nos ha parecido importante alterar algunos casos de separación de palabras (sola mente, selos, parache), pero hemos mantenido la separación en caso de los pronombres personales átonos de complemento (manda le, hare lo). También hemos corregido el uso ocasional de j en lugar de y (jeguas > yeguas, soj > soy, muj > muy) y el de ch en lugar de qu en las palabras che > que, parache > para que manteniendo el uso de la q en lugar de la c. 1596:2:febo . Strigonio Sereníssimo Señor, Señor mío clementíssimo, La Carta de Vossa66 Alteza e recevido67 al qual digo que Vossa Alteza o mande al Señor Ottabio Caviriani que vea mis caballos, o otros que sean en esas partes, y yo en todas las fronteras a donde savré que sea algún lindo y buen caballo para la raeza,68 lo monstraré69 y escoja él mesmo, y yo los daré a V. Alteza 66 vuestra he recibido. En el siglo XVI todavía no se ha empezado a restaurar la h latina muda desde el primer siglo. R. Lapesa: ‘Historia…’, op.cit.: 422. 68 raza 69 mostraré (del latín monstare) 67 500 Monika Tihányiová; Mária Medveczká los dos estalones,70 y también escoja entre mis yeguas no solamente dos sino quantos mandare y yo se los daré, para que pueda embiar a V. Alteza, mas si V. Alteza quiere mandar Vna persona aquí, quien les condura,71 mánda le V. Alteza quando quierra72 que yo espero que en mi caballeriza hallara caballos, que serán al gusto de V. Alteza. Los galgos los que yo e prometido a Vossa A. también los embiaré, y si alguna otra cossa me mandara V.A. en que le puda servir a V.A., haré lo con tan prompto73 ánimo como soy obligado, y ansina74 suplico a V.A. que me mande en todas las ocasiones. Y con esso75 accabo76 mas no de rogar a mío Señor que guarde la Sereníssima persona de V. Alteza, de Strigonio al 2 de Hebrero77 1596, De Vossa Sereníssima Alteza, Muy humilde criado que sus pies bessa Nicolas Palffy Al Ser.mo señor el señor Duq de Mantoua y Monteferrato. – My señor. 70 sementales (del italiano stallone) conduzca (del italiano condurre) 72 quiera 73 pronto (del latín promptus) 74 así 75 eso 76 acabo 77 febrero 71 Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria nel secolo XIX. Prime note di ricerca Alberto Menziani Deputazione di Storia Patria, Modena alberto.menziani@gmail.com Abstract The centuries-old relations between the Este family and Hungary were carried on also with the new Austria-Este dynasty, originating from the marriage between the archduke Ferdinand of Habsburg-Lorraine and princess Maria Beatrice d’Este, heir to the Duchy of Modena. From a military point of view, Francis Ferdinand held for over forty years (1834–1875) the position of owner colonel (Inhaber) of a Hungarian regiment, the I. and R. 32nd infantry regiment. Archduke Francis always remained very attached to his own regiment, which fought in Italy in 1848–1849 and 1859, and in Bohemia in 1866, and provided instructors for the ducal troops on some occasions. Inhaber of a Hungarian-recruiting regiment, i.e. the I. and R. 3rd Hussar cavalry regiment, was also the archduke Ferdinand of Austria-Este (1781–1850), uncle of Francis V, who joined the Austrian army at a very young age, obtaining in 1836 the rank of field marshal. Among the numerous tasks carried out by Ferdinand, there were also those of General Commander of Hungary and Imperial Commissioner in Transylvania. It is precisely in the tight-fitting Hungarian uniform that he is depicted in a beautiful statue, inaugurated in 1855, which can still be admired in the vestibule of the Este mortuary chapel in Modena. Another uncle of Francis V, the archduke Maximilian of AustriaEste, also had to deal with Hungary, having been, among other things, in charge of organizing the Insurrectio in Transylvania during 1809 war. The Austria-Este Dukes also took to their service some Hungarian soldiers coming from Austrian army, such as Nicola Romay and John Pisztory. Some ducal soldiers entered Austrian regiments with Hungarian recruitment or in any case of garrison in Hungary, also following the dissolution of the Modenese ducal army (Brigata Estense) in September 1863. 502 Alberto Menziani La Casa d’Este, da Ferrara prima e da Modena poi, intrattenne secolari relazioni con l’Ungheria, i suoi sovrani e le sue genti, le quali proseguirono anche con la nuova dinastia austro-estense, che assunse il governo dello Stato di Modena a seguito della Restaurazione del 1814–1815.1 Tali rapporti investirono diversi ambiti, fra i quali quello militare. Sotto questo profilo, si può anzitutto ricordare che l’arciduca Francesco Ferdinando Geminiano d’Austria-Este, nato a Modena nel 1819 e Duca di Modena dal 1846 al 1859 col nome di Francesco V,2 rivestì per oltre quarant’anni, e cioè dal 1834 fino alla morte, avvenuta nel 1875, la carica di colonnello proprietario di un reggimento ungherese, il 32° Fanteria. La carica di colonnello proprietario di un reggimento (Inhaber), divenuta all’epoca ormai sostanzialmente onorifica ma comunque assolutamente prestigiosa, era -come è noto- concessa da Vienna ad illustri personaggi che avevano acquisito particolari benemerenze nei confronti dell’Impero, o appartenevano alla dinastia regnante, o comunque con essa intrattenevano particolari legami familiari o d’altro genere. Il prestigio della carica era anche legato al fatto che il reggimento veniva ufficialmente indicato non solo col numero progressivo, che rimaneva fisso, ma anche col nome del proprietario pro tempore. Così dal 1834 al 1875 il 32° Fanteria fu appunto denominato Infanterie-Regiment nr.32 Erzherzog Franz Ferdinand d’Este, con l’aggiunta delle parole Herzog von Modena a partire dal 1846. Ancora, nel 1859 il 12° Ulani si chiamava Ferdinand II, König beider Sicilien, il 52° Fanteria (anch’esso ungherese) Erzherzog Franz Carl, ecc. Naturalmente i reggimenti austriaci avevano anche un comandante effettivo,3 che nel caso dell’Erzherzog Franz Ferdinand d’Este fu dapprima il colonnello Anton von Martini, sostituito poi nel 1835 da Ernst von Sisak, al quale succedette nel 1843 Johann von Castelliz, avvicendato a sua volta nel 1849 da Emanuel von Torri, e così via. Negli ultimi anni di vita di Francesco V il 1 La dinastia austro-estense trasse origine, come è noto, dal matrimonio, celebrato con gran pompa a Milano il 15 ottobre 1771, tra l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Lorena, figlio cadetto di Maria Teresa d’Austria, e la principessa Maria Beatrice Ricciarda d’Este, figlia ed erede del Duca di Modena Ercole III. Il matrimonio diede occasione a grandiosi festeggiamenti, nell’ambito dei quali il 17 ottobre fu eseguita per la prima volta presso il Teatro Regio Ducale della metropoli lombarda l’opera Ascanio in Alba, composta per la circostanza da Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Giuseppe Parini. 2 Su Francesco V vedasi la monumentale biografia di T. Bayard De Volo: Vita di Francesco V, Modena–Milano–Torino–Venezia–Roma, 1878–1885. 3 E spesso anche un colonnello proprietario in seconda. Dal 1847 al 1850 fu ad esempio Zweite Inhaber del 32° il barone Franz von Weigelsperg (cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthumes, Wien, 1851: 233). Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria 503 32° reggimento, che a partire dal 1873 sarà l’Hausregiment di Budapest, era comandato dal colonnello Maximilian von Cruss, nominato nel 1872.4 La ragione per la quale l’Imperatore d’Austria volle attribuire all’arciduca Francesco Ferdinando Geminiano la prestigiosa distinzione che abbiamo ricordato va certamente individuata nell’intento di gratificare un prossimo congiunto e di onorare uno Stato amico. Non si conosce peraltro, almeno allo stato, il motivo preciso per il quale per il colonnellato da conferire fu scelto proprio un reggimento ungherese, e il 32° in particolare. Si può comunque ragionevolmente supporre che a tale determinazione si sia pervenuti in relazione al forte radicamento che la Casa austro-estense aveva in Ungheria, alla quale la famiglia aveva dato un Primate (Carlo Ambrogio d’Austria-Este, arcivescovo di Esztergom dal 1808 al 1809), e dove gli Austro-Estensi erano titolari di vaste signorie territoriali. Inoltre nei primi anni ’30 dell’Ottocento le sorti del 32° reggimento, che aveva allora quale colonnello proprietario il principe Nikolaus Esterházy, si erano venute ripetutamente ad intrecciare con quelle del Ducato di Modena. Nei mesi immediatamente successivi alla rivoluzione del 1831, infatti, un battaglione del 32° fu inviato di presidio nella Capitale ducale, da dove partì il 14 luglio lasciando un favorevole ricordo per “la buona armonia, e la concordia che hanno regnato fra le Truppe Estensi, e le […] Austriache”, come si legge nell’ordine del giorno di saluto del Supremo Comando Militare modenese.5 Nel febbraio del 1832 troviamo poi il 3° battaglione dell’Esterházy accantonato a Reggio,6 mentre nel 1834 il reggimento era di nuovo di guarnigione a Modena. In ogni caso, quale che sia stata la specifica motivazione che portò alla scelta del 32° per l’allora quindicenne principe ereditario, la nomina di quest’ultimo ad Inhaber fu accolta a Modena con notevole soddisfazione, dando fra l’altro occasione alla pubblicazione di un sonetto da parte del giurista e letterato prof. Giuseppe Lugli,7 che appare per la verità di non eccelso pregio poetico ma che comunque si riporta in nota.8 4 Cfr. A. v. Wrede: Geschichte der K. u. K. Wehrmacht, vol. I, Wien, 1898: 346–347. O.d.g. del Supremo Comando Generale (d’ora in poi S.C.G.) del 14 luglio 1831 conservato presso l’Archivio di Stato di Modena (d’ora in poi ASMo), Archivio Militare Austro-Estense, OO.dd.gg. del S.C.G. dal 13 luglio 1831 al 1° gennaio 1833. 6 Cfr. i buoni per boccali di vino “da somministrarsi dal provveditore della Caserma di San Francesco” di Reggio rilasciati alle varie compagnie del battaglione il 12 febbraio 1832 e conservati in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.106 (1832/12). 7 Per un breve profilo biografico del Lugli (Modena 1787, ivi 1856) si veda G. Silingardi & A. Barbieri: Enciclopedia Modenese, vol. 11, San Pietro in Cariano, 1977: 64–65, nonché T. De Volo, op.cit.: T. IV, pp. 240–244. 8 Poi che l’Austriaco Sire i tuoi verdi anni,/ O Prence, ornò di bellicosi lauri,/ Onde la Fama un dì gl’impigri vanni,/ Forte del nome tuo stenda e ristauri;// Luce perenne il fausto evento inauri,/ 5 504 Alberto Menziani L’arciduca Francesco rimase sempre assai legato al suo reggimento ungherese, che negli anni tra il 1834 e il 1858 rimase tra l’altro quasi sempre di guarnigione in Italia, partecipando anche, con due battaglioni, alla grande manovra congiunta austro-estense-parmigiana tenutasi dal 25 al 27 settembre 1843 nelle vicinanze della fortezza modenese di Brescello.9 Al 32° Fanteria talora si ricorse per migliorare la preparazione delle truppe ducali, come ad esempio nel 1846, quando il sergente Pfiffer e il caporale Illeszy furono fatti venire a Modena “per l’istruzione ginnastica” dei “sott’ufficiali e soldati del R. Battaglione di Linea”, ricevendo alla fine una generosa gratifica per i servizi prestati.10 Viceversa nel 1845 fu inviato presso il reggimento a fare esperienza e a completare la propria formazione militare il diciottenne caporale cadetto di Linea estense conte Luigi Pongileoni di Correggio, già allievo del Collegio Militare di San Luca a Milano, buon conoscitore della lingua tedesca e “giovane […] d’ottima condotta di buon indole e di capacità come pure di bella presenza e sufficientemente robusta complessione”.11 Il Pongileoni arrivò a Verona il 3 maggio 1845, prendendo servizio nel 32° “col distintivo di Caporale Cadetto di Reggimento inobbligato”.12 Il nuovo arrivato, presto promosso al grado di sergente cadetto, corrispose pienamente alle aspettative, tanto che nell’autunno del 1846 il comandante colonnello Castelliz si esprimeva a suo riguardo nei termini più lusinghieri. Il Castelliz ne evidenziava in particolare gli “ulteriori notevoli progressi fatti nell’istruzione” nonché “la morale esem- Luce che rompa i moltiformi inganni/ Dell’empia frode, che d’Europa ai danni/ Dai lidi infuria dell’Ircania ai Mauri.// Del tuo gran Genitor l’orma ti addestre:/ A lui davanti riverenti e mute/ Lamagna e Italia si fidar le destre.// Senta l’Abisso ogni sua rabbia doma,/ Veggia la Fede per la tua virtute/ Fermo lor dritto a’ Regi, il Trono a Roma (riportato in T. De Volo: op.cit., T.I, p. 62 nota 1). 9 Sulla manovra vedasi Prospetto degli esercizj militari delle RR. Truppe Estensi e Parmigiane in unione di un Corpo delle II. RR. Truppe Austriache nel Settembre 1843, Modena, s.d. (ma 1843), nonché M. Zannoni: L’Esercito del Ducato di Parma e Piacenza Le truppe di Maria Luigia 1814– 1847, Parma, 2012: 107–109. Per la fortezza ottocentesca di Brescello cfr. A. Menziani: L’esercito del Ducato di Modena dal 1848 al 1859, Roma, 2005: 158–161. 10 Cfr. la minuta della lettera del S.C.G. al comando del Battaglione di Linea e all’Economato Militare datata 9 marzo 1846 e conservata in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.296 (1846/2). Per l’attività svolta i due militari ricevettero una gratifica complessiva di 15 pezzi d’oro da 20 franchi. 11 Elenco di ossequiose proposte a Sua Altezza Reale, datato Modena 27 marzo 1845 e conservato in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.285 (1845/1). 12 Elenco di […] informazioni e domande all’arciduca Francesco d’Austria-Este, allora generale comandante delle truppe estensi, datato Modena 8 maggio 1845 e cons. Ibid. Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria 505 plare condotta”, raccomandandolo senz’altro per la promozione ad ufficiale.13 Francesco V dispose quindi che venissero avviate le pratiche per ottenere sollecitamente il congedo del Pongileoni dal servizio imperiale, riammettendolo poi nelle truppe ducali e nominandolo in effetti nel novembre del 1846 sottotenente banderale nel Battaglione di Linea.14 Tuttavia il correggese non si mostrò troppo grato per le opportunità che gli erano state offerte, perché dopo la rivoluzione del 1848 entrò nelle truppe del governo provvisorio modenese e in seguito nell’Armata Sarda, dove percorse una carriera non particolarmente brillante, conclusa col grado di colonnello.15 La rivoluzione del 1848 coinvolse in pieno il 32° Fanteria, il cui 1° e 2° battaglione si trovavano di guarnigione negli Stati di Modena e di Parma.16 La partenza dei sovrani (Francesco V lasciò la sua capitale il 21 marzo) e la dissoluzione dei loro governi mise in forte difficoltà le truppe ungheresi di stanza nei Ducati, che furono costrette a una complicata ritirata su Mantova. In seguito il reggimento continuò disciplinatamente a battersi sotto gli ordini del feldmaresciallo Radetzky, nonostante i fermenti indipendentisti che agitavano l’Ungheria17 ed il fatto che il 3° battaglione del 32°, colà stanziato, fosse passato sotto il controllo del governo magiaro.18 Lo spirito combattivo di ufficiali e soldati non doveva tuttavia essere troppo alto, almeno a giudicare da quanto avvenne a Governolo il 24 aprile 1848. Qui una colonna austriaca agli ordini del comandante del reggimento, colonnello Castelliz, il cui nerbo era costituito da sei compagnie del 32°, fu respinta e volta in fuga da un corpo di inesperti volontari modenesi, reggiani e mantovani guidati da un ex ufficiale estense, il maggiore Lodovico Fontana.19 13 Elenco di ossequiose informazioni e domande a Sua Altezza Reale datato Modena 6 novembre 1846 e conservato in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.295 (1846/1). 14 Cfr. il decreto sovrano in data 20 novembre 1846 a margine dell’Elenco in pari data conservato ibid. Nel decreto il Duca ordinava anche di ringraziare il comandante del 32° “delle premure che ebbe in questi ultimi 2 anni per l’istruzione del Cadetto Pongileoni che ebbe sì buon successo”. 15 Sul Pongileoni vedasi G. Fontanesi: Un correggese protagonista del Risorgimento: il conte Luigi Pongileoni, in Correggio produce, 2017: 121–126. II Pongileoni era stato addetto al 32° Fanteria anche durante la sua permanenza nel collegio militare di Milano. 16 Cfr. A. Troubetzkoi : Campagnes du Feldmaréchal Comte Radetzky, Paris, 1854 : tav. I. 17 Sulle truppe ungheresi dell’esercito del feldmaresciallo Radetzky nel 1848 vedasi A. Sked: Radetzky e le armate imperiali L’impero d’Austria e l’esercito asburgico nella rivoluzione del 1848, Bologna, 1983: 139–148. 18 Cfr. M. Zoppi: La spada di Radetzky. Le Armate Imperiali dalla Restaurazione alla rivoluzione 1836–1849, Bassano del Grappa, 2011: 150. 19 Cfr. G. Fontanesi: I volontari correggesi alla battaglia di Governolo 24 aprile 1848, in La ricerca storica locale a Correggio 5ª Giornata di studi storici, Correggio, 2008: 119–150. 506 Alberto Menziani Terminata la guerra del 1848–1849 e ristabilita la situazione, Francesco V diede nuovo impulso alla pratica di inviare i più promettenti tra i giovani militari estensi a trascorrere periodi di formazione presso reparti austriaci, in modo da far loro acquisire “quelle cognizioni e quella pratica che solo una grande […] armata può dare”.20 Tra i reggimenti prescelti per tali stages vi fu naturalmente anche il 32° Fanteria, presso il quale nell’estate del 1855 fu inviato il sottotenente di Linea Mamoli, che fu poi richiamato a Modena un paio d’anni dopo.21 Il 32° Herzog von Modena fu impiegato anche nel conflitto del 1859, sotto gli ordini del suo comandante effettivo, colonnello conte Victor zu Alt-Leiningen. Il reggimento si batté con onore prima a Magenta (4 giugno 1859) e poi a Solferino (24 giugno), dove si distinse particolarmente il battaglione Granatieri. Pochi giorni dopo quest’ultima battaglia, ossia il 28 giugno 1859, Francesco V, che si trovava presso il Quartier Generale austriaco, si recò a visitare i suoi Ungheresi, trovandoli “in buono stato, benché bivaccasse[ro] da due mesi ed allora […] senza paglia, e quindi non comodamente, nei ghiajosi campi veronesi; e di nuovo mi persuasi quanto il morale può sul fisico. L’Ungarese”, proseguiva con compiaciuto orgoglio il Duca-Inhaber, “è vivo, coraggioso e guerriero, e trovai che detto reggimento spiccava sugli altri e non gli si vedeva in cera la battaglia perduta, come, bisogna pur dirlo, si vedeva in gran parte delle altre truppe. Anch’esso aveva preso però parte ben onorevole all’azione, in cui aveva perduto sei o sette uffiziali e, se ben mi ricordo, 270 uomini morti e feriti”.22 Nella guerra del 1866 il 32° Fanteria, comandato del colonnello Joseph Kopal, non fu invece impegnato sul fronte italiano, ma sul teatro principale delle operazioni, e cioè in Boemia. Il reggimento combatté duramente a Skalitz, a Sadowa e, nel corso della successiva ritirata, a Dub,23 subendo forti perdite, che ne dimezzarono la forza originaria. In particolare a Sadowa il 32° perse 1.400 uomini tra morti, feriti e dispersi, in massima parte appartenenti al 1° battaglione, rimasto dopo la battaglia con non più di 150 soldati ed un solo ufficiale.24 20 Comunicazione di Francesco V al S.C.G. datata Modena 29 giugno 1855 e conservata in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.421 (1855/2). 21 Cfr. A. Menziani, op.cit.: 288, dove sono ricordati anche altri ufficiali inviati presso differenti reggimenti. Anche altri piccoli Stati italiani, come il Ducato di Parma, mandavano personale all’estero, per ampliarne le cognizioni e fare esperienza. 22 F. V d’Austria-Este: Memorie di quanto disposi, vidi ed udii dall’11 giugno al 12 luglio 1859, Modena, 1981: 103. 23 Cfr. A. v. Wrede, op.cit.: vol. I, p. 350. 24 Cfr. T. De Volo, op.cit.: T. III, p. 313. Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria 507 In queste difficili circostanze Francesco V, ormai da tempo in esilio, fece il possibile per aiutare i suoi Ungheresi, nei confronti dei quali, come ricorda il De Volo, fu “Largo […] di assistenza munifica”.25 Dopo la morte del Duca di Modena nel 187526 la carica di Inhaber del 32° rimase vacante per diversi anni, finché nel 1888 il governo austriaco decise – come per altri reggimenti – di intitolare definitivamente il reparto alla Kaiserin und Königin Maria Theresia; e con questa denominazione il 32° Fanteria combatté nella I Guerra Mondiale, che segnò come noto la fine del vecchio Impero e delle sue istituzioni militari. Parimenti proprietario di un reggimento a reclutamento ungherese, ma di cavalleria, fu sin dal 1793 l’arciduca Ferdinando Carlo d’Austria-Este, nato a Milano nel 1781, fratello del Duca Francesco IV di Modena e quindi zio di Francesco V. Si trattava del 3° Ussari, denominato appunto Erzherzog Ferdinand Carl d’Este, che nel 1819 era sotto il comando effettivo del colonnello Giuseppe Gosztonyi di Gosztony e Köves-Szarv. Tra i Cadeten del reggimento, che aveva il deposito a Troppau in Slesia, figura all’epoca significativamente un suddito estense, e cioè il conte Alfonso Mallaguzzy (Malaguzzi) di Reggio.27 Negli anni Quaranta troviamo poi nei ranghi del Ferdinand Carl un altro esponente della famiglia Malaguzzi, e cioè il conte Francesco, che nel 1847 era tenente colonnello del reggimento.28 25 Ibid.: 312. A meglio illuminare i rapporti tra l’arciduca Francesco Ferdinando Geminiano e il reggimento ungherese di cui era proprietario potranno sicuramente valere vari documenti che risultano conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, ma che non sono purtroppo al momento consultabili in quanto non materialmente reperiti. Si tratta di Rapporti n.34 del Comando del Reggimento […] di fanteria austriaco n.32 diretti a Francesco V Proprietario del reggimento stesso. E diverse altre carte, il tutto in lingua Toscana, inventariati nel fondo “Segreteria di Gabinetto” dell’Archivio Austro-Estense (cassetta 657 – nr. 61). Inoltre in appendice all’Archivio Militare Austro-Estense sono inventariati ruoli e situazioni degli ufficiali del 32° Fanteria per l’anno 1860 (Inventario di documenti di natura militare pervenuti da Vienna e rinvenuti fra le carte dell’Archivio della R. Brigata Estense, nr. 6). 27 Cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthums, Wien, 1819: 304–305. Zweyter Inhaber del reggimento era il conte Adamo Alberto di Neipperg, destinato di lì a poco a divenire, come noto, il secondo marito della Duchessa Maria Luigia di Parma. 28 Cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthumes, Wien, 1847: 328. Sul conte Francesco Malaguzzi, entrato in giovane età nell’esercito austriaco ed incaricato da Francesco V nel 1850–1851 di negoziare a Vienna e presso le Corti della Penisola il progetto ducale di Lega fra gli Stati conservatori italiani, cfr. T. De Volo, op.cit.: T. I, pp. 417–418 e p. 417 nota 1. 26 508 Alberto Menziani In occasione degli sconvolgimenti del 1848–1849 il 3° Ussari, che non era dislocato in Italia, passò integralmente al governo ungherese.29 Dopo la morte dell’arciduca Ferdinando Carlo, avvenuta nel 1850, la carica di Inhaber del 3° fu conferita ad un esponente della famiglia reale bavarese e il reggimento prese la nuova denominazione di Prinz Carl von Bayern. I rapporti dell’arciduca con l’Ungheria andarono peraltro ben oltre quelli connessi alla semplice titolarità della carica di colonnello proprietario di un reggimento di cavalleria magiaro. Nel 1816 Ferdinando Carlo d’Austria-Este, che sin dalla giovinezza era entrato nell’esercito austriaco arrivando poi a conseguire nel 1836 il grado di feldmaresciallo, fu infatti nominato Comandante Generale del Regno d’Ungheria, “ove” – come si legge nell’orazione funebre dedicatagli da Cesare Galvani- “le complicate e non sempre agevoli relazioni fra la Corona e il Paese richiedevano avvedutezza di prudenza, fermezza di carattere, e sagace perspicacia nel ben calcolare le circostanze del luogo”.30 Secondo il Galvani l’arciduca svolse con generale soddisfazione il suo delicato compito, riuscendo a “condurre a felicissima risoluzione tutti gli avvenimenti i quali ne’sedici anni in cui durava in quell’incarico si succedettero”.31 In Ungheria Ferdinando Carlo godeva del resto di un notevole prestigio personale, ed era inoltre in grado di relazionarsi nel modo più diretto con i subordinati, le autorità civili e la popolazione in quanto parlava correntemente la lingua magiara. In seguito il governo di Vienna incaricò l’arciduca di altre difficili incombenze, affidandogli fra l’altro per qualche anno la carica di Commissario Imperiale nell’irrequieta Transilvania. “Confessava FERDINANDO esser stata quella la più ardua e penosa delle sostenute missioni, eppure colla prudente e forte direzion delle cose, senza accorrere ad estreme misure […] ottenne di mantener l’ordine in quelle altere Provincie, e di troncarvi le rivoltose macchinazioni”.32 I profondi legami di Ferdinando Carlo d’Austria-Este con l’Ungheria sono richiamati anche dalla bella statua a lui dedicata che si può tuttora ammirare a Modena nel vestibolo della cappella funeraria estense in San Vincenzo. Nella scultura, opera del modenese Giovanni Cappelli ed inaugurata nel 1855, il 29 Cfr. M. Zoppi, op.cit.: 153. C. Galvani: Orazione funebre alla memoria dell’Altezza Reale di Ferdinando Carlo Giuseppe d’Austria-Este, Modena, 1850: 11. 31 Idem. 32 C. Galvani, op.cit.: 12. 30 Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria 509 defunto, fregiato dei distintivi di feldmaresciallo, è infatti raffigurato proprio nell’“attillata divisa ungherese”.33 Con le terre ungheresi ebbe a che fare dal punto di vista militare anche un terzo Austria-Este, e cioè l’arciduca Massimiliano Giuseppe, nato a Milano nel 1782 e pure lui zio del Duca Francesco V. Nel corso della guerra del 1809, infatti, al giovane Massimiliano fu affidato il non agevole compito di organizzare l’insurrectio, cioè la leva in massa, in Transilvania, “paese” tra l’altro “non troppo colto a quei giorni”.34 Quivi “vi volle l’acuto ingegno dell’Arciduca e la sua forza di volontà per poter vincere le molte difficoltà che si attraversavano all’esecuzione degli ordini avuti”.35 La firma della pace di Schönbrunn pose comunque fine a tale missione. Massimiliano d’Austria-Este, che occupa un posto di rilievo nella storia militare del XIX secolo per i suoi studi e le sue realizzazioni nel campo dell’artiglieria e delle fortificazioni,36 rivestì anche, a partire dal 1855, la carica di colonnello proprietario del 10° Feld-Artillerie-Regiment, formato nel 1854. E proprio al 10° reggimento, e più precisamente alla decima batteria rigata da 6, fu assegnato, dopo lo scioglimento della Brigata Estense nel settembre del 1863,37 il sottotenente in 2ª Adamo Donadelli, che da Pest scriveva il 15 dicembre 1863 all’ultimo comandante delle truppe ducali, Agostino Saccozzi, manifestando il desiderio “di riscattare” “anche a prezzo della vita” la piccola patria modenese, ormai inglobata nel Regno d’Italia, “a Colui che fu ed è l’ottimo mio Generale”.38 All’epoca peraltro la titolarità del 10º reggimento era vacante, in quanto l’arciduca Massimiliano era morto il 1° giugno del 1863. Va a questo punto ricordato che i sovrani austro-estensi presero anche al loro servizio alcuni militari magiari provenienti dall’armata austriaca. 33 T. De Volo, op.cit.: T. II, p. 164. La statua, originariamente collocata nella chiesa della Cittadella di Modena, fu trasportata in San Vincenzo dopo l’Unità. 34 Cenni biografici di S.A.R. Massimiliano Giuseppe d’Austria-Este, Verona, 1863: 15. 35 Ibid. 36 Cfr. G. Perbellini & L. V. Bozzetto: Verona La piazzaforte ottocentesca nella cultura europea, Verona, 1990: 142–147. 37 Per la Brigata Estense vedasi il Giornale della Reale Ducale Brigata Estense, Modena 1977 e 2013 (ristampe anastatiche dell’edizione del 1866). 38 La lettera è conservata presso la Biblioteca Estense di Modena (d’ora in poi BEMo), Raccolta Saccozzi, cassetta 69 B). 510 Alberto Menziani Uno di essi fu ad esempio Nicola Romay, nato a Maria Theresienopol (Szabadka), nel Comitato Bács e’ Bodróg,39 e già sergente del reggimento ungherese Erzherzog Franz Carl nr.52, il quale nel 1836 entrò appunto nell’esercito ducale quale sottotenente banderale ed aiutante della Piazza di Reggio. Promosso poi tenente, nel luglio del 1846 il Romay passò col suo grado nel Battaglione di Linea, divenendo in seguito capitano, finché nel 1855 fu collocato nella classe dei pensionati e contestualmente passato a dirigere la casa di forza della Saliceta.40 Dopo lo scioglimento della Brigata Estense nel settembre 1863, il capitano in disponibilità Nicola Romay risulta definitivamente ammesso nello stato de’ pensionati dell’I.R. Armata, dopo avere scelto Padova come luogo di dimora.41 Un altro caso, assai interessante, è quello di Giovanni Massimiliano Pisztory, nato nel 1777 da Giovanni e Teresa Martinevich, entrambi di Pest.42 Il Pisztory, che aveva abbracciato la carriera militare nell’esercito austriaco, nei primissimi anni Trenta dell’Ottocento era tenente colonnello del più volte citato 32° Fanteria, che in quell’epoca, come si è visto, fu ripetutamente di stanza nel Ducato di Modena. Nel 1832 i figli dell’ufficiale, Stefano e Lodovico, furono ammessi nel prestigioso collegio modenese di San Carlo,43 e poco tempo dopo, e cioè il 23 aprile 1833, ottenute da Vienna le necessarie autorizzazioni il Duca Francesco IV accolse nelle sue truppe, a far tempo dal 1° maggio, Giovanni Massimiliano Pisztory, promuovendolo colonnello e destinandolo al comando della Piazza di Modena.44 Non è dato sapere il motivo preciso per il quale l’Estense mise gli occhi proprio sul Pisztory, ma si può ragionevolmente ritenere che nei difficili anni 39 Cfr. la lettera del Real Militare Comando Superiore d’Armi della Città e Provincia di Reggio al Supremo Comando Generale datata 6 giugno 1846, in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.296 (1846/2). Con tale lettera venivano trasmessi i ringraziamenti del Romay per la sovvenzione di Lit.300 concessagli dal Duca per fare fronte alle spese del viaggio fino alla sua città natale, che il militare intendeva intraprendere insieme alla moglie fiumana profittando di un permesso di due mesi. 40 Cfr. il chirografo ducale datato Modena 13 febbraio 1855 in ASMo, R. Segreteria di Gabinetto, Chirografi Sovrani, f.357 del 1855. 41 Cfr. Giornale, cit.: 342–343. 42 Cfr. G. C. Montanari: Italiani d’Ungheria La Nobile famiglia de Pisztory tra Modena e Castelvetro, Modena, 2012: 15. 43 Nel collegio di San Carlo è tuttora conservato un bel ritratto di Stefano Árpád Pisztory. Giovanni Massimiliano aveva sposato Giuseppina Schuirer (cfr. ibid.: 18). 44 Cfr. l’O.d.g. del Supremo Comando Generale del 24 aprile 1833, in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, OO.dd.gg. del S.C.G. dal 1° gennaio 1833 al 30 giugno 1834. Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria 511 successivi alla rivoluzione del 1831 il sovrano cercasse, per un posto delicato come il comando di Piazza della sua capitale, un uomo esperto, professionalmente preparato e senza legami con l’ambiente modenese. E il Pisztory, allora cinquantaseienne, ufficiale superiore di uno dei principali eserciti dell’epoca, ungherese di nascita, certamente possedeva tutte le qualità desiderate.45 Il colonnello Pizstory non deluse evidentemente le aspettative ducali, perché fu mantenuto al comando della Piazza di Modena fino al 1846, quando, ormai quasi settantenne, fu passato a pensione, venendo poi a morte, sempre a Modena, diversi anni dopo, e cioè il 23 gennaio 1859. La famiglia si era nel frattempo radicata nel Modenese, dove si estinse intorno alla metà del secolo scorso.46 Accanto ai militari magiari passati nelle truppe estensi, nel XIX secolo vi fu anche un certo numero di militari provenienti dallo Stato di Modena che, all’opposto, entrarono in reggimenti dell’esercito austriaco di reclutamento ungherese o comunque di guarnigione in Ungheria, anche a seguito dello scioglimento della Brigata Estense nel settembre 1863, che vide il passaggio nell’armata o alla pensione imperiale di pressoché tutti gli ufficiali nonché di un migliaio di soldati della Brigata stessa.47 Oltre ai conti Alfonso e Francesco Malaguzzi nonché al sottotenente Adamo Donadelli, di cui già si è parlato, possiamo ad esempio ricordare il caso del sottotenente in 1ª conte Giuseppe Giacobazzi, già addetto allo Stato Maggiore Estense, che appunto sul finire del 1863 fu ammesso con lo stesso grado in un reggimento di Ussari.48 Una lettera indirizzata dal Lieutnant Giacobazzi al generale Saccozzi, datata Wessely (Veselì) 13 novembre 1863, fornisce un’interessante testimonianza sui primi giorni di servizio dell’ufficiale nell’esercito austriaco. “Partito da Bassano il giorno 29 [ottobre]”, si legge nella missiva, “fui a Vienna nel 31 e quivi mi trattenni per quattro giorni onde equipaggiarmi. A Vien45 Cfr. G. C. Montanari, op.cit.: p.15. Cfr. G. C. Montanari, op.cit. Stefano Pisztory (1822–1895), che aveva sposato nel 1856 la marchesina Maria Teresa Montecuccoli degli Erri, dopo la caduta del Ducato si allontanò per diversi anni da Modena per i suoi orientamenti legittimisti. Nel 1864 lo troviamo tra i beneficiari di un sussidio di 1000 fiorini erogato da Francesco V a numerosi individui a lui rimasti fedeli; al Pisztory ne toccarono 100 (cfr. lo Stato dei sussidj accordati ad Ufficiali pensionati e Truppa coi fiorini 1000 in Banconote concessi a tale effetto dalla beneficenza Sovrana, in BEMo, Raccolta Saccozzi, cassetta 73 A). 47 Cfr. Giornale, cit.: 346. 48 Cfr. Giornale, cit.: 334–335. 46 512 Alberto Menziani na vidi il Capitano Pellegrini del Reggimento Grueber che veniva da Verona ed andava al Deposito del Reggimento in Ollmütz. Dal giorno 5 mi ritrovo a Wesselÿ, piccola città della Moravia distante […] tre ore di ferrovia da Vienna […] Lunedì incomincia l’Equitazione di Reggimento e io sono occupato tutto il giorno per le istruzioni, e la sera studierò da me in casa poiché debbo imparare l’ungherese. Sono già vestito in uniforme ungherese e con domani ho terminato le visite di presentazione agli Ufficiali del Reggimento […] Io sono presso il 5° Squadrone che si trova di stazione in Gödny, ma per tutto l’inverno sono distaccato a Wessely presso l’Equitazione”.49 Giuseppe Giacobazzi dovette comunque ambientarsi bene nel nuovo ambiente, perché già nel 1864 risulta Oberlieutenant (tenente) del 12° Ussari Graf Franz Haller, con la qualifica di Aiutante del Reggimento. All’epoca militava peraltro nel 12° anche un altro Giacobazzi, e cioè il conte Antonio, col grado di Rittmeister (capitano) di seconda classe.50 49 La lettera è conservata in BEMo, Raccolta Saccozzi, cassetta 69 B). Cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthumes, Wien, 1864: 401–402. Nel 1859 il conte Antonio Giacobazzi era tenente, sempre del 12° Ussari: cfr. F. V d’Austria-Este, op.cit.: 102. 50 Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria. Alcuni spunti di ricerca Riccardo Pallotti Archivio di Stato di Modena riccardo.pallotti@beniculturali.it Abstract The essay focuses on relations of the Este House with the Imperial Court of Vienna and Hungary since the end of 18th century until the fall of Napoleon. Relationships between Modena and the Habsburg monarchy had already been established in the first half of 18th century, as duke Rinaldo I of Este had been enfeoffed with the Hungarian domains of Arad and Jenő in Transilvania (1725). The political relations between the Este House and the Habsburg empire were strengthened with the marriage of Maria Beatrice of Este, heiress of the Duchy of Modena and Reggio, with archduke Ferdinand of Habsburg-Lorraine, cadet son of empress Maria Theresa of Austria. Celebrated in Milan in 1771, this marriage created the House of Habsburg-Este, a cadet branch of the Imperial House of Austria who definitely settled in Vienna after the loss of Modena (1859). The birth of the Habsburg-Este dynasty in 1771 led to long time ties with the Austrian empire, then with the Austro-Hungarian monarchy, who inherited honours and estates of the Este House in the 20th century. As Napoleon invaded Northern Italy in 1796, Maria Beatrice and Ferdinand fled Milan and moved to Austria with their sons. They settled in Vienna, where Maria Beatrice and Ferdinand bought as a city palace as a garden palace. Carlo Ambrogio of Austria Este, bishop of Vác celebrated the marriage between her sister and emperor Francis, despite his young age, he was elected archbishop of Esztergom and Primate of Hungary. As archbishop Primate of the Hungarian church, Carlo Ambrogio of Austria-Este crowned Maria Ludovica as queen of Hungary in the St. Martin’s cathedral of Pressburg on 7 September 1808. L’avvento della dinastia austro-estense, sancito dalle nozze milanesi del 1771 tra Maria Beatrice d’Este, nipote del duca di Modena Francesco III, e l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Lorena, figlio cadetto dell’imperatrice Maria Teresa, segnò una nuova, importante, fase nei plurisecolari rapporti tra la Casa d’Este e il 514 Riccardo Pallotti regno ungherese. La nuova alleanza politico-dinastica con la Casa d’Austria e il trasferimento alla corte di Vienna nei travagliati anni delle guerre napoleoniche portò Maria Beatrice d’Este (1750–1829) e la sua famiglia a rinsaldare gli antichi legami del casato estense con l’Ungheria, soggetta alla sovranità asburgica. Fortemente volute da Maria Teresa d’Austria, imperatrice del Sacro Romano Impero e regina di Ungheria, le nozze dell’ottobre 1771 fecero del casato estense, ormai prossimo ad estinguersi nella linea maschile, un ramo cadetto della Casa imperiale d’Austria. La nascita della linea dinastica austro-estense sancì il definitivo passaggio del Ducato di Modena nell’orbita politica austriaca ma stabilì anche un legame famigliare, diretto, con la Casa imperiale che culminò, soprattutto grazie a Maria Beatrice, con il radicamento patrimoniale e sociale degli Estensi a Vienna e nei territori della monarchia danubiana. Pertanto, l’unione dinastica con gli Asburgo, il trasferimento nella capitale austriaca così come le nozze dei figli di Maria Beatrice proiettarono l’antico casato estense ai più alti livelli dell’aristocrazia europea, ampliandone notevolmente in senso internazionale gli orizzonti famigliari e sociali.1 Nel corso dell’Ottocento, in quanto arciduchi d’Austria e principi di Ungheria e Boemia, gli eredi della Casa ducale di Modena divennero parte integrante dell’aristocrazia mitteleuropea e del mondo cosmopolita della società di corte viennese. Il legame con i circoli dell’aristocrazia internazionale andò rafforzandosi grazie anche alle unioni matrimoniali con la Casa reale di Baviera. In seguito, il trasferimento a Vienna di Francesco V e della moglie Adelgonda di Wittelsbach dopo la perdita del Ducato di Modena legò ancor più da vicino il casato austro-estense alla corte di Vienna e alla terre della Monarchia. Tale processo culminò alla morte dell’ultimo duca (1875), con il passaggio dei titoli e del patrimonio estense direttamente ai membri della Casa imperiale austro-lorenese. Se la grande svolta in senso filo-asburgico ebbe luogo sotto Maria Teresa d’Austria, va però ricordato che già suo padre, l’imperatore Carlo VI, aveva avviato significative relazioni con il casato estense, concedendo a Rinaldo I d’Este, nel 1725, i feudi di Arad e Jenő, in Transilvania. Durante la guerra di successione spagnola gli Estensi avevano fornito appoggio alle truppe au- 1 Oltre che con gli Asburgo, gli Estensi si imparentarono strettamente con la Casa reale di Baviera. Alle nozze di Maria Leopoldina con l’Elettore bavarese seguirono, infatti, nel corso dell’Ottocento, il matrimonio di Francesco V d’Austria-Este con Adelgonda di Wittelsbach e le nozze di Maria Teresa Enrichetta con il futuro re di Baviera Luigi III. Vanno poi ricordate le unioni matrimoniali delle due sorelle di Francesco V rispettivamente con il conte di Chambord, erede legittimista di Francia, e il pretende carlista al trono di Spagna. Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria 515 striache di Eugenio di Savoia, cedendo loro l’importante fortezza di Brescello. Come è noto, però, la fortezza sul Po era andata distrutta e i Francesi avevano occupato Modena fino al 1707. Il sostegno ricevuto dal duca Rinaldo nella guerra contro i Francesi e i danni subiti in tale frangente dal casato estense, che aveva inoltre visto sfumare il recupero di Comacchio, indussero l’imperatore Carlo VI ad indennizzare il duca Rinaldo con alcuni feudi imperiali. La scelta cadde sui territori transilvani di Arad e Jenő, all’estremità orientale dei domini asburgici, in aree di recente riconquista e che per secoli erano state teatro dello scontro con l’impero ottomano. Solo i recenti successi del principe Eugenio avevano liberato queste terre dagli Ottomani, cedute agli Asburgo con la pace di Passarowitz. Alle guerre contro i Turchi, lo ricordiamo, prese parte lo stesso Francesco, figlio di Rinaldo I, il futuro duca Francesco III. L’investitura rilasciata da Carlo VI nel novembre 1726 concedeva al duca Rinaldo il territorio di Arad, senza però la città, munita da imponenti fortificazioni; spettava invece all’Estense l’intero territorio di Jenő, l’odierna Borosjenő/Ineu, nei pressi della stessa Arad. Il duca d’Este ottenne anche l’indigenato d’Ungheria, entrano così nel novero delle grandi famiglie aristocratiche di quel regno. Le carte dell’Archivio di Stato di Modena ben documentano l’amministrazione di questi feudi transilvani, che vennero riconfermati anche all’erede di Rinaldo, Francesco III d’Este, duca dal 1737.2 Significativo è il fatto che Francesco alla morte del padre si trovasse proprio in Ungheria, al seguito dell’armata imperiale impegnata nell’eterno conflitto con gli Ottomani. Le fonti dell’Archivio estense attestano almeno fino al 1777. Differenti furono le posizioni iniziali di Francesco III nei confronti dell’Austria all’inizio del suo regno. Egli infatti sostenne i Francesi durante la guerra di successione austriaca, ma i successi austro-piemontesi lo travolsero, costringendolo alla fuga da Modena. Maria Teresa d’Austria, uscita vincitrice dal conflitto, non tardò a manifestare le proprie mire verso i ducati padani, data la loro importante ubicazione strategica e il loro peso diplomatico nell’eterno scontro tra Asburgo e Borboni. Le lunghe guerre di successione avevano messo a dura prova la sopravvivenza stesso del Ducato estense; gli enormi debiti contratti, 2 L’Archivio di Stato di Modena conserva un piccolo fondo denominato Signoria di Arad. Questo complesso archivistico contiene le carte di amministrazione dei feudi di Arad e Jenő ed è costituito da bb. 4 e reg. 1 riferiti agli anni 1741–1777. Riferimenti ai domini ungheresi degli Estensi sono presenti in: T. M. Osio, Il testamento del vescovo Giuliano Sabbatini (1757): inventario dei beni, lasciti, contestazioni sull’eredità, in “Atti e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Antiche Provincie Modenesi”, s. XI, XLIII (2021), pp. 121–152. 516 Riccardo Pallotti la debolezza politica e la condizione di vassallaggio verso il Sacro Romano Impero indussero Francesco III ad accettare l’alleanza offerta da Maria Teresa, ponendo fine al tradizionale orientamento filo-francese della Casa d’Este. Il nuovo orientamento filo-asburgico del Ducato estense venne formalizzato con il contratto nuziale del maggio 1753, che prevedeva le nozze di Maria Beatrice d’Este, nipote di Francesco III, con uno dei figli di Maria Teresa, fra i quali in un secondo momento venne designato l’arciduca Ferdinando.3 L’intesa con gli Asburgo fruttò a Francesco III le cariche onorifiche di governatore generale della Lombardia austriaca e capitano generale delle truppe austriache in Italia (1754), oltre al feudo imperiale di Varese. Una volta raggiunta la maggiore età, Ferdinando poté sposare Maria Beatrice a Milano il 15 ottobre 1771, dando così vita al nuovo ramo dinastico d’Austria-Este. Con le nozze, l’arciduca Ferdinando e Maria Beatrice subentrarono al duca Francesco III nel governo della Lombardia austriaca. Sebbene privo di un ruolo politico effettivo, l’arciduca raggiunse presto una forte intesa con la moglie, da cui ebbe numerosi figli; il primogenito maschio, il futuro duca Francesco IV, nacque a Milano nel 1779, seguito dai due fratelli Ferdinando Carlo e Massimiliano negli anni successivi (il primo nel 1781, il secondo nel 1782). Gli ultimi figli della coppia arciducale furono Carlo Ambrogio (1785), battezzato col nome del patrono milanese, e Maria Ludovica (1787), futura imperatrice d’Austria e regina di Ungheria.4 Gli anni settanta e ottanta del Settecento trascorsero sereni per la numerosa famiglia arciducale, che trascorreva gli inverni al palazzo reale di Milano e le estati nella magnifica villa di Monza, dono dell’imperatrice Maria Teresa. Lo scoppio della Rivoluzione francese e l’invasione napoleonica segnarono una drastica cesura anche nelle destini del casato austro-estense. Nel maggio 1796 Maria Beatrice e Ferdinando, fratello della regina di Francia Maria Antonietta, dovettero abbandonare per sempre la Lombardia, riparando dapprima a Trieste. Negli stessi giorni anche suo padre Ercole III abbandonò Modena, riparando a Venezia. Dopo alcuni mesi a Trieste, Maria Beatrice e Ferdinando 3 L. Righi Guerzoni, Il “Grande Affare” matrimoniale con la casa d’Austria (1753). Il Principe Ercole Rinaldo d’Este alle corti di Vienna, Dresda, Monaco e alla battaglia di Praga (1757), in “Atti e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Antiche Provincie Modenesi”, s. XI, XXXVIII (2016), pp. 169–182. 4 Dalla coppia arciducale nacquero anche altri figli, fra cui ricordiamo la primogenita Maria Teresa d’Austria-Este, futura regina di Sardegna, e Maria Leopoldina, divenuta Elettrice di Baviera a seguito delle sue nozze con Carlo Teodoro di Wittelsbach. Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria 517 nel 1798 si stabilirono alle porte di Vienna, a Wiener Neustadt, nel locale monastero cistercense. Ben presto l’arciduca si spostò a Vienna, dove dal Belvedere inferiore poteva curare gli affari di famiglia a stretto contatto con gli ambienti di quella corte in cui era cresciuto. Maria Beatrice invece rimase con i figli più piccoli a Wiener Neustadt e lì visse fino al 1803. Quell’anno la famiglia arciducale poté riunirsi a Vienna grazie all’acquisto, da parte di Ferdinando, di una dimora signorile nel centro della capitale. Nel 1803 l’arciduca acquistò il Palais Ulfeld, ubicato nella Minoritenplatz, a pochi metri dalla Hofburg.5 Gli Asburgo d’Este decisero di ampliare la antica dimora e affidarono i lavori ad un giovane architetto austriaco che con la propria famiglia aveva seguito gli arciduchi nell’esilio: era Alois Pichl, nato a Milano nel 1782, figlio del maestro di cappella di Ferdinando e Maria Beatrice. Rientrato in Austria con la propria famiglia, Alois Pichl, noto anche come Luigi, si affermò come architetto della Casa d’Austria-Este, le cui residenza a Vienna e in Ungheria furono tutte ristrutturate sotto la sua direzione. Fra gli artisti che lavorarono per Maria Beatrice a Vienna e in Italia il nome più noto è comunque quello di Giuseppe Pisani, scultore carrarese tra i massimi esponenti del Neoclassicismo. Egli lavorò per gli Asburgo d’Este anche in Ungheria, dove realizzò il celebre monumento funebre di Carlo Ambrogio d’Austria-Este nella cattedrale di Esztergom, di cui si dirà in seguito. Anche Alois Pichl lavorò per gli Austria-Este in terra magiara, oltre che a Vienna.6 Fra i primi incarichi che gli vennero affidati vi fu la ristrutturazione del castello di Sárvár, nell’Ungheria nord-occidentale, appartenuto ad alcune delle più importanti famiglie dell’aristocrazia ungherese. Non distante da Szombathely, il castello di Sárvár era storicamente legato alla famiglia Nádasdy, che lo aveva posseduto fino al tempo dell’esecuzione di Ferenc III, caduto in disgrazia presso l’imperatore. Testimone anche della rivolta di Rákóczi, il castello era poi passato ai Draskovich ed infine ai Pallavicini, casato marchionale di origine italiane da tempo insediatosi a Vienna e in Ungheria. Nel 1803 l’arciduca Ferdinando d’Austria-Este acquistò la signoria di Sárvár, che comprendeva il 5 Sul patrimonio immobiliare degli Asburgo d’Este a Vienna si rinvia ai seguenti studi: R. Pallotti, I Palais Modena di Vienna. Gli Asburgo d’Este nella capitale imperiale, in “Atti e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Antiche Provincie Modenesi”, s. XI, XLIII (2021), pp. 185–230; G. Mayer, Maria Beatrice d’Este (1750–1829) als Auftraggeberin zwischen Italien und Österreich, tesi di laurea magistrale, Università di Vienna, Facoltà di Studi storici e culturali, Vienna 2012. 6 J. Sisa, Alois Pichl in Ungarn. Die Tätigkeit eines Wiener Architekten in Ungarn während der ersten Hälfte des 19. Jahrhunerts, in «Acta Historiae Artium», XXVIII (1982), pp. 67–116. 518 Riccardo Pallotti castello, la cittadina e i villaggi limitrofi; oltre a possedere l’antico maniero come bene allodiale, pertanto, gli Asburgo d’Este erano titolari dei diritti signorili sull’intera giurisdizione del castello. Al momento dell’acquisto da parte di Ferdinando, il castello versava in pessime condizioni, per cui si resero necessari fin da subito vasti interventi di restauro, affidati all’architetto di corte Alois Pichl; l’imponente restauro, celebrato in un’epigrafe scolpita sulla facciata del cortile, fu avviato da Ferdinando e alla sua morte (1806) venne portato avanti dal figlio primogenito Francesco, erede della proprietà.7 I diari di viaggio di Francesco, futuro sovrano di Modena e Reggio, rappresentano una preziosissima testimonianza della signoria di Sárvár così come di molti altri luoghi dell’Ungheria in età napoleonica. Dal 1798 fino almeno al 1810 l’arciduca Francesco intraprese numerosi viaggi attraverso il territorio ungherese, che egli descrisse accuratamente nei suoi diari, inediti, conservati all’Archivio di Stato di Modena.8 I diari di viaggio dell’arciduca costituiscono una straordinaria testimonianza del territorio ungherese in età napoleonica non solo su un piano geografico ma anche etnografico, in quanto la minuziosa descrizione fisica di villaggi, castelli, pianure, montagne e boschi è talora accompagnata da informazioni sugli usi e i costumi locali, in particolare sulla toponomastica, sulle lingue udite, sull’architettura ammirata e sull’abbigliamento delle popolazioni rurali. Partendo dalla sua residenza viennese o talvolta da Wiener Neustadt, l’arciduca Francesco, tra il 1798 e il 1806, si recò assai spesso nell’Ungheria nord-occidentale, effettuando inoltre numerose escursioni a Baden e in altre località climatiche della Bassa Austria, Boemia meridionale, Stiria e Burgenland. Le mete ungheresi del giovane arciduca, accompagnato dal padre Ferdinando o 7 Le notizie su Sárvár sono qui ricavate da: Sisa, Alois Pichl, cit., p. 79. Vedi anche: H. Takács, A Sárvári vár (Die Burg in Sárvár), Budapest 1957, p. 22. 8 ASMo, Archivio Austro-Estense di Vienna, Parte V, b. VI. La Parte V dell’Archivio Austro-Estense comprende la documentazione prodotta da Francesco IV, fra cui i suoi diari di viaggio, mentre la Parte VI conserva le carte di suo figlio Francesco V. La Parte I del fondo contiene invece gli Atti di famiglia, ovvero investiture, contratti nuziali, trattati ed altri documenti di interesse politico-dinastico in parte risalenti anche al medioevo. Queste serie furono trasferite a Vienna da Francesco V alla caduta del Ducato e nel 1921 vennero consegnate allo Stato italiano. Le Parti I, V, VI si trovano quindi a Modena, mentre le Parti II, III, IV sono conservate a Vienna; queste ultime sono ovviamente parte integrante dell’Archivio Habsburg-Este, compreso tra i fondi dello Haus,-Hof-und Staatsarchiv di Vienna. Il fondo Habsburg-Este conserva i carteggi famigliari di Maria Beatrice e del marito così come gli atti relativi all’amministrazione del patrimonio immobiliare viennese. Per la storia dell’Archivio Habsburg-Este si rimanda al Gesamtinventar des Wiener Haus, Hof-und Staatsarchivs, vol. 2: Das habsburg-lothringische Hausarchiv, a cura di F. von Reinöhl, Vienna 1937, pp. 58–62. Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria 519 dai fratelli, erano il castello di famiglia di Sárvár e la zona del lago di Neusiedl, quindi Sopron e Ágfalva, ma sovente anche la città di Presburgo, antica capitale del regno ungherese. Francesco si recò a Sárvár assieme al padre e al generale Guicciardi tra il 25 e il 31 luglio 1804; essi raggiunsero la signoria dopo aver attraversato Sopron, e nei giorni seguenti si spostarono verso Pápa e Győr, per poi fare rientro a Vienna. Francesco e il padre arrivarono a a Sárvár il pomeriggio del 26 luglio 1804; nel suo diario il giovane arciduca descrive dapprima il bosco, “assai esteso” sebbene gli alberi siano rari: “Sono gli alberi di quercia a sinistra, e a destra vi sono dei birkenbäumer…”. Egli prosegue poi con la descrizione del villaggio e del castello: “Alle ore 4 ½ passammo dal villaggio di Sar prima, e dopo il quale sono già prati, e campagne, e 5 minuti dopo si entra in Sarwar, che dicono è una città; cioè è luogo più grosso a mezzo villaggio, a destra si va al castello. Noi vi abitiamo nel castello del Pappà, che è antico, circondato da mura, e da fossa, ma una fossa di palude non d’acqua corrente. Il cortile è pentagono. Vi è una sala, e 5 o 6 stanze dipinte pulite, con parquet. Vi sono forse altrettante e più camere rovinate da riparare, oltre le abitazioni di tutti gli impiegati, v’è qualche altra camera, che è affittata, v’è un bel granaro. Appresso v’è una stalla, che s’aggrandisce ora, una casa ove si fa birra affittata: il tetto è di tegole: la casa ha il pianterreno, e [un primo] piano: v’à una torre sull’ingresso. Alcune case nel villaggio, come pare l’osteria, appartengono alla signoria. Li 26. luglio pranzammo avendo mandato il cuoco avanti, poi restammo in casa, e alle 9.ore s’andò a letto”.9 Numerose sono le notizie relative a Sárvár che ritroviamo nei diari dell’arciduca. Il futuro Francesco IV di Modena vi si recò anche in altre occasioni, come ad esempio nell’ottobre 1805, mentre i suoi fratelli Ferdinando Carlo e Massimiliano si apprestavano alla battaglia di Ulma. Testimoniano questo viaggio dell’ottobre 1805 le sue Annotazioni riguardanti i contorni da Sarwar, e la strada dritta da Sarwar a Ödinburgo per Kál, Köwesd, fatta nel viaggio da Vienna a Sarwar fatto dal 1. al 6. Ottobre 180.10 Un altro viaggio da Vienna a Sárvár ebbe luogo nell’estate del 1806, quando l’arciduca Francesco si spinse fino al Balaton, visitando numerose località dell’Ungheria occidentale. Fra il 26 giugno e il 5 luglio del 1806 nei suoi diari egli registrò le visite alla signoria di Sárvár ed in seguito a Keszthely, alla penisola di Tihany e a Füred sul lago 9 10 ASMo, Archivio Austro-Estense di Vienna, Parte V, b. VI, fasc. II, ins. R Ibidem, fasc. II, ins. B. 520 Riccardo Pallotti Balaton, da cui proseguì per la antica città di Székesfehérvár, e di lì a Tata e Győrszentmárton per poi rientrare nella capitale imperiale.11 Nuovi soggiorni di Francesco d’Austria-Este a Sárvár e in altri luoghi dell’Ungheria si ebbero tra il 1809 e il 1810, quando l’occupazione francese di Vienna costrinse l’imperatore d’Austria e la sua consorte Maria Ludovica, sorella dell’Austro-Estense, a mettersi in salvo a Buda. Francesco naturalmente seguì la sorella imperatrice e l’anziana madre Maria Beatrice d’Este in Ungheria, dove poco tempo prima suo fratello Carlo Ambrogio era stato designato arcivescovo primate. Come meglio diremo in seguito, Maria Beatrice si rifugiò in Transilvania, a Gran Varadino (Nagyvárad/ Grosswardein/ Oradea), dove la raggiunse in vari momenti il figlio Francesco. I diari dell’arciduca confermano, infatti, vari viaggi tra Buda e Gran Varadino tra la fine del 1809 e i primi mesi del 1810, quando Francesco rientrò a Vienna dopo oltre un anno in Ungheria. Quelli dello Stadtpalais viennese e di Sárvár furono solo i primi di una lunga serie di acquisti realizzati dagli Austria-Este.12 L’arciduchessa Maria Beatrice si mostrò particolarmente attiva sul fronte patrimoniale i questi primi anni del secolo, a partire dall’anno 1803, quando poté riunirsi col marito nella nuova casa di Minoritenplatz. Nello stesso anno erano venuti a morte il padre di Maria Beatrice, Ercole III d’Este e la zia Maria Fortunata, principessa di Borbone-Conti alla corte di Luigi XVI. È quindi probabile che i notevoli mezzi finanziari di cui disponeva Maria Beatrice derivassero dall’eredità del padre, morto in esilio a Treviso. Dopo l’acquisto del palazzo cittadino l’arciduchessa si mise alla ricerca di una residenza di campagna ove trascorrere l’estate. La scelta definitiva cadde sul quartiere extraurbano di Landstrasse, ove sorgevano le residenze di campagna delle maggiori famiglie della nobiltà viennese. In questa area suburbana gli arciduchi d’Austria-Este acquistarono un palazzo nella Raabengasse (oggi Beatrixgasse,13 in ricordo di Maria Beatrice d’Este), già appartenuto alla famiglia 11 Ibidem, fasc. II, ins. A. Studio molto importante per le transazioni patrimoniali di Maria Beatrice e il suo ruolo di committente e patrona di artisti è la tesi di laurea dello storico dell’arte austriaco Gernot Mayer, Maria Beatrice d’Este (1750–1829) als Auftraggeberin zwischen Italien und Österreich, contributo citato a nota 2. 13 Il legame degli Austria-Este con il palazzo di Landstrasse è testimoniato anche dalla toponomastica cittadina; infatti, già al tempo di Francesco V, la città di Vienna rese omaggio agli Asburgo d’Este intitolando la via del Gartenpalais Modena a Maria Beatrice, nonna del duca; la “Raabengasse” assunse così la attuale denominazione di “Beatrixgasse”, che rievoca la presenza austro-estense. 12 Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria 521 Stockhammer.14 Maria Beatrice e il marito comprarono questa casa, con il suo vasto parco, dalla principessa Eleonora di Liechtenstein nei primi mesi del 1806; subito dopo iniziarono grandi lavori di ampliamento, affidati come sempre ad Alois Pichl. La casa di campagna assunse le dimensioni di una grande residenza signorile, con l’aggiunta di due ali laterali e di un cortile d’onore. Iniziò così la storia del Gartenpalais Modena, la più importante residenza viennese della Casa d’Austria-Este.15 Fu qui infatti che visse in esilio l’ultimo duca di Modena, Francesco V.16 Il duca si ritirò nel Gartenpalais di Landstrasse con la moglie Adelgonda di Wittelsbach a seguito della caduta del Ducato di Modena (1859) e qui visse fino alla sua morte, avvenuta il 20 novembre 1875.17 I primi anni dell’Ottocento, come è ben noto, furono assai difficili per l’Impero asburgico, in forte crisi dopo la pace di Presburgo (1805). Nonostante il ricco patrimonio a disposizione, anche gli Asburgo d’Este dovettero affrontare forti criticità. Alle guerre della terza coalizione antinapoleonica presero parte anche Massimiliano e Ferdinando Carlo d’Austria-Este, da poco usciti dall’Accademia militare di Wiener Neustadt. Essi si distinsero nella campagna di Germania del 1805, a Ratisbona, Ulma e Linz, ma la guerra fu persa e si concluse con l’occupazione francese di Vienna, che costrinse la famiglia imperiale a rifugiarsi a Buda. Napoleone decretò così, nel 1806, la dissoluzione del millenario Sacro Romano Impero, dalle cui ceneri sorse l’Impero d’Austria. Nello stesso anno le condizioni di salute dell’arciduca Ferdinando andarono aggravandosi e la vigilia di Natale del 1806 il figlio cadetto dell’imperatrice Maria Teresa morì nel suo palazzo di Minoritenplatz. La morte del marito fu ovviamente un colpo durissimo per Maria Beatrice e privò la famiglia del suo principale punto di riferimento. 14 W. G. Rizzi, Vom Gartenhaus Stockhammer zur Residenz des Herzogs von Modena, in C. JägerKlein, A. Kolbitsch, Fabrica et ratiocinatio in Architektur, Bauforschung und Denkmalpflege: Festschrift für Friedmund Hueber zum 70. Geburtstag„ Vienna,/Graz 2011, pp. 255–271. 15 Sulla storia del Gartenpalais Modena si rinvia a Pallotti, I Palais Modena, cit., pp. 203–213; Mayer, Maria Beatrice, cit., pp. 24–26. 16 Il palazzo di Landstrasse divenne così sotto Francesco V la sede del governo ducale austroestense in esilio, che rimase formalmente in carica fino al 1867, quando dovette cessare dal servizio anche la Legazione Estense di Vienna, avente sede nello stesso Gartenpalais. Sulla Legazione Estense di Vienna si veda A. Menziani, Le relazioni degli Stati Estensi con l’estero dal 1814 al 1866. Rassegna e profili istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e consolari, in Le relazioni della casa austro-estense con l’estero, a cura di A. Spaggiari, con testi di A. Menziani e A. Spaggari, Modena, Aedes Muratoriana, 2006, pp. 60–61. 17 Su Francesco V si rinvia a E. Bianchini Braglia, L’ultimo Duca. Francesco V d’Austria-Este, Modena 2019. 522 Riccardo Pallotti Nel giro di breve tempo però le sorti del casato austro-estense si capovolsero; Maria Beatrice d’Este e i propri figli conobbero un’insperata quanto rapida ascesa alla corte imperiale. Nel 1807 anche l’imperatore d’Austria Francesco I d’Asburgo-Lorena rimase vedovo e subito dopo si mise alla ricerca di una nuova moglie. La terribile situazione dell’Impero asburgico, in larga parte occupato dei Francesi, suggeriva la ricerca di una sposa all’interno della famiglia e Francesco I scelse così sua cugina Maria Ludovica d’Austria-Este, la figlia più giovane di Maria Beatrice. Le nozze furono celebrate nella Augustinerkirche il giorno dell’Epifania del 1808 e ad officiare fu il vescovo Carlo Ambrogio d’Austria-Este, fratello della sposa.18 Divenuta imperatrice d’Austria e regina di Ungheria, la giovane Maria Ludovica non si limitò ad un ruolo meramente formale e si adoperò anzi per favorire l’ascesa dei propri fratelli, a cominciare da Carlo Ambrogio, già avviato ad una brillante carriera ecclesiastica. In riferimento ai rapporti tra Estensi e Ungheria la figura di Carlo Ambrogio d’Austria-Este riveste un particolare rilievo, in quanto si tratta di un discendente della Casa d’Este elevato alla dignità di Primate d’Ungheria. Notizie biografiche su Carlo Ambrogio sono presenti nel Biographisches Lexikon di Constantin von Wurzbach, in cui vengono particolarmente elogiate la preparazione teologica, l’amore per le arte e le grandi virtù morali di questo giovane prelato del casato austro-estense.19 Ottavo e penultimo figlio di Maria Beatrice e Ferdinado d’Austria-Este, nacque a Milano il 2 novembre 1785 e ben presto venne avviato alla carriera ecclesiastica. L’invasione francese lo portò a Wiener Neustadt, dove si stabilì con la madre Maria Beatrice e la sorella Maria Ludovica dal 1798. La minaccia napoleonica sulla stessa Austria lo condusse nella più sicura Ungheria, fino a Szerencs, non lontano da Miskolc, dove poté proseguire i suoi studi di teologia. La sua carriera fu comunque assai 18 Seguirono giorni di festa in onore degli augusti sposi. Il 7 gennaio furono ricevuti gli Stati ungheresi e il 9 andò in scena l’Armida di Gluck al Kärntnertortheater. La sera seguente ebbe luogo un gran ballo in maschera alla Hofburg. Notizie sulle nozze dell’imperatore Francesco I con Maria Ludovica in F. Herre, Maria Luigia. Il destino di un’Asburgo da Parigi a Parma, Milano 1998, pp. 33–35. 19 C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, vol. 4: Egervári-Füchs, Vienna 1858, p. 88. Fra i profili biografici più recenti si vedano: Die Bischöfe der Donaumonarchie 1804 bis 1918. Ein amtsbiographisches Lexikon, a cura di R. Klieber, con la collab. di P. Tusor, vol. I, Berlino 2020, pp. 21–22, 237, appendice, tav. 2. Si veda anche: C. Latorcai, Egy Habsburg a prímási székben– Lotharingiai Károly Ambrus esztergomi érseksége, in «Magyar Sión», XLVI (2009/2), pp. 262–272 (risorsa web: http://epa.oszk.hu/01300/01397/00006/pdf/MSion_2009_02_262–272.pdf). Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria 523 rapida, in quanto ancora giovanissimo divenne vescovo di Vác, diocesi di cui era stato precedentemente nominato amministratore.20 Fu però l’ascesa al trono della sorella Maria Ludovica a proiettarlo ai vertici della gerarchia episcopale della Chiesa ungherese; fu Carlo Ambrogio ad officiare le nozze dell’imperatore Francesco I con la sorella il 6 gennaio 1808 e appena due mesi dopo, il 16 marzo, ottenne la prestigiosa nomina ad arcivescovo di Esztergom, la sede primaziale d’Ungheria.21 La cerimonia di consacrazione a Primate d’Ungheria ebbe luogo ad Esztergom il 24 luglio seguente, per mano dei vescovi di Eger, Győr e Szombathely. In quanto arcivescovo Primate della Chiesa ungherese, fu Carlo Ambrogio ad incoronare regina di Ungheria la sorella Maria Ludovica il 7 settembre 1808, nel corso della solenne cerimonia di incoronazione che si svolse, come di consueto, a Presburgo, nella cattedrale di San Martino di Presburgo. Il 6 ottobre seguente, inoltre, a Vienna consacrò la cappella privata della Casa d’Austria-Este nel palazzo giardino di Landstrasse, cappella simbolicamente dedicata alla “Fuga in Egitto” a ricordo dell’esilio della famiglia. Carlo Ambrogio d’Austria-Este però fu primate della Chiesa di Ungheria per poco più di un anno; all’inizio del 1809 infatti ripresero le ostilità con Napoleone, che però ebbe trionfò nuovamente occupando Vienna una seconda volta. Come già nel 1805, la corte asburgica riparò in Ungheria, le cui città divennero di fatto la retrovia del fronte. L’Ungheria divenne dunque meta dell’aristocrazia sfollata nonché dei feriti dell’armata imperiale e in breve tempo alla minaccia di un’aggressione francese e della carestia incombente si aggiunse il tifo. In un simile contesto l’arcivescovo Primate di Ungheria, come ci ricorda Konstantin von Wurzbach, mostrò grande senso del dovere e non esitò a manifestare la propria vicinanza ai soldati delle truppe asburgiche ricoverati nei lazzaretti ungheresi; durante le visite agli ospedali militari, però anch’egli finì per contrarre il tifo e il 24 settembre 1809, a Tata, morì a soli 24 anni. In quanto primate di Ungheria fu in seguito tumulato nella cattedrale di Esztergom, dove Giuseppe Pisani realizzò lo splendido monumento funebre che si conserva ancora oggi.22 La ripresa della guerra era stata appoggiata con fervore dall’imperatrice Maria Ludovica, acerrima nemica di Napoleone, le cui armate la avevano costretta, ancora bambina, ad una precipitosa fuga dall’Italia. Maria Ludovica, malgrado la giovane età e le sue origini straniere, cercò di svolgere un ruolo attivo nella politica asburgica; fin dall’inizio del suo regno, ella allacciò relazioni con i 20 Die Bischöfe, cit., p. 237; Latorcai, Egy Habsburg, cit., p. 263. Die Bischöfe, cit., pp. 21–22; Latorcai, Egy Habsburg, cit., pp. 265–266. 22 Latorcai, Egy Habsburg, cit., p. 272. 21 524 Riccardo Pallotti circoli militaristi, sostenendo la ripresa delle ostilità contro Napoleone. Sposando l’imperatore Francesco I, Maria Ludovica era divenuta matrigna della sua amica Maria Luigia, quasi sua coetanea. Come è ben noto, Maria Luigia sarebbe divenuta di lì a breve imperatrice dei Francesi per poi vedersi assegnare, in seguito, il Ducato di Parma e Piacenza dalle potenze del Congresso di Vienna. Maria Ludovica cercò di instillare il proprio odio verso Napoleone nella figliastra, senza immaginare che nel giro di pochi mesi la politica del Metternich avrebbe condotto Maria Luigia alle Tuileries. L’imperatrice d’Austria nutriva progetti ben diversi per la figliastra; narrano infatti i biografi di Maria Luigia che tra 1809 e 1810, durante i lunghi mesi trascorsi in Ungheria, la figlia del monarca austriaco sarebbe stata molto vicina a sposare Francesco d’AustriaEste, il futuro duca di Modena.23 Era desiderio della giovane imperatrice che il proprio fratello maggiore, a capo del casato austro-estense ormai da anni, divenisse genero dell’imperatore d’Austria. I piani del Metternich, tuttavia, fecero sfumare queste nozze. La guerra del 1809 vide nuovamente la famiglia imperiale rifugiarsi in Ungheria, come già nel 1805. I fatti sono noti: dopo un’iniziale occupazione della Baviera, le truppe austriache furono respinte dai Francesi, i quali con una rapida controffensiva occuparono Vienna. Ai primi di maggio del 1809 l’imperatrice Maria Ludovica, con la madre Maria Beatrice e con i propri figliastri, lasciò Vienna per l’Ungheria. La famiglia imperiale raggiunse Győr e di lì Buda, dove il castello a dominio del Danubio rappresentava un sicuro baluardo contro i Francesi. Seguirono Maria Beatrice in Ungheria i figli Carlo Ambrogio e Francesco d’Austria-Este; i diari di quest’ultimo, il futuro duca Francesco IV, ben documentano i viaggi in Ungheria del 1809–1810;24 grazie a questa fonte sappiamo che l’arciduca viaggiò a più riprese dall’ovest all’est del paese, spostandosi spesso tra Buda e Gran Varadino, dove aveva trovato riparo la sua anziana madre. I fratelli maggiori dell’imperatrice, Ferdinando Carlo e Massimiliano, inquadrati nello stato maggiore austriaco, presero parte ai duri scontri con le truppe francesi ad Aspern ed Essling, alle porte di Vienna. Le truppe dell’arciduca Carlo riuscirono a bloccare l’avanzata francese, ma lo scontro decisivo avvenne a Wagram (5–6 luglio 1809), dove le truppe austriache furono battute. Seguì 23 Notizie su Francesco d’Austria-Este e Maria Luigia, futuri sovrani dei ducati padani, durante l’esilio ungherese del 1809–10 in Herre, Maria Luigia, cit., pp. 44–46. 24 ASMo, Archivio Austro-Estense di Vienna, Parte V, b. VI, fasc. III, inss. A, C. Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria 525 la pace di Schönbrunn del 14 ottobre 1809, con cui l’Austria dovette accettare condizioni durissime e la perdita di gran parte del proprio territorio. In una simile situazione l’imperatrice Maria Ludovica e la madre Maria Beatrice restarono ancora Ungheria. I nuovi successi francesi le avevano indotte a lasciare Buda per spostarsi più ad est, ad Eger. Ancora più lontano si era spinta l’ormai anziana Maria Beatrice d’Este, che trovò rifugio a Grosswardein, in Transilvania. Qui l’Estense trascorse quasi tutto il 1809 e parte dell’anno seguente, rientrando a Vienna solo nell’estate del 1810. Sebbene al sicuro dai Francesi, l’arciduchessa in Ungheria dovette però sopportare un durissimo colpo, ovvero la morte del figlio Carlo Ambrogio, che come già ricordato morì di tifo a Tata il 2 settembre 1809. Nonostante il lutto e i disagi, Maria Beatrice così come tutto il resto della famiglia imperiale si trattennero in Ungheria ancora parecchi mesi. Il loro soggiorno ungherese al riparo dai Francesi si protrasse comunque ancora per vari mesi.25 I diari di viaggio di Francesco IV documentano i viaggi dell’arciduca tra Buda, Gran Varadino e Vienna, dove egli rientrò prima della madre per poter meglio curare gli affari di famiglia. Verso la fine del 1809 Francesco decise di mettere in vendita lo Stadtpalais della Minoritenplatz mentre la madre si trovava ancora a Gran Varadino. Nel marzo 1810 l’arciduca Francesco vendette il Palais Ulfeld al conte Paumgarten per la somma di 570.000 fiorini.26 La vendita della residenza di Minoritenplatz lasciava senza un palazzo di città l’arciduchessa Maria Beatrice, ormai prossima a rientrare a Vienna dopo un anno in Ungheria. Fu così che già dalla Transilvania l’arciduchessa incaricò Alois Pichl di mettersi alla ricerca di un nuovo Stadtpalais. L’architetto di fiducia individuò così il magnifico palazzo Dietrichstein della Herrengasse, a pochi metri della precedente abitazione di Minoritenplatz. Il palazzo fu acquistato da Maria Beatrice il 9 maggio 1811 per la somma di 284.000 fiorini.27 Il Palais Dietrichstein della Herrengasse, attuale sede del Ministero degli Interni, è noto ancora oggi come Palais Modena.28 Il passaggio dalla Minoritenplatz alla fastosa 25 La stessa Maria Luigia ancora nel gennaio del 1810 si trovava a Buda con la matrigna per sfuggire da Napoleone, il quale, nel giro di poche settimane, sarebbe diventato suo consorte (Vedi Herre, Maria Luigia, cit.). 26 Pallotti, I Palais Modena, cit., p. 199. L’atto di vendita è conservato in HHStA, HabsburgischEstensisches Hausarchiv, K. 347, come indicato in Mayer, Maria Beatrice, cit., p. 22. 27 Pallotti, I Palais Modena, cit., p. 199. L’atto di vendita è conservato in HHStA, HabsburgischEstensisches Hausarchiv, KK. 147, 228, come indicato in Mayer, Maria Beatrice, cit., p. 22. 28 S si trattava di una delle residenza gentilizie più in vista della città, ricca di tesori artistici e vicinissima alla Hofburg. Si veda: R. Perger, W. G. Rizzi, Das Palais Modena in der Herrengasse zu Wien, Vienna 1997. 526 Riccardo Pallotti residenza dei principi Dietrichstein è una chiara spia dell’ascesa politica, sociale e patrimoniale del casato austro-estense a Vienna sancita dalle nozze di Maria Ludovica con l’imperatore. Maria Beatrice abitò in Herrengasse a partire dal 1813, ma continuò spesso a risiedere anche nel Gartenpalais di Landstrasse. Con la vittoria su Napoleone l’arciduchessa Maria Beatrice poté rientrare stabilmente a Vienna e dedicarsi all’amministrazione dei propri beni nonché al governo degli Stati di Massa e Carrara, che le furono restituiti dal Congresso di Vienna. Il giubilo per la sospirata vittoria su Napoleone fu però offuscato dalla prematura morte della figlia, l’imperatrice Maria Ludovica, che si spense a Verona nell’aprile 1816 a causa di una malattia polmonare. Gli anni successivi al Congresso di Vienna la videro comunque spesso in Italia, soprattutto alla corte di Modena, presso il figlio Francesco IV. La morte la colse nel “Giardino” di Landstrasse il 15 novembre 1829. Alla morte di Maria Beatrice il palazzo di città della Herrengasse passò a Francesco IV, mentre il palazzo giardino di Landstrasse toccò a suo fratello, l’arciduca Ferdinando Carlo, già governatore militare in Ungheria. Il palazzo di città fu venduto all’imperial-regio Governo nel 1842, mentre il palazzo giardino passò nel 1850 al duca Francesco V, che lo elesse a propria residenza ufficiale negli anni dell’esilio, dopo il 1859. La coppia ducale in esilio trascorreva gli inverni a Vienna e le estati al castello di Wildenwart in Baviera, ma soggiornava talora anche a Sárvár, che apparteneva ancora al casato austro-estense.29 A seguito della scomparsa del duca, la signoria di Sárvár passò all’ultima erede diretta della Casa d’Austria-Este, Maria Teresa Enrichetta (1849–1919), figlia di un fratello minore di Francesco V. Il castello di Sárvár legò così il proprio nome alla Casa reale bavarese, in quanto Maria Teresa Enrichetta d’AustriaEste aveva sposato nel 1867 Luigi di Wittelsbach, re di Baviera col nome di Luigi III dal 1913 al 1918. Esiliati a seguito della Prima guerra mondiale, l’anziano re Luigi III e Maria Teresa Enrichetta trascorsero parte dei loro ultimi anni proprio a Sárvár; fu qui, presso l’antico castello Nádasdy, che nel 1922, vedovo da tre anni, si spense l’ultimo re di Baviera. 29 Narra il conte Teodoro Bayard de Volo, principale amico e collaboratore di Francesco V, che “… Wildenwart era divenuto l’usuale loro abitazione estiva, il che non impediva al Duca di fare ogni anno una o due corse a Chlumez ed altrettante a Sarvar, ed alla Duchessa di passare sempre qualche settimana in alcuno dei castelli de’ suoi reali Congiunti in Baviera. Così del pari il loro palazzo nella Landstrasse a Vienna accoglievali in tempo di autunno avanzato e d’inverno, e ciò senza pregiudizio di geniali assenze o a Frohsdorf presso la sorella ed il Cognato od a Praga presso l’Imperatore Ferdinando e la Zia Imperatrice Marianna, od a Gratz presso l’infante Maria Beatrice” (Vita di Francesco V duca di Modena (1819–1875) scritta dal conte Teodoro Bayard de Volo, vol. III, Modena, Aedes Muratoriana, 1983). Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni Lidia Righi Guerzoni Archivio di Stato di Modena lidiarighiguerzoni@gmail.com Abstract The essay analyses Count Luigi Forni’s experiences in the Kingdom of Hungary, based on his work Alcune notizie sull’Ungheria. His experiences as a young military officer in several Hungarian garrisons forged in Count Forni a lifelong bond with Hungary. After a comprehensive description of the chorography, which is also in print, the essay discusses Count Forni’s manuscript legacy, including manuscript notes of the rapidly developing capital, Budapest, written during a later visit to the military and the publication of the chorography. Count Forni’s relationship with Hungary concludes with opinion pieces written after the defeat of the 1848–1849 War of Independence. Nel 1832 viene pubblicato a Modena un libro di rilevante interesse e novità, dal titolo Alcune notizie sull’Ungheria. Ne è autore il conte Luigi Forni che, come puntualizza, lo ha composto nel 1829 durante il soggiorno in terra magiara rielaborando le conoscenze acquisite in loco con i testi di noti studiosi. Nato a Modena nel 1806, all’epoca Forni è in possesso di una solida cultura maturata con la frequentazione del prestigioso Collegio dei Nobili e dell’Accademia Nobile Militare Estense. Come si evince dai numerosi suoi manoscritti conservati nell’archivio di famiglia (in deposito presso l’Archivio di Stato di Modena), era dotato di viva curiosità intellettuale e di acuto spirito di osservazione sugli aspetti geoantropologici- e socio-culturali delle località visitate, come dimostrerà anche nel ruolo di aiutante di campo nel corso dei viaggi con i duchi austroestensi Francesco IV e Francesco V. Dal carteggio con i famigliari, specie con il fratello prediletto Giuseppe, si apprende che nel luglio 1827 il giovane conte avviato alla carriera militare si trasferisce a Pösing nei pressi di Presburgo. 528 Lidia Righi Guerzoni Da “cadetto dell’I. R. Reggimento Corazzieri del Principe Ferdinando n. 4”, due anni dopo viene promosso “tenente nell’I. R. Reggimento König von Bayern n. 2” di stanza a Grosskanisa. Nel corso dei successivi acquartieramenti tra cui Rosing-Zeil, Sankt Georgen, Draškovec, Großkanizsa, Forni ha modo di conoscere le plurime realtà del Regno Ungherese in gran parte per lui sorprendenti, in primis la coesistenza di più nazionalità, ciascuna con emblematiche peculiarità e tali da affascinarlo e da legarlo profondamente a questa terra. Ne è testimonianza eccellente il libro Alcune notizie sull’Ungheria, il cui contenuto di un centinaio di pagine, suddiviso in “Lettere” rivolte come è facile intuire al fratello, restituisce un accattivante affresco della terra magiara. Le sue descrizioni si soffermano sui villaggi e sui castelli delle signorie, percorrono brani di storia, il livello di cultura e istruzione, la viabilità e i prodotti del suolo, nonché abbigliamenti, divertimenti e superstizioni, per poi affrontare i temi dell’amministrazione politica, economica, giudiziaria ed ecclesiastica. Quasi vent’anni dopo, nel luglio 1845 Luigi Forni al seguito a Vienna del duca Francesco IV ottiene il permesso di assentarsi alcuni giorni per visitare Buda e Pest che non conosce ancora di persona. Naviga sul Danubio, annota in fogli sparsi e illustra nelle lettere alla moglie Misina ambedue le realtà urbane separate dal Danubio e alquanto dissimili, una sull’altura con testimonianze di regale antichità, l’altra vivacizzata dal recente progresso industriale. Con lo scoppio della rivoluzione del 1848 il lungo filo rosso che legava il conte Forni all’Ungheria si dipana ancora una volta con l’obiettivo di divulgarne ad ampio raggio le connotazioni storico-antropologiche. Come attestano i suoi numerosi manoscritti, compone l’importante saggio Delle popolazioni che abitano l’Ungheria e la Transilvania e si avvale del veicolo mediatico del periodico ducale “Il Messaggere”. Il saggio vi compare anonimo nell’“Appendice” per tre numeri, il 27 novembre, il 4 e l’11 dicembre 1848 ma, nonostante la scritta “continua” se ne perdono le tracce, forse per un autorevole intervento censorio determinato dalla precaria situazione politica. “Certamente nella dimora da me fatta in queste parti non mi stetti pigro, né trascurai d’informarmi di tante cose che quivi mi vennero osservate…”. Con queste parole il conte Luigi Forni dà inizio al suo libro Alcune notizie sull’Ungheria redatto, come puntualizza, nel 1829 durante il suo soggiorno in terra magiara in qualità di giovane ufficiale dell’esercito austriaco ed edito a Modena nel 1832. Traspare da tale incipit una precoce vocazione, che andrà maturando nel corso degli anni, a cogliere con acuto spirito di osservazione alimentato da viva curiosità intellettuale gli aspetti geo-antropologici e socio-culturali dei L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 529 luoghi visitati in occasione di numerosi viaggi, specie nel ruolo di aiutante di campo dei sovrani austro-estensi di Modena Francesco IV e Francesco V.1 Peraltro Luigi Forni (Luigi Forni Cervaroli) apparteneva a una casata di antica nobiltà, il cui titolo comitale risaliva all’imperatore Carlo V. Nato a Modena nel 1806 dal conte Paolo (1756–1838), uomo colto, insignito di varie onorificenze e incarichi di corte,2 era stato avviato insieme con il fratello Giuseppe, nato nel 1807, al percorso educativo presso il prestigioso Collegio dei Nobili e presso l’Accademia Nobile Militare Estense fondata con sovrano chirografo del 30 dicembre 1821. Tale istituto si inseriva nel vasto programma innovativo promosso dal sovrano con la finalità peculiare di riscattare dall’ozio i giovani aristocratici del Ducato “chiamati ad essere la difesa, ed il sostegno del Trono e della società e a cooperare col Sovrano a promuovere il bene comune”.3 Secondo il regola1 Lo attestano i suoi manoscritti e le lettere inviate ai famigliari conservate presso l’Archivio di Stato di Modena (ASMo), fondo Archivio Forni (Ar. Forni), tra cui i diari odeporici di particolare interesse per la dovizia descrittiva. Si veda in merito: L. Righi Guerzoni, In viaggio con il duca di Modena Francesco V a Vienna per il matrimonio dell’imperatore Francesco Giuseppe, a Praga, Dresda, Monaco, in Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale di Scienze, Lettere, Arti di Modena, s. IX, vol. II, fasc. I (2018), pp. 227–242; L. Righi Guerzoni, Il duca di Modena Francesco V alla scoperta delle bellezze paesaggistiche della Svizzerae sue riflessioni sul governo confederale, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per el Antiche Provincie Modenesi, s. XI, pp. 177–184. 2 Dal primo matrimonio del conte Paolo Forni con la contessa Carlotta Lopez Amor de Soria erano nati Lodovico (1789–1865) e Giovanni Battista (1793–1852). Luigi e Giuseppe erano nati dal secondo matrimonio con la marchesa Anna Molza, deceduta prematuramente nel 1824. Si veda il testo redatto su basi documentarie di F. Ceretti, Sul Conte Giuseppe Forni ultimo Ministro degli Affari Esteri del Ducato di Modena, Modena 1894. 3 Il testo del chirografo ducale è pubblicato in G. Canevazzi, La Scuola Militare di Modena (1756– 1915), Modena 1920, vol. II, pp. 2–3. Tra i contributi più recenti sull’Accademia Nobile Militare Estense: A. Menziani, Il servizio della Guardia Nobile d’onore di Modena dal 1814 al 1829, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, s. XI, vol. VI (1984), pp. 319–327; E. Frascaroli, La scuola dei Cadetti Matematici Pionieri, in Quaderni dell’Archivio Storico, VIII, Modena 1998, pp. 17–20; L. Righi Guerzoni, L’arciduca Massimiliano d’Austria d’Este e la sua operosità culturale nel Ducato di Modena, in Mutina splendidissima. La città romana e la sua eredità, a cura di L. Malnati, S. Pellegrini, F. Piccinini, C. Stefani, Roma 2018, pp. 559–561. Il giovane Forni già nel corso degli studi aveva avviato numerose ricerche di storia locale, tra cui l’urbanistica e la Zecca di Modena, attingendo da fonti accreditate tra cui Lodovico Antonio Muratori (ASMo, Ar. Forni, A 27). È inoltre noto che negli anni Quaranta si contraddistinguerà tra i protagonisti delle indagini su Mutina e quale ideatore della “Società Archeologica” per il finanziamento degli scavi, i cui esiti pubblicherà nell’importante volume corredato da mappe: Luigi Forni, Relazione degli scavi eseguiti a Modena nel 1844–1845, Modena 1852, nonché quale autore insieme a Cesare Campori di Modena a tre epoche, Modena 1844. La sua attività nel settore archeologico è stata illustrata di recente in Mutina splendidissima cit., in particolare nei contributi 530 Lidia Righi Guerzoni mento e i programmi di studio stabiliti dall’arciduca Massimiliano d’AustriaEste fratello di Francesco IV, oltre la disciplina militare, la “cavallerizza”, la scherma e il ballo, ne costituivano l’identità formativa gli studi di matematica, cosmografia, disegno e fortificazioni, fisica sperimentale, lingua e “belle lettere”. È in tale contesto pluridisciplinare, nel quale particolarmente significativi sono pure gli esercizi in lingua tedesca e ungherese,4 che si va attuando in Luigi la scelta della futura carriera che lo porterà a militare in primo luogo nell’Imperial Regio Esercito austriaco e in seguito, con adamantina fedeltà, a fianco dei sovrani austro-estensi. Giuseppe viene invece introdotto alla carriera diplomatica a Vienna e a Madrid, poi a ricoprire incarichi amministrativi a Massa fino alla nomina di ministro degli Affari Esteri del Ducato, carica che manterrà fino al 1859. Nel corso degli anni si consolidano strettamente i legami d’affetto tra i due fratelli, come evidenzia il cospicuo loro carteggio, nel quale peraltro si rispecchia buona parte delle vicende del Ducato austro-estense. Al termine del triennio accademico, nel luglio 1827 Luigi parte da Modena con il benestare di Francesco IV, raggiunge Venezia, Trieste e da qui viaggia in vettura fino a Vienna e Presburgo.5 Già al primo approccio l’Ungheria gli appare tutta da scoprire, ben diversa dalle fantasie fanciullesche di “un luogo tutto pieno di soldati ove i nobili superbi e sdegnosi abitavano forti castelli […], un paese ove le uniche occupazioni degli abitanti erano il brandir l’armi e l’adoperare cavalli”.6 Ne coglie a mano a mano il fascino, tanto da essere sollecitato dal desiderio di conoscerla a fondo, fino a condensarne un esaustivo profilo nel suo libro, all’epoca autentica rarità nel Ducato austro-estense.7 di S. Pellegrini, Le terme di Mutina, pp. 95–96; C. Zanasi, Nuovi dati sulla Società Archeologica, pp. 599–606. Per un ulteriore contributo in merito: L. Righi Guerzoni, “Per la grandezza e la gloria della nostra città”. Celestino Cavedoni e lo studio delle antichità a Modena nel primo Ottocento in Il contributo della Deputazione di Storia Patria alla storiografia di Mutina e del suo territorio nel 2.200° anno della fondazione della colonia romana, a cura di M. Calzolari e D. Labate, Modena, Aedes Muratoriana, 2021. 4 ASMo, Ar. Forni, C 16. Sulla sua biografia: Sua Eccellenza il Conte Luigi Forni Cervaroli, Cenno cronologico, in Il Diritto Cattolico, X (1877), n.108, 15 maggio 1877; Necrologia. Conte Luigi Forni Cervaroli (1806–1877), in Opuscoli Religiosi, Letterari e Morali, s. IV, t. II, Modena 1877, pp. 80– 88; Cenno necrologico, in Biblioteca Estense Universitaria di Modena, Miscellanea Dondi, A 291; Conte Luigi Forni, in T. Bayard de Volo, Vita di Francesco V Duca di Modena (1819–1875), t. IV, Modena 1885, pp. 398–402. 5 ASMo, A. Forni, C 3, 17 luglio 1827, Lettera di Luigi al padre, nella quale scrive a proposito di Trieste: “Tutto è vita, tutto è commercio”. 6 L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 2. 7 Ibid. L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 531 Come si evince dalle lettere inviate ai famigliari, in particolare al padre e a Giuseppe, la prima importante tappa è Pösing8 nei pressi di Presburgo,9 nella cui scuola di equitazione il conte Forni “cadetto dell’Imperial Regio Reggimento Corazzieri del Principe Ereditario Ferdinando n. 4”10 milita fino a febbraio 1828. È consapevole di poter contare sulla protezione degli arciduchi d’Austria-Este fratelli di Francesco IV: riceve infatti una “grazia” (non altrimenti definita) da Ferdinando comandante in Ungheria della Cavalleria Ussari, mentre Massimiliano riferisce alla famiglia gli elogi per il suo “buon portamento militare”.11 Non solo, ma nell’estate del 1828 Giuseppe, che risiede a Vienna in qualità di addetto all’“Aulica Cancelleria”, dopo l’incontro con il fratello a Pösing fa sapere: “S. A. R il nostro Sovrano gli ha detto che si assicuri che non lo perderà di vista e vedrà di poterlo farlo avanzare di qualche buon grado”.12 Nel frattempo Luigi, che è stato trasferito nella cosiddetta “Divisione del Colonnello” va scoprendo località che gli svelano il volto autentico della terra magiara, tra cui oltre Pösing, Rosing-Zeil e Sankt Georgen. L’attesa promozione si fa attendere, tuttavia già nei primi mesi del 1829 egli gode di una posizione privilegiata in quanto a Sankt Georgen è addetto alla Segreteria Militare, dove la sue “mansioni sono di scrivere un’oretta al giorno e di stare sbadigliando due ore la mattina, due ore dopo pranzo dallo Ajutante”.13 Finalmente, come scrive al padre, ha ottenuto la promozione a tenente di fanteria presso il reggimento Haugwitz n. 38 di stanza a Graz,14 però a breve giro ne riceve un’altra che gratifica pienamente le sue attese. Come comunica da Vienna al fratello: “Già ero in procinto di partire per Gratz allorchè arrivò l’ordine di essere fino dal 14 aprile Tenente nel I. R. Reggimento Bayern 8 Oggi: Pezinok/Bazin/Bösing (Slovacchia). Oggi: Bratislava/Pozsony/Pressburg (Slovacchia). 10 Niederösterreichisches Kürassier-Regiment “Erzherzog Ferdinand” Nr. 4, di stanza a Sväty Jur/Szentgyörgy/Sankt Georgen (Slovacchia), vicino a Pezinok. Vedi: Militär-schematismus des österreichischen Kaiserthums, Wien, 1828, p. 274. 11 ASMo, Ar. Forni, C 68; 3 novembre 1827, Lettere di Luigi al padre in C 3, 27 novembre 1827 e 8 gennaio 1828. 12 ASMo, Ar. Forni, C 3, Lettere di Giuseppe Forni al padre, 19 agosto e 25 ottobre 1828. 13 ASMo, Ar. Forni, C 4, Lettera di Luigi a Giuseppe, 23 febbraio 1829 nella quale afferma che dispone di un’ottima abitazione, con una bellissima camera arredata con specchi e mobili moderni dorati e dalla quale si gode di un’ampia vista sulla pianura e sui monti, nonché di una camera per il suo “servitore”. 14 Lombardisches Infanterie-Regiment “Graf Eugen Haugwitz” Nr. 38. 9 532 Lidia Righi Guerzoni Dragoner”.15 E gli comunica il nuovo recapito: “Tenente nel I. R. Reggimento di Chönig von Bayern Dragoni n. 2 a Grosskaniza”.16 Tra l’estate e l’autunno ha modo di conoscere nuove località in cui soggiorna con il proprio plotone; tra queste Draškovec17 di cui traccia un disegnino a penna e Canissa. Inoltre, in quei giorni invia nelle lettere al padre e al fratello anche il disegno di una uniforme di ufficiale dei Dragoni del 2° Reggimento, la stessa che lui stesso indossa.18 Scrive inoltre: “Il mio tempo lo impiego coll’esercizio o colle scuole o colla mia gente, oppure leggendo e scrivendo sull’Ungheria”. E poco dopo: “Le mie occupazioni sono ora leggere e scrivere. Scrivo i miei souvenir de l’Angrie ove metto ciò che mi salta in testa. Per esempio ora descrivo un viaggetto che ho fatto al lago Platten,19 il primo dell’Ungheria, non che un quadro di naturale bellezza ed un alto silenzio regna nelle acque di esso”.20 In realtà, il conte Forni doveva aver iniziato già da tempo a leggere e a fare appunti sui vari aspetti della terra ungherese, in quanto difficilmente avrebbe potuto condensare in soli tre mesi, dall’ottobre al dicembre del 1829, la mole di lavoro presente nel suo libro. Tanto più ne convince l’annotazione che recita: “L’argomento di queste lettere scritte nel 1829 è tratto in gran parte dai Quadri dell’Ungheria di Giovanni Csaplovics stampati in tedesco a Pest nel 1829 in due volumi,21 dalla statistica dello Schwartner,22 dalla Storia dell’Ungheria di Sacy,23 da quella di casa d’Austria del Coxe,24 dalla statistica del barone Lichtenstern25 15 Ober- und Niederösterreichisches Dragoner-Regiment “König Ludwig von Baiern” Nr. 2, di stanza a Nagykanizsa/Großkanizsa/Canissa (Ungheria). Vedi: Militär-schematismus des österreichischen Kaiserthums, Wien, 1830, p. 283. 16 ASMo, Ar. Forni, C 3, Modena 5 giugno 1829 e C 4, Vienna 3 luglio 1829. Oltre i famigliari, Forni informa della promozione il duca Francesco IV, che gli trasmette il suo compiacimento. 17 Oggi: Draškovec/Ligetvár (Croazia). 18 ASMo, Ar. Forni, C 4, 21 luglio, 27 agosto, 22 settembre 1829. 19 Balaton/Plattensee (Ungheria). 20 Ibid., C 4, 2 e 25 ottobre 1829. 21 J. Csaplovics, Gemälde von Ungern, Pest, Hartleben, 1829. 22 M. Schwartner, Statistik des Königreichs Ungern, Ofen, 1809–1811. 23 C. L. M. de Sacy, Histoire génerale de Hongrie, depuis la première invasion de Huns, jusq’à nos jours, Paris, Demonville, 1778. 24 W. Coxe, Histoire de la maison d’Autriche, depuis Rodolphe de Hapsbourg, jusqu’a a la mort de Léopold II. (1218–1792), Paris, Nicolle, 1809. 25 J. M. von Lichtenstern, Statistisch-geografische Beschreibung des Erzherzogthums Oestreich unter der Ens, Wien-Leipzig, Kleinmaier, 1791. L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 533 e da parecchi altri libri”.26 Peraltro all’inizio del 1830 viene trasferito con il suo plotone a Perlak in Croazia,27 grosso borgo, secondo le sue parole, nella “cosiddetta isola tra i fiumi Muhr e Drava”.28 A fine gennaio riceve la luttuosa notizia della morte del padre e fa ritorno a Modena.29 Riparte a metà maggio, sosta a Vienna dove incontra gli arciduchi Ferdinando e Massimiliano, poi raggiunge il suo reggimento.30 Trascorre l’estate con le truppe in un piccolo borgo assolato vicino al lago Balaton, fino al ritorno a Canissa in autunno. Nel frattempo gli sono giunte notizie sulla rivoluzione a Parigi che lo impensieriscono molto, chiede invano il permesso di rientrare in Italia, medita anzi di dimettersi dall’esercito austriaco. Confida a Giuseppe, all’epoca ancora in Spagna ma desideroso anche lui di ritornare a Modena, che l’Austria ha mandato in Italia alcuni reggimenti, non sa se toccherà anche al suo; di recente, aggiunge, è stato mandato a perlustrare i confini militari dove sono allestite le truppe per l’occupazione della Bosnia.31 Ottiene infine da parte di Francesco IV l’autorizzazione a lasciare l’esercito austriaco: da Perlak, via Gorizia, raggiunge Modena il 30 novembre 1830 e si mette a disposizione del sovrano. Ha di qui inizio la sua carriera a fianco dei duchi austro-estensi: riceve la nomina di ciambellano e di maggiore del 2° Battaglione delle milizie volontarie estensi (1831), in seguito di tenente delle milizie attive e di aiutante di campo. Mantiene quest’ultimo ruolo anche con il duca Francesco V, che lo promuoverà generale maggiore (1856) con incarico all’Alta direzione della Real Casa e maggiordomo maggiore. Verrà inoltre decorato da varie prestigiose onorificenze.32 26 L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 65. Oggi: Perlog/Perlak (Croazia). 28 L’“isola” è praticamente la regione del Međimurje/Muraköz tra i fiumi Mura e Drava (Croazia). 29 ASMo, Ar. Forni, C 69, 12 febbraio 1830, Lettera al fratello maggiore Lodovico, subentrato al padre nell’amministrazione del patrimonio avito nonostante un grave problema alla vista. 30 In omaggio ai commilitoni Luigi si fa inviare da Modena una cassetta contenente bottiglie di aceto balsamico, certo di offrire una prelibatezza. Più che dai commilitoni, il dono riscuote molto successo da parte del colonnello del reggimento, che lo invita a pranzo (ASMo, Ar. Forni, Lettera di Luigi al fratello maggiore Lodovico, C 68, 26 giugno 1830). 31 Ibid., 4 settembre 1830. Giuseppe scrive da Madrid il 16 dicembre 1830 allo zio Giuseppe Molza ministro degli Affari Esteri del Ducato: “La risoluzione presa da Luigino di abbandonare il servizio Austriaco non mi è giunta nuova, anzi me ne aveva fatto cenno nelle sue lettere e spero che Francesco IV acconsenta a tale decisione” (F. Ceretti, Sul Conte Giuseppe cit., p. 206, n. 256). 32 Se ne vedano i testi biografici in nota 4. 27 534 Lidia Righi Guerzoni L’intenzione di pubblicare a breve al suo rientro a Modena, per i tipi Soliani, i manoscritti redatti in Ungheria dovette essere rinviata probabilmente a causa dell’insurrezione menottiana (1831) e della crisi politica del Ducato. Soltanto nell’estate dell’anno successivo Luigi Forni scrive al fratello Giuseppe che il libro Alcune notizie sull’Ungheria è terminato e gliene invia tre copie da dare anche agli amici.33 Riceve parecchi apprezzamenti, complici la duttilità e la freschezza espositiva cui si coniuga uno stile editoriale originale: la mancanza nel titolo di copertina del suo nome, rinvenibile soltanto alla fine del testo con le parole “Tutto vostro, C. Luigi Forni” e la suddivisione in dieci “Lettere” anziché in capitoli. Non solo, ma il contenuto si dilata ben oltre alcune notizie, restituendo un vasto affresco del profilo storico e geo-antropologico del regno ungherese, con indagini nel vissuto tra cultura e superstizione, tra abbigliamento e divertimenti, per poi concludere su temi di amministrazione economica, politica, finanziaria ed ecclesiastica, compresa una “Tabella” finale con i nomi di capoluoghi e dei comitati del regno, i confini militari e i singoli reggimenti. Le “Lettere” sono indirizzate a un ignoto interlocutore, tuttavia facilmente ravvisabile con il fratello Giuseppe dato il tono confidenziale, talora scherzoso, e gli inviti a visitare queste terre dove le ragazze hanno un’“amabile semplicità che soavemente innamora”. Vi menziona pure le esperienze condivise nella fanciullezza, quando ambedue ammiravano le figure dei cavalieri ungheresi con il corto giubbetto stretto alla persona, la larga e curva sciabola e i lunghi mustacchi che ne ornavano con fierezza il viso rosso e acceso. E confida la sua immaginazione infantile che l’Ungheria fosse “un luogo tutto pieno di soldati ove i nobili superbi e disdegnosi abitavano forti castella […], un paese ove le uniche occupazioni degli abitanti erano il brandir l’armi e l’adoperare cavalli”.34 Afferma pertanto: Vidi l’Ungheria: oh quanto era stato ingannato! Un popolo atto all’armi bensì, ma non rozzo e incolto: Nobili di un’alterezza dignitosa e quindi amichevoli e cordiali, che abitano ameni castelli, la maggior parte fabbricati in luoghi ubertosi e ridenti: un paesano che poco ha di che invidiare a’ suoi fratelli nell’Italia e nella Francia: un clima, il quale se non può paragonarsi con quello del bel paese, pure generalmente è salubre: una regione insomma che se non levasi tra le prime per civiltà e per scienze, nientemeno pregia e conosce abbastanza i costumi delle nazioni pù colte.35 33 ASMo, Ar. Forni, C 5, 30 luglio e 31 agosto 1832. L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1832, p.77. 35 Ibid., p. 2. 34 L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 535 Sottolinea in particolare la cordialità e l’ospitalità nei confronti del forestiero sia nei castelli dei nobili che nelle abitazioni cittadine, tuttavia ha constatato con sorpresa che non esiste un popolo solo di nome “ungherese”, bensì la presenza di varie nazionalità: “Sui confini del Regno verso l’Austria trovai una nazione detta Slovena, più oltre verso la Polonia trovai dei Tedeschi, nel mezzo del paese del Magiari, colà dei Croati, qua dei Valacchi: ognuno parlava la propria lingua, ognuno aveva le proprie abitudini”.36 E cerca di individuarne le cause mediante le complesse vicende storiche e alle invasioni cui fu soggetta questa terra. Analizza poi nella “Lettera 2” la situazione contemporanea dell’Ungheria focalizzandone la suddivisione topografica in città, borghi e villaggi. Sulla scia delle fonti consultate, ricorre idealmente a quattro grandi circoli, due dei quali al di qua e al di là del Danubio e del Tibisco e colloca al loro interno 46 “contee” o “comitati”, 52 comprese la Slavonia e la Croazia, nonché 49 “regie città libere”. Come spiega successivamente, queste si andarono formando quando i re d’Ungheria chiamarono coloni in gran parte tedeschi chiamati Hospites, Cives, Homines liberi cui concessero prerogative e privilegi affinché lavorassero nelle miniere o coltivassero quei terreni. Ognuna di queste 49 città cinte da mura è considerata come un singolo gentiluomo, partecipa alle Diete e i suoi abitanti non possono essere arrestati per debiti; sono esenti dai dazi ma pagano le tasse e le decime e hanno l’obbligo di insorgere in caso di attacco.37 Luigi Forni si sofferma soprattutto sui borghi e villaggi che dice formati dalle case dei paesani qui raggruppate, con la chiesa, la locanda e botteghe, tuttavia alcuni di quelli che chiama villaggi contano anche tra gli otto e i diecimila abitanti e Csaba38 più di ventimila. Tra le povere casupole, piccole e basse con tetto acuminato coperto di paglia annerita dal tempo “…all’improvviso compare un ampio terreno di fronte al quale s’innalza maestosamente un palazzo, il castello della Signoria…”39 di cui Forni esalta l’ordine, la simmetria, la bellezza delle varie torrette sovrastate da cupole rivestite di rame, l’arma gentilizia sulla porta d’ingresso, nonché l’armonia degli edifici laterali.40 Ne descrive inoltre l’ampio cortile, le comode scale, gli ambienti arredati con gusto tra cui il salone, le stanze da gioco, la sala d’armi, quella con i ritratti dei nobili antenati e talvolta pure la biblioteca. Attiguo al castello si trova il giardino con le serre, il 36 Ibid., pp. 3–4. Ibid., p. 75. 38 Probabilmente oggi: Békéscsaba (Ungheria). 39 L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 166. 40 Ibid., pp. 13–14. 37 536 Lidia Righi Guerzoni boschetto, le collinette, il laghetto, la piccola moschea, un patrimonio vegetale che dalla descrizione appare simile ai coevi giardini del Ducato austro-estense, ovviamente tranne la presenza della moschea. Ma, aggiunge, vi sono anche villaggi con povere abitazioni ad un unico piano fatte di pietre, sassi, legno e di terra mista a paglia. Quanto alle città, osserva che quelle abitate dai magiari hanno contrade spaziose e belle case, mentre quelle dei tedeschi e degli sloveni sono meno “comode”. Cita in particolare la capitale Buda, “città di generosa ricordanza nella storia ungherese”, “seria e maestosa”, sede del palatino, dei principali ministeri e dell’imponente castello. Definisce la “poco distante rivale Pest” città commerciale e in gran fiore e Presburgo sede delle Diete e dell’incoronazione dei re.41 In realtà, Forni non ha ancora visitato di persona né Buda né Pest;42 lo farà, come vedremo, soltanto nel 1845 nel corso di una “gita” di tre-quattro giorni. Traccia inoltre ulteriori osservazioni sulla viabilità citando il detto “Cui si vuol male mandisi a girar l’Ungheria”. Vi riscontra infatti “strade disuguali, rotte da crepacci o traversate da fossati”,43 nonché la loro assenza nelle puszte. Tuttavia trova eccellenti quelle tra le principali città, ossia la “Carolina” e la “Giuseppina” rispettivamente costruite dagli imperatori d’Austria Carlo VI e Giuseppe II, cui si è aggiunta di recente (1812) la “Luigina” in onore dell’imperatrice Maria Luigia sorella di Francesco IV.44 Nella capillare analisi ambientale il conte Forni riserva un ulteriore capitolo sulla produzione agricola e mineraria.45 Elenca la coltivazione di grano e biada un po’ ovunque così come di cavoli, patate e cetrioli, di orzo e segala prevalentemente a nord, di miglio e grano turco nonché di meloni, cocomeri e zucche a sud, di tabacco, canapa e lino, mentre gli alberi da frutto sono coltivati soltanto nei giardini. Nomina tra le eccellenze il vino Tokaj e l’“amabile” di S. Giorgio, i cavalli delle “larghe puszte”, le pecore dalla folta lana e un “fabbrica del cotone” di proprietà dei negozianti Puthon di Vienna. Tra i prodotti minerari cita torba e carbon fossile, cave di marmo “opale”, di rame e ferro, nonché d’oro a Kremnitz46 e nei pressi di Pösing. A tale ricchezza però non corrisponde che un 41 Ibid., pp. 16–17. Le due maggiori città che unite insieme ad Óbuda nel 1873 costituiscono oggi Budapest, la capitale dell’Ungheria. Buda è situata alla riva occidentale del Danubio, Pest a quella orientale. 43 Ibid., p. 17. 44 Ibid., Lettera 5. 45 Ibid., Lettera 3, pp. 19–27. 46 Oggi: Kremnica/Körmöcbánya/Kremnitz (Slovacchia). 42 L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 537 modesto sviluppo industriale, onde la carenza anche di un prospero commercio estero. Più fiorenti invece sono i lavori fabbrili tra cui la porcellana governati dagli “Statuti dell’Unione degli Artigiani”. Più accattivante rispetto al tema precedente si presenta la successiva indagine sul livello culturale della popolazione peraltro più consona agli interessi di Forni. Avverte già nelle prime righe che un paese occupato da continue guerre non poté avere molto tempo da dedicare alla cultura. Tuttavia negli ultimi anni vi predomina lo studio della lingua magiara o ungherese, “la quale bella per sé, forte e virile, solo abbisogna di abili artefici che la sappiano all’uopo adoperare”,47 ma è abbastanza diffuso pure lo studio del latino, parlato correttamente dagli impiegati civili.48 Quanto agli artisti, nomina in primo luogo il famoso scultore Ferenczy49 allievo di Canova, gli incisori “Karatz”,50 “Csetter”,51 Falka,52 il presburghese Oeser direttore dell’Accademia delle Arti a Berlino53 e i compositori di musica Lavotta,54 “Czermak”,55 Spech.56 Traccia poi un dettagliato quadro sui livelli di istruzione delle giovani generazioni: per i cattolici esistono le scuole nazionali dove s’impara a leggere, scrivere e far di conto, le grammaticali della durata di quattro anni, le normali di sei anni, i ginnasi per lo studio di umanità e retorica, nonché cinque accademie con un corso biennale di filosofia. Inoltre sia i protestanti che i “riformati” hanno le loro scuole nazionali, vari ginnasi e grandi “collegi” a “Debreczin”,57 ”Saros-Patak”,58 “Papa”,59 mentre i greci scismatici hanno scuole miste, frequentate cioè da cattolici, protestanti, riformati e gli ebrei hanno le loro sinagoghe. L’unica università è a Pest, conta 49 professori e vi sono annessi l’osservatorio astronomico, una biblioteca con 47 L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, p. 172. Ibid., Lettera 4, p. 28. Nella corrispondente nota Forni afferma che vengono pubblicati in lingua ungherese quattro giornali letterari e due gazzette. 49 István Ferenczy (1792–1856). 50 Ferenc Karacs (1770–1838). 51 Sámuel Czetter (1765–dopo del 1829). 52 Sámuel Falka (1766–1826). 53 Adam Friedrich Oeser (1717–1799). 54 János Lavotta (1764–1820). 55 Antal Csermák (circa 1774–1822). 56 János Spech (1767–1836). 57 Debrecen (Ungheria). 58 Sárospatak (Ungheria). 59 Pápa (Ungheria). 48 538 Lidia Righi Guerzoni circa sessantamila volumi, un gabinetto di fisica, uno di storia naturale, la scuola di veterinaria, il giardino botanico, il seminario e una “stamperia”. Alquanto interessante, a proposito del tema che Forni definisce “carattere morale della popolazione”, è la distinzione tra le diverse nazionalità dell’Ungheria, ciascuna con le proprie abitudini e “inclinazioni”. Osserva: “Il Tedesco conserva il suo carattere quieto ed il suo spirito ingegnoso; il Magiaro è vivace; le popolazioni slave sono più pacifiche, il Zingaro è irrequieto, l’Ebreo è dappertutto l’Ebreo”.60 Quanto alle fogge d’abbigliamento, Forni si sofferma anzitutto a descrivere quella tradizionale detta “all’ungherese” atta a risaltare la conformazione fisica, composta da un giubbetto (dolman) di panno nero orlato di cordoncini e bottoni di seta, calzoni pure di panno nero, stivaletti con speroni d’argento, copricapo e mantello di finissima pelliccia (kalpag) e una catenella d’argento sul petto. La dama ungherese indossa una cuffia di pizzo da cui scende un velo nero ricamato d’oro, la veste pure di pizzo con ampie maniche e con un grembiulino, una cintura di pietre preziose e un collier di perle. Tuttavia, aggiunge, gli abiti dei nobili ungheresi sono attualmente modellati sui figurini di Parigi e di Vienna, mentre i tedeschi restano fedeli alla loro moda nazionale. Il successivo tema “Superstizioni, divertimenti, nozze, funerali” attinto come specifica Forni dalla fonte narrativa del barone di “Mednyanszki”,61 introduce nel vivo della quotidianità. Avverte che, nonostante “i notevoli progressi nella civilizzazione” permangono ben salde le credenze superstiziose non solo tra il “basso popolo”, ma anche nella classe medio-alta.62 Affrontando l’argomento streghe, afferma che ne esistevano in ogni villaggio, dove “il peso del corpo veniva considerato segno di stregoneria”: le vecchie imputate si immergevano insieme nell’acqua, quella che non affondava subito era la strega e veniva brutalmente bastonata. L’esistenza dei vampiri, cioè dei morti che escono dalle tombe e succhiano il sangue dei bambini e del gregge, è ancora tradizione tra i ruteni e i valacchi. Per renderli inoffensivi essi effettuano una serie di atrocità puntualmente riferite, ma sulle quali pare ora opportuno sorvolare. Elenca di seguito ulteriori superstizioni quotidiane come i giorni e le ore sconsigliate per 60 L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, Lettera 4, p. 32. Aggiunge: “Succede una lite, il Tedesco alza la voce e minaccia, il Croato manda imprecazioni e bestemmie, gli Slavi menano pugni e schiaffi, i Magiari si bastonano a morte, gli Zingari si graffiano la faccia, il Valacco ammazza, l’Ebreo grida e scappa” (ibid., p. 34). 61 A. Mednyánszky, Erzählungen. Sagen und Legenden aus Ungarns Vorzeit, Pest, Hartleben, 1829. 62 L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, Lettera 6, p. 41. L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 539 un viaggio e alcuni presagi di disgrazia intuibili dai versi degli animali o dai momenti in cui scoppia il raffreddore, per giungere alle nascite in fase di Luna crescente o calante. Tra i divertimenti elenca le feste popolari in occasione della vendemmia e delle cacce, quelle degli studenti in maggio dette majales e il ballo nelle osterie nei pomeriggi festivi. Con le nozze tra il “basso popolo”, le feste durano due o tre giorni nei quali si mangia, si beve, si salta, si gira su e giù per il villaggio preceduti dal suono di un violino e di una piva. Se gli sposi appartengono a villaggi diversi, i parenti arrivano su carri ornati di più colori, tra lo sparo di fucili e mortaretti. Quanto ai funerali, vi sono usanze diverse, ma solo la “gente bassa” si lamenta e grida ad alta voce. Su tutt’altro clima vertono invece i temi delle ultime quattro “Lettere”63 meritevoli peraltro di approfondimento, tuttavia in questo contesto per economia espositiva ci si limita soltanto ad una brevissima presentazione. Riguardo la costituzione, Forni si sofferma a illustrare le pertinenze negli “Stati del Regno” di clero, baroni, conti, gentiluomini, regie città libere, plebe. Il re, che appartiene alla casa d’Austria, viene incoronato a Presburgo con la corona di Santo Stefano nel corso di una solenne cerimonia e giura fedeltà alla costituzione. La dieta, convocata in genere ogni tre anni, è composta da circa 800 uomini riuniti in due camere: la “tavola dei magnati” formata da vescovi, conti, baroni e la “tavola degli stati” formata prima di tutto dai rappresentanti delle contee e delle regie città libere. Alla rassegna storica che dal re Santo Stefano giunge all’attualità, seguono vari settori amministrativi tra cui quello politico, finanziario, ecclesiastico e quello giudiziario con la descrizione delle varie pene fino alla gogna praticata in ogni villaggio. Come si è detto, soltanto nel 1845 il conte Forni visita di persona Buda e Pest: “Sono stato cinque anni in Ungheria e non ho visto la capitale!” scrive a Giuseppe.64 In luglio è a Vienna al seguito di Francesco IV che gli concede di assentarsi alcuni giorni per raggiungere la meta che gli sta a cuore. Nel corso di questa “gita” come la chiama Forni stesso, non manca di scrivere come al solito appunti e impressioni sulle due realtà urbane separate dal Danubio e alquanto 63 Ibid., Lettera 7: “Costituzione ungherese. Il Re, gli Stati del Regno. Il paesano”; Lettera 8: “La Dieta. Incoronazione del Re e della Regina”; Lettera 9: “Amministrazione politica, giudiziale, criminale ed ecclesiastica. Sicurezza interna del paese”; Lettera 10: “Finanza. Forza”. Seguono “Comitati, loro Capoluoghi, Popolazione città ecc.”; “Reggimenti che somministra l’Ungheria”; “Serie cronologica di Re d’Ungheria”. 64 ASMo, Ar. Forni, C 69, Vienna 18 luglio 1845. 540 Lidia Righi Guerzoni diverse tra loro.65 Al contempo invia lettere alla moglie marchesa Misina Cambiaso nelle quali illustra quanto ha visto e ammirato:66 arriva a Pest la sera del 23 luglio dopo un felice viaggio in vapore sul Danubio, durante il quale ha potuto ammirare da lontano l’antica fortezza di Comorn67 mai espugnata dai turchi, per cui si vede in essa la statua di una giovane con alloro in mano. Aggiunge che a Gran68 s’innalza sul Danubio e fa da lontano una bellissima mostra di sé la cattedrale ornata di statue, già sede dell’arcivescovo primate d’Ungheria Carlo Ambrogio d’Austria Este fratello di Francesco IV. A Pest osserva in primo luogo che per raggiungere Buda si deve attraversare un ponte di barche sul Danubio, ma che è in atto la costruzione di un ponte a catena sospeso di cui hanno già eretto tre pilastri, un’operazione gigantesca che comporta la spesa complessiva di quattro milioni di fiorini. Visita il “Museo delle antichità romane e ungheresi” e tra i reperti di età romana elenca vasi fittili, “alcuni detti di Arezzo” cioè i vasellami raffinati cosiddetti “sigillate aretine” dalla vernice rossa e con motivi ornamentali in leggero rilievo, nonché mattoni con il bollo dei fornaciai. Pare però più interessato alle rarità ungheresi, tipo una sella d’avorio ricca di ornati appartenuta forse al re Lodovico e un’altra sella turca con gualdrappa tessuta in oro, regalata da un pascià in seguito alla liberazione dalla prigionia della figlia. Negli appunti aggiunge che sono qui conservate pure “armi antiche e celebri per qualche ricordanza”, collezioni di storia naturale e di minerali, fossili, vetri, porcellane. A Pest è inoltre iniziata la costruzione, sebbene soltanto nella parte iniziale, della ferrovia per Gran e per Debrecen. Il pomeriggio stesso percorre l’itinerario verso l’altura suggestiva su cui sorge Buda. Vi osserva che la sua chiesa più antica dedicata all’“Assunzione” durante la dominazione turca venne trasformata in moschea e che vi sopravvive ancora un “bagno alla turca”. Altra meta è il “Museo Nazionale” la cui architettura ancora da completare “… è bella e vasta, con un atrio, una bella sala rotonda”, però custodisce al momento soltanto la raccolta di quadri donati dall’arcivescovo “Pilker”,69 parte dei quali acquistati in Italia. Altro appuntamento imperdibile è il “castello reale”, di cui però si limita a dire che negli appartamenti si susseguono ritratti di antenati e una stanza decorata “alla chinese”. Cita 65 Ibid., A 19, “Gita a Vienna e Pest. Luglio e Agosto 1845”. Ibid., C 69, Pest, 25–28 luglio 1845. 67 Oggi: Komárom (Ungheria) e Komárno/Révkomárom (Slovacchia). 68 Oggi: Esztergom/Strigonio (Ungheria). 69 János László Pyrker (1772–1847, arcivescovo di Eger 1826–1847). 66 L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 541 inoltre l’attigua chiesa con la cappella di S. Andrea e l’osservatorio astronomico dal quale si gode un’ampia vista panoramica sui dintorni. Il giorno successivo è di nuovo dedicato all’esplorazione delle attività industriali di Pest, ma anche della biblioteca dei frati francescani ricca di oltre sessantamila volumi. Forni visita in particolare un mulino a vapore e una fabbrica di “ferro fuso” ambedue di proprietà di azionisti. È poi la volta dell’“Istituto dei ciechi” che raccoglie una trentina di ragazzi e ragazze e dove, come spiega alla moglie: “Vidi i loro lavori, che per lo più lavorano di Falegnameria, studiano la musica […] e leggono con lettere rilevate”.70 La sera stessa si reca nel “Teatro ungherese” di recente costruzione che dice bello, grandioso ma dall’interno assai semplice. Vi si rappresentava l’opera Lucrezia Borgia di Donizetti, dove la celebre primadonna Alboni71 “cantava assai bene le sue arie in italiano” e riceveva calorosi applausi.72 Quanto all’ultimo giorno di permanenza prima del ritorno a Vienna, il racconto di Luigi Forni è alquanto sobrio, poiché si limita a descrivere brevemente le passeggiate nel parco “Horwath” di Buda,73 frequentato nei giorni festivi da molti cittadini a piedi e in carrozza. Il lungo filo rosso che lo legava all’Ungheria si dipana ancora una volta nel 1848 in seguito alle insurrezioni che travolgevano mezza Europa, in particolare, nel nostro caso, l’Impero Asburgico. Le rivendicazioni tra l’altro del popolo magiaro di maggiore autonomia e di ampliamento dei diritti di voto lo stimolano a riproporne il profilo storico-culturale sulla scia del suo libro di una ventina d’anni prima. Redige pertanto un lungo articolo che intitola Delle popolazioni che abitano l’Ungheria e la Transilvania e per assicurarne la divulgazione ricorre al veicolo mediatico del periodico ducale “Il Messaggere. Foglio di Modena” diretto all’epoca da Filippo Palmieri, che gli riserva il settore della “Appendice”. Forni vi si impegna a fondo, come attestano i numerosi manoscritti, alcuni dei quali in più copie, conservati nell’archivio di famiglia.74 La prima parte dell’articolo viene pubblicata il 27 novembre 1848 e continua nei numeri successivi del 70 Ibid., C 69, Pest, 27 luglio 1845. Forni vi acquista alcuni piccoli manufatti tra cui una caffettiera e un bicchierino di legno. 71 Maria Anna Marzia (detta Marietta) Alboni (1826–1894). 72 Com’è noto, Marietta Alboni era all’epoca una delle più famose cantanti liriche, richiesta e omaggiata in tutti i teatri europei. In quei giorni era reduce dalla stagione 1844–1845 di San Pietroburgo. 73 Horváth-kert, parco sotto il castello di Buda. 74 ASMo, Ar. Forni, A 16. Vi sono comprese pure più copie a stampa, in fogli slegati, di questo suo lavoro destinate probabilmente a comporre un libro, rimasto incompleto al pari degli articoli sul “Messaggere”. 542 Lidia Righi Guerzoni 4 e dell’11 dicembre, ma nonostante la scritta “continua” s’interrompe senza alcuna spiegazione e senza recare il nome dell’autore che, secondo la prassi, avrebbe dovuto comparire alla conclusione. Non è dato saperne la ragione, si può forse ipotizzare un intervento da parte di Francesco V, visto che la rivolta magiara capeggiata da Lajos Kossuth75 e venata di acceso nazionalismo si sta trasformando in aperto conflitto contro l’Austria, conflitto concluso, com’è noto, con la vittoria dell’Impero Asburgico. Il che non sembra sminuire in Luigi Forni l’apprezzamento nei confronti del popolo ungherese. Lo accerta un suo manoscritto datato 2 ottobre 1849, nel quale riflette sulla situazione: “In questi momenti il giovane Imperatore76 trovasi al possesso di tutti gli Stati formanti la monarchia austriaca. Sarà un possesso pacifico? Gli elementi del dissertare esistono, ma sento da tutti che nella Ungheria vi è molto meno male di quello si crede. Non mi farebbe caso se in una occasione l’Ungheria fosse quella che sostenesse la monarchia austriaca. Gli ungheresi sono popolo cavalleresco e leale e la loro storia dimostra che possono passare da un’idea ad un’altra seguendo essi gli impulsi dati da chi sia capace di guadagnare il loro animo”.77 75 Lajos Kossuth (1802–1894). Francesco Giuseppe I d’Austria (1830–1916, imperatore d’Austria e re d’Ungheria 1848–1916). 77 Ibid., “Norme generali per manovre campali”, Ebenzweier, 2 ottobre 1849. 76 Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Intrigo internazionale a Modena. La causa di Crouy-Chanel contro Francesco V tra alta politica, nazionalismo e massoneria Alberto Attolini Archivio di Stato di Modena alberto.attolini@beniculturali.it Abstract In the aftermath of the fall of the ducal government of Modena, Baron Albert Nyáry was among the first to study the documents of the Este archives, which had recently been opened to the public. This research activity achieved as a result the printing of two pamphlets of a historical-genealogical nature, which became the starting point for a particular court case: Auguste Crouy-Chanel sues Francis V to claim the title of Duke of Modena. What, at first glance, might appear to be little more than a bizarre controversy with no legal basis, is put back into its original context of Hungarian political emigration circles and Masonic lodges, ending up revealing an underlying plot of international politics conceived in France and aimed at striking at the Empire of Austria and the House of Habsburg. Il titolo di questo contributo è ripreso da un film di Alfred Hitchcock.1 Ciò in quanto si ritiene che una causa giudiziaria temeraria, legalmente e storicamente priva di fondamento, sia stata il paravento dietro il quale si nascondevano ben altri piani e interessi. Le ricerche di Albert Nyáry Come è noto, nel 1859, in seguito alla sconfitta dell’Austria, cessò di esistere il Ducato di Modena, provvisoriamente rimpiazzato dalla dittatura di Luigi 1 Titolo originale North by Nothwest, USA, 1959. 544 Alberto Attolini Carlo Farini, traghettatore verso il regno unitario. Fu proprio il Farini a volere l’apertura al pubblico degli archivi estensi. Tra i primi studiosi che vi si recarono vi fu il barone Albert Nyáry de Nyáregyháza, già autore di due opuscoli sui diritti degli Arpad,2 che iniziò a occuparsi della genealogia e dei diritti feudali dei d’Este. Frutto delle ricerche del magiaro fu un opuscolo, Postumus István és az estei örökség, edito in lingua ungherese a Modena, dal libraio e tipografo Cappelli.3 Non si trattò di una buona prova per colui che sarebbe divenuto uno dei più apprezzati genealogisti d’Europa, in quanto Nyáry forzò la storia al sostegno della propria tesi. All’epoca raccolse sia giudizi entusiasti, sia stroncature, a seconda del pensiero politico di chi ne valutava l’opera: i liberali lo vedevano come studioso rigoroso, mentre i reazionari lo consideravano una sorta di truffatore, in quanto, utilizzando le parole di Bartolomeo Veratti, convertiva “in lotta politica una questione meramente storica”. Oggi questi saggi di Nyáry sono pacificamente considerati come una mera polemica, legata al particolare momento della vita del loro autore, e privi di alcuna pretesa di scientificità.4 Più avanti ne offriremo un’ulteriore chiave di lettura. La causa di Crouy-Chanel La prima e più importante conseguenza degli studi di Albert Nyáry fu l’essere il fondamento di una causa legale che vide contrapposti due nomi molto altisonanti: il (sedicente) principe Augusto di Crouy-Chanel d’Ungheria e Francesco V d’Asburgo-Este, l’ultimo duca di Modena, spodestato manu militari in seguito alla campagna del 1859. La vertenza era veramente insolita, in quanto l’attore, Crouy-Chanel, conveniva in giudizio l’ex sovrano di Modena per rivendicarne il titolo, al quale tuttavia non corrispondeva più l’esercizio effettivo del potere. Il conte Teodoro Bayard de Volo, uno degli osservatori dell’epoca, politicamente legato a Francesco V, ma sempre acuto e limpido nei suoi giudizi, notò la bizzarria di questa azione legale, definendola “la più strana e temeraria delle cause intentate contro Francesco V”.5 Se infatti gli altri procedimenti avevano un chiaro fondamento 2 Nyáry 1862. Nyáry 1863. 4 Furlani 1984**, pp. 614 e 617 (da cui si trae anche la citazione). 5 Bayard 1881, p. 188. 3 Intrigo internazionale a Modena 545 patrimoniale, e spesso un altrettanto evidente secondo fine politico,6 questo si presentava pressoché esclusivamente come una provocazione. Bayard de Volo ipotizzò l’esistenza di legami occulti tra l’attore e Napoleone III. Ritenendo degna di interesse questa considerazione, abbiamo investigato su quanto potessero essere fondate le impressioni del diplomatico modenese. Crouy-Chanel Il punto di partenza nell’esame di questa vicenda è l’analisi della figura del pretendente e dei suoi rapporti con Albert Nyáry. A tal fine occorre un breve excursus sugli avvenimenti dei suoi ascendenti, originari del Delfinato. Membri della famiglia Crouy-Chanel, all’inizio solo Chanel, avevano già infruttuosamente tentato, nel 1770, di farsi riconoscere quali parenti dei duchi di Croÿ. La sconfitta non li fece demordere e vent’anni dopo, nel 1790, in piena temperie rivoluzionaria, fecero trascrivere in registri pubblici una serie di atti tesi a dimostrare la loro nobile origine. Essi espatriarono poco dopo, seguendo le orme di molte casate aristocratiche che cercavano asilo oltre confine. Rientrati in patria durante il Primo Impero, ottennero la tanto agognata nobilitazione, giunta tra il 1809 e il 1810 a favore di Claude François, ciambellano di Napoleone I, creato conte dell’impero con il nome di Croy-Chanel d’Ungheria, in quanto si era presentato come membro di un ramo cadetto della casata dei duchi di Croÿ. Questa quasi omonimia si concluse durante la Restaurazione, nel 1818, quando il legittimo duca di Croÿ citò in giudizio i Croy-Chanel, per costringerli ad abbandonare il suo nome. I veri Croÿ vinsero il primo grado di giudizio e il secondo, tenuto nel 1821 davanti alla Corte reale di Parigi, che ingiunse loro di non utilizzare né il cognome Croÿ, né altri assonanti. Gli ormai solo Chanel impugnarono la sentenza in Cassazione, ma questa respinse il ricorso, pur consentendo loro di premettere al cognome Chanel un furbescamente omofono Crouy. Nel frattempo, già dal 1790, avevano aperto un’altra strada per giungere alla nobiltà: la discendenza reale ungherese. Jean-Claude Chanel e François Nicolas Chanel chiesero, infatti, alla Corte dei conti di Grenoble una dichiarazione di discendenza in linea diretta da Félix de Crouy-Chanel, presunto figlio di Andrea 6 Bayard 1881, pp. 175–187. 546 Alberto Attolini III il veneziano, re d’Ungheria, pronuncia che non sembra mai essere stata emanata.7 Claudio Francesco Augusto Crouy-Chanel fu il protagonista della nostra vicenda. Aveva tre nomi e spesso ne usava uno solo (mai lo stesso), quasi per essere sfuggente. Era nato nel 1793 a Duisburg, dove la sua famiglia si trovava in esilio volontario – come si è visto – per confondersi con la nobiltà. Essendo i congiunti bonapartisti, rientrò al loro seguito in Francia già durante il Consolato. Nel 1822 prese parte alla guerra per l’indipendenza greca e successivamente fu tra i sostenitori di Luigi Napoleone. Per questa vicinanza politica, venne coinvolto nel processo del 1840 a carico del principe, celebrato dalla Corte dei pari di Parigi in seguito al secondo fallito tentativo di colpo di stato.8 Nel dibattimento emerse che Crouy-Chanel e Luigi Napoleone erano in stretto contatto già dal 1838 e che il Bonaparte l’aveva finanziato cospicuamente. “Il sig. de Crouy Chanel veniva accusato d’aver ricevuto dal principe Luigi 400,000 fr. con fine colpevole”, mentre lui obiettava di averne ricevuti solamente 140.000 allo scopo di fondare un giornale in appoggio al partito bonapartista e per “altri usi leciti”. I “maneggi di Crouy Chanel pel principe” vennero dimostrati solamente fino al novembre 1839, portando ad escludere un suo coinvolgimento nello sbarco di Boulogne. Dal suo canto, Luigi Napoleone confermò questa tesi, dichiarando che egli “non aveva avuto la più piccola influenza ne’ suoi disegni, per ciò ch’ei faceva poco capital del suo ingegno”.9 Forse era un modo per proteggere un seguace fidato ed efficiente. Dopo il 1859, Crouy-Chanel si trasferì in Italia, allora luogo di concentrazione dell’emigrazione politica ungherese, per dare alle sue pretese una base politica e diplomatica. Il morale degli esuli era, in quel frangente, basso. Essi, infatti, in un primo momento avevano ricevuto da Cavour e da Ricasoli promesse di un intervento sabaudo risolutivo della loro questione nazionale, ma in seguito si erano dovuti ricredere a fronte dell’impossibilità italiana di agire in tal senso. L’arrivo di Crouy-Chanel, che si poneva apertamente come pretendente al trono magiaro, venendo addirittura chiamato re Stefano II dai suoi sostenitori,10 ebbe l’effetto pratico di rompere il fronte degli esuli: 7 de Coston 1863, passim; Bayard 1881, pp. 194–196; Crouy-Chanel (BNF); Casato di Croÿ (Wikipédia). 8 Furlani 1984**, p. 614. 9 Sbarco 1840, p. 484, da cui si traggono le citazioni. 10 Verona 1865. Intrigo internazionale a Modena 547 Non avvertirono […] questi patrioti disillusi che la loro adesione al principe di Crouy-Chanel doveva condurre all’esaurimento di ogni valida affermazione dell’emigrazione ungherese come fattore politico, essendo evidente che le mire personali del sedicente discendente degli Arpad divergevano del tutto dall’impostazione ideologica che alla loro azione avevano impresso i capi dell’emigrazione. Così stando le cose era fatale che si dovesse giungere ad una scissione dell’emigrazione: da una parte i seguaci del pretendente, dall’altra coloro che si mantenevano fedeli a Kossuth.11 Nyáry e Crouy-Chanel Albert Nyáry, come si è detto, non svolse le sue ricerche in maniera rigorosa. Egli giunse, al contrario, a piegare alle sue tesi tanto la storia che l’interpretazione dei documenti. Ciò in quanto egli era strettamente legato a Crouy-Chanel. Il barone Albert Nyáry de Nyáregyháza, nato il 30 giugno 1828, partecipò, appena ventenne, alla rivoluzione del 1848, sia come politico, che come militare, arrivando al grado di generale e aiutante di campo di Kossuth. Espatriato in Piemonte, partecipò alla campagna del 1859 come capitano nei ranghi della Legione ungherese, per poi far parte dei Mille di Garibaldi, tra le sue guardie del corpo. Un uomo di pensiero, quindi, ma anche di azione: il prototipo dell’uomo del Romanticismo. Nel 1860 incontrò Crouy-Chanel, di cui divenne segretario.12 Il fatto che Nyáry fosse rimasto affascinato da Crouy-Chanel, fino al punto da sposarne le assurde tesi e da rischiare di compromettere per sempre la propria reputazione di studioso, sostenendole fino a negare l’evidenza, può essere spiegato facilmente confrontando i dati anagrafici e approfondendo come si presentava il preteso principe. Il trentaduenne Nyáry si trovava di fronte a un uomo di sessantasette anni, età che all’epoca era più rilevante che oggi. Anche lui aveva combattuto per la libertà di altri popoli (come si è visto, in Grecia) e cospirato in patria. Uno dei suoi collaboratori lo presentava in questi termini: “Consumò la sua vita nelle vessazioni politiche, e come vittima dell’Austriaco usurpatore, nel suo lungo esilio trasse l’unico conforto dal continuo studio, per 11 12 Furlani 1984**, p. 615. Furlani 1984*, p. 214 nota 51; Nyáry (Wikipédia); Lajos 1965, p. 127. 548 Alberto Attolini cui divenne distinto letterato e profondo filosofo”.13 Nonostante il fatto che il riferimento sia a un francese sempre vissuto in patria, e che quindi le vessazioni austriache e l’esilio sono inventati di sana pianta, questo brano è importante per farci comprendere come si presentava il Crouy-Chanel: anch’egli uomo d’azione e di pensiero, con un alone di martirio dovuto alla dura persecuzione austriaca. Il ritratto prosegue notando che “il di lui discorso è una continua istruzione”.14 Altro elemento chiave era la generosità: “ognuno sa quali e quante beneficenze va prodigando il Principe d’Arpad [cioè Crouy-Chanel, nda]; imperocché all’Albergo ove alloggia, non viene mai meno la concorrenza dei poveri”. La sua carità non era solo pubblica, ma anche segreta, dal momento che sussidiava pure diversi indigenti vergognosi.15 Sembra quindi evidente la ragione per cui Nyáry si legò a un personaggio ambiguo come Crouy-Chanel: oltre alla motivazione politica (che sarà meglio esplicitata oltre), l’aristocratico magiaro si trovava di fronte a quello che poteva (o avrebbe voluto) essere lui da anziano. Si aggiunga il fatto che Crouy-Chanel, senz’altro dotato di grande carisma e di capacità dialettiche, funse da mentore per il giovane Nyáry, iniziandolo alla massoneria. La massoneria In Italia, la massoneria, dopo la diffusione settecentesca e l’istituzionalizzazione napoleonica, “scomparve nella fase acuta del Risorgimento e solo a partire dall’ottobre 1859 emerse con una vera identità nazionale”.16 Va puntualizzato che in questo periodo la massoneria cessò di esistere solo “ufficialmente”, quando in realtà la sua presenza – o eterodirezione – si palesò nell’operato di altre società segrete (sublimi maestri perfetti, carboneria o setta di san Teobaldo) dedite più all’azione rivoluzionaria che al pensiero.17 Similmente, tra le file unitarie, si mossero sempre numerosi massoni, iniziati all’estero o negli Stati italiani in logge affiliate a obbedienze straniere. Nell’Ottocento, la massoneria appare come una sorta di salotto buono e di passaggio obbligato per cospiratori, democratici e liberali. Ciò per il suo internazionalismo, che la rendeva presente 13 Manzini 1863, p. 13. Manzini 1863, pp. 13–14. 15 Manzini 1863, p. 14. 16 Polo Friz 1998*, p. 103. 17 Soriga 1942, pp. 114 e 117. 14 Intrigo internazionale a Modena 549 in ogni Paese, per i vincoli solidaristici che essa poneva tra i fratelli (utili anche per agevolare le relazioni interpersonali), per il suo operare discreto e per le idee politiche che tale organizzazione portava avanti. In quegli anni, ebbe un ruolo centrale la loggia Dante Alighieri, costituita a Torino (allora capitale d’Italia) il 7 febbraio 1862, e posta all’obbedienza (cioè sottoposta gerarchicamente) del Grande oriente italiano, insediato nella medesima città. All’epoca “De Crouy Chanel era una persona avanti negli anni, essendo nato nel 1793. Iniziato molto giovane, nel 1818 era arrivato al 33mo grado. […] Ovviamente egli poteva essere centro di attrazione per altri emigrati connazionali”,18 cosa che avvenne puntualmente. L’Ungheria, infatti, era priva di una propria massoneria19 e la Dante Alighieri poteva divenirne l’embrione. Ciò può spiegare sia l’alto numero di membri magiari della loggia (circa un terzo),20 sia il repentino abbandono del Grande oriente italiano di Torino in favore del Grande oriente d’Italia di Palermo, che aveva come gran maestro Garibaldi, avvenuto appena un mese dopo la fondazione (8 marzo 1862).21 Dal momento che l’emigrazione politica ungherese si era divisa in due correnti, governativa e democratica, con quest’ultima maggioritaria,22 il legarsi al sodalizio siciliano sembra il tentativo di intercettare il consenso del maggior numero di esuli. Nel medesimo anno, Crouy-Chanel aveva fondato il Supremo consiglio del rito scozzese antico e accettato, di cui era divenuto sovrano gran commendatore, carica che mantenne fino al 1864.23 Sempre nel 1862, fu iniziato in massoneria, nella loggia Dante Alighieri, un protagonista delle vicende politiche e massoniche di quegli anni: Lodovico Frapolli, che, in appena un mese, giunse al massimo grado del rito scozzese, per divenire gran maestro del Grande oriente italiano nel 1867. Egli era stato a Modena nel 1859, subito dopo l’Armistizio di Villafranca, chiamato da Farini al Ministero della guerra, per assicurare la difesa militare nell’ipotesi di un rientro in armi di Francesco V. Per questo fine aveva arruolato un buon numero di militari della disciolta Legione ungherese.24 18 Polo Friz 1998*, pp. 103 e 106. Polo Friz 1998**, p. 45. 20 Polo Friz 1998*, p. 104. 21 Polo Friz 1998**, p. 36. 22 Polo Friz 1998**, p. 57. 23 Isastia 2011. 24 Lajos 1965, pp. 55–58; Polo Friz 1990, pp. 101–103, 107; Polo Friz 1998*, p. 104; Polo Friz 1998**, p. 54. 19 550 Alberto Attolini Le logge massoniche erano, come si è potuto intuire, centri di politica, di “grande politica, quella stimolata da forti tensioni ideali. Nella Dante Alighieri o da parte dei suoi affiliati si fece una politica di altissimo livello, tesa a rivendicare unicamente i principi di libertà e giustizia dei popoli”.25 In quest’ottica, nel 1866, fu concepito un tentativo di provocare una sollevazione in Ungheria per indebolire l’Austria, grazie alla creazione di un fronte ulteriore e alternativo rispetto a quello occidentale. Lo studioso che scoprì questo piano escluse e quasi irrise l’ipotesi di “cospirazione massonica”.26 Il fatto, tuttavia, che l’ideazione del progetto, al pari dei tentativi per realizzarlo, fossero portati avanti esclusivamente da importanti membri della massoneria, non ci consente di considerare del tutto casuale l’affiliazione dei protagonisti della vicenda che, se non fu “cospirazione massonica”, appare perlomeno cospirazione di massoni. Lo stesso ragionamento vale per la trama di cui ci occupiamo, architettata tra uffici di gabinetto e logge, da rivoluzionari provetti e finalizzata a realizzare uno dei disegni politici massonici. Napoleone III Napoleone III potrebbe essere stato il mandante di questa vicenda e diversi aspetti paiono confermare questa tesi, o quantomeno un suo diretto coinvolgimento. Si è ipotizzato che l’attacco per via giudiziaria a Francesco V potrebbe essere stato ideato nell’ambiente massonico. Al riguardo, si può trovare un legame tra la massoneria e Napoleone III nei trascorsi carbonari del futuro imperatore. La carboneria, che sembra nata come una sorta di mutuo soccorso fra i militari napoleonici di basso rango, finì ben presto col divenire una forma di massoneria per i ceti umili, meno speculativa e più dedita all’azione, ma con strutture simili e finalità identiche. I rapporti tra le due società segrete vedevano la massoneria prevalere: i massoni entravano nella carboneria senza iniziazione, mentre per accedere agli alti gradi carbonari occorreva un certo cursus honorum massonico. La simbologia era difforme da quella impiegata dalla massoneria solo per le differenze dei corpi sociali cui si rivolgevano: al posto di templi e logge vi erano vendite e baracche, Cristo invece che Hiram, ma gli scopi coincidevano. 25 26 Polo Friz 1998*, p. 110. Polo Friz 1990, pp. 107–108. Intrigo internazionale a Modena 551 La Massoneria è fine; la Carboneria fu uno de’ metodi per raggiungerlo. […] La Carboneria fu detta una Massoneria popolare; meglio si direbbe una Massoneria trasportata dal campo dell’idea in quello dell’azione, dall’idea astratta all’idea concreta, dall’enunciazione dottrinaria di un principio all’attuazione d’esso. Basata sulle virtù del cittadino, ebbe carattere politico ed un fine immediato, la distruzione della tirannide.27 Allo stato dei fatti, comunque, manca la prova dell’iniziazione alla massoneria di Napoleone III, ma non si può escludere l’ipotesi che essa sia avvenuta in segreto, ““all’orecchio del Gran Maestro”, una formula di estrema riservatezza utilizzata per uomini particolarmente esposti nella vita civile”.28 La congettura trova alimento anche dall’intenzione, di parte della massoneria italiana, di creare gran maestro Costantino Nigra, ambasciatore in Francia, benvoluto dall’imperatore e dai suoi familiari. Il Nigra declinò l’offerta a causa della pesante campagna di stampa mossa contro di lui dalle testate clericali, che l’accusarono di aver fatto una brillante carriera più per l’affiliazione che per le sue doti personali.29 Resta evidente che, per lo meno secondo i proponenti, la carica di capo della massoneria italiana non avrebbe creato imbarazzo né a Nigra, né – soprattutto – a Napoleone III. L’imperatore francese, inoltre, aveva interesse a colpire Francesco V sia per motivi di alta politica, che esamineremo più avanti, sia per ragioni più immediate e personali. I rapporti diplomatici tra Modena e Parigi erano inesistenti. Il Ducato estense, infatti, era il solo Stato d’Europa a non intrattenere relazioni internazionali con la Francia di Napoleone III. Questo gelo aveva un’origine più risalente. Nel 1830, Francesco IV fu l’unico sovrano europeo a non riconoscere Luigi Filippo d’Orléans, ritenendolo un usurpatore. Salito al trono nel 1846, Francesco V non mutò la linea politica del padre, malgrado il principe di Metternich si fosse 27 Dito 1905, pp. 69–70. Secondo Mola, questo è “un testo tuttora di riferimento per lo studio della carboneria e della massoneria” (Mola 2008, p. IX), pur avvertendo che “quella di cui qui parla Dito non è la Massoneria sibbene quella specifica di una (breve) stagione della storia del Paese” (Mola 2008, p. XI). Anche de Mattei ritiene attendibile l’opera di Dito (de Mattei 2001, pp. 129–134). Contra: Della Peruta 1998, p. 8; Della Peruta 2004, pp. 13–14; Isastia 2004, passim; Polo Friz 2004, pp. 60–64. 28 La definizione di iniziazione “all’orecchio del gran maestro” è tratta da Polo Friz 1998**, p. 320 (che non l’attribuisce a Napoleone III). 29 Polo Friz 1998**, pp. 23 e 26. 552 Alberto Attolini offerto quale intermediario fra lui e il sovrano francese, al fine di riallacciare i rapporti diplomatici tra i due Stati. Nello stesso anno, quasi a rincarare la dose, la sorella del duca di Modena, Maria Beatrice Gaetana, sposava Enrico di Borbone, più noto come conte di Chambord, pretendente legittimo al trono di Francia in quanto figlio del duca di Berry, il secondogenito di Carlo X. “Nel 1848 anche Luigi Filippo d’Orléans scomparve dalla scena politica d’Europa, ed è superfluo dire che se il duca di Modena non aveva voluto riconoscere per capo della nazione francese un principe di sangue regio, quale era Luigi Filippo, tanto più si mostrò intransigente verso il Bonaparte, figlio della rivoluzione [sic]”.30 Nell’ottica della visione politica di Francesco V e della sua coerenza “tutta d’un pezzo”, la chiusura nei confronti della Francia rivoluzionaria è stata significativamente valutata nel novero delle “clamorose prese di posizione, che non furono però tanto atti politici quanto piuttosto atti emblematici, quasi puri e semplici simboli”.31 L’antipatia, verrebbe da dire il fastidio, che Francesco V provava nei confronti di Napoleone III esplodeva nelle corrispondenze private del duca, specialmente in quelle con i fratelli Forni e con Teodoro Bayard de Volo, “carteggio molto spesso di profondo contenuto politico unito a sincero abbandono espressivo”.32 Queste ci rendono un’immagine dell’Austro-Estense molto diversa da quella superficialmente delineata dalla storiografia “ufficiale” post-unitaria: egli ci appare come persona acuta, lungimirante, attenta alle vicende del tempo e persino dotata di umorismo e allegria,33 tutt’altro che il povero sempliciotto malinconico raffigurato – post mortem – dagli avversari.34 In questo contesto, e da questa penna, i giudizi appaiono ancora più taglienti e gli epiteti ancora più forti. Nel 1864, in una lettera a Teodoro Bayard de Volo, Francesco V analizzava la politica francese nei confronti dello Stato pontificio: “Io ho sempre pensato che Napoleone vuol uccidere il potere temporale a fuoco lento, per mostrare che è 30 Dallari 1914, pp. 14–15, 30–32 (la citazione è tratta da p. 32). Valenti 1981, p. 15. Pur trovandola interessante, si dissente radicalmente dalla successiva valutazione di Francesco V come di una personalità schiacciata dal proprio ruolo di sovrano e dalle proprie idee reazionarie. 32 Valenti 1981, p. 11. 33 In una lettera del 1874, ad esempio, si lamenta del suo attendente conte Galen: “riservato e di poche parole, carattere del vero un poco freddo e con cui è difficile avere una conversazione brillante” (ASMo, Forni, b. C62, fasc. Lettere di Sua Altezza Reale il Duca e d’altri a Sua Eccellenza il Sig. Gen.le C.te Luigi Forni, lettera di Francesco V a Luigi Forni, Vienna 26 aprile 1874). 34 Si veda, per tutti, Fano 1941, pp. 8, 10–15. 31 Intrigo internazionale a Modena 553 impossibile tale potere”. Per raggiungere questo scopo, l’imperatore aveva agito al fine di assottigliare il territorio, e conseguentemente la popolazione e le risorse, dello Stato della Chiesa, che ora si trovava con un deficit di bilancio spropositato e incolmabile. Malgrado il favore ottenuto dal francese presso le Corti europee, il duca di Modena notava “mi pare che l’apatica quiete apparente di Napoleone covi delle profonde perfidie”.35 Spesso lo aveva definito “brigante”,36 quindi il “padrone” del “galantuomo” (Vittorio Emanuele II)37 e – addirittura – l’Anticristo, capo della massoneria. Scrisse nel 1863, in un momento di sfiducia generato dalla politica internazionale: Così sono al limbo e tale stato durante la burrasca è sì penoso da desiderare di essere piuttosto lontano e […] di non saperne nulla di questo orribile mondo servo dei frammassoni e del loro Capo Napoleone, che alcuni già nominano e non a torto l’Anticristo. La perfidia satanica di quell’uomo lo rende degno di tal titolo. Nessun altro mortale ha quel genere diabolico che ha Napoleone in ogni suo passo e parola. Ogni parola, la più apparentemente moderata, è velenosa ed ha germi di guai di discordia ecc. in sé.38 Parole pesanti, ma rivolte a un uomo dal passato settario e che continuava a interessarsi di occultismo.39 Un giudizio più politico, ma non meno duro, viene stilato in un’altra missiva: “Da Napoleone non si può avere che del male, il mostrare fiducia in lui è ormai una viltà se è affettata tale fiducia, una balordaggine se fosse verace”.40 Francesco V non era neppure tenero con l’imperatrice Eugenia: “Essa è l’unica buona, od almeno non cattiva, in quella corte, ma credo che abbia poca testa”.41 Alcune lettere confidenziali, con espressioni di questo tenore, erano 35 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 23 luglio 1864, n. 37. 36 Dallari 1914, p. 33. 37 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 23 luglio 1864, n. 37. 38 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 20 novembre (indicazione posteriore dubbia, sembra più corretto luglio) 1863, n. 197. 39 Galli 1995, p. 65. 40 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 21 novembre 1863, n. 159. 41 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 18 marzo 1865, n. 25. 554 Alberto Attolini finite nelle mani del Farini, a causa di una loro errata collocazione in archivio, ed erano state pubblicate, durante la Conferenza di Zurigo del 1859, con il fine di inasprire ulteriormente i rapporti – già tesi – tra i due sovrani.42 Tra Napoleone III e Crouy-Chanel, al contrario, vi era quasi un idillio, provato dal fatto che l’imperatore manteneva l’anziano bonapartista con un sussidio annuo.43 Il 1863: l’annus horribilis Un ulteriore elemento a conferma della tesi che vuole questa causa come una provocazione politica pianificata a tavolino, viene dalla singolare coincidenza temporale tra essa e altri eventi, letteralmente nefasti per Francesco V. Il 1863 vide, infatti, una serie di accadimenti molto negativi e pesanti per il duca, tanto da poter essere definito un annus horribilis. Il momento ideale per colpire il nemico già indebolito. La nota più dolente dell’anno fu lo scioglimento della Brigata estense, l’esercito ducale che aveva seguito il sovrano nell’esilio. Nel Trattato internazionale di alleanza stipulato nel 1847 tra Modena e Vienna, era previsto l’obbligo di mantenimento delle truppe alleate. Per questo motivo, dopo un iniziale inquadramento nell’esercito imperiale, nel corso della breve campagna del 1859, gli estensi vennero dislocati nel Veneto, mantenendo le proprie uniformi e le proprie bandiere. Nonostante la Pace di Zurigo, che prevedeva il ripristino del Ducato di Modena, venisse disattesa, facendo sfumare così l’occasione di un impiego di questi militari per il rientro del duca nel suo Stato, la Brigata estense rimase perfettamente inquadrata per oltre quattro anni. Essa era, assieme alla rappresentanza diplomatica a Vienna, l’ultimo segno tangibile della sovranità di Francesco V. La smobilitazione di questa unità fu una misura politica, chiesta a gran voce dai liberali, capeggiati dal deputato Carl Giskra, sulla base di motivazioni di bilancio assolutamente infondate. La reale natura del provvedimento emerge considerando che gli effettivi dell’esercito ducale passarono tra le file austriache oppure vennero pensionati a carico dell’erario austriaco, quindi senza che dallo scioglimento sortisse alcun beneficio economico. Il rifiuto di una posizione intermedia, consistente nel passaggio dell’intera Brigata estense nei ranghi im42 43 Bayard 1881, pp. 72–73. Bayard 1881, p. 190. Intrigo internazionale a Modena 555 periali, rese ancora più palese la matrice della decisione di smembrarla. Simbolo esteriore della sovranità estense, era ormai la personificazione della Reazione. Nei duri anni dell’esilio e dell’emarginazione, non fu falcidiata dalle diserzioni e dai congedi, come speravano i liberali, ma divenne – al contrario – un polo di attrazione per molti italiani renitenti alla leva, che attraversavano il Po per arruolarsi sotto le insegne di Francesco V. Le trattative sullo scioglimento e – in buona sostanza – sul futuro dei militari, furono lunghe, complesse ed amareggiarono molto il sovrano estense.44 Ne è prova in primo luogo la pubblicistica edita sull’argomento in quegli anni, dove la polemica verso i liberali, cede il posto, dopo la smobilitazione, a quella verso l’Impero d’Austria.45 Il ragionamento sotteso a questa evoluzione è semplice e logico: se i liberali hanno fatto quanto ci si poteva aspettare da loro, è stato l’imperatore a disattendere al suo duplice ruolo politico (inteso in senso reazionario) e dinastico. “Un patto solenne stava garante che a Modena Francesco V doveva continuare a regnare. Ma altro è promettere, altro è mantenere. […] Arciduca d’Austria, il Duca di Modena teneva fermo alla parola dell’Austria […]”,46 venendo invece offerto “in olocausto al principio di non-intervento, proclamato imparziale a parole, sempre parzialissimo a fatti”.47 Bayard de Volo, quasi vent’anni dopo, cercò di placare gli animi, sottolineando che l’imperatore dovette subire “influenze così diverse dai veri e spontanei suoi sentimenti”.48 Il malumore verso il governo asburgico, tuttavia, era diffuso, anche tra chi riusciva a scindere i differenti ruoli del governo e del capo di Stato. Un buon esempio ci viene dalla cronaca di Giulio Besini, una tra le poche guardie nobili d’onore ad aver seguito il sovrano in esilio,49 che già il 31 dicembre 1862, nove mesi prima dello scioglimento, notava: quello che più sorprende e strazia veramente l’animo si è il vedere che siamo anche perseguitati da quelli stessi che pur ci dovrebbero sostenere e che ne hanno un sacrosanto dovere, sia perché noi 44 Troupes 1862; Autriche 1863; Cinquantadue 1863; Giornale 1866; Bayard 1881, pp. 140–174; Bianchini Braglia 2007. 45 Del Corno 2015, pp. 32–34. 46 Cinquantadue 1863, p. 43. 47 Cinquantadue 1863, p. 41. 48 Bayard 1881, p. 146. 49 La Guardia nobile d’onore era un corpo militare sui generis, con mere funzioni di rappresentanza. Nel 1859, solo 9 guardie su 119 seguirono il sovrano. 556 Alberto Attolini siamo qui per la loro causa, sia pei trattati i quali ci legano reciprocamente. Intendo parlare del Governo austriaco che dopo tante promesse, assicurazioni e belle parole ha poi finito col “decretare che gli assegni per la Brigata Estense sarebbero dalle I.R. finanze pagati solamente fino a tutto Ottobre del 1863”. Ecco dunque i nostri alleati, i nostri amici, quelli soli che in Europa avrebbero dovuto aiutarci ecco che fra pochi mesi ci pianteranno con tanto di naso. Povero Imperatore chi sa mai dove lo trascineranno le sue riforme liberali e quelle maledette Camere alle quali siamo debitori di questa bella misura che ci riguarda: misura che per la verità del resto non vi sarebbe stata perché i sentimenti personali dell’Imperatore non possono essere migliori a nostro riguardo. Eccoci dunque perseguitati dai nemici ed abbandonati dagli amici: a chi dunque ricorrere? … in chi sperare? … Propriamente non v’è più da sperare che in Dio e nella giustizia della nostra causa […].50 La tensione nei rapporti con l’Austria emerge diffusamente nelle corrispondenze di Francesco V, che il 20 giugno 1863 scriveva da Sárvár: “Io stò bene, ma non allegramente, giacché lo scioglimento delle mie truppe in prospettiva non mi lascia godere di nulla”.51 In più occasioni il duca si lamentava dell’Austria e del generale Ludwig von Benedek, capo della commissione incaricata per le procedure relative alla liquidazione della Brigata estense, tra cui la definizione delle condizioni da accordare ai militari modenesi che fossero passati nei ranghi asburgici o pensionati. L’11 agosto 1863 Francesco V, esasperato dagli imperiali, che si rivelavano più fiscali di quanto si sarebbe aspettato, scrisse: “Ciò si chiama far le cose colle calcagna al solito modo illogico ed incoerente che ha sempre caratterizzato gli Austriaci”.52 Pochi giorni dopo, von Benedek emanò un dispaccio in cui correggeva il tiro e il duca, rasserenato, ne parlava in termini entusiasti: “Esso è concepito in termini i più delicati possibili e si vede il cuore e la lealtà di Benedek”.53 Il rammarico non era solo politico, essendo ben presente anche la preoccupazione umana per la sorte dei suoi fedeli militari, 50 Besini 2015, p. 258. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Sárvár 20 giugno 1863, n. 62. 52 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 11 agosto 1863, n. 100. 53 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 18 agosto 1863, n. 107. 51 Intrigo internazionale a Modena 557 come – un esempio fra i tanti – quando notava: “l’agonia è incominciata per la Brigata e sono ansioso di sentire come quei poveri diavoli hanno preso la loro sentenza”.54 Il 1863 fu un anno pesante anche per la morte di diverse persone molto vicine a Francesco V. La perdita più importante fu quella dello zio Massimiliano d’Asburgo-Este, gran maestro dell’Ordine Teutonico, scomparso nel castello di Ebenzweier il 1 giugno 1863. Nonostante fosse anziano e da tempo malato, era sempre stato vicino al nipote, come saggio e apprezzato consigliere.55 Altri lutti particolarmente gravi vennero dai decessi di alcuni stretti collaboratori. Il 15 febbraio 1863 morì a Venezia il duca Gaston François Felix di LévisVentadour, legittimista francese e, secondo le parole di Francesco V, “vero amico, consigliere e factotum”56 di suo cognato, il conte di Chambord, per il quale aveva anche svolto il ruolo di plenipotenziario e procuratore in occasione delle nozze con Maria Beatrice Gaetana d’Asburgo-Este.57 Il 30 maggio fu la volta del conte Luigi Benicasa, guardia nobile, ciamberlano e cavaliere in servizio permanente presso la duchessa Adelgonda.58 In agosto la serie dei lutti comprese anche Gaetano Gamorra, già segretario di gabinetto e segretario privato del duca, che a proposito scriveva a de Volo: “dica a Forni che fui afflittissimo della perdita dell’ottimo segretario Gamorra, uno dei vecchi fidi nostri”.59 Egli era stato insignito dell’Ordine dell’Aquila Estense e aveva seguito, con la famiglia, il sovrano in esilio (morì infatti a Padova), continuando a curarne gli affari. Il 28 luglio era stata la volta di Constantine Phipps, marchese di Normanby, autore della celebre Difesa del duca di Modena contro le accuse del Signor Gladstone, “altra perdita per noi”.60 A questi turbamenti si aggiunsero i processi, sia quelli che videro il duca parte (attore o convenuto) per motivi economici, sia quelli politici. In quest’ultima 54 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 18 agosto 1863, n. 107. Sulle precarie condizioni di molti ex militari estensi si veda Menziani 1988. 55 Bayard 1881, pp. 244–252. 56 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 15 febbraio 1863, n. 17. 57 Dallari 1914, pp. 31–32. 58 Bayard 1881, pp. 259–260; Besini 2015, p. 266. 59 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 11 agosto 1863, n. 100, il testo prosegue con l’intenzione di Francesco V di beneficiare la vedova. 60 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 2 agosto 1863, n. 92. 558 Alberto Attolini categoria è da ricomprendere anche il giudizio nei confronti del conte Girolamo Riccini, persona da sempre invisa a Francesco V. Il procedimento in parola, infatti, finiva per giudicare e censurare l’operato politico di Francesco IV. Il Riccini aveva chiesto – a sua difesa – di poter produrre lettere e ordini del defunto duca, facendo commentare al figlio: “sono cose disgustose”. E mentre l’affare prendeva “forme poco pulite”, alcuni “birboni” tentavano di vendere alcuni documenti a Francesco V.61 A fine anno il duca tracciava amaramente un bilancio della sua vita dal 1859: Io mi sacrificai al mio posto per 13 anni, subendo due rivoluzioni e perdita dello Stato, sacrificai la mia libertà per ormai altri 5 anni, attendendo un dénouement o che S.M. avesse avuto bisogno di me. Lo sacrificai per ultimo pur le mie truppe, e per non star lontano da mio Zio ottuagenario [Massimiliano d’Asburgo-Este, nda]. Un altro avrebbe trovato beata la vita del Prater e del Kärntner Theater, io ne ho sin sopra le orecchie, quindi fu solo il sentimento di dovere che me tenne a portata di adempiere ad un dovere di essere utile a qualcuno. La morte di mio Zio, lo scioglimento delle mie truppe mi dispensano dai doveri principali. Il capo di mia famiglia non sa cosa farsi di me e sono convinto che anche in caso di guerra succederebbe altrettanto. In detto caso gli Arciduchi, massimo poi io, o riceverei un cenno di non andare all’armata o vegeterei ad un quartier generale, inutile a tutti.62 L’Austria isolata Il 1863 non era un momento particolarmente felice neppure per l’Austria, fatto che conferma la singolare coincidenza temporale tra una situazione difficile e lo scandalo provocato dalla causa intentata da Crouy-Chanel. 61 Manfredi 2016; ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 15 febbraio 1863, n. 17 (da cui si trae la prima citazione); ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 23 febbraio 1863, n. 29 (da cui si traggono le altre citazioni). 62 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 21 dicembre 1863, n. 199. Intrigo internazionale a Modena 559 L’impero asburgico si trovava, infatti, a scontare un isolamento internazionale originato dal suo ambiguo comportamento in occasione della Guerra di Crimea. Allora “l’Austria, nonostante il debito di riconoscenza verso lo zar per l’aiuto prestatole nel 1849 nella repressione della rivoluzione ungherese, non scese in campo a fianco della Russia”.63 I motivi della rottura del fronte reazionario furono molteplici. In primo luogo influirono la personalità e gli atteggiamenti dei sovrani, in particolare dello zar Nicola I, che, fermo nei suoi principi politici e conscio della sua forza militare, si pose come il capo naturale dello schieramento conservatore, comportandosi quasi come il tutore di Austria e Prussia, le quali – al contrario – non gradivano le sue ingerenze. Tra queste ultime, poi, vi era rivalità per il ruolo di guida del mondo germanico.64 Mentre gli ambienti economici austriaci spingevano, addirittura, per un’alleanza con la Francia, il governo asburgico paventava la politica zarista come fattore di destabilizzazione non solo per l’Impero ottomano, territorio esterno anche se confinante, ma anche per il suo interno, temendo possibili turbolenze nazionaliste slave. Questa è la cifra per interpretare le successive, disastrose, mosse austriache: dall’iniziale neutralità, all’occupazione dei principati danubiani (segno di diffidenza verso la Russia), al trattato del 1854 con le potenze occidentali, fino al disastro della Conferenza di Vienna del 1855.65 Tale politica ambigua causò l’isolamento internazionale dell’Austria, mentre “la Corte russa era dominata da un sentimento: il rancore contro l’Austria per il”tradimento” dell’antica alleanza”.66 La conseguenza più immediata si vide in seguito alla Pace di Zurigo del 1859: giocando sul fatto che la restaurazione dei troni di Modena e Firenze non era materialmente possibile senza il loro consenso, Russia e Francia subordinarono il reintegro di quei sovrani (che – si sottolinea – erano membri della Casa d’Asburgo) a condizioni inaccettabili e fra loro contraddittorie. L’impero zarista chiedeva, infatti, una nuova discussione dei trattati del 1856 (post Crimea), mentre l’impero napoleonico reclamava addirittura la revisione di quelli del Congresso di Vienna del 1815. L’Austria ne usciva umiliata e isolata.67 Anche il seguente Convegno di Varsavia, del 1860, tra Austria, Russia e Prussia, fu un insuccesso: 63 Della Peruta 1996, p. 242. Valsecchi 1964, pp. 576–577, 587. 65 Valsecchi 1964, pp. 587–588, 591–592, 613–615. 66 Valsecchi 1964, p. 623. Similmente Fejtö 1990, p. 17. 67 Valsecchi 1964, pp. 740, 744. 64 560 Alberto Attolini Le “conferenze di Varsavia” non avevano partorito nulla: avevano, casomai, esorcizzato definitivamente il fantasma della Santa Alleanza, che Vienna si sforzava invano di evocare; avevano contribuito piuttosto a paralizzare, che non a sostenere, le velleità di Vienna di riprendere l’iniziativa. Il risultato di Varsavia è – come l’aveva definito argutamente Gorciakoff – un ramo d’ulivo gettato nell’acqua, “un coup d’olivier dans l’eau”.68 A questa situazione andava aggiunta l’annosa questione ungherese, che vedeva il popolo magiaro in grande fermento e protesta per porre fine al rigido centralismo di Vienna e ottenere il riconoscimento delle proprie istanze nazionali.69 La stessa corona imperiale del Messico, offerta da Napoleone III all’arciduca Massimiliano, aveva provocato una frattura in seno alla Casa d’Austria e si sarebbe rivelata, nel volgere di pochi anni, l’ennesima magra figura internazionale.70 Francesco V commentò questa situazione con toni duri, e una visione analitica del frangente particolare e dei suoi possibili sviluppi: Deploro di vero cuore le aberrazioni Viennesi contro Russia e Prussia e le simpatie Occidentali. È un tornare al vomito. Le prime ci costarono tutto a noi ed ad essa la Lombardia, questa 2a volta potrebbe far sì la politica attuale che si dovesse cantare un De profundis a questa malconsigliata Austria, che pare cerchi solo l’approvazione di quelli che vogliono perderla. La Provvidenza le dà l’ultima occasione di salvarsi, essa se persevererà nella politica erronea del 1854 non sò se si meriterà un nuovo miracolo dalla Provvidenza per conservarla. Spero che il vento nelle altre regioni sarà diverso di quello che lo sembra dalle gazette anche semi-uffiziali, ma se è tale, l’Austria è una suicida. La Prussia e Russia agiscono ora bene, perché sono prese pel collo dalla rivoluzione, bisogna quindi dar loro la mano, giacché la Provvidenza ci ha già vendicato castigando dette Potenze pel mal fatto riconoscendo l’Italia e non ajutando 68 Valsecchi 1964, pp. 812–814, la citazione è tratta da p. 814. Della Peruta 1996, pp. 212–213. 70 Herre 1979, pp. 238–250. 69 Intrigo internazionale a Modena 561 l’Austria. Se vogliamo avere una politica di vendetta, la Rivoluzione, dopo le lodi, ci strozzerà infallibilmente. Dio illumini, in questi supremi momenti, S.M.71 Gli avvocati L’ultimo punto da esaminare riguarda i legali e gli altri consulenti cui CrouyChanel si era affidato. Il pretendente era patrocinato da un vero e proprio collegio difensivo che vedeva gli avvocati modenesi Gustavo Benucci e Gugliemo Raisini affiancati, già dal primo grado di giudizio, da nomi del calibro di Giovanni Battista Cassinis, Pasquale Stanislao Mancini e Sebastiano Tecchio, deputati della sinistra storica, con esperienze ministeriali e in odore di massoneria (pur non essendo certa la loro affiliazione) per le loro idee politiche rigidamente laiche. In Cassazione, poi, comparve anche Francesco Crispi.72 Si trattava, come notato, di personalità di primo piano e giuristi di chiara fama. Cassinis, già avvocato di Cavour, ricopriva l’incarico di presidente della Camera dei deputati;73 Tecchio, suo predecessore sullo scranno più alto del ramo elettivo del parlamento, era “uno dei più noti avvocati di Torino”.74 Mancini, ricordato come “avvocato di fama cui si attribuivano guadagni favolosi”, fu tra gli ideologi del processo unitario e maestro del futuro Umberto I.75 Crispi, garibaldino e massone, fu un politico di lungo corso, più volte presidente del Consiglio dei ministri.76 Anche i legali modenesi erano principi del foro e, di conseguenza, costosi.77 Ai sei giuristi occorre aggiungere ulteriori qualificati collaboratori: il già citato Albert Nyáry e l’ingegnere Manfredi (che “gli presta servizio nella traduzione delle di lui Memorie dall’ungherese all’italiano”, 71 ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 3 marzo 1863, n. 38. 72 Manzini 1863, pp. 12–13, 36, 42; Bayard 1881, p. 191; Cassazione 1866; ASMo, Prefettura, fasc. carte sciolte, minuta del prefetto al Ministero dell’interno, Modena 26 agosto 1863, n. 155. 73 Martone 1978. 74 Cecchinato 2019. 75 Mancini 2007 (da cui si trae la citazione); Albertario 1934. 76 Fonzi 1984. 77 Barbieri 1971, p. 334. 562 Alberto Attolini in quanto il magiaro “non è bene fermo nell’idioma italiano”78 ), oltre a Luigi Manzini, direttore del periodico modenese La Vipera, autore di testi a supporto del pretendente.79 Non passò inosservata la sproporzione tra i mezzi di Crouy-Chanel, privo di rendite all’infuori del sussidio proveniente da Parigi, e i costi di un tale collegio difensivo, uscite che, oltretutto, si andavano a sommare a un tenore di vita molto dispendioso e alle già citate beneficienze. Negli ambienti diplomatici del tempo correva voce che il finanziatore dell’impresa fosse Napoleone III.80 Un’altra fonte di sostegno economico avrebbe potuto essere la massoneria, che poneva ai suoi affiliati un “obbligo di pagare elevate quote associative e costose patenti di iniziazione o di passaggio di gradi”. Queste somme erano destinate al mantenimento in vita della struttura e la principale causa di radiazione dei singoli massoni era la morosità.81 Alla luce dei fini ultimi della causa legale, e considerando i ruoli apicali ricoperti dal suo protagonista all’interno del sodalizio, si può ipotizzare che una parte dei fondi necessari all’operazione sia giunta anche dagli ambienti massonici. Detta ipotesi appare assai verosimile se si considera l’importante finanziamento dato, appena pochi anni prima, dalla massoneria britannica a Garibaldi, per agevolarne la campagna contro il Regno delle Due Sicilie.82 Conclusioni La vera natura di provocazione politica della causa intentata contro Francesco V è incontestabile. A tal proposito valgono le parole del suo attore, Crouy-Chanel, riprese da uno dei tanti opuscoli che – secondo l’uso del tempo – riportavano le parti più salienti della controversia: ho respinto lungi da me qualsiasi pretesa al sovrano potere, e […] nelle ultime ore della mia vecchiezza, siccome in tutto il resto della mia vita, ho una sola pretesa, quella cioè, di concorrere coi prodi 78 ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 8 maggio 1864. 79 Di argomento politico, usciva tre volte a settimana: Annuario 1864, p. 267. 80 Bayard 1881, pp. 190–191. 81 Polo Friz 2004, pp. 53–54. 82 Di Vita 1990. Intrigo internazionale a Modena 563 soldati della mia patria ungherese al conseguimento della sua indipendenza e della sua libertà. Ed il processo che muovo ora all’exduca di Modena ha ben anco questo scopo; perocché, minando nella sua base le pretese legittimità degli Absburgo d’Italia, e così quelle degli Absburgo d’Ungheria, mercè la copia delle prove istoriche e legali che proveranno la loro flagrante illegittimità, questo processo darà l’ultimo crollo al trattato di Villafranca, sospeso ancora per un filo a questa pretesa legittimità.83 Concetto ripreso ed esplicitato maggiormente in un suo scritto successivo, dove riferendosi alla contesa legale afferma: se […] deve avere per conseguenza la restaurazione della Polonia, l’indipendenza completa dell’Italia, e l’emancipazione della mia patria originaria l’Ungheria, io confesso che sarò ancora felice nelle ultime ore di mia vecchiezza, d’essere il mille ed uno di più per il compimento alla grande opera della rigenerazione sociale per mezzo di Napoleone III, diventando egli così per il suo genio umanitario il moderno Carlo Magno della Democrazia Cristiana. Allora sarà raggiunto il fine del mio processo contro l’ex-duca di Modena della casa d’Absburgo, perocché allora il regime dispotico di questa casa avrà cessato di esistere.84 Simili dichiarazioni di intenti, inquadrate nel contesto sopra esaminato, palesano come Francesco V fosse attaccato non solo come duca di Modena ma anche come simbolo della Reazione e come arciduca d’Austria. La sua vulnerabilità (causata dall’esilio e dalla marginalizzazione politica e dinastica) lo rendevano un bersaglio facile. La sua caduta, ad opera di una magistratura ostile, poteva essere il possibile preludio a turbolenze rivoluzionarie nell’impero asburgico. Fu la Corte di cassazione ad archiviare le assurde pretese di Crouy-Chanel. Ancora una volta, tuttavia, si deve notare una singolare coincidenza temporale: la sentenza conclusiva della vertenza porta la data del 25 agosto 1866, successiva alla sconfitta subita dall’Austria a Sadowa (3 luglio) e alla sottoscrizione dell’Armistizio di Cormons (11 agosto), che poneva le basi per l’annessione del Veneto 83 La citazione, corsivi compresi, è tratta da Manzini 1863, pp. 14–15; il brano è pubblicato anche in Bayard 1881, p. 189. 84 Manzini 1863, pp. 58–59. 564 Alberto Attolini all’Italia e per la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due Stati. Lo scenario internazionale era cambiato e le provocazioni di Crouy-Chanel non erano più necessarie per destabilizzare l’Austria, definitivamente ridimensionata nel suo ruolo europeo. Di conseguenza, Francesco V poteva uscire vittorioso. Alla luce di quanto esposto, sembra confermata in pieno la tesi di Teodoro Bayard de Volo, che vedeva alle spalle di questa vicenda la regia occulta di Napoleone III e delle forze rivoluzionarie.85 Allo stesso modo si può comprendere perché Nyáry rischiasse di bruciare sul nascere la sua carriera di studioso, firmando opuscoli scientificamente imbarazzanti: il sostegno alle strampalate tesi del francese era meramente strumentale, in quanto il vero obiettivo risultava essere l’Ungheria. Nyáry in realtà non aveva condotto ricerche storiche, ma aveva seguitato il suo combattimento contro l’impero asburgico utilizzando carta e inchiostro come armi. La sua motivazione non era soltanto l’ammirazione per Crouy-Chanel, ma anche il suo ideale nazionale. La causa e i commenti di Francesco V Esaurito l’esame del momento politico in cui si svolse la vicenda e – ritenuti – provati gli occulti intrecci internazionali alla sua base, resta da vedere come procedette la causa. Il 10 ottobre 1863 iniziò il giudizio di primo grado, nel quale Francesco V fu parzialmente soccombente. Il Tribunale di Modena, infatti, pur dichiarandosi competente a decidere su diritti feudali creati secoli prima da un’autorità non più esistente (il Sacro romano impero), ammise la propria incompetenza a giudicare un sovrano, ancorché spodestato, stante il riconoscimento internazionale di cui ancora godeva. Entrambe le parti impugnarono la sentenza e la Corte d’appello di Modena, il 5 agosto 1865, ribaltò la precedente decisione, riconoscendosi competente su entrambi i punti. La Suprema corte di cassazione, allora ancora insediata a Torino, accolse le tesi della difesa del duca, pur emanando, il 25 maggio 1866, una sentenza molto particolare. Nella sua motivazione, infatti, trovava posto un duro atto d’accusa al governo austro-estense, assolutamente fuori luogo rispetto ai delicati temi giuridici sollevati. Le spese di lite, inoltre, venivano compensate tra le parti, malgrado la vittoria totale di Francesco V. Bayard de Volo ipotizzò, al riguardo, che un giudice avesse scaltramente utilizzato la visibilità datagli da quell’affare per fini personali: “Relatore ed estensore 85 Bayard 1881, pp. 175. Intrigo internazionale a Modena 565 della sentenza fu il modenese Avvocato Pietro Muratori, sino al 1855 Priore del Collegio dei causidici in Modena, il quale non aveva certo titoli personali per isfogare tanta bile; ma che le opinioni professate avevano rapidamente fatto salire ai primi seggi della Magistratura italiana”.86 Dalla corrispondenza di Francesco V possiamo ricavare che egli seguì la causa senza eccessivo interesse, vivendola più come un fastidio che altro e scrivendone al solo conte Bayard de Volo. Già nel dicembre 1863, dopo aver definito il Crouy-Chanel “sedicente principe”, si informava sulla distribuzione di copie di uno degli opuscoli redatti da Bartolomeo Veratti a confutazione delle tesi del francese.87 La pubblicistica era uno degli strumenti difensivi del duca, che la reputava un mezzo utile per far conoscere le proprie posizioni e per confutare le tesi avversarie, per quanto palesemente infondate.88 A tal fine, si avvaleva anche della collaborazione del fedelissimo Porphyre De Laulne, che da Parigi teneva sotto controllo la stampa francese, provvedendo a replicare agli articoli ritenuti dannosi, secondo una linea di condotta dettata dal sovrano a de Volo: Ella quindi gli scriva [a De Laulne, nda] che soltanto se in Francia l’affare del processo Crouy-Chanel facesse chiasso e mi si attribuissero proteste ecc. egli facesse mettere ciò che crede meglio del materiale speditogli. Insomma, non vorrei levar polvere se il mondo non se ne occupa, e se se ne occupa, rettificare le cose dandovi poca importanza.89 L’attenzione del duca si focalizzava anche su come la stampa amica, in particolare Il Difensore di Modena, riportava la cronaca del processo,90 malgrado la scarsa stima nutrita verso questa testata. Il 28 maggio 1865 si lamentava: 86 Bayard 1881, pp. 196–199 e 199–200 nota 1 (da cui si trae la citazione); Cassazione 1866. ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 30 dicembre 1863, n. 208. 88 ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 18 agosto 1865. 89 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 15 agosto 1865, n. 98. 90 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 20 luglio 1865, n. 80; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 21 luglio 1865; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 25 agosto 1865. 87 566 Alberto Attolini “Peccato che il Difensore sia in mani sì sciocche e non diretto da uomini riflessivi come, per esempio, Veratti”,91 mentre, il successivo 5 settembre, “insolenti articoli all’indirizzo dell’Austria e di S.M.” lo spingevano a domandarsi: “E questi sono Duchisti?”.92 Come già accennato, Francesco V non dava troppa importanza al procedimento, classificandolo fin dal principio come un cavillo giuridico: “Questa è una chicane in fondo, ma in ogni modo una vessazione e per far scandalo”.93 Dopo la sentenza della Cassazione, il duca trasmise a Teodoro Bayard de Volo una nota, che venne ripresa dalla Gazzetta di Vienna.94 Nei giorni seguenti, il de Volo redasse una “informazione storica dell’andamento della causa”, che, inizialmente richiesta dal re di Napoli,95 venne trasmessa anche al duca di Modena96 e servì di base per un opuscolo riassuntivo della vicenda.97 Al momento di scrivere il terzo tomo della Vita di Francesco V, Bayard de Volo contattò Bartolomeo Veratti, per di ricostruire la vertenza. L’avvocato la definì testualmente “commedia del Crouy-Chanel”, mentre l’ex diplomatico infarcì i suoi appunti di commenti altrettanto salaci, rivolti sia al pretendente (“un giullare venuto dalla Senna”) che ai suoi difensori.98 Rimase inedito un ulteriore sgradevole episodio, che oggi definiremmo di sciacallaggio, avvenuto durante la pendenza del procedimento. Bayard de Volo scriveva al duca: 91 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 28 maggio 1865, n. 76. 92 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 5 settembre 1865, n. 104. 93 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 3 gennaio 1864, n. 1. 94 ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, appunto di Teodoro Bayard de Volo allegato a lettera del medesimo a Francesco V, Vienna 5 settembre 1866. 95 ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 17 settembre 1866. 96 ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 18 settembre 1866. 97 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1866, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart 21 settembre 1866, n. 22; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 7 agosto 1868. 98 ASMo, Bayard, b. 115, fasc. Citazioni e memorie desunte principalmente da miei libri, opuscoli e stampe in ordine alla vita e ai fasti di SAR Francesco V Arciduca d’Austria d’Este, Duca di Modena, Reggio, Massa, Carrara, Guastalla ecc. ecc. ecc. e riportate in N° IV Epoche, lettera di Bartolomeo Veratti a Teodoro Bayard de Volo, Modena 5 gennaio 1881 e appunto “N° IV (pagine numerate 16, allegati n° 1)”, pp. 1, 3, 5. Intrigo internazionale a Modena 567 La suddetta Ambasciata [la sede diplomatica austriaca a Parigi, nda] ha, non ha guari, riferito a questo Imperiale e Regio Ministero degli Affari Esteri (che lo ha comunicato a me con apposita Nota) che un certo Rochas si asserisce possessore di documenti originarj che concernono la famiglia Croy-Chanel, e quindi la causa che si agita con V.A.R., ed offresi di entrare in trattative per la loro cessione. Perché V.A.R. conosca esattamente di che si tratta, unisco qui le copie della Nota Ministeriale, del Rapporto del Principe Metternich e la memoria del Sig. Rochas. Il diplomatico estense proseguiva sconsigliando, “sommessamente”, l’acquisto di tali documenti, che non avrebbero aggiunto “gran peso nella discussione delle temerarie pretese Crouy-Chanel, cui la pubblica opinione dà quel valore che meritano”. Il suggerimento era accolto dal sovrano che scriveva, in calce alla copia della nota ministeriale austriaca, “rifiutata assolutamente l’offerta”.99 Tale determinazione era ribadita con forza nella risposta al suo ambasciatore: “Non accetto i documenti sulla famiglia Crouy Chanel offertimi, ossia li rifiuto recisamente, anche se me li dessero gratis”.100 L’epitaffio per la vicenda può ben essere ricavato dalle contemporanee amare riflessioni di Francesco V su un’altra sentenza: “Oggi Ciska ebbe una comunicazione d’una sentenza da Lei. Gliela lascerò leggere, perché quelle cose non sono buone che da muover bile. Già so che, al solito, devo pagare e per me mi basta. La giustizia del ladro politico non si avrà mai, ma sempre nuove spogliazioni”.101 Epilogo L’ultima annotazione riguarda le successive vicende umane di Crouy-Chanel. Rientrato in Francia, proseguì le sue attività poco chiare, venendo infine, sempre nel 1866, condannato in contumacia ai lavori forzati, “quale complice del cassiere infedele e falsario che aveva sottratto, a danno dell’amministrazione 99 ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna 6 aprile 1865. 100 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 8 aprile 1865, n. 58. 101 ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 5 marzo 1865, n. 15. 568 Alberto Attolini della cassa sussidiaria delle ferrovie, la somma di tre milioni e duecentomila franchi”.102 Una voce voleva che tale ingente importo fosse finito integralmente nelle tasche di Crouy-Chanel, che avrebbe truffato il suo complice, promettendogli un lauto interesse in cambio del prestito della sua quota di somma rubata.103 “Morì in miseria, nel 1873, dopo un lungo ricovero in una clinica per malattie mentali”.104 Nello stesso anno scomparve anche Napoleone III, il regista di questa vicenda, deceduto in esilio dopo essere stato sconfitto e umiliato nel 1870. 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It focuses on the 19thcentury literary text comparing it to the original preserved historical documents from 15th-century Italy from the point of view of literary history and history of intercultural relations. The practical development of the skills of analysis and synthesis for future teachers through an information-based activity aimed to deepen the students’ knowledge of a prominent author by expanding the perspective of the contextualization of his work and narrative by proper research, beyond the limits of the state of art in the field. History and literature in teacher training This study is written in the frame of the research work of the VEGA project Unknown documents for the history of Slovakia in Italian archives (14th–16th century).1 Therefore, we will primarily deal with the documents within the VESTIGIA database2 and focus on the contextualization of the historical personality of John Corvinus with the published research studies on these documents. 1 Unknown documents for the history of Slovakia in Italian archives (14th–16th century) – VEGA 1/0563/19 2 OTKA 81430 sz. project: Vestigia XIV–XVI századi magyar történelmi és irodalmi források Olaszország levéltáraiban és könyvtáraiban (http://nyilvanos.otka-palyazat.hu/index.php? menuid=930&num=81430&lang=HU); OTKA 128797 sz. project: Vestigia II. XIV–XVI századi magyar történelmi és irodalmi források Olaszország levéltáraiban és könyvtáraiban (https://www. otka-palyazat.hu/?menuid=223_I&pid=128797). 574 Mojmír Malovecký The aim of this article is to point out the possible use of the correlation of documents discovered within the VESTIGIA and VEGA projects and Kalinčiak’s historical novel The Prince of Liptov.3,4 The novel’s plot centres around the Duke of Liptov, prince John Corvinus.5 The main theme of the work is the portrayal of the historical situation in Hungary in the year 1499 partly through fictional characters, or by the fictionalization of historical figures and historical contextualization of the plot. Thus, the writer’s approach inspired us to compare the literary narrative with the content of the historical documents themselves. Our aim is to focus on a possible didacticization of selected themes that represent a connection between the literary text of the novel and the extant historical documents, and the way they can be employed either in the teaching of the history of literature or in the teaching of the history of intercultural relations in university degree programmes designed for future teachers of Italian as a foreign language. How could documents from the turn of the 15th and 16th centuries, discussed in relation to 19th-century literary works, serve to develop the knowledge and skills of future foreign language teachers in the 21st century? For a future foreign language teacher whose teacher training curriculum is based on three pillars: the study of linguistics of the foreign language, the study of the history of literature, and the study of didactics of the foreign language, linking the study of the history of intercultural relations and the history of literature is much more important for the development of the didactic aspect. The didacticization should not be based only on the possibility to use a factual connection of the contents of historical documents and their intercultural substance. Moreover, it should be focused on adding value to the teaching process by innovating and motivating the student, a future teacher of the foreign language. That is why we propose to connect the intercultural historical topics to the history of literature of the native language in the framework of foreign language teaching. In this study, we seek to show that such cross-curricular collaboration can be directed towards complementary content that broadens the teacher’s horizon in his or her theoretical and practical training at university. To accomplish this goal with any plausible success, we must answer the questions that constitute our argumentative base. The latter is constructed on the contextualization of the author Ján Kalinčiak, his novel The Prince of Liptov, and on selected historical 3 J. Kalinčiak: Dielo I. Knieža liptovský, Bratislava: Slovenský Tatran, 2001: 165–392. J. Kalinčiak: Knieža liptovské, Bratislava: Zlatý fond denníka SME, 2007. 5 John Corvinus (born 1473, died 1504) was illegitimate son of King Matthias of Hungary. 4 The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 575 documents about John Corvinus whose content is relevant to the content of Kalinčiak’s literary text. Ján Kalinčiak and his novel Ján Kalinčiak is an important Slovak writer of the 19th century. He was born in 1822 in the village of Horné Záturčie, and he died in 1871 in Turčiansky Svätý Martin. He started working on the novel The Prince of Liptov in 1845 as a young writer at the age of 22 and he finished it in 1852 when he was 30 years old. In relation to the novel, it is essential to point out some significant facts concerning his youth that could have had a major influence on his literary work related to the history of the Kingdom of Hungary. He grew up in a family of an Evangelical (Lutheran) parish priest. He studied at the Gymnasium in Gemer, then at the Evangelical Lyceum in Levoča, and finally in Bratislava. In the years 1843–1845, he studied history and philology at the University of Halle in Germany. In his biography he describes how in his youth he learned about the past.6 That was the very source of his affinity for the history of the landed gentry and the life of the nobility in Hungary. Then, in our opinion, the focus of his studies in Halle also had an impact on his work in terms of his methodology, influencing the new way in which Kalinčiak handled the historical themes in his novel The Prince of Liptov. The text is an example of the period of transition in literary history between Romanticism and Realism. The author does not only draw on the romantic attraction of the antiquities, but he creates a fictional narrative based on his experiences with the oral tradition of the rendering of the events in the families of the landed gentry., At the same time, he realistically uses a sophisticated method in which he interweaves the lives of fictional characters, for instance the love of Červeň and Marienka, and contextualizing the plot in relation to historical figures and historical events that are not fictional but grounded in a contemporary knowledge of the history of Hungary at the end of the 15th century. Although the literary characters act as part of a historically contextualised plot, their primary role is to take a moral, human, and ethical stance despite the circumstances that surround them. Červeň is a representative of the Corvinus wing – the fictional half-brother of the prince John Corvinus, and 6 J. Kalinčiak: Dielo I. Vlastný životopis, Bratislava: Slovenský Tatran, 2001: 288–303. 576 Mojmír Malovecký Marienka is the fictional daughter of the historical palatine Stephen Zápoľa.7 Thus, as we can see already in the creation of fictional characters, Kalinčiak places considerable emphasis on the fact that the main characters represent, as it was a well-known historical fact to him, two hostile sides of the conflict. On the one hand, this very choice points out the absurdity of looking for references to historical figures in the novel, while on the other hand, he does make references to historical facts. Focusing on the author’s method we can understand why readers regard this novel as a literary fiction with historical motifs rather than as a source of information on the historical and social situation. Since the two main characters are fictional, the reader easily assumes that the fiction element goes further and does not quite know how much to trust the author in terms of historical accuracy, as is usually the case with historical fiction. Many interesting figures of history are represented in various second-rate literary or cinematic productions that obscure the factual record of their lives preserved in existing documents. Analysing 15th-century documents on the life and trial of Joan of Arc, famous French historian Régine Pernoud8 convincingly showed this approach in contemporary popular culture and proved with the help of the historical documents how the facts have been constantly ignored by authors of both literary and cinematic biographies. In our history, King Matthias is a popular figure of literary works that emerged in part from oral storytelling. Therefore, the story and life of King Matthias is relatively well-known to the public. Nevertheless, this does not apply to his son John Corvinus. The historical narrative about Corvinus predominates over fiction in popular culture. As the two main characters of Kalinčiak’s novel, Červeň and Marienka, are fictional, the reader is not given a clear distinction between purely imagined characters and the historically based John Corvinus. Therefore, the underlying plan of the author to use the novel to popularize the historical facts does not even become apparent. Literary Realism, stemming from Romanticism in the mid-nineteenth century, did not earn such a reputation by readers. Contrary to this usual perception of the novel we propose to search for its links to the historical basis of the plot of The Prince of Liptov to contemporary historical sources. Historical sources do not know of any brother of John Corvinus, presumed son of King Matthias, called Červeň. 7 Palatine of Hungary Stephen Zápolya, Szapolyai or Zápoľský (died 1499). Kalinčiak used a contemporary Slovak transcription of the family name “Zápoľa”, nowadays “Zápoľský” is of common use in Slovak historiography. 8 R. Pernoud: Jeanne d’Arc, Paris: Éditions du Seuil, 1959: 24–26. The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 577 The palatine Stephen Zápoľa had several children, but none of his daughters was called Marienka. Ján Kalinčiak situates the plot after the death of King Matthias Corvinus, setting the narrative in the times of the conflict between his son John Corvinus and the Palatine of the Kingdom of Hungary, Stephen Zápoľa. The conflict that frames the novel’s storyline was recently described, for example, by the historian Tibor Neumann in his excellent study Private War between the Count and the Duke (The Struggle of Stephen Szapolyai and John Corvinus for the Duchy of Liptó).9,10 The historical atmosphere of this heated rivalry between two prominent noblemen, which is described in detail in the above-mentioned study by Tibor Neumann, is followed by Kalinčiak’s novel. But, as a literary author, he does not give precise historical details on specific events. Historical documents vs. literary fiction Kalinčiak’s authorial intent is to create a historical novel following a factual narrative. The rivalry between John Corvinus and Stephen Zápoľa is a historical fact. Our concern is not only whether Kalinčiak as a historicizing author presents actual facts, but for our intended use and application of the findings and comparisons, it is important to discover whether he portrays the person of John Corvinus in an accurate way based on the study of the historical facts, or in the way he shows the atmosphere of the period through the characters and their expressions of attitudes. Through the speech of the characters, the novel presents Palatine Zapoľa in a negative light, and deplores the fact that John Corvinus did not become King of Hungary. In the same way, the characters express their disillusionment with the reign of Wladislaus II. In his novel, Kalinčiak explicitly quotes a historical source only in one place, mentioning Antonio Bonfini,11 a historian contemporary to the Corvinus period, as follows: 9 T. Neumann: ‘A gróf és a herceg magánháborúja (Szapolyai István és Corvin János harca a liptói hercegségért)’, Századok 148, 2014: 387–426. 10 Further reading on historical context in a study by T. Neumann: ‘Two Palatines and a Voivode, or the Szapolyai Family’s Journey to the Royal Throne’, in: P. Fodor & Sz. Varga (eds.): A Forgotten Hungarian Royal Dynasty: The Szapolyais (Mohács 1526–2026. Rekonstrukció és emlékezet), Budapest, Research Centre for the Humanities 2020: 21–55. 11 Italian humanist Antonio Bonfini (born 1434, died 1503) was court historian for kings Matthias and Wladislaus II. 578 Mojmír Malovecký The Noble Prince was a young man, enthusiastic with a fiery mind; his fiery soul dreamed only of the glory of the Hungarian kingdom. King Matthias, his father, brought him up under his own tutelage, and showed him the path to follow, instilling into his heart purity of feeling; and old Bonfini, his tutor, poring over the history of Hungary, recalling the old heroic days of our kings, infused into his soul a blissful longing for the glory of the country. Matthias said: “Prosecute iniquity, uphold law and right with all your life, love your fatherland and seek to maintain its unity by any sacrifice.” – Bonfini, in his turn, not troubling himself with scenes of the present time, spoke how beautiful it was before, how beautiful now, when our kings have lifted up their name and their countries to the sun in deeds of war. Corvinus combined both these elements in himself and thought: “Enlarge the glory of the country, and yet make unity, so do what thou ought to do, so follow both the teaching of Matthias and the great thoughts of Bonfini.”12 In the middle of the 19th century Kalinčiak does not seem to consider the severe criticism of Bonfini commonly expressed by the prominent Hungarian critical historiography of the 18th century. For example, Hungarian critical historian Carolus Wagner in his famous Analecta wrote: “However, Bonfini is less respected by contemporaries who subject everything to stricter criticism. He is accused of putting many fables into the story, of saying many things as he wishes, in an effort to flatter, and of often doing more as a speaker than a historian.”13 We can see this romanticisation of Kalinčiak directly in the quoted text. The other mention of Antonio Bonfini contextualizes the historian’s name in the novel as follows: “And the noble lover said to me, ‘Go, Katrena, out of the house, close the gate, take the rope from the bell, that not a sound may come in, for I must learn the language by which I am to receive the prince, and it is a Latin language, such as the prince has not heard even from Bonfini.’ ”14 In the latter case, the novel mentions Bonfini only as a historical figure, again as one in relation to the Latin language. Kalinčiak was assuming that Antonio Bonfini, as a humanist scholar, wrote in Latin. But despite this idealization of Bonfini, 12 J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 48–49. C. Wagner: ‘Analecta Scepusii sacri et profani II.’ Viennae: 1774, in: M. Malovecká: Karol Wagner 1732/1790 historik Spiša a Šariša, Prešov: Vydavateľstvo Michala Vaška, 2009: 114. 14 J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 77. 13 The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 579 Kalinčiak fails to mention that Bonfini was clearly on the Corvinus side under Matthias and then was a court historian under Wladislaus II, which Kalinčiak no longer reflects in his text either. The use of the language can be linked to the letters written in 1490 that are listed in the Vestigia database as addressed to John Corvinus from Italy, or from italophone authors, in Latin.15 At first sight, we might get the impression that the entire text of the novel is more of Kalinčiak’s fiction in terms of the attitudes of the historical characters, reflecting the fading romanticism in literature. However, the lack of historical erudition can be attributed to Kalinčiak’s young age, and today we no longer know which of his views were influenced by the strong oral tradition of presenting the life and history of landowning families which he had learned from his relatives in his childhood, as he writes about it in his autobiography.16 At the same time, Kalinčiak tries to portray the attitudes and actions of the main and minor characters in a colourful manner, on the basis of a general characterization of universal human traits. He tends toward psychological explanations, in a novel that was written half a century before G. Schönherr17 proposed his famous biography of John Corvinus. In the text of the novel, the word prince is mentioned 266 times and the name Corvinus 206 times, which proves what an important part it constitutes in the plot of the novel. It also shows that it is possible to assume various details related by the author to the character of John Corvinus. We compared Kalinčiak’s characterization and contextualization of John Corvinus and the contents of selected documents in the Vestigia database. We searched the Vestigia database for 94 historical documents where John Corvinus is mentioned. Of these, 85 are in Italian and 9 in Latin, a selection of which have been clearly summarised by Gy. Domokos in his study ‘Adalékok Corvin János személyével kapcsolatban a Vestigia-kutatás során számbavett dokumentumokból’.18 Therefore, we selected some examples which we correlate with the selection of documents according to the cited study 15 Latin letters to John Corvinus, (20th April 1490). Manuscript, Sf 642/4,29, Vestigia 294; (27th February 1490) Manuscript, Sf 642/2,19, Vestigia 297. State Archives in Milan. 16 J. Kalinčiak: Dielo I. Vlastný …, op.cit.: 288–303. 17 G. Schönherr : Hunyadi Corvin János 1473–1504, Budapest: Magyar Történelmi Társulat– Franklin Nyomda, 1894. Reprint: Budapest: História Antik Könyvesház, 2010. 18 Gy. Domokos: ‘Adalékok Corvin János személyével kapcsolatban a Vestigia-kutatás során számbavett dokumentumokból’. In: Hunyadiak és Corvinok, a volume to be published in Budapest at the Institute of Hungarian Studies in 2022. 580 Mojmír Malovecký by Gy. Domokos, to exemplify how they could be employed in the context of teaching Italian as a foreign language. One of the themes that reappear several times in the novel is related to the fiancée of John Corvinus, a young Italian noblewoman called Bianca of Milan (although Kalinčiak mentions explicitly her name and her Milanese origins, he does not mention her belonging to the Sforza family). Bianca Maria Sforza also appears in the letters listed by Domokos,19 as the Italian courts, especially Milan and Ferrara were very closely associated with the court of Hungary. A teacher could use this moment to compare the author’s narrative in the novel to the preserved historical documents from that period. A letter from 8th December 1487 by Eleanor of Aragon20 addressed to Beatrix of Aragon21 mentions the engagement of Bianca Maria Sforza and John Corvinus.22 The theme is also supported by later extant documents. For example, the document Vestigia 687 23 is a diplomatic letter on behalf of Pope Alexander VI in Latin about the dissolution of the engagement between Bianca Maria Sforza and John Corvinus. There is also an Italian document written in the autumn of 1493, from Lodovico Maria Sforza24 addressed to Bartolomeo Calco,25 on how to break off the engagement in a way that Bianca Maria could enter a dignified marriage.26 In the novel we read the words of the palatine Stephen Zápoľa, when he explains to Verbőczy27 the considerations of the marriage of John Corvinus, the only son of King Matthias: As Matthias began to think of Corvinus’s marriage, here he half consented to the union of his son with my Marienka; but Pankrác 19 Idem. Eleanor of Aragon (born 1450, died 1493), wife of Ercole I d’Este , Duke of Ferrara. Sister of Beatrix of Aragon, Queen consort of Hungary. 21 Beatrix of Aragon (born 1457, died 1508) Queen consort of Hungary. Spouse of King Matthias, after his death spouse of King Wladislaus II. 22 Idem. 23 Diplomatic letter on behalf of Pope Alexander VI. Manuscript. MS 4936/IV,42, Vestigia 687, Copies of documents of State Archives in Milan related to Hungary. Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit. 24 Lodovico Maria Sforza (born 1452, died 1508), Duke of Milan. 25 Bartolomeo Calco (born 1434, died 1508), first ducal secretary of Duchy of Milan. 26 Letter of Lodovico Maria Sforza to Bartolomeo Calco, (11th september 1493). Manuscript, MTA MS 4936 / IV, 37, Vestigia 682. Copies of documents of State Archives in Milan related to Hungary. 27 Stephen Verbőczy (born 1458, died 1541), Hungarian legal scholar and theologist. 20 The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 581 spoke and begged the king: “Don’t do it, don’t do it, you will spoil everything; our country squires will never have confidence in your grace’s son if his wife is of equal origin to them.” So, the king declared him for Bianca of Milan. Then the palatine argued, “And would not my Marienka have been more to his crown than all these Italian and Frankopan women?”28 The palatine Stephen Zápoľa takes part in a dialogue implying that if Corvinus had married a palatine’s daughter it would have helped him gain the throne more successfully than an engagement to the powerful Milanese ducal house of Sforza, or even a later marriage to Beatrix Frankopan. The engagement to Bianca Maria Sforza, niece of Lodovico Sforza, Duke of Milan was a very important point in international relations and could have been of a huge impact on the history on developing further intercultural relations by continuing the policy of tight connections between the court of Buda and important courts in Italy. Gy. Domokos29 also reveals letters related to a certain Maffeo da Treviglio. These authentic sources disclose that in Milan the marriage of John Corvinus to Bianca Maria Sforza was planned with a view to the succession of John Corvinus. We can read a reassurance that, after the death of King Matthias, John Corvinus will ascend to the throne. In a Latin document from Hungary to Italy, he even assures Milan that John Corvinus, although in a tense situation, has a growing circle, already 30000, of supporters and their number is increasing, even those who supported other candidates are coming over to his side. “[…] unde optimam spem gerimus quod nemo alter nisi ipse Dominus noster Dominus Joannes Corvinus Dux Liptoviensis et Opaviensis in regem costituetur […]”30 In English: ” […] whence we bear the best hope, that none but our lord John Corvinus, duke of Liptov and Opava, shall be appointed as king […].”31 In the novel the theme of the support for John Corvinus after Matthias’s death to become King of Hungary is also related to marriage plans. Domokos notes32 that extant documents show the diverse interests of Milan and Ferrara. There is evidence that what was favourable to the court in Ferrara was not 28 J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 24. Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit. 30 Diplomatic letter. Manuscript, HU-MNL-OL-X 8330-DF 294065, Vestigia 184, in: Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit. 31 English translation of the excerpts by Mojmír Malovecký. 32 Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit. 29 582 Mojmír Malovecký favourable to the court in Milan. We see the rivalry between the families of Milan and Ferrara and their competition for influence over the internal affairs of the Hungarian Kingdom. Kalinčiak, creating a novel about the local situation at Likava Castle in Liptov, did not cover every possible historical detail, but he illustrates that the Frankopans were in close social relations with the local noblemen when they were in Liptov on a visit to John Corvinus. Kalinčiak speaks positively of John Corvinus’s spouse Beatrix Frankopan and of their infant son. Thus, the novel’s premise is clear and points out that the world of the Frankopan family as highranking members of the Croatian nobility and allied to the Italian families (Aragon and Este) is different from the Liptov nobility, and the author presents this as a fact. Beatrix Frankopan was the daughter of Bernardin Frankopan, Prince of Krk and Modruš, her mother was Luisa Marzano of Aragon, her father was Prince Giovanni Francesco Marino Marzano, Prince of Squillace. Her grandmother was Eleonor of Aragon, who was the daughter of King Alfonso V of Aragon. Eleonor’s brother Ferdinand I of Naples was the father of John Corvinus’s stepmother, the Hungarian queen Beatrix of Aragon. The wife of John Corvinus, Beatrix Frankopan was not only genealogically tied to Italy through her mother’s line, but also through her father’s line because Prince Bernardin Frankopan was the son of Isotta d’Este, who was the daughter of Niccolò III d’Este Marquis of Modena and Ferrara. In the novel, Kalinčiak portrays John Corvinus as decisive and not afraid of controversy. In the Vestigia database a letter from Beltrame Costabili to Prince Ercole d’Este, (Esztergom, June 27, 1490. State Archives of Modena) we read “[…] Ancora el duca Corvino già sono giorni diece ch’el se partete di qua insalutato hospite, da meza nocte, indigniato per havere avuto parole extranee col predicto vayvoda et col thesaurero regio, siché aremo pace col turcho et non mancarà bello intestine […]”.33 In English: “[…] It has already been ten days since Duke Corvinus left without parting, in the middle of the night, indignant for having had extraneous words with the aforesaid vayvoda and with the royal treasurer, so that we will have peace with the Turk and will not miss a civil war […]”. There are many situations in the novel where John Corvinus is taking part in a conflict. In this context, Kalinčiak in his novel allows the historical figure of the prince to speak directly in relation to the Frankopan family as follows: 33 Letter from Beltrame Costabili to Prince Ercole d’Este, Esztergom, June 27th, 1490. Manuscript. Vestigia 2913. State Archives in Modena, Ambasciatori Ungheria, in: Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit. The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 583 What is here is not all over the country – but nevertheless it will spread, and higher courts will come. In Croatia my brother-in-law Frankopan and the whole family are already in an understanding with me, Jakub Székely is only waiting for me to stand up against Zápoľa; the Ujlakys34 are also in an understanding with me – only now so that we can somehow come forward. We have only to begin something, but only after Wladislaus has judged what I will submit to him. The Frankopans have already gone to Buda and are working in the royal court against Zápoľa. The King, I know, is unfriendly to him, and would not suffer him if he had anyone in the country to count on to help him put down so troublesome a Zapoľa. And if my accusations, which you have heard to-day, are found to be true, well, Zápoľa must come down willingly or unwillingly. That, then, we must wait. On the other hand, we need Zápoľa to bite us even harder, because only then will we have the right to strike at him. – Now, therefore, we must send to Spiš, where we shall invite him in the name of the law and of the royal conclusion, not only to satisfy all those who have sued against him today, and to remit the estates, but also to restore to me my castle of Zombor, and, according to the second decree of Wladislaus, which has recently been issued to us, to restore to me the yearly benefits as well.35 The author exemplifies the importance of the Frankopans in the internal conflicts within the kingdom but does not explain the complexity of their and John Corvinus’s relations toward Italian courts that we consider of decisive importance for the period. The plot devised by the author is regionally focused on introducing characters from foreign backgrounds by referring to the historical facts of the 15th century. Still, the text of the novel fails to convey to the reader the richness of the relationships and the supra-regional aspect of the events and personalities to the extent that authentic documents prove. Indeed, they make it clear that the relations of central Europe and the centres of power in Italy in the 15th century were not marginal facts in our history, but functioned as a key factor in the power relations of the time. 34 35 Lawrence III Ujlaky (born 1459, died 1523). J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 18. 584 Mojmír Malovecký Conclusion We showed how Ján Kalinčiak episodically contextualized John Corvinus in the elements that we can link to 15th-century authentic historical documents. Their comparison to the 19th-century literary narrative reveals very interesting points that could help to develop both the overall knowledge and specific skills of the students, in this case future teachers of foreign language that represent our target group. Thanks to the systematic research work in critical historiography and the development of systematic editions of historical sources, we can provide students with a more detailed look directly at documents from which immediate inferences can be made about historical figures and their interrelationships. Thus, students can study the history of intercultural relations without depending solely on the information of historical syntheses. Through focusing on specific aspects of a well-known major author and his work, the following goals could be achieved. Students will acquire general information about the literature and society of the period of the work’s creation. They tend to relate their expectations of a 19th-century work to what they know from general handbooks on that literary period. It is likely that a student will not have the erudition to deeply analyse the text on their own, without help, and without learning about some aspects of the author’s intent and the manner of its realization. We do not underestimate the student at this point; we assume that, for example, for such novels brimming with 19thcentury historicism, we do not even now find enough specialized analyses to help the prospective student better understand how to contextualize the work. The available studies, relative to Kalinčiak, map mainly the literary dimensions of his work.36 Its relation to extra-linguistic realities has not yet been the subject of sufficient scholarly interest. However, this can only be complemented by an interdisciplinary approach combining an analysis of the literary work with the examination of the historical context based on authentic documents. By comparing and correlating the seemingly incomparable and distant historical factuality of 15th-century literature and the reverberations of Romanticism- 36 For example, studies by: A. Mráz: ‘Postavenie Jána Kalinčiaka vo vývine slovenskej literatúry’, in: Púť lásky, Bratislava: Slovenské vydavateľstvo krásnej literatúry, 1963: 7–26; J. Noge: ‘Literárne dielo Jána Kalinčiaka’ in: Slovenská romantická próza, Bratislava, 1969: 364–455; M. Pišút: ‘Ján Kalinčiak a jeho literárne dielo’, in: Knieža liptovské, Bratislava: Slovenské vydavateľstvo krásnej literatúry, 1960: 301–315; M. Šalingová-Ivanová: Príspevok k štýlu štúrovskej prózy (Štýl prózy Jána Kalinčiaka), Bratislava: Slovenská akadémia vied, 1964. The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature 585 influenced 19th-century literature, we bring together the seemingly unconnected and very distant. The romantic, historicizing idealization of John Corvinus detracts from the exactitude of the portrayal of this historical figure. But Kalinčiak has captured the atmosphere and relations around his person very well. However, the author had no access to authentic documents relative to the Italian families of Milan and Ferrara that developed their influence at the Hungarian court significantly during the life of King Matthias. As we showed, the 21st-century awareness of these facts, based on Vestigia documents, can be further developed by a teacher to contextualize the 19th-century novel The Prince of Liptov to the history of intercultural relations between Italy and central Europe in the 15th century. RECENSIONES Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Éva Vígh & Eszter Draskóczy (a cura di), «Quella terra che ’l Danubio riga». Dante in Ungheria1 Dóra Bodrogai Università Cattolica Pázmány Péter dora.bodrogai@gmail.com Per il settimo centenario della morte di Dante Alighieri in moltissimi paesi del mondo sono state organizzate celebrazioni ed eventi durante tutto l’anno 2021. Non è mancata nemmeno l’Ungheria: durante l’anno scorso si sono aperte mostre ed esposizioni su Dante, si sono organizzati concerti e altri spettacoli in onore del poeta fiorentino, oltre ai convegni e alle conferenze tenutesi sull’opera e influenza della sua poesia e del suo pensiero.2 È recentemente uscito anche il primo volume in ungherese contenente l’Inferno ampiamente commentato, disponibile non soltanto in forma cartacea ma anche digitale.3 Nella storia culturale dell’Ungheria la presenza di Dante si manifestò abbastanza presto, ma acquistò maggiore influenza soltanto alla fine dell’Ottocento. Come affermano le curatrici Éva Vígh ed Eszter Draskóczy nella premessa del volume, uno dei codici più antichi della Commedia risale al Trecento ed ora è conservato nella biblioteca dell’Università ELTE. Un altro codice, contenente la traduzione in latino della Commedia e il commento di Giovanni Bertoldi da Serravalle, fu regalato al re Sigismondo di Lussemburgo e si trova, oggi, 1 Roma: Aracne, 2021, 376 pp. Mostre: Dante e Liszt (Museo Memoriale Ferenc Liszt), L’universo di Dante (Associazione Nazionale degli Artisti Ungheresi), «Silány időkből az örökkvalóba» (Museo Letterario Petőfi); Convegni: Scienza e poesia nelle opere di Dante (Szeged–Budapest), La Commedia in Europa Centrale (Accademia d’Ungheria in Roma). Per un riassunto più dettagliato degli eventi organizzati vedi i siti. https://abtk.hu/ismerettar/evfordulok/2089-a-vilagnak-ketsegtelenullegnagyobb-koltoje-a-dante-emlekev-magyarorszagon; http://www.dante700.hu/ (ultima data di consultazione: 28.02.2022). 3 J. Kelemen (a cura di): Dante Alighieri, Komédia I. Pokol. Kommentár, Budapest: ELTE Eötvös Kiadó, 2019, http://real.mtak.hu/107897/12/Dante-POKOL-KOM-TELJES-Vagott-07VII-2020.pdf (ultima data di consultazione: 2022.04.06.). 2 590 Recensiones nella biblioteca della diocesi di Eger. L’Ungheria, quindi, dispone di due fonti primarie assai importanti per la ricerca dantesca. Quanto al pensiero, invece, Dante influisce seriamente a partire dal XIX secolo: le prime traduzioni in ungherese risalgono a quel periodo. Tra queste dobbiamo menzionare János Arany, uno dei maggiori poeti dell’Ottocento ungherese, Antal Radó, János Angyal e Károly Szász, il pastore protestante che aveva tradotto tutta la Commedia per la prima volta e la cui traduzione ha ispirato quella di Mihály Babits. Questa traduzione è, fino ad oggi, probabilmente la versione di Dante all’ungherese più conosciuta e apprezzata, disponibile in numerose edizioni. La presenza del poeta fiorentino nella letteratura ungherese per frequenza e abbondanza di traduzioni è comparabile soltanto a quella di Shakespeare e della Bibbia, come viene sottolineato anche nella premessa del volume. Dante in Ungheria è il diciannovesimo volume della collana “Dante nel mondo” diretta da Antonio Lanza ed è stato pubblicato per celebrare proprio l’anniversario menzionato sopra. Il titolo è preso da Dante stesso: si tratta del verso 45 del canto VIII del Paradiso. Carlo Martello era il figlio di Maria d’Ungheria e Carlo d’Angiò II, venne incoronato re titolare d’Ungheria nel 1293 e morì giovanissimo nel 1295. Nel 1294 trascorse venti giorni a Siena e Firenze, durante i quali ebbe occasione di incontrare Dante stesso, la cui simpatia verso Carlo Martello viene dimostrata dal fatto che tutto il canto VIII è dedicato a lui. Il titolo del libro fu tratto quindi da un canto non solo d’argomento ungherese ma anche significativo per l’Ungheria. I saggi pubblicati nel volume sono redatti sia in lingua italiana sia in inglese, il che rende il volume più accessibile a un pubblico più vasto, nonostante potrebbe anche appesantire la lettura di chi non possieda una conoscenza abbastanza approfondita di una o dell’altra lingua. I riassunti in italiano all’inizio di ogni saggio aiutano l’orientamento nella lettura. Il volume è diviso in due parti: nella prima si leggono studi su Dante scritti da studiosi e dantisti ungheresi quali János Kelemen, Éva Vígh, Eszter Draskóczy, Béla Hoffmann, Ágnes Máté e József Nagy. Questi contributi analizzano certi aspetti dell’opera dantesca: presentano “le ultime ricerche, studiano le fonti della Commedia e le interpretazioni del linguaggio (verbale e gestuale); altri analizzano alcuni loci danteschi e contesti letterari topici” (12). János Kelemen approfondisce il carattere sociale della lingua, esaminando tre momenti chiave: l’interpretazione del mito di Babele e il “contrappasso linguistico”, gli aspetti politici del programma del “volgare illustre” e, infine, il discorso di Ulisse di Inf. XXVI. Éva Vígh, dall’altro lato, analizza il linguaggio non verbale, i gesti e la fisiognomia di Dante, capace di esprimere lo stato d’animo e le emozioni dei caratteri del poema. Eszter Draskóczy tratta in dettaglio i modelli di visione Recensiones 591 e viaggio della Commedia, sia del mondo religioso sia di quello laico. Béla Hoffmann mira a presentare le questioni metapoetiche di due canti, mostrando i legami con la vecchia poesia e il Stilnovo; Ágnes Máté, invece, analizza alcune coppie fittizie come Didone ed Enea attraverso i secoli e i lavori di Dante, Boccaccio e Enea Silvio Piccolomini. Il contributo di József Nagy è una vera e propria Lectura Dantis, in quanto esamina i temi centrali di un solo canto, Purg. IX, considerando anche le interpretazioni precedenti e argomentando il proprio punto di vista rispetto ad esse. Nella seconda parte più lunga (quasi il doppio della prima), intitolata Dante nella cultura ungherese, si trovano studi che esaminano l’influenza culturale di Dante non soltanto sulla letteratura, ma anche sulla musica e sulle arti. Inoltre si parla in più occasioni degli avvenimenti e delle pubblicazioni per l’anniversario del 1921 in Ungheria. Péter Sárközy spiega come Dante risultò essere anche un appoggio morale per Babits durante il processo di traduzione della Commedia negli anni della guerra, mentre Zoltán Szénási evidenzia i paralleli strutturali tra la Commedia e il volume di poesia intitolato Nyugtalanság völgye [Valle dell’inquietudine] di Mihály Babits. Lorenzo Marmiroli mostra l’influenza di Dante su tre poeti maggiori della poesia ungherese dell’Otto- e Novecento, János Arany, Endre Ady e Dezső Kosztolányi. Il merito più grande di questo contributo è che pubblica le traduzioni in italiano di tre poesie. Esse sono Dante di János Arany, Divina comoedia di Ady, Dante in Santa Croce del Corvo, Inferno, Anche io e Verso l’Inferno di Dezső Kosztolányi, frutti della collaborazione di studenti di magiaristica e italianistica presso la Casa del Traduttore di Balatonfüred. Infine, Marmiroli pubblica anche la poesia di Kosztolányi intitolata Dante (Alla statua di Canciani) nella propria traduzione. Pál József presenta dettagliatamente tre antologie di studi pubblicate attorno all’anniversario del 1921: un numero della Corvina (1921/2) della Società Ungherese-Italiana Mattia Corvino, il numero speciale della rivista Nyugat (settembre 1921) e l’Album cattolico Santo Stefano (1924). Il contributo di Ádám Nádasdy analizza la traduzione dei primi cinque canti dell’Inferno nella versione del poeta Sándor Weöres e arriva alla conclusione che la traudizione di Weöres “non è più precisa, più contemporanea e, per questo, non abbastanza interessante” (246). Norbert Mátyus scrive quasi un’apologia della traduzione di Babits dopo la critica nascosta di Nádasdy apparsa in questo volume; i due scritti sono, quindi, da leggere insieme. Márton Kaposi presenta il lavoro di italianista e la traduzione dimenticata della Vita Nuova di Jenő Koltay-Kastner, stampato soltanto nel 2015, ma eseguito tra 1916–1918; Kornélia Horváth mostra l’influsso di Dante su due poeti ungheresi, Lőrinc Szabó e György Petri, nell’unire prosa e poesia nella prorpia poetica 592 Recensiones degli autori menzionati. Tibor Szabó offre una panoramica della ricerca dantesca in Ungheria a partire dall’Ottocento. Mária Prokopp, in base al titolo del contributo, mira a far vedere lo spirito del Paradiso nel Palazzo del Primate d’Ungheria János Vitéz, ma dedica molto più spazio a spiegare le probabili origini e la provenienza del Codex Italicus 1 in Ungheria e a presentare l’attività di János Vitéz. L’ultimo contributo del volume, di Adrienne Kaczmarczyk, mira a dimostrare la stretta connessione tra musica e poesia e tratta l’influenza di Dante su Liszt che compose, ispirato dal poeta fiorentino, non soltanto una sonata, ma anche una sinfonia. I saggi sono molto eterogenei tra loro: vi ritroviamo, da una parte, saggi di poche pagine, dall’altra invece alcuni di più di trenta. Il pregio del volume è chiaramente il fatto che presenta saggi non soltanto di dantisti ma anche di altri studiosi di letteratura e filosofia, della storia dell’arte e della musicologia. Il volume, in sintonia con l’intenzione originale, è riuscito a presentare certi aspetti e momenti dell’ampia influenza di Dante sulla cultura ungherese attraverso i risultati di più discipline umanistiche, il che è lodevole, e offre una visione su “tanto la storia dell’influenza di Dante quanto la situazione delle odierne ricerche in Ungheria” (12). I contributi della prima parte danno, per di più, testimonianza della continuata presenza della ricerca in Ungheria relativa alle opere di Dante. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK Zuzana Toth, Tense and Aspect in Italian Interlanguage1 Anna Raimo University of Bologna anna.raimo2@unibo.it “A person who doesn’t know foreign languages doesn’t know anything about his native tongue”.2 Why is it useful to learn a third language today? What properties does it provide to speakers? Studying a third language allows you to enrich your linguistic vocabulary, read new books, learn about new cultures, improve your memory, increase your ability to communicate, become open and tolerant of others, find a rewarding job, increase your self-confidence, and grow, thanks to an educational activity. Given these answers, the object of Zuzana Toth’s3 innovative study becomes immediately clear: Italian as a third language (L3). Two questions immediately arise: how will speakers express themselves in the new language and above all, how will they express temporal relations? In Tense and Aspect in Italian Interlanguage, the author investigates the development of tense and aspect marking in interlanguage, analysing narrative texts written by Italian language students at the University of Vienna (Austria). The selected students come from graduate courses and the Institute for Romance Languages in Vienna. 1 Berlin & Boston: Walter de Gruyter, 2020, 278 pp. Quote attributed to Johann W. Goethe: “Wer fremde Sprachen nicht kennt, weiß nichts von seiner eigenen” (my translation). 3 Zuzana Toth is a researcher and teaches Romance languages and literatures at the University of Bratislava. She graduated in Linguistics at the University of Padua with a thesis entitled La grammatica nelle prove INVALSI [Grammar in the INVALSI tests] with Professor Maria Giuseppa Lo Duca, and is currently working on spelling competence in the above-mentioned tests. 2 594 Recensiones The book is part of the series “Sprachen im Kontext – Language in context”, which brings together contributions in the field of applied linguistics, in which the language of use is critically analysed in its context, and as a contextualising factor, of social and political processes and discourses. It consists of ten chapters and is accompanied by an analytical index from which information can be extracted quickly (e.g., Aktionsart 43, 45, 63). Toth’s study focuses particularly on how the process of acquiring verbal aspect is shaped in the interlanguage of L3 learners by factors such as lexical aspect and discourse. In the introduction, the academic gives a brief excursus on the purpose of the book, the learners analysed and presents the structure by summarising the main points. Later on, the researcher first explains the importance of temporal expressions and then shows a practical example of the problem: Alla fine è arrivato il cacciaguida e uccideva il lupo4 (Toth 2020: 1) In this sentence, the reader has difficulty with interpretation of temporal information because it is not clear how the student understands the verb “killed” (uccideva). In fact, in its place it would have been appropriate to use the “passato prossimo” with “ha ucciso” or the “passato remoto” with “uccise”, a perfective verb which implies that the action took place after the arrival of the guidehunter and that the action is also concluded and, in the tale, irreversible. As opposed to English where the two tenses “passato prossimo” and “imperfetto” do not exist, in the Italian language they have two different roles to express time. In fact, to say “Maria ha mangiato la mela” or “Maria mangiava la mela” in English, we would translate the sentences in the same way: ‘Maria ate the apple’. But how can we determine if the action is presented as concluded or in progress? In Italian grammars, verbal aspect is defined as the way in which the unfolding of an event is enunciated (Salvi & Vanelli 2004: 190) and this way can be expressed through perfective and imperfective verbs. Therefore, we will speak of perfective aspect when the action is presented as concluded, while we will use imperfective aspect when the action is presented during its unfolding (Renzi & Salvi 1991: 25). Returning to the example of the sentence; since the student was on beginnerintermediate level, he probably did not yet know the aspectual value of forms 4 Translated by Zuzana Toth: “In the end, the hunter arrived and killed the wolf” (Toth 2020: 1). Recensiones 595 in Italian and therefore did not understand the difference between perfective and imperfective verbs. The present study examines the development of the appearance and chosen time marking of students learning Italian in Vienna based on analyses of narrative texts composed by them. Most of the participants have German as their mother tongue and, in addition, speak or are already familiar with other languages, including Romance languages such as Spanish and French. As a first step, the study identifies the level of knowledge since the students’ use of perfective and imperfective verb forms in sentences represents the foreground and background of the narrative. In the second chapter of the book, the scholar examines the key concepts for research on language acquisition, making a distinction between cognitive orientation and sociocultural approaches. The following chapter offers a theoretical introduction to the language phenomenon examined in this study. Toth also describes an excursus on how time and aspects act in the Italian language. In particular, she proposes a reflection on the aspectual distinctions in Italian and other European languages, which are visible at morphological, lexical, and textual level. The following chapters (the third and the fourth) are devoted to a review of empirical studies on the acquisition of time and appearance in Romance and European languages in general and in the fifth chapter specifically on the Italian language. The main findings identified in a wide range of studies are highlighted. In fact, as already noted, while many researchers claim that lexical aspect and/or discourse degrees influence morphological choice in their interlanguage, there is little evidence of how the effect of these factors changes in the acquisition process. The major issues presented in the sixth chapter allow for the identifications of learners’ levels of knowledge, which can be observed in the acquisition of time-aspect in L3 Italian, and the extension on how the development of this time-aspect is influenced by discourse principles and value. Furthermore, it describes the methodological approaches used for data collection and analysis. It is followed by three further chapters presenting the results of the study conducted using analytical techniques such as coding of clauses for grounding and obligatory occasional analysis, designed to identify levels of knowledge. It is precisely on chapter seven that we should dwell, for after the scholar has outlined the field of study, from chapter seven the author enters the full scope of the empirical research. Students with low proficiency use perfective and 596 Recensiones imperfective verb forms to a greater extent, regardless of whether the utterance is in the foreground or background of the story: C’era una volta la mamma di Cappuccetto Rosso mandava lei per portare una cesta colmato con alimenti alla sua nonna. Nel bosco Cappuccetto Rosso incontrava un lupo. Loro dialogavano e […].5 (Toth 2020: 153) In contrast, students with intermediate knowledge also integrate aspect marking into their language and show a tendency to use the perfective tense, especially with telic predicates in the foreground and the imperfective tense in the background of the stories they write: Il lupo ha mangiato anche la piccola ragazza6 (Toth 2020: 158) C’era una volta una piccola ragazza si vestiva sempre un cappotto rosso7 (idem.) This tendency becomes very pronounced in the advanced-intermediate group, where the association between perfectivity, telicity and foregrounding becomes even more pronounced, while in the background stative predicates conjugated in the imperfect often appear: Ho iniziato a parlare del mio tema personale e i professori mi hanno fatto qualche domanda.8 (Toth 2020: 162) Dopo questa parte dell’esame ogni professore mi ha fatto domande della sua materia.9 (idem.) 5 My translation: “Once upon a time Little Red Riding Hood’s mother sent her to bring a basket filled with food to her grandmother. In the woods Little Red Riding Hood met a wolf. They talked and […]”. 6 My translation: “The wolf also ate the little girl”. 7 My translation: “Once upon a time a little girl always wore a red coat”. 8 My translation: “I started talking about my personal topic and the professors asked me a few questions”. 9 My translation: “After this part of the exam each professor asked me questions from their subject”. Recensiones 597 So-called prototypical associations, e.g., the prevalence of telic predicates with perfective predicates in the foreground and stative predicates with imperfective predicates in the background, seem to be categorical in a group with a very advanced level of knowledge: Il lupo ha anche mangiato la ragazza ed è andato di nuovo al letto10 (Toth 2020: 165) C’era una piccola ragazza che aveva una nonna malata11 (idem.) This analysis is also confirmed in the eighth chapter in which the author investigates narrative texts using the technique of frequency analysis proposed by Ellis and Barkhuizen (2005). The indicators chosen from Ellis and Barkhuizen’s (2005: 139) study include the length of the text (e.g., the number of words and the number of sentences): the percentage of sentences without errors, the number of errors per 100 words and the percentage of correct use of verbal morphology. The ninth chapter shows how the frequency of prototypical associations increases in direct proportion to linguistic competence. Toth reports predicate codes for lexical aspect that have been developed to examine the relationship between the marking of morphological aspect, lexical aspects, and the distribution of verb forms in the various discourse levels. Finally, in the tenth chapter there is a discussion of the main results found with an active comparison with the first five theoretical chapters of the book. There are several factors to be considered, but the influence of the L2 should be further investigated and, above all, a greater number of students from other institutions should be involved so that they can be compared using the same tasks. Zuzana Toth, in the wake of acquisition studies to understand the evolution of aspectual distinctions in the interlanguage of learners of Romance languages (Andersen 1991; Giacalone Ramat 1995, 2002, 2003; Rocca 2005; Salaberry 2003): has managed to add value to the research by opening a new perspective of work which, if extended, will allow for the improvement of the use of temporal expressions. Temporal expression is not only a fertile field of study for Toth’s analyses of interlanguage, but it is also an exemplary object of study in L2 Didactics, as a fundamental feature of all human communication: “[t]he ability 10 11 My translation: “The wolf also ate the girl and went back to bed”. My translation: “There was a little girl who had a sick grandmother”. 598 Recensiones to talk about time is a fundamental trait of human communication, and all languages we know of have developed means to express time” (Klein 2009: 35). From a more general point of view, this book represents a crucial stage in Zuzana Toth’s scientific production and teaching activities, which have the merit of promoting and supporting the Italian language abroad at a time when it is suffering the blows of growing disinterest. The implications of this book are therefore particularly promising as a foundation for the creation of new bridges of communication and new projects towards plurilingualism. It is now universally known that it is not enough to know only one language. Paraphrasing the words of Frank Smith, it’s good to remember that one language can open a corridor for a life, but two languages can open all the doors along the way.12 References Andersen, R. W. (1991): Developmental sequences. The emergence of aspect marking in second language acquisition. In: T. Huebner & C. A. Ferguson (eds.) Cross currents in second language acquisition and linguistic theories. Amsterdam & Philadelphia: John Benjamins. 305–324. Bisanti, T. (2020): La didattica dell’italiano L2: uno sguardo alla Germania. Italiano LinguaDue 1: 125–142. Ellis, R. & G. P. Barkhuizen (2005): Analysing learner language. Oxford : Oxford University Press. Giacalone Ramat, A. (1995): Tense and aspect in learner Italian. In: P. M. Bertinetto, V. Bianchi, Ö. Dahl & M. Squartini (eds.) Temporal reference: Aspect and actionality, Vol. 2. Typological perspectives, Turin: Rosenberg & Sellier, 289–307. Giacalone Ramat, A. (2002): Come acquisiscono gli studenti le tre categorie classiche di temporalità? Prove dall’italiano L2. In: R. M. Salaberry & Y. Shirai (eds.): The L2 acquisition of tense–aspect morphology. Amsterdam & Philadelphia: John Benjamins. 221–249. Giacalone Ramat, A. (2003): Verso l’italiano: percorsi e strategie di acquisizione. Roma: Carocci. Klein, W. (2009): Concepts of time. In: W. Klein & P. Li (eds.) The expression of time. Berlin & New York: Mouton de Gruyter. 5–38. 12 Quote attributed to Frank Smith: cfr “One language sets you on a corridor for life. Two languages open every door along the way” (my translation). Recensiones 599 Renzi, L., G. Salvi & A. Cardinaletti (2001): Grande Grammatica Italiana di Consultazione. Bologna: Il Mulino. Rocca, S. (2005): Italian tense–aspect morphology in child L2 acquisition. In: D. Ayoun & M. R. Salaberry (eds.) Tense and aspect in Romance languages: Theoretical and applied perspectives. Amsterdam & Philadelphia: John Benjamins. 129–178. Salaberry. M. R. (2003): Tense aspect in verbal morphology. Hispanica 86(3): 559–573. Salvi, G. & L. Vanelli (2004): Nuova grammatica italiana. Bologna: Il Mulino. Toth, Z. (2019): Il tempo e l’aspetto verbale nell’italiano, nel tedesco e nell’interlingua di apprendenti tedescofoni. Tre sistemi linguistici a confronto. Philologia 29(1–2): 35–54. Toth, Z. (2020): Tense and Aspect in Italian Interlanguage. Berlin & Boston: Walter de Gruyter. Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2 ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK György Domokos, Storia della lingua italiana nel panorama romanzo1 Zuzana Tóth Università Comenius di Bratislava toth@fedu.uniba.sk Come spiega il professore Claudio Marazzini in un’intervista,2 l’italiano è una lingua meravigliosa perché è maturata sulla punta delle penne e non su quella delle spade, nel senso che la sua storia “è legata più alla cultura e all’arte che alla politica e all’espansione territoriale della nazione”. Infatti, nel momento in cui nasce l’Italia, l’italiano è già una lingua con una ricca e affascinante storia alle spalle. Il libro di György Domokos ripercorre le tappe principali della sua evoluzione e costituisce una bussola fondamentale per chi si approccia per la prima volta a questi temi. Come dichiarato nell’introduzione, il libro è dedicato in primo luogo a studenti del Corso di laurea triennale in Italianistica dell’Università Comenio di Bratislava. Si tratta di un pubblico abbastanza ristretto, però con caratteristiche molto particolari. Sono studenti che spesso cominciano a studiare l’italiano all’università, senza conoscenze pregresse, pieni di curiosità ma ancora molto impegnati a imparare la lingua, a sviluppare la loro competenza linguisticocomunicativa. Chi ha la fortuna di insegnare la storia della lingua a questi studenti deve mediare tra esigenze diverse, a prima vista inconciliabili. Insegnare in lingua italiana, senza però utilizzare un linguaggio troppo elaborato, scoraggiante per i destinatari. Spiegare concetti complessi in modo semplice, senza però banalizzarli. Gerarchizzare i contenuti, selezionare quelli più importanti, che possono servire come bussola negli studi più avanzati, senza perdere di vista la complessità e l’elaboratezza dell’insieme. Fare delle scelte linguistiche appropriate al tema e al contesto, senza sconfortare i lettori spesso alle prime armi con 1 Bratislava: Univerzita Komenského v Bratislave, 2019, 151 pp. L’intervista è reperibile in rete: https://www.letture.org/l-italiano-e-meraviglioso-come-eperche-dobbiamo-salvare-la-nostra-lingua-claudio-marazzini 2 602 Recensiones l’italiano. Il testo di György Domokos riesce a creare un equilibrio perfetto tra queste esigenze contrastanti e offre una lettura interessante e stimolante sia per gli studenti sia per gli studiosi, che apprezzeranno la chiarezza dell’esposizione, la limpidezza della sintassi e delle scelte lessicali, la creatività e l’ingegno nel trovare il compromesso tra complessità, comprensibilità e accuratezza, anche quando sembra impossibile. Il volume è composto da tre parti: dopo un’introduzione alla filologia romanza l’attenzione si concentra sulla storia dell’italiano, per offrire poi un’antologia di tesi che illustrano il passaggio dal latino volgare all’italiano. Le prime pagine consentono ai lettori di familiarizzare con l’apparato terminologico e concettuale indispensabile per riflettere sulla storia dell’italiano. Il secondo capitolo, intitolato L’italiano nel panorama romanzo, offre una rassegna delle lingue romanze e una discussione dei criteri utilizzati nella loro classificazione, come quello geografico o quello legato all’innovazione, che oppone le lingue balcano-romanze, che costituiscono “uno spazio linguistico conservatore” a quelle gallo-romanze, definite “un gruppo innovatore”. È particolarmente interessante l’attenzione alla dimensione sociolinguistica, che consente agli studenti di creare dei ponti concettuali tra i fatti di linguistica storica e i mutamenti linguistici in atto, osservabili nell’uso odierno delle diverse lingue romanze che studiano. Dopo una discussione critica dei concetti di lingua e dialetto, il capitolo offre una descrizione di 14 lingue romanze: il galego, il portoghese, lo spagnolo, il catalano, il francese, il provenzale, il franco-provenzale, il ladino, il romancio, il friulano, l’italiano, il sardo, il dalmatico e il rumeno, con informazioni accattivanti e accuratamente selezionate. Il terzo capitolo presenta una panoramica dei principali fenomeni grammaticali che interessano l’evoluzione delle lingue romanze dal latino. Il primo fenomeno illustrato è la “radicale riduzione dei casi, che si conclude nell’eliminazione dell’opposizione tra il Nominativo e l’Accusativo” (p. 22). Il processo viene spiegato attraverso alcuni esempi accattivanti dal rumeno che, come sottolinea l’autore, “benché abbia realizzato quest’eliminazione possiede ancora oggi un sistema casuale” (ivi). Il secondo cambiamento descritto è la formazione dell’articolo. L’autore evidenzia che il momento cruciale in questo processo di innovazione, che interessa tutte le lingue romanze, “deve essere collocato verso il VI sec., dunque in un periodo di profonda trasformazione nello spazio geografico della Romània” (p. 32.). Tali informazioni di carattere interdisciplinare non solo rendono il tema più interessante, ma consentono agli studenti di collegare informazioni acquisite nelle diverse materie di studio. La rassegna dei fenomeni grammaticali particolarmente interessanti da un punto di vista storico continua Recensiones 603 con la perdita del genere neutro, le caratteristiche dell’avverbio, la formazione del condizionale, i tratti del futuro, l’uso del pronome soggetto, la negazione, l’interrogazione, l’articolo partitivo, l’ordine dei sintagmi, la formazione dei diminutivi, l’uso di verbi come essere e stare, avere e tenere, i tempi del passato e infine la formazione del plurale. Il capitolo si chiude con un’appendice, che riporta la preghiera del Padre nostro in 22 lingue romanze: latino, portoghese, castigliano, aragonese, catalano, provenzale, occitanico, francese, italiano, napoletano, siciliano, calabrese, romagnolo, piemontese, veneto, ladino, friulano, romancio, romanico, sardo, dalmatico e rumeno. La raccolta di questi teti costituisce una ricca e preziosa fonte di informazioni e consente al lettore di osservare alcuni dei fenomeni sopra illustrati su esempi linguistici concreti, attraverso lo studio di un testo fondamentale del patrimonio culturale dell’umanità. Si tratta di una delle scelte originali e ingegnose che rendono il libro una lettura particolarmente piacevole. Il quarto capitolo è dedicato alla storia dell’italiano e descrive la sua evoluzione dal latino volgare. Viene spiegato perché il De Vulgari Eloquentia costituisce “[u]na pietra militare per il pensiero linguistico in generale” (p. 54), viene descritta l’importanza di Dante, Boccaccio e Petrarca nella diffusione del fiorentino per via letteraria, il contributo di Pietro Bembo, di Lodovico Ariosto e dell’Accademia della Crusca all’affermazione del toscano come lingua scritta. In seguito vengono spiegati i motivi di allontanamento della lingua scritta da quella parlata e i tentativi di rimedio elaborati da Alessandro Manzoni durante il romanticismo, quando l’idea di una lingua nazionale acquista particolare importanza. Il capitolo si chiude con un’introduzione alla sociolinguistica, con particolare attenzione a concetti come lingua standard e variazione linguistica. La parte finale del libro è costituita da un’antologia di testi del primo millennio, che consente di progettare laboratori di riflessione sulla lingua in prospettiva diacronica. Come infatti osserva Luca Serianni, la storia della lingua offre un “terreno privilegiato per la riflessione metalinguistica”,3 che permette di sviluppare competenze trasversali, utili non solo allo studio della lingua, ma anche a quello della letteratura e della cultura. Consigliamo questo libro, che tratta temi di fondamentale importanza in uno stile chiaro, accattivante e carismatico, senza rinunciare al rigore scientifico, a tutti gli studenti che si approcciano allo studio della storia dell’italiano e agli insegnanti che li accompagnano. 3 Si veda il testo Fare storia della lingua, reperibile in rete: https://www.treccani.it/enciclopedia/ fare-storia-della-lingua/_%28XXI-Secolo%29/