Tomus XXIII, Fasciculus
Budapestini, anno Domini MMXXII
Redigit
MÁRTON GERGELY HORVÁTH
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
Ad redigendum consilio adiuverunt
ANIKÓ ÁDÁM
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
DÓRA BAKUCZ
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
GIUSEPPE FRASSO
(Universitas Catholica Sacri Cordis Jesu Mediolani)
ZOLTÁN G. KISS
(Universitas Studiorum de Lorando Eötvös nominata)
CLAUDINE LÉCRIVAIN (Universitas Studiorum Gaditana)
ÉVA MARTONYI
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
ARMANDO NUZZO
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
ELVIRA PATAKI
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
NÓRA RÓZSAVÁRI
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
ÁGNES TÓTH
(Universitas Catholica de Petro Pázmány nominata)
A Verbum XXIII/ () száma az OTKA K-. számú,
Vestigia II. XIV–XVI. századi magyar történelmi és irodalmi források Olaszország
levéltáraiban és könyvtáraiban című projektje keretében valósult meg.
Invited Editor:
GYÖRGY DOMOKOS
(Pázmány Péter Catholic University)
Reviewers:
György Domokos
Kinga Földváry
Antonin Kalous
Ilona Kristóf
Dorottya Anna Kriston
Hajnalka Kuffart
Ágnes Ludmann
Michele Sità
Márton Szovák
(Pázmány Péter Catholic University)
(Pázmány Péter Catholic University)
(Palacký University Olomouc)
(Eszterházy Károly Catholic University)
(Pázmány Péter Catholic University)
(Research Centre for the Humanities, Institute of History)
(Eötvös József Collegium)
(Pázmány Péter Catholic University)
(Pázmány Péter Catholic University)
Technical editor
ZOLTÁN G. KISS
(Eötvös Loránd University, Budapest)
Editorial correspondence should be addressed to
VERBUM, PPKE BTK Institute of Classical and Romance Languages
H– Budapest, Mikszáth Kálmán tér , Hungary
E-mail: horvath.marton.gergely@btk.ppke.hu
verbum.ppke.hu
ISSN -
INDEX
Vestigia II Research – Documents Related to Hungary from Mantua, Modena and Milan
György Domokos
Dal Po al Danubio
259
Riccardo Pallotti
Le nozze di Alisia di Châtillon con Azzo VI d’Este (1204). Alle origini dei
rapporti fra Estensi e Ungheria al tempo di papa Innocenzo III
263
Hajnalka Kuffart
Il diario di Giovanni Maria Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria
(1486)
289
Patrik Paštrnák
Letentur et exultetur universa Panonia. An unknown gratulatory oration
for King Matthias’s betrothal to Beatrice of Aragon
329
Tibor Martí
La dote di Beatrice d’Aragona. Nuove fonti per la storia delle relazioni di
Mattia Corvino con Napoli (1474–1476)
349
Ilona Kristóf
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
375
Ágnes Szabó
“[…] cariche de perle tanto argente non ha Milano, Cremona ne Ferrara
insieme” – Tessuti liturgici medievali ricamati con perle nel Tesoro della
Cattedrale di Esztergom
391
Anna Rosa Venturi
I codici corviniani della Biblioteca Estense
415
György Domokos
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499)
421
Ágnes Szabó; György Domokos
L’entrata del cardinal Tamás Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti
manoscritte
433
Bálint Lakatos
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani alla
luce delle ambasciate inviate e ricevute (1490–1526). Uno schizzo
455
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
Contactos comerciales del Conde Nicolás Pálffy (1552–1600)
con el extranjero
483
Alberto Menziani
Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria nel
secolo XIX. Prime note di ricerca
501
Riccardo Pallotti
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria. Alcuni spunti di ricerca
513
Lidia Righi Guerzoni
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi
Forni
527
Alberto Attolini
Intrigo internazionale a Modena. La causa di Crouy-Chanel contro
Francesco V tra alta politica, nazionalismo e massoneria
543
Mojmír Malovecký
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
573
RECENSIONES
587
Vestigia II Research
Documents Related to Hungary
from Mantua, Modena and Milan
Dal Po al Danubio
Così intitolato, il convegno dei giorni 7–8 maggio 2021 avrebbe dovuto aver
luogo già nell’autunno del 2020, ma a causa della situazione pandemica venne
prima procrastinato, poi fu deciso che si sarebbe potuto organizzare solo a
distanza, ovverosia in versione “ibrida”. L’argomento specificato nel sottotitolo,
I rapporti tra la Corte Estense e l’Ungheria attraverso i secoli, ha dato occasione
di presentare i proprî contributi sia ai rappresentanti dei due enti promotori e
ormai consolidati partner della ricerca “Vestigia” sui documenti con riferimento
ungherese negli archivi italiani, cioè l’Archivio di Stato di Modena e il Gruppo
di Ricerca Vestigia dell’Università Cattolica Péter Pázmány di Budapest, sia
alla Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi (Modena
e Reggio Emilia), all’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti di Modena,
al Centro studi ARCE – Archivio Ricerche Carteggi Estensi, nonché al Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna. L’evento
ha goduto anche del sostegno del Segretariato Regionale per l’Emilia-Romagna
del Ministero della Cultura, dell’Archivio di Stato di Mantova e dell’Istituto
Istruzione Superiore “Archimede” San Giovanni in Persiceto (Bologna).
A distanza di poco più di un anno presentiamo in questo numero speciale di
«VERBUM Analecta Neolatina» gran parte dei contributi che si possono anche
reperire sul canale Youtube di Vestigia nella forma originale di lezioni. Inoltre,
abbiamo il privilegio di offrire ulteriori studi che sono nati in collaborazione
con il nostro gruppo di ricerca.
Procedendo in senso cronologico, iniziamo con il primo contributo di Riccardo Pallotti, dell’Archivio di Stato di Modena, che ha ricostruito minuziosamente i documenti in riferimento al matrimonio tra Alisia de Châtillon e Azzo
d’Este (1204), ovvero il primo contatto tra le dinastie regnanti dell’Ungheria e
delle terre estensi. L’autore illustra il contesto politico-storico più ampio per
spiegare l’importanza di queste nozze. Hajnalka Kuffart, una delle ricercatrici
del Gruppo di Ricerca Vestigia, attualmente impegnata presso l’Istituto Storico
dell’Ungheria, ha ricostruito con un lavoro preciso il testo di un itinerario particolarmente importante per i rapporti tra i due paesi. Giovanni Maria Parenti,
chierico di Modena, descrive il viaggio compiuto nel 1486 da Venezia fino alla
corte ungherese al seguito dell’oratore ducale Cesare Valentini, con l’intento
260
György Domokos
di preparare l’arrivo del minorenne Ippolito d’Este, nominato arcivescovo di
Esztergom. Il documento, conservato in pessimo stato ma ancora leggibile, offre
interessantissimi spunti storico-culturali. Abbiamo poi un bel contributo che
riguarda i reali d’Ungheria ma si basa su fonti diverse: Patrik Paštrnák, dell’Università Palacky di Olomouc presenta un’orazione gratulatoria dell’ambasciatore
veneziano Badoer che riguarda il fidanzamento di Beatrice e Mattia, il cui testo
è custodito stranamente in due codici che si trovano l’uno a Uppsala in Svezia e
l’altro a Lipsia, in Germania. Dello stesso fidanzamento tratta anche l’articolo di
Tibor Martí, dell’Istituto di Storia del Centro di Studi Umanistici di Budapest.
I documenti, in base ai quali Martí ha riconstruito i contratti e le tappe delle
trattative per la stipula del matrimonio sono stati scoperti in parte in Spagna.
Ilona Kristóf, anche lei membro del gruppo Vestigia e professoressa di storia
presso l’Università Cattolica Károly Eszterházy di Eger, espone le proprie osservazioni su un aspetto particolare di Beatrice d’Aragona, regina d’Ungheria e
figura chiave nella storia dei rapporti italo-ungheresi nel Rinascimento. In base
a documenti e riflessioni l’autrice si concentra sul ruolo „materno” di Beatrice,
che non ebbe figli e perciò continuava a chiedere ai suoi parenti figli per potersi
sentire madre. Ágnes Szabó, storica dell’arte e dottoranda presso l’Università
Cattolica Péter Pázmány analizza alcuni aspetti particolari dei paramenti liturgici descritti nei documenti degli italiani in terra ungherese, alcuni pezzi
dei quali sono ancora identificabili grazie agli inventari di epoca posteriore.
Il titolo del suo saggio è preso proprio dalla relazione di viaggio di Giovanni
Maria Parenti nel 1486, presentata nell’articolo di Hajnalka Kuffart. Anna Rosa
Venturi, di Modena, docente della Scuola di Archivistica e già direttrice della
Biblioteca Universitaria Estense, ripercorre le tappe dei rapporti tra Buda e
Ferrara attraverso il patrimonio librario, da Ladislao V a Mattia Corvino. Lo
scrittore di queste righe offre un saggio preliminare di un epistolario in corso
di pubblicazione. Taddeo Lardi, ufficiale di Ippolito d’Este a Esztergom e Buda
e quindi due volte governatore della diocesi di Eger, mandò dall’Ungheria a
Ferrara più di settanta lettere durante gli oltre venti anni del suo soggiorno.
Il saggio qui presentato si concentra sulle prime lettere che sono del periodo
1487–1499.
Sempre György Domokos, ma stavolta assieme a Ágnes Szabó, propone anche un confronto di due relazioni dello stesso evento: l’entrata del cardinal Tamás Bakóc a Roma nel 1512. La sfilata, i vestiti, l’itinerario, il contesto vennero
infatti immortalati sia da Stazio Gadio, per conto dei signori di Mantova, sia
da Ludovico da Fabriano per gli Estensi di Ferrara. Bálint Lakatos, che lavora
presso nel Gruppo di ricerca ungherese per gli studi medievali, riassume nel
suo saggio le nozioni basilari sulle ambascerie e sugli ambasciatori tra gli stati
Dal Po al Danubio
261
italiani e il Regno d’Ungheria, offrendo anche un elenco delle persone coinvolte
nei rapporti diplomatici nel periodo di Mattia Corvino e i re Vladislao II e Luigi
II. Due studiose della Slovacchia, Monika Tihanyiová dell’Università di Trnava
e Mária Medveczká dell’Università di Comenio, hanno esaminato per Verbum
un documento scoperto dal gruppo di ricerca a Mantova: Niccolò Pálffy, personaggio chiave della seconda metà del Cinquecento a Posonio (Bratislava) scrisse
questa lettera a Vincenzo Gonzaga, marchese di Mantova. È curioso notare la
lingua mista della lettera, ma il saggio va molto oltre e ricostruisce il contesto
storico-culturale del documento. Con un salto nel tempo, arriviamo all’articolo
di Alberto Menziani, della Deputazione di Storia Patria di Modena. L’autore
offre uno sguardo sui rapporti tra gli Austria-Este e l’Ungheria, specialmente
sui rapporti di carattere militare.
Anche il secondo contributo di Riccardo Pallotti rientra nel periodo tra fine
Settecento e inizio Ottocento, con speciale riguardo ai diari di viaggio del futuro
Francesco IV di Austria-Este, il quale nel 1805 descrive le città dell’Ungheria. Un
altro viaggiatore modenese dell’Ottocento, il conte Luigi Forni, viene analizzato
insieme con la sua opera dalla professoressa Lidia Righi Guerzoni, dell’Archivio
di Stato di Modena. Un ulteriore contributo che ci viene da Modena è quello di
Alberto Attolini, che getta luce sullo scandalo o meglio intrigo politico dell’Ottocento, legato alla figura di Claudio Francesco Augusto Crouy-Chanel che
pretendeva di essere discendente diretto del re ungherese Andrea III. Il fatto
vede coinvolto anche il barone Albert Nyáry, pioniere delle ricerche ungheresi
a Modena. L’ultimo contributo di questo numero di Verbum viene pure dalla
Slovacchia ed offre un’interessante prospettiva nel tempo e nello spazio. Mojmír Malovecky ha analizzato nel suo articolo un romanzo ottocentesco dello
scrittore slovacco Ján Kalinčiák, il quale prese come protagonista il figlio naturale di re Mattia Corvino, Giovanni Corvino, nominato da suo padre principe di
Liptovia. L’autore del saggio confronta i fatti e personaggi storici con quelli del
romanzo e inoltre analizza la possibilità di utilizzare nell’insegnamento questo
tipo di testi.
L’insieme di saggi del Gruppo di Ricerca Vestigia, degli studiosi dell’Archivio
di Stato di Modena e delle altre istituzioni coinvolte dimostra che la ricerca nel
campo delle fonti originali ha ancora molto da dire. Le relazioni che intercorrono dal Po al Danubio sono rafforzate ulteriormente da questo volume che si
spera sia solo una tappa della collaborazione ormai decennale.
György Domokos
Università Cattolica Péter Pázmány, Budapest
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Le nozze di Alisia di Châtillon con Azzo VI d’Este
(1204). Alle origini dei rapporti fra Estensi e
Ungheria al tempo di papa Innocenzo III
Riccardo Pallotti
Archivio di Stato di Modena
riccardo.pallotti@cultura.gov.it
Abstract
Firstly based on sources of the Modena State Archive, the essay focuses on the political
and dynastic relations between the House of Este and the Kingdom of Hungary under
king Imre Árpád (1196–1204) and pope Innocent III (1198–1216), providing a brief
insight into relations between West and East (Papacy, Árpád House, Latin princedom
of Antiochia and Byzantine empire) that served as background to the marriage between
Alisia of Châtillon, Hungarian king’s aunt, and the margrave of Este. Focusing on the
political context of this dynastic union, the essay aims at proving that the marriage
between the daughter of Raynald of Châtillon and Azzo VI could be related to the
crusader ideology of Innocent III and to his political relations as with king Imre in
Hungary as with the Este margraves in northeast Italy. Letters of Innocent III confirm
his political interest in Hungary and his support to Imre in the civil war against Andrea.
Le fonti dell’Archivio di Stato di Modena documentano oltre sei secoli di
relazioni politico-dinastiche tra la Casa d’Este e il Regno di Ungheria. Una lunga
storia che ebbe inizio tra XII e XIII secolo, nel quadro di una complessa trama
di rapporti internazionali tra Occidente e Oriente, ovvero tra il Papato di Innocenzo III, i regni dell’Europa orientale, l’impero bizantino e egli stati crociati
della Terrasanta. Obiettivo del presente lavoro è proprio quello di ricostruire
le prime relazioni del casato estense col l’Ungheria sulla base di fonti inedite
dell’Archivio di Stato di Modena. Lo studio delle fonti d’archivio, inquadrate in
un contesto storiografico, cercherà di dimostrare come le prime relazioni tra gli
Este e la corona ungherese, risalenti al primo Duecento, si possano ricollegare
264
Riccardo Pallotti
a scenari internazionali di ampio respiro, legati in primis all’azione temporale
di papa Innocenzo III (1198–1216) nei confronti delle signorie del Patrimonium,
dei regni europei e dell’Oriente cristiano.
I marchesi d’Este, signori territoriali radicati nella terraferma veneta, instaurarono rapporti con il Regno di Ungheria agli albori del Duecento, quando
Azzo VI d’Este sposò una principessa della corte ungherese, seppure originaria
dell’Oriente crociato, Alisia (o Alice) di Châtillon. La terza moglie del marchese
d’Este era figlia del noto crociato Rinaldo di Châtillon, morto per mano del
Saladino.1 Le nozze di Azzo VI d’Este con Alisia di Châtillon ebbero luogo nel
febbraio 1204, nel bel mezzo della quarta crociata, proprio poche settimane
prima del saccheggio di Costantinopoli. A tale contesto internazionale e alle
reti universalistiche create da papa Innocenzo III vanno riferite, con ogni probabilità, queste nozze, che avvicinavano la signoria estense ad una monarchia
europea e, al contempo, agli stati crociati del Vicino Oriente.
L’ipotesi trova conferma nel legame politico fra papa Innocenzo III e re Imre
d’Ungheria (1196–1204), figlio di Béla III (1172–1196) e della sorella di Alisia,
Agnese di Châtillon. Zia di Imre, Alisia di Châtillon aveva trovato riparo alla
corte ungherese dopo la morte del padre in Terrasanta. Bolle papali trasmesse
da Pellegrino Prisciani e da Lodovico Antonio Muratori attestano la speciale
protezione conferita da Innocenzo III a re Imre e ad Alisia. Di una simile protezione papale godeva negli stessi anni il guelfo Azzo VI d’Este, la cui azione
politico-militare nella terraferma veneta, a Ferrara e nella Marca di Ancona
andava a vantaggio della politica di “recuperazione” di Innocenzo III.
Alisia e Agnese di Châtillon/Antiochia
Alisia era figlia del condottiero crociato Rinaldo di Châtillon e di Stefania di
Milly, nata da Filippo, signore di Nablus, nella Cisgiordania.2 Rinaldo era giunto
in Terrasanta al tempo della seconda crociata, negli anni Quaranta del XII
1
Su Rinaldo di Châtillon si veda: B. Hamilton, The elephant of Christ: Reynald of Châtillon, in
«Studies in Church History», 15 (1978), pp. 97–108.
2
La madre di Alisia era anch’essa esponente di un casato francese che in Terrasanta aveva dato
vita ad un dominio territoriale. Su Stefania di Milly si veda: L. Fragai, I complessi palatini islamici
della Giordania tra XIII e XIV secolo: origine e ruolo storico, politico, ideologico di un tipo edilizio
monumentale alla luce dell’archeologia leggera. Il caso di Kerak, Tesi di dottorato della Sapienza –
Università di Roma, Scuola dottorale in Archeologia, Curriculum Archeologia e Antichità PostClassiche, tutor Prof. G. Vannini, Ciclo XXX (a.a. 2014–2015), pp. 91–93.
La dote di Beatrice d’Aragona
265
secolo. Grazie alle sue prime nozze con Costanza di Antiochia aveva ottenuto la
signoria di quel principato. Attorno al 1160 era stato catturato dai musulmani,
rimanendo prigioniero ad Aleppo per lunghi anni.3 Con la prigionia aveva
perduto il dominio sul principato di Antiochia, che con la morte di Costanza
(1163) era passato a suo figlio Boemondo III d’Altavilla. Nonostante la perdita
di Antiochia, però, Rinaldo, una volta riottenuta la libertà, era riuscito ad ottenere un nuovo dominio territoriale sposando Stefania di Milly (1175), erede
della signoria dell’Oltregiordano. Si trattava dei territori situati ad est del fiume
Giordano; qui il potere militare dei crociati aveva il suo fulcro nelle fortezze di
Kerak e Montréal.4 È in uno di questi luoghi, sedi di Rinaldo, che con ogni
probabilità Stefania diede alla luce Alisia, presumibilmente all’inizio degli anni
Ottanta del XII secolo.
Sono ben note le vicende della guerra tra Rinaldo di Châtillon e il Saladino; l’uccisione del condottiero crociato dopo la battaglia di Hattin e la caduta
di buona parte dell’Oltregiordano causarono l’abbandono di questi luoghi da
parte della piccola Alisia, che dovette così lasciare la Terrasanta. Le notizie di
cui disponiamo sono assai scarse, ma sappiamo che la bambina fu accolta in
Ungheria, regno della sua sorellastra Agnese (ca. 1153–1184), nate dalle prime
nozze di Rinaldo con Costanza di Antiochia.
Agnese era divenuta regina di Ungheria nel 1172, a seguito delle sue nozze
con Béla III Árpád. Non sappiamo se ella era ancora in vita al momento dell’arrivo in Ungheria della sorella minore; se ipotizziamo, infatti, che Alisia abbia
lasciato la Terrasanta solo dopo la morte del padre, nel 1187, a quella data la
regina era già morta. Figlie dello stesso padre ma nate da madri diverse, le due
principesse, molto distanti per età, conobbero destini assai differenti; nondimeno furono entrambe legate all’Ungheria, naturalmente soprattutto Agnese, che
ne fu regina per oltre un decennio.
Agnese era figlia di Rinaldo di Châtillon e di Costanza d’Altavilla, titolare del
principato latino di Antiochia. Vedova di Raimondo di Poitiers, la principessa
Costanza sposò Rinaldo nel 1153, e dall’unione nacque dopo poco la futura
regina di Ungheria. Agnese era ancora molto giovane quando le travagliate
vicende del principato di Antiochia la condussero a Costantinopoli, dove crebbe
alla corte della sorellastra Maria, moglie dell’imperatore Manuele I Comneno.5
3
Hamilton, The elephant, cit., p. 99.
Fragai, I complessi, cit., passim.
5
Maria era figlia di Costanza di Antiochia e del suo primo marito, Raimondo di Poitiers.
4
266
Riccardo Pallotti
Le strette relazioni tra la corte bizantina e la dinastia franco-normanna regnante in Antiochia erano collegate all’azione politica condotta dall’imperatore
Manuele I verso gli stati latini d’Oriente.6 Rinaldo di Châtillon fece atto di sottomissione al Basileús bizantino, che nel 1159 entrò in Antiochia.7 La successiva
cattura di Rinaldo da parte dei Musulmani fu seguita dallo scontro tra la principessa Costanza e il proprio figlio Boemondo III per il controllo del principato
antiocheno.8 In un contesto segnato da lotte interne e dalla crescente influenza
bizantina, le due figlie di Costanza, Maria e Agnese, lasciarono Antiochia per
Costantinopoli; Maria sposò l’imperatore Manuele nel 1161 e vari anni più tardi
fu raggiunta sulle rive del Bosforo da Agnese, che là assunse il nome greco di
Anna.
Oltre al Vicino Oriente e all’Italia, dove Manuele riconquistò parte dei domini
bizantini, la politica imperiale di quegli anni guardava ai regni dell’Europa
centrale ed orientale, sospesi tra Occidente latino e Oriente greco. Le mire
di Manuele I si concentravano in particolare sull’Ungheria, la cui ubicazione
geografica le conferiva un’indubbia centralità nei rapporti tra il mondo greco e
quello latino, sul piano politico e militare così come su quello ecclesiologico e
culturale.9 Per assoggettare l’Ungheria l’imperatore dei Romei perseguì la via
dell’intervento diretto nelle dispute interne al casato arpadiano.10 I fatti sono
6
Tale azione vide il principato di Antiochia sottomettersi alla sovranità bizantina, mentre lo
stesso re di Gerusalemme Baldovino III si poneva sotto la protezione del Basileús Manuele I
Comeno. Le notizie generali sul Comneno e i suoi rapporti con Antiochia e l’Ungheria sono qui
tratte da: G. Ostrogorsky, Storia dell’impero bizantino, trad. it. di P. Leone, Torino 2014 (III ed.),
pp. 345–356. Vedi anche: R.-J. Lilie, Bisanzio. La seconda Roma, (tit. orig. Byzanz. Das zweite Rom),
trad. it. di G. Montinari, Roma 2005, pp. 361–394.
7
Ostrogorsky, Storia, cit., pp. 350–352; Hamilton, The elephant, cit., p. 98.
8
Il tentativo di Boemondo III di estromettere la madre dal principato fu appoggiato dal re di
Gerusalemme Baldovino III. Per conservare il potere Costanza si rivolse a Costantinopoli e le
trattative che ne seguirono portarono alle nozze della figlia Maria con l’imperatore bizantino
(1161). Nonostante l’appoggio bizantino, Costanza fu però cacciata da Antiochia, morendo
attorno al 1163.
9
L’Ungheria, inoltre, era la terra d’origine della madre, la principessa Piroska, divenuta
Basilissa dei Romei col nome di Irene.
10
Alla morte di re Géza II Árpád (1162) l’ascesa al trono di suo figlio Stefano III fu osteggiata da
Stefano IV (1163) e Ladislao II (1162–1163), fratelli del defunto sovrano. L’imperatore Manuele I si
inserì nel conflitto sostenendo i fratelli di Géza II contro Stefano III, che invece ottenne l’appoggio
tedesco e del re di Boemia, quest’ultimo formalmente vassallo dell’imperatore d’Oriente. Per le
vicende arpadiane principale riferimento sono naturalmente le opere di Attila Zsoldos e Gyula
Kristó.
La dote di Beatrice d’Aragona
267
ben conosciuti, tuttavia pare qui opportuno ricordarli; la diplomazia bizantina
trovò un accordo (1164) fra le parti in lotta per il trono magiaro, in base al quale
Béla, fratello minore di Stefano III Árpád (1162–1172), fu riconosciuto erede al
trono ed investito dei territori di Croazia e Dalmazia; il giovane fu inviato come
ostaggio a Costantinopoli, assumendo il nome greco di Alessio.11 L’imperatore
bizantino consolidava così i propri domini nei Balcani e nell’Adriatico e legava
alla propria famiglia il futuro re di Ungheria; per rafforzare tale vincolo Manuele I fidanzò la propria figlia al principe Béla/Alessio, che fu designato erede
al trono bizantino. Tuttavia, quando Maria di Antiochia diede all’imperatore
Manuele un erede maschio, Béla vide allontanarsi la porpora imperiale;12 il
suo fidanzamento fu sciolto e il Basileús gli diede in sposa la propria cognata,
Agnese/Anna, anch’ella ostaggio alla corte bizantina. Le nozze furono celebrate
attorno al 1170 e due anni più tardi Béla salì sul trono d’Ungheria assieme alla
moglie Agnese.
Béla e Agnese avevano ereditato un regno assai vasto, che si estendeva dalla
Galizia all’Adriatico;13 il nuovo re cercò di ampliarne ulteriormente i confini,
perseguendo una politica di espansionismo nei Balcani che lo portò ad occupare
territori soggetti a Costantinopoli.14 Nei Balcani gli Ungheresi si scontrarono
non solo con l’impero bizantino ma anche con la repubblica di Venezia, il cui
forte espansionismo commerciale nel Mediterraneo orientale si accompagnava
a mire territoriali sulla vicina Istria e sulla Dalmazia.15 Seguirono così due guerre tra la corona ungherese la Serenissima (1180–1188, 1190–1191). Nel corso
11
Ostrogorsky, Storia, cit., p. 351.
Su Béla/Alessio vedi Ostrogorsky, Storia, cit., p. 352 ; Lilie, Bisanzio, cit., p. 381.
13
Su Béla III e Agnese si veda il seguente volume: 150 Éve Történt… III. Béla és Antiochiai Anna
sírjának fellelése, a cura di G. Fülöp, A Szent István Király Múzeum közleményei B. sorozat 49.
szám, Székesfehérvár 1999.
14
La morte di Manuele I (1180) incrinò gli antichi legami di Béla III con l’Impero bizantino:
l’imperatrice vedova Maria di Antiochia, cognata di Béla, reggente in nome di Alessio II, non
poté conservare le conquiste del marito e già nel 1181 Béla III occupò la Dalmazia, la Croazia
e Sirmio. La rottura definitiva ebbe luogo con il colpo di stato di Andronico Comneno, il quale
prese il potere e mandò a morte Maria e suo figlio Alessio II (1183). In tutta risposta Béla III
si alleò con Stefano Nemanja e occupò Belgrado, Branicevo, Nis e Sofia. La minaccia serboungherese, le rivolte interne e i successi dei Normanni decretarono, come è noto, la violenta
fine di Andronico I Comneno. Con l’ascesa degli Angeli ripresero i rapporti fra l’Ungheria e
Costantinopoli: Margherita, figlia di Agnese e Béla III, sposò l’imperatore Isacco II Angelo (vedi
Ostrogorsky, Storia, cit., pp. 359–361).
15
Sulla politica arpadiana verso la Dalmazia si rinvia al recente volume di J. Gál, Dalmatia and
the Exercise of Royal Authority in the Árpád-Era Kingdom of Hungary, Budapest, 2020.
12
268
Riccardo Pallotti
degli anni Ottanta del XII secolo venne a morte la regina Agnese, che si spense
attorno al 1184. Rimasto vedovo, Béla III optò presto per nuove nozze, sposando
Margherita, sorella del re di Francia, Filippo Augusto, con la cui monarchia
aveva avviato nuove relazioni. In tale contesto il re ungherese aderì, fra i suoi
ultimi atti, al progetto della terza crociata, che vide, come noto, la partecipazione di Riccardo Cuor di Leone, del Barbarossa e dello stesso Filippo Augusto; in
particolare il sovrano ungherese supportò le truppe imperiali tedesche nel loro
viaggio attraverso i Balcani.16
Re Imre e papa Innocenzo III (1198–1204)
Dalle nozze Béla III con Agnese erano nati due figli maschi, Imre (Emerico) e
András/Endre (Andrea). Alla morte del re nel 1196, il trono ungherese passò
al primogenito Imre, ma non senza contrasti. András infatti non tardò a rivendicare il trono e mosse guerra al fratello. La guerra tra Imre e András vide
l’intervento della Chiesa di Roma, guidata in quegli anni da un pontefice dotato
di straordinaria preparazione intellettuale ed energia, Innocenzo III, al secolo
Lotario dei Conti dei Segni.17 Eletto al soglio pontifico nel gennaio del 1198,
egli fin da subito indirizzò la propria azione spirituale e temporale verso est,
dedicando particolare cura ai rapporti con i regni dell’Europa orientale, con
Costantinopoli e con gli stati latini della Terrasanta.
Il regno ungherese rivestiva un ruolo di primaria importanza nel disegno
universalistico di Innocenzo III; la politica di questo papa, infatti, mirava decisamente all’affermazione della supremazia della Chiesa di Roma nell’Europa
orientale, dal Baltico al Mar Nero. L’Ungheria, data la sua ubicazione strategica,
svolgeva un ruolo fondamentale nell’azione politica del pontefice, finalizzata ad
estendere l’influenza romana ai regni slavo-ortodossi di Serbia e Bulgaria. Tale
azione ebbe successo nei confronti della Bulgaria, dove re Kalojan si sottomise
16
Sul contributo ungherese alla terza crociata si veda J. R. Sweney, Hungary in the Crusades,
1169–1218, in «The International History Review», vol. 3, n. 4 (ottobre 1981), pp. 467–481.
17
Per i regni di Imre e András II e più in generale per la storia della dinastia arpadiana si rinvia
ovviamente alle opere di Attila Zsoldos e Gyula Kristó. Una buona sintesi in lingua italiana delle
vicende ungheresi di inizio Duecento è offerta dal seguente lavoro: J. Radulović, L’Ungheria nella
prima metà del Duecento. Rivolgimenti interni e pressioni esterne, Tesi di Dottorato di ricerca,
Università degli Studi di Milano, Scuola di Dottorato in Humanae Litterae, Dipartimento di Studi
storici, Corso di Dottorato in Studi storici e documentari, tutor Prof.ssa E. E. Occhipinti, co-tutor
Prof. G. Andenna, Ciclo XXVI (a.a. 2012/2013), pp. 12–18, 43–62.
La dote di Beatrice d’Aragona
269
alla Chiesa di Roma, ottenendo la corona dallo stesso Innocenzo III; richiese
la corona al pontefice romano anche Stefano II Nemanijc di Serbia. Al contempo, l’espansionismo ungherese nei Balcani favoriva gli interessi papali, che
venivano a coincidere con quelli arpadiani; particolarmente importante, per la
Curia romana, era il sostegno di re Imre nei territori della Bosnia, ove si era
affermata l’eresia bogomila. Ben nota, infatti, è la centralità della lotta all’eresia
nell’ideologia di Innocenzo III, che negli stessi anni bandiva la crociata contro
gli Albigesi (catari), nella Linguadoca. In Bosnia l’azione politica e militare
ungherese contro i Bogomili favorì significativamente la Chiesa di Roma, con
la sottomissione di Ban Kulin ad Innocenzo III nel 1203.
Anche le vicende della quarta crociata videro il pontefice offrire la propria
protezione al re ungherese, come avvenne durante i fatti di Zara del 1202,
quando le truppe veneziane e francesi della quarta crociata deviarono sulla città
dalmata, saccheggiandola; il papa scomunicò gli stessi crociati, macchiatisi del
saccheggio di una città cristiana soggetta alla corona ungherese.
L’influenza di papa Innocenzo III sugli indirizzi della politica ungherese si
manifestò anche in relazione alle nozze di Imre; fu infatti attraverso la mediazione del pontefice che il sovrano magiaro sposò la principessa Costanza
d’Aragona, attorno al 1199. Fu poi sempre per volontà di Innocenzo III che,
molti anni dopo, Costanza, vedova di Imre, andò sposa al re di Sicilia, il giovane
Federico II, pupillo del papa.
Preziose testimonianze dell’azione papale nei confronti dell’Ungheria provengono dai registri della cancelleria di Innocenzo III.18 Essi conservano numerose lettere papali riguardanti il regno arpadiano, che fu al centro degli interessi
di questo papa fin dai primi giorni del suo pontificato. Dai carteggi pontifici
emergono i solidi legami della corte arpadiana con la Santa Sede, nonostante
alcuni momenti di tensione dovuti specialmente a contenziosi tra l’autorità
regia e il vescovo di Vác e l’arcivescovo di Kalocsa.
Le lettere di papa Innocenzo III documentano ampiamente la guerra civile
tra re Imre e il fratello András, duca di Croazia e Dalmazia. In tale conflitto il
pontefice si schierò a favore di re Imre. Già il 29 gennaio 1198, pochissimi giorni
dopo la sua elezione, il papa inviò una dura lettera ad András, sollecitandolo ad
adempiere al voto della crociata fatto dal padre Béla III; in caso di rifiuto, egli
sarebbe stato colpito dall’anatema e privato dei suoi diritti sul trono unghere18
Die Register Innozenz’ III. 1. Pontifikatsjahr, 1198/99: Texte, a cura di Othmar Hageneder e
Anton Haidacher (Publ. der Abt. für Histor. Studien d. Österr. Kulturinstituts in Rom, II. Abt., I.
Reihe, Bd. 1: Texte), Graz–Köln 1964.
270
Riccardo Pallotti
se.19 Alcuni mesi più tardi, il 15 giugno 1198, Innocenzo III ingiunse ad András
di essere fedele al re e gli proibì qualsiasi azione militare verso il fratello;20 in
caso di rifiuto, gli arcivescovi Jób di Esztergom21 e Saul di Kalocsa22 avrebbero
dovuto infliggergli sanzioni di carattere spirituale. Il pontefice intervenne anche
contro il clero fedele ad András; il 30 dicembre 1198 ordinò all’arcivescovo
Saul di Kalocsa e ai vescovi di Győr e Zagabria di annullare, dopo un nuovo
esame, l’elezione dei vescovi di Zara e Spalato, vicini allo scomunicato András;
come già il duca di Croazia, anche questi vescovi ribelli ad Imre venivano ipso
iure scomunicati.23 Pochi giorni dopo, l’8 gennaio 1199, il papa vietava al clero
ungherese di infliggere illecite sanzioni spirituali ai consiglieri e ai familiares
di Imre.24
Nel 1198 il neoeletto pontefice aveva bandito la crociata per la liberazione dei
luoghi santi; tuttavia, nel caso del regno ungherese, prendendo atto dello stato
di guerra interna al regno, dispensò dal voto della crociata vari fedeli di re Imre;
fu così per il conte Botho di Moson ed altri venti personaggi che su richiesta
di Imre, il 16 giugno 1198, ottennero dal papa la dispensa dal voto, almeno
finché il regno non si fosse pacificato. Già tra gennaio e febbraio di quell’anno
Innocenzo III aveva concesso un’analoga dispensa temporale all’arcivescovo
Jób di Esztergom.25
19
Die Register, cit., n. 10, p. 17.
Ibidem, n. 271, pp. 374–375.
21
Sull’arcivescovo Jób e i suoi rapporti con la corona si veda Gy. Győrffy, Jób esztergomi érsek
kapcsolata III. Béla királlyal és szerepe a magyar egyházi művelődésben, in «Aetas» 9 (1994/1),
pp. 58–63.
22
Nelle lettere di Innocenzo III relative all’Ungheria rivestono particolare importanza la Chiesa
di Kalocsa e il suo presule Saul. Il 14 giugno 1198 Innocenzo III ordinò al vescovo Elvin di Várad di
comparirgli dinanzi, in Roma, entro la festa della Natività di Maria dello stesso anno, affinché gli
fosse inflitta una penitenza per certi crimini di cui si era macchiato; per la sua condotta egli era già
stato scomunicato dall’arcivescovo Saul di Kalocsa, di cui il vescovo di Várad era un suffraganeo
(Die Register, cit., n. 269, p. 372). Inoltre il 22 dicembre 1198 il papa incaricò re Imre di obbligare
al pagamento delle decime le comunità slave residenti nella diocesi di Kalocsa (Die Register, cit.,
n. 500, pp. 728–729). Innocenzo III intervenne anche in Transilvania, dove una disputa opponeva
il vescovo Adriano di Gyulafehérvár (Alba Iulia) alla prepositura di Nagyszeben in merito ai
rispettivi diritti sulle comunità sassoni di quei territori (Siebenbürger); con una lettera del 15
giugno 1198, il papa confermò la sentenza già emessa dal legato pontificio Gregorio de Sancto
Apostolo (Die Register, cit., n. 272, pp. 375–377).
23
Die Register, cit., n. 510, pp. 745–746.
24
Ibidem, n. 511, pp. 746–747.
25
Ibidem, n. 270, pp. 373–374. Negli stessi giorni il papa sottopose il monastero di Telki alla
giurisdizione ecclesiastica di Esztergom e incaricò lo stesso arcivescovo Job di riformare quella
20
La dote di Beatrice d’Aragona
271
Imre fu impegnato nel conflitto col fratello per quasi tutta la durata del suo
regno. Fu però solo la sua prematura scomparsa, nel novembre 1204, a permettere ad András di salire al trono. Prima di morire Imre aveva fatto incoronare
re il figlio Ladislao, un bambino, ottenendo dal fratello garanzie in merito al
rispetto dei suoi diritti. Tuttavia, alla morte del re, András si impadronì del
potere, costringendo Ladislao III e la madre Costanza d’Aragona a riparare a
Vienna. Iniziò così il lungo regno di András II (1205–1235), monarca che in
questa sede va ricordato soprattutto per le sue nozze con Beatrice d’Este, nel
1234.26
Alisia dalla terrasanta all’Ungheria
Numerose lettere di Innocenzo III riguardanti l’Ungheria risalgono al giugno
del 1198. Reca la data del 16 giugno, come già visto, la lettera riguardante
la dispensa al conte di Moson, fidelis di Imre. È datato 16 giugno 1198 anche
un altro documento innocenziano riguardante l’Ungheria, che ci è noto unicamente attraverso l’opera di Pellegrino Prisciani. L’umanista ferrarese trascrisse
questo documento nelle sue Historiae Ferrariae alla fine del Quattrocento; la sua
trascrizione, ripresa dal Muratori nel XVIII secolo, costituisce l’unico esemplare
superstite di una bolla con cui il papa accordò la propria protezione ad Alisia
di Châtillon. In appendice al saggio si riporta il testo della bolla trascritto dal
Prisciani, comparato con l’edizione muratoriana.
Pellegrino Priscani, custode dell’archivio estense tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, copiò il documento innocenziano nelle sue Historiae Ferracomunità monastica (Die Register, cit., mancano il numero e la pagina!). Va ricordato come
proprio in quei giorni, il 3 febbraio 1198, Innocenzo III conferì un incarico analogo al vescovo
di Ferrara Uguccione, chiamato a riformare l’antica abbazia nonantolana (Die Register, cit., n. 9,
pp. 14–16). Sempre tra gennaio e febbraio del 1198 Innocenzo III permise a re Imre di portare
avanti l’edificazione di un monastero già avviata dal conte Botho di Bihar, cambiando però il sito
a vantaggio di un luogo meglio difeso e più adatto, con il consenso della locale autorità vescovile
(Die Register, cit., n. 9, pp. 16–17).
26
Sulle nozze di András II con Beatrice d’Este si rimanda agli studi di Patrizia Cremonini: Ead.,
II. András és Beatrice d’Este házasságkötése. (Székesfehérvár, 1234. május 14. (titolo in italiano: “Il
matrimonio tra il re d’Ungheria Andrea II Árpád e Beatrice d’Este – Székesfehérvár, 14 maggio
1234”), in Királynék a középkori Magyarországon és Európában (titolo in italiano: “Regine in
Ungheria medievale e in Europa”) (konferencia, Székesfehérvár, 22 september 2016), a cura di
Kornél Szovák e Attila Zsoldos, Városi Levéltár és Kutatóintézet, Székesfehérvár, 2019, pp. 187–
198; Ead., Note sulle testimonianze dell’Archivio di Stato di Modena con riferimento alle relazioni
Stato estense – Regno d’Ungheria, in «RSU. Rivista di Studi Ungheresi», XVI (2017), pp. 105–154.
272
Riccardo Pallotti
riae.27 È quindi possibile che egli avesse trovato un esemplare della bolla fra gli
atti dell’archivio ducale, esemplare poi andato perduto. Già in età muratoriana
non vi era più alcuna traccia di questo documento nell’archivio estense.
La misteriosa bolla è trascritta nel terzo volume delle Historiae Ferrariae, alla
carta 19v. Inoltre, le carte delle Historiae immediatamente precedenti recano
notizie, ordinate cronologicamente, su Rinaldo di Châtillon, sulla sua prima
moglie Costanza e sul principato latino di Antiochia. La c. 19v del terzo volume
reca la trascrizione della bolla sul margine sinistro del foglio; al centro, invece, si
staglia una magnifica illustrazione, raffigurante una flotta in mare e movimenti
di truppe sulla terraferma. Al centro del disegno, in primo piano, si riconosce
una figura femminile, evidentemente una principessa, a bordo di una nave.
Poiché il disegno è collocato esattamente a fianco del testo, e considerando la
funzione didascalica delle illustrazioni nell’opera del Prisciani, siamo portati
ad ipotizzare che la principessa raffigurata in primo piano sia proprio Alisia
di Châtillon, nel suo viaggio dalla Terrasanta verso l’Occidente a seguito dell’uccisione del padre. Il braccio di mare raffigurato potrebbe essere quindi il
Mediterraneo orientale, con l’isola di Cipro, compreso tra l’Anatolia, l’Egitto e
la Palestina. Come ci suggeriscono gli abiti e gli equipaggiamenti illustrati, le
truppe raffigurate in alto potrebbero essere gli eserciti della terza crociata in
marcia attraverso l’Anatolia bizantina; i soldati rappresentati in basso, invece,
potrebbero essere le forze del Saladino che risalgono dall’Egitto. Solo uno studio
più analitico delle illustrazioni e una completa trascrizione del testo di Prisciani
potranno fornire elementi per una più sicura attribuzione.
Il documento pontificio trasmesso dal Prisciani era ben noto a Lodovico
Antonio Muratori, che lo pubblicò nelle Antichità Estensi.28 Su questa principessa l’erudito vignolese espresse le seguenti considerazioni: “Dirò solamente
ch’essa (Alisia) dopo le disgrazie de’ Cristiani in Oriente si ritirò alla Corte del
Re d’Ungheria, dove fu concluso il suo matrimonio col Marchese Azzo; e che
il Prisciano ci ha conservato una Bolla di Innocenzo III. Papa alla medesima,
che merita di essere qui riportata”.29 Inoltre, i documenti riguardanti la figlia
di Rinaldo di Châtillon furono pubblicati anche nelle Ricerche istorico-critiche
dell’estense Isidoro Alessi.30
27
P. Prisciani, Historiae Ferrariae, VII, ms. 131, c. 19 v.
L. A. Muratori, Delle Antichità Estensi ed Italiane. Parte prima, Modena 1717, pp. 378–379.
29
Ibidem, p. 378.
30
I. Alessi, Ricerche istorico-critiche delle antichità di Este, I, Padova 1776, pp. 646 e segg.
28
La dote di Beatrice d’Aragona
273
Non è tutto. Sempre seguendo il filo conduttore Prisciani-Muratori è possibile risalire ad una seconda bolla papale del 1198, con cui la protezione di
Innocenzo III fu accordata anche ad Azzo VI.31 Il testo, soprattutto nella parte
dispositiva, ricorda molto da vicino il documento a favore della principessa.
Questo secondo documento è datato Anagnie VII. Id. Ocotbris, Pontificatus nostri
Anno I. Dunque, sarebbe stato rilasciato ad Anagni il 9 ottobre 1198, pochi mesi
dopo la bolla di Alisia; confermerebbe questa datazione alta, come suggerisce
il Muratori, il fatto che ad Azzo, nel documento, non venga attribuito il titolo
di marchese di Ancona. Il Vignolese aggiunge però un’interessantissima considerazione: “Ma sembrando, che quivi il Sommo pontefice intenda di proteggere
il Marchese Estense contra gli sforzi d’Ottone IV tal atto dovrebbe riferirsi
all’anno 1212, cioè dopo le sentenze promulgate da esso Augusto contra del
medesimo Azzo…”.32 Un’analoga osservazione potrebbe essere riferita anche
alla bolla di Alisia.
Cerchiamo dunque di tirare le somme. Della bolla papale riguardante Alisia
non vi è traccia né nell’Archivio estense né fra i documenti noti di Innocenzo III.
Neppure al tempo del Muratori esistevano copie dell’atto negli archivi ducali. La
bolla del 16 giugno 1198 ci è nota unicamente attraverso l’opera di Pellegrino
Prisciani, ripresa dall’erudito vignolese. Discorso identico vale per la bolla a
favore di Azzo. È dunque verosimile che si possa trattare di documenti spuri,
confezionati non nel 1198 ma più tardi, forse proprio nel 1212, al tempo delle
controversie con Ottone IV, come suggerisce il Muratori. Lo scontro politico
con l’imperatore si ricollegava ad un contenzioso di carattere patrimoniale che
vedeva Azzo VI e Alisia contrapposti allo zio Bonifacio d’Este, legato ad Ottone
IV. Porre se stessi e i propri beni sotto la protezione del pontefice significava, per
i marchesi estensi, assicurarsi la migliore tutela giuridica possibile. La datatio
al 1198, inoltre, rafforzava ulteriormente le posizioni di Azzo e Alisia, in quanto
dimostrava che il papa aveva concesso loro protezione fin dagli esordi del suo
pontificato; una protezione conferita ad essi separatamente, ben 6 anni prima
del loro matrimonio.
Al di là delle precise scansioni cronologiche e degli aspetti patrimoniali, la
tutela accordata dal pontefice ad Alisia appare un dato oggettivo. Se la protezione da parte di Innocenzo III si ricollegava anche al suo interesse per cose
ungheresi, va tuttavia considerato anche un altro aspetto molto importante,
politico e simbolico ad un tempo, connesso alle origini familiari della bambina
31
32
Muratori, Delle Antichità, cit., pp. 401–402.
Ibidem, p. 401.
274
Riccardo Pallotti
e al suo legame con l’Oriente crociato. Nata presumibilmente nella signoria
dell’Oltregiordano nei primi anni Ottanta del XII secolo, Alisia era figlia quel
Rinaldo di Châtillon la cui uccisione per mano musulmana gli aveva ben presto
conferito la fama di martire; una fama di santo martire della fede affermatasi
già a fine XII secolo grazie all’opera di Pietro di Blois, che compose una Passio
Raginaldi principis Antiochie.
La fine del padre portò Alisia lontana dalla Terrasanta, anche se sono pochissime le notizie di cui disponiamo. Sappiamo che fu accolta in Ungheria,
alla corte del cognato Béla III; tuttavia, il suo arrivo e la vita che trascorse alla
corte ungherese sono in larga parte avvolti dal mistero. In questa sede non sarà
possibile approfondire tale questione, assai complessa, che risulta peraltro già
esaminata dalla storiografia ungherese.33 Qui ci limiteremo a ricordare che sono
state avanzate precise ipotesi circa la vita alla corte arpadiana di antiochiai Alíz,
che negli studi ungheresi viene definita hercegnő, “duchessa” in lingua italiana.
Si è ipotizzato che Alisia in Ungheria avesse contratto un primo matrimonio;
prima di andare sposa al marchese d’Este, la giovane sarebbe stata data in
moglie ad un barone del regno, Domonkos di Miskolc, bano di Slavonia, evidentemente deceduto prima del 1204.34 Secondo un’altra ipotesi, invece, basata
sull’interpretazione di un controverso passo della Chronica regia coloniensis, sarebbe da identificare con Alisia la misteriosa principessa, menzionata in quella
fonte, che Béla III avrebbe voluto unire in matrimonio al proprio primogenito
Imre, il futuro re.35
Al di là di queste interessanti ipotesi, quello che pare certo è che la figlia
di Rinaldo di Châtillon abbia ricevuto dai sovrani ungheresi un considerevole
patrimonio. La bolla papale trasmessa dal Prisciani menziona espressamente i
33
Si fa riferimento in particolare ai lavori di György Denés, Tamás Kádár e Tamás Körmendi,
citati nelle note seguenti.
34
T. Kádár, Egy régi keletű genealógiai talány a 12. század végéről: Miskolc nembeli Domonkos
bán rokonsága a magyar királyi családdal, in «Turul. A Magyar Történelmi Társulat, a Magyar
Nemzeti Levéltár Országos Levéltára és a Magyar Heraldikai és Genealógiai Társaság Közlönye»,
XCII (2019), pp. 49–58. Notizie su Alíz anche in: T. Kádár, A külföldi uralkodóházak tagjai, a
külhoni hűbéres fejedelmek, valamint az egyházi főméltóságok és a pápai legátusok tartózkodásai
Magyarországon 1000‒1205 között, in «Történeti Tanulmányok», XXVI (2018), pp. 73–74. Le
lettere di Innocenzo III confermano che Domonkos di Miskolc rientrava fra quei baroni del
regno che erano stati dispensati dal voto della crociata. Le stesse lettere papali ci permettono
di collocare la sua morte entro il 1207.
35
T. Körmendi, Alíz hercegnő és Imre király. Megjegyzések a Kölni Királykrónika 1199-i tudósítása
kapcsán, in «Turul», XCII (2019), pp. 59–68.
La dote di Beatrice d’Aragona
275
beni di Alisia quali frutto di una donazione di Imre. Il sovrano ungherese aveva
assegnato alla sorella della madre una rendita annua di 400 marche d’argento
e beni fondiari costituiti da cento mansi a conduzione servile, dalla villa quae
dicitur Tornai e da altre quattro villae con le loro pertinenze.36 La villa di Tornai
va identificata con la località di Torna (Turňa nad Bodvou/Tornau), oggi in
territorio slovacco, nella regione di Kassa/Košice.37 È comunque ragionevole
ritenere che Imre avesse confermato donazioni precedenti, disposte già da suo
padre Béla al momento dell’arrivo della bambina.
Il soggiorno della figlia di Rinaldo alla corte ungherese fu segnato dalla lotta
tra Imre e il fratello András. Un dato almeno in apparenza degno di rilievo è
la coincidenza temporale tra la fine del regno di Imre e la partenza di Alisia
per l’Italia. Il 1204, infatti, vide le nozze della donna ma anche la malattia e
la morte di Imre. È dunque possibile, a giudizio di chi scrive, che le nozze
“estensi” avvenute proprio nel 1204 siano da ricondurre ai disegni pontifici ed
ungheresi in relazione ai fatti della quarta crociata così come alla situazione
interna dell’Ungheria, dove la ripresa delle ostilità e la salute di re Imre, forse,
lasciavano già presagire l’ascesa di András II.
Alisia in Italia: le nozze con Azzo VI d’Este (1204)
L’Archivio segreto estense conserva una copia autentica dello strumento dotale
di Alisia, che fu rogato dal notaio imperiale Bellellus il 22 febbraio 1204 in terra
friulana, a Gemona, nella chiesa di S. Maria di Clemena.38 Gemona, ai piedi
delle Alpi, sulla via del Tarvisio, era posta lungo la via che collegava la pianura
36
Si legge nel documento innocenziano: “….donationem quadrigentarum Marcharum annui
redditus, et centum mansionum servorum, Villae etiam, quae dicitur Tornai, et aliarum quatuor
Villarum cum omnibus pertinentiis suis…”.
Alisia e le sue proprietà fondiarie di Torna sono oggetto dello studio di György Denés sul
testamento di Béla III: Gy. Denés, III. Béla király végrendelete. Alíz antiochiai hercegnő Torna
birtokosa, in Történet – muzeológia. Tanulmányok a múzeumi tudományok köréből a 60 éves Veres
László tiszteletére, a cura di E. Gyulai e Gy. Viga, Miskolc 2010, pp. 337–346.
37
Torna si trova a brevissima distanza dal confine ungherese. Questo luogo è ancora oggi
dominato dalle rovine di una rocca (“Tornai vár”, “Turniansky hrad”).
38
L’Archivio di Stato di Modena conserva una copia autentica rogata in Este il 16 gennaio 1210
dal notaio imperiale Bonifacio: Archivio di Stato di Modena (ASMo), Archivio Segreto Estense
(ASE), Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 63. Si
veda l’edizione muratoriana: Muratori, Delle Antichità, cit., pp. 379–380.
276
Riccardo Pallotti
veneta all’Europa centrale, e quindi all’Ungheria; la scelta di questo luogo per le
nozze va evidentemente ricondotta alla volontà del marchese Azzo VI di recarsi
incontro alla sposa lungo il suo cammino e di scortarla fino ai domini estensi
attraverso la Marca trevigiana.
Lo strumento, pubblicato dal Muratori, ci indica l’ammontare della dote,
pari a 2000 marche d’argento, che l’Estense, nell’atto, dichiara di aver ricevuto
da Alisia. Contestualmente Alisia ottenne dal marito l’investitura dei propri
beni, mobili e immobili. La dote di Alisia derivava dalle donazioni di re Imre
e con ogni probablità di suo padre Béla III Árpád. La conferma di questo dato
patrimoniale proviene dal fatto che Azzo VI trattò per le nozze (e quindi per la
dote) direttamente con re Imre, inviando in Ungheria i suoi vassalli Alberto da
Baone, Alberico Pandemiglio,39 Martino da Milano e Francesco da Caldiero; essi
curarono il negoziato con il sovrano a nome del marchese e, una volta conclusi
gli accordi, scortarono Alisia fino in Friuli.40
Oltre agli aspetti di carattere giuridico e patrimoniale, lo strumento dotale
riveste anche un interesse storico-politico, in quanto esso mette in luce l’importanza acquisita dal casato estense e la sua centralità nell’aristocrazia veneta,
come si evince dall’elenco dei testimoni: le nozze, infatti, ebbero luogo alla
presenza del patriarca di Aquileia Pellegrino41 e dei vescovi Uberto di Vicenza
e Matteo di Ceneda; oltre ai rappresentanti delle Chiese di Vicenza, Padova ed
Este, erano presenti anche esponenti delle maggiori famiglie dell’aristocrazia
veneta, ovvero Gabriele da Camino, Tommaso conte di Padova, Marsilio da
Carrara e Bonifacio conte di Verona.42 Era presente in qualità di testimone
anche il ferrarese Salinguerra Torelli, che negli anni seguenti avrebbe lottato
39
Sul trevigiano Alberico o Albrighetto Pandimiglio si veda G. M. Varanini, Azzo VI d’Este
(†1212) e le società cittadine dell’Italia nord-orientale:convergenze e divergenze di progetti politici
fra XII e XIII secolo, in Gli Estensi nell’Europa medievale. Potere, cultura e società, Convegno per
l’ottavo centenario della morte di Azzo VI marchese d’Este, 1212–2012 (Este, 15 settembre 2012),
a cura di C. Bertazzo, F.Tognana, Sommacampagna 2014, pp. 135–177, in partic. p. 147. Il saggio
di Varanini è ricco di riferimenti alla figura di Alisia, qui denominata Ailice.
40
Si legge nel documento: “Promisit etiam et convenit suprascriptus Marchio, suprascriptam
Dominam tamquam uxorem suam honeste tractare, profitendo Albertum de Baone, et Albericum
Pandemilio, et Martinum de Mediolano, et Franciscum de Calderio ad hoc nunzio fuisse. Et
quicquid super his in Curia Regis Ungarici pro ipso Marchione cum ipsa Domina fecerunt et
pepigerunt, firmum et ratum habuit” (Muratori, Delle Antichità, cit., p. 380).
41
Gemona, teatro delle nozze, era soggetta al Patriarcato di Aquileia.
42
Il conte Bonifacio di San Bonifacio fu uno dei maggiori alleati di Azzo VI, col quale resse per
anni la podesteria del Comune di Verona.
La dote di Beatrice d’Aragona
277
duramente contro gli Estensi. Fra i notabili ferraresi presero parte alla cerimonia
anche Ottolino Mainardi e Giacomo Fontana.
Ai primi del Duecento gli Estensi erano ancora lontani dal conseguire un
predominio indiscusso su Ferrara; essi possedevano case in città, ma la loro
si configurava ancora, essenzialmente, come una signoria rurale, incentrata sui
castelli e sul dominio fondiario. Tra fine XII e inizio XIII secolo i marchesi d’Este
dominavano vaste aree del Veneto meridionale, nel basso Adige, tra la Marca
veronese e il Polesine.43 Fulcro della signoria estense erano gli aviti castelli
euganei: Este, il castello eponimo, e i vicini castra di Baone, Calaone, Cerro,
cui si aggiungevano gli importanti centri di Monselice e, più ad ovest, di Montagnana. Il dominio signorile estense poggiava su un vasto patrimonio immobiliare, costituito da beni feudali, allodiali e livellari soggetti alla giurisdizione
marchionale.
Se da un lato Azzo VI puntava al consolidamento del dominio territoriale,
dall’altro mirava decisamente all’ascesa politica all’interno dei Comuni cittadini, attraverso il controllo delle magistrature podestarili.44 A Ferrara egli aveva
ottenuto la podesteria già negli anni Novanta del XII secolo, ma a partire dal
1206 divenne podestà anche a Verona, e più tardi di Mantova. Le ambizioni
estensi erano però frenate dai potenti rivali della parte ghibellina, i da Romano
nella Marca trevigiana e Salinguerra Torelli a Ferrara. A Ferrara gli Estensi
43
Ampia è la bibliografia sulle aristocrazie della Marca veronese e trevigiana fra XII e XIII
secolo. In primo luogo vanno richiamati i numerosi studi di Andrea Castagnetti e Gian Maria
Varanini, oltre ai lavori di Daniela Rando e Sante Bortolami. Sugli Este prima del loro radicamento in Ferrara si vedano: A. Castagnetti, Profilo dei marchesi d’Este (sec. XI–XIII), in Studi di storia
per Luigi Ambrosoli, Verona 1993, pp. 1–5; Id., Guelfi ed Estensi nei secoli XI e XII. Contributo allo
studio dei rapporti fra nobiltà teutonica ed italica, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel
Medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno Italico (secc. IX–XII), III, Roma 2003, III, pp. 41–102.
Si vedano anche i saggi presenti nel volume Istituzioni, società e potere nella Marca Trevigiana e
Veronese (secoli XIII–XIV). Sulle tracce di G.B. Verci, a cura di M. Knapton, G. Ortalli, Roma 1988.
Più in generale si vedano studi contenuti nei seguenti volumi: Istituzioni, società e potere nella
Marca Trevigiana e Veronese (secoli XIII–XIV). Sulle tracce di G.B. Verci, a cura di M. Knapton,
G. Ortalli, Roma 1988; Il Veneto nel medioevo. Dai comuni cittadini al predominio scaligero nella
Marca, a cura di A. Castagnetti, G.M. Varanini, Verona 1991.
44
Su Azzo VI si segnala il seguente saggio di Gian Maria Varanini, fra i pochi a contenere
riferimenti alla figura di Alisia: Id, Azzo VI d’Este (†1212) e le società cittadine dell’Italia nordorientale:convergenze e divergenze di progetti politici fra XII e XIII secolo, in Gli Estensi nell’Europa medievale. Potere, cultura e società, Convegno per l’ottavo centenario della morte di Azzo
VI marchese d’Este, 1212–2012 (Este, 15 settembre 2012), a cura di C. Bertazzo, F. Tognana,
Sommacampagna 2014, pp. 135–177. Il saggio risulta importante anche per i ricchi riferimenti
bibliografici.
278
Riccardo Pallotti
avevano raccolto l’eredità politica degli Adelardi e si erano posti alla guida della
parte guelfa, dando vita ad un conflitto con Salinguerra che si sarebbe protratto
ben oltre la morte di Azzo VI. Nella Marca trevigiana e in quella veronese i
nemici degli Este si battevano sotto le insegne dei da Romano, guidati, al tempo
di Azzo VI, da Ezzelino II il Monaco, padre del celebre Ezzelino III.
In quanto guida della parte guelfa, Azzo VI poteva beneficiare del pieno
appoggio di papa Innocenzo III, fondamentale per gli Estensi al fine di ottenere
una legittimazione giuridica ed un effettivo consolidamento dei loro poteri a
Ferrara. Al tempo stesso il sostegno di Azzo VI d’Este consentiva ad Innocenzo III di estendere la sua azione di “recuperazione” territoriale fino al Po; obiettivo primario del pontefice, infatti, era assoggettare all’effettivo dominio papale
le terre dell’Esarcato (Romagna) e della Pentapoli (Umbria, Marche) donate alla
Chiesa di Roma già dai sovrani carolingi. Ferrara era parte integrante dell’antico
Esarcato, ed in quanto tale rientrava tra i territori rivendicati dalla Santa Sede.
É dunque in un siffatto contesto che, a giudizio di chi scrive, si possono
inserire le nozze di Azzo VI, protetto di Innocenzo III, con Alisia di Châtillon, anch’essa una protetta del papa. La protezione concessa alla principessa
scaturiva dall’alleanza di Innocenzo III con re Imre di Ungheria, ma anche dall’ideologia crociata dello stesso pontefice e dalla sua grande attenzione rivolta
agli stati latini d’Oriente. Dovere della Chiesa universale e dei sovrani europei
era quello di sostenere e tutelare dalla minaccia musulmana i principi crociati
della Terrasanta. I principi crociati e i loro discendenti, come Alisia, appunto;
una principessa, peraltro, figlia di un crociato del quale si andava diffondendo
la fama di martire.
In sintesi, favorendo le nozze di Alisia con Azzo d’Este, il papa affidava una
propria protetta ad un casato fedele alla Chiesa di Roma; un casato, che con
tale unione, rinsaldava il proprio legame col Papato, si legava ad un importante
regno europeo quale era quello ungherese e si avvicinava così, almeno idealmente, alla Terrasanta, ai principati crociati e a quel mondo della cavalleria
franco-normanna che aveva dato vita agli stati latini del Vicino Oriente. Un
legame che favoriva l’ascesa della Casa d’Este sul piano politico ma che ancor di
più rivestiva una importanza sul terreno simbolico ed ideologico, soprattutto in
decenni che vedevano la diffusione dell’ideale cavalleresco nelle corti europee.
Un legame con la Terrasanta e con il mondo cortese e cavalleresco che due secoli
più tardi, nel 1413, sempre all’interno del casato estense, trovò espressione
nel pellegrinaggio in Palestina di Niccolò III d’Este, che nel Santo Sepolcro
di Gerusalemme nominò cavalieri i suoi cortigiani e sul Calvario ricevette gli
speroni d’oro.
La dote di Beatrice d’Aragona
279
Alisia e Azzo VI dopo il 1204
Il favore di Innocenzo III verso la Casa d’Este si manifestò con l’investitura della
Marca di Ancona, concessa ad Azzo VI nel 1208. Va tuttavia rimarcato come
l’Estense riuscisse per anni a condurre una politica di equilibrio tra Papato e
Impero, che gli fruttò importanti concessioni.
Il 18 giugno 1207, con un diploma emanato da Strasburgo, il re dei Romani
Filippo di Svevia concedette in feudo ad Azzo VI d’Este e alla moglie Alisia le
villae di Cologna, Pressana, Baldaria, Zimella e Bagnolo, ubicate nel distretto
di Verona ma soggette alla diocesi di Vicenza.45 Questi luoghi ebbero un ruolo
di rilievo nelle vicende di Alisia e del marito, soprattutto il castello di Cologna.
Come sottolinea Varanini, Azzo VI aveva utilizzato i proventi della dote di Alisia
per acquistare beni e diritti giurisdizionali sui suddetti luoghi, fra i quali Cologna rivestiva una particolare importanza nella progettualità politica del marchese.46 L’acquisto del castello di Cologna, ubicato in luogo strategico, permetteva ad Azzo VI di estendere la propria giurisdizione signorile dalle tradizionali
basi di potere lungo l’Adige fino al cuore della Marca veronese, nel tentativo,
attraverso il controllo del Comune di Verona, di dar vita ad una vera e propria
signoria regionale.47 Il castello di Cologna venne dunque configurandosi come
base patrimoniale e giurisdizionale della coppia marchionale. Qui la marchesa
possedeva una casa, come attesta un atto del 22 settembre 1214 rogato in domo
domine Ailix Hestiensis;48 possiamo quindi ipotizzare che ella abbia vissuto qui,
almeno per certi periodi, alternando probabilmente soggiorni a Verona, presso
il marito, Cologna Veneta ad altri castelli, in primis Calaone, dove negli anni
seguenti troviamo attestata un’altra sua proprietà. Con l’atto del settembre 1214
Alisia, ormai vedova, designò quale suo procuratore nel distretto di Verona
Ottolno di Calzolario, ad ulteriore testimonianza del radicamento estense nel
Veronese. Come ricorda Varanini, inoltre, a Cologna sono attestati assessores,
nuncii e vicecomites che agivano a nome della marchesa.49
45
ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I,
n. 65.
46
Varanini, Azzo VI, cit., pp. 147–150.
47
Varanini, Azzo VI, cit., p. 149.
48
Si tratta di una pergamena dell’Archivio di Stato di Verona citata in Varanini, Azzo VI, cit.,
pp. 149, 171. Con questo atto la vedova di Azzo VI designò quale suo procuratore nel distretto di
Verona Ottolno di Calzolario.
49
Varanini, Azzo VI, cit., p. 149.
280
Riccardo Pallotti
Tre anni dopo l’investitura di re Filippo, la coppia marchionale ottenne la
conferma di Cologna e delle altre quattro villae da parte del nuovo re dei Romani, Ottone IV di Brunswick.50 Dopo la morte di Filippo di Svevia, il guelfo
Ottone, figlio del duca Enrico il Leone, nel 1209 discese in Italia per cingere
la corona imperiale. Ottone IV riuscì temporaneamente a pacificare le fazioni,
se pensiamo che nel suo viaggio verso Roma ottenne di essere scortato sia da
Azzo sia dai suoi tradizionali rivali, Ezzelino II da Romano e Salinguerra Torelli.
Fu nel contesto di questo Romzug che Azzo VI riuscì ad ottenere il rinnovo
dell’investitura sulle villae di Cologna, Pressana, Baldaria, Zimella e Bagnolo.
Il diploma di Ottone IV, datato Foligno 5 gennaio 1210, costituisce una nuova
testimonianza della presenza di Alisia, che figura assieme al consorte in qualità
di beneficiaria dell’investitura.51 Inoltre l’investitura era accordata anche ai
figli nati dalla loro unione; qualora non fossero nati eredi maschi, il beneficio
sarebbe passato alla loro discendenza femminile.
Pochi giorni dopo, Azzo d’Este ottenne dall’imperatore anche l’investitura
dell’intera Marca di Ancona, da Pesaro ad Ascoli, quello stesso territorio che già
Innocenzo III nel 1208 gli aveva concesso con piene prerogative giurisdizionali.
Questo secondo privilegio fu emanato dall’imperatore in Chiusi, nella giornata
del 20 gennaio 1210.52
La caduta in disgrazia di Ottone IV, scomunicato da Innocenzo III, ricondusse
stabilmente lo sposo di Alisia allo schieramento filopapale. Nel solco di un
rinnovato legame con il pontefice, Azzo VI espulse da Ferrara il vicario di
Ottone IV e Salinguerra Torelli. Dal canto suo il pontefice, interessato al rafforzamento della signoria estense su Ferrara, feudo della Chiesa, autorizzò Azzo
ad edificare una castello in città; parimenti, esortò l’arcivescovo di Ravenna a
cedere all’Estense l’importante castello di Argenta.53
La rottura con Ottone IV e la rivalità col Torelli ebbero forti ripercussioni.
Azzo VI subì il bando e una sentenza sfavorevole nel contenzioso con Bonifacio
50
Sui diplomi di Ottone IV a favore degli Estensi si rimanda al seguente studio: R. Rinaldi, I
documenti dell’imperatore. Ottone IV e i marchesi d’Este (1210–1212), con appendice documentaria
a cura di L. Righi, in «Quaderni Estensi», VI (2014), pp. 245–257.
51
ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II,
n. 1. Vedi Rinaldi, I documenti, cit., p. 246.
52
ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II,
n. 5. Vedi Rinaldi, I documenti, cit., p. 246.
53
T. Dean, Este, Azzo d’, in Dizionario biografico degli italiani (=DBI), XLIII Roma, 1993, https:
//tinyurl.com/5n8jkea5.
La dote di Beatrice d’Aragona
281
d’Este che già abbiamo ricordato.54 Zio del marchese ma di lui più giovane,
Bonifacio era soggetto alla tutela patrimoniale di Azzo; nel 1212, però, Bonifacio
si rivolse all’imperatore, richiedendo di entrare in possesso della sua legittima
eredità. Con una sentenza del 10 febbraio 1212, Ottone IV accolse la supplica di
Bonifacio e lo affrancò dalla tutela di Azzo. La sentenza imperiale non dovette
però chiudere un contenzioso che proseguì anche dopo la morte di Azzo VI,
con il coinvolgimento della stessa Alisia. Alcune settimane dopo la sentenza
sfavorevole, Azzo d’Este incontrò a Roma il rivale di Ottone, Federico di Svevia,
pupillo del papa; come è noto, Innocenzo III era il tutore del giovane Federico,
re di Sicilia, candidato papale al trono imperiale. Azzo VI scortò lo Svevo nel suo
viaggio verso la Germania, assicurandogli un transito sicuro dall’Italia padana.
Il legame con Innocenzo III consentì così ad Azzo VI, negli ultimi mesi della
propria vita, di instaurare buoni rapporti anche col nuovo potere imperiale in
ascesa.
Nel corso del 1212 il marchese si ammalò e il 18 novembre di quell’anno, a
Verona, dettò le sue ultime volontà.55 Nel testamento nominò eredi i suoi due
figli, Aldobrandino, già adulto, e Azzo Novello (Azzo VII), un bambino; quest’ultimo era figlio del marchese e di Alisia, mentre Aldobrandino era nato dal
primo matrimonio di Azzo. Il testamento fu poi integrato con alcuni codicilli;
in essi il marchese dispose la restituzione alla moglie di 3000 lire di denari
veronesi, somma impegnata per l’acquisto di Cologna. Il codicillo specifica
che tale somma proveniva dalla dote di Alisia, ammontante a 2000 marche
d’argento, e da altre 1000 marche possedute dalla donna a diverso titolo. Nei
codicilli al testamento venivano disposti anche lasciti a favore delle due figlie,
Beatrice e Costanza. Beatrice, fondatrice del monastero di Gemola e proclamata
beata nel XVIII secolo, era figlia di Azzo VI e di una principessa sabauda, mentre
Costanza era nata da Alisia.
Azzo VI morì verso la fine del 1212 e il potere marchionale passò nelle mani di
Aldobrandino. Egli raccolse un’eredità difficile, in quanto alla guerra in Veneto
si aggiungevano i problemi riguardanti la Marca di Ancona. In piena continuità
con l’operato paterno, il nuovo marchese si appoggiò a papa Innocenzo III
e a Federico II. Il pontefice gli rinnovò l’investitura della Marca di Ancona,
sollecitandolo all’intervento contro i conti di Celano; i costi della guerra furono
però ingenti, al punto che il marchese dovette cedere in ostaggio il piccolo
54
ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II,
nn. 8–11. Sul contenzioso Azzo VI – Bonifacio si rinvia a Rinaldi, I documenti, cit., pp. 247–248.
55
Il testamento e i codicilli furono pubblicati dal Muratori: Id., Delle Antichità, cit., pp. 403–404.
282
Riccardo Pallotti
Azzo VII ai creditori, i banchieri fiorentini. In tale frangente ritroviamo Alisia
di Châtillon/Este, la quale provvide personalmente a riscattare il figlio con il
pagamento di una forte somma.
Alisia dovette ricoprire un ruolo di rilievo nelle vicende del casato estense
durante il secondo decennio del Duecento. La sua importanza accrebbe con il
vuoto di potere creatosi alla morte di Aldobrandino, nel 1215. Alla prematura
scomparsa del fratellastro, il piccolo Azzo VII assunse formalmente le redini del
casato sotto la tutela della madre, di Tisone da Camposampiero e di Alberto da
Baone; quest’ultimo, lo ricordiamo, era uno dei quattro vassalli estensi che nel
1204 avevano scortato Alisia in Italia. Tisone e Alberto però dovettero morire
di lì a breve, lasciando la sola Alisia, di fatto, a reggere le sorti della signoria.
Nel suo ruolo di reggente de facto, la donna operò in primis per tutelare i
beni di suo figlio. L’operato della vedova di Azzo VI a tutela del figlio non
sfuggì al Muratori, che nel menzionare la scomparsa dei due tutori suddetti,
così commenta: “Comunque sia, trovo io, che Alisia sua madre maneggiò dipoi
gl’interessi di questo suo figliuolo”.56
Il ruolo di Alisia si era già distinto, probabilmente, nel quadro del contenzioso
con Bonifacio d’Este. La sentenza di Ottone IV e la morte di Azzo VI non
dovevano aver chiuso la disputa, in quanto il Muratori, riportando una nota
del Prisciani, riferisce di una lite in sede di giudizio tra Bonifacio figlio di Sofia
e del defunto Obizzo, da una parte, e Azzo (evidentemente Azzo VII) e Dominam
Aliz ejus matrem dall’altra, riguardante il testamento del marchese Obizzo I.57
L’azione di Alisia a tutela del patrimonio del piccolo Azzo VII è confermata
anche da un contratto stipulato a Rovigo il 14 marzo 1216.58 Si tratta di un
contratto di livello stipulato con l’abate di un monastero particolarmente legato
alla Casa d’Este, l’abbazia polesana di Santa Maria di Vangadizza, destinata ad
accogliere le spoglie dei marchesi estensi, fra cui gli stessi Azzo VI e Alisia.
Con tale atto la contessa d’Este, come viene definita nel documento, ricevette,
a nome del figlio, dall’abate Sansone, 100 mansi di terra posti tra Mardimoco
e il fosso Tartarello. Si trattava di beni fondiari dell’abbazia situati nelle valli
comprese tra il Basso veronese e il Mantovano. Il livellario era tenuto a corrispondere al monastero, ogni anno, in occasione della festività dell’Assunzione
di Maria, tre libbre di incenso.
56
Muratori, Delle Antichità, cit., p. 423.
Ibidem, p. 399.
58
ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II,
n. 18.
57
La dote di Beatrice d’Aragona
283
Il 16 luglio 1216 si spense a Perugia papa Innocenzo III, il grande pontefice che
tanta parte aveva avuto nell’esistenza di Alisia così come nelle vicende estensi.
Gli Este conservarono comunque il loro rapporto preferenziale con la Santa
Sede, se si pensa che già pochi mesi dopo, nel 1217, il nuovo pontefice Onorio
III rinnovò ad Azzo VII l’investitura della Marca di Ancona.
Le successive testimonianze relative alla figlia di Rinaldo provengono dalle
pergamene del fondo Casa e Stato, l’archivio dinastico estense. Tali testimonianze documentarie sono costituite da atti relativi a controversie patrimoniali
che segnarono tutta l’ultima fase della vita di Alisia, impegnata in una strenua
difesa dei diritti del proprio figlio Azzo VII. Alcuni documenti però sono andati
perduti e ci sono noti solo grazie al Muratori; è questo il caso di un atto del
24 settembre 1217, con cui Alisia e la figliastra Beatrice si accordarono per una
divisione dei beni di famiglia posti in Montagnana.59 Da questo atto apprendiamo che la madre del marchese risiedeva nel castello di Calaone, nei pressi di
Este; il rogito venne infatti stipulato in Castro Calaonis in domo, in qua Domina
Aylix habitat. Calaone e Cologna dovettero essere quindi fra i principali luoghi
di residenza della figlia di Rinaldo di Châtillon.
Anche le testimonianze successive provengono da rogiti notarili riguardanti
il patrimonio di famiglia. Due anni dopo, nel 1219, con un atto rogato a Rovigo
in domo Marchionis, Alisia nominò suo procuratore Giovanni di Canossa in
relazione all’investitura di alcuni beni concessi a Migliore figlio di Odone. Altre
investiture di beni ebbero luogo nel 1219 e nel 1222 con atti rogati in Gemola,
in domo parlatorii. Alisia è infine menzionata in un atto di investitura rogato
nel castello di Calaone, in sala camerae turris, dal notaio imperiale Enrico.60
Alla metà degli anni trenta del Duecento la donna era ancora in vita. Lo
attesta, fra gli altri, un atto di donazione del 1235 a favore del monastero di
Santa Maria delle Carceri, istituzione monastica strettamente legata al casato
estense. Anche in questo caso si tratta di un documento andato disperso, e di cui
abbiamo notizia unicamente grazie al Muratori.61 Il marchese Azzo VII effettuò
una donazione al monastero delle Carceri praesente et consentiente ipsa Domina
Adelice sua matre, et eius verbo. L’atto fu rogato negli appartamenti di Azzo VII
59
Le controversie patrimoniali che videro coinvolta Alisia sono attestate da pergamene relative
agli anni 1229-1236: ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato, Membranacei, cass. 3, nn. 42, 46—51, 55. Per l’atto del 24 settembre 1217 si veda invece Muratori, Delle
Antichità, cit., pp. 407–408.
60
Ibidem, cit., p. 423.
61
Muratori, Delle Antichità, cit., p. 423.
284
Riccardo Pallotti
ubicati nel mastio del castello di Este (in Dolone Estensi in Camera picta Domini
Azzonis Estensis Marchionis).
Tuttavia, questa donazione del 1235 non rappresenta l’ultima testimonianza
di Alisia. La marchesa infatti era ancora in vita nel 1236, come attesta l’ennesimo contenzioso, stavolta con il il Comune di Padova, per via del controllo di
un bosco e di altri beni situati n Calaone. Il successivo silenzio delle fonti ci
fa ipotizzare che ella sia morta di lì a breve, poco dopo la morte di re András
II d’Ungheria, marito di Beatrice d’Este.62 Non conosciamo il ruolo di Alisia in
riferimento alle nozze ungheresi della figlia di Aldobrandino; è tuttavia ipotizzabile che trattandosi della zia di András II, con lunghi trascorsi alla corte
arpadiana, la vedova di Azzo VI abbia giocato una qualche parte in questo
negotium matrimoniale. Le nozze furono celebrate nel 1234 ma già nel 1235
re András II morì e con l’ascesa di Béla IV la giovane vedova, incinta, cadde
in disgrazia.63 Beatrice d’Este riuscì comunque a riparare all’estero, come già
era accaduto trent’anni prima alla regina Costanza, vedova di Imre. Il regno
di Beatrice fu dunque breve, tuttavia l’ascesa di una principessa estense sul
trono magiaro coronò l’avvio di quei rapporti plurisecolari tra l’Ungheria e la
Casa d’Este che si mantennero di fatto fino all’Ottocento. L’inizio di una lunga
storia, con le nozze di András II e Beatrice d’Este, le cui premesse sono però
rinvenibili, come visto, già trent’anni prima, quando Alisia di Châtillon, zia di
re Imre, lasciò le pianure ungheresi per la corte estense.
Appendice documentaria
1198 giugno 16, Roma
Papa Innocenzo III prende sotto la propria protezione Alisia di Châtillon e i
beni che le sono stati donati da Imre re di Ungheria.
P. Prisciani, Historiae Ferrariae, VII, ms. 131, c. 19 v; L. A. Muratori, Delle
Antichità Estensi ed Italiane. Parte prima, Modena 1717, p. 379.
“Innocentius/ Episcopus Servus Servorum Dei. Dilec/tae in Christo filiae nobili mulieri Aliz64 / filiae quondam principis Rainaldi Salutem/ et apostolicam
62
L’ultima testimonianza di Alisia ancora in vita è della primavera del 1236: ASMo, ASE, Casa
e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato, cass. 2, n. 55.
63
Si rinvia allo studio di Patriza Cremonini citato a nota 24.
64
Alis nel testo di Prisciani.
La dote di Beatrice d’Aragona
285
benedictionem. Iustis pe/tentium desideriis dignum est nos facilem65 / praebere
consensum et vota quae a ratio/nis tramite non discordant, effectu/ prosequente complere. Eapropter, dilecta in/ Domino filia, tuis justis postulationi/bus
grato concurrentes assensu, personam66 / tuam cum omnibus bonis, quae in
praesen/tiarum rationabiliter possides, vel in futu/rum justis modis, praestante
Domino,67 poteris/ adipisci, sub b(eati) Petri et nostra pro/tectione suscipimus.
Spetialiter autem/ donationem quadrigentarum marcharum/ annui redditus,
et centum mansionum/ servorum, villae etiam, quae dicitur Tor/nai, et aliarum quatuor villarum/ cum omnibus pertinentiis suis, et alio/rum tam in annuis vestibus, quam in a/liis, factam tibi a karissimo in Christo/ filio nostro
H[emerico]68 illustri Rege Unga/rie, sicut in ejusdem Regis autenti/co continetur, et tu ea juste possi/des et quiete, auctoritate tibi apo/stolica confirmamus,
et praesentis prae/cepti patrocinio communimus. Nul/li ergo omnino hominum liceat hanc/ paginam nostrae protectionis et con/firmationis infringere,
vel ei ausu te/merario contraire. Si quis autem hoc/ attentare praesumpserit,
indignationem/ omnipotentis Dei et beatorum Petri/ et Pauli apostolorum eius
se noverit/ incursurum.69 Datum Romae apud/ S. Petrum XVI. Kalendas Julii/,
Pontificatus Nostri anno primo.”
Tav. 1 – Albero genealogico sintetico. In evidenza i rapporti parentali tra gli
Estensi, la discendenza di Rinaldo di Châtillon e la dinastia arpadiana regnante
in Ungheria.
(elaborato realizzato da Riccardo Pallotti)
Tav. 2 – Illustrazione tratta dall’opera di Pellegrino Prisciani. Le scene militari
e i luoghi raffigurati sono riconducibili alle crociate in Terrasanta. Gli eserciti
in marcia potrebbero essere, in particolare, quelli della terza crociata. L’identificazione della principessa raffigurata in primo piano, su una nave, con Alisia
di Châtillon sarebbe suggerita dal testo a fianco, in cui è riportata la bolla di
Innocenzo III a favore della principessa.
(P. Prisciani, Historiae Ferrariae, VII, ms. 131, c. 19 v)
65
facilis nel testo di Prisciani.
personas nel testo di Prisciani.
67
Deo nell’edizione muratoriana.
68
H. sia in Prisciani sia in Muratori.
69
Muratori abbrevia il decretum e non riporta la sanctio: Nulli ergo omnino hominum etc.
Datum…
66
286
Riccardo Pallotti
Tav. 3 – 1204, febbraio 22, Gemona, chiesa di Santa Maria di Clemena. Strumento dotale di Alisia di Châtillon. Il marchese Azzo VI d’Este dichiara di
ricevere dalla moglie Alisia una dote di duemila marche d’argento. Contestualmente l’Estense investe la sposa di tutti i suoi beni mobili e immobili. Il presente
documento è una copia autentica dello strumento originale, rogata in Este in
data 16 gennaio 1210.
(ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 63)
Tav. 4 – 1207, giugno 18, Strasburgo. Il re dei Romani Filippo di Svevia concede in feudo al marchese Azzo VI d’Este e sua moglie Alisia le ville di Pressana,
Cologna, Baldaria, Simella e Bagnolo, poste nella diocesi di Vicenza. Diploma
originale in pergamena, con traccia di sigillo pendente.
(ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. I, n. 65)
Tav. 5 – 1210, gennaio 5, Foligno. L’imperatore Ottone IV di Brunswick conferma ai coniugi Azzo VI d’Este ed Alisia e ai loro eredi l’investitura delle
ville di Pressana, Cologna, Baldaria, Simella e Bagnolo, in diocesi di Vicenza.
Diploma originale in pergamena, con traccia di sigillo pendente. L’atto reca
il monogramma dell’imperatore Ottone IV e la recognitio di Corrado vescovo
di Spira e cancelliere aulico, in luogo di Teoderico, arcivescovo di Colonia e
arcicancellerie imperiale per l’Italia.
(ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 1)
Tav. 6 – Copia autentica in pergamena dell’investitura di Ottone IV, rogata
dal notaio ferrarese Guido Brusati in data 5 gennaio 1311.
(ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 2)
Tav. 7 – 1216, marzo 14, Rovigo. Alisia d’Este riceve dall’abate di Vangadizza,
in nome del figlio Azzo Novello, 100 mansi di terra in livello perpetuo.
(ASMo, ASE, Casa e Stato, Documenti riguardanti la Casa e lo Stato – Membranacei, cass. II, n. 18)
La dote di Beatrice d’Aragona
287
Tav. 8 – Le rovine della rocca di Torna, nella regione di Kassa/Košice. La villa
que dicitur Tornai fu donata ad Alisia da re Imre, come attesta la bolla papale
riportata dal Prisciani.
(By Martin Hlauka (Pescan), Attribution, https://commons.wikimedia.org/w/
index.php?curid=247450
Tav. 9 – La fortezza crociata di Kerak, in Giordania. Fra gli anni Settanta
ed Ottanta del XII secolo la fortezza, assediata dal Saladino, era il principale
centro di potere di Rinaldo di Châtillon.
(Di Alexander – Flickr, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/
index.php?curid=3555127
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Il diario di Giovanni Maria Parenti sul viaggio
verso il Regno d’Ungheria (1486)1
Hajnalka Kuffart
Centro di Ricerca delle Scienze Umanistiche, Istituto di Storia
kuffart.hajnalka@abtk.hu
Abstract
Giovanni Maria Parenti was a learned cleric, poet and grammarian from Modena who
wrote a biography of the city’s patron saint, St Geminianus, printed in 1495. It is less
well known that he also participated in a mission, sent to Hungary by Duke Ercole I
d’Este in 1486 headed by the orator Cesare Valentini. Parenti compiled a diary on their
journey from Venice to the Hungarian royal court. The twelve-page manuscript is
preserved in the State Archives in Modena. The text is not a simple list of places seen,
but a lively and eventful account in which anecdotes, praise and sometimes even sharp
criticism of the circumstances observed appear. This paper deals with the content of
the document, the historical context, and makes an edition of the original text. The
final table collects those Valentini letters that are written by Parenti’s hand.
La figura di Giovanni Maria Parenti2 è una di quelle figure fortunate che si
trovano nel fuoco delle ricerche contemporanee, dato che la sua opera composta
sulla vita di San Geminiano, patrono della città di Modena, stampata nel 1495,
1
La ricerca è stata appoggiata dai seguenti programmi: “ITM NKFIH Innovációs Alap TKP
2021-NKTA15”, “NKFI K 128797” e “NKFI K 134690”. In questa sede vorrei esprimere la mia gratitudine agli studiosi seguenti: György Domokos, Tibor Neumann, Bence Péterfi, Norbert Mátyus,
Boglárka Weisz, Ilona Kristóf, Judit Gál, István Kádas, Konstantin Vukov per i consigli preziosi, e
agli studenti del Dipartimento dell’Italianistica dell’Università Cattolica Péter Pázmány (Mónika
Mezei, Dóra Báthori e Balázs Endrédy) per il loro aiuto utile nei controlli della trascrizione del
testo originale.
2
Ho scelto la forma arcaizzante del cognome (Parenti) al posto di quello usato dalla letteratura scientifica italiana (Parente), conservando così il caso genitivo del latino che esprime
l’appartenenza ad una famiglia.
290
Hajnalka Kuffart
è uscita recentissimamente in un’edizione critica.3 Oltre alla biografia del santo
patrono di Modena scrisse anche un componimento in terzine, in forma di
dialogo, che uscì nel 1483 con il titolo Dialogo in commendazione delle donzelle
modenesi. L’autore era un chierico colto, discepolo di Bartolomeo Paganelli da
Prignano, il cui Opus Grammatices pubblicò Parenti nel 1494, un anno prima
del proprio capolavoro. Parenti è considerato anche come membro del gruppo di quei grammatici e letterati che, per la città di Modena, significavano la
“Rinascenza modenese” nella seconda metà del Quattrocento.4 Nel presente e
modesto contributo vorrei presentare un episodio della vita di quest’umanista
modenese, pubblicando un suo autografo di dodici pagine, finora inedito, che è
conservato presso l’Archivio di Stato di Modena e che sfiora, non poco, la storia
del Regno d’Ungheria dell’epoca: si tratta del suo diario di un viaggio5 fatto tra
il 13 giugno e il 24 luglio 1486 da Venezia fino alla corte reale ungherese.
Il contesto storico
Durante il Medioevo nel Regno d’Ungheria esistevano due sedi arcivescovili:
Esztergom e Kalocsa, ai quali appartenevano, dal punto di vista organizzativo,
gli altri vescovati del regno. Il primate, quindi il capo della chiesa ungherese,
era sempre l’arcivescovo di Esztergom, ovvero l’autorità ecclesiale più importante del paese che, non a caso, era anche chiamato primo barone del regno.
Mattia Corvino, re d’Ungheria (1458–1490), ebbe però modo di conoscere, per
esperienza propria, il tradimento e l’infedeltà di due arcivescovi di Esztergom:
prima, nel 1471, János Zrednai (Vitéz)6 preparò una congiura contro Mattia,
3
La Gloriosissimi Geminiani Vita di Giovanni Maria Parente. Edizione critica a cura di Anna
Spiazzi. Milano: Ledizioni, 2021 (d’ora in poi: Gloriosissimi Geminiani Vita). Vedi anche G. Montecchi: ‘La vita di san Geminiano narrata, illustrata, e rappresentata ai cittadini di Modena (1494–
1495)’, in: Id.: Il libro nel Rinascimento. Volume secondo. Scrittura, immagine, testo e contesto,
Roma: Viella, 2005: 99–126. L’incunabolo è disponibile online: http://digitale.beic.it/BEIC:RD01:
39bei_digitool536350.
4
Gloriosissimi Geminiani Vita, op.cit.: 20–21.
5
L’opera di Parenti rientra tra i resoconti di viaggio diffusi nel Medioevo. Su questo genere
e sulla letteratura di viaggio si veda più ampiamente: I. Lazzarini: L’ordine delle scritture. Il
linguaggio documentario del potere nell’Italia tardomedievale, Roma: Viella, 2021: 101–109.
6
János Zrednai (1408–1472) fu lo zio del poeta Janus Pannonius. Ho messo il nome Vitéz
tra parentesi perché le nuove ricerche hanno dimostrato che il famoso arcivescovo umanista –
conosciuto con il cognome Vitéz grazie ad Antonio Bonfini – in realtà non apparteneva a questa
famiglia, cfr. K. Csapodiné Gárdonyi: ‘Vitéz János neve’, Turul 71, 1998: 25–29; T. Pálosfalvi:
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
291
volendo chiamare al trono Casimiro di Cracovia, figlio del re polacco.7 Cinque
anni dopo Johann Beckensloer, il successore di Zrednai nella sede arcivescovile
e, al tempo stesso, cancelliere del regno, fuggì dal paese sotto la protezione
dell’imperatore Federico III d’Asburgo, portando con sè la sua tesoreria enorme.8 Di conseguenza il re Mattia voleva vedere, presso la sede di Esztergom,
una persona politicamente meno significativa, uno che non diventasse la sua
opposizione interna. Prima, nel 1479, fu nominato il cognato Giovanni d’Aragona,9 che poteva pure rappresentare gli interessi del re Mattia presso la
Santa Sede dato che Giovanni, come cardinale, trascorse la maggior parte del
suo tempo a Roma. Dopo la sua improvvisa morte, avvenuta nel 1485, il re
ungherese, con un gesto “sfacciato”, scelse il nipote seienne, Ippolito d’Este,
figlio del duca di Ferrara. Venuto a conoscenza dell’intenzione del re magiaro,
Ercole I d’Este mandò un ambasciatore alla corte di Buda nella persona di
Bartolomeo Bresciani.10 Prima di ribadire la nomina di Ippolito, Mattia voleva
però aspettare il consenso del re di Napoli e la sua conferma di non aver altro
figlio legittimo a cui cedere il beneficio ecclesiastico. La risposta di Ferdinando
(Ferrante) d’Aragona ritardava, perciò l’ambasciatore ferrarese dovette aspettare alcune settimane in più, durante le quali – tra il 31 gennaio e l’8 marzo
148611 – scrisse nove relazioni in cui raccontava vari dettagli sulla vita della
‘Vitézek és Garázdák. A szlavóniai humanisták származásának kérdéséhez’, Turul 86, 2013: 15–
16; Id.: The Noble Elite in the County of Körös (Križevci) 1400–1526. Magyar Történelmi Emlékek. Értekezések. Budapest: Institutum Historicum Sedis Centralis Studiorum Philosophicorum
Academiae Scientiarum Hungaricae, 2014: 168.
7
Il tentativo di Zrednai cadde presto e Mattia l’imprigionò, cfr. A. Kubinyi, Matthias Rex.
Budapest: Balassi Kiadó, 2008: 91–93.
8
Ibid.: 97–99.
9
Giovanni d’Aragona (1456–1485), figlio del re di Napoli, Ferdinando I d’Aragona, e fratello
di Eleonora e Beatrice d’Aragona. Sulla sua vita si veda Edit Pásztor, Giovanni d’Aragona, in
Dizionario biografico degli italiani (=DBI), III Roma, 1961. https://www.treccani.it/enciclopedia/
giovanni-d-aragona_res-a1222702-87e6-11dc-8e9d-0016357eee51_(Dizionario-Biografico)
10
A quel tempo Bartolomeo Bresciani era un messo presso la cancelleria del ducato di Ferrara:
U. Caleffini: Croniche 1471–1494. Deputazione provinciale ferrarese di storia patria, ed. T. Bacchi
& M. Giovanna Galli, Ferrara, 2006: 143.
11
Archivio di Stato di Modena (=ASMo), Archivio Segreto Estense (=ASE), Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, busta 1. fascicolo 6. Le fotoriproduzioni dei documenti originali sono
consultabili anche nel database Diplomatikai Fényképgyűjtemény (=DF) dell’Archivio Nazionale
Ungherese (Magyar Nemzeti Levéltár, Országos Levéltár = MNL OL), sotto le segnature MNL OL
DF 294346–354.
292
Hajnalka Kuffart
corte reale magiara. Tra le tante cose assicurò alla madre, Eleonora d’Aragona,12
che sua sorella, la regina Beatrice,13 aspettava Ippolito come proprio figlio. Il re
Ferrante finalmente approvò la scelta di Mattia, così la missione di Bresciani
ebbe fine. Mentre stava ritornando in Italia, tuttavia, venne derubato: il medico
della coppia reale, Franceschino da Brescia, che peraltro probabilmente era in
parentela con Bartolomeo, gli affidò una certa somma di soldi per mandarla
in Italia. Alcuni vennero a saperlo, seguirono l’ambasciatore da lontano e, una
volta vicini a Zagabria, lo svaligiarono. La regina non sapeva dell’azione del suo
medico, altrimenti avrebbe dato una scorta armata a Bresciani, come scriveva
ad Eleonora in una lettera.14 Questa brutta notizia spaventò le due sorelle e
le spinse a curare con maggiore attenzione l’organizzazione del viaggio del
fanciullo.
Il duca di Ferrara scelse un cittadino modenese, Cesare Valentini,15 come suo
oratore per la seconda missione inviata nel Regno d’Ungheria. Lo scopo era
quello di effettuare predisposizioni per il viaggio e per l’organizzazione della
corte di suo figlio, mentre aspettavano il consenso del papa. Valentini ricevette
12
Eleonora d’Aragona (1450–1493), figlia di Ferdinando I d’Aragona, moglie di Ercole I d’Este.
Il compendio più recente sulla sua persona: V. Prisco: Eleonora d’Aragona e la costruzione di
un “corpo” politico al femminile (1450–1493). Tesi di dottorato dell’Universidad de Zaragoza,
Dipartimento della Historia Medieval, Ciencias y Técnicas Historiográficas y Estudios Árabes
e Islámicos, tutori: Francesco Barra, Maria del Carmen Gracia Herrero, Francesco Storti, 2019.
13
Beatrice d’Aragona (1457–1508), figlia di Ferdinando I d’Aragona e seconda moglie di Mattia
Corvino. Sulla sua vita si veda A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, a cura di R. Mosca, Milano:
Edizioni “Corbaccio”, 1931. Una gran parte dei documenti relativi alla regina è raccolta sempre da
A. Berzeviczy, in Acta Vitam Beatricis Reginae Hungariae Illustrantia. Aragoniai Beatrix Magyar
Királyné életére vonatkozó okiratok, a cura di A. Berzeviczy. Monumenta Hungariae historica.
Diplomataria = Magyar történelmi emlékek. Okmánytárak 39. Magyar Tudományos Akadémia,
Budapest, 1914. (d’ora in poi: Acta Vitam Beatricis); mentre la corrispondenza con sua sorella
Eleonora è stata edita da E. Guerra: Il carteggio tra Beatrice d’Aragona e gli Estensi (1476–1508), a
cura di E. Guerra, Roma, 2010 (d’ora in poi: Carteggio).
14
Carteggio p. 75.
15
Valentini fu un dottore giurista, nacque in una famiglia nobile di Modena e sposò la figlia del
giurista bolognese Scipione Gozzadini, di nome Maddalena. Tra il 1478 e 1483 servì il duca Ercole
I d’Este come suo ambasciatore a Milano, poi nel 1485 faceva parte della missione inviata dal duca
ferrarese al papa Innocenzo VIII. Cfr. G. Ferrarini: Memoriale Estense (1476–1489), ed. P. Griguolo,
Rovigo, 2006: 221, 368; B. Zambotti: Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504, ed. G. Pardi,
Bologna, 1937, (Rerum Italicarum Scriptores 24) p. 165; M. Folin: ‘Gli oratori estensi nel sistema
politico italiano (1440–1505)’, in: Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, ed. G. Fragnito &
M. Miegge, Firenze, 2001: 67; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450–1500)
I–XV, ed. F. Leverotti et al, Roma, 1999–2003: XI. (1478–1479), pp. 168, 170, 180, 183, 188, 193,
204.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
293
il dispaccio ducale il 7 giugno 148616 e, in quel momento, sembrava che Ippolito
sarebbe partito nel giro di poche settimane, la commissione dell’oratore, quindi,
non sarebbe dovuta durare più di qualche mese. Alla fine il tutto si prolungò
fino al settembre del 1487, quattordici mesi in totale, a causa degli ostacoli
che vincolavano la partenza del giovane prelato: papa Innocenzo VIII rifiutò di
confermare la nomina di Ippolito che, per di più, in quel periodo era stato colpito
da una malattia che non gli consentiva di viaggiare. In pratica l’arcivescovo, con
la sua comitiva, partì solo il 18 giugno 1487.17
Di questa missione faceva parte Giovanni Maria Parenti in qualità di cancelliere di Cesare Valentini. Quasi la metà delle circa ottanta relazioni di Valentini è
scritta con la calligrafia cancelleresca di Parenti, che ho riassunto in una tabella
inserita nell’Appendice II. Quel che si nota è che questa parte è stata quasi interamente pubblicata, mentre i testi scritti dalla mano di Valentini sono rimasti in
gran parte inediti. Parenti, durante il viaggio verso la corte di Mattia Corvino,
prendeva note per compilarne poi un’epistola di ampio respiro a favore di
Eleonora d’Aragona. Questa è l’unica lettera scritta a nome suo durante l’intera
missione. Dal testo si evince che l’autore voleva dipingere accuratamente i
dettagli per riferirli alla madre ansiosa per suo figlio. Anche se il destinatario era
la duchessa, il cancelliere ricevette questo compito del resoconto da Niccolò da
Correggio,18 che era deputato ad essere il capo della comitiva di Ippolito e che,
forse dopo aver sentito del caso sfortunato di Bartolomeo Bresciani,19 voleva
esser informato quanto più approfonditamente possibilie sulle difficoltà del
cammino. La trascrizione della lettera di Parenti è il primo passo di un progetto
più ampio che ha l’obiettivo di preparare un’edizione completa delle più o meno
16
Edizione del testo: Magyar diplomacziai emlékek Mátyás király korából, Vol. III, a cura di
I. Nagy & A. Nyáry, Budapest, 1877: 101–108 (d’ora in poi: MDE).
17
Sugli eventi, più dettagliatamente, si vedano A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, op. cit.: 171–
204; A. Morselli: Ippolito I d’Este e il suo primo viaggio in Ungheria (1487), Modena: Società
Tipografica Editrice Modenese, 1957; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz,
mint kevés úrnak Itáliában”. Az esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’,
Történelmi Szemle 63, 2021: 323–382. Le ultime due pubblicazioni contengono trascrizioni di fonti
originali.
18
Niccolò Postumo Correggio, poeta e cavaliere: P. Farenga: ‘Niccolò Postumo Correggio’, DBI XXIX, Roma, 1983 (https://www.treccani.it/enciclopedia/niccolo-postumo-correggio_
%28Dizionario-Biografico%29/). Alla fine fu però suo cugino, Borso da Correggio, ad accompagnare Ippolito al posto di Niccolò, ciò perché il duca Ercole lo portò con sé per un pellegrinaggio
cfr. H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.:
332, 336; B. Zambotti: Diario ferrarese…, op.cit.: 182–187.
19
Cfr. 11 luglio nell’Appendice I.
294
Hajnalka Kuffart
ottanta relazioni di Cesare Valentini, tutte scritte durante i quattordici mesi
della sua missione in Ungheria.
Il viaggio
Ricevuto il dispaccio ducale il 7 giugno 1486, Valentini e la sua comitiva in due
giorni arrivarono a Venezia, dove furono costretti, a causa del maltempo che
non permetteva a loro di mettersi in cammino, a trascorrere altri cinque giorni.
Parenti cominciò il suo racconto il 13 giugno, nella speranza che quel giorno
avrebbe avuto inizio il loro viaggio. Salirono su una barca noleggiata il 12 da
Valentini. Parenti scrive poco sui costi del viaggio, sappiamo tuttavia che l’anno
seguente Ippolito d’Este e la sua comitiva, che avevano bisogno di nove barche e
quattro grippi20 per varcare il mare, pagarono otto ducati per il noleggio di una
sola barca e mezzo ducato per ogni giorno seguente, fino all’arrivo a Segna.21 Il
gruppo di Valentini, con la barca da loro affittata, incontrò qualche difficoltà a
passare sotto i ponti dei piccoli canali, tra il Fondaco dei Tedeschi e San Marco,
a causa dell’acqua alta. Parenti non spiega perché non potessero scegliere di
attraversare semplicemente il Canal Grande. Il 14 giugno, dopo la partenza da
Venezia, a causa del vento contrario dovettero tornare presto tra le lagune. Il
giorno seguente decisero definitivamente di non attraversare il mare verso la
penisola d’Istria, ma navigare lungo le coste e fare cabotaggio.
Da Venezia fino a Segna22 Parenti dà una lunga descrizione di cinque pagine
sul loro itinerario per mare, elencando quasi tutti i posti, scogli, porti, ville e
città23 che toccavano e, in alcuni casi, di cui aveva sentito parlare i marinai e gli
20
Il grippo era un brigantino da corsa a un albero. Il costo dell’affitto di un grippo fu 17 ducati
e un ducato in più dopo ogni seguente giorno: ASMo, ASE, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori
Ungheria b. 2. fasc. 19,2,3. (La segnatura della fotoriproduzione: HU MNL OL DF 295697.) Cfr.
A. Morselli: Ippolito, op.cit.: 26; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés
úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 333.
21
Idem.
22
Senj (Segna), Croazia.
23
Per identificare i toponimi ho usato le mappe storiche dei siti https://maps.arcanum.com/en/
e https://maps.hungaricana.hu/en/ e la versione aggiornata (2021) dell’atlante storico digitale
del Regno d’Ungheria di P. Engel: Magyarország a középkor végén. Digitális térkép és adatbázis a középkori Magyar Királyság településeiről (https://abtk.hu/hirek/1713-megujult-engel-paladatbazisa-a-kozepkori-magyarorszag-digitalis-atlasza). Sui toponimi dell’Istria e della Dalmazia si vedano P. Coppo: ‘Del sito dell’Istria a Gioseffo Faustino’, in: L’archeografo triestino raccolta
di opuscoli e notizie per Trieste e per l’Istria, vol. II, Trieste, 1830: 26–44; V. A. Formaleoni: Topo-
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
295
abitanti locali. Questa descrizione può essere confrontata con un altro diario di
viaggio simile a quello di Parenti: una missione fiorentina inviata in Ungheria
nel 1427 doveva scegliere la stessa soluzione, tra Venezia e Segna, a causa
del maltempo.24 Lo scrittore Luca di Maso degli Albizzi descrisse l’itinerario
a partire da Firenze, ma soltanto fino a Segna e viceversa, perché una malattia
grave non gli permise di continuare il viaggio fino a Buda. Il gruppo fiorentino
passò otto giorni sul mare, toccando i porti di Livenza, Daira, Parenzo, Fagiana,
Veglia, Pola, Promontore, Medulino, Ossero.25
Ben più dettagliatamente possiamo conoscere il percorso della comitiva ferrarese grazie al diario di Parenti: il 15 giugno partirono da Venezia e, attraverso
le lagune, arrivarono per la sera alla Torre di Jesolo, dove le zanzare disturbavano il loro sonno. Qui troviamo una breve barzelletta sul rimedio insolito delle
donne contro le zanzare, che Parenti vide in una villa ungherese appartenente
all’arcivescovato di Esztergom. Questo dettaglio conferma, pertanto, che il testo
è stato compilato posteriormente al viaggio. Il 16 giungo la loro barca entrò
in mare attraverso il fiume Piave e, al finir del giorno, arrivarono al porto di
Umago. Parenti elenca tutti i luoghi toccati, indicando anche le distanze dall’uno all’altro. Il 17 partirono da Umago e percorsero la parte occidentale della
penisola d’Istria fino alla città di Fasana. Giunti a Parenzo, Parenti menziona
che Ippolito, partendo da Venezia, potrebbe giungervi direttamente, con un
tempo favorevole, in un giorno solo e senza dover fare cabotaggio. Il cancelliere
non sbagliò di molto: l’anno seguente Ippolito sfruttò le circostanze adatte per
attraversare il mare da San Niccolò di Lido fino a Pirano, più a nord del luogo
precedentemente indicato da Parenti. Il 18 giugno la compagnia di Valentini
percorreva la parte più difficile del viaggio in mare: prima dovevano superare il
Capo Promontore, l’estremità meridionale della penisola, per questo dovevano
aspettare il vento adatto, il Maestrale, che non spirava nel momento in cui
giunsero al porto più vicino. Mentre attendevano la volta del vento allestirono
un bel “picnic”, mettendosi a mangiare il pranzo preparato in precedenza su un
prato da dove si potevano godere il panorama. Poi, dopo pranzo, riuscirono
a procedere nella navigazione su un mare chiamato Quarnaro, che Parenti
grafia Veneta Ovvero Descrizione Dello Stato Veneto, vol. I, Venezia, 1787; G. Marieni: Portolano del
mare Adriatico compilato sotto la direzione dell’Instituto Geografico Militare dell’I.R. Stato Maggiore
Generale, Milano: Imperiale Regia Stamperia, 1830.
24
K. Prajda: ‘Egy firenzei követjárás útinaplója (1427)’, Lymbus 2011, 2012: 7–16. La
pubblicazione contiene la trascrizione della fonte italiana.
25
Ibid.: 13–14.
296
Hajnalka Kuffart
descrive come un tratto molto pericoloso. Alla fine del giorno arrivarono al
porto Caldonto, dove il popolo non capiva più la lingua italiana ed i membri
della comitiva dovevano farsi capire a gesti. Dalle righe di Parenti si sente la
liberazione dalla paura e dalla tensione, dopo aver lasciato dietro di loro il
Quarnaro. Attraversando il Quarnerolo, quindi, il giorno seguente raggiunsero
le coste di Segna.
Dopo lo sbarco, Valentini venne accolto con onore dai cittadini di Segna,
dove la compagnia si riposò per un giorno. Il 21 giugno si misero di nuovo in
cammino e il primo giorno giunsero fino a Brinje, poi il secondo a Modrus,
città di Bernardino Frangipani, che era in parentela con gli Aragona.26 Sulla
terraferma Parenti descrive più approfonditamente le città maggiori, elenca
meno toponimi rispetto alla parte marina, ma fa notare ugualmente quello che
vede intorno, riportando ciò di cui sente parlare da altri e quel che succede
all’interno della comitiva. Il 24 giugno arrivarono a Zagabria, dove restavano
più di due settimane aspettando le istruzioni della regina. Valentini scrisse da lì
tre lettere a Ferrara27 e mandò avanti un suo servo a Buda, per ricevere ordini da
Beatrice. Il 10 luglio arrivarono due cortigiani mandati dalla regina: un barone
ungherese e un gentiluomo cremasco che può essere identificato con Bernardo
Monelli da Crema.28 Oltre la regina anche Bernabò Brancia, governatore di
Esztergom, mandò una delegazione a Zagabria per accogliere e accompagnare
suo fratello Antonio, che doveva arrivare come ambasciatore del re di Napoli
ma, a causa di un pericolo sospetto di un’avanzata turca, non gli fu possibile
arrivare. Fu così che anche la delegazione di Esztergom si unì alla missione di
Valentini. Partendo da Zagabria l’11 luglio Parenti menziona – come eco di un
caso sfortunato – il fatto che non lontano da quella città si trova il luogo in cui
l’ambasciatore Bartolomeo Bresciani era stato derubato. Nel giro di due giorni
giunsero alla Drava, il fiume di confine tra la Slavonia (Schiavonia) e l’Ungheria,
da dove Valentini scrisse di nuovo una lettera a Ferrara29 in cui fa una relazione
26
La moglie di Bernardino Frangipani era Luisa Marzano d’Aragona, cugina di Eleonora e Beatrice. Bernardino scrisse due lettere ad Eleonora dopo lo svaligiamento di Bartolomeo Bresciani
offrendo i suoi servizi per i viaggi degli ambasciatori ferraresi, riferendosi soprattutto ad Ippolito:
ASMo, ASE, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, b. 1. fasc. 7. 1–2. (Le segnature della
fotoriproduzione: HU MNL OL DF 294355–356.)
27
Due lettere il 6 e una il 9 luglio: MDE III. pp. 117–125. Cfr. l’Appendice II.
28
Si veda più dettagliatamente l’Appendice I.
29
MDE III. pp. 125–126.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
297
sul trasferimento della coppia reale da Buda a Posonio,30 così come anche sul
cambiamento della loro destinazione.31
Il barone ungherese parlava con loro in latino e Parenti cita alcune delle sue
frasi, nello stesso tempo lo deride per i suoi errori grammaticali, aggiungendo
subito che l’uomo gode un gran prestigio presso la corte reale. Non erano queste
le uniche parole taglienti di Parenti: il giorno seguente – dopo aver incontrato
un ladrone sulla loro via – il cancelliere faceva una forte critica sulla coltivazione dell’uva che vedeva da quelle parti, tuttavia il vino lo trovava ottimo sia lì sia
a Fehérvár (Alba Regia), la città di incoronazione dei re ungheresi. L’episodio
del ladro è davvero notevole: Parenti ci svela che si tratta di un nobile bandito
dal re Mattia, che portava il nome di “Bottocapra”, di cui non si può decidere se
fosse un soprannome tradotto in italiano oppure un nome ungherese frainteso.
Una possibile identificazione è la persona di István Botkai, che era un nobile
con possedimenti nella provincia di Somogy, e fu nominato latro insignis in un
diploma reale.32 Il 16 luglio giunsero a Fehérvár e, nel corso di questa giornata,
basandosi sul testo, sembrerebbe che Parenti, per un tratto, abbia viaggiato
da solo. Da Fehérvár in due giorni giunsero ad Esztergom, la città destinata
ad Ippolito d’Este, e per volontà della regina vi trascorsero due giorni.33 A
questo punto Parenti ci fornisce la descrizione più ampia di tutta l’epistola,
lodando il luogo, la chiesa, i tesori, le entrate, gli edifici, in sostanza la ricchezza
dell’arcivescovato sotto ogni aspetto. Con le sue parole cerca di rendere visibile
la collocazione del castello, le sue camere e la sala grande, in cui erano presenti
vari affreschi: ritratti dei principi e dei re ungheresi che dominavano una volta
il paese. Secondo Antonio Bonfini era stato l’arcivescovo János Zrednai (Vitéz)
a farli dipingere, come scrive il cronista riferendosi a lui:
30
Posonio (Pozsony, Posonium, Pressburg) era una delle più importanti città del Regno d’Ungheria, oggi è la capitale della Slovacchia, a partire dal 1919 si chiama Bratislava. In questa sede
userò la forma italiana medievale.
31
R. Horváth: Itineraria regis Matthiae Corvini et reginae Beatricis de Aragonia (1458–[1476]–
1490), Budapest: MTA Történettudományi Intézete, 2011: 121–122, 135.
32
Cfr. HU MNL OL Diplomatikai Levéltár (=DL) 19205. La proposta dell’identificazione è di
Tibor Neumann a cui ringrazio anche in questo luogo per avermi suggerito di consultare questa
fonte.
33
Valentini scrive il 3 agosto 1486 al duca: “Dipoi procedendo più ultra e pervenuto ad Strigonio,
ove honorato assai et ivi dimorato dui giorni per ordine lassato ivi dala regina, me ne inviai verso
Possonio”, MDE III. p. 137.
298
Hajnalka Kuffart
Vir fuit archiepiscopatui vehementer accommodus, quippe qui triclinium in arce amplissimum erexit, prominens vero ante triclinium e rubro marmore ambulacrum cum duplici podio et superbissimum extruxit. Ad triclinii caput Sibyllarum sacellum e fornicato opere acuminatum statuit, ubi Sibyllas omnes connumerare
licet. In triclinio non modo omnes ex ordine Ungarie reges, sed et
progenitores Scythicos cernere erit.34
Parenti ci dà ben più informazioni: ai piedi delle figure – che erano quindi
integrali – c’era scritto quanti anni vissero ed il loro luogo di nascita. Parenti
ci svela, inoltre, che la serie parte da Attila, sovrano degli unni, la cui persona appare poi anche nel suo capolavoro (Gloriosissimi Geminiani Vita) come
prefigura delle campagne ungheresi contro la città di Modena. Per di più è
un’informazione completamente nuova l’indicazione relativa alla presenza di
una pittura sulla conquista della patria, nella quale il popolo ungherese era
rappresentato, con greggi e mandrie, mentre arrivava nel bacino dei Carpazi.
Da Esztergom viaggiarono sul lato settentrionale del Danubio, attraverso alcuni villaggi dell’arcivescovato come Gúta e Püspöki, fino a Posonio. Arrivarono nella città del re nel giro di tre giorni, domenica 23 luglio. Fu questo il giorno
in cui fecero l’ingresso solenne in città, videro tuttavia la coppia reale solo
da lontano e, tramite un messo, chiesero formalmente udienza.35 Lunedì, dopo
aver ascoltato il vespro nella capella del castello, la regina accolse Valentini ed
i suoi compagni, il re Mattia, tuttavia, non era presente a causa di una malattia
alle gambe. Per un incontro con lui dovettero attendere una seconda udienza
che, però, venne fissata solo per il 30 luglio. Le due udienze rappresentano una
parte rilevante sia nell’epistola di Parenti sia nelle due relazioni di Valentini36
scritte alla coppia ducale a Ferrara. Nella descrizione si legge che la regina,
quasi trascurando il dialogo protocollare, fece mostrare subito le effigi dei due
fanciulli ducali, Alfonso ed Ippolito, baciando tante volte quella di Ippolito,
che trattava come se fosse suo figlio. Nella lettera di Parenti non appare, ma
Valentini racconta che, dopo un’ora di contemplazione, la regina mandò i due
ritratti al marito, Mattia Corvino, che mostrò non meno entusiasmo verso le
effigi, baciò quella di Ippolito – che chiamava il suo “hungaro” – e così fecero
34
Antonius de Bonfinis, Rerum Ungaricarum decades. Ediderunt Iosephus Fógel, Bela Iványi &
Ladislaus Juhász, tom. IV, pars I, Lipsiae & Budapest, 1941: 47 (IV. 3. 99–101).
35
MDE III. p. 138.
36
MDE III. pp. 137–143, 144–152. Cfr. Appendice II.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
299
tutti i baroni e nobili che erano presenti.37 Il 30 luglio, come si accennava
in precedenza, anche il re diede un’udienza ufficiale e accolse formalmente
l’oratore a casa sua.
L’epistola di Parenti finisce con le preparazioni dell’assedio di Cittanova
(Wiener Neustadt, Austria), poi troviamo due poscritti in cui il cancelliere informa la duchessa che Bernardino Frangipani è disposto ad incontrare Ippolito anche a Segna. Viene inoltre chiesto di trasmettere l’epistola a Niccolò da
Correggio, da cui ha ricevuto questa commissione di raccontare il viaggio. Il
periodo tra il 30 luglio e il 3 agosto 1486 fu molto denso per Parenti: oltre
alla sua epistola scrisse anche le già citate due ampie relazioni di Valentini:
la prima, indirizzata ad Ercole, il 3 agosto, la seconda invece, indirizzata ad
Eleonora, il giorno seguente. Rimane ancora una cedola al duca e una lettera alla
duchessa.38 Inoltre è conosciuta anche una relazione di Valentini indirizzata al
duca, datata il 4 agosto e scritta dall’oratore di sua propria mano, perciò manca
dall’Appendice II.39
Giovanni Maria Parenti rimase in Ungheria fino alla fine del febbraio 1487,
quando la regina Beatrice prima decise di scegliere lui come cancelliere per la
corte arcivescovile di Ippolito, poi di mandarlo a Roma, al fianco di France-
37
La relazione al duca: “Dipoi epsa (scil. Beatrice) remandò ambi li fogli ala maestà del signor
re, qual non ne mostrò mancho piacere e contenteza dela regina, subito pigliando parte ch’el suo
hungaro era molto più bello del altro, et etiam laudando l’altro e per tenereza non se potè retenere
che molte volte non basiasse la figura e così fecerno tutti li baroni e nobili ch’erano al conspecto,
e dicto foglio andò per tutta la corte. E veramente per quello ch’io ho potuto comprehendere in
dies sue maestate non poterebono (scil. potrebbero) havere miglior amore e desiderio verso epso
don Hipolyto come hano.” MDE III. p. 139. La versione alla duchessa: “Dipoi epsa rimandò ambi
li fogli ala maestà del signor re, quale non ne mostrò mancho piacere e contentezza dela regina,
subito pigliando parte ch’el suo hungaro era molto più bello del altro et etiam laudando l’altro.
E per tenereza non se potte ritenere che molte volte non basiasse la figura, e così fecerno tutti
gli baroni e nobili ch’erano al conspecto. E dicto foglio andò per tuta la corte e certamente per
quello ch’io ho potuto comprendere in dies sue maestate non potrebono havere magior amore
e dessiderio verso epso don Hipolyto come hano.” MDE III. 146. L’episodio viene esposto anche
nella monografia di A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona op.cit.: 180.
38
Cft. Appendice II.
39
ASMo, ASE, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, b. 1, fasc. 13, 9. (= HU MNL OL
DF 294499.) La lettera è inedita.
300
Hajnalka Kuffart
sco Palude,40 per sollecitare l’emissione delle bolle papali. Beatrice chiese alla
sorella di acconsentirne con queste parole:
Quisti dì passati havemo vista experiencia dele virtute, prudencia
et sufficiencia del venerabile donno Johanne Maria, quale venne
qua per cancellero del magnifico messer Cesare Valentino, vostro
ambassatore, et certamente ne pare assai disposto ad essere cancellero delo illustre et reverendo don Hyppolito, archiepiscopo de
Strigonio,41 figliolo de vostra illustrissima signoria et nostro nepote, et si non havessemo dubitato de non dispiacerli, ià lo haveriamo
electo et factolo restare qua, como haveamo deliberato in lo animo
nostro. Puro non dubitando che vostra signoria se ne contentarà,
lo havemo accompagnato con lo magnifico Francesco da Palude,
nostro familiare, quale mandamo llà et in Roma per la facenda
de l’annata ad tale che dicto donno Johanne Maria faza dui boni
effecti: l’uno che vegna ad pigliare licencia da vostra signoria et ne
li basa le manu, et l’altro che informa quella dele cose de qua et de
dicto archiepiscopato, et se ne possa retornare qua con lo illustre
et reverendo archiepiscopo, suo patrone. Pregamo per tanto la signoria vostra illustrissima che lo voglia havere per recomandato
et acceptare la deliberatione nostra de haverlo electo cancelleri,
perché ne rendimo certisseme se portarà in dicto officio che da
omne homo serà commendato, et lo dicto archiepiscopo et nui qua
ne seremo ben serviti perché è diligente, sollicito et docto. Da lo
dicto Francesco de Palude se referarà quisto nostro desiderio più
amplamente ala signoria vostra, la quale pregamo li voglia prestare
indubia fide et credenza.42
Al contrario della volontà della regina, Parenti non ritornò mai in Ungheria. Non è conosciuta la data del suo rincasamento a Modena da Roma, come
40
Francesco Palude, figlio di Nicola Palude, luogotenente di Alessandro, poi Costanzo Sforza
in Pesaro. Nel 1479 sposò Margherita Marzano e, dal 1486, lo troviamo alla corte di Beatrice
d’Aragona. Fino alla morte di Mattia Corvino rimase in Ungheria, poi servì il duca di Milano
come oratore (1490–1493), maestro di casa (1494–1495) e maestro delle entrate (1497). Per i suoi
titoli accanto agli Sforza si veda S. Eiche: ‘Towards a study of the ’Famiglia’ of the Sforza Court
at Pesaro’, Renaissance and Reformation 9, 1985: 96.
41
Esztergom, Ungheria.
42
Carteggio pp. 105–106.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
301
rimangono pure in ombra i suoi motivi. Ciò che è certo è però che la coppia
ducale selezionò un altro cancelliere per la corte arcivescovile di Ippolito nella persona di Borso Bruttura che poi Beatrice, forse deludente per l’assenza
di Parenti, rifiutò, e mantenne nell’ufficio Vincenzo Pistacchio, servitore del
cardinale Giovanni d’Aragona.43
Il documento
L’originale della lettera di Parenti si trova nell’Archivio di Stato di Modena, sotto la segnatura Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori
Ungheria, busta 1., fascicolo 12., ed è stato aggiunto al database del progetto
“Vestigia” sotto il numero 1414. Inoltre l’Archivio Nazionale Ungherese ha ammesso il documento nel suo repertorio sotto il numero HU MNL OL DF 294488.
Il manoscritto originale consta di due quaderni di quattro fogli, dei quali sono
numerati dagli archivisti solo quelli che contengono scrittura. Nella trascrizione
i numeri delle pagine sono indicati tra parentesi quadrate in grassetto. La tabella
seguente mostra le concordanze dei fogli e delle pagine:
Foglio
Pagina
Foglio
Pagina
1 retto:
1 verso:
2 retto:
2 verso:
3 retto:
3 verso:
4 retto:
4 verso:
1
2
3
4
5
6
7
8
5 retto:
5 verso:
6 retto:
6 verso:
7 retto:
7 verso:
8 retto:
8 verso:
9
10
vuota
vuota
11
12
13
vuota
43
Cfr. G. Ferrarini: Memoriale…, op.cit.: 276; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete
lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 347. Vincenzo Pistacchio, oltre a quest’ufficio, tra il
1486 e il 1493 si assunse un ruolo di governatura dell’abbazia di Pétervárad a nome di Rodrigo
Borgia, il futuro papa Alessandro VI. Fu inoltre ambasciatore della regina ungherese almeno una
volta a Napoli nel 1488, cfr. M. Folin: ‘Gli oratori…’, op.cit.: 68. Dopo almeno 15 anni trascorsi
in Ungheria, nel 1494, fu nominato vescovo di Conversano, poi, nel 1499 vescovo di Bitetto, che
occupò fino alla morte avvenuta nel 1518. Pistacchio imparava sicuramente la lingua ungherese,
perché nelle sue lettere troviamo prestiti magiari. Cfr. H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép
kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 329, 347–348.
302
Hajnalka Kuffart
Parenti usa un linguaggio volgare dell’Italia settentrionale. Nonostante si
tratti di un’epistola, per chiarezza ho scelto la forma del diario e ho diviso il testo
a seconda dei giorni, segnalando le date tra parentesi quadrate e in grassetto.
La datazione della lettera è il 3 agosto 1486, dodici giorni dopo del loro arrivo a
Posonio. Parenti probabilmente, durante questi dodici giorni, compilò e copiò
la lettera: si tratta infatti di una copia che dimostra il gran numero degli errori
tipici delle copie, come l’aplografia, la dittografia, o il salto da uguale a uguale
(saut du même au même). Questi ultimi più volte rendono le frasi incomplete,
per cui alcune parti del testo rimangono difficilmente comprensibili, allo stesso
tempo non è facile decidere, a volte, se i raddoppiamenti siano figure retoriche
o semplici errori di copiatura. Rende ancora più complicata l’interpretazione il
fatto che la maggior parte del manoscritto sia sbiadita a causa dell’umidità, tanto da risultare illeggibile senza luce ultravioletta. Le parole incerte sono messe
tra parentesi tonde, mentre gli altri errori (a voltre presupposti) sono segnati
nell’apparato. Le abbreviazioni sono state sciolte e le interpretazioni incerte
sono state annotate. Le parti troncate e non completabili sono contrassegnate
con tre punti messi tra parentesi tonde. La mancanza di una variante, purtroppo,
non ci permette di integrare il testo, ma le lettere di Cesare Valentini ci svelano
più volte i dettagli mancanti dall’epistola di Parenti. Oltre agli errori della copiatura, anche nel contenuto troviamo alcuni equivoci, per esempio a proposito
delle direzioni (14 giugno: Burano, Torcello e Mazzorbo sono situati a nord di
Venezia, e non a sud) o dei toponimi (18 giugno: la penisola di Sabbioncello
non è parte dell’Istria).
Nella trascrizione volevo mantenere i caratteri specifici del testo, modernizzando solo la punteggiatura, gli accenti e le maiuscole. Per rendere più comprensibile le parti arcaiche, ho aggiunto spiegazioni nell’apparato. Ho lasciato i
numeri romani e arabi in forma originale. Dato che Parenti usa le preposizioni
articolate molto più frequentemente in modo composto, ho unificato anche
quelle poche scritte separatamente.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
303
Appendice I
Datazione: Posonio, 3 agosto 1486.
Destinataria: Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara.
Segnatura dell’originale: Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense,
Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Ungheria, busta 1., fascicolo 12.
Segnatura nel database Vestigia: nr. 1414.
Segnatura nell’Archivio di Stato Ungherese: HU MNL OL DF 294488.
[13 giugno 1486]
[1.] Illustrissima et excelentissima, madama mia singulare! Per questa mia la
celsitudine vostra serà advisata totalmente degli progressi de tutto el viagio
incomenzando al partire da Venetia del magnifico oratore44 d’epsa45 con la
soa famiglia. Et primo doppo sei46 giorni che stete in Venetia per non poter
pigliare il camino per el contrario tempo, gionsi la barcha nostra al botto de
una hora47 de nocte per megio Realto.48 E venendo per el rio dreto49 al Fontegho
degli Todeschi50 per rispecto de l’acqua che crescea in modo che la barcha non
potea passare per li ponti che sono sopra epso rio, stessimo per hore sei a fare
epsa via dal dicto Fontegho a San Marcho.51 E intrato che fossemo nel Canal
Grando incomenzorno gli marinari a navigar verso gli duo Castella52 al porto
de Venetia, e per il contrario vento stessemo lì per quella nocte.
44
Cesare Valentini
epsa: “essa”. Fa riferimento alla duchessa.
46
In realtà soltanto cinque: Valentini ed i suoi compagni arrivarono a Venezia il 9 giugno 1486.
47
Le ore in quest’epoca si contano a partire dalla recitazione dell’Ave Maria, cioè dal tramonto.
48
Ponte di Rialto in Venezia.
49
dreto: “dietro”.
50
Fondaco dei Tedeschi, Venezia.
51
Basilica di San Marco, Venezia.
52
Uscita marina di Venezia.
45
304
Hajnalka Kuffart
[14 giugno]
E facto giorno con bonazza del mare facessemo vela e navigassemo circha dece
miglia in mare lassando a man dextra53 uno loco dicto le Contrate che sono tre
castella cioè Torecello, Mazorbo e Burano,54 distante da Venetia cinque miglia,
nel qual transito incontrassimo uno delphino che senza incomodo nostro trapassò ultra. E in uno istanti sopragionsi uno contrario vento in modo che fu
forza butare l’anchora in mare e così stessimo ivi per hore cinque. E vedendo
li marinari che non potevano passar el golpho,55 feceron vela, e tornassemo a
dietro agli duo Castella et alogiassemo con gli monachi de San Benedecto in
San Nicolò da Lido.56 E per quel giorno che fu a dì 14 e mercure de zugno se
ritrovassemo lontano uno miglia da Venetia e per quella nocte stessemo.
[15 giugno]
La zobia seguente a dì 15 et ad hore 15 cognoscendo ogniuno non se poter
intrare in mare facessemo vela dentro via per le lacune, lassando a man mancha
una chiesia dicta San Francesco dal Deserto,57 lontan 3 miglia dal loco, dove58
se partessemo59 quel giorno. Poi procedendo a 5 miglia giongessemo ad una
chiesia rotta come una torre60 dicto Lido Mazore61 per acqua (dolce) e de quel
loco a 5 miglia trovassemo uno passo come una torre dicta Torre de Caligo62
posta s’una fiumara adimandata la Piava63 che vien del Friullo.64 E de lì venendo
53
In realtà dovrebbe essere sinistra – Parenti forse posteriormente sbagliò la direzione.
Torcello, Mazzorbo e Burano, Venezia Insulare.
55
Intende la parte del Mare Adriatico situata tra Venezia e l’Istria.
56
San Niccolò del Lido, Venezia.
57
San Francesco del Deserto, Venezia Insulare.
58
dove: “da dove”.
59
se partessemo: “partimmo”.
60
Probabile errore di copiatura: ‘come una torre’ ripete nella riga seguente in cui fa riferimento
alla Torre Caligo.
61
Lio Maggiore, oggi frazione di Jesolo.
62
La Torre Caligo oggi appartiene al comune di Jesolo.
63
Il fiume Piave.
64
Friuli-Venezia Giulia.
54
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
305
a secunda per epsa fiumara per 3 miglia trovassemo Torre dicta Jesula,65 e per
quella nocte alogiassemo in quel loco, dove (non) trovassemo alcuna cosa da
viver, da vino in forra, e fu necce(ssario) [2.] dormire in nave, e tirare66 al
antenna il (s)paravero67 da lecto delo oratore. E questo per tante cenzale68 che vi
sono senza comparatione più che in ferrarese. Al remedio dele quale, madama
mia illustrissima, in una villa de Strigonio, dove ne sono tante che affaticha, le
matre pono69 campare da epse, li fanzuletti, cum riverentia, pigliano stercho de
bove seccho e ne fan focho, e per niente per el fumo non se puono aproximare
che quando nol fusse tal riparo non gli potria in epsa villa habitare persona.
Pareno nuvole che descendano dal’aere.
[16 giugno]
El venaro a dì 16 de doe hore ananti giorno navigando la Piava intrassemo in
mare, lontan dala soprascripta torre per cinque miglia per lo porto de Jesula, al
intrar del quale fu gran combattemento de l’acqua salsa e dolce. Epso porto è
largo et ha grande acqua. E come fossemo dentro se fece subito gran bonazza. E
lassassemo a man sinestra dove sono le infrascripte terre e porti, qual intenderà
la celsitudine vostra una con la distanza dal’una al altra cioè dal porto de Jesula
a quel a’ Livenza70 ce sono 15 miglia, da quello a quel de Cauerli71 10, poi a quel
del Taiamento72 9, a Lignano73 XI, al Amphora74 10, a quel de Buso75 9, a Grao76
65
Jesolo, Veneto.
e tirare: due volte (dittografia).
67
sparavero: “sparviero”, padiglione di letto.
68
cenzale: “zanzare”.
69
pono: “possono”.
70
Il fiume Livenza.
71
Caorle, Veneto.
72
Il fiume Tagliamento.
73
Lignano Sabbiadoro, Veneto.
74
Bocca d’Anfora, Friuli-Venezia Giulia.
75
Porto Buso, Friuli-Venezia Giulia.
76
Grado, Friuli-Venezia Giulia.
66
306
Hajnalka Kuffart
9, a Premaro77 3, al Isonza78 5, a Sdobba79 e a quel de posta overo Monfalchono80
che è cità 2, a San Zoanne81 1, a quel de Trieste82 cità 15, a quel de (Mina)83
cità 5, a Cave d’Istria84 principar cità d’Istria 5, a quel de Isola85 cità 5, a quel
che Piran86 cità 5, nela qual rhiva è una cità dicta Umago87 ala qual navigando
gionssemo la sera, e da Piran ad epsa ce sono 10 miglia. Essendo in mare a
25 miglia, presso quella sopravene el vento de Provenza88 in poppe ala barcha
in modo che a vela imbrochata in uno istanti giongessemo sotto el porto de
Umago. A 3 miglia cessato el vento nostro ne sopravena uno contrario, intanto
che fu necessario intrare in uno porto per forza de septi remi cum faticha e
(maresello),89 e consumassemo in quele 3 miglia più de quatro hore.
[17 giugno]
El sabbato a dì 17 partessemo da Umago, lassassemo una cità dicta San Laurentio90 a 5 miglia, quale ha molte ville, e a 9 miglia passassemo sotto una cità
dicta Cità Nova,91 quale è molto molestata dala pestilentia. Transfretassemo
poi el porto de Quieta92 che va giù da terra s’uno fiume, dreto qual a 7 miglia
[3.] è una cità dicta Montona.93 A 10 miglia una terra dicta San Laurentio da
77
Primero, Friuli-Venezia Giulia.
Il fiume Isonzo.
79
Punta Sdobba (allo sbocco dell’Isonzo), Friuli-Venezia Giulia.
80
Monfalcone, Friuli-Venezia Giulia.
81
San Giovanni di Duino, Friuli-Venezia Giulia.
82
Trieste, Friuli-Venezia Giulia.
83
Probabilmente Muggia (Milje), Friuli-Venezia Giulia. Il timbro dell’archivio copre i caratteri.
84
Koper (Capodistria), Slovenia.
85
Izola (Isola d’Istria), Slovenia.
86
Piran (Pirano), Slovenia.
87
Umag (Umago), Croazia.
88
Il maestrale, il vento che spira da nord-ovest.
89
Lettura incerta.
90
Lovrečica (San Lorenzo), Croazia.
91
Novigrad (Cittanova d’Istria), Croazia.
92
Il fiume Mirna (Quieto), Croazia.
93
Motovun (Montona), Croazia.
78
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
307
Passenadegha94 cum assai altre ville, e a 2 miglia ge è la valle de Cervera,95 qual
terre lassate sul dicto fiume96 giongessemo a Parenza97 bella cità, e visitassemo
una bella chiesia dicta San Nicolò,98 dove habitano monachi de San Benedecto.99
E partendosi lo illustre e reverendo signor don Hipolyto da Venetia può quel
giorno con bon vento capitarvi et alogiarli non tochando niuno di prenominati
porti e cità. Epso San Nicolò è s’un schoio lontan da Parentia uno quarto de
miglio, qual schoio è pien da ogni canto de olive et è invero un bello loco. Epsi
monachi dano a naviganti recapito del logiamento, tanto el resto l’homo porta
cum lui. E perché da Venetia fin a Segna non se trova bon pan, fa bisogno fornire
la mensa d’epso, de vino, carne e formagio dreto la rivera de Istria e ad un tertio
miglior mercato.
Visto el loco facessemo vela lassando nel navigare doppo nui ben 19 schoi e
passassemo sotto el porto de Orsara,100 cità quantuncha trista, da cui a Lemo101
sono 7 miglia, al porto de Ruigno102 3 che è tale che a terra103 senza butar
ponte se acosta ogni calea104 e naviglio, et è cità. E passassemo uno schio105
nel qual se incava e intagliassi marmo. In quietate de lì a Sant’Andrea106 è
uno miglio dove stano frati de San Francesco de Observantia, quali viveno
de helimosina. Passassemo ultra schoi infiniti, quali non potea numerare. E a
8 miglia trovassemo uno porto dicto Porto de Colona107 sul quale è una cità
dicta Valle,108 da cui ala villa de Pedroi109 sono 8 miglia. È una bella villa, e
94
Sveti Lovreč Paženatički (San Lorenzo del Pasenatico), Croazia.
Črvar (Cervara), Croazia.
96
Errore dell’autore: dal punto di vista geografico dovevano navigare sul mare e non sul fiume.
97
Poreč (Parenzo), Croazia.
98
Sveti Nikola (San Niccolò), Croazia. Isolotto vicino a Parenzo.
99
Sulla storia dell’abbazia si veda R. Cigui: ‘I Benedettini nella Venezia Giulia di Antonio Alisi’,
Atti XXXVII, 2007: 432–433.
100
Vrsar (Orsera), Croazia.
101
Limski kanal (il canale di Leme), Croazia.
102
Rovinj (Rovigno), Croazia.
103
terra: due volte.
104
calea: “galea”.
105
schio: “scoglio”.
106
Sveti Andrija (Isola di Sant’Andrea), Croazia. Isolotto vicino a Rovigno.
107
Otočić Kolona (Isolotto di Colona), Croazia.
108
Bale (Valle d’Istria), Croazia.
109
Peroj (Peroi), Croazia.
95
308
Hajnalka Kuffart
de lì navigassemo a Fasana,110 villa col reducto non molto bona d’habitatione,
ma bon formagio se gli fa. E per quella nocte ponsassemo111 lì non in vero
comodamente.
[18 giugno]
La domenicha udita la messa e cocta el desinare facessemo vela e venessemo a
Stignano112 distante dal porto suo dicto Valbandono113 2 miglia e a uno miglio
giongessemo ad una isola dicta Brioni,114 qual volta 4 miglia et ivi sono in copia
fasiani e coniglii per prerogativa, adimandassi115 el loco delitie de venetiani.
Ha una villa col reducto presso quale è una (villa) dicto San Hieroymo,116 dove
se intagliano colone de marmo et ivi fu intaglia(to) [4.] quella colona ch’è a
Po. Da quella isola a 2 miglia trovassemo uno monte grando che tutto è uno
saxo et in fondo presso l’acqua ge è una crotta che ha rento l’acqua una porta
aperta che’l significa nol scio. E de lì a Pola117 ce sono 5 miglia, cità bella de
venetiani già de greci presso quale è uno palazo facto in modo de uno theatro
che ha 366 fenestre e rotondo. Dicono quelli homini dev’esser stato habitato per
Orlando,118 e in similitudine de una harena, come quella de Verona. Et ad uno
miglio presso epso palazo gli’è la forma de uno castello inhabitato con una via
sotto terra, che va al dicto palazo, quale hora è chiusa.
E presso Pola s’un schoio al basso vedessemo homini squartati per mal oprar
loro. De lì a 3 miglia venessemo ad una punta d’uno monte dicto Branchorsa,119
dove120 feceron factodarme in bello navali insieme greci, venetiani e zenovesi,
110
Fažana (Fasana), Croazia.
ponsassemo: “riposammo”.
112
Štinjan (Stignano), Croazia.
113
Valbandon (Val Bandone), Croazia.
114
Brijuni (le isole Brioni), Croazia.
115
adimandassi: “si chiama”.
116
Otok Sveti Jerolim (Isola San Girolamo), Croazia.
117
Pula (Pola), Croazia.
118
Roland, eroe della letteratura cavalleresca nel Medioevo in Francia, che nel Rinascimento si
diffuse molto nella poesia italiana.
119
Brancorso: nome storico del monte dove oggi si trova Fort Musil. Cfr. P. Coppo: ‘Del sito
dell’Istria…’, op.cit.: 42.
120
dove: due volte.
111
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
309
e fu secundo el dir degli habitatori per voce de antiquitate grandissima strage.
Dura epso monte per longo uno miglio e mirandolo, essendo in mare, pare tutto
un muro senza scropulo tanto e polito. Da qual monte sono 5 miglia al porto
bellissimo de Veruda,121 simile a quello de Orsara a uno miglio è el porto del
Olmo122 ad uno altro qual del Olmesello.123 E de qui a 2 migila aplicassemo al
Premontorie124 porto alo intrar periculosissimo per gli venti e mar grando qual
non se può passare per vento Garbino,125 per l’Ostro126 e non per Syroco127 al
intrar del Carnare128 sule Premontorie, non però quale tanto exorbitanto dove
non s’acosta naviglio alcuno, ma per megio qualle sun molte (…)(…)129 diricissemo lo soprascripto sparavero in modo che parea uno pavagliono da campo, qual
se potea contemplare cinquanta miglia in mare. Et ivi posto li tapetti e sopra
le odvaglie,130 epso orator sul herbetta siecha una cum li marinari e la famiglia
soa fece un desinare molto consolato de victuaglia che haveamo portato cocta.
Non penso mai veder tanto piacere per el contemplar circumcirca. E fra doe
hore sopragionsi per nui el vento de Provenza, quale havessemo in poppo. E
facto via passassemo el Carnare che dura 30 miglia in spatio, de hore tre. Epso
Carnare è el più periculoso golpho che sia dal Levante al Poncto, e non è così
praticho marinare che non tema non havendo el vento al modo suo. E remise
dale Premontorie è el porto de Sabionzello131 a 3 miglia, e 3 de lì a quel de
Medolino,132 quale ha reducto, e a 5 el porto dele Cove Picole, [5.] e a 2 miglia
121
Fratarski otok (Veruda), Croazia.
Porto Volme (Olmo, Olmo Grande), porto della città Banjole (Bagnole), Croazia.
123
Uvala Valmižeja (Olmicello, Olmo Piccolo), Croazia.
124
Premantura (Promontore), Croazia; è anche il nome della penisola situata all’estremità
meridionale dell’Istria.
125
Nome del vento che spira dalla direzione che si trova tra sud e sud-sud-ovest.
126
Nome del vento che spira da sud.
127
Nome del vento che spira da sud-est.
128
Il nome della parte del Mare Adriatico che si trova tra l’Istria e le isole di Cherso e Lussino:
Kvarner (Quarnaro), Croazia.
129
Errore di copiatura: manca la fine della frase e l’inizio della seguente.
130
odvaglia: probabilmente “tovaglia”.
131
Pelišac (penisola di Sabbioncello), Croazia. È un possibile fraintendimento dell’autore, perché
la penisola di Sabbioncello è situata molto più di sud, lontano dall’Istria.
132
Medulin (Medolino), Croazia.
122
310
Hajnalka Kuffart
quello dele Cove Grande,133 a 3 quello de Baldò,134 a 2 quello dele Vignole,135 a 2
Porto Longo.136 Poi venessemo137 uno castello dicto Arsa138 col porto, a 3 miglia
qualle de San Zoanne,139 a 3 la Valle Maistra, a 3 Santa Marina,140 a uno miglio
uno altro Porto Longo,141 a 2 una cità dicta Albona142 col porto,143 e a 2 miglia
una altra cità dicta Fianona,144 qual ha pur porto, a 3 miglia poi uno castello delo
imperatore, dicto Berseci,145 dal quale eramo discosti in mare circa 40 miglia. Da
Berseci autem callando146 dreto la costera è uno reducto dicto Leurana,147 ala
Valle de Prelucha148 5 miglia, e a 5 è Fiume,149 cità e tutte terre delo imperatore,
quale restano longe da nui. E venendo dietro al mare da Berseci a 15 miglia è San
Nicolò dela Faresina150 ch’è de venetiani, a 20 miglia una terra dicta Cherse,151
a 10 uno castello dicto Ledenizze,152 a 3 da Valle de San Martino,153 a 5 el porto
de Carnisa.154 Havendo però lassato a megio il Carnare uno schoio nel quale ce
sono infiniti migliara de fasiani e coniglii, tandem uscissemo fuori del Carnare
133
Probabilmente si tratta di Porto Cuje (Uvala Kuje), crf. Marieni, Portolano op.cit.: 64.
Uvala Budava (Porto Badò), si veda Marieni, Portolano op. cit.: 64–65.
135
Vinjole (Vignole), Croazia.
136
Duga Luka (Portolungo), Croazia.
137
venessemo: la parola è depennata.
138
Raša (Arsia), Croazia.
139
Probabilmente si tratta della chiesa di San Giovanni Battista del villaggio Brovinje (Brovigne),
Croazia.
140
Sveta Marina (Santa Marina d’Albona), Croazia.
141
Duga Luka (Porto Lungo), Croazia. Appartiene al comune di Labin (Albona).
142
Labin (Albona), Croazia.
143
Rabac (Portalbona), Croazia.
144
Plomin (Fianona), Croazia.
145
Brseč (Bersezio), Croazia.
146
callando: “calando”.
147
Lovran (Laurana), Croazia.
148
Luka Preluk (Valle Preluca), Croazia.
149
Fiume, Croazia.
150
Porozina (Faresina), Croazia.
151
Cres (Cherso), Croazia.
152
Lubenice (Lubenizze), Croazia.
153
Martinšćica (San Martino in Valle), Croazia.
154
Camisa, porto antico di Ustrine, Croazia. Può trattarsi di una errata lettura dei caratteri r ed
n al posto di m da parte di Parenti. Sul manoscritto è scritta evidentemente la forma “Carnisa”.
134
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
311
Deo duce a salvamento. Ma foria155 longo a ricontare156 li delphini che nui
vedeamo far cazza d’altri pessi come levereri157 ale lepore. E giongessemo ad
una cità dicta Osoro,158 lontano 5 miglia da Carnisa, nel porto dela qual s’entra
per uno monte tagliato già per più comodità da venetiani. Epsa cità è principio
de Dalmatia, e da epsa a 5 miglia capitassemo al porto de Caldonto159 dove
cenato a gran piacere passassemo la nocte. E nel smontare a terra pareamo che
volessemo transcorrere el paese chi cercava focho chi una160 altra cosa, e quel
che ce dava più piacere era che non erramo161 intesi, per tanto era necessario
far cenno de quello che volevamo.
[19 giugno]
El lunì a dì 19 iterum facessemo vela sul’alba e ad162 uno miglio163 uno loco
dicto le Murate164 a uno miglio Cardotto Picolo, e a 3 Porto Longo, a 2 Santa
Croce,165 e a uno porto Cadena venendo tra dui monti per spiaza. E a 18 miglia
trovassemo una isola dove è Pago vechio e Pago novo infra terra,166 e da l’uno
al altro è uno miglia. E da dicta isola a 10 miglia è una cità dicta Newaglia,167 e a
3 miglia el porto de Tavernelle,168 ma dal’isola ad una cità dicta Arbi169 ce sono
5 miglia. Ale la qual ge conducta uno medicho, subdito de vostra celsitudine,
modenese, cognato de Jacobo Saiano dicto maestro An(tonio).170
155
foria: probabilmente si tratta di un errore di copiatura e voleva scrivere “saria”.
ricontare: “raccontare”.
157
levereri: “levrieri”.
158
Osor (Ossero), Croazia.
159
Kaldonta, Kalk, oggi appartiene a Punta Križa, Croazia.
160
chi una: due volte.
161
erramo: “eravamo”.
162
Sopra la riga: “E”.
163
Manca il predicato: si vede una croce sopra la riga che poteva essere un segno di correzione,
però sul margine non si legge alcuna parola inserita.
164
Lettura incerta.
165
Punta Križa (Punta Croce), Croazia.
166
Otok Pag (Isola di Arbe), Croazia.
167
Novalja (Novaglia), Croazia.
168
Tovrnele/Tovarnele (Tavernele), Croazia.
169
Rab (Arbe), Croazia.
170
A causa di uno squarcio della carta non si vede la fine del nome.
156
312
Hajnalka Kuffart
[6.] Da Arbi a San Christophoro171 porto in mare ce sono 3 miglia, a Santa
Margarita172 2, ala Valle de San Petro173 3, a San Nicolò da le Saline174 5, a San
Gregorio175 5, ad uno schoio dicto Privichio176 5, e così giongessemo poi sotto
l’isola de Vegia177 ad uno miglia nela qual è uno castello dicto Muschio.178 A 10
miglia ge è una villa dicta Dobasinazza179 che ha reducto poi a 3 miglia è Santa
Maria de Cavo,180 a 4 miglia Porto Longo, et de lì a San Zorzo181 3, a Vegia182
5, a San Nicolò de Cavo del’Isola183 5, ha dicto loco porto col reducto de lì ad
uno castello dicto Bascha184 ce sono 10 miglia. E navigando uno brazo de mare
dicto Carnarolo185 venessemo cum la vella inbrochata nel porto de Segna, nela
qual cità possassemo per tucto el marte seguente e fossemo carezati, honorati,
ben alogiati et aliqualmente presentati, lo oratore.186
[21 giugno]
El mercure se partessemo e montassemo circa a 4 miglia uno monte saxoso
dove qui altro che salvia non ge nasce et altre herbe odorifere. Passato quello
che assai havere bono le camoze a salirla altri assai ne passassemo horidi et
171
Uvala Kristofor (Porto San Cristoforo), Croazia.
Porto Santa Margarita: porto antico vicino alla Chiesa di Santa Margherita (Crkva svete
Margarite, Kampor) sull’isola di Arbe.
173
Supetarska Draga (Valle San Pietro), Croazia.
174
Probabilmente equivale alla Chiesa di San Niccolò (Crkva sv. Nikola) che è situata
sull’estremità settentrionale dell’isola di Arbe.
175
Sveti Grgur (Isola di San Gregorio), Croazia.
176
Prvić (Pervicchio o Parvicchio), Croazia. Oggi appartiene a Krk.
177
L’isola di Krk (Veglia), Croazia.
178
Omišalj (Castelmuschio), Croazia.
179
Malinska-Dubašnica (Malinsca-Dobasnizza), Croazia.
180
Probabilmente si tratta di Santa Maria di Capo, l’estremità occidentale dell’isola di Krk.
181
Uvala Sv. Juraj (Porto San Giorgio), vicino alla città di Krk.
182
La città di Krk (Veglia), Croazia.
183
Chiesa di San Niccolò, situata vicino a Punta Negritto (Tranjevo).
184
Stara Baška (Besca Vecchia), Croazia.
185
Kvarnerić (Quarnerolo, piccolo Quarnaro), la parte del Mare Adriatico situata tra le isole
Cherso, Pago, Arbe, Veglia ecc.
186
Stile orale, Parenti probabilmente esprime in questo modo il fatto che solo Valentini abbia
ricevuto doni.
172
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
313
inculti, e giongessemo quel giorno lontan da Segna 15 miglia ad uno castello
dicto Brigno187 e lì possassemo la nocte.
[22 giugno]
La zobia se partessemo venendo per monti horibili saxosi et in folti de boschi
che mai se veddi li simili, e montavamo 4 miglia, e 4 ne calavamo et era necessario andare a pedi. Et a 8 miglio presso Modrusio188 ce è una chiesia de San
Francesco,189 e Dio gratia a salvamento giongessemo a Modrusio, cità del signor
conte Bernardino Frangipani che ha uno castello190 in una sumità d’un monte
che dentro ha acqua viva. Et è inexpugnabile capo dela Croatia, ivi erano turchi
prisoni che lavoravano nella fortezza. Del dicto castello se vede le confine del
turcho che sono ad uno fiume dicto Uno.191 E lì sono le case travi coperte d’asse,
ivi fu presentato l’oratore de pane, vino, capretti e lamprede, e per quella nocte
possassemo lì.
[23 giugno]
El vegnare montassemo a cavallo e caminando non per tali dicti monti, venessemo a desinare a Lipa,192 castello del re, dove in loco de pan se mangiano
fogazze azime cocte nel fogo sì che chi havea pan con lui, parea homo da ben.
E cambiassemo lì cavalli da soma193 e venessemo quella sera dece miglia ad
uno loco dicto la Coppa che sono due hostarie s’uno fiume, pur dicto Coppa194
qual passassemo com barche incavate in modo de uno albio195 da salare, con
187
Brinje, Croazia.
Modruš, Croazia.
189
Crkva sv. Duh, Croazia. Per maggiori informazioni sul monastero si veda M. Bolonić: ‘Crkveni
patronat na području Senjsko-modruške biskupije’, Senjski zbornik 5, 1971–1973: 273.
190
Stari grad Modruš (Tržan-grad), Croazia.
191
Il fiume di Una.
192
Lipa, Croazia. Oggi appartiene al comune di Generalski Stol.
193
Sopra la parola si vede un segno di abbreviatura per contrazione, ma in questo caso senza
alcuna funzione.
194
Il fiume di Kupa (Kolpa).
195
albio: “alveo”.
188
314
Hajnalka Kuffart
reverentia, porci come è loro costume si per lo Danubio come etiam per altri
fiumi, [7.] ivi ha la sua maestà del signor re196 el theolomo.197 E dormissemo
quella nocte sotto el porticho dela casa bona, fu che’l sparavero dal lecto ce fu
un tecto.
[24 giugno]
El sabbato partessemo de lì venendo pur per selve, e presso Zagrabria198 a 2
miglia passassemo uno fiume dicto la Sava199 qual corre con grande inpeto.
Epso fiume divide la Croatia dala Schiavonia200 che s’incomenza lì. E passato in
pocho d’hora giongessemo a Zagrabria, nel qual loco è situata s’uno monte una
cità qui inexpugnabile per sito et è ducato. Epsa cità è del re, ma al basso è uno
castello quale è del vescovo et ivi habitano canonici et altri preti, e pochi anni
passa, secundo che dicono l’homini, lì ge corseno parechi migliara de turchi,
quali con damno e vergogna loro se partirno. Havessemo una bona habitatione e
fu presentato de alcune robe da mangiare lo oratore dal castellano e dal capitolo
e fategli honore.
E stessemo per giorni 17 lì, aspectando resposta del ordine già scripto a
vostra excellencia per la signora regina maestà201 e così vivessemo con letitia
et anchora cum gran suspecto. Era, illustrissima madama mia, concitato fama
del oratore a 200 miglia con questo credea che havesse multo più de quello che
havea, e ogni giorno veneano homini ala famiglia per voler intendere la partita
de lì, ben pareano usi assassini ne la loro cera, pensa la signoria vostra che era
necessario de tristeza mostrare guardi(a), ma pur Dio gratia se levassemo senza
pericolo.
196
Mattia Corvino.
Probabilmente si tratta di un frainteso e voleva scrivere el thelonio in senso di dazio.
198
Zagreb (Zagabria), oggi è la capitale della Croazia.
199
Il fiume di Sava.
200
Slavonia: regione storica tra i fiumi Sava e Drava.
201
Beatrice d’Aragona.
197
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
315
[11 luglio]
Marti a dì XI de luio che già el dì inanti, erano venuti uno barone del re et uno
taliano cremascho cortisano dela regina,202 zentilhomo per levarne, trova(r)no
le carette e se partesseno da Zagrabria con circa 30 cavalli armati e tre carete. E
perché a casu el gobernatore de Strigonio203 havea mandato deci cavalli e una
caretta coperta al’hungarescha per far condurre uno suo fratello204 a Buda205
che se dicta venire oratore dal re de Napoli,206 havendo nova epsi soi servitori
che non venea per non poter passare el golpho d’Anchona per la suspitione de
alcune fuste de turchi, quali van trans(co)rrando epso golpho, detino la soa carretta alo oratore, e ge feceno conpagnia. E nel camino pocho lontan da Zagrabria
arivassemo dove fu svalisato207 Bartholomeo Bressano208 e passando utra per
monti, pianura e per selve, alogiassemo ad uno castello dicto Rochenocha209
li cui homini [8.] tucti corseno su li repari et ala porta con l’arme credendo
202
Il barone ungherese non è identificabile, il cortigiano della regina Beatrice era Bernardo
Monelli da Crema, la cui lapide sepolcrale oggi è conservata nel Museo Storico di Budapest. Sulla
sua vita si vedano Historia di Crema, 570–1557 [di] Pietro da Terno (Pietro Terni), ed. M. Verga
& C. Verga, Crema, 1964: 230–231; La historia di Crema, raccolta per Alemanio Fino da gli
annali di messer Pietro Terni, Velence, 1566. ff. 55v–56r; P. Lővei & B. Weisz: ‘A gazdaság- és
pénzügyigazgatás szereplőinek szórványos síremlékei a középkori Magyarországon’, in: B. Weisz
(ed.): Pénz, posztó, piac. Gazdaságtörténeti tanulmányok a magyar középkorról, Budapest: MTA
BTK Történettudományi Intézet, 2016: 251–253; J. Szendrei: ‘Monelli Bernát síremléke 1496-ból
(Egy szövegközti hasonmással)’, Turul 41, 1927: 71–76.
203
Bernabò Brancia, governatore dell’arcivescovato di Esztergom a partire dall’epoca del cardinale Giovanni d’Aragona. Cfr. H. Kuffart: Modenában őrzött esztergomi számadáskönyvek és
az esztergomi érsekség udvartartása, Tesi di dottorato dell’Università Cattolica Péter Pázmány,
Scuola di Dottorato in Scienze Storiche, Budapest, 2018: 17–27; N. C. Tóth: Magyarország
késő középkori főpapi archontológiája. Érsekek, püspökök, illetve segédpüspökei, vikáriusaik és
jövedelemkezelőik az 1440-es évektől 1526-ig, Győr: Győri Egyházmegyei Levéltár, 2017: 26–28.
204
Antonio Brancia, ambasciatore di Ferrante d’Aragona. L’edizione dei suoi dispacci per questa
missione: Acta Vitam Beatricis pp. 89–100; Regis Ferdinandi Primi. Instructionum liber (1486–
1487), a cura di S. Volpicella, Napoli, 1861: 25–38.
205
Buda: la capitale del Regno d’Ungheria. Dopo l’unione di Buda, Pest ed Óbuda (1873) è parte
di Budapest.
206
Ferdinando o Ferrante I d’Aragona (1458–1494), padre di Beatrice ed Eleonora d’Aragona.
207
svalisato: “svaligiato”.
208
Bartolomeo Bresciani, ambasciatore del duca ferrarese. Fu derubato mentre stava ritornando
da Buda a Ferrara nell’aprile del 1486: MDE III. pp. 96–98; H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan
szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.: 326–327.
209
Rakovec (Rakonok), Croazia.
316
Hajnalka Kuffart
che fossemo turchi. Epsa forteza è tuta de legname e de terra, e per niente se
haverebe per bataglia da mano.
[12 luglio]
Mercure a dì 12 venessemo pur per selve come etiam ho scripto de sopra vero
è che li monti sono in modo de coline. A 15 miglia alogiassemo ad uno altro
simil castello dicto Cruseze,210 e la sera a 15 altre miglia ponsassemo ad una
bella villa dicta Capronzo.211
[13 luglio]
Zobia a dì 13 montassemo per tempo in caretta e caminando passassemo due
ville che sono s’una bella pianura e poi passassemo uno altro gran fiume che
corre fortissimamente, dicta la Drava.212 Epso fiume divide la Schiavonia dal’Hungaria e de lì a 2 miglia capitassemo ad una gran villa, dicta Zachan,213
dove alogiassemo quella nocte.
[14 luglio]
El vegnare a dì 14 trovassemo a 5 miglia una villa dicta Curgo214 e una altra dicta
Sancta,215 pur a 5 miglia. E quel che se216 fece smentichare ogni pagura fu che
quel barone che ce conducea, veni a me dicendo “Canzelarie, habemus satis piscis
de vivendo (propter)217 ad comendum”.218 E per l’habito de Hungaria è de parlar
210
Križevci (Kőrös), Croazia.
Koprivnica (Kapronca), Croazia.
212
Il fiume di Drava. Confine storico e anche odierno tra Croazia e Ungheria.
213
Zákány (provincia di Somogy), Ungheria.
214
Csurgó (provincia di Somogy), Ungheria.
215
Nei dintorni di Csurgó erano situati due villaggi, a quell’epoca con nomi simili: Csente oppure
Szenta, (provincia di Somogy), Ungheria.
216
se: “ci”.
217
Può essere propter o prope.
218
Tutte e tre frasi latine citate dal barone ungherese sono grammaticalmente scorrette.
211
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
317
per littera219 cum li taliani. Fra l’altre eloquantie ne havea una quello barono
dele excellente parlando dela doctrina dela regina, disse “per Deum, regina est
vera sapientia mulier”. E volendo dire che la soa maestà gli era stata maestra,
dicta “fuit ad me regina meus discipulus”. Staria ben Italia se havesse una simil
gramaticha! Invero è però gran barone e molto lo adopra la regina a soi serviti, e
così in piacere desinassemo lì. E venessemo ad alogiare ad uno altro loco dicto
Segeste,220 lontana da Sancta 15 miglia.
[15 luglio]
El sabbato a dì 15 a 5 miglia trovassemo una villa dicta Blatan221 e un’altra
a 5 miglia dicta Lenza222 dove desinassemo. E caminando iterum a 5 miglia
capitassemo ad una villa dicta Fais,223 e a 5 altra una ne trovassemo dicta Somogiovaro,224 dove era quello excellente ladro dicto Bottocapra qual ce expectava,
ma cognobe non ce poter nocere. Ha dodeci homini a cavallo che metono ale
armatti, è gintilhomo bandito dal re e de bona famiglia. E passando ultra, lì
alogassemo. In epso loco nasce bon vino, è paese tale che faria richo due Italie
se’l fusse cultivato come se fa in Italia, ma tanto ne lavorano quanto gli basta
per viver solum.
219
per littera: “in latino”.
Segesd, (provincia di Somogy), Ungheria.
221
La mappa di Pál Engel non conosce alcun villaggio di nome Blatan in questo territorio. La
unica soluzione è Balogd, che era situato vicino a Segesd e oggi non esiste più. Vale la pena
menzionare che il nome “Blatan” è una parola slava con il significato di “paludoso”, da cui deriva
anche il nome del lago di Balaton.
222
Lencsen, (provincia di Somogy), Ungheria. Oggi non esiste più.
223
Fajsz, (provincia di Somogy), Ungheria.
224
Somogyvár, (provincia di Somogy), Ungheria.
220
318
Hajnalka Kuffart
[16 luglio]
La domenicha partessemo e capitassemo ad una villa dicta Tura225 a 5 miglia
et ad altre 5 una altra Tur,226 dove passa uno lago dicto Balaton,227 largo in
alcun loco 5 miglia e in longo va asai producendo bon pescio. E lassando [9.] le
infrascripte ville, cioè Cephel,228 Chrusugio,229 Samar,230 Foch231 e venessemo
adesinare a Lepsi,232 bella villa, non sono molto distante l’una dal’altra. Da
qual villa ad Alba Regale233 sono 15 milglia taliane come sempre intendo nel
numero dele miglia soprascripte, et io monto in una careta dicta da Cozzo,234
qual tiravano tre cavalle che qua sono dicte jumente, gionsi ad Alba Regale in
una hora e uno quarto. Ma prima trovai due ville lontane l’una dal altra 5 migla.
Epsa Alba Regale è una bella terra, ma picola, senza vescovato, et ha questa
pregoativa235 che se gli incorona gli regi e regine.236 E quella nocte alogiassimo
lì nel borgo, e gustassemo de uno vino de 5 anni de sapore meglio de malvasia
et in colore d’acqua de limpido fonte, passa ogni conditione de vino. E perché
la celsitudine vostra non creda che ne havesse due o tre misure, fu io nel celaro
e videne tre botte piene che l’una tenea più de 100 misure ferrarese.
225
La mappa di Pál Engel non conosce alcun toponimo simile in questo territorio. Una possibilità:
Tóti, Lengyeltóti (provincia di Somogy), Ungheria.
226
Túr, (oggi: Somogytúr, provincia di Somogy), Ungheria.
227
Il lago di Balaton.
228
Csepely (oggi: Nagycsepely, provincia di Somogy), Ungheria.
229
Probabilmente Kőröshegy (provincia di Somogy), Ungheria.
230
Zamárd: Balatonzamárd oppure Egyházaszamárd (oggi: Zamárdi, provincia di Somogy),
Ungheria.
231
Fok (oggi: Siófok, provincia di Somogy), Ungheria.
232
Lepsény, (nel Medioevo provincia di Veszprém, oggi provincia di Fejér), Ungheria.
233
Fehérvár (oggi: Székesfehérvár, provincia di Fejér), Ungheria.
234
Kocs, (provincia di Komárom, oggi provincia di Komárom-Esztergom), Ungheria. Da questo
villaggio prende nome il cocchio.
235
Scrittura erronea di prerogativa.
236
In Ungheria nel Medioevo c’erano tre criteri fondamentali per la validità dell’incoronazione di
un re: essere incoronato (1) dall’arcivescovo di Esztergom (2) a Fehérvár (3) con la Sacra Corona
di Santo Stefano.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
319
[17 luglio]
El lune, a dì 17 partendosi da Alba passassemo due ville e ala secunda desinassemo, la sera autem alogiassemo ad una villa del reverendo et illustrissimo don
Hipolyto dicta Orse237 et ivi fu facto honore da quelli dal gubernatore suo alo
oratore da li quali se238 hebbe nel camin bona compagnia.
[18 luglio]
El martì, a dì 18 partessemo de lì e caminando per una pianura bella, venessemo
a 10 miglia a desinare a Strigonio,239 dove ponsassemo el mercure, la zobia e
facessemo colatione el vegnare matino. E fussemo ben visti, carezati et honorati
del qual loco benché sia impossibile poterli figurarlo col calamo a chi non l’ha
visto con l’ochio, tanto è bello, ben edificato e situato.240
Primo è collocato in apice unius montis in forteza inexpugnabile circa el
quale el re Mathia già gli241 steti a campo.242 L’habitatione del castello è bella
e vedese a ciascuna fenestra circumcirca coline, pianure e lo Danubio, qual
circumisse epsa forteza da dui canti. Ha zardino dentro, camere belle e molte,
una gran sala, dove sono depincti quanti duca e regi dominorno mai Hungaria
incomenzando ad Atila, Dei flagellum et in che modo venerno primo le persone
ad habitare Hungaria cum bovi, pecore et altri armenti. Fra altri regi ge ne è
237
Örs (provincia di Esztergom, oggi: Alsóörs-puszta nei dintorni di Mány, provincia di Fejér),
Ungheria.
238
se: “ci”.
239
Esztergom (provincia di Esztergom, il nome odierno della provincia è Komárom-Esztergom),
Ungheria.
240
Sull’edificio e sulle stanze del castello di Esztergom si vedano K. Vukov: A középkori esztergomi palota épületei, Budapest: Építésügyi Tájékoztatási Központ Kft., 2004; Id.: ‘Az esztergomi
palota díszterme török kori szemtanúk leírásában’, in: B. Bence, P. Miski & R. Törtei (eds.):
“A magyar múltat kutatni, írni és láttatni – ez által szolgálni a hazát”: Tisztelgő kötet J. Újváry
Zsuzsanna 25. Pázmányos oktatói éve előtt, Budapest & Piliscsaba: Szent István Társulat, 2020: 19–
34; M. Prokopp, K. Vukov & Zs. Wierdl: From discovery to restoration. The history of the Hungarian
Medieval Royal Chapel in Esztergom, Esztergom, 2014.
241
gli: “ci”.
242
Intende forse il caso in cui il re Mattia accerchiò Esztergom, nel settembre del 1471, a causa
della congiura di János Zrednai (Vitéz). A. Kubinyi: Matthias Rex op.cit.: 93.
320
Hajnalka Kuffart
uno243 che nacque de una Madama de casa Estense, illustrissima e celeberrima,
el nome dela quale non me occorre a memoria, fu regina facunda, prudente e de
gran governo.244 Hano epsi regi sotto loro pedi scripto quanto visceno245 [10.]
e la nation loro.246 È una gran maestà a vederli. Ha etiam epso castello una
bellissima chiesia ben officiata e celebrata, ha prepositi, archidiaconi, canonici
e prebendarii più de 50,247 e incomenzando ananti giorno fin nona se li celebra
messa, e tre se li cantano.
Ha etiam tante reliqe248 che è cosa stupenda: brazzi d’arzente e d’oro, cristalli,
ce è tal calice che vale più de 1000 ducati, ce son pianete col resto da cantar
messa in pontificale, cariche de perle, tanto argente non ha Milano, Cremona né Ferrara insieme. Io non ne potria dir tanto che più non ne fusse, vale
innumerabile migliara de ducati.
Ha etiam nela rocha che guarda sul Danubio – che li batte ale mure a dui canti
– uno molino249 che macina cum acqua calda che sorze250 lì in modo è uno fonte.
Nasceli etiam difor251 uno bagno pur d’acqua calda che tocha qui le mure, e
lo Danubio ha dentro acqua assai e bona.
Se entra nel castello per 5 porte. Ha conti rendini e soccorsi.252 In conclusione,
illustrissima madama mia, è tale che se la excellenzia vostra ne volesse adunar
243
András III degli Arpadi (1290–1301) fu il nipote di Beatrice d’Este.
Beatrice d’Este, quarta moglie di András II degli Arpadi. Sul loro matrimonio si veda P. Cremonini: ‘II. András és Beatrice d’Este házasságkötése. (Székesfehérvár, 1234. május 14.)’, in:
K. Szovák & A. Zsoldos: Királynék a középkori Magyarországon és Európában, Székesfehérvár:
Városi Levéltár és Kutatóintézet, 2019: 187–198.
245
visceno: “vissero”.
246
la natione loro: “il luogo della loro nascita”.
247
La più recente pubblicazione dei dati sui canonici di Esztergom: N. C. Tóth: Az esztergomi székes- és társaskáptalanok archontológiája 1100−1543. (Subsidia ad Historiam Medii Aevi
Hungariae Inquirendum 9), Budapest: Magyar Tudományos Akadémia Magyar Medievisztikai
Kutatócsoportja, 2019.
248
reliqe: “reliquie”.
249
La torre chiamata Veprech.
250
sorze: “sorge”.
251
difor: “difuori”.
252
Intende che l’arcivescovato ha entrate ordinarie e straordinarie. I libri di conto dell’anno
1486 non sono sopravvissuti, conosciamo solo un resoconto compilato nel mese di gennaio del
1487, pubblicato con testo completo: H. Kuffart: ‘Az esztergomi érsekség pénzügyei és személyi
állománya Estei Hippolit érkezése előtt’, in: Gy. Domokos, J. W. Somogyi & M. Szovák (eds.):
Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a tizenöt éves háború idejéről,
Budapest: Balassi Kiadó, 2020: 115–120.
244
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
321
uno altro pro voluntate, sia inpossibile se trovasse. Recoglie pan, vino, carne e
altre cose necessarie al vivere ch’è una cosa maravigliosa.253
Ha uno altro castello254 forte asai e più de 100 ville,255 ha uno pallazo in
Buda,256 uno in Posonio e uno altro ne ha donato el re ala regina in Viena qual
sua maestà vole donare alo illustre et reverendo archiepiscopo. È lo primo baron
presso la sua maestà del re, receve decime a più de 100 miglia.257
È tanto desiderato, lassamo stare le sue maestate paterne, ma da altri hungari
che è cosa miranda: assai più sua reverenda signoria che non è da hebrei lo
Messia. Serà cortezato sua signoria da baroni258 et zentilhomini e già se li
prepara una corte magnifica.259
[21 luglio]
El vegnare partessemo, in compagnia havea l’oratore el gubernatore de con octo
carette, e passassemo per megio Strigonio lo Danubio. E in dece hore benché
se li consumasseno 3 giorni venesseno 100 miglia sule carette da Cozze che
volano sula terra tirate da jumente.
Alogiassemo la prima sera ad una villa delo archiepiscopato dicta Guda260
dove è copia de pescio, decima solum lì del dicto pescio più de 200 ducati.261
253
Oltre la decima in natura, si tratta anche dei munera, che era una delle tasse in natura che
l’arcivescovato raccoglieva sia a titolo ecclesiastico che feudatario.
254
Il castello di Drégely (provincia di Hont, oggi provincia di Nógrád), Ungheria.
255
In quest’epoca l’arcivescovo, come proprietario fondiario, aveva 98 villaggi e 14 città in totale,
cfr. E. Fügedi: ‘Az esztergomi érsekség gazdálkodása a 15. század végén’, Századok 94, 1960: 88.
256
Cfr. A. Végh: Buda város középkori helyrajza 1. (Monumenta Historica Budapestinensia 15),
Budapest, 2006: 157–159.
257
Si tratta di una grande esagerazione: l’arcivescovato riscuoteva circa 12 mila fiorini per
anno dalle decime ricevute dalle sue regioni. Con le decime minori il totale sicuramente non
superava i 20 mila fiorini. Per approfondirne si veda H. Kuffart: Modenában őrzött esztergomi
számadáskönyvek…, op.cit.: 216.
258
da baroni: due volte.
259
Parenti poteva vedere queste preparazioni alcuni giorni più tardi, nella corte del re a Posonio,
meno ad Esztergom. Sull’organizzazione della comitiva di Ippolito si vedano H. Kuffart & T.
Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”…’, op.cit.; A. Morselli: Ippolito,
op.cit.
260
Kolárovo, Slovacchia. Nel Medioevo: Gúta (provincia di Komárom), Ungheria.
261
Il pescato di questo villaggio era veramente significativo, soprattutto a causa dello storione
ladano, sulla cui vendita l’arcivescovato prendeva un’entrata rilevante.
322
Hajnalka Kuffart
[22 luglio]
[11.] Lo sabbato venessemo a desinare sul Danubio, a desinare262 ad una villa
de l’archiepiscopo, e passato lo Danubio263 in poche d’hore facessemo 20 miglia
ad una bella villa del re e lì alogiassemo. E nel venire trovassemo monitione de
feno sulla ripa del Danubio posto in cavalato264 come se fa in Italia cavaioni de
frumento, qual in longe erano più de uno miglio taliano.
[23 luglio]
La domenicha a dì 23 venessemo a desinare ad una gran villa dicta Piscopi265
delo archiepiscopo, e come havessemo desinato gionsi lì el maestro de stalla
dela regina con 15 cavalli portanti per nui. Li venerli soi secretari e capellani, e
passati iterum lo Danubio266 venerno ad honorar l’oratore incontro lui: baroni,
vescovi, e altri prelati e cavaleri e la famiglia del re che erano più de 400 cavalli.
Fu invero grandissimo honore e gionti apresso le porte passorno da circa 60
cavalli del re senza sella che andavano alo Danubio e studiose ge ne era parte
hungari, vallachi, transilvani e turchi che valeano un thesoro.
Dentro la terra autem in uno pallazo erano le loro maestate quale ce veneano
passare, ma nui non loro e acompagnati cum trombeti smontassemo sula piaccia
in una bella casa parata in doe stantie de razzi e tapeti circumcirca. Serimo mirati in quella delo archiepiscopo, ma parse ala regina non far removere lo signor
thesaurero267 del signor re che è veschovo, considerato anchora che ce havea
facto provedere de bon e comodo logiamento, e così possassemo quelle nocte.
[24 luglio]
El lune a dì 24 sul hora del vespro la regina mandò dui baroni, quali acompagorno l’oratore ad sua maestà, quale audiva el vespro in una chiesia, e dicto che
262
La ripetizione del verbo ‘desinare’ è un probabile errore di copiatura.
Deve trattarsi di un affluente del fiume Danubio di nome Csalló (oggi: Malý Dunaj, Slovacchia): la compagnia varcò sul Danubio ad Esztergom e rimase su quel lato del fiume, dato che la
destinazione era Posonio.
264
cavalato: “cavalletto”. La parola precedente (‘mediatem’?) è stata cancellata.
265
Podunajské Biskupice, oggi parte di Bratislava, Slovacchia. Nel Medioevo: Püspöki (provincia
di Pozsony), Ungheria.
266
Si tratta di un affluente del Danubio (‘Piccolo Danubio’/‘Kis-Duna’).
267
Orbán Nagylucsei, cfr. N. C. Tóth: Magyarország késő középkori főpapi archontológiája…,
op.cit.: 51, 71.
263
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
323
sia, vene a pallazo, e quivi gli deti grata audientia, e de uno in uno dela famiglia
sua genufle(ttando) gli bassò268 la mano.269 Reasumpsi, illustrissima madama
mia, sua maestà la comissione delo oratore cum tanta eloquentia, gratia e bei
modi come, un parlare Arragonese et expedito che se Sapho, Salustio o Tulio
resuscitasse, mancharia cum sua maestà de facundia sì per lo elloquente parlare,
sì per el modo e venusto e maturo gesto come etiam per la grata racoglientia
sua reginale quale è tale e tanta che se ne stancharia mille lengue a dir de epsa.
E resposto ch’ebbe, sua maestà senza più replicare disse “mostatime270 la idea
del figliol mio, qual intendo haver cum vui pincta”. Pensa la celsitudine vostra
quanto cordialmente lo accepta in figlio che altro non volse respondere doppo
el replicar del oratore se non che chiessi dicta figura.
[12.] E presentate che ge furno ambedue le imagine deli illustri figlioli vostri,
mostrò tanta alegreza, fece che fu cosa ultra modo, eo magis de quella del
signor don Hypolito et incomezola bassare, e una e due e 100 fiate, dicendo
sua maestate che era bello come de continuo pregava Idio in questo modo: “O
Dio, falo essere bello”.
[30 luglio]
Seguitando l’oratore el cortezare e presentarsi a sua maestà ogni giorno. Domenica passata che fu lo penultimo de luio celebrata che fu la messa, hebbe
audientia dala sua maestà del re, quale quando se celebrava la messa, fecesse
presentare dicta figura e mai non cessò mirarla. E tanto piacere e consolatione
ne prese che più non ne haverebbe facto se gli fusse stato figlio.
Ha una gratia mirabile, excellentissima madama mia, dal canto de qua che
Idio lo augumenta cum felicità, magnificentia et honore a quanto271 può assequir l’habito clericale.
Reasumpsi sua maestà la congratulatoria del dono facto ala prole de vostra
celsitudine e la contristactione dela felice memoria delo illustrissimo e reverendissimo cardinale vostro fratello272 che così se continea lo exponere del
oratore cum grande eloquentia e modi regali offerendosi sua maestà ad ogni
benemerito verso la illustrissima casa Estense, e com altre molte bone parole.
268
bassò: “baciò”.
Sul margine sinistro: e preposta.
270
mostatime: “mostratemi”.
271
quanto: “quando”.
272
Il cardinale Giovanni d’Aragona (1456–1485).
269
324
Hajnalka Kuffart
Poi tandem resposto che li hebbe l’oratore, disse sua maestà queste formal
parole: “huc usque fuistis orator, nunc autem eritis domesticus et utimini bonis et
(…)” (…)lare nostro.273 E pigliando l’oratore licentia nui altri tuti dela famiglia
genufle(ttando) gli bassassemo la mano.
[3 agosto]
Stasse hora l’oratore e spectamo el partire dela maestà del signor re per andare
ala dietta col re de Boemia.274 E già qua se sono careqate275 bombarde per
mandar via e sono cavalcate più de 8000 persone armate. Dicessi che vano a
Citanova,276 terra delo imperatore277 obsessa per sua maestà, partiti che serà,
credo faremo compagni(a) alla maestà dela regina a Viena, (cità) d’Austria.
Aspectando lo fortunato advento delo illustre e reverendo figlio de vostra celsitudine agli pedi dela quale humilmente di continuo mi racomando. Possonii,
die III Augusto MCCCCLXXXVI.
Eiusdem illustrissime dominationis vestre
humilis servus Johannes Maria Parenti
A Segnia per incontrare el signor don Hipolyto gli (sono) desposto andare el
signor conte Bernardino Frangipani, lo veschovo de Modrusio278 e altri baroni
e zentilhomini.
273
L’errore della copiatura ha troncato entrambe le frasi. Le parole del re però sono conosciute
dalle due relazioni di Valentini in queste forme: “sua maestà non replicò altro se non ch’io volesse
reputare non esser più oratore, ma homo de casa et ch’io volesse usare per comodo mio tutte le
cose sue, poi volse che tutta la famiglia mia gli tochassi e basiasseli la mano nel pigliar licentia”
MDE III. p. 140. “Sua maestà non replicò altro se non che io non volesse reputarmi più oratore,
ma homo de casa et ch’io volesse usare per commodo mio tutte le cose sue, poi volse che tuta la
famiglia mia nel pigliare licentia de uno in uno gli tochasse e basiasse la mano.” MDE III. p. 147.
274
Vladislao II (Jagellone) di Boemia che, dopo la morte di Mattia Corvino, diventò anche re
d’Ungheria. Sulle trattative dei re: L. Óváry: ‘A modenai és mantuai levéltári kutatásokról’,
Századok 23, 1889: 393–398.
275
careqate: “caricate”.
276
Wiener Neustadt, Austria.
277
Federico III d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero.
278
Kristóf da Ragusa, cfr. N. C. Tóth: Magyarország késő középkori…, op.cit.: 79.
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
325
Supplico vostra celsitudine, se degna participar questa mia col signor messer
Nicolò da Coreze279 per parte del qual me fu comesso e facto instantia che gli
volesse mandar scripto de parte in parte questo viagio se bene me si extese più
che non se conveniria.
[13.] Illustrissime et excellentissime domine, domine sue singulari, domina
Elionore de Arragonia, ducisse Ferrarie.
Appendice II: Relazioni di Cesare Valentini scritte dalla mano di
Giovanni Maria Parenti
Data
Luogo
Scritta da Cesare
Valentini ad
Originale
nell’ASMo
Amb.
Ung. b. 1.
Vestigia280
HU MNL
OL DF
Edizione
del testo281
12.06.1486.
13.06.1486.
13.06.1486.
Venezia
Venezia
Venezia
13,1
13,2
13,3
1415
1416
1417
294489
294490
294491
MDE III 83
MDE III 85
MDE III 84
06.07.1486.
06.07.1486.
Zagabria
Zagabria
13,4
13,5
1418
1419
294492
294493
MDE III 90
MDE III 89
09.07.1486.
13.07.1486.
03.08.1486.
Zagabria
Zákány
Posonio
Ercole I d’Este
Ercole I d’Este
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
Ercole I d’Este
Ercole I d’Este
13,6
13,7
13,8
1420
1421
1422
294494
294495
294496
04.08.1486.
Posonio
13,10
1423
04.08.1486.
—
13,9a
1426
294497,
294497-1
294499-a.
MDE III 91
MDE III 92
MDE
III 100
MDE
III 101
—
04.08.1486.
Posonio
13,10a
1427
10.08.1486.
Stomfa282
13,11
1428
279
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
(cedola allegata)
Eleonora d’Aragona
Eleonora d’Aragona
294497,
294497-2
294502
Niccolò da Correggio, cugino di Ercole I d’Este.
Il numero nel database https://vestigia.hu/kereses.
281
Al posto delle pagine sono segnati i numeri dei documenti nell’edizione MDE III.
282
Oggi: Stupava, Slovacchia.
280
MDE
III 101
MDE
III 106
326
Hajnalka Kuffart
Data
Luogo
Scritta da Cesare
Valentini ad
Originale
nell’ASMo
Amb.
Ung. b. 1.
Vestigia
HU MNL
OL DF
Edizione
del testo
10.08.1486.
Stomfa
Ercole I d’Este
13,12
1429
294503
17.08.1486.
Zistersdorf283
13,14
1466
294539
17.08.1486.
Zistersdorf
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
13,15
1469
294542
17.08.1486.
11.09.1486.
11.09.1486.
Iglau284
Iglau
Iglau
Ercole I d’Este
Ercole I d’Este
Ercole I d’Este
13,16
13,17
13,18
1472
1477
1479
294545
294550
294552
25.09.1486.
Posonio
Ercole I d’Este
13,19
1502
294574
07.10.1486.
Posonio
Ercole I d’Este
13,23
1514
294586
18.10.1486.
Znaim286
Ercole I d’Este
13,24
1515
294587
30.10.1486.
Retz287
13,25
1516
294588
30.10.1486.
Retz
Eleonora d’Aragona
(una poesia)
13,25a
1517
294589
04.11.1486.
Retz
Ercole I d’Este
13,27
1520
294592
04.11.1486.
Retz
Ercole I d’Este
13,27a
1521
294593
18.11.1486.
Retz
13,29
1523
294595
23.11.1486.
Retz
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
13,30
1524
294596
23.11.1486.
Retz
13,31
1525
294597
MDE III
107
MDE III
110
MDE III
111
—
Óváry285
MDE III
117
MDE III
119
MDE III
121
MDE III
123
MDE III
127
MDE III
127
MDE III
128
MDE III
128
MDE III
132
MDE III
134
MDE III
133
283
Eleonora d’Aragona
Zistersdorf, Austria.
Oggi: Jihlava, Repubblica Ceca.
285
L. Óváry: ‘A modenai…’, op.cit.: 394–397.
286
Oggi: Znojmo, Repubblica Ceca.
287
Retz, Austria.
284
Il diario di G. M. Parenti sul viaggio verso il Regno d’Ungheria (1486)
327
Data
Luogo
Scritta da Cesare
Valentini ad
Originale
nell’ASMo
Amb.
Ung. b. 1.
Vestigia
HU MNL
OL DF
Edizione
del testo
29.11.1486.
22.12.1486.
Hainburg288
Vienna
Ercole I d’Este
Ercole I d’Este
13,32
13,35
1526
1529
294598
294601
22.12.1486.
Vienna
13,36
1530
294602
09.01.1487.
Vienna
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
14,2
1534
294606
10.01.1487.
Vienna
Eleonora d’Aragona
14,6
1538
294610
10.01.1487.
Vienna
14,6a-b
1539
12.01.1487.
Vienna
14,7
1540
294611,
294611-1,
294611-2
294612
05.02.1487.
Vienna
14,8
1541
294613
08.02.1487.
Vienna
Eleonora
d’Aragona,
Ercole I d’Este
Eleonora d’Aragona
Eleonora d’Aragona
Ercole I d’Este
14,9
1542
294614,
294614-1
—
MDE III
140
MDE III
139
MDE III
145
MDE III
146: pp.
241–245
MDE III
146: pp.
244–245
MDE III
147
MDE III
154
MDE III
158
288
Oggi: Hainburg an der Donau, Austria.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Letentur et exultetur universa Panonia.
An unknown gratulatory oration for King
Matthias’s betrothal to Beatrice of Aragon
Patrik Paštrnák
Palacký University Olomouc
patrikpas@gmail.com
Abstract
This study offers a scholarly edition of the newly discovered oration by the Venetian
ambassador, Sebastiano Badoer, delivered to King Matthias Corvinus during his proxy
betrothal in Wrocław. Aside from a description of the manuscripts that contain this
text, the study puts the speech into the diplomatic and historical context of the 1476
Hungarian royal wedding, using additional new evidence in the reconstruction of
the engagement ceremonies that featured unusual rites of dressing the king in the
garment sent by his future wife. Furthermore, the thematic analysis of the oration
bears witness to Venice’s diplomatic endeavour, striving to use the wedding as a tool
for strengthening the alliance with the Hungarian king, while the contextual stylistic
comparison places the speech as the first scion of the emerging genre of Humanist
wedding orations beyond the Alps.
Royal weddings were pivotal moments in the medieval and early modern
period. As a major event in the life of a monarchy and dynasty, nuptials had
a grave political as well as diplomatic dimension, and even more so if an upcoming royal consort was coming from abroad. Diplomacy was involved in
arranging the marital bond, when envoys and ambassadors of two wedding
parties travelled to negotiate specifics of the marriage contract, and in preparing the logistics of the bride or bridegroom’s transfer. However, third parties
were also involved – many times, a prospect of marital union was first proposed
or explored via a ruler who had dynastic or friendly connections with both potential wedding parties. Due to political needs or dynastic bonds, foreign rulers
330
Patrik Paštrnák
participated directly in the wedding festivities, or sent their representatives
who were to offer their regards and gifts to the newlyweds.
Each step in this process might have come hand in hand with delivering
formal speeches: wedding negotiators, representatives of third parties, city delegations receiving the bride passing through their territories etc. used this
medium to arrange the marriage, convey messages of friendship and good
wishes, or welcome the special guest. On top of that, court poets and humanists,
striving to attain the favour of a wealthy patron, could author special laudatory
orations that strictly followed the principles of the epithalamia genre. As indispensable pieces of dynastic propaganda and memory, these epithalamia were
subsequently elaborated into lavishly decorated manuscripts or published as
occasional prints.
The nuptials of King Matthias of Hungary and Beatrice of Aragon in 1476
was no exemption to this rule. For instance, the Neapolitan chronicle of notar
Giacomo states:
On the 20th day of June of the said year (1475), an orator of the
most serene King Matthias of Hungary entered the city of Naples
on account of the matrimony with the most illustrious madame
Beatrice, a legitimate daughter of the most serene King Ferdinand,
who heard the ambassador on the 23rd day of the same month in
the hall of Castel Nuovo.1
In the course of the marriage negotiations and festivities, there must have
been a formal speech not only at the occasion of this sort but many others.
However, unlike for other royal weddings from this period, the full transcripts
of these addresses for the 1476 nuptials have not been known to scholarship
thus far. This is no longer the case as this study aims to present a newly
resurfaced oration of the Venetian envoy Sebastiano Badoer, delivered to King
Matthias on the 5th of February 1475.
Who was Sebastian Badoer and what was the objective of his speech? Could
it tell us something about the political climate of the 1470s in Central Europe
and Italy? In what way was it influenced by the emerging genre of Renaissance wedding orations? Aside from providing a critical edition of Badoer’s
oration, this study aims to provide a deeper look into the diplomatic background of the 1476 Hungarian royal wedding. The analysis of the oration shows
1
P. Garzili (ed.): Cronica di Napoli di notar Giacomo, Napoli: Stamperia reale, 1845: 129.
Letentur et exultetur universa Panonia
331
the precarious position of the Venetian diplomacy when confronted with an
emerging union between the traditional rivals, i.e. Hungary and Naples, and
its improvised yet prompt reaction, striving to maintain amity. The political
manifesto however lags behind the literary qualities of the text which, as it
is argued, represents a clear shift from the medieval matrimonial orations to
the Humanistic models emerging at that time in Italy. In the first part of this
study, attention is brought to the conditions and qualities of the text as such.
Subsequently, the persona of the author alongside his role in the wedding
and the wider political-diplomatic atmosphere, as evidenced by the content of
the speech, is discussed. At the same time, attention is brought to the events
surrounding the date of its delivery, that is the proxy-engagement rites in
Wrocław (Breslau)2 , drawing upon another newly discovered source. The last
part looks into the stylistic aspects of the oration, juxtaposing the oration with
the other marriage speeches.
The preservation of the text and its textual qualities
The text of Badoer’s oration has survived in two copies, in the codex C 700
stored in the Uppsala University Library and the manuscript 1674 of Leipzig
University Library. The Uppsala codex was compiled no sooner than in 1479,
probably in Warmia (Ermland), and was a part of the cathedral library in Frombork. Aside from Badoer’s speech on folios 24v–26r, the codex contains the
treatise of Aeneas Silvius Piccolomini about the Prussians (De situ et origine
Prutenorum); bulls of Pius II (against Turks), Paul II (e.g., against King George
of Poděbrady), and Sixtus IV; letters of bishop Nicolaus of Tüngen, bishop of
Warmia, as well as letters of Jacopo Piccolomini in the lawsuit between the
bishop Nicolaus of Warmia and the bishop Vincentius of Chełmno.3 Nicolaus
of Tüngen was a canon of Wrocław and an ally of King Matthias, whose support
Tüngen needed in the conflict to claim his diocese against the king of Poland.
Thus, if we are to speculate, Tüngen was present during the speech and got
a copy of it, which later on was added to the codex which might have been
commissioned by him.
2
I use modern names of the cities.
M. Andersson-Schmitt, H. Hallberg & M. Hedlung: Mittelalterliche Handschriften der Universitätsbibliothek Uppsala. Katalog über de C-Sammlung. Band 6. Handscriften C 551–935, Stockholm: Almqvist & Wiksell International, 1993: 313–315.
3
332
Patrik Paštrnák
The Leipzig codex compiled between 1474–1483 belonged to the Leipzig
professor and rector Johannes Weiße (d. 1486). It contains around 120 Latin
and German texts of various genres, such as imperial decrees, charters, papal
bulls, legal records, letters, reports, or pieces of occasional poetry, assembled
by Weiße, who intended to make the codex a sort of archival dossier of the
important ongoing news and reports. Hence, the manuscript contains a report
on the 1475 Landshut wedding, as well as several texts related to Hungary
and King Matthias (reports about his campaigns against Turks, etc.).4 Johannes
Weiße, an owner and compiler of the manuscript, was interested in Matthias’s
acts and recorded also the events occurring in Wrocław around the time of
Badoer’s oration, such as the arrival of the news of the wedding in October
1474, or the presence of the Neapolitan delegation in February 1475 (see below).
Given their positions within wider opuses, none of these versions can be an
autograph. If we compare the two versions, it becomes evident that both were
copied from a lost original: while the Leipzig version (L) contains a considerable
amount of grammatical and syntactical errors that are corrected by a different
hand and ink, sometimes in the margin, sometimes in the text itself, the Uppsala
version (U) skips words such as ‘caritate’ and ‘eucrathon’ that were illegible or
unknown to the scribe, leaving blank spaces instead. In addition, in one case,
U omits the whole sentence. On the other hand, L has an additional title that
reiterates the original one and marginal notes referring to the personages as
well as the authors cited in the text.
Sebastiano Badoer and the role of Venice in the 1476 wedding
Sebastiano Badoer (1425/7–1498) was born into a patrician family in Venice.
During his childhood or adolescence, he probably obtained a good level of
humanistic education as in later years he was able to speak Latin fluently and
compose letters in an embellished style. This skill served him well in several
diplomatic missions on behalf of the Venetian republic: to the pope during
the crisis following the Pazzi conspiracy in 1478, to the emperor during the
war of Ferrara in 1484, to the duke of Milan, and many others. A collection
4
F. Eisermann: ‘Archivgut und chronikalische Überlieferung als vernachlässigte Quellen der
Frühdruckforschung’, Gutenberg-Jahrbuch 81, 2006: 50–61, p. 57; R. Deutinger & C. Paulus: Das
Reich zu Gast in Land. Die erzählenden Texte zur Fürstenhochzeit des Jahres 1475, Ostfildern: Jan
Thorbecke Verlag, 2017: 209.
Letentur et exultetur universa Panonia
333
of his orations and epistles was published in 1477 and was cited by many
Venetian historians. However, this volume is now lost and up until now, his
only surviving piece of rhetorical expertise has been the oration addressed to
the newly elected Pope Alexander VI in 1492.5
Most likely, the oration addressed to King Matthias in 1475 was one of Badoer’s first works of this sort since his diplomatic beginnings were connected
with Hungary. A year before, in 1474, he was charged with the task of persuading the Hungarian ruler to attack the Ottomans, who were then laying siege to
the Venetian-held town of Shkodër (Scutari). Badoer succeeded in his mission,
and what is more, he seems to have won the special affection of the monarch,
who knighted him.6 For his aid, Corvinus was promised a sum of 30 thousand
ducats by the Serenissima but eventually he was paid only half.7 Badoer kept
sending dispatches to Venice about the campaign against the Ottomans and
monitoring the events in Hungary throughout the year 1475, as is evident from
several letters exchanged between him, the doge, King Matthias, and Gabriele
Rangone, bishop of Eger.8 The last trace of Badoer’s activity in Hungary can be
found in September 1476 when he took part in Matthias’s parade of captured
Turks and held a speech in laudem regis exhorting the king to carry on with
the Turkish campaign “in a manner which surpassed the speech of Marcus
Antonius after the death of Julius Caesar”.9
As a Venetian envoy, Badoer had to deal not only with the coordination of
the ongoing war against the Ottomans but also with the union of King Matthias
and Princess Beatrice, which heralded the reconfiguration of political alliances
and deepening of ties between Hungary and Naples at the expense of the
Serenissima. The match with the Hungarian ruler and the Aragonese dynasty
was already considered a decade earlier, in 1465, when both the king of Naples
and the duke of Milan offered their daughters to Matthias. In the case of Naples,
5
G. Cracco: ‘BADOER, Sebastiano’, in Dizionario Biografico Degli Italiani, 1963, https://www.
treccani.it/enciclopedia/sebastiano-badoer/_(Dizionario-Biografico).
6
Idem.
7
A. Simon: ‘Crusading between the Adriatic and the Black Sea: Hungary, Venice and the
Ottoman Empire after the Fall of Negroponte’, Radovi zavoda za hrvatsku povijest 42, 2010: 195–
230, p. 203.
8
I. Nagy & A. B. Nyáry (eds.): Magyar diplomácziai emlékek Mátyás király korából 1458–
1490 II [Monuments of Hungarian diplomacy from the time of King Matthias, henceforth: MDE],
Budapest: A M.T. Akadémia könyvkiadó-hivatalában, 1877: n. 187, pp. 267–268; n. 195, pp. 279–
2782; n. 196, pp. 282–283; n. 197, pp. 283–284; n. 198, p. 285; n. 200, pp. 287–288; n. 201, pp. 288–
291.
9
Giustiano Cavitelli to Duke Galeazzo Maria Sforza, Buda, 8 September 1476, MDE II, n. 224,
pp. 325–326.
334
Patrik Paštrnák
Beatrice’s elder sister Eleanor was considered to be a future queen of Hungary,
but reportedly Matthias was not interested in her on account of her physical
qualities, as the Milanese ambassador put it: “la figliola del predicto Re Ferrando
non è bella, e lo Re de Ungaria se voleva una belissima.”10 Venice was supposed
to serve as an intermediary in arranging the wedding – King Ferdinand offered
the hand of his daughter via the Venetian senate which formally agreed to
act in this matter. However, despite a positive answer, the talks dragged out
and eventually the matrimonial project was abandoned.11 The reasons for this
might have been the quoted insufficient beauty of the bride, but more likely
Matthias’s interest in finding a wife from one of the Central-European rather
than Italian dynasties.12 If one is to speculate, the Venetians too might have
secretly worked on thwarting the match, since the Hungaro-Neapolitan alliance
would by no means have benefitted their interests.
However, as Albert Berzeviczy supposes, the matrimonial discussions between Naples and Buda restarted in 1468 and culminated in 1474, when – after
the intercession of Lorenzo Roverella, bishop of Ferrara, and Antonio d’Ayello,
archbishop of Bari – Matthias agreed to actively proceed with the nuptials and
sent his legation to Naples.13 King Ferdinand, Beatrice’s father, consented to
the union in a letter from 5 September, which was delivered to Matthias at the
end of October in Wrocław. According to the city chronicler, the king ordered
celebration of the news by lighting bonfires and candles and ringing the bells
for an entire hour. At that time, Wrocław was surrounded by Bohemian and
Polish troops so the fire show made the besiegers think that the entire city is
burning and affected by the plague.14
10
Gerardo Colli to the duke of Milan, Venice, 21 November 1465, in: A. Berzeviczy: Aragoniai
Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok [Documents related to the Life of Beatrix of
Aragon, Queen of Hungary], Budapest: Magyar Tud. Akadémia, 1914: 16; A. Kalous: ‘Tři týdny
slávy, tři roky šťastného manželství: Beatrix a Matyáš’ [‘Three Weeks of Glory, Three Years
of Happy Marriage: Beatrix and Matthias’], in: P. Kras & M. Nodl (eds.): Manželství v pozdním
středověku: rituály a obyčeje [Marriage in the Late Middle Ages: Rituals and Customs], Praha:
Filosofia, 2014: 187–205, pp. 188–189.
11
A. Berzeviczy: Beatrix királyné (1457–1508). Történelmi élet- és korrajz [Queen Beatrix. Historical Biography], Budapest: A magyar történelmi társulat, 1908: 106.
12
A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 106; A. Kalous, ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 188.
13
A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 108; A. Kalous, ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 189.
14
P. Eschenloer: Geschichte der Stadt Breslau II, G. Roth (ed.), Münster: Waxmann, 2003: 954–
955; A. Kalous: ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 189.
Letentur et exultetur universa Panonia
335
Thanks to the better network of informants or just because of the sheer geographical proximity, the Venetians learned about Ferdinand’s approval for the
union much sooner than Matthias, already on 17 September. However, unlike
the Hungarian ruler, they were not particularly excited about the match, quite
the opposite: Leonardo Botta, the Milanese ambassador in Venice, informs his
lord that the new dynastic bond made the Venetians quite displeased, probably
more than one can see.15 Yet the outer reaction was supposed to convey the
contrary: reportedly, on the very same day (17 September), the senate addressed
a gratulatory letter to Matthias, stressing the ancient and constant friendly
relations between the king and the republic and lauding Beatrice’s qualities.16
With respect to Corvinus’s marriage, Venice had to walk a fine line: on the
one hand, the republic was aware that only Hungary had the power to stop
the Ottoman threat and therefore she needed Matthias’s help. On the other
hand, there were fears of the king becoming too powerful, either by expansion
into Dalmatia, or alliance with the Habsburgs, thus creating a major Central
European power that would threaten Venetian dominance in the region.17 Such
an alliance was looming in 1470 when there were talks about concluding a
marriage between Matthias and Kunigunde, daughter of Emperor Frederick
III, that would corroborate the peace between the two rulers. As a part of the
dowry, Kunigunde should have received Trieste, Pordenone, and other towns
bordering the Venetian territory.18 Ultimately, this union did not take place;
however, the matrimonial alliance with Naples, a traditional enemy of the
maritime republic, was yet another blow to the interests of the Serenissima,
who feared seeing the Hungarian king in a potential anti-Venetian coalition.
15
‘Qui sono venute littere da Roma como el re Ferdinando ha concluso parentato col Re de
Ungaria et che il dicto re Ferdinando gliha dato per mogli l’ultima figliola legiptima, che l’havevo
della quale parentela questa brigata monstra haverne displicentia, et credo ne habiano anche piu
che non dimonstrano.’ Leonardo Botta to Duke Galeazzo Maria Sforza, Venice, 17 September
1474, Archivio di stato di Milano (ASMi), Carteggio Visconteo-Sforzesco, Potenze estere 650,
f. 207. Accessible online: vestigia.hu/kereses/nyomtat.php?a=1415005611.
16
A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 109. According to Berzeviczy, the transcript of the
letter should be in MDE II, pp. 305–307, however, this reference is wrong and the letter is not at
the other place of the volume either. However, the letter must have existed since Badoer refers
to it at the beginning of his speech.
17
G. Nemeth: ‘Mattia Corvino e Venezia: Gli anni della collaborazione nella lotta antiottomana’,
Studia historica adriatica ac danubiana I, 2008: 45–57.
18
A. Papo: ‘Mattia Corvino e la politica ungherese al confine orientale d’Italia’, Studia historica
adriatica ac danubiana I, 2008: 59–72, pp. 60–64.
336
Patrik Paštrnák
Hence it was necessary for Venetian diplomacy to adapt – to keep Corvinus
in the anti-Ottoman league and out of Italian squabbles and Dalmatia. As Adriano Papo points out, these fears were unjustified since Matthias’s mind was
fully occupied with the campaign in Bohemia and Austria and he never really
considered a war against Venice.19 Nonetheless, the republic did not take any
risk and put her best foot forward, by assuring the king of Venice’s joy from
the wedding and alliance with the Aragonese dynasty of Naples. This task was
given to her ambassador in Hungary – Sebastiano Badoer.
Betrothal festivities in Wrocław
Badoer’s time came at the beginning of February 1475. According to the
Wrocław chronicler Peter Eschenloer, Matthias came back to the city on
Candlemas Day and on the following Saturday (4 February)
[…] an honourable delegation from the king of Naples and Venice
came to him, which he quite generously received. They brought
him great honours from his upcoming lady bride, some expensive
royal garments which the bishop of Bari, the head of this delegation, put on him (Matthias) in the church of Saint Elizabeth during
the great solemnities. He (Matthias) spent with him and other lords
a pleasant carnival with jousting, dancing, and all sorts of joy.20
A much more in-detail report of the events is preserved in the Leipzig codex,
on the folios following the Badoer’s oration. According to this account, the
legation consisted of the archbishop of Bari, Sebastiano Badoer, and a certain
crusader from Catalonia (crucifer de Cattolonia), and was accompanied from
Hungary by Miklós Báthori, bishop of Vác. One mile before the city, the embassy was greeted by John Pongrácz of Dengeleg (Pangracius Weyda, regius
patruus) as well as by townspeople. Surprisingly, the king was also present but
not in an obvious way:
The king, disguised in a certain hamlet nearby the road, where
he was hiding because of the people, saw their (the townsfolk’s)
19
20
Ibid.: 69.
P. Eschenloer: Geschichte, op.cit.: 980.
Letentur et exultetur universa Panonia
337
splendour and how everything is well organized, which made him
very proud. Having seen this, he returned to the city via a different
road.21
Following the joyous entry, the envoys were lodged in the town. On Mardi
Gras (7 February), the king dined with the ambassadors and other prominent
lords, and the report explicitly mentions Haubold of Sleynitz, Johann of Weisenbach, the future bishop of Meißen, Rudolf of Rüdesheim, bishop of Wrocław,
and Miklós Báthori sitting at the king’s left side, and the archbishop of Bari,
Sebastiano Badoer, and the enigmatic crusader on the right side.22
The Leipzig manuscript also expounds on the gifts sent to Matthias by Beatrice. The handover indeed took place during high mass in the church of Saint
Elizabeth. Bishop Rudolf of Rüdesheim officiated the service and during it he
and other prelates
[…] dressed the king in the white damask undergarment (albicanti
tunica ex adamesco) and girded him with a black belt. Then, they
brought him before the altar and there dressed him in a precious
cloak (precioso pallio) with a red Persian trimming (parsica subductura ex rubeo), adding a necklace of precious Arabian gold [on the
neck] together with a ring on the finger. Decorated in this way, the
king awaited the end of the holy office.23
In the codex’s margin, this rite is described as desponsatio – the betrothal.
The staged acceptance of the clothes, jewels, and most importantly the ring,
gives evidence to the fact that it was indeed an engagement in absence. Such
a rite was quite common in the Middle Ages, especially in the case of princely
newlyweds who often lived in different parts of Europe. Yet usually this sort of
engagement was accompanied by a sole exchange of rings, sometimes with
letters containing the bride and groom’s consent to the marriage, not by a
church ceremony and ritual investiture of the clothes sent by another matrimonial party.24 Thus, the 1475 desponsatio in Wrocław shares many features
with the usual wedding by proxy (per procurationem), especially in the public
21
UB Leipzig, Ms. 1674, fol. 49v–50r.
Ibid.: fol. 50r.
23
Idem.
24
C. Debris: ‘Tu Felix Austria, nube’: la dynastie de Habsbourg et sa politique matrimoniale à la
fin du Moyen Age (XIIIe –XVIe siècles), Turnhout: Brepols, 2005: 362–371.
22
338
Patrik Paštrnák
character and involvement of the Church. However, at the same time, it cannot
be denoted as a proxy wedding since there is no description of an exchange of
the verbal consent and the symbolic bedding ceremony, such as lying down in
the bed and touching each other with a bare foot, that were typical for these
rituals.25
Nonetheless, the Wrocław betrothal is a proof that medieval matrimonial
rites were to a great extent in a state of flux, and that both wedding parties
tried to secure the solidity of the proposed union as firmly as possible. Matthias
and Beatrice’s nuptials are no exception: before the princess departed from
Naples, the wedding by proxy took place, and not surprisingly, it featured
the same people present at the betrothal in Wrocław, such as Bishop Rudolf
of Rüdesheim or John Pográcz who stood in for Matthias.26 Perhaps the most
intriguing part of the ceremony is the fact that the garments, ritually conferred
on Matthias, were sent by Beatrice herself. As part of the nuptial transition,
princely brides were sometimes required to accept the sartorial code of the
husband, thus visualizing their incorporation and adaptation to the new environment. Often, the husband’s emissaries were instructed to learn the bride’s
measurements so that fitting clothes could be made for her in time for her
arrival, or alternatively, bridal trousseaus could contain pieces associated with
the new environment.27 For Beatrice, yet another way was used: she was given
pieces of attire all’ongaresca, in the Hungarian manner, as a wedding gift from
Matthias himself.28 If the garments used during the 1475 Wrocław ceremony,
were indeed sent by Beatrice, it does not only make for an unusual reversal of
gender roles but it also evidences the active role of the princess in the marriage
25
K.-H. Spieß: ‘Unterwegs zu einem fremden Ehemann. Brautfahrt und Ehe in europäischen
Fürstenhäusern des Spätmittelalters’, in: I. Erfen & K.-H. Spieß (eds.): Fremdheit und Reisen im
Mittelalter, Stuttgart: Steiner, 1997: 17–36, p. 26; K. Vocelka: Habsburgische Hochzeiten 1550–1600:
kulturgeschichtl. Studien zum manieristischen Repräsentationsfest, Vienna: Böhlau, 1976: 31.
26
A. Kalous: ‘Tři týdny slávy’, op.cit.: 190.
27
K. O. Frieling: ‘Dressing the Bride: Weddings and Fashion Practices at German Princely
Courts in the Fifteenth and Sixteenth Centuries,’ in: E. Griffey (ed.): Sartorial Politics in Early
Modern Europe. Fashioning Women, Amsterdam: University Press, 2019: 75–92, pp. 78–85; D. Antille: ‘Valentina Visconti’s Trousseau: Mapping Identity through the Transport of Jewels’, in:
T. Chapman Hamilton & M. Proctor-Tiffany (eds.): Moving Women Moving Objects (400–1500),
Leiden: Brill, 2019: 247–71.
28
See my forthcoming article ‘Mechanics of royal generosity: The wedding gifts from King
Matthias Corvinus and Beatrice of Aragon’s wedding (1476)’, Speculum 3, 2023.
Letentur et exultetur universa Panonia
339
from its very beginning, which became more visible later on, for instance, in
the Italicization of Hungarian court, patronage of offices, or foreign policy.29
The Leipzig codex claims that the peculiar engagement ceremony took place
on dominica Invocavit, i.e. 12 February, a week after the arrival of the Italian
delegation and Badoer’s speech, which supposedly occurred on 5 February. It
is not out of the question that both events occurred at the same time, on 5
February, especially given the fact that the latter Sunday was already in Lent.
However, there is no reason to suspect the veracity of details in the Leipzig
manuscript, considering the correct chronological order of the events, such
as placing dominica Invocavit rightly after Shrove Tuesday, or noting that the
Italian embassy departed from Wrocław on dominica Reminiscere (19 February).
Therefore, most likely, the engagement ceremonies spread over the course of
two weeks, and the oration of the Venetian ambassador was the first item on
the menu. What exactly did it contain?
Badoer’s speech and epithalamic tradition
At first glance, the oration is not particularly vocal in expressing the bonds
between Hungary and Venice. The first passage is devoted to spelling out the
alleged joy with which the senate accepted the news of the match: “…nothing more pleasant, nothing more desired, nothing more delightful could have
happened to the Venetian republic”. As stated above, this was not true, quite
contrarily, the union of Matthias and the king Naples went directly against
the interests of the Serenissima. However, this does not prevent Badoer to
draw a comparison of the union, in which Venice plays a crucial role. The
wedding should, according to him, give rise to the alliance of not two, but three
sides – Venice, Matthias, Ferdinand – a pact of “true love, mutual goodwill,
and indissoluble bond” that will mimic the “indivisible Trinity” in heavenly
spheres. This political manifesto, dressed in semi-religious terms, ends with an
exhortation to unity and uniformity. The role of Venice is highlighted, but at
the same time, limited to the first paragraph as Badoer does not elaborate on the
famous personages or history of the good relations between this projected “holy
Trinity” of his, simply because there was none. Quite contrarily, the opposite
interests of each of these polities, especially Venice and Naples led them often
on a collision course, not only prior to Matthias and Beatrice’s nuptials but
29
A. Kubinyi: Matthias rex, Budapest: Balassi Kiadó, 2008: 137–40.
340
Patrik Paštrnák
many times after it as well.30 On the other hand, the marriage only strengthened
the already good Hungaro-Neapolitan relations that went back to the early
1470s when, for example, the war provisions for Matthias’s army in Bosnia were
supplied from the southern Italian regions.31 However, the intensification of the
contacts dragged Matthias too close to his Neapolitan relatives and the Italian
matters in general, which proved to be often detrimental to the Hungarian
interests.32
More than for its political contribution, the speech deserves attention because it employs many elements of the new genre of wedding orations, epithalamia, emerging at this time in Italy. Drawing upon the classical patterns of
panegyrics, Italian humanists used this rhetorical form to not only extol their
patrons but also to spread political propaganda, court ideals, philosophical,
religious ideas about marriage and sexuality, etc.33 Although very rudimentarily, Badoer’s oration also follows this model. Firstly, he extols the qualities
of the bride, both physical and mental. According to him, Beatrice possesses
“abundantly all virtues that are necessary for the importance of a matrimonial
bond”, namely “nobility and antiquity of blood, the beauty of body and manners, pre-eminence in all virtues”. Elaborating on these points, Beatrice’s father
Ferdinand and grandfather King Alphonso, as the most recent scions of the
noble lineage, going back to the first man, are mentioned. Furthermore, special
attention is paid to the bride’s chastity – it is, in the words of Jerome – “the
first ornament of matrons” and “the most beautiful flower”. Stating that in this
respect, the future queen of Hungary “does not only surpass female sex” but
she is “a disguised god (sic, not goddess) in a human body” was not only meant
to praise her qualities, but it had very practical repercussions for Matthias and
Beatrice’s potential offspring. Sexual purity and chastity was a critical factor
not only in the public image of medieval queens but also for the legitimacy of
30
For instance, in the upcoming war of Ferrara in 1482–1484, Naples and Venice stood at
opposite sides. J. H. Bentley: Politics and Culture in Renaissance Naples, Princeton, NJ: University
Press, 1987: 30.
31
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly politikai kapcsolatai a Mátyás-korban’ [‘Political
relations of Hungary and Naples in the age of Matthias’], in: P. Fodor, G. Pálffy & G. I. Tóth
(eds.): Tanulmányok Szakály Ferenc emlékére, Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, 2002:
229–247, p. 233.
32
Ibid.: 240–243.
33
A. F. D’Elia: The Renaissance of Marriage in Fifteenth-Century Italy, Cambridge, MA: Harvard
University Press, 2004.
Letentur et exultetur universa Panonia
341
their offspring and dynasty as a whole.34 The praising of the bride is followed
by the extolling of the groom, about whom one can say so many lauds that
“no generation will ever put an end to them”. According to a usual list of
masculine virtues, Matthias excels in prudence, equanimity, military prowess,
magnanimity, the aid of providence, and “imperial” courage, which are “like
walls that surround him and make him always invincible”. Finally, the speech
ends with exhortations to joys and wishes that the royal pair enjoy a happy
life and “divine” offspring.
If we compare the wording of the oration with other rhetorical pieces delivered on similar occasions just two decades earlier, we can see a clear shift in
style. When István Várdai, archbishop of Kalocsa, addressed the king of France,
demanding the hand of his daughter Magdalene for King Ladislaus Posthumous
in 1457, he also went to great lengths in praising both kings, uniting by the
marriage. However, when listing Ladislaus’s virtues, emphasis is put on his
“compassion, piety, how he helps and protects those who suffer, how he is
gracious to those who are oppressed, how he is just and merciful to those
who are faithful […] and how he will not succumb to any crime”.35 The bride’s
qualities are briefly outlined in one sentence, starting with piety and ending
with a statement that she could call herself “happy to be the wife of such a
king”,36 therefore using her only as a tool for the further promotion of Ladislaus.
The whole union is framed as a result of God’s will, in allusion to the Psalm
118, verse 24: “This is a day made by God, let us rejoice in it!” Similarly as in
Badoer’s oration, the final words are an exhortation to joy, but it is not Pannonia
or Bohemia who are exhorted but “the entire Christian kind”.37 The liturgical
language and use of Biblical references is visible in other matrimonial speeches.
For instance Jacob Motz, an envoy of Frederick III, sent to marry by proxy
the future empress, Eleanor of Portugal in 1451, does not hesitate to compare
himself to God’s angel:
The most serene emperor (Frederick III) sent priests (to fetch the
bride) because every divine work is done in this way in both the
34
E. Woodacre: ‘Saints or Sinners? Sexuality, Reputation and Representation of Queens from
Contemporary Sources to Modern Media’, De Medio Aevo 10/2, 2021: 371–85, p. 372.
35
E. Sándor (ed.): ‘Várdai István beszéde a Francia király előtt’ [‘The speech of István Várdai
before the king of France’], Egyetemes Philologiai Közlöny 62, 1938: 101–104, p. 103.
36
Ibid.: 104.
37
Idem.
342
Patrik Paštrnák
Old and New Testaments. That is why a prophet says when speaking about the Incarnation: “I send my angel before you,” that is, a
priest.38
Likewise, the bride is hailed in spiritual terms:
You are all beautiful, beautiful on the inside, beautiful on the outside […] You are all beautiful by nature, more beautiful by virtues,
more beautiful for the grace given from above. You are a maid of
King Ahasuerus […]39
While the wording “You are all beautiful” alludes strongly to the ancient
Christian hymn Tota pulchra es, Maria, thus putting the princess side by side
with God’s mother, the expression “the maid of Ahasuerus” refers to the biblical queen Esther. In medieval instructional treatises, both personages were
presented as models for queens,40 so it is no surprise that this theme found its
way into matrimonial rhetoric as well. Beyond Italy, it was still quite usual to
follow this pattern of panegyric, for instance when the bishop of Metz, coming
to conclude the wedding by proxy between Mary of Burgundy and Maximilian
of Habsburg in 1477, greeted the upcoming bride by basically paraphrasing the
Annunciation scene from the gospels:
“You are blessed amongst the women; you are in Emperor Frederick’s (Maximilian’s father) grace […]”. (Having heard these words)
the lady (Mary) rejoiced and responded: “I am a humble servant of
my most excellent lord. May everything which pleases him happen…”41
Badoer sometimes, but very seldom, uses religious rhetoric (the quoted “holy
Trinity” analogy, “enemies of the cross”) but he refers to God in a classical
38
‘M. Iacobi Motzii theologi, legati caesarei coram serenissimo Alphonso rege Portugaliae
oratio, pro filia eius Lionora Friderico caesari desponsanda’, in: M. Freherus (ed.): Germanicarum
rerum scriptores aliquot insignes, hactenus incogniti, qui res in Germania & Imperio sub Friderico
III. & Maximiiano I. impp. memorabiliter gestas, illo aevo litteris prodiderunt II, Frankfurt am Main:
Typis Wechelianis apud Claudium, 1602: 15–16.
39
‘Eodem tempore ad imperatricem tunc futuram oratio facta, in praesentia regis, et sui perlamenti’, in: M. Freherus (ed.): Germanicarum rerum…, op.cit.: 16–71.
40
J. C. Parsons: ‘Queens and empresses: The West’, in: M. Schaus (ed.): Women and Gender in
Medieval Europe, New York: Routledge, 2006: 683–691, p. 689.
41
J. A. Buchon (ed.): Chroniques de Jean Molinet II, Paris: Verdière, 1828: 94–95.
Letentur et exultetur universa Panonia
343
term rerum opifex (“artificer of things”) and on the other hand, in an almost
blasphemous way, he does not eschew calling Beatrice a god. Although lacking
a complex philosophical ideology or a deeper exposition of particular heroic
deeds, Badoer’s oration marks a break from the previous formulations and models: he relies heavily on the quotes from pre-medieval, though mostly patristic
literature (Jerome, Boethius, Justin) while ignoring ancient Roman historians
or philosophers, and he does not go into specifics at all when talking about
the glorious history of uniting dynasties, like Giovanni Francesco Marliani
did during the proxy nuptials of Bianca Maria Sforza and John Corvinus in
1487.42 However the renouncement of biblical language and older medieval
moral models, as well as the introduction of classical references and adherence
to the themes of the epithalamia genre, clearly makes this oration worthy of
attention and it is yet more proof of cultural exchange between Hungary and
Italy in this period, when Corvinus’s realm stood first in line in terms of of
promoting Humanist erudition and literature beyond the Alps.
Appendix
The oration of Sebastiano Badoer
The critical edition of the speech is reconstructed from the two codices, C 700,
stored in the Uppsala University Library (U), and Ms. 1674 of Leipzig University Library (L). Minor typological variations are not marked (haut L – haud U,
christianissime U – cristianissime L, sidus U – sydus L). Quotes and very close
paraphrases from other sources are in italics.
[U 24v, L 48r]43 Clarissimi patricii veneti viri senatorii eloquentissimi44 Sebastiani Baduari, dignissimi oratoris illustrissimi senatus veneti apud invictissi-
42
‘Ioanni Francisci Marliani … epithalamium … in nuptiis illustrissimae virginis Blancae Mariae
Sphortiae vicecomitis et illustrissimi ducis Ioannis Corvini’ in: J. Ábel (ed.): Olaszországi XV.
századbeli iróknek Mátyás királyt dicsőítő művei [Works of the fifteenth-century Italian authors
glorifying King Matthias], Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, 1890: 359–381.
43
L habet superscriptionem alio atramento et alia manu Oratio ad Mathiam regem Hungarie
super nuptiis cum filia regis Neopolitani habita die 5.a mensis Februarii anno 1477.to Wratislavie
in ecclesia sancte Elizabeth in media sollemnitate misse maioris.
44
eloquentissimi ] eloquetissimi U
344
Patrik Paštrnák
mum principem dominumque serenissimum dominum Mathiam Hungarie et45
Bohemie46 regem christianissimum oratio pro faustissimis nuptiis suis, habita
die quinto februarii m. cccc. lxxv Wratislavie in ecclesia sancte Elisabeth in
media sollempnitate celebrationis misse maioris.47
Licet regia celsitudo tua, christianissime et invictissime rex, ducalibus et meis
literis de facili intelligere potuerit conceptum a senatu veneto48 gaudium ex
faustissimis et felicissimis nuptiis tuis, tamen tante rei magnitudini convenire
videtur id etiam certiori firmiorique adhuc medio, hoc est vive vocis oraculo
explicare, quoniam, ut ayt49 divini eloquii princeps ille Paulus habet nescio quid
energie viva vox,50 et doctissimus phisicarum disciplinarum Gilbertus Poretanus
verba sunt earum, que anime insunt passionis note,51 et moralissimus52 stoicorum
ille Seneca ymago animi sermo est,53 quantam ergo animi leticiam conceperit
ex tanto sacramentali connubii tui vinculo venetum dominium illustrissimum
et si haud complete non modo orationis ornatu, verum haud ex54 verbis exprimi non posset, hoc unum tamen indubie teneatis, tu rex christianissime, oratores clarissimi, heroes55 et viri prestantissimi,56 nichil iocudius, nichil optatius,
nichilve delectabilius venete57 rei publice potuisse contigere, et hoc58 merito
iure veri amoris, mutue benivolentie, indissolubilisque federis inter maiestatem
tuam, Ferdinandum59 [U 25r] regem serenissimum, ipsumque senatum vene-
45
et ] et cetera U
Bohemia omisit U
47
habita… maioris omisit L
48
veneto ] venetu U
49
ayt omisit U
50
Cf. Hieronymus, Epistulae 53.
51
Cf. “Sunt ergo ea quae sunt in voce earum quae sunt in anima passionum notae et ea quae
scribuntur eorum quae sunt in voce.” Boethius, In librum Aristotelis Peri hermeneias commentarii,
1.
52
moralissimus ] molarissimus L
53
Cf. Publius Syrus, Sententiae.
54
ex omisit L
55
heroes ] heroas U et sic passim
56
prestantissimi insertum alio atramento et alio atramento in margine L
57
venete ] veneto L
58
hoc ] hac U
59
Ferdinandum ] Fredinandum U ; Fferdinandum L
46
Letentur et exultetur universa Panonia
345
tum, quo fiet, ut60 inter vos verum individue trinitatis exemplar et vestigium
continue intueri61 licebit, ut quemadmodum62 simplicissima eterna illa essentia
trium realem personarum distinctionem in esse naturali63 compatitur, ita et
vos suppositales differentias ex individuali64 caritate65 conceptas servabitis,
servaturique estis cum voluntatum66 conceptuumque omni unanimi, uniformi,
indivisaque in omnibus existentia. Quis enim tam67 excors, qui nullo ductus errore ex diva Beatrice tibi matrimoniali vinculo assignata,68 non summe letetur,
cum in ea omnia cumulatissime sunt, que ad amplitudinem cuiusque coniugalis
federis sint requisita. Hec enim sunt, rex invictissime, que divo huic [L 48v]
sacramento decorem maximum asserunt et ornamentum: sanguinis nobilitas et
vetustas, corporis species et decor morum, virtutumque omnium prestancia et
dignitas, diva69 ipsa Beatrix, recte nomen consequens rei, cum omni ea beatitudinis et felicitatis gradu sit predita, quo nos mortales in hoc viatico beatos
aut felices appellari liceat. Nonne Ferdinandi regis christianissimi filia, Ferdinandus nonne70 divi Alfonsi semen in lucem eductus,71 et sit ab Alfonso
ad avum proavum attavumque ascendentes usque ad primum humani generis
parentem, nichil preter regalem sanguinem, quo nil prestantius decursu72 inveniemus,73 corporis videlicet speciem artiumque omnium conformitatem tantam
in ea apposuit rerum opifex et magister, ut de ipsa recte dici possit: Spes tua,
universi orbis imperio digna, digna hoc regali solio. Et quod Nicodemus de
divino supposito hoc idem de ipsa Beatrice recte fari possit:74 Vere corpus hoc
60
ut omisit U
intueri ] retueri L, alio atramento deletum et in margine emendatum
62
quemadmodum ] quamadmodum L
63
naturali ] munerali U ; alio atramento munerali deletum et naturali suprascriptum L
64
individuali ] “in-” alio atramento addita L
65
loco caritate habet U spatium vacuum
66
voluntatum ] voluptatum U
67
tam ] tamen L
68
assignata ] assingnata L
69
diva] originaliter divina, alia manu et alio atramento emendatum L
70
nonne omisit L
71
eductus ] edoctus U
72
decursu ] decursum L
73
inveniemus ] originaliter innomemus, alia manu et alio atramento emendatum L
74
Spes … possit omisit U
61
346
Patrik Paštrnák
eucrathon75 et coequale, morum virtutumque omnium prestantiam, quantam
in se contineat, haud copiose explicare posset. Nam pudiciciam ipsam primam
rerum matronarum ornamentum, ut priscus ille Pitagoras asseruit,76 adeo supra
humane fragilitatis vires omni etatis sue gradu coluit, ut immaculatam semper illesamque servavitur, quod eo divinius [U 25v], eo preclarius, quo difficilius cum phisica summa circa difficile sit virtus constituta. Et Barbatus ille
Hieronimus77 tenera res in mulieribus fama pudicitie est, quasi flos pulcherrimus78 ad levem79 marcescit 80 auram, levique flatu corrumpitur, maxime ubi
etas consentit ad vicium, et maritalis deest autoritas, cuius umbra tutamen uxoris
est,81 et difficile, quod ymmo impossibile sit,82 rex christianissime, deliciis et
voluptatibus affluentes, non ea cogitare, que gerimus, frustraque quidem simulant salva fide, pudicitia et mentis integritate, se abuti voluptatibus, cum contra
naturam sit, copiis voluptatum sine voluptati perfrui.83 Et divinum equidem sit
in maxima peccandi licencia a peccato abstinuisse, que omnia cum diva Beatrix
continentissime immaculateque servaverit, dubitabimus eam celitus84 lapsam
preditare reliquis vero animi dotibus omnibusque liberalibus artibus ita decorata, ut non modo femineum sexum, verum omnes humani generis metas
excesserit, ut non universalibus [L 49r] educata principiis, sed potius deus unus
humano in corpore latitatus85 dicenda sit. Quibus rebus est86 divum certe faustum felicissimumque87 connubium Mathia etiam principe invictissimo orna-
75
loco eucrathon habet U spatium vacuum
Cf. “…vera ornamenta matronarum pudicitiam, non vestes esse.” Justinus, Historiarum Philippicarum 20, 4.
77
Hieronimus ] Ieronimus L
78
pulcherrimus ] pulcherrimum L
79
levem ] levam L, alio atramento ad litteram a cauda addita
80
marcescit ] marcessit L
81
Cf. Hieronymus, Epistulae, 79.
82
sit omisit U
83
Cf. Hieronymus, Adversus Jovinianum II, 9.
84
celitus ] colitus L
85
latitatus ] latitusque L
86
est ] o U
87
felicissimumque ] felicissimum U
76
Letentur et exultetur universa Panonia
347
tum, cuius laudum88 preconia tanta sunt, ut nulla89 eis etas sit unquam90 finem
allatura. Quis enim eo uni prestantissimi91 aut rerum gerendarum prudentia,
aut juris equanimitate conficiendis bellis fortitudine omnibusque animi dotibus
prestantior, clariorque visus est, qui virtutibus omnibus tanquam menibus septus invincibilis inexpugnabilis semper extitit, cui illa ipsa rerum humanarum
diva fortuna, que viri magnam habere dicitur, cedit locumque prestat. Quorum
omnium testes sunt clarissima gesta, testes estis vos, heroes et viri clarissimi,
qui in dies intellex estis92 animi sui virtutem incredibilem, rerum inauditam
providenciam in adeundis periculis, cesariem93 fortitudinem omnibusque in
rebus celitus lapsam magnanimitatem, [U 26r] adeo, ut humanae religionis
splendor, virtutumque exemplar esse dicatur, demum diva Beatrice, quam in94
corporis specie virtutum prestancia tamquam sidus splendidissimum95 intuemur. Letare igitur, rex christianissime, letamini heroes et viri prestantissimi,
letentur et exultetur universa Panonia, Moravia, Slesia, Bohemia, que tante96
domine splendore illustrande omni ex parte clariores, omnique ex parte lucidiores eius decoris puditia, future sunt, dentque vobis superi felicem et peroptatam vitam, divamque sobolem et filiorum filios videatis, usque ad extremos
mundi limites97 tranquillumque regni statum, et de crucis inimicis gloriam et
triumphum reportare, quemadmodum eterna providentia tibi, rex invictissime,
indubie est assignatum, que omnia ut quam faustissime felicissimeque fiant,
deum optimum maximum, que precamur.
88
laudum ] laudem L
nulla ] ulla U
90
unquam ] in quem U
91
uni prestantissimi ] prestantissimi uni U
92
estis ] sistis L
93
cesariem ] cesarem L
94
in ] et L
95
splendidissimum ] splendissimum L
96
tante ] tanta L
97
limites ] limitas L
89
348
Patrik Paštrnák
Acknowledgements
I want to thank to György Domokos and Tibor Martí for bringing the Leipzig
codex to my attention and to Bence Péterfi for providing me with many important details and literature on this source. My thanks also go to Antonín Kalous
who, as always, read the entire manuscript and provided me with much needed
feedback and comments, and to Martin Dixon who proofread the article.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
La dote di Beatrice d’Aragona. Nuove fonti per la
storia delle relazioni di Mattia Corvino con
Napoli (1474–1476)1
Tibor Martí
Centro di Ricerca delle Scienze Umanistiche, Istituto di Storia
marti.tibor@abtk.hu
Abstract
This aim of the present paper is to reconstruct the history of Hungarian–Napolitan
relations in the period (1474–1476) preceding the marriage (1476) between Matthias
Corvinus (1443–1490) and Beatrice of Naples (1457–1508), and the negotiations leading
to the marriage contract and the dowry agreement, on the basis of newly discovered
sources in Spanish archives. One set of sources is preserved in the so-called mixed
Valencian origin (Varios de Valencia) documents in the “Órdenes Militares” section of
the Archivo Histórico Nacional de Madrid, and the other set of documents is in the
series of Patronato Real of the Archivo General de Simancas. These sources were previously published in two issues of Történelmi Szemle (review of the Institute of History
of the Research Centre for the Humanities: ‘Unpublished Charters from the Legacy of
Beatrice of Naplesʼ, Történelmi Szemle 59, 2017: 491–523, and ‘The Dowry of Queen
Beatrix of Aragon: New Sources about the Neapolitan Connections of King Matthias
Corvinus (1474–1476)ʼ, Történelmi Szemle 63, 2021: 605–630). The newly discovered
sources allow us to clarify the chronology and composition of the Neapolitan envoys’
visits between 1474 and 1476, in other words, to reconstruct in detail the history of the
negotiations that led to the alliance between King Matthias Corvin and Ferdinand I of
Naples and the dynastic relationship.
1
Questo saggio è stato scritto con il sostegno della Borsa di Studio di Ricerca János Bolyai. Per
questo studio ho ricevuto preziose fonti dell’Archivio di Stato di Milano (Fondo Sforzesco, Potenze Estere, Napoli), fornite dal Prof. Francesco Storti (docente dell’Università di Napoli Federico
II, Dipartimento di Studi Umanistici) che vorrei ringraziare molto per il suo aiuto nel quadro
della cooperazione internazionale. Per la definizione della forma defintiva del manoscritto e il
controllo del testo mi hanno fornito preziosi suggerimenti György Domokos, Hajnalka Kuffart,
Bálint Lakatos, Tibor Neumann e Ágnes Szabó.
350
Tibor Martí
“La Maestà del signor Re2 mio è stato continuamente in Buda, et è al presente,
et non se intende se non al ordine de mandare a torre la Serenissima Regina3 a
Napoli. Già sono venuti in Buda Vescovi et altri cum cavalli assai per andare. Io
non posso scrivere il vero numero de cavalli, perché non è ancora determinato,
et lo Ambasiatore del Serenissimo Signor Re Ferdinando,4 avegna, ebe el solecita de intenderlo per avisare, non ha più ferma notizia de mi. Se pò conjecturare,
saranno cavalli più de 400, e manco de 500. Li Ambassatori sono perfino adesso
el Vescovo de Vratislavia,5 el Vescovo de Varadino,6 Pancrazio Capitaneo de
Transilvania cosino germano del Re,7 el Conte Gioanne Grofti[!],8 le cose sono
in fieri, e tutti hanno avuto dinari per la spesa, excepto el dicto Vescovo de
Vratislavia, che li aspecta de giorno in giorno, et cum essi anderano Cortegiani
et altri Nobili assai. Credo non tarderano de partirni da Buda ultra 10. a 15. di
al più tardo, in questo mezo si averò il numero vero et si altri Ambaxadori se
manderano et del tutto sarà avvisata la Vostra Illustrissima Signoria.9 – Ultra le
potenzie d’Italia, che sono invitate alle noze et cosi l’Imperatore et tutti Duca,
Conti e Baroni de Alemagna e invitato ancora el Duca de Borgogna.10 La Maestà
del Signor Re mio, ha fatto il mandato de recevere la dota, che como sa la
Illustrissima Signoria Vestra, e de ducati 200 millia, cioè 170 millia in contanti,
e trenta millia in zoje, et ultra la dota el Signor, Re mio, gli ha fatto mandato de
far donatione alla dicta Serenissima Regina del terzo della dota cioè de 66 milia
ducati ultra la dota, benché l’oratore del Serenissimo Signor Re Ferdinando cioè
de Archivescovo de Bari11 in Buda havesse commissione de levarse de Buda et
andare in Borgogna, como che serisse per altre mie, et fosse venuto l’Angelotto
Macedonio Ambaxadore, del dicto Re, nientedimeno el Re mio, non l’à voluto
lassar partire, et ha reserito a Napoli et così l’Angelotto ritornerà, credo, indreto
2
Mattia I Corvino re d’Ungheria (1458–1490).
Beatrice d’Aragona (1457–1508), regina d’Ungheria.
4
Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli (1458–1494)
5
Rudolf von Rüdesheim, vescovo di Breslavia (lat. Vratislavia, ted. Breslau, pol. Wrocław, ung.
Boroszló, Polonia), (1468–1482).
6
János Filipec, vescovo eletto di Várad (Oradea, Romania), 1476–1490.
7
Pongrác Dengelegi, voivoda della Transilvania.
8
Conte János Szentgyörgyi.
9
Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (1466–1476).
10
Carlo il Temerario, duca di Borgogna (1467–1477).
11
Antonio d’Ayello [di Taranto], arcivescovo di Bari. Cfr.: G. Musca: ‘Antonio Aielloʼ, in:
Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 1, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960: 517–518.
3
La dote di Beatrice d’Aragona
351
insiema cum quelli, chi vanno per la Regina et meritamente e sta retenuto per
essere così docto et fatico homo como pochi ne sia. Apresso la Maestà del Signor
Re mio e uno Legato apostolico, quale è il governo et ochio diritto suo. Costui è
Frate di San Francisco de Observantia, et sono circa anni 25, che l’è in le parte
tra dela Alemagna et d’Ungheria.”12
La relazione di Luca Lupo13 è stata scritta direttamente prima della partenza
della delegazione ungherese che, nell’estate del 1476, si dirigeva da Buda a
Napoli. Nella sua lettera questo personaggio comunica informazioni puntuali
sugli oratori ungheresi e sulla dote di Beatrice d’Aragona, riassumendo i dati
conosciuti dalle persone dell’ambiente di Mattia I Corvino, re ungherese (1464–
1490) e re boemo (1469–1490).14 Nel periodo della stesura della nostra fonte le
trattative tra Mattia e Ferrante I d’Aragona, re di Napoli (1458–1494) erano in
corso da anni. In seguito al lavoro preparatorio degli ambasciatori, tra i due
sovrani si è creata un’alleanza e si è realizzato anche il matrimonio tra la figlia
minore di re Ferrante I, la principessa Beatrice e il re ungherese Mattia.15
12
1476. Relazione di Luca Lupo da Buda al duca di Milano, sugli eventi polacchi e turchi, sui
doni di fidanzamento per Beatrice e sui preparativi per le celebrazioni delle nozze, Buda, 19
maggio 1476. I. Nagy & A. Nyáry (a cura di): Magyar diplomácziai emlékek Mátyás király korából
[Memorie diplomatiche ungheresi dall’epoca del re Mattia Corvino], Vol. II, Budapest, 1877: 309–
310; A. Berzeviczy: Beatrix királyné 1457–1508. Történelmi élet- és korrajz [Regina Beatrice 1457–
1508. (Biografia e quadro storici)], Budapest, 1908: 129 (Magyar Történeti Életrajzok [Biografie
storiche ungheresi]); A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, a cura di R. Mosca, Milano, 1931: 83.
13
Luca Lupo, latinizzato nella forma Lucas Lupus, “serenissimi regis Hungariae consiliarius”.
Cfr. P. Haraszti Szabó & B. Kelényi: Magyarországi diákok francia, itáliai, angol és német egyetemeken a középkorban 1100–1526 [Studenti d’Ungheria alle università francesi, italiane, inglesi e
tedesche nel Medioevo 1100–1526], Budapest, 2019: 337. nr. (p. 1066).
14
R. Horváth: Itineraria regis Matthiae Corvini et reginae Beatricis de Aragonia (1458–[1476]–
1490), Budapest, 2011: 104 (História Könyvtár. Kronológiák, adattárak 12).
15
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly politikai kapcsolatai a Mátyás-korban’ [‘Rapporti
diplomatici tra Ungheria e Napoli nell’epoca di Mattia Corvino’], in: P. Fodor, G. Pálffy &
I. Gy. Tóth (a cura di): Tanulmányok Szakály Ferenc emlékére [Studi in ricordanza di Ferenc
Szakály], Budapest: MTA TKI, 2002: 231–240; P. E. Kovács: ‘Hunyadi Mátyás és Aragóniai
Beatrix: Maties Hunyadi i Beatriu d’Aragó’, in: Cs. Tóth & R. Sarobe (a cura di): Princesses
from afar: Hungary and Catalonia in the Middle Ages, Budapest, 2009: 421–429; P. E. Kovács:
‘Mattia Corvino e Beatrice d’Aragona: un incontro storico’, in: É. Vígh (a cura di): Annuario
dell’Accademia d’Ungheria in Roma (2007–2009): Mitografia del potere principesco fra l’Italia e
l’Europa Centrale nei secoli XV–XVII, Roma, Aracne: 2009, 287–294; O. Réthelyi: ‘King Matthias
in the Marriage Market’, in: P. Farbaky et al. (cura di): Matthias Corvinus, the King. Tradition and
Renewal in the Hungarian Royal Court 1458–1490, exhibition catalogue, Budapest, 2008: 247–250;
Á. Mikó: ‘Queen Beatrice of Aragon’, in: Matthias Corvinus, the King, op. cit.: 251–253; R. Horváth:
‘A “mérges” Beatrix. Egy oklevél-formuláról s általa a királyné hatalmi helyzetéről a Mátyás-
352
Tibor Martí
Sulle trattative in vista delle seconde nozze del sovrano ungherese, svoltesi a
Buda ed a Napoli tra il 1474 ed il 1476, il punto di partenza per la ricerca ungherese, come per quella internazionale, lo si individua, fino ad oggi, nella biografia
di Beatrice d’Aragona scritta da Albert Berzeviczy16 e nella raccolta di documenti ad essa legata.17 Si è soliti porre l’accento, da parte ungherese, sull’importanza del matrimonio dal punto di vista della storia della civiltà. Con queste
nozze ebbe inizio un periodo in cui l’influenza del rinascimento italiano sulla
corte reale di Buda si fece sentire in maniera del tutto unica.18 Sulle circostanze
della realizzazione del matrimonio dinastico, sul viaggio di Beatrice d’Aragona
fino alla corte di Buda,19 sulle celebrazioni del matrimonio e dell’incoronazione
a Székesfehérvár,20 ma anche su tutto il resto della vita di Beatrice, disponiakorban’ [‘Beatrice “velenosa”. Su una formula diplomatica e mediante ciò sullo stato politico della
regina nell’epoca di Mattia Corvino’], in: K. Szovák & A. Zsoldos (a cura di): Királynék a középkori
Magyarországon és Európában. [Regine nell’Ungheria e nell’Europa medievali], Székesfehérvár,
2019: 133–171 (Közlemények Székesfehérvár történetéből).
16
A. Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit. La biografia è stata pubblicata anche in lingua spagnola,
italiana e in due versioni francesi: Beatriz de Aragón, reina de Hungría. Madrid, [1912]; A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, a cura di R. Mosca, Milano, 1931; A. Berzeviczy: Béatrice d’Aragon,
Reine de Hongrie [s. l., s. d.], e A. Berzeviczy (1911–1912): Béatrice d’Aragon, Reine de Hongrie
(1457–1508), I–II, Paris (Bibliotheque Hongroise 3–4). In seguito faremo riferimento all’edizione
originale del 1908, in lingua ungherese dell’opera di Berzeviczy.
17
A. Berzeviczy (a cura di): Aragoniai Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok.
[Documenti relativi alla vita di Beatrice d’Aragona, regina ungherese], Budapest, 1914 (Magyar
Történelmi Emlékek. Okmánytárak. 34).
18
Gy. Domokos: ‘Codici e libri a stampa nel regno di Mattia Corvino’, Studia Historica Adriatica
ac Danubiana 1–2, 2008: 37–44; K. Pajorin: ‘La rinascita del simposio antico e la corte di Mattia
Corvino’, in: Sante Graciotti & Cesare Vasoli (a cura di): Italia e Ungheria all’epoca dell’umanesimo
corviniano, Firenze, 1994: 179–216; K. Pajorin: ‘Aragóniai Beatrix szerepe Mátyás király irodalmi
mecenatúrájában’ [‘Il ruolo di Beatrice d’Aragona nel mecenatismo letterario del re Mattia
Corvino’], Irodalomtörténeti Közlemények 115, 2011: 158–167; P. Farbaky: ‘Patrons and Patterns.
The Connection between the Aragon Dynasty of Naples and the Hungarian Court of Matthias
Corvinus’, Radovi Instituta za povijest umjetnosti 41, 2017: 23–31; D. Csánki: Mátyás király udvara
[La corte di Mattia Corvino], Budapest, 1884.
19
P. Eschenloer: ‘Nápolyi Beatrix útazása Pettauból Budára. 1476’ [Il viaggio di Beatrice napoletana da Pettau a Buda. 1476], in: I. Szamota (a cura di): Régi utazások Magyarországon és a
Balkán-félszigeten, 1054–1717. [Vecchi viaggi in Ungheria e sulla penisola balcanica, 1054–1717],
Budapest, 1891.
20
Sul viaggio, l’incoronazione e il matrimonio di Beatrice d’Aragona nel 1476 esiste un documento alla Biblioteca Nazionale Széchényi, recentemente studiato e di prossima pubblicazione, cfr. Gy. Domokos: ‘Különös kézirat Beatrix királyné koronázásáról’ [‘Manoscritto speciale
sull’incoronazione della regina Beatrice’] (OSzK fol.ital.15), in: Scriptorium IV, a c. di I. Boros
La dote di Beatrice d’Aragona
353
mo di informazioni innanzitutto da tre gruppi di fonti: dalla corrispondenza
diplomatica coeva (sostanzialmente le relazioni degli ambasciatori di Milano,
Ferrara, Mantova e certamente del papa); dalle fonti cronachistiche conosciute
ed elaborate da Berzeviczy e, infine, dalle narrazioni dei cronisti attivi presso
la corte ungherese. C’è un triste parallellismo tra le sorti infauste del materiale
documentario di Buda e di Napoli: i documenti regi della corte ungherese sono
stati annientati nel periodo della dinastia dei Jagelloni, in seguito al saccheggio
della capitale magiara da parte degli Ottomani, mentre il prezioso materiale
dell’archivio regio di Napoli è caduto vittima della barbarica distruzione della
Seconda guerra mondiale. Queste deplorevoli circostanze rivalutano particolarmente le ricerche archivistiche svolte a Napoli prima della guerra mondiale e,
per la stessa ragione, potranno avere un’importanza straordinaria anche le fonti
superstiti di copie o di originali conservate, per varie ragioni, in archivi diversi.
Nell’ambito delle mie ricerche, svoltesi nel recente passato in Spagna, sono
riuscito ad identificare diversi documenti, studiando i quali si possono conoscere nuovi particolari sulla storia delle trattative tra il 1474 ed il 1476, volte
a preparare il matrimonio tra Mattia e Beatrice. Ho pubblicato queste fonti
provenienti da Valencia (ma oggi conservate all’Archivo Histórico Nacional di
Madrid) nel numero 2017/3 della rivista di storia ungherese Történelmi Szemle.21 Un altro documento che riunisce diplomi copiati dopo il maggio del 1475
è conservato nella serie Patronato Real dell’Archivo General de Simancas;22
questi sono stati da me elaborati in un’altra pubblicazione (Történelmi Szemle,
2021/4).23 Le due unità di fonti sono fondamentali per ricostruire il quadro completo: i due gruppi di documenti sono di carattere simile e sono anche collegati
& L. Takács (in corso di stampa). Si confronti inoltre un altro progetto in corso che l’Archivio
Nazionale Ungherese, in collaborazione con gli archivi spagnoli, porta avanti per la ricostruzione
degli itinerari di diversi sovrani: Sigismondo di Lussemborgo, Maria d’Angiò, Elisabetta di
Bosnia, Borbála Cillei, János Hunyadi, Mattia Corvino, Beatrice d’Aragona, Carlo V (d’Asburgo),
Giuseppe II (d’Asburgo): https://itinerarium.mnl.gov.hu/ (2022.01.30.).
21
T. Martí: ‘Oklevelek Aragóniai Beatrix hagyatékából. Magyar vonatkozású források a spanyol katonai lovagrendek iratanyagában’ [‘Diplomi dal lascito di Beatrice d’Aragona. Fonti con
relazioni ungheresi negli archivi degli ordini cavallereschi spagnoli’], Történelmi Szemle 59, 2017:
491–523.
22
http://pares.mcu.es/ParesBusquedas20/catalogo/show/2216454 (consultato l’11 gennaio
2021).
23
T. Martí: ‘Aragóniai Beatrix hozománya. Újabb források Mátyás nápolyi kapcsolatainak
történetéhez (1474–1476)’ [‘La dote di Beatrice d’Aragona. Nuove fonti per la storia dei rapporti
napoletani di Mattia Corvino (1474–1476)’], Történelmi Szemle 63, 2021: 605–630.
354
Tibor Martí
in diversi punti, per cui vanno studiati nel loro insieme. Vale la pena riassumere
le informazioni sui preparativi del matrimonio tenendo in considerazione i due
materiali. Il presente articolo ha proprio questo fine: offrire un conciso riassunto
delle conclusioni tratte dalle fonti nuovamente scoperte.
Le fonti recentemente scoperte e la loro provenienza
I documenti provengono da diversi archivi della Spagna: una parte delle fonti
appartengono al fondo Patronato Real dell’Archivio di Stato di Simancas ([Archivo General de Simancas] = AGS), mentre l’altro gruppo di documenti, che
contengono tra gli altri anche la copia del contratto matrimoniale con l’elenco
della dote di Beatrice, appartiene al fondo Órdenes Militares, ai cosidetti “Documenti misti di Valencia” (Varios de Valencia) dell’Archivio Storico Nazionale
di Madrid ([Archivo Histórico Nacional] = AHN). Per quanto riguarda le fonti
riferentisi alla persona di Beatrice che ora si trovano a Madrid, io suppongo che
essi dovessero fare parte del suo lascito. Questi documenti furono trasferiti col
tempo, probabilmente tramite suo nipote Ferdinando, Duca di Calabria (1488–
1550), che dal 1526 divenne viceré di Valencia, prima in questa città e poi,
assieme ad altri documenti24 della sua biblioteca, custodita presso il monastero
San Miguel de los Reyes,25 divennero proprietà dello Stato alla fine dell’Otto24
Sul materiale archivistico trasferito nel 1896 da Valencia a Madrid, subito dopo l’arrivo di
questo a Madrid ha pubblicato un elenco l’archivista Vicente Vignau y Ballester (1834–1919).
V. Vignau: ‘Inventario de los documentos y libros que han ingresado en el Archivo Histórico
Nacional, en el mes de la fecha, procedentes del general del Reino de Valencia’, in: Revista de
Bibliotecas y Museos, 1897: 465–473. A pagina 473 si legge l’elenco di quei monasteri da dove,
nel corso del 1896, sono stati raccolti i 334 diplomi, nella maggioranza medievali (documenti
datati nel periodo 1236–1706). Secondo questa lista 79 documenti erano custoditi nel monastero
dell’ordine di San Giacomo, San Miguel de los Reyes, però non viene chiarito se questo materiale
documentario, a cui si fa riferimento nella bibliografia spagnola come “Varios de Valencia”,
provenisse direttamente dall’edificio del monastero oppure dalla sede dell’ordine cavalleresco
Montesa, chiamata Palacio del Temple di Valencia. Nel materiale, come si è capito studiando
dettagliatamente i documenti, ci sono decine di documenti dei secoli XIV e XV emanati dai
membri della dinastia napoletana, da re Giacomo II di Napoli fino a Ferdinando d’Aragona (il
Cattolico), quindi dall’inizio del secolo XV all’inizio del secolo XVI.
25
Sulla biblioteca del duca Ferdinando d’Aragona v. J. M. Ferrando: ‘La Biblioteca Real llega a
Valencia. Fernando de Aragón, duque de Calabria’, in: San Miguel de los Reyes: de Biblioteca Real a
la Biblioteca de Valencia. Valencia, 2001: 45–72 [2a edizione]; S. López-Ríos: ‘A New Inventory of
the Royal Aragonese Library of Naples’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes 65, 2002:
201–243. Sulle relazioni culturali tra Napoli e Valencia: A. Colella: Música y cultura renacentista
La dote di Beatrice d’Aragona
355
cento. In seguito furono collocati nel fondo degli ordini militari dell’archivio
di Madrid. Il chiarimento sulla provenienza delle fonti attualmente è possibile
solo entro limiti precisi. Il fatto che i documenti si ritrovino oggi all’Archivo
Histórico Nacional nel fondo Órdenes Militares può essere spiegato così: essi
sono stati trasferiti dal materiale del Monasterio del Temple di Valencia, che
era stato la sede dell’ordine cavalleresco (militare) Montesa (quindi da una
collezione valenciana diversa). Possiamo però supporre, con grande probabilità
di verità, che il fascio di documenti abbia viaggiato insieme, nel corso dei tempi,
per via della connessione di contenuto: dall’Italia (Napoli) è probabilmente
giunto alla collezione valenciana del duca di Calabria e, da lì, al luogo dove
oggi è custodito.26 Secondo gli archivisti di Madrid il materiale diplomatico è
rimasto senza ordine fino a tempi recentissimi. Non è quindi colpa degli studiosi
precedenti se non si era a conoscenza delle fonti di Napoli-Simancas, così come
di quelle con riferimento ungherese: la ricerca di queste fonti è partita con ritardo e lentamente. Balza comunque all’occhio che, alla data della pubblicazione
della monografia di Berzeviczy su Beatrice (1908) – ma nemmeno sei anni dopo,
quando vede la luce il volume con le fonti utilizzate – i documenti degli archivi
spagnoli non rientravano nella sfera di ricerca degli studiosi ungheresi.27
Eppure i documenti con riferimento ungherese degli archivi di Spagna erano
già noti da molto tempo agli storici ungheresi. A Simancas svolse le prime
ricerche Ernő Simonyi (1865) e, dopo di lui, Vilmos Fraknói (1868), ma lo studio
sistematico con un’attenzione specifica agli hungarica è cominciato più tardi
rispetto alle ricerche di Berzeviczy.28 Benché Lipót Óváry avesse redatto già
entre Valencia y Nápoles: la corte valenciana de Fernando de Aragón, duque de Calabria (1526–1550),
Madrid: Sociedad Española de Musicología, 2019.
26
T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 491–495.
27
Nel contesto delle ricerche precedenti di archivisti ungheresi negli archivi spagnoli, alcune
delle fonti dell’epoca sono state copiate, così per esempio quelli che sono stati registrati su
microfilm e si trovano nel Fondo Microfilm dell’Archivio Nazionale Ungherese (= MNL OL),
provenienti dalla collezione Salazar y Castro della Real Academia de Historia (= RAH), per
esempio: RAH Colección de Don Luis de Salazar y Castro. A-I. Fol. 21. Roma, 27 marzo 1493. Si
tratta di una lettera pontificia che comunica la decisione del papa in merito alla causa della regina
Beatrice. (“Utilizzato nell’opera di Albert Berzeviczy: Beatriz de Aragon, Reina de Hungría”),
nonché A-10. Fol. 18. Pest, 20 giugno 1503. Lettera di Beatrice a Ferdinando il Cattolico, in cui si
congratula con lui per la vittoria delle sue truppe in Italia, con firma autografa. MNL OL Fondo
Microfilm, microfilm n. 29972/1.
28
Sui documenti fatti copiare nell’archivio di Simancas per incarico della Commissione Storica
dell’Accademia delle Scienze dell’Ungheria, v. I. Lukinich: ‘A Magyar Tud. Akadémia Történettudományi Bizottsága másolat- és kéziratgyűjteményének ismertetése’ [‘Presentazione della
356
Tibor Martí
nel 1890 un elenco delle copie di documenti precedenti al 1526, raccolti su
incarico della Commissione Storica dell’Accademia delle Scienze dell’Ungheria,
in questa lista non figura nessun documento con riferimento ungherese, precedente al 1514, fatto copiare a Simancas.29 L’archivio cancelleresco della dinastia
aragonese si trova presso l’archivio della Corona d’Aragona di Barcellona, e qui
la ricerca dal punto di vista ungherese era cominciata all’inizio del 20. secolo
da parte di Lajos Thallóczy, pubblicando la corrispondenza tra il governatore
dell’Ungheria János Hunyadi e re Alfonso V, relativa agli anni 1447–1448. In
questo volume sono stati raccolti i documenti relativi alla famiglia Frangepán
(1910).30 Lajos Thallóczy fu il primo anche a informarsi sui documenti con riferimento ungherese dell’Archivio Storico Nazionale di Madrid e della Biblioteca
Nazionale di Madrid, ma lo fece solo ormai pochi anni prima della sua morte,
nel 1912.
L’importanza dei documenti dell’archivio di Simancas venne ribadita da Fraknói già nel 19. secolo. Durante i suoi brevi viaggi di studio lui si concentrò
sul materiale documentario del periodo di Péter Pázmány (prima metà del Seicento) e non sulla serie del Patronato Real. Eppure in questo ultimo fondo, con
segnature attigue, si trovano i due documenti relativi a Beatrice d’Aragona: il
documento notarile contenente le fonti degli anni 1474–1475,31 e una trascrizione del 1516 del testamento, originalmente redatto nel 1508, della regina vedova
ritornata a Napoli.32
raccolta di copie e manoscritti della Commissione degli Studi Storici dell’Accademia Ungherese
delle Scienze’], Akadémiai Értesítő XLV, 1935: 18–19. Sulla storia della ricerca degli hungarica
in Spagna v. L. Barta: ‘A spanyol hungarika-kutatás története’ [‘La storia delle ricerche degli
hungarica in Spagna. Rivista degli Archivi’], Levéltári Szemle 39, 1989: 76–84.
29
L. Óváry: A Magyar Tudományos Akadémia történelmi bizottságának oklevélmásolatai. I. A
Mohácsi vész előtti okiratok kivonatai. [Copie dei diplomi della Commissione degli Studi Storici dell’Accademia Ungherese delle Scienze. I. Estratti dei documenti precedenti della disfatta di Mohács],
Budapest, 1890.
30
Á. Anderle: ‘Alfonso V, el Magnánimo and the Hungarian throne. Études sur la Région
Mediterranéenne’, Mediterrán tanulmányok 6, 1995: 17–28.
31
AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3.
32
AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 4. Il testamento di Beatrice d’Aragona (secondo la copia del
documento di Simancas) attende pure un’edizione, anche se i suoi dati sono in parte conosciuti.
Cfr. P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 246. La fonte si trova in microfilm all’Archivio Nazionale Ungherese, tra le copie fatte preparare dai documenti degli archivi spagnoli. MNL
OL Fondo Microfilm, microfilm n. 45229/5. 11 settembre 1508, testamento di Beatrice d’Aragona,
regina dell’Ungheria, in cui nomina suo erede universale il nipote Ferdinando d’Aragona, duca
di Calabria ed i figli di re Ferdinando di Sicilia, lasciando 50.000 ducati a Giovanna d’Aragona,
La dote di Beatrice d’Aragona
357
Il fondo Patronato Real dell’archivio di Simancas risulta una raccolta di documenti di primario interesse, legati a personaggi rilevanti, membri di case
regnanti (innanzitutto bolle e brevi papali, testamenti di sovrani e contratti
di matrimonio), costituita nel periodo della creazione stessa dell’archivio di
Simancas, alla metà del Cinquecento.33 La provenienza dei documenti conservati in questo fondo dell’archivio è quindi difficile o addirittura impossibile da
stabilire.34
I documenti rendono possibile puntualizzare i particolari delle ambascerie
tra Buda e Napoli nel periodo tra il maggio del 1474 e il settembre del 1476. I
documenti relativi al matrimonio sono delle copie e contengono diverse fonti: la
delega degli ambasciatori di Mattia, i giuramenti degli ambasciatori e le clausole
che rendono possibile la ricostruzione dell’iter che ha condotto all’accordo
matrimoniale, integrando i dati forniti da Albert Berzeviczy nella sua opera
fondamentale.
Per ricostruire l’andamento delle trattative dobbiamo studiare “incrociando”
le informazioni dei due gruppi di documenti (cioè quelli precedentemente individuati a Madrid e già pubblicati e quelli recentemente ritrovati e finora rimasti
sconosciuti). Il documento notarile custodito a Simancas rispecchia lo stato
delle trattative all’inizio di settembre del 1474 (includendo, però, anche la copia
di tre altri documenti compresi tra febbraio e maggio del 1475),35 corrisponde
regina della Sicilia [Traduzione coeva su pergamena di grande dimensioni.] Albert Berzeviczy,
nell’edizione italiana della sua biografia di Beatrice, osserva che non si conosce il testamento
di Beatrice, eppure i colleghi spagnoli e la bibliografia spagnola sembrano conoscerlo: Dolores
Carmen Morales Muñiz: ‘Beatriz de Aragón’, in: Real Academia de la Historia, Diccionario
Biográfico electrónico (in rete: https://dbe.rah.es/biografias/8255/beatriz-de-aragon; consultato il
17 gennaio 2021).
33
I documenti del fondo Patronato Real sono stati studiati inizialmente da Dénes Szittyay,
invitato da Kunó Klebelsberg nel 1920 ad elaborare i documenti con riferimento ungherese
nell’archivio di Simancas, Cfr. A. Molnár: ‘A római magyar iskola. Magyar jezsuita történészek
Rómában 1950 után’ [‘La scuola ungherese a Roma. Storici gesuiti ungheresi a Roma dopo il
1950’], in: A. Molnár, Cs. Szilágyi & I. Zombori (a cura di): Historicus Societatis Jesu. Szilas László
emlékkönyv [Historicus Societatis Jesu. Libro di memoria di László Szilas], Budapest, 2007: 48
(METEM Könyvek 62).
34
Sussidio archivistico: Patronato Real (834–1851). Edición completa. I–II. Revisión e Índices por
Amalia Prieto. Valladolid, 1946–1949. II. (= AGS Catálogo V.)
35
Il documento contiene, oltre al documento notarile del 3 (11) settembre 1474 (AGS Patronato
Real. Legajo 29. Nr. 3. ff. 1r -5v .) anche la copia di altri tre documenti del 1475: 1. Breslavia,
1475.02.16. Mattia I conferma il contratto matrimoniale (ivi, ff. 5v –6v .); 2. Brünn, 1475.04.01.
Lettera credenziale da parte di Mattia I a Francesco Fontana con incarico di trattare sulla dote
[copia]; 3. Napoli, Castel Nuovo, 1475.05.29. [05.24.?] Documento di Ferrante I, re di Napoli sulla
dote di Beatrice d’Aragona (ivi, ff. 6v –8r .).
358
Tibor Martí
cioè ad una situazione che precede di due anni la versione finale, confermata da
ambedue le parti. D’altro canto il materiale documentario ritrovato a Madrid,
originario di Valencia, comprende il contratto matrimoniale accettato da Mattia
nel dicembre del 1476 e precedentemente accettato, nel settembre dello stesso
anno, anche da parte di re Ferrante. Questa copia del contratto deve essere stata
preparata evidentemente dopo il controllo e la presa in consegna della dote di
Beatrice, avvenuta a Napoli nel settembre del 1476, siccome comprende anche il
documento di conferma datato da Buda 19 dicembre 1476.36 In ambedue i gruppi
di documenti troviamo parti che si riferiscono all’alleanza e quelle posteriori,
riferentisi al contratto di matrimonio. Nella seguente tabella ho riassunto i dati
principali:
Dati principali dei documenti di Spagna sulle ambascerie di Mattia e Ferrante,
nonché sui preparativi e sulla stipulazione del matrimonio.
Data del documento
Breve regesto
Segnatura
1.
Buda, 1474.05.18
Lettera credenziale
di Mattia ai suoi
ambasciatori inviati
a Napoli, Miklós
Alsólindvai Bánfi e
Francesco Fontana
per la stipulazione
del contratto
d’alleanza.
Madrid, AHN
Órdenes Militares.
Carpeta 1007–1. Nr.
8. (Edizione: TSz
2017/3. 495–501. 1a.)
2.
Buda, 1474.05.18
Lettera credenziale
di Mattia a Miklós
Alsólindvai Bánfi e
Francesco Fontana
per la stipulazione
del contratto di
matrimonio.
Simancas, AGS
Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3.
(Edizione: TSz
2021/4. 620. 1.)
36
T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 517–518. documento 3c. Nel caso delle fonti sui matrimoni degli
Sforza (di Milano) si può osservare una prassi simile: gli atti, consistenti in parte di documenti di
cancelleria e in parte notarili, sono stati riuniti in fascicoli (ed i documenti precedenti venivano
ricopiati nel diploma redatto attualmente), così si può seguire tutto il processo delle trattative
matrimoniali. Cfr. C. Santoro: ‘Un registro di doti Sforzesche Milanoʼ, Archivio Storico Lombardo
80, 1954: 134. La preziosa pubblicazione mi è stata fatta notare da Ágnes Szabó.
La dote di Beatrice d’Aragona
359
Data del documento
Breve regesto
Segnatura
3.
Napoli, Castel
Nuovo, 1474.09.03
Contratto di alleanza
stipulato dagli
ambasciatori di
Mattia con
Ferdinando
(Ferrante) I, re di
Napoli e di Sicilia il 3
settembre 1474;
diploma notarile
relativo.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–1. Nr. 8
(Edizione: TSz
2017/3. 497–501. 1b.)
4.
Napoli, Castel
Nuovo, 1474.09.03
(e 09.11)
Diploma notarile
relativo al contratto
di matrimonio (e il
fidanzamento) tra
Beatrice d’Aragona e
Mattia I.
AGS Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3.
(Edizione: TSz
2021/4. 621–627. 2.)
5.
Breslavia, 1475.02.16
Mattia I conferma il
contratto di
matrimonio.
AGS Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3. Fol.
5v –6v [Copia.]
(Edizione: TSz
2021/4. 627–628. 3.)
6.
Ratibor, 1475.03.08
Lettera credenziale
per gli ambasciatori
inviati da Mattia a
Napoli al fine di
contrarre il
matrimonio.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–1. Nr. 9.
(Edizione: TSz
2017/3. 501–502. 2.)
7.
Brünn (Brno),
1475.04.01
Lettera credenziale
di Mattia a Francesco
Fontana in cui
quest’ultimo viene
incaricato delle
trattative sulla dote.
AGS Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3.
(Edizione: TSz
2021/4. 628–629. 4.)
8.
Napoli, Castel
Nuovo, 1475.05.29
(05.24?)
Diploma di
Ferdinando
(Ferrante) I, re di
Napoli sulla dote di
Beatrice d’Aragona.
AGS Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3. Fol.
6v –8r . [Copia.]
(Edizione: TSz
2021/4. 629–630. 5.)
360
Tibor Martí
Data del documento
Breve regesto
Segnatura
9.
Buda, 1476.06.05
Mattia, re d’Ungheria
e di Boemia incarica
il vescovo di
Breslavia, Rudolf von
Rüdesheim, il
vescovo eletto di
Várad, János Filipec,
il voivoda della
Transilvania János
Dengelegi Pongrác e
il conte János
Szentgyörgyi, di
agire in qualità di
suoi ambasciatori in
merito alla dote della
principessa Beatrice
di Napoli.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–2. Nr. 6.
(Edizione: TSz
2017/3. 503–504. 3a.)
10.
Napoli, Castel
Nuovo, 1476.09.16
Gli ambasciatori di
Mattia prendono in
consegna davanti al
notaio la dote della
principessa Beatrice,
assieme
all’inventario dei
gioielli e beni mobili
della principessa.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–2. Nr. 6.
(Edizione: TSz
2017/3. 504–517. 3b.)
11.
Buda, 1476.12.19
Mattia conferma il
documento notarile
sulla dote di Beatrice,
datata 16 settembre
1476.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–2. Nr. 6.
(Edizione: TSz
2017/3. 517–518. 3c.)
12.
Posonio, 1482.08.08
Re Mattia concede a
sua moglie, regina
Beatrice, di
raccogliere le tasse
regie sui
possedimenti attuali
e futuri per i propri
fini.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–2. Nr. 14. (Kiad.
TSz 2017/3. 519. 4.
sz.)
La dote di Beatrice d’Aragona
13.
361
Data del documento
Breve regesto
Segnatura
Andria, 1499.03.25
Federico IV, re di
Napoli (1496–1501)
dona alla sorella
Beatrice d’Aragona
la città di Salerno col
castello e con il
territorio ad essa
appartenente.
AHN Órdenes
Militares. Carpeta
1007–1. Nr. 1.
(Edizione: TSz
2017/3. 520–523. 5.)
(TSz 2017/3 = T. Martí: ‘Oklevelek Aragóniai Beatrix hagyatékából. Magyar vonatkozású források a spanyol katonai lovagrendek iratanyagában’, Történelmi Szemle 59,
2017: 491–523; TSz 2021/4 = T. Martí: ‘Aragóniai Beatrix hozománya: Újabb források
Mátyás únápolyi kapcsolatainak történetéhez (1474–1476)’, Történelmi Szemle 63, 2021:
605–630.)
I diplomatici di Mattia e di Ferrante d’Aragona inviati gli uni nella
corte dell’altro, alla luce delle fonti recentemente scoperte
(1474–1476)
Le carriere dei diplomatici che Mattia e Ferrante avevano inviato l’uno nelle
corti dell’altro sono state riassunte recentemente, dopo gli studi fondamentali
di Fraknói, da Tamás Fedeles, concentrandosi sulle ambascerie presso la Santa
Sede.37 Albert Berzeviczy ha descritto i vari progetti di matrimonio, sorti dalle
varie corti sovrane, relativamente a Mattia, a partire dalla morte della prima
moglie, Caterina Poděbrady, avvenuta il 23 febbraio 1464,38 abbozzando anche
i passi diplomatici compiuti da Mattia, con speciale riguardo all’evoluzione delle
relazioni con Napoli. Le fonti recentemente scoperte non fanno che alludere alle
trattative precedenti, risalenti a diversi anni addietro. Prima della primavera
del 1474 per diversi anni non ci si era occupati del progetto di matrimonio.39
37
V. Fraknói: Mátyás király magyar diplomatái [I diplomatici ungheresi di Mattia Corvino],
Budapest, 1898; T. Fedeles: ‘The Diplomatic Representation of the Kingdom of Hungary to the
Holy See (1458–1526)ʼ, in P. Tusor & M. Sanfilippo (a cura di): Gli agenti presso la Santa Sede delle
comunità e degli stati stranieri I. secoli XV–XVIII, Viterbo: MTA-PPKE Fraknói Vilmos Római
Történeti Kutatócsoport, Sette Citta, 2020: 17–40.
38
N. C. Tóth: ‘Mátyás király első feleségeʼ [‘La prima moglie di Mattia Corvino’], in: K. Szovák &
A. Zsoldos (a cura di): Királynék a középkori Magyarországon és Európában [Regine nell’Ungheria
e nell’Europa medievali], Székesfehérvár, 2019: 131 (Közlemények Székesfehérvár történetéből).
39
“Dei negoziati le prime tracce risalgono al 1465, quando si parlava probabilmente di Eleonora;
nel 1468 si riprendono le trattative ed ora entra Beatrice in primo piano. La prima ambasceria
362
Tibor Martí
Il motivo, secondo la lettera credenziale rilasciata al conte di Posonio Miklós
Bánfi40 e al dottore Francesco Fontana41 sul contratto di matrimonio (Buda,
1474.05.18),42 è da ricercare nell’occupazione bellica di Mattia.43 Alle trattative
precedenti (interrotte) avevano preso parte, oltre a György Handó44 e Miklós
ungherese si reca a Napoli nel 1469, ma l’accordo viene concluso solo nel 1474; Mattia annuncia
pubblicamente il suo fidanzamento a Breslavia; Beatrice si fa chiamare regina d’Ungheria a
partire dall’estate del 1475”. È così che Albert Berzeviczy riassunse, alla fine della sua biografia
di Beatrice (nell’indice del volume), i nodi più importanti delle trattative sul matrimonio (A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 677–678). Berzeviczy utilizzava anche storiografi e cronache
napoletani, tra cui Michele Vecchioni: Notizie di Eleonora e di Beatrice di Aragona. Napoli, 1790.
In base a quest’opera scrive: “Vecchioni […] racconta la stipulazione dell’accordo sul matrimonio
tra Mattia e Beatrice tra gli eventi del 1473, precedentemenre al matrimonio di Eleonora; (Dec. IV.
149. l.) ma questo è solo una piccola imprecisione nella cronologia del racconto di Bonfini.
L’annuncio avvenuto a Vratislavia ebbe luogo, come si sa, nell’ottobre del 1474, e non rimane
traccia di un accordo sul matrimonio tra i due re prima di questa data, nell’anno 1473” (ibid.: 105,
nota n. 4).
40
V. Fraknói: ‘Mátyás király magyar diplomatái. VII. közlemény. X. Bánfi Miklós’, Századok 33,
1899: 1–3; N. C. Tóth, R. Horváth, T. Neumann & T. Pálosfalvi (a cura di): Magyarország világi
archontológiája 1458–1526, I., Főpapok és bárók. [Archontologia secolare d’Ungheria 1458–1526. I.
Prelati e baroni 1458–1526], Budapest, 2017: 216 (Magyar Történelmi Emlékek. Adattárak =Arch.
I.).
41
M. N. Covini: ‘Francesco Fontanaʼ. Dizionario Biografico degli Italiani 48, 1997: 649–651. Sugli
incarichi diplomatici posteriori di Fontana v. I. Kristóf: ‘Gabriele Rangone (Veronai Gábor) pályája (1410/20–1486)ʼ [‘La carriera di Gabriele Rangone da Verona (1410/20–1486)’], in T. Fedeles
(a cura di): Mátyás király és az Egyház. [Mattia Corvino e la Chiesa], Pécs, 2019: 66, 77 (Thesaurus
Historiae Ecclesiasticae in Universitate Quinqueecclesiensi 10).
42
Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11.), AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3 fol. 1r–5v.
[Copia].
43
“… quidem matrimonium succedentibus tunc bellis in dicto Regno Hungarie ad effectum
perduci non valuit, nunc vero quiescentibus bellis in dicto Regno Hungarie, et eo iam parta
victoria paccato et in tranquilitate firmato iterum, quo amicitia, amor et benivolentia, quibus dicti
serenissimi domini reges mutuo devincti sunt fueruntque semper cum quadam eorum animorum
conformitate firmiori, stabiliori atque arctiori nexu et vinculo corroboretur denuntiaturque,
de contrahendo et firmando dictum matrimonium inter ipsas partes tractatum et conventum
extitit…”
44
Handó, György, preposito maggiore di Pécs (1465–1480), arcivescovo di Kalocsa-Bács (1478–
1480). Arch. I. 130.; N. Mátyus: ‘Vespasiano da Bisticci és két György, Handó és Kosztolányi
(1467) [‘Vespasiano da Bisticci ed i due Giorgio: Handó e Kosztolányi (1467)’], in Gy. Domokos,
N. Mátyus & A. Nuzzo (a cura di): Vestigia I. Mohács előtti magyar források olasz könyvtárakban
[Vestigia I. Fonti ungheresi precedenti del 1526 in biblioteche italiane], Piliscsaba, 2015: 113–123;
D. Pócs: ‘Handó György könyvtáraʼ [‘La biblioteca di György Handó’], Ars Hungarica 42, 2016:
309–338.
La dote di Beatrice d’Aragona
363
Bánfi, anche Albert Vetési, vescovo di Veszprém45 e János Laki Túz, bano della
Dalmazia, Croazia e Slavonia.46 Si può considerare come il risultato dei loro
viaggi il fatto che, dopo un’interruzione di alcuni anni, le parti sono potute
ritornare alle trattative di matrimonio, portando avanti i colloqui precedenti.
Durante le trattative, che abbracciarono quasi dieci anni, sorsero nomi di
diverse persone candidate (tra cui anche quello dell’altra figlia di re Ferrante,
Eleonora (1450–1493),47 però i progetti di un possibile matrimonio si dimostrarono vani in tutti i casi. Fraknói, e poi, partendo dalle sue supposizioni
anche Berzeviczy, hanno considerato quanto segue: “Vi è motivo di supporre
che i negoziati fossero ripresi fino dal settembre 1468 in occasione dell’arrivo
dell’ambasciatore di Ferrante alla corte di Mattia e che continuassero durante
la primavera del 1469, quando il re di Ungheria inviò a Napoli Giorgio Handó,
priore di Pécs, e Nicola Bánfi di Lindva, gran siniscalco e conte di Pozsony
(Posonio)” quando anche il Consiglio di Venezia era a conoscenza di un certo
accordo tra Mattia e il re di Napoli.48
Sebbene una delle biografie di Handó menzioni le sue trattative napoletane
sul matrimonio del re,49 in verità se queste trattative si fossero svolte davvero, le
loro date sarebbero incerte, siccome (come vedremo più avanti) nella primavera
del 1474 e più tardi Handó non faceva più parte della delegazione inviata a
45
Vetési, Albert, vescovo di Veszprém. Arch. I. 53.; P. Rainer: ‘Vetési Albert veszprémi püspökʼ
[’Albert Vetési, vescovo di Veszprémʼ], in Z. Törőcsik & A. Uzsoki (a cura di): A Veszprém megyei
Múzeumok Közleményei 18 [Bollettino dei Musei della Provincia di Veszprém 18], Veszprém, 1987:
227–232.
46
Laki Túz, János cameriere regio, bano di Dalmazia, Croazia e Schiavonia. Arch. I. 108. Sull’importante ruolo dimplomatico di Fontana avevano scritto già Vilmos Fraknói e Albert Berzeviczy.
Cfr. V. Fraknói: Mátyás király diplomatái…, op.cit.: 108, A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.:
110, 136, nota 5, 180. Nell’opera citata, Santoro afferma che il dottor Fontana aveva avuto
l’incarico da Mattia el 1475, assieme a “Alberto Latesi” [Vetési Albert] e “Giovanni Lakimano”
[Laki Túz János], per svolgere dei negoziati con Venezia ed il papato oltre alla sua altra missione,
quella volta ad ottenere un accordo sul matrimonio con Beatrice. Fontana aveva svolto una
missione diplomatica anche a Milano dove il 17 gennaio 1487 gli fu cincessa la cittadinanza.
Morì in questa città all’età di 70 anni, il 13 novembre 1504. Santoro: Un registro, 143. nota 3.
L’ambasciata di Albert Vetési e János Laki Túz János nell’agosto del 1474 viene menzionata da
T. Neumann: A Szapolyai család oklevéltára. I. Levelek és oklevelek (1458–1526) [L’archivio della
famiglia Szapolyai. I. Lettere e diplomi (1458–1526)], Budapest, 2012: 138–139 (Magyar Történelmi
Emlékek. Okmánytárak).
47
Okiratok 7–9.
48
A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 107; I. Tringli: ‘Mátyás király külpolitikája és
diplomatáiʼ [‘La politica estera ed i diplomatici del re Mattia Corvino’] Művelődés 63, 2010: 19–22.
49
N. Mátyus: ‘Vespasiano…ʼ, op.cit.: 120.
364
Tibor Martí
Napoli e, recentemente, sono sorti dei dubbi perfino sul presunto viaggio del
1469.50
Il biografo ungherese di Beatrice d’Aragona attribuisce, nel rafforzamento
delle relazioni tra Ungheria e Napoli e nella realizzazione del progetto di matrimonio, un ruolo eminente al vescovo di Ferrara e legato pontificio Lorenzo
Roverella,51 il quale nel 1469 si era recato, tra l’altro, alla corte di Mattia per
rappacificare il re con l’imperatore e per prendere dei provvedimenti contro gli
utraquisti.52 Nella preparazione del progetto di matrimonio possono aver avuto
un loro ruolo anche due altri personaggi: da parte napoletana l’arcivescovo di
Bari, Antonio d’Ayello [di Taranto], il quale aveva accompagnato Mattia alla sua
campagna in Slesia53 e, quindi, poteva informare senz’alcun dubbio il sovrano
di Napoli e la sua corte sulla persona di Mattia e sulle condizioni della corte
ungherese; inoltre Ugoletto Facino54 che, in qualità di ambasciatore ferrarese,
si trovava a Napoli nel 1473.55
L’ambasceria, avente lo scopo diretto di preparare il contratto di matrimonio,
secondo la lettera credenziale di Mattia datata 18 maggio 1474,56 ebbe luogo
nella primavera dello stesso anno. I suoi ambasciatori, il conte di Posonio Miklós Bánfi e il dottore Francesco Fontana, avevano come compitodi realizzare
da una parte un contratto di alleanza con re Ferrante di Napoli, dall’altra di
stipulare il vero e proprio contratto di matrimonio. Nel materiale dei documenti
di Simancas si trova la lettera credenziale, datata lo stesso giorno, in cui Mattia
incarica gli stessi ambasciatori, Bánfi e Fontana, a stipulare anche quest’ultimo
contratto.57 In ambedue i casi le lettere credenziali figurano trascritte nei con50
D. Pócs: ‘Handó György…ʼ, op.cit.: 328.
G. Liboni: ‘Lorenzo Roverellaʼ, Dizionario Biografico degli Italiani 88, 2017: 189–194; «Beatissime Pater». Documenti relativi alle diocesi del Ducato di Milano. I “registra supplicationum” di Pio
II (1458–1464), a cura di E. Canobbio & B. Del Bo, Milano, 2007 (Materiali di storia ecclesiastica
lombarda [secoli XIV–XVI] 9) XXXVIII, 114. j.
52
A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 108.; P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ op.cit.:
231–232.
53
G. Musca: ‘Antonio Aielloʼ. Dizionario Biografico degli Italiani 1, 1960: 517–518.
54
M. Catalano: ‘Vita di Ludovico Ariosto. I–II. Genève, 1930–1931.ʼ (Biblioteca dell’«Archivum
Romanicum») vol. II. 113, 114, 121, 270.
55
Okiratok 16–18. 1475.05.19. Cfr. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 108.; P. E. Kovács:
‘Magyarország és Nápoly…ʼ, op.cit.: 231–233.
56
T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 495–496. documento 1a.
57
Buda, 1474.05.18. Inserito nel diploma seguente: Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03. (e 09.11.).
AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3.
51
La dote di Beatrice d’Aragona
365
tratti scritti il 3 settembre. Vedendo i due documenti risulta chiaro che i due
contratti erano considerati due cause separate e, proprio per questo motivo,
vennero preparate due lettere credenziali.58
Péter E. Kovács ha già avanzato l’ipotesi che, contemporaneamente alla contrazione del matrimonio, fosse avvenuta anche la stipulazione di un accordo di
alleanza,59 eppure il contenuto preciso dei due contratti si può conoscere esclusivamente dalle fonti recentemente scoperte in Spagna. L’alleanza confermata
comprendeva un impegno vicendevole a difendersi e, inoltre, un accordo nel
caso in cui una delle parti avesse iniziato una guerra (in questo caso l’aiuto da
parte dell’altra parte era legato a certe condizioni ed ulteriori accordi). In merito
alla difesa dai Turchi, ambedue le parti si impegnarono a prepararsi ad una
campagna, assieme al papa e alle altre potenze dell’Italia, nell’ambito della quale
si sarebbe dovuta raccogliere la somma più alta possibile per il pagamento dei
soldati. In tal modo sarebbero stati pronti ad affrontare i Turchi con l’esercito
più grande possibile. Gli ambasciatori avevano promesso che Mattia avrebbe
confermato il contratto di alleanza entro sei mesi e che, tale documento di
ratifica, sarebbe stato mandato a re Ferrante in forma pubblica e confermata.60
Questo documento stabiliva l’alleanza che re Mattia (ma già i suoi predecessori, specialmente il padre, János Hunyadi) aveva stretto, riferendosi in particolare ai legami di amicizia verso la Sicilia, stabilendo che questo legame era
in vigore anche con il re attuale, Ferrante: “al fine di poter meglio difendere
la Respublica Christiana, intende non solo conservare l’amicizia tra gli antichi
re, ma stringerla ancora più forte.” Il contratto fu stipulato a Napoli e venne
58
Il contratto di alleanza di Ferrante d’Aragona del 3 settembre 1474 (T. Martí: ‘Oklevelek…’,
op.cit.: 497–501, documento 1b) nomina solo Bánfi e Fontana. Sembra logico considerare solo
questi due ambasciatori. Allo stesso tempo Berzeviczy, chiaramente in base ad altre fonti, ha
nominato Handó, le cui trattative napoletane vengono menzionate da Vespasiano da Bisticci
(nella biografia dell’arcivescovo György Kosztolányi). Berzeviczy comunque ha notato che il
nome di Handó non compare nelle fonti e lettere credenziali posteriori. A. Berzeviczy: Beatrix
királyné…, op.cit.: 136, nota 5: “[Bánfi e Fontana] sono venuti a Napoli nel 1474, mentre nel
1475 sono arrivati ormai altri ambasciatori; se fossero stati presenti, certamente i loro nomi non
potrebbero mancare sul documento di presa in consegna della dote e sull’elenco di Ferrara. È
comunque possibile che ci sia stato Francesco Fontana, il quale nella primavera del 1476 ebbe un
nuovo incarico a Napoli (Dipl. Eml. II. (Budapest, 1877), 347.).”
59
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ, op.cit.: 230–231.
60
Questo è il regesto da me scritto in merito alla parte della fonte pubblicata nel 2017. V. T. Martí:
‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 498–499, documento 1b.
366
Tibor Martí
ratificato da re Ferrante il 3 settembre 1474.61 Nella stessa data è stato stilato
anche il documento contenente il contratto di matrimonio. Siccome il 3 settembre la stipulazione del contratto avvenne davanti a testimoni, il documento
doveva essere scritto in quel medesimo luogo. L’11 settembre, sempre davanti
a testimoni, venne recitato il testo formale necessario, da una parte dagli ambasciatori dello sposo e dall’altra da parte di Beatrice, ma non ne venne redatto un
documento a parte, questo fu scritto sul contratto.62 Il contratto di matrimonio,
in questo modo, entrò in vigore secondo la concezione del documento notarile
di Napoli, per cui l’accordo sul matrimonio e, ai sensi del documento, lo stesso
matrimonio, venne messo in atto: ecco perché nella titolazione di Beatrice si
adopera ormai il titolo di regina d’Ungheria.63
La stipulazione del contratto (dei contratti) risultò una notizia importante
che giunse, attraverso vari canali, all’importante alleato di Napoli, la corte
sforzesca di Milano. Il sovrano napoletano annunciò in una lettera al duca Gian
Galeazzo Sforza (1444–1476) il contratto matrimoniale già il giorno seguente,
il 4 settembre 1474.64 Sul viaggio napoletano degli ambasciatori ungheresi e
sulla stipulazione del contratto matrimoniale stese una relazione anche Francesco Maletta, ambasciatore del duca di Milano a Napoli,65 menzionando e
nominando il conte di Posonio Miklós Bánfi e il dottor Francesco Fontana.
L’informazione preziosa che si può ricavare da questa fonte è che si giunse ad un
accordo sul valore della dote di Beatrice già in questa data (il valore della dote,
corrispondente a 200.000 ducati, viene infatti menzionato nella lettera). Siamo
informati, sempre grazie alla lettera di Maletta, che re Ferrante conferì ad uno
61
Ibid.: 497–501, documento 1b. Gli ambasciatori di Mattia, prima dell’accordo realizzato a
Napoli all’inizio di settembre del 1474, probabilmente avevano svolto anche un’altra missione.
Sarebbe logico supporre che gli ambasciatori mandati a Napoli si siano fermati a Roma, come
avvenuto l’anno successivo, nel 1475 (sull’ambasciata nominata senza nomi v. L. Óváry: A
Magyar Tudományos Akadémia, I. n. 521.), ma ciò non è ancora una prova. Come persona inviata
a Roma nel tardo autunno del 1474, sarebbe palese pensare al vescovo Vetési (anche in base
ai documenti dei Szapolyai), eppure è arrivato a Roma assieme a Osvát Szentlászlói [Túz] solo
nel febbraio del 1475. V. Fraknói: Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a római Szentszékkel [Rapporti ecclesiastici e politici d’Ungheria con la Santa Sede romana], I–III, Budapest, 1901:
Vol. II. (1418–1526), 146–147. Fraknói menziona come ambasciatori, per l’anno 1474, i canonici
Miklós Mohorai e Mihály Szántai, ma senza indicare date più precise.
62
Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11.), AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3.
63
A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110; P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…ʼ, op.cit.:
233.
64
Archivio di Stato di Milano, Fondo Sforzesco, Potenze Estere, Napoli, cartella 226, fol. 145.
65
M. N. Covini: ‘Francesco Malettaʼ, Dizionario Biografico degli Italiani 68, 2007: 162–164.
La dote di Beatrice d’Aragona
367
degli ambasciatori del sovrano ungherese, Miklós Bánfi, l’Ordine dell’Ermellino
da lui fondato, che il re di Napoli intendeva inviare a Mattia.66 La notizia sui
negoziati del matrimonio tra Beatrice e Mattia non rimase senza eco: il duca di
Milano, nella sua risposta scritta al suo ambascitore, espresse la sua gioia.67
Secondo la disposizione del documento napoletano Mattia doveva ratificare il
contratto entro dieci mesi. I tempi furono rispettati, come risulta dal documento
inserito nella copia del contratto di matrimonio, recentemente scoperta a Madrid: Mattia confermò il contratto di matrimonio con il suo diploma, rilasciato
a Buda il 5 giugno 1476.68
Il progetto delle nozze fu messo per iscritto già nel settembre del 1474, nel
contratto matrimoniale e, probabilmente, era già stato raggiunto in precedenza
un accordo a voce. A questo accordo preliminare fa allusione anche Albert
Berzeviczy, in base alle relazioni degli ambasciatori ferraresi e veneziani datati
maggio e giugno del 1474, le quali descrivono il matrimonio “per verba de futuro”.69 Berzeviczy (pur non conoscendo i contratti di matrimonio del 3 e dell’11
settembre del 1474, ma basandosi sui lavori di László Szalay e di Vilmos Fraknói)
fa riferimento alla lettera di re Ferrante del 5 settembre,70 in cui il sovrano di
Napoli “informò Mattia che, accettando la sua richiesta, gli concedeva la mano
della figlia”.71
Dopo che gli ambasciatori, Miklós Bánfi e Francesco Fontana, nel settembre
o forse nei primi giorni di ottobre del 1474, ritornarono a Napoli, Mattia or66
Francesco Maletta a Galeazzo Maria Sforza, Napoli, 4 settembre 1474. ASMi SPE, Napoli, 226,
126/127–128. Maletta, nella relazione da lui stilata il mese successivo, scritta il 28 ottobre 1474,
ha menzionato che: “Mattìa Corvino e Carlo il Temerario sono stati insigniti da re Ferrante
dell’Ordine dell’Ermellino: l’onorificenza è stata inviata in Ungheria tramite gli ambasciatori
del re Mattìa, al quale sono stati donati anche due bellissimi puledri bardati secondo l’uso
napoletano.” Dalla relazione dell’ambasciatore milanese risulta chiaro che re Ferrante abbia
mandato l’Ordine dell’Ermellino tramite gli ambasciatori del sovrano ungherese, assieme a due
bellissimi corsieri con finimenti. ASMi SPE, Napoli, 226, 60. Originale autografo.
67
“Havemo havuto una tua lettera del quattro del presente, per la qual ce avisi del parentato
concluso tra Maestà del signor re et lo re de Hungaria per madona Beatrice, lo qual tanto ne è
piaciuto e tanta consolatione ne havemo recevuto.” Galeazzo Maria Sforza a Francesco Maletta,
Lomellino, 9. IX. 1474, ASMi SPE, Napoli, 226, 138.
68
T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 503–504. documento 3a. Lettera credenziale di Mattia ai suoi
ambasciatori, il vescovo di Breslavia, Rudolf von Rüdesheim, il vescovo di Várad, János Filipec,
il voivoda della Transilvania, Pongrác Dengelegi e conte János Szentgyörgyi.
69
A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110.
70
La lettera, datata 5 settembre 1474, non è pubblicata nella raccolta di documenti relativi alla
vita di Beatrice (cfr. Okiratok).
71
A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 109.
368
Tibor Martí
ganizzò una festività nella città assediata di Breslavia, annunciando l’accordo
di matrimonio.72 “All’inizio del seguente anno, nel 1475, la domenica dopo la
Purificazione, Mattia ricevette a Breslavia gli ambasciatori del re di Napoli e
della Repubblica veneta, i quali, guidati dall’arcivescovo di Bari, gli rimisero da
parte della fidanzata ricchi doni, fra cui degli abiti ornati in modo principesco,
e indossati dal re per la prima volta nella chiesa di Santa Elisabetta. Egli poi
organizzò in onore degli ospiti grandi feste accompagnate da corse e caccie.”73
Gli eventi di Breslavia sono descritti anche da altre fonti.74 Quasi contemporaneamente a questi eventi, all’inizio del 1475, si verificò il viaggio di re Ferrante
a Roma; “Ferrante si recò a Roma per presentare il suo ossequio al papa in
occasione dell’anno giubilare, che allora avveniva ogni venticinque anni; in tale
occasione, tra cortesie e doni, discusse col pontefice sulla presa di posizione
contro l’alleanza di Milano e Venezia e sulla guerra antiturca.”75 Il re di Napoli,
ormai alleato di Mattia a Roma, cercò di ottenere un sostegno materiale per la
guerra contro gli Ottomani. Al centro delle sue trattative, secondo la releazione
dell’ambasciatore milanese Francesco Maletta, c’era soprattutto il sostegno da
procurare a Mattia.76
Il documento seguente nella cronologia del fondo di Simancas è il già menzionato diploma, rilasciato a Breslavia da parte di Mattia il 16 febbraio 1475.77
72
“Il giorno 30 ottobre dello stesso anno, nella città di Breslavia, assediata dalle truppe del re
boemo e del re polacco, Mattia fece accendere fuochi di gioia…” (Ivi, 105, nota 5); E. Kovács:
‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 233. Cfr. P. Eschenloer: Geschichte der Stadt Breslau, Hrsg. v.
Gunhild Roth, Bd. II, Münster – New York – München – Berlin: Waxmann, 2003: 954 (Quellen
und Darstellungen zur Schlesischen Geschichte 29).
73
Berzeviczy: Beatrix királyné, op.cit.: 109–110.
74
Due relazioni di ambasciatori mi sono state fatte notare da Bence Péterfi, partendo da un dato
avuto da Dániel Bácsatyai: “Oratio ad Mathiam regem Hungariae super nuptiis cum filia regis
Neopolitani habita die II. mensis Februarii anno 1475to Wratislavie in ecclesia Sancte Elizabeth
in media sollemnitate celebrationis misse maioris…” Universitätsbibliothek Leipzig. Ms. 1674. ff.
48r –49r , “Ex alia epistola de eaque super nuptiali materia et assensu memoriali doctor Favianus
canonicus Wratislaviensis”. ibid.: ff. 49r –50r (https://digital.ub.uni-leipzig.de/mirador/index.php/
#7c2034f8--5f90--4b82--8899--17543f6b523d; consultato l’11 novembre 2021).
75
A. Berzeviczy: Aragóniai Beatrix…, op.cit.
76
“Ferrante d’Aragona avrebbe richiesto al papa, ai fiorentini e ai veneziani di raccogliere un
sussidio per il re d’Ungheria contro il Turco, ma gli alleati temono che egli intenda solo favorire
di denaro il genero Mattia Corvino.” Francesco Maletta a Galeazzo Maria Sforza, Napoli, 15
dicembre 1474. ASMi SPE, Napoli, 226, 120–121. Originale autografo.
77
Mattia I conferma il contratto matrimoniale: Breslavia, 1475.02.16. AGS Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3. ff 5v–6v [Copia].
La dote di Beatrice d’Aragona
369
Ne siamo a conoscenza grazie al documento notarile di Napoli in cui venne
inserito il diploma del sovrano ungherese, in cui Mattia aveva confermato il
contratto matrimoniale.78 Secondo le disposizioni del diploma il contratto, stipulato tramite gli ambasciatori, venne ratificato da Mattia stesso. In questo documento non si parlava ancora della dote, i negoziati ulteriori erano incentrati
a raggiungere un accordo proprio su questo punto.
Un mese dopo questa data Mattia emanò la lettera credenziale ai suoi ambasciatori: ai due che in quel momento svolgevano delle trattative a Roma,79 il
vescovo di Veszprém, Albert Vetési e il bano della Schiavonia, János Laki Túz,
nonché a Francesco Fontana, che sostava presso la sorte ungherese (Ratibor, 8
marzo 1475). In questo documento gli ambasciatori ricevono l’incarico di stipulare (in realtà di preparare) il contratto matrimoniale.80 Nel documento viene
menzionato il fatto che la lettera sui doni nuziali e sul contratto, consegnatagli
precedentemente da Miklós Bánfi e Francesco Fontana, fu ratificata da Mattia
con il suo sigillo pendente d’oro. La copia originale di questo documento si
trova tra le fonti di Valencia.81 La bibliografia specifica precedente ipotizzava,
fino a questo momento, che la missione degli ambasciatori a Napoli nel giugno
del 1475 aveva come scopo quello di trovare l’accordo sulla dote,82 eppure ciò
avvenne molto prima. Come accennato in precedenza, già in occasione della
stipulazione del contratto, nel settembre del 1474, si era parlato della grandezza
della dote, come scrisse Francesco Maletta nella sua relazione inviata a Milano.
La stessa persona un mese più tardi, il 17 ottobre 1474, comunicò informazioni
ulteriori al duca di Milano circa il negoziato intorno alla dote di Beatrice.83
78
Ai sensi del documento dell’inizio di settembre del 1474, Mattia Hunyadi doveva confermare
il contratto entro sei mesi.
79
V. Fraknói: Magyarország egyházi összeköttetései…, op.cit.: vol. II, 146–147.
80
T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 501–502, documento 2. Ratibor, 1475.03.08.
81
Ivi.
82
“Gli ambasciatori di Mattia, il vescovo di Veszprém Albert Vetési, il bano di Schiavonia János
Laki Túz e Francesco Fontana giunsero a Napoli il 20 giugno 1475. Il loro compito fu contrarre
a voce il matrimonio. Tre giorni dopo il loro arrivo Ferrante d’Aragona li ricevette nella Sala
Grande del Castel Nuovo, alla presenza degli ambasciatori veneziani e milanesi, dove si misero
d’accordo sui particolari del matrimonio. Probabilmente fu allora che trovarono l’accordo anche
sulla dote. Beatrice a partire da quel giorno usava ormai il titolo di regina d’Ungheria.” E. Kovács:
‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 233, cfr. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit: 110.
83
Francesco Maletta a Galeazzo Maria Sforza, Napoli, 17 ottobre 1474: “Mattia Corvino aveva
richiesto al re Ferrante, attraverso il fu vescovo di Ferrara, autore della pratica, che la dote di Beatrice ammontasse a 200.000 ducati d’oro: tuttavia, il re di Napoli intende versare 200.000 ducati
aragonesi di carlini, che, al cambio, corrisponderebbero a 175.000 ducati, dai quali andrebbero
dedotte inoltre le spese per il trasporto.” ASMi SPE, Napoli, 226, 22/23–24. Originale autografo.
370
Tibor Martí
Precedentemente non se ne conoscevano i particolari da altre fonti. Secondo
l’ambasciatore milanese Mattia, tramite il vescovo di Ferrara, avrebbe chiesto
a re Ferrante di offrire una dote di 200.000 ducati d’oro. Se possiamo dare
credito a Maletta, l’accordo sulla somma fu reso difficile perché il sovrano
napoletano pensava di calcolare la dote in “ducati aragonesi di carlini”,84 che
in realtà equivalevano,85 per come intendeva Mattia, a soli 175.000 ducati. Da
tale somma, come osserva Maletta, anche le spese del trasferimento dovevano
essere detratte. È possibile che sia stata questa la base del calcolo più tardivo
nell’accordo finalizzato a Napoli nel maggio del 1475, secondo cui la dote di
Beatrice consisteva di 170.000 ducati in contanti e di beni mobili per un valore
di 30.000 ducati. Una curiosità della relazione di Maletta del 17 ottobre 1474
consiste nel fatto che, in merito al vescovo di Ferrara, accenna al fatto che sia
lui “l’autore della pratica”. Conoscendo gli antefatti possiamo essere sicuri che
si tratta del vescovo di Ferrara Lorenzo Roverella che, in qualità di legato pontificio, svolse delle trattative con Mattia a Brünn nel marzo del 1469. Sappiamo
però dalla sua biografia che egli morì nell’estate del 1474 (il 23 luglio 1474),86
per cui non era più in vita al momento della stipulazione del contratto a Napoli, avvenuta nel settembre di 1474. Dopo la morte del diplomatico furono gli
ambasciatori Miklós Bánfi e Francesco Fontana a portare avanti il negoziato ed
i particolari dell’accordo effettivo che, poi, sarebbero stati inseriti nel contratto
matrimoniale. L’accordo fu raggiunto al più tardi nel maggio del 1475.
Ciò lo si può dedurre da un’altra fonte legata all’accordo sulla dote, che si
trova in copia nel fondo di Simancas: si tratta del documento87 redatto a Castel
Nuovo di Napoli il 29 maggio 1475,88 in cui il sovrano napoletano confermò che
si era giunti ad un accordo con Miklós Bánfi e Francesco Fontana sul contratto
matrimoniale e, come parte di questo, sulla dote. In merito a quest’ultima re Ferrante dichiarò che tra Fontana e il re, ai sensi della lettera credenziale separata
che riguardava lui, si è raggiunto un accordo sulla grandezza e la composizione
84
Fiorini d’oro aragonesi.
Mattia esigeva il valore della dote in fiorini d’oro di Firenze.
86
Liboni, op.cit.: 189–194.
87
Documento di Ferrante I re di Napoli sulla dote di Beatrice d’Aragona. Napoli, Castel Nuovo,
1475.05.29. AGS Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3. ff. 6v–8r [Copia].
88
Al diploma si fa riferimento nelle fonti di Valencia con data 24 maggio 1474: “… in […] litteris
eiusdem serenissimi domini regis Sicilie datis in Castello Novo civitatis Neapolis die vigesimaquarta mensis Maii millesimo quadringentesimo septuagesimo quinto”. T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ,
op.cit.: 505, 3b. oklevél. Napoli, Castel Nuovo, 1476. szeptember 16.
85
La dote di Beatrice d’Aragona
371
della dote: 170 mila ducati in contanti e gioielli per un valore di 30 mila ducati.
Questo dato contenuto nel documento qui indicato è la prima menzione sul
valore della dote di Beatrice.89
Inserita in questo documento troviamo anche un’altra lettera credenziale di
Mattia.90 In questa lettera, rilasciata a Brünn il 1 aprile 1475, il re ungherese
incaricò il solo Francesco Fontana di svolgere le trattative e l’accordo espressamente sulla dote (in questo documento non figurava il nome di Miklós Bánfi).
Nel documento il sovrano di Napoli faceva riferimento agli antefatti al contratto
matrimoniale (che il re non ratificava ma menzionava soltanto) e citava un
punto specifico del contratto che riguardava la dote.91 Tale punto specificava
che sulla dote (e sui doni da dare in occasione delle nozze, probabilmente da
parte di Mattia a Beatrice, così come sulla data del conferimento di Beatrice)
era necessario stipulare un accordo a parte, per cui Ferrante avrebbe mandato
degli ambasciatori a Mattia. Ciò avvenne per qualche ragione nel modo opposto,
nonostante il contratto fu di nuovo Mattia ad inviare degli ambasciatori (nel
giugno del 1475), ma non si capisce il motivo. Sempre tra gli antefatti nel
documento viene citato l’incarico di Fontana per trattare sulla dote e il suo
89
Il valore della dote di Beatrice d’Aragona non è un dato nuovo: il riferimento alla somma di
200.000 ducati si riscontra anche in Bonfini. Antonius de Bonfinis: Rerum Ungaricarum decades,
ediderunt Iosephus Fógel – Bela Iványi – Ladislaus Juhász, Lipsiae–Budapest, 1936–1941: IV, 207
(Liber X); Dipl. Eml. [Memorie diplomatiche] II. 310. Relazione di Lukács Lupus da Buda al duca
di Milano. Buda, 1476.05.19. e nella fonte n. 193: Prospetto delle spese detratte dalla dote della
regina ungherese Beatrice [settembre 1475], inoltre si trova certamente anche nella biografia
di Beatrice scritta da Albert Berzeviczy (Berzeviczy fa riferimento alla relazione di Luca Lupo);
inoltre lo si conosce anche dalla raccolta di documenti della vita di Beatrice, dove una fonte
menziona la somma. Okiratok CLXV. 241–242. 1492.06.04. Relazione dell’oratore Giacomo Trotti
da Milano al duca di Ferrara, in cui in base al racconto dell’ambasciatore Francesco Fontana
informa sul progetto di rimandare in patria Beatrice e sulle rivendicazioni legate a questo fatto
dalle due parti. “… Messer Francisco [Fontana], li dixi che pure la doveria havere la sua dotta de
200,000 ducati, che la potette cum epsa” (Okiratok, 242).
90
Lettera credenziale da parte di Mattia I a Francesco Fontana per portare avanti le trattative,
tra l’altro sulla dote, Brünn, 1475.04.01. Ricopiato nel seguente documento: AGS Patronato Real.
Legajo 29. Nr. 3. ff 6v–8r [Copia].
91
“Conventum est inter dictas partes, quod quantitas dotium ipsius illustrissime dominae
Beatricis et etiam donatio facienda propter nuptias et tempus traductionis dicte domine Beatricis
ad regnum Hungarie concordari habeat per supradictum dominum regem Hungarie et oratores,
quos prefatus serenissimus dominus rex Ferdinandus de proximo missurus est ad prefatum
serenissimum dominum regem Hungarie.” (T. Martí: ‘Oklevelek…’, op.cit.: 505, documento 3b.
Napoli, Castel Nuovo, 1476.09.16. Cfr. documento notarile sul contratto matrimoniale e sul
fidanzamento di Beatrice d’Aragona e Mattia I, Napoli, Castel Nuovo, 1474.09.03 (e 09.11.). AGS
Patronato Real. Legajo 29. Nr. 3 ff. 1r–5v [Copia].
372
Tibor Martí
arrivo (Et noviter…),92 in seguito si legge la parte definitoria che parla del contenuto dell’accordo sulla dote (Idcirco…).93 Gli ambasciatori di Mattia tornarono
nel territorio del Regno d’Ungheria all’inizio di settembre del 1475, lo si può
dedurre dalla lettera del doge veneziano al suo ambasciatore in Ungheria (1
settembre 1475).94
Il pezzo successivo dei documenti di Spagna è ormai la versione definitiva
del contratto matrimoniale, confermata da ambedue le parti, cioè il documento
notarile confermato da Mattia a Buda il 19 dicembre 1476.95 Questo documento
contiene in verità tre fonti, copiate in esso: (1) la lettera credenziale che Mattia
diede al vescovo di Breslavia, Rudolf von Rüdesheim, al vescovo di Várad, János
Filipec, al voivoda della Transilvania, János Dengelegi Pongrác e al conte János
Szentgyörgyi (Buda, 5 giugno 1476), in cui gli ambasciatori ottennero l’incarico
di prendere effettivamente in consegna (ad acceptandum et recipiendum) la dote
e tutto quello che Beatrice intende eventualmente portare con sé oltre il contratto. Si faceva inoltre giuramento di restituire il tutto nel caso di risoluzione del
matrimonio (in casu soluti matrimonii); (2) gli ambasciatori, il conte di Posonio
Miklós Bánfi e Francesco Fontana, davanti ai notai prendono in consegna la
dote della principessa Beatrice – questo documento (Napoli, Castel Nuovo, 16
settembre 1476) contiene l’elenco della parte della dote di Beatrice consistente
in beni mobili, in tutto 142 unità. Il tutto è poi contenuto nel (3) documento di
conferma rilasciato da Mattia.
92
“Et noviter pro implemento, perfectione et executione dicti matrimonii et capitulorum et
etiam capituli suprainserti venerit ad maiestatem nostram prefatus magnificus Franciscus Fontana orator, nuntius et procurator prefati serenissimi domini regis Mathie regis Hungarie, de
cuius mandato, potestate, procuratione fidem fecit per litteras patentes eiusdem serenissimi
domini regis Mathie regis Hungarie suo sigillo sigillatas et aliis solemnitatibus roboratas, quarum
tenor de verbo ad verbum infra describetur.” Documento del re di Napoli Ferrante I sulla dote di
Beatrice d’Aragona, Napoli, Castel Nuovo, 1475.05.29. AGS Patronato Real, legajo 29. Nr. 3. f. 6v.
93
“Idcirco prout ad conventionem devenimus cum eodem Francisco oratore et procuratore, ut
supra, tenore presentium de certa nostra scientia constituimus et ordinamus in dotem et pro
dote eiusdem illustrissime domine Beatricis filie nostre ducatos ducentum mille de auro, hoc
modo: videlicet centum septuaginta mille ducatos in ducatis auri et reliquos triginta mille in
iocalibus et apparatibus pretiosis solvendos siquidem et assignandos per nos eidem serenissimo
domino regi Hungarie prefatos ducatos ducentum mille modo quo supra consistentes una cum
dicta illustrissima domina Beatrice, tempore quo prefatam illustrissimam dominam Beatricem ad
eundem serenissimum dominum regem Hungarie suum maritum transmittemus.” AGS Patronato
Real. Legajo 29. Nr. 3.
94
L. Óváry: A Magyar Tudományos Akadémia…, I., op.cit.: n. 521.
95
T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ, op.cit.: 503–518, documenti 3a–3c.
La dote di Beatrice d’Aragona
373
Conclusione
In base alle fonti già precedentemente note e a quelle recentemente scoperte in
archivi spagnoli, confrontandole con la bibliografia specifica, ci viene permesso
di trarre le seguenti conclusioni.
Albert Berzeviczy non aveva conosciuto le fonti custodite in Spagna, nell’introduzione alla raccolta di documenti relativi alla vita di Beatrice d’Aragona,
pubblicata nel 1914, non figura nessun archivio spagnolo.
Dal materiale documentario spagnolo si chiarisce che gli ambasciatori di
Mattia furono incaricati separatamente della stipulazione del contratto di alleanza e della stipulazione del contratto di matrimonio (Buda, 18 maggio 1474,
in due documenti separati, ma datati nello stesso giorno). Miklós Bánfi e Francesco Fontana svolsero delle trattative a Napoli e in seguito nella stessa data, il
3 settembre 1474, furono stesi a Napoli i due contratti nelle due cause.
All’ambasceria della primavera del 1474 sicuramente non prese parte il prevosto di Pécs, György Handó, come neanche alle ambascerie successive a questa
data. Sulla sua supposta partecipazione all’ambasciata del 1469, ipotizzata anche da Vilmos Fraknói e Albert Berzeviczy, non siamo in grado di prendere una
posizione, essendo le nostre fonti riferite ad un periodo molto più tardo.
In merito all’andamento dell’accordo sulla dote ricaviamo, come nuovo risultato, il dato che gli ambasciatori di Mattia inviati a Napoli e re Ferrante
trovarono un accordo già nell’autunno del 1473, in occasione della stipulazione
del contratto, anche se il documento definitivo venne stilato poi solo nel maggio
del 1475. Sulla dote il negoziato venne condotto dal dottor Francesco Fontana.
Sono fonti nuove relative a questo processo la lettera credenziale del 1 aprile
1475 (in cui Mattia incarica solo Fontana della stipula dell’accordo sulla dote),
come anche i documenti rilasciati da re Ferrante nei giorni 24 e 29 maggio 1475,
in cui questa lettera credenziale venne ricopiata.
Siamo venuti a conoscenza del testo definitivo del contratto di matrimonio,
confermato da ambedue le parti, grazie al materiale documentario custodito a
Madrid, con l’elenco particolareggiato della dote di Beatrice.
Albert Berzeviczy, nella sua biografia su Beatrice d’Aragona, menziona in diversi luoghi, senza far riferimento ad una segnatura, un “documento sulla presa
in consegna della dote”. Parlando delle trattative dell’estate del 1475 a Napoli
scrive che, sul risultato del negoziato degli ambasciatori di Mattia, “veniamo
informati un anno più tardi” – ma questa fonte non venne pubblicata nella
raccolta di documenti e, in realtà, non viene reso noto da nessuna pubblicazione
precedente o coeva. Vale la pena tener presente il fatto che, da una parte,
374
Tibor Martí
Berzeviczy conosceva più fonti rispetto a quelle che aveva pubblicato nella
raccolta, d’altra parte aveva potuto tuttavia vedere a Napoli delle fonti che più
tardi, nel corso della guerra, erano andate distrutte: lo dimostra, per esempio, la
lettera di donazione di Salerno del 1499 che faceva parte del fondo di Valencia
ed è stata ritrovata a Madrid. Berzeviczy aveva visto ancora una copia di questo
documento custodita a Napoli, siccome vi fece riferimento nella sua opera.96
Il testo definitivo del contratto di matrimonio, confermato da ambedue le
parti, l’elenco particoleraggiato della dote di Beatrice, il fatto e la data dell’ambasceria del giugno del 1476 a Napoli, così come la conferma del contratto da
parte di Mattia il 19 dicembre 1476 a Buda, sono diventati noti grazie alle fonti
scoperte a Madrid.97
Traduzione di György Domokos
96
Documento rilasciato dal re di Napoli Federico IV alla sorella Beatrice, direttamente prima
del ritorno di questa a Napoli, sul dono di Salerno. Andria, 1499.03.25. T. Martí: ‘Oklevelek…ʼ,
op.cit.: 520–523, documento 5.
97
Berzeviczy, pur facendo menzione di un documento del 1476 che riguarda la consegna della
dote, non entra nello specifico e, tra le fonti della raccolta di documenti pubblicata nel 1914, non
se ne trova traccia. Cfr. A. Berzeviczy: Beatrix királyné…, op.cit.: 110.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
Ilona Kristóf
Università Cattolica Károly Eszterházy, Eger
kristof.ilona@uni-eszterhazy.hu
Abstract
Beatrix of Aragon (1457–1508) is considered by public opinion, based on the opinion
of her contemporaries, to be among the most influential Hungarian queens. In this
paper I will examine the elements of her activity when she lived up to the expectations
placed on her, and contrast her norm-breaking actions; I will compare her effectiveness
with the image of herself that was communicated. Based on this examination, it can
be stated that she attributed far more influence to herself in her letters than can be
verified by analysing the events. Until the early 1480s, she wanted to strengthen her
positions with her family’s dynastic interests in mind. Her infertility endangered the
expected succession to the throne of John Corvinus, and this caused her to change her
policy. Although the appointment of Ippolito d’Este as archbishop of Esztergom was
the only case in which the queen’s influence on her husband could be demonstrated and
considered successful, this did not change Beatrice’s position by then. According to the
sources, Beatrix’s power and influence, despite her spectacular foreign manifestations,
were entirely at the will of her husband.
Beatrice d’Aragona (1457–1508) viene considerata dall’opinione pubblica ungherese, basandosi sul parere dei contemporanei, una delle regine più influenti
della storia magiara. Le ricerche storiche svoltesi in Ungheria avevano dato
credito, fino a tempi recenti, a questa opinione. Risulta indubbio il fatto che
non si possiede una documentazione così vasta, prodotta nelle corti estere e
in quella ungherese, di nessun’altra regina d’Ungheria. Ciononostante, la sua
immagine è stata sempre maggiormente influenzata dalle fonti narrative e, solo
in misura minore, dalle fonti archivistiche.
Nella tradizione storiografica ungherese le mogli reali politicamente attive
hanno avuto tutte, senza eccezione, una considerazione negativa: il “potere
376
Ilona Kristóf
delle donne” non era tollerato dalla corte ungherese.1 Di Beatrice sono state
pubblicate, anche recentemente, delle descrizioni che la dipingono come lo “spirito cattivo” di Mattia Corvino, sottolineandone non solo il carattere violento e
capriccioso ma anche il suo forte influsso su re Mattia.2
Nel mio saggio intendo esaminare, in base a fonti d’archivio, la capacità di
Beatrice di far valere i propri interessi. In questa ricerca mi sono servita di
fonti edite ed inedite: si tratta per lo più della corrispondenza di Beatrice, delle
relazioni di ambasciatori che parlano di lei, di documenti diplomatici e ufficiali.3
La base dell’influenza, vera o supposta, di Beatrice, la possiamo rinvenire nel
matrimonio da lei contratto con il re ungherese Mattia Corvino. Nella realizzazione di questo matrimonio la ricerca ungherese sottolinea piuttosto il ruolo
dell’obbligo, della pressione sul sovrano e del successo della diplomazia pontificia, nella persona del legato papale Lorenzo Roverella.4 La creazione della dinastia era di primaria importanza per Mattia, anche in vista della revisione della
clausola sulla succesione aggiunta alla pace di Wiener Neustadt del 1463.5 La
ricerca italiana, di contro, sottolinea la politica dinastica di Ferrante d’Aragona.
Ferrante, infatti, già nel 1465 aveva avanzato una proposta di matrimonio a Mat-
1
J. Thuróczy: Chronica Hungarorum, L. Geréb (trad.), Budapest: Helikon, 1957: Zsigmond király
koronázásáról (cap. III.), https://mek.oszk.hu/10600/10633/10633.htm/#77
2
E.g. K. Nehring: ‘Mátyás külpolitikája’, Történelmi Szemle XXI: 3–4, 1978: 427–440; E. Guerra:
‘Niuna cosa violenta pò essere perpetua’. I conflitti europei del secolo XV nella vita di Beatrice
d’Aragona, regina d’Ungheria’, in: E. Guerra (ed.): Voci di donne. La guerra nelle testimonianze
femminili, Roma: Aracne, 2009: 37–60, p. 41; P. Engel, Gy. Kristó & A. Kubinyi: Magyarország
története (1301–1526), Budapest: Osiris, 2005: 261; V. Fraknói: Hunyadi Mátyás király (1458–1490),
Budapest: Magyar Történelmi Társulat, 1890: Libro VI. http://mek.oszk.hu/05700/05736/html/;
A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, Milano: Corbacci , 1931: 375, etc.
3
T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix magyar királyné életére
vonatkozó okiratok, Budapest, 1914; I. Nagy & A. Nyáry: Magyar diplomacziai emlékek Mátyás
király korából 1458–1490. III, Budapest, 1877 (MDE); E. Guerra: Il carteggio tra Beatrice d’Aragona
e gli Estensi (1476–1508), Roma: Aracne, 2010, Magyar Nemzeti Levéltár Országos Levéltár
Diplomatikai Levéltár, Diplomatikai Fényképtár (MNL OL DL, DF), ed i documenti identificati e
digitalizzati negli archivi di Milano e Modena dal gruppo di ricerca Vestigia.
4
Zs. Teke: ’Az itáliai államok és Mátyás’, In: Gy. Rázsó & L. V. Molnár (eds.): Hunyadi Mátyás.
Emlékkönyv Mátyás király halálának 500. évfordulójára, Budapest: Zrínyi, 1990: 245–275, p. 258.
5
P. E. Kovács: ‘A Hunyadi-család’, in: Gy. Rázsó & L. V. Molnár (eds.): Hunyadi Mátyás.
Emlékköny Mátyás király halálának 500. évfordulójára, Budapest: Zrínyi, 1990: 29–51, pp. 41–
42, P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly politikai kapcsolatai a Mátyás-korban’, in: P. Fodor,
G. Pállfy & Gy. I. Tóth (eds.): Tanulmányok Szakály Ferenc emlékére, Budapest: MTA, 2002:
229–247, p. 229.
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
377
tia,6 appena rimasto vedovo, sperando che questa alleanza progettata potesse
portare ad un miglioramento delle sue posizioni in Italia e in relazione al papato.
Si sperava inoltre di poter contare poi su Mattia per il rafforzamento delle loro
posizioni nei Balcani,7 interessandosi anche, in linea con la pretesa al trono ereditata dagli Angioini di Napoli, al trono d’Ungheria.8 Si voleva infine attribuire a
Mattia un ruolo attivo anche nell’alleanza contro Venezia. Il re ungherese, negli
anni 1460, intendeva tuttavia rafforzare la sua posizione stipulando le relazioni
dinastiche centro-europee consuete, prendendo in considerazione la proposta
di Napoli solo dopo i rifiuti da parte dei Jagelloni e degli Asburgo. Dopo queste
premesse non stupisce che, rispetto al matrimonio, le aspettative delle due parti
differissero notevolmente. Mattia desiderava univocamente dei successori al
trono e, in tal modo, veniva assegnato anche il ruolo che sarebbe spettato a
Beatrice: adeguarsi alle pretese della corte reale ungherese, come altre regine
avevano fatto, ritirandosi nel retroscena. Napoli mirava invece ad un rapporto
ravvivato, rinforzato, di cui la regina sarebbe stata promotrice e perno.
Dopo lunghe trattative9 il matrimonio per procuram ebbe luogo a Napoli
il 15 settembre 1476, ripetuto poi in Ungheria, in presenza dei coniugi, il 12
dicembre 1476.10
Beatrice era stata preparata al ruolo di regina. La sua educazione umanistica
serviva certamente allo scopo di poter servire, anche nella sua nuova patria,
le ambizioni politiche della sua casata. Per Beatrice, come alcuni anni prima
per la sorella Eleonora,11 il loro educatore, il famoso cortegiano napoletano
Diomede Carafa, scrisse un Memoriale come falsariga da seguire nell’inserimento nella corte reale ungherese. I consigli dati ad Eleonora ne I doveri del
6
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 230; Zs. Teke: ‘Az itáliai államok…’, op.cit.:
251; 21. nov. 1465: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
X, 14–16.
7
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 231.
8
E. Guerra: Il carteggio tra Beatrice d’Aragona e gli Estensi (1476–1508), Roma: Aracne, 2010: 12;
E. Guerra: ‘Niuna cosa violenta pò essere perpetua’…, op.cit.: 39.
9
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 232.
10
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 233–240; T. Martí: ‘Oklevelek Aragóniai Beatrix hagyatékából. Magyar vonatkozású források a spanyol katonai lovagrendek
iratanyagában’, Történelmi Szemle LIX/3, 2017: 491–523.
11
V. Prisco: ‘Eleonora d’Aragona come corpo politico itinerante. Il simbolismo del corteo da
Napoli a Ferrara (23 maggio–3 luglio 1473)’, Revista de Historia Jerónimo Zurita 96, 2020: 203–
227, pp. 226–227; C. Vecce: ‘I memoriali ungheresi di Diomede Carafa’, Prospettive settanta 4,
1992: 467–487, p. 470.
378
Ilona Kristóf
principe e a Beatrice ne Il memoriale a la serenissima Regina de Ungaria (in
traduzione latina: De institutione vivendi) corrispondono: tra i tratti del giusto
comportamento vengono sottolineati l’obbedienza al marito, la vita religiosa
e pia, la presa di posizione silenziosa e decisa, il riconoscimento acuto delle
situazioni.12 Possedendo queste qualità le principesse sarebbero state capaci di
essere all’altezza del loro compito nella corte del marito e, quindi, di reggere
la prova degli sguardi sempre critici dei cortegiani. Eppure, nei due libri, gli
accenti sono diversi. Eleonora aveva sposato Ercole I d’Este e l’ambiente della
corte ducale di Ferrara non differiva moltissimo da quello di Napoli. Eleonora
riuscì così a rappresentare in maniera efficace, a Ferrara, non solo gli interessi
della sua famiglia, ma ebbe anche l’opportunità di imparare l’arte del governare,
pur se il suo potere politico era ristretto entro certi limiti. Dovette pur sempre
rispondere ad una corte dominata dagli uomini ed al marito ma, in assenza di
suo marito, poté prendere decisioni in maniera autonoma, riscuotendo unanime stima tra i suoi contemporanei.13 Di contro, nel memoriale preparato per
Beatrice, non si parla affatto delle pratiche per ottenere ed esercitare il potere.
Carafa vedeva chiaramente che la corte del coniuge straniero funzionava con
meccanismi del tutto diversi da quelli italiani. Nell’opera raccomandò quindi,
alla sua già discepola, lo stesso adeguamento e quel ritirarsi sullo sfondo che,
apertamente o tacitamente, si aspettava da lei anche a Buda.14
Beatrice però conobbe, con ogni probabilità, anche il memoriale dedicato
alla sorella; aveva infatti anche una copia della poesia di Antonio Cornazzano
intitolata De modo regendi, scritta nel 1476 ad Eleonora.15 Beatrice non poté e
non volle neanche corrispondere al ruolo che le era stato assegnato.
12
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 236–237; J. Csontosi: ‘Diomedes Carafa: De
institutione vivendi. A pármai Corvin-codexből’, Magyar Könyvszemle 15/1–2, 1890: 54–86, pp.
63–64; D. Carafa: ‘DE INSTITUTIONE VIVENDI. Tanítás az életvezetés szabályairól. Emlékeztetõ
Magyarország felséges királynéjának’ ed. et trad.: I. D. Lázár, É. Vígh & E. Ekler, Budapest:
Országos Széchényi Könyvtár, 2006.
13
V. Prisco: Eleonora d’Aragona e la costruzionedi un “corpo” politico al femminile (1450–1493),
Zaragoza, 2019 [tesi di dottorato]; C. Vecce: I memoriali…, op.cit.: 480, E. Guerra: ’Eleonora
d’Aragona e I doveri del principe di Diomede Carafa: l’esercizio del governo tra realtà e precettistica’, in: A. Giallongo (ed.): Donne di palazzo nelle corti europee. Tracce e forme di potere dall’età
moderna, Milano: Unicopli, 2005: 113–119; E. Guerra: ‘Lo spazio del potere: Eleonora e Beatrice
d’Aragona nei “Memoriali” di Diomede Carafa’, Annali dell’Università di Ferrara – Sezione Storia
2, 2005: 323–361.
14
C. Vecce: I memoriali…, op.cit.: 476–479.
15
Ibid.: 474–475.
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
379
Arrivata a Buda sembrava che lei volesse prendere in mano la gestione delle
cose. L’opinione dei contemporanei, tra cui anche quella di Antonio Bonfini,
che certamente non fu un grande fautore di Beatrice, coincise nel ritenere che
la giovane regina esercitò sul re una grande influenza, riuscendo ad ottenere
da lui tutto quello che desiderava.16 Quali potevano essere, principalmente, le
richieste della regina? Un tenore di vita ed uno stile dell’ambiente addicente
a quella dignità a cui era stata abituata a Napoli. Perché a Buda, dal 1440
non vissero delle regine, non avevano una corte propria, eccezione fatta per
quei pochi anni in cui la giovanissima Caterina di Podjebrady soggiornava a
corte.17 Con l’arrivo della nuova regina certamente comincia a fervere la vita,
le abitudini della corte si trasformano, cambia l’ordine del giorno e, quindi, si
organizza anche la corte della regina. Tutti questi sono cambiamenti vistosi,
eppure avevano poco effetto sulla politica e sulle decisioni del re. Negli ultimi
anni è tornato alla ribalta il ruolo di Beatrice anche nelle ricerche storico artistiche: oltre alle apparenze esteriori di corte, quale poteva essere il suo ruolo
nel mecenatismo di Mattia? Árpád Mikó e Klára Pajorin, nelle loro ricerche,
mettono il ruolo della regina sotto una nuova luce.18 Anche se il mecenatismo
legato direttamente al suo nome è un aspetto di minori dimensioni, sembra
inevitabile che, come mediatrice, abbia ispirato Mattia, spingendo quindi ad
esercitare una sorta di protezione verso alcuni artisti. Inoltre, tramite la sua
fitta rete di rapporti, influenzò certamente anche le scelte sugli umanisti da
invitare in Ungheria.
Sorge però una domanda: oltre alla vita di corte nel senso più stretto del termine, la sua influenza si estendeva al marito? L’autore della prima monografia
sulla regina, Albert Berzeviczy, si riferiva a Beatrice utilizzando addirittura il
termine di “consovrana”.19
16
A. Bonfini: Rerum Ungaricarum Decades. Tomus IV, Pars I, Decades IV et Dimidia V, J. Fógel,
B. Iványi & L. Juhász, Budapest: Egyetemi Nyomda, 1941: 4.7. 65.
17
Per il primo matrimonio del re Mattia vedi: N. C. Tóth: ‘Mátyás király első felesége’ in: K. Szovák & A. Zsoldos (eds.): Királynék a középkori Magyarországon és Európában, Székesfehérvár:
Városi Levéltár és Kutatóintézet, 2019: 115–133.
18
K. Pajorin: ‘Aragóniai Beatrix szerepe Mátyás irodalmi mecenatúrájában’, Irodalomtörténeti
Közlemények 115, 2011: 158–167; Á. Mikó: A reneszánsz Magyarországon (Stílusok – korszakok),
Budapest, 2009: 30–53; V. Rees: ‘ “A woman of valour”: Towards a reappraisal of the presence of
Beatrix of Aragon in the Hungarian court’, in: E. Bartha (ed.): Matthias Rex 1458–1490: Hungary
at the Dawn of the Renaissance, Budapest, 2012: 1–21.
19
06 agosto 1479: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
XXX, 42–43.
380
Ilona Kristóf
Nonostrante la regina fosse Beatrice, che fece di tutto per metterlo in evidenza, non possiamo tuttavia dimenticare nemmeno la madre del re, Erzsébet
Szilágyi. Già Carafa aveva richiamato l’attenzione della regina sulla necessità
di stabilire buoni rapporti con la suocera, consigliandole di cedere l’iniziativa
alla madre del re e di adeguarsi alle aspettative di Erzsébet Szilágyi. In verità,
però, non fu il rapporto tra suocera e nuora a mettere in dubbio l’influenza
di Beatrice sulla politica interna: esaminando gli itinerari della regina e di sua
suocera si capisce chiaramente che si erano incontrate pochissime volte, allo
stesso tempo risulta un dato eloquente il fatto che Erzsébet Szilágyi passava
molto tempo a Óbuda che, dai tempi degli Angioini, era una delle città della
regina. La posizione di Erzsébet Szilágyi però era ambigua: non era né regina,
né regina vedova, perciò sicuramente non le spettavano i feudi della regina. Le
ricerche sui feudi svolte da Norbert C. Tóth20 hanno chiarito che Mattia, dopo
essere salito al trono, creò la posizione della “madre del re”, affidando a sua
madre una parte dei feudi della famiglia e una parte dei feudi della regina, tra
cui anche la città di Óbuda, che sarebbe appartenuta alla regina.21
Certamente anche a Beatrice vennero conferite delle entrate in occasione dell’incoronazione, ma non abbiamo a disposizione dati sicuri. Non sappiamo nemmeno quando la proprietà dei feudi delle regine, consegnati precedentemente
a Erzsébet Szilágyi, siano poi stati trasferiti a Beatrice. I dati relativi, peraltro
sporadici, provengono dagli inizi degli anni 1480, sembra tuttavia probabile che
solo con la morte di Erzsébet Szilágyi, avvenuta nel 1484, questi possedimenti
siano passati in mano a Beatrice.22 In questo contesto va ricordata l’analisi
che Richárd Horváth ha condotto sui diplomi di donazione di re Mattia, con
particolare attenzione alla clausola relativa all’approvazione dell’atto da parte
della regina.23 Anche se numericamente l’approvazione di Beatrice appare più
volte sotto il suo nome che in quello dei suoi predecessori, non è possibile trarre
la conclusione che Beatrice abbia avuto un’influenza maggiore. Si può infatti
supporre la volontà esplicita di Beatrice solo nelle questioni documentate che
20
N. C. Tóth: ‘Szilágyi Erzsébet “udvara” ’, in: I. Kádas, R. Skorka & B. Weisz (eds.): Márvány,
tárház, adomány: Gazdaságtörténeti tanulmányok a magyar középkorról. Magyar Történelmi
Emlékek-Értekezések, Budapest: MTA Bölcsészettudományi Kutatóközpont Történettudományi
Intézet, 2019: 51–114.
21
N. C. Tóth: ‘Szilágyi Erzsébet…’, op.cit.: 75–76.
22
Ibid.: 55–59.
23
R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix. Egy oklevél-formuláról, s általa a királyné hatalmi helyzetéről a Mátyás-korban’, in: K. Szovák & A. Zsoldos (eds.): Királynék a középkori Magyarországon
és Európában, Székesfehérvár: Városi Levéltár és Kutatóintézet, 2019: 133–173.
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
381
riguardavano la corte della regina, negli altri casi queste clausole sono presenti
anche in circostanze in cui non si può logicamente supporre la volontà - e
nemmeno il consenso - da parte della regina (come per esempio nelle questioni
riguardanti il figlio naturale di Mattia, Giovanni Corvino).24 In numerosi casi,
inoltre, si può dimostrare che, nel momento della promulgazione del documento, la regina non soggiornava nell’ambiente del re – quindi l’approvazione
di Beatrice deve essere considerata una mera formalità. Non è estraneo alla
tecnica dell’esercizio del potere di Mattia supporre che, anche se era tenuto
a conferire entrate reali a Beatrice, non abbia per questo tolto a sua madre i
possedimenti della regina.25 Queste clausole servivano perché l’influenza della
moglie sulle questioni di corte e sulla loro documentazione fosse solo apparente.
A confermare tale ipotesi si può indicare il fatto che solo dopo la morte di
Erzsébet Szilágyi compare l’attività autonoma della cancelleria della regina,
contemporaneamente alla presa di possesso delle proprietà regali e, in parallelo, al calo delle clausole di approvazione da parte della regina sugli atti di
donazione da parte del re.
Allo specchio delle ricerche finora svolte possiamo stabilire, quindi, che Beatrice riuscì ad esercitare poca influenza sulla politica interna ungherese e non
cercò (senza averne la reale occasione) di ottenere la simpatia e l’appoggio dei
suoi sudditi ungheresi. Nonostante non godesse di quasi nessuna autonomia
materiale, i suoi contemporanei ribadivano l’influenza da lei esercitata sul re.
Questa è una conclusione che possiamo trarre da un altro tipo di fonti: le
lettere di Beatrice e le relazioni diplomatiche degli ambasciatori stranieri. Da
una parte possiamo notare che il materiale archivistico relativo a Beatrice supera, per quantità, il numero dei documenti riguardanti le regine precedenti,
dall’altra la maggior parte di questo materiale è formato dalle lettere da lei
scritte e ricevute, le quali la misero al centro dell’attenzione, molto più di quanto
non fosse abitudine presso la corte ungherese.
Beatrice cercò di applicare, anche in Ungheria, i metodi usuali imparati a
Napoli.26 Le sue intenzioni in politica estera potrebbero essere descritte con
l’aggettivo dinastico: cercò di far valere e confermare gli interessi e le posizioni della sua famiglia, anche creando di sé stessa l’immagine di una figura di
estrema utilità ed importanza all’interno della sua dinastia.
La sua attività tra il 1476 ed il 1486 fu in linea con le aspettative, supposte o reali, provenienti dalla sua famiglia. In base alla sua corrispondenza si
24
R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix…’, op.cit.: 156–157.
Ibid.: 168–169.
26
Ibid.: 135–136.
25
382
Ilona Kristóf
può affermare che le sue relazioni con la sorella Eleonora fossero intime e
fraterne. Certamente non sarà stato un caso che, viaggiando da Napoli verso
Buda, si poteva omettere dal programma previsto la fermata a Roma,27 ma
dell’accoglienza a Ferrara non si poteva fare a meno: le due sorelle dovevano
sapere che si sarebbero viste per l’ultima volta personalmente. Oltra all’amore
fraterno nel loro rapporto si percepisce anche la rivalità delle sorelle. I progetti
di Beatrice riguardavano, oltre ai fratelli minori, anche i figli di Eleonora e, in
queste occasioni, si voleva mostrare come una potente mecenate .
Beatrice fu spesso accusata, non senza fondamento, di nepotismo. Eppure, se
si considerano tutti i suoi piani e la loro realizzazione, contrariamente alla sua
condanna, in realtà non ebbe un così grande successo.
Senza dubbio il fratello minore, Francesco d’Aragona, era arrivato in Ungheria assieme a Beatrice e visse alla corte di Mattia Corvino fino al 1484. Come
si evince dal Memoriale del Carafa, lo scopo era quello di imparare, dal nuovo
cognato, le virtù militari e la vita virtuosa.28 Tale combinazione, secondo gli
usi dei tempi era probabilmente compresa già nell’accordo stipulato tra Mattia
e Ferrante, non possiamo quindi necessariamente supporre che, dietro questa
iniziativa, ci fosse Beatrice. D’altronde non c’era nulla di sorprendente nel fatto
che un principe venisse educato, per un certo tempo, presso altre corti: anche
i figli più giovani della duchessa Eleonora avevano passato lunghi anni presso
la corte napoletana, corrispondendo alla richiesta esplicita del nonno.29
L’altro fratello di Beatrice, Federigo d’Aragona, viene menzionato a proposito della pace di Gmunden-Korneuburg del 1477, e ciò è interpretato come
una prova dell’influsso di Beatrice.30 In questo trattato di pace, stipulato sotto
la pressione della diplomazia papale tra Mattia e l’imperatore Federico III si
trattava, oltre che del riconoscimento del titolo di re di Boemia a Mattia (cosa
che più gli interessava), anche della sottrazione del Ducato di Milano agli Sforza
e del conferimento di questo al fratello di Beatrice, assieme alla mano della figlia
dell’imperatore, Kunegunde. Fuori da ogni dubbio questo matrimonio avrebbe
27
Anche Eleonora visitò il papa, Sisto IV, mentre si recava a Ferrara per il suo matrimonio:
V. Prisco: Eleonora d’Aragona come…, op.cit.: 213–220.
28
C. Vecce: I memoriali…, op.cit.: 481, D. Carafa: DE INSTITUTIONE…, op.cit.: 158–160.
29
Le lettere di Beatrice d’Este a suo padre e a sua madre da Napoli dal 1479 al 1482 sono
conservate presso l’Archivio di Stato di Modena. 1479. 04. 01. ASMo Casa e Stato 130. 1682.
II. 1, 1482. 11. 14. ASMo Casa e Stato 130. 1682. II. 2, 1484. 04. 09. ASMo Casa e Stato 130. 1682.
I. 1.
30
Zs. Teke: ‘Az itáliai államok…’, op.cit.: 260.
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
383
giovato tanto alla posizione di Beatrice e dell’intera dinastia napoletana. Nel
caso però di un trattato di pace in cui le parti non prendevano sul serio la messa
in atto di nessuna delle condizioni, la realizzazione di questo matrimonio non
aveva grandi probabilità di diventare effettiva. Per Mattia non rappresentava
quindi un forte rischio il fatto di appoggiare il matrimonio progettato di suo
cognato e, con questo, compiere un gesto nei confronti della propria moglie.
È proprio in seguito al fallimento della pace di Gmunden-Korneuburg che,
nel 1478, ebbe luogo a Olmütz la pace tra Vladislao e Mattia in cui, considerando
la situazione esistente, conclusero la guerra promossa per l’ottenimento della
corona della Boemia. Alle trattative di pace era presente anche Beatrice, la quale
vedendo la riuscita dell’atto di pace propose la sua prima mossa in politica.
Dalla lettera della duchessa Eleonora dell’estate del 1481 sappiamo che aveva
in progetto il matrimonio delle nipoti con Vladislao Jagellone. Eppure, Eleonora rifiutò in maniera decisa la proposta avanzata a Isabella d’Este oppure
a Beatrice d’Este, esponendo a lungo i progetti di matrimonio ferraresi che,
certamente, erano risaputi anche a Buda.31 Nel rapporto tra le due sorelle negli
anni a venire si percepisce qualche tensione e rivalità. Soprattutto nel periodo
della guerra contro Venezia,32 negli scambi di lettere degli anni 1482–1484,33
si ha la sensazione che Beatrice si fosse posizionata come colei che conosce
tutto su tutto e, guardando gli eventi quasi da lontano, evitava di eseguire le
richieste di Eleonora e di Ercole che volevano spingere Mattia a partecipare
attivamente alla guerra contro i veneziani. Certamente qui interpretava il punto
di vista di Mattia il quale, facendo riferimento innanzitutto al pericolo turco, si
teneva lontano dalla lega. Eppure Beatrice, con le sue lettere impassibili in cui
non si vede nemmeno la preoccupazione per la salute fisica del marito, vuole
raggiungere una posizione decisamente più vantaggiosa.34
Fino ai primi anni del 1480 Beatrice cercò di posizionarsi entro i limiti
diplomatici-dinastici portati con sé da casa, anche se i suoi progetti volti a
31
03 giugno 1481: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
XXXII, 45–47.
32
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 242; Zs. Teke: ‘Az itáliai államok…’, op.cit.:
262; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 41–43. Guerra nella sua opera assegna erroneamente a questa
lettera la data del 1484.
33
30 marzo 1482: T T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
XXXIV, 48–49; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 31–32, MNL OL DF 295011; 06 maggio 1482: ibid.:
32–34; 14 maggio 1482: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…,
op.cit: XXXVIII, 53–54; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 35–36; 31. maggio 1482: MDE III. 10. 13–14;
ibid.: 36–37, MNL OL DF 295012-295013; 08 giugno 1482: ibid.: 38–39, MNL OL DF 295015-295016.
34
E. Guerra: ‘Niuna cosa violenta pò essere perpetua’…, op.cit.: 46, 50.
384
Ilona Kristóf
combinare matrimoni erano destinati a fallire uno dopo l’altro. Mattia si fece
coinvolgere nella politica italiana solo nel tempo e nella misura in cui i suoi
interessi attuali lo indirizzavano e, in ciò, sua moglie non poté esercitare su di
lui nessuna influenza. Ai posteri, comunque, a sembrare una prova di potenza
di Beatrice non furono questi tentativi, bensì la nomina di Giovanni d’Aragona
ad amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Esztergom.
Il fratello della regina, Giovanni d’Aragona poté vantare una carriera ecclesiastica promettente. Alla fine del 1479 il giovane cardinale, che ha appena
compiuto i venti anni, arrivò in Ungheria in qualità di legato apostolico di papa
Sisto IV per trattare con il re sulla guerra antiturca. Poco dopo il suo arrivo,
il 1 febbraio 1480, Mattia gli conferì la dignità di arcivescovo di Esztergom.
Ad essere più precisi poté conferirgli solo l’amministrazione dell’arcidiocesi,
dal momento che János Beckensloer (Johann Beckenschlager/Beckenschläger),
che era fuggito a Salisburgo e si era posto sotto la protezione dell’imperatore
Federico III, portava formalmente ancora l’ufficio di arcivescovo di Esztergom.
La storiografia ungherese è concorde nel considerare ben pensata la scelta di
Giovanni d’Aragona da parte di Mattia, risultato della conclusione tratta dai
suoi conflitti precedenti.35 Il giovane di grandi speranze, essendo già cardinale,
risultava accettabile: non conoscendo la politica ungherese il re non dovette
temere che gli si sarebbe opposto, contava inoltre che non sarebbe rimasto per
lungo tempo in Ungheria. Certamente influenzò la decisione del re anche il fatto
che il neonominato arcivescovo era anche parente di sua moglie, ma un fattore
ancora più incidente dovette essere anche la considerazione di poter avere un
cardinale arcivescovo, lontano dalla sua sede, che avrebbe rappresentato gli
interessi del re ungherese alla curia pontificia.36 Oltre tutto questo va ricordato anche che, nelle lettere di Beatrice, non c’è alcuna traccia in cui risulti
che si fosse occupata della nomina del fratello. Certamente dobbiamo tener
presente il calo delle fonti, ma sembra proprio che, intorno al 1480, Beatrice
si preoccupasse solo di sposare i suoi parenti, e sia stata del tutto insensibile
alla corte ungherese, alla politica interna ungherese, ma anche al peso politico
ed economico della sede arcivescovile.37 Forse è stato in questi anni che ha
35
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 243.
Ibid.: 140–141; P. Tusor: Purpura Pannonica. Az esztergomi “bíborosi szék” kialakulásának
előzményei a 17. században (Collectanea Vaticana Hungariae Vol. 3), Budapest & Roma, 2005:
44–48.
37
18 marzo 1486: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 59–62, MNL OL DF 295025. Beatrice ha
menzionato una volta il fratello defunto in questa lettera: “Essendo nui tribulata et affannata
per la cruda nova de la morte de la felice memoria del signore cardinale, nostro commune frate”.
36
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
385
notato l’importanza dell’arcidiocesi di Esztergom, diventata presto il centro dei
suoi progetti.
Il suo ruolo politico e la sua autorappresentazione cambiarono verso la metà
degli anni Ottanta del Quattrocento e andarono oltre la consueta prassi e le
aspettative precedenti. Da una parte alla metà del decennio, dopo la morte
della suocera, ebbe la proprietà integrale dei possedimenti della regina e ciò
confermò la sua posizione economica. Dall’altra la sua sterilità risultava un
problema sempre più grave, entrò quindi in scena anche il figlio naturale di
Mattia, Giovanni Corvino. I conferimenti di possedimenti terrieri a Giovanni
Corvino e, come successore al trono ungherese, il suo previsto matrimonio
milanese con Bianca Maria Sforza, non mettevano a rischio solamente i progetti
dinastici di Beatrice, ma anche la sua stessa posizione.38 Fece comunque un ulteriore tentativo per neutralizzare la situazione, diventata per lei problematica:
offrì a Giovanni Corvino la mano della figlia di suo fratello, il già menzionato
Federigo, che nel frattempo aveva sposato Anna di Savoia ma era già rimasto
vedovo. Mattia ritenne tuttavia più importante l’alleanza con Milano, perciò nel
1485 si cercò di tenere segrete, dinanzi a Beatrice, le trattative sul matrimonio.39
Chiaramente in questo modo Mattia poté solo guadagnare del tempo, perché
l’ambasciatore ferrarese presso la corte milanese, già nella primavera del 1485,
riferì alla duchessa Eleonora del fidanzamento che si intendeva tenere nascosto
e, di conseguenza, il fatto non poté restare un segreto nemmeno davanti a
Beatrice. La regina dovette vedere in questo il totale fallimento del suo metodo
per far valere i suoi interessi. Alla metà di ottobre del 1485 si spense a Roma
Giovanni d’Aragona40 e, la sede arcivescovile, rimasta in questo modo vacante,
destò l’attenzione anche di Beatrice. Fu a questo punto che oltrepassò i limiti
a lei imposti: nel dicembre del 1485 Perotto Vesach, personaggio dell’ambiente
della regina, scrisse alla duchessa Eleonora a Ferrara che il re, vedendo il profondo lutto della regina per via della morte del fratello, le aveva affidato la sorte
della sede arcivescovile di Esztergom. Potremmo aggiungere che questa grazia
da parte di Mattia fu una ricompensa per le ingiustizie subite e che, quindi,
un altro parente napoletano alla guida dell’arcivescovado si inseriva benissimo nei progetti del re. Nel dicembre del 1485 Vesach non era ancora sicuro
della persona scelta e, certamente spinta da Beatrice, la duchessa Eleonora si
38
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 244.
19 marzo 1485: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
XLVIII, 70.
40
E. Pásztor: ‘Giovanni d’Aragona’, in: Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 3, 1961.
39
386
Ilona Kristóf
apprestava a compiere dei passi nell’interesse del piccolo Ippolito d’Este. Per
destare l’interesse di Eleonora, Perotto da Vesach accennò alle entrate cospicue
dell’arcivescovado di Esztergom, nominandolo un “piccolo papato” per il giovane duca.41 I conflitti diplomatici intorno all’arcivescovado di Ippolito sono
ben documentati, in questa sede intendo presentare solo la concezione che se
ne formò Beatrice.
Tra il marzo del 1486 e il giugno del 1487 i corrieri percorsero il tratto tra
Ferrara e Buda con un’intensità mai vista prima. Il tono delle lettere di Beatrice
cambiò sensibilmente. Da una parte fece sentire la sua supremazia sulla sorella
maggiore, considerata più fortunata in tutti i campi, comunicando con un tono
inappellabile le sue idee alla corte ferrarese.42 Optare per Ippolito era sembrata
a Beatrice una scelta molto consapevole, utilizzando ancora la procedura Aragonese basata sulla famiglia. L’impressione è che abbia cercato di introdurre
“il modello domestico” all’interno della corte ungherese, in particolare per quel
che riguardava l’educazione dei figli dei suoi parenti. Sappiamo da una lettera
di Nicolò Sadoleto del 1482 che la coppia ducale aveva promesso a Beatrice, in
occasione della sua visita a Ferrara durante il tragitto verso l’Ungheria, che le
avrebbero inviato uno dei figli, sotto le ali protettive della zia regina.43 Ebbene,
Beatrice prese la sorella sulla parola. Certamente nelle sue lettere sottolineò
gli sforzi che aveva compiuto per assicurare fortuna al nipote, si aspettava
quindi anche la loro gratitudine. D’altra parte gestiva il fatto come una causa
personale: nelle sue lettere si colgono sempre di più sentimenti individuali.44
Assicurò alla sorella, che le scriveva dei suoi sentimenti materni, che anche
lei aveva sentimenti del genere, chiamando se stessa “l’altra madre” e Ippolito
“nostro comune figliolo”. Nei mesi di attesa accadeva anche che si mettesse a
lodare la bellezza del ragazzo. Per lei l’occupazione della sede arcivescovile di
41
06 dicembre 1485: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
LII, 73–75.
42
06 marzo 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
LVI, 81–84, MDE III. 67, IV. 367; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 46, MNL OL DF 295019; ibid.: 47,
MNL OL DF 295020; 08 marzo 1486: ibid.: 48–51, MNL OL DF 295021; ibid.: 49–55, MNL OL DF
295022; ibid.: 56–57, MNL OL DF 295023; 03 aprile 1486: ibid.: 64–65, MNL OL DF 295027.
43
N. Mátyus: ‘Nicolò Sadoleto követjárása Magyarországon (1482–1483)’, in: Gy. Domokos, J.
W. Somogyi & M. Szovák (eds.): Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a
tizenöt éves háború idejéről, Budapest: Balassi Kiadó, 2020: 150–164. pp. 156–157; 11 settembre
1482: MNL OL DF 294380.
44
V. Rees: ‘ “A woman of valour”: Towards…’, op.cit.: 14.
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
387
Esztergom divenne sicuramente una questione di prestigio, un suo successo.45
L’importanza della cattedra arcivescovile è dimostrata dal fatto che anche le
comitive italiane del giovane arcivescovo erano assemblate con cura. Non solo
i genitori d’Ippolito, la regina Beatrice, ma anche il re Mattia presero parte alla
selezione dei membri della comitiva e della corte. Proprio per questo divenne
sempre più impaziente con l’andare del tempo, quando il malaticcio Ippolito
venne fatto partire da Ferrara solo nell’estate del 1487.46 Forse non è un caso nemmeno il fatto che il piccolo Ippolito, arrivato finalmente in Ungheria,
dovette aspettare delle settimane a Zagabria per avere istruzioni su dove seguire il re e “l’altra madre”…47 Il piccolo arcivescovo di Esztergom soggiornò
spesso nei pressi della coppia reale.48 Sebbene i membri della corte di Ippolito
a Esztergom fossero stati selezionati con cura e attenzione, le idee iniziali del
re e della regina si realizzarono solo in parte. Le intenzioni di entrambi erano
chiare: un controllo più stretto sull’arcidiocesi di Esztergom offriva vantaggi
finanziari e di potere. Benché questo fosse l’unico caso in cui si può dimostrare
l’influsso di Beatrice e il suo successo, la presenza di un suo parente in Ungheria,
45
13 aprile 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit:
LIX, 87–88; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 66–67; 25 aprile 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics &
A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXII, 100; E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 71–72,
MNL OL DF 295029; 28 aprile 1486: ibid.: 71–72, MNL OL DF 295030; 02 maggio 1486: ibid.: 72–
74, MNL OL DF 295031; 05 maggio 1486: ibid.: 75–76, MNL OL DF 295032; 07 maggio 1486: ibid.:
76–77, MNL OL DF 295042; 17 giugno 1486: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.):
Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXVII, 104–105; 04 agosto 1486: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 78–
79, MNL OL DF 295043, ibid.: 79–80, MNL OL DF 295044; ibid.: 80–82, MNL OL DF 295045; 13
agosto 1486: ibid.: 82–85, MNL OL DF 295046; 14 agosto 1486: ibid.: 85–86, MNL OL DF 295048;
15 agosto 1486: ibid.: 86, MNL OL DF 295049; 06 novembre 1486: ibid.: 92–93, MNL OL DF 295052;
04 s.m. 1487: ibid.: 94–95, MNL OL DF 295055; 06 gennaio 1487: ibid.: 97–100, MNL OL DF 29572–
1; 10 marzo 1487: ibid.: 111–114; 17 aprile 1487: ibid.: 114–115, MNL OL DF 295102; 25 maggio
1487: ibid.: 119–120, MNL OL DF 295106; 27 maggio 1487: ibid.: 122–123; 17 giugno 1487: ibid.:
124–125.
46
H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”. Az
esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, in: Történelmi Szemle LXIII/3, 2021:
323–383, pp. 326–330. 30 giugno 1487: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 126–127, MNL OL DF
295107; 10 luglio 1487: ibid.: 127–128, MNL OL DF 295108; ibid.: 129–131, MNL OL DF 295110.
47
Anche Beatrice ha espresso la sua gioia per l’arrivo di Ippolito in una lettera a lui indirizzata,
fornendo dettagli sulla sua comitiva ungherese e sul suo itinerario in Ungheria: 30 giugno 1487:
MNL OL DF 295107.
48
A. Morselli: Ippolito I d’Este, e il suo primo viaggio in Ungheria (1487), Modena: Accademia
di Scienze Lettere e Arti di Modena, 1957: 58; H. Kuffart & T. Neumann: “‘Olyan szép…’, op.cit.:
332–335; A. Bonfini: Rerum…, op.cit.: 4.8.50.
388
Ilona Kristóf
l’arcivescovo di Esztergom, ormai non cambiò molto la posizione della regina.
Ciò dimostra che era consapevole della sua fragile situazione e, dalle lettere
alla sorella, si evince che non ha mai perso la speranza di generare un erede al
trono.49 Dopo l’estate del 1487 gli scambi epistolari tra le sorelle divennero di
nuovo più rari: dalle lettere della regina vengono a mancare le espressioni di
un coinvolgimento sentimentale. Beatrice tornò al suo stile freddo e distaccato
di un tempo, condividendo soprattutto informazioni politiche con la sorella e il
cognato.50 La regina dedicò, negli anni successivi, tutte le sue energie e tutti i
suoi sentimenti ad ostacolare il previsto matrimonio di Giovanni Corvino.51
Il conflitto arrivò al culmine quando il re, suo figlio naturale e la regina si
insultarono con parole pesanti e il re concluse la lite con un’agressione fisica.52
Ecco, questi sono i passi di Beatrice che dimostrano il suo coinvolgimento
sentimentale e che erano contrari alle abitudini dell’epoca, generando l’opinione negativa dei contemporanei e dei posteri, non solamente riguardo alla
sua natura difficile. Questi gesti vennero proiettati anche come il suo presunto
influsso, a posteriori, fino al suo primo incontro con il re.53
In maniera paradossale, la politica feudale di Mattia negli anni 1480 rese
ricchi contemporaneamente sia suo figlio naturale che sua moglie. Ciò permise
poi a Beatrice, dopo la morte di Mattia, di esercitare, anche se per poco tempo e
con risultato dubbio, una potenza politica capace di influenzare il paese tramite
il suo matrimonio contratto con Vladislao II.54 Allo stesso tempo, la corrispondenza diplomatica prima della morte del re Mattia rivelò che, nel 1489, Beatrice
si considerava in grado di governare non solo in riferimento ai possedimenti
della regina e alla sua presunta futura vedovanza, ma anche in virtù della sua
49
04 gennaio 1487: E. Guerra: Il carteggio…, op.cit.: 95–97, MNL OL DF 295056.
26 novembre 1487: ibid.: 135, MNL OL DF 295115; 20 gennaio 1488: ibid.: 136–137, MNL OL
DF 295118; 20 febbraio 1488: ibid.: 139–140, MNL OL DF 295121; 9 marzo 1488: ibid.: 141; 03
aprile 1488: ibid.: 142, MNL OL DF 295123; 06 luglio 1488: ibid.: 153–154; 23 settembre 1488: ibid.:
157–158, MNL OL DF 295129; 19 novembre 1488: ibid.: 159–160; 13 gennaio 1490: ibid.: 173–174,
MNL OL DF 295150.
51
V. Rees: ‘ “A woman of valour”: Towards…’, op.cit.: 9; 30 agosto 1487: T. Gerevich, E. Jakubovics
& A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: LXX, 109–110; 03 settembre 1487: ibid.: LXXI,
110–112; 20 maggio 1489: ibid.: XCI, 134–136.
52
18 settembre 1489: ibid.: XCIV, 138–140.
53
Attila Bárány ha espresso un parere simile esaminando la politica estera italiana del re Mattia.
A. Bárány: Magyarország nyugati külpolitikája (1458–1526). Angol-magyar kapcsolatok Mátyás és
a Jagellók korában I, Debrecen, 2014: 78.
54
R. Horváth: ‘A “mérges” Beatrix…’, op.cit.: 171.
50
Beatrice d’Aragona nel ruolo “materno” e politico
389
educazione.55 A lungo andare anche l’arcivescovado di Ippolito d’Este giocò
in favore della regina, anche se non nel modo da lei previsto. Dopo il 1490,
quando gli argomenti delle lettere diplomatiche consistevano soprattutto nei
particolari relativi al suo matrimonio segreto con Vladislao II, lei stessa non
fu ormai capace di compiere attivamente passi diplomatici, per molti anni fu il
nipote a offrirgli rifugio a Esztergom.56
La ricerca sul periodo di vita tra il 1490 ed il 1508 sarà un argomento di altre
ricerche. Secondo quanto mi ero prefissata, ho cercato di offrire un abbozzo
di quello che fu il potere di Beatrice e delle possibilità che questo ebbe di
evolversi durante la vita di Mattia, volendo con questa ricerca rendere più
sfumata l’immagine negativa che si era creata di lei. Ho cercato di contrapporre
ai fatti in cui aveva obbedito alle aspettative nei suoi confronti quelle sue azioni
che andavano invece contro le norme e che, in un certo senso, avevano ottenuto
un risultato positivo, sottolineando anche l’immagine che lei voleva comunicare di sé. Riassumendo si può affermare che il potere e l’influenza di Beatrice, nonostante le sue manifestazioni vistose verso l’estero, furono dipendenti
unicamente dalla volontà del marito.
Traduzione di György Domokos
55
27 settembre 1488: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…,
op.cit: LXXXIII, 124–126, 11 marzo 1489: ibid.: LXXXIX, 132–133.
56
P. E. Kovács: ‘Magyarország és Nápoly…’, op.cit.: 245, 13 giugno 1491: T. Gerevich, E. Jakubovics & A. Berzeviczy (eds.): Aragoniai Beatrix…, op.cit: CXXXIV, 190–191, MNL OL DF 295151;
29. dicembre 1491: ibid.: CXLIX, 209.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
“[…] cariche de perle tanto argente non ha
Milano, Cremona ne Ferrara insieme” – Tessuti
liturgici medievali ricamati con perle nel Tesoro
della Cattedrale di Esztergom1
Ágnes Szabó
Università Cattolica Pázmány Péter
szaboagnes8@gmail.com
Abstract
Modenese cleric, Giovanni Maria Parenti, member of the entourage of young Ippolito
d’Este arriving in Hungary in 1486 mentions the treasuries of Esztergom Cathedral
in his diary. On the basis of his statements, this study aims to collect all written
sources, mainly inventories of the former treasury of the Cathedral, referring to pearl
embroidered liturgical textiles in order to recognize the volume and type of pearl
embroidered paraments in Hungary’s oldest treasury. Besides the Esztergom registers,
the investigation reckons with the existing inventories of Late Medieval Hungary’s
ecclesiastic centres to reveal the phenomenon of pearl embroidered garments in a wider
geographical context. The study is a first step of widespread research in the field of
Central-European pearl liturgical textiles from the Middle Ages.
Cesare Valentini fu inviato come ambasciatore a Esztergom per preparare
l’arrivo di Ippolito d’Este, figlio della coppia ducale di Ferrara, il 7 giugno 1486.
Giovanni Maria Parenti, ecclesiastico di origine modenese che era segretario di
1
Il mio studio è stato presentato al convegno congiunto dell’Archivio di Stato di Modena e
del Gruppo di Ricerca “Vestigia” dell’Università Cattolica Péter Pázmány, Budapest (‘Dal Po al
Danubio. I rapporti tra la Corte Estense e l’Ungheria attraverso i secoli’, il 7‒8 maggio 2021). La
mia ricerca è stata sostenuta da viaggi di studio all’estero resi possibili dal Programma di Ricerca
di Storia dell’arte di Isabel e Alfred Bader dell’Accademia Ungherese delle Scienze, per cui vorrei
esprimere la mia gratitudine. Grazie ad Ágnes Veres per la traduzione italiana del testo.
392
Ágnes Szabó
Valentini all’ambasciata ferrarese, scrisse un diario di 12 pagine del suo viaggio
in Ungheria, in cui riportò alcune frasi sulle sue esperienze nel castello e nella
cattedrale di Esztergom, compresi i ritratti dei monarchi che aveva visto nel
primo e i tesori della cattedrale, che commentò come segue:
“Ha etiam tante reliquie che è cosa stupenda brazzi d’arzente e d’oro, cristalli
ce è tal calice che vale più de 1000 ducati ce son pianete col resto da cantar messa
in pontificale cariche de perle tanto argente non ha Milano, Cremona ne Ferrara
insieme. Io non ne potria dir tanto che più non ne fusse vale innumerabile
migliara de ducati.”2
Ispirandosi alle parole di Parenti, il presente studio ha lo scopo di ricostruire,
in base alle fonti scritte e ai materiali disponibili, la suppellettile della fine del
XV secolo della cattedrale di Esztergom, con particolare riguardo ai tessuti
liturgici. La citazione riportata sopra parla della presenza significativa dell’uso
delle perle sulle casule, mettendo in evidenza la questione tipologica dei loro
ricami, più precisamente la differenza nello stile tra le casule ricamate con perle
e quelle italiane, decorate con l’oro velato.
Gli studi di Éva Kovács sull’arte del tesoro medievale ungherese e sull’insieme delle insegne dell’incoronazione si sono incentrate, in precedenza, sui
dettagli perlati degli oggetti in Ungheria.3
Le ricerche di Árpád Mikó hanno richiamato la mia attenzione sulle suppellettili liturgiche decorate con perle delle tesorerie dei centri ecclesiastici del
Regno Ungherese e sulla loro storia.4
2
DF294488; Il diario di viaggio citato di Giovanni Maria Parenti è stato scoperto da Hajnalka
Kuffart, membro del Gruppo di Ricerca “Vestigia”, durante il suo viaggio di ricerca a Modena
nel 2019. Vorrei ringraziarla per aver portato la fonte alla mia attenzione e avermela messa a
disposizione. Il diario di viaggio di Parenti è pubblicato in questo stesso numero di Verbum. Vedi
anche H. Kuffart & T. Neumann: ’ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában”. Az
esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, Történelmi Szemle 3, 2021: 323‒382,
p. 328.
3
É. Kovács: ‘Koronázási infula’, in: Á. Mikó & I. Takács (eds.): Pannonia Regia. Művészet a Dunántúlon 1000–1541, Budapest: Magyar Nemzeti Galéria, 1994: 531‒533; É. Kovács: ‘Casula Sancti
Stephani Regis’, in: É. Kovács: Species Modus Ordo, Budapest: Szent István Társulat, 1998: 15‒56,
pp. 19, 47; É. Kovács: ‘Anjou-kori ötvösdíszű mitrák; Textilek, címerek’, in: E. E. Marosi (ed.):
Magyarországi művészet 1300‒1470 körül, I. kötet, Budapest: Akadémiai Kiadó 1987: 227‒229,
p. 228.
4
Á. Mikó: ‘Bornemisza (Abstemius) Pál veszprémi püspök mitrája’, Á. Mikó & I. Takács
(eds.): Pannonia…. op.cit.: 536‒538; Á. Mikó: ‘Bornemisza (Abstemius) Pál püspök végrendelete
1577-ből’, Művészettörténeti Értesítő 1996: 203–221; Á. Mikó: ‘A középkori váradi székesegyház
gyöngyhímzéses paramentumai és ezüsttárgyai Bornemissza Gergely püspök hagyatékában
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
393
Evelin Wetter, nelle sue ricerche sui ricami provenienti dal territorio del
Regno Ceco, ha riferito anche sui paramenti ricamati con perle trovati negli
inventari cechi del XIV secolo, sottolineando che le decorazioni di perle in essi
registrate potevano essere di diversi tipi: gli amitti, le croci di casule decorate
con ricami a rilievo, o le croci di paramenti ricamate ad ago usavano perline di
diverse proporzioni.5 Nel suo lavoro ha anche evidenziato che le vesti, arricchite
abbondantemente di perle, erano considerate eccezionali nel XIV secolo e, di
solito, venivano donate alle tesorerie delle chiese dai sovrani, dai nobili o da alti
dignitari ecclesiastici.6 Più recentemente, nel suo catalogo dei corredi liturgici
della Chiesa Nera di Braşov (RO), ha affrontato il problema dei paramenti con
rilievi ricamati con perle dell’Europa centrale, delineando i legami stilistici
tra gli esempi mitteleuropei.7 Il presente studio, basato sugli inventari noti e
sugli oggetti della collezione del Tesoro di Esztergom, cerca di fare il punto sui
diversi tipi di casule appartenenti alla Cattedrale di Esztergom alla fine del XV
e all’inizio del XVI secolo, collegandosi così anche alla ricerca sui paramenti
ricamati con perle in Ungheria.
Riflettendo sulle parole citate da Giovanni Maria Parenti ed esaminando le
suppellettili liturgiche delle cattedrali di Ferrara e Milano nella seconda metà
del XV secolo, risulta che negli inventari di entrambe le chiese vengono menzionati pochi oggetti decorati con perle rispetto al numero totale dei paramenti
liturgici. L’inventario del 1462 della cattedrale di Ferrara registra sette vesti
liturgiche ricamate con perle: una mitra, due paia di chiroteche, una bursa, un
piviale, una pianeta (questi ultimi due, in base alla loro descrizione, erano parte
di un unico ornamento) e un’altra pianeta.8 Siccome la presenza della perla vera
(Kassa, 1588)’, Művészettörténeti Értesítő 2, 2011: 285–292; Á. Mikó: ‘Főpapi kincstárak a 16.
század második felében Magyarországon’, in: Sz. Varga & L. Vértesi (eds.): Egyházi társadalom
a magyar királyságban a 16. században (Seria Historiae Diocesis Quinqueecclesiensis XVII), Pécs:
PHF, 2017: 319‒330.
5
E. Wetter: Böhmische Bildstickerei um 1400. Die Stiftungen in Trient, Brandenburg und Danzig.
Berlin: Gebr. Mann Verlag, 2001: 23.
6
Ibid.: 20‒23.
7
E. Wetter: Liturgischen Gewänder in der Schwarzen Kirche zu Kronstadt in Siebenbürgen,
Abegg-Stiftung, 2015: Kat.14., pp. 337‒343.
8
Ferrara: “(147) Unum pluviale de carmexino de auro riçato cum uno pulcerimo frixo recamato
de auro et perlis cum figuris cum caputio suo recamato de auro cum s. Georgio super equo
cum ficho. (148) Item unam planetam eiusdem panni auri cum frixo recamato ut supra. (181)
Unam planetam de panno serico carmixino brocato de auro cum uno frixo de veluto nigro cum
canibus multis recamatis de perlis et sepibus de auro cum armis illorum de Tiapretis.” E. Peverada:
Suppellettile liturgica nella cattedrale di Ferrara in un inventario del 1462, Ferrara: Centro Culturale
di Ferrara, 1981: 86–87; 95–96.
394
Ágnes Szabó
aveva un valore convertibile in denaro, è improbabile che questa forma di decoro sia sfuggita all’attenzione dei redattori degli inventari, ma è più probabile
– come vedremo in seguito – che si tratti di un tipo diverso di decorazione
in Italia. A proposito del piviale e della pianeta elencati nell’inventario come
parte di un unico ornamento complesso, Enrico Peverada ha anche scoperto
delle fonti precedenti per la realizzazione delle vesti sacerdotali. Da qui sappiamo che, nel marzo del 1452, il mansionario episcopale, su ordine del vescovo
Francesco da Padova, tra le altre cose, pagò 10 ducati d’oro per una collana di
perle dal peso di un’oncia e mezza, contenente 1500 perle, per poter decorare
le aureole delle figure della pianeta che il vescovo desiderava.9 In base al testo
possiamo precisare che soltanto le aureole dei santi erano impreziosite da perle.
La maggior parte dei paramenti ritrovabili nell’inventario, però, era decorata
con dei ricami a filo d’oro ‒ il cosiddetto ricamo di or nué – rappresentanti
delle figure o delle storie.
Emerge un quadro simile esaminando l’inventario della basilica di Milano
composto nel 1453. Qui troviamo solamente una mitra, due pianete e due paliotti perlati. Le perle sono presenti in gran numero soltanto sugli amitti.10 La
decorazione degli amitti con perle, tuttavia, può essere considerata tradizionale nel Medioevo.11 La perla vera, che arrivava a Milano principalmente dal
mercato veneziano e dalla Spagna, era tipicamente usata per fare bottoni sulle
suppellettili delle cattedrali.12
Gli esempi di Ferrara e di Milano, però, non sono eccezionali in Italia. Nono9
“per una cholana de perle che pexò onz. una e meza e anumerò perlle millecinquanta per le
diademe de le figure suxo la pianeda fa fare el dito mess. Francesco da Padoa vennero pagati
a mess. don Stefano mansionario in vescovado, adì 29 de marzo 1452, duch. X d’oro m. a S 49
d. 3 […]”, Peverada: Suppellettile…, op.cit.: 88; La decorazione perlata delle aureole delle figure
ricamate dei santi è ritrovabile anche alla fine del XIV secolo. Evelin Wetter menziona la croce
della pianeta di Trento. E. Wetter: Böhmische…, op.cit.: 23; D. Cattoi: ‘I ricami negli antichi
inventari: Regesto’, in: D. Primerano (ed.): Una storia a ricamo. La ricomposizione di un raro ciclo
boemo di fine Trecento, Trento: Tipografia Editrice Temi s.a.s., 2011: 80.
10
“(111) Item planeda una veluti celestis cum croxera in pectore recamata cum capitibus leonum
et certis roxetis perlarum. (152) Item planeda una zetonini nigre avelutati, recamati cum certis
foleis et perlis cum croxera zetonini raxi rubei abrochati auro cum cordis cum grupis et foleis
absque insigniis fodrata bombaxine celestra.” M. Magistretti: ‘Due Inventari del Duomo di Milano
del sec. XV’, Archivio Storico Lombardo 36, 1909: XII, pp. 285‒362.
11
P. Johnstone: High Fashion in the Church, Leeds: Maney, 2002: 8; J. Braun: Das liturgische
Gewandt im Occident und Orient, Intank publishing, [1907] 2018: 57–65.
12
P. Venturelli: Glossario e Documenti per la Gioielleria Milanese 1459‒1631, Milano, 1999: p. 104;
Nell’area milanese e lombarda per decorare la superficie dei tessili veniva utilizzato anche un
particolare elemento decorativo, il magete, conosciuto anche come magetta, magieta, maglietta.
Questi minuscoli anelli piatti di metallo, argentati, dorati o di ottone, simili a paillettes, si trovano
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
395
stante la presenza di perle nella decorazione degli indumenti laici, tra le vesti
liturgiche predominava il ricamo a filo d’oro come decorazione principale.13
Mentre nell’Italia settentrionale, a Milano e a Venezia come centri, prevalgono
gli artigiani ricamatori lombardi con i loro ricami caratteristici di tipo San
Marco (Venezia), a Firenze troviamo, sulle vesti sacerdotali, soprattutto i ricami
disegnati dalle grandi manifatture del dipinto. Una delle maggiori imprese del
lavoro di ricamo nel Quattrocento è legata proprio a Firenze. Si tratta della collezione di vesti liturgiche fatta per il Battistero della città, i cui ricami sono stati
disegnati da Antonio Pollaiuolo. Questi paramenti, fatti tra il 1466 e il 1487, sono
dei capolavori veri e propri dell’epoca non solo per la monumentalità del lavoro,
ma anche per la tecnica adoperata, cioè per il ricamo a filo d’oro. Dai documenti
scritti durante la realizzazione delle vesti si chiarisce che, già nel 1470, cioè
nella prima fase dei lavori, si presentò l’idea della decorazione con perle, che
però fu abbandonata l’anno successivo: “perle non si mettino sopra i paramenti
ricamati che si fanno per la chiesa di S. Giovanni”.14 Malgrado le fonti abbiano
registrato l’omissione della perlinatura nella decorazione liturgica, le ricerche
eseguite durante gli ultimi lavori di restauro suppongono una certa presenza,
in passato, delle perline.15 Non si può quindi escludere, nell’elaborazione dei
dettagli raffinati dell’opus fiorentinum, l’uso della simbologia e dell’eleganza
formale della perla vera, si può tuttavia affermare che questa non era una
caratteristica presente negli splendidi ricami fatti con una combinazione di filo
d’oro e fili di seta colorati.
su tessuti sia liturgici che laici. Ch. Buss: Silk, Gold, Crimson. Secrets and Technology at the Visconti
and Sforza Courts, Milano: Silvana Editoriale, 2009: 51.
13
Nel 1488, per sposare Isabella d’Aragona, giunse a Napoli una delegazione milanese straordinariamente pomposa. Nel magnifico corteo nuziale al seguito di Hermes Maria Sforza spiccava
Rolando Pallavicino per le sue vesti dalle maniche adornate di grandi perle, zaffiri e rubini. I
documenti contemporanei, tuttavia, menzionano anche l’abito di seta dei servi, la cui manica
sinistra era ricamata con filo d’argento e perle. P. Venturelli: La moda alla corte degli Sforza.
Leonardo da Vinci tra creatività e tecnica, Milano: Silvana Editoriale, 2019: 16; M. Carmignani:
‘Ricami ecclesiastici del Rinascimento’, in: L. Dal Prà, M. Carmignani & P. Peri (eds.): Fili d’oro e
Dipinti di seta. Velluti e ricami tra Gotico e Rinascimento, Trento, 2019: 35.
14
A. Wright: The Pollaiuolo Brothers: the Arts of Florence and Rome, New Haven: Yale University
Press, 2005: 261; 475; A. di Lorenzo & A. Galli (eds.): Antonio and Piero del Pollaiuolo, Milano:
Skira, 2014: 186; A. Galli & F. Siddi: ‘Antonio del Pollaiolo e il Parato di San Giovanni’, in: M. Ciatti
et al. (eds.): Segni di maraviglia. I Ricami su Disegno del Pollaiolo per il Parato di San Giovanni.
Storia e Restauro, Firenze: Mandragora, 2019: 57.
15
S. Conti & L. Triolo: ‘Una struttura architettonica in miniatura: la tecnica esecutiva dei ricami
per il Parato di San Giovanni’, in: M. Ciatti et al.: Segni…, op.cit.: 101.
396
Ágnes Szabó
Leggendo la breve descrizione di Parenti sul Tesoro di Esztergom invidiandolo per aver potuto vedere, nella loro forma originale, degli oggetti dell’epoca
che da allora hanno subito cambiamenti, i paramenti liturgici della sede reale di
un tempo e della sede arcivescovile di allora potevano sembrare, al viaggiatore
ferrarese, una vera e propria novità.
Anche se l’intera cattedrale di Esztergom ‒ a differenza delle città italiane
menzionate prima ‒ non dispone di un inventario dalla metà del XV secolo,
i cataloghi dell’inizio del XVI secolo ci danno alcuni indizi sulla composizione
precedente dei corredi liturgici. L’unico inventario del XV secolo che può essere
collegato alla cattedrale di Esztergom, fu scritto nel 1484 e contiene solo l’elenco
delle proprietà della prepositura, che porta il nome del primo martire Santo Stefano. Dalla sua descrizione si delinea un’immagine di una proprietà riccamente
dotata, arricchita fin dall’inizio con donazioni, ma non si conoscono i dettagli
della decorazione dei pezzi, salvo il colore e il tessuto dei paramenti.16 Il primo
elenco che registra i beni di tutta la cattedrale, non solo di una prepositura o
di una cappella, risale al 1527, cioè all’anno successivo della sconfitta tragica
della battaglia di Mohács. Siccome le truppe nemiche dei turchi avanzavano
nel Paese, i tesori della cattedrale furono trasportati verso Nord, nella fortezza
vicina di Drégely. Reliquie, documenti, pianete e tanti tessili liturgici imballati ‒
che costituivano solo una parte dei tesori medievali della chiesa – furono messi
in quattro cassoni, dando avvio alla loro lenta dispersione.17 Dall’elenco del
1527 ‒ che fu scritto in gran fretta ‒ non possiamo ricostruire dettagliatamente
le vesti di allora, solo la quantità enorme degli oggetti portati via. Il terzo dei
quattro cassoni menzionati conteneva la “plena casularum cum cophijs”, ossia i
paramenti ricamati con scofium, cioè con filo di metallo prezioso.18 Il contenuto
del cassone purtroppo non è conosciuto, ma il numero dei paramenti liturgici
– 50 cappe, 40 dalmatiche, 54 casule, senza contare i paramenti delle cappelle
Kanizsai e Bakóc – che per essere salvati erano stati avvolti in tappeti, è eloquente.19 Il catalogo, che non è dettagliato e che fu evidentemente compilato in
16
Registrum factum super bonis et rebus Ecclesiae Collegiate Sancti Stephani prothomartyris
Castri Strigoniensis ad divinos cultus spectantibus. Archivio Privato del Capitolo Generale di
Esztergom (di seguito EF Mlt), Lad.53. Fasc.1 Nr.15. In: N. Fodor: Az esztergomi Főszékesegyházi
Kincstár leltárai 1397–1919 (manoscritto, sottomesso per la pubblicazione).
17
Á. Mikó: ‘Várday Pál esztergomi érsek hagyatéki leltára (1549) és az esztergomi egyház
kincseinek sorsa Mohács után’, Ars Hungarica 21, 1993: 61.
18
Il catalogo riporta un unico lotto di pezzi ricamati: otto scudi, presumibilmente per una cappa,
ricamati con filo d’oro: “(63) Scuta contexta ac acu elaborata in aureis filis VIII”, ibid.: 71.
19
Per l’etimologia dello scofium vedi: Gy. Zolnay: Magyar oklevél szótár – Pótlék a Magyar nyelv-
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
397
gran fretta, riporta un unico lotto di pezzi ricamati: otto scudi, presumibilmente
per una cappa, ricamati con filo d’oro.20
La prima fonte scritta che dà informazioni sui dettagli delle suppellettili
liturgiche della cattedrale di Esztergom è un registro compilato nel 1528.21
Figura 1: Prima pagina dell’inventario del 1528 del Tesoro di Esztergom,
Archivio Primaziale, Esztergom
Quest’elenco, nella sua terminologia, rappresenta un caso particolare rispetto
ai registri ulteriori, ciò perché descrive l’ornamentazione degli oggetti “cum
lapidibus pretiosis et gemmis […] ornata” o “decorata”, ossia con delle perle
e pietre preziose. Nel registro, tra gli oggetti ornati in questo modo, troviamo
delle casule con i loro appartenenti veli omerali e manipoli, nonché delle daltörténeti szótárhoz, Budapest, 1902‒1906: 511; L. Benkő (ed.): A magyar nyelv történeti–etimológiai
szótára 3. Budapest: Akadémiai Kiadó, 1976: 554‒555.
20
Á. Mikó: ‘Várday…’, op.cit.: 67–71.
21
Regestrum antiquum de rebus Capitulli Strigoniensis et capellae Thomae Archepiscopi
Strigoniensis. EF Mlt Lad. 85. Nr.1. In: N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.; J. Dankó: Történelmi, műirodalmi és okmánytári részletek az esztergomi főegyház kincstárából, Esztergom, 1880:
142‒144.
398
Ágnes Szabó
matiche e, naturalmente, delle mitre. I termini sopraccitati non li troviamo più
insieme negli inventari successivi. Dalla metà del XVI secolo in poi viene prevalentemente usato il termine cum cruce gemmata, probabilmente riferendosi alla
presenza dei ricami con perle.22 L’elenco non datato di Drégely, allegato all’inventario del 1528, contiene quindi dei paramenti decorati con pietre preziose e
perle. Delle venti voci registrate ce ne sono tre (un ornato “molto antico”, una
casula “molto preziosa” e dei frammenti “veramente splendidi”) menzionate in
questo modo, di cui due con un riferimento alla loro antichità.23 Altre tre croci
di casule erano inoltre ricamate con perle, ma tra i tesori salvati c’era anche
un paliotto perlato. Infine, ma non meno importanti, sono le tre infule: due di
esse erano “splendidamente decorate” con pietre preziose e perle, la terza era
“riccamente” ornata di perle.24
Nel 1549, nell’inventario dell’eredità di Pál Várday, che salvò una parte dei
tesori di Esztergom nel già citato castello di Drégely, troviamo sei casule con
croci ricamate con perle, altri due paliotti, tre vecchie infule e due pezzi di
tessuto perlati che, dopo la morte del prelato, furono conservati insieme ad
altri tesori della chiesa di Esztergom nella sacrestia del capitolo di Bratislava.25
Tra i registri dell’età moderna il primo e il più completo è quello del 1609,
in cui vengono menzionate 34 casule, delle quali sei erano adornate di una
croce ricamata con perle.26 Tre di queste possono essere identificate ancora
22
L’altro termine latino che si riferisce al ricamo con perle, “cum margaritis”, appare per la
prima volta negli inventari di Esztergom solo alla fine del XVII secolo, nel 1678.
23
“Item. Casula una de atlasio rubro satis antiqua unacum duabus dalmaticis humeralibus
et aliis attinentiis seu particulis etiam cum attinentiis capparum et manipulis cum lapidibus
pretiosis et gemmis valde speciose contexta et decorata. Item. Certe particule de flaveo et viridi
veluto et colore pro dalmaticis et cappis similiter valde speciose cum gemmis et parvis lapidibus
pretiosis ornate et fallerate, sed antique. Item. Casula una de albo veluto satis pretiose cum
filis aureis contexto cum cruce gemmata et parvis lapidibus pretiosis ornata omnes habens
attinentias.” J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 145; Un frammento, decorato con pietre preziose e
perline, si trova nel tesoro dell’abbazia di Klosterneuburg. Il frammento, che una volta serviva
come traversa sinistra della croce ricamata di una pianeta, mostra le figure ricamate a rilievo
e a mezzo busto di San Giovanni e San Paolo sotto un baldacchino. Le loro vesti erano un
tempo ricoperte di perline. Tra le figure dei santi e sulla cornice ci sono ornamenti di pietre
rosse e bianche incastonate in piccoli fiori a quattro petali. (Inv. Nr. KG 194.) W. Ch. Huber: Die
Schatzkammer im Stift Klosterneuburg. Verlag Janos Stefkovics, 2011: 151.
24
J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 146.
25
Á. Mikó: ‘Várday…’, op.cit.: 64‒65; 73‒84.
26
1) Una casula bianca intessuta d’oro, con il suo amitto, con il nome di Gesù ricamato con
pietre rosse e verdi e con perle. 2) Una casula bianca intessuta d’oro, con una croce perlata sia
sul fronte che sul retro. Su quest’ultimo c’era una raffigurazione della Vergine Maria, sopra di
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
399
oggi. La loro croce corrisponde, o quasi, alla descrizione, ma due di esse hanno
un tessuto di fondo che differisce dal loro stato seicentesco.
L’oggetto del registro del 1609, descritto come una pianeta tessuta con fili
d’oro e rossi, decorata con dei fiori e con una croce larga raffigurante la Vergine
Maria con Gesù Bambino, Santa Dorotea, Santa Margherita, Santa Caterina e
Santa Barbara, può essere identificato con la casula del Tesoro della Cattedrale
corrispondente al numero d’inventario 1964.310.27 In base al doppio stemma
in fondo alla croce (lo stemma del palatino István Bátori (III) e di sua moglie,
Sofia, principessa di Masovia), il tessuto di quest’oggetto, il quale è conosciuto
anche come il paramento Bátori, può essere identico al tessuto menzionato nella
descrizione dell’inizio del XVII secolo.28
essa due angeli che tengono una corona, sotto di lei i dottori della chiesa, tra cui San Girolamo.
Questo paramento comprendeva anche un velo omerale di perline con la figura del Salvatore
circondato, su entrambi i lati, da angeli. 3) Una casula bianca intessuta d’oro e di seta verde, con
una croce perlata sulla quale la Vergine Maria tiene il bambino Gesù in braccio, con le figure
di un monaco da un lato e di un vescovo dall’altro, la cui infula è decorata con perline e pietre
(preziose). In basso c’è la figura di un vescovo e di Santa Caterina con la ruota. 4) Una casula rosso
porpora con dei fiori dorati, una volta di proprietà dell’arcivescovo Miklós Oláh di Esztergom,
con una croce perlata e un velo omerale ricamato con perle, con l’iscrizione “Jesus Christus” e
con la figura della Vergine Maria al centro. 5) Una casula floreale tessuta con fili d’oro e rossi,
con una larga croce ricamata in parte con filo d’oro e in parte con perle, con le figure della
Vergine Maria con il Bambino Gesù e con Santa Dorotea, Santa Margherita, Santa Caterina e
Santa Barbara. Sul suo velo omerale c’è un ricamo di perle raffigurante la Vergine Maria, Santa
Caterina e un vescovo che tiene in mano un’ascia. 6) Casula di colore viola tessuta in oro, con la
Santa Trinità sulla croce di perline e con angeli su entrambi i lati. Sotto ci sono raffigurazioni di
Santa Maddalena, San Nicola e San Giorgio. J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 155‒158.
27
“Quarta ex aureis ac rubris filis intertexta ac diversis floribus distincta habet crucem latam
partim gemmatam partim ex filis aureis, in qua est imago B. Virginis cum infante, item S.
Dorotheae, S. Margarethae, S. Catherinae et S. Barbarae cum calice. Habet humerale gemmatam
cum imaginibus B. Virginis, S. Catherinae, et unius Episcopi securim baiulantis. Habet omnia
attinentia. “(Inventarium Casularum Rubrarum) In: Inventarium clenodiorum Metropolitanae
Ecclesiae Strigoniensis […] 1609. EF Mlt. Lad.85. Nr.18; J. Dankó Történelmi…, op.cit.: 156;
L’oggetto è anche descritto nell’inventario datato intorno al 1600. EF Mlt. Lad. 85. Nr.13. In:
N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.
28
Ltsz. (numero d’inventario) 1964. 310; M. Csernyánszky: Az esztergomi Főszékesegyházi
Kincstár paramentumai, Budapest, 1933: 54‒58; Il matrimonio tra il paladino István Bátori e la
principessa Sofia del casato dei Piast fu contratto il 29 agosto 1520, le nozze ebbero luogo il 28
gennaio 1523 a Buda. N. C. Tóth: ‘Ajándékok az ifjú párnak Bátori István és felesége, Zsófia
mazóviai hercegnő nászajándékai’, Acta Historica 142, 2017: 77‒89, pp. 77‒79.
400
Ágnes Szabó
Figura 2: Dietro di una casula, Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv.
1964.310, foto: Attila Mudrák
L’inventario del 1609 sottolinea che il paramento ha una larga croce ricamata
con perle e filo d’oro. Si tratta di una croce davvero imponente: le intere e le
mezze figure ricamate a rilievo sono poste sotto baldacchini tardogotici plastificati, l’esterno delle loro vesti è poi interamente ricoperto di piccole perline, la
cui presenza fa sembrare la corona di gigli sulla testa delle sante un gioiello.
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
401
Figura 3: Figura di Santa Dorotea. Casula (particolare), Tesoro della Cattedrale
di Esztergom, n. inv. 1964. 310, foto: Attila Mudrák
Sono inoltre ricoperti di perle anche la superficie dei baldacchini a schiena
d’asino, intrecciati da viticci di piante, nonché il doppio stemma alla base della
croce.
La croce della casula registrata nell’inventario del Tesoro di Esztergom del
1609 come paramento di colore viola, tessuto con filo d’oro, portava un tempo
l’immagine della Santa Trinità, con gli angeli su due lati e con le raffigurazioni
di Santa Maddalena, San Nicola e San Giorgio sotto. È una disposizione che
corrisponde alla casula che ora porta il numero d’inventario 1964.303.29
29
“Prima casula violacei coloris auro et serico caelestino intertexta habens crucem gemmatam
cum imagine SS. Trinitatis cui ab utraque parte astant angeli. Sub crucifixo est imago Magdalenae, sub ea imagines S. Nicolai et S. Georgii cum omnibus attinentiis.” (Casulae caelestini ac
violacei coloris) In: Inventarium clenodiorum Metropolitanae Ecclesiae Strigoniensis […] 1609.
EF Mlt. Lad.85. Nr.18; J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 157; La descrizione del paramento si trova
anche nell’inventario del 1600 circa. Il suo testo menziona una croce “pulchram gemmatam”.
EF Mlt. Lad. 85. Nr.13 (N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.).
402
Ágnes Szabó
Figura 4: Figura di un santo vescovo. Casula (particolare), Tesoro della
Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 303, foto: Attila Mudrák
La composizione della croce ricamata, posta su un fondo di velluto attualmente di colore rosso e intrecciato con filo metallico, è intatta e la sua base è curvata. In un lavoro che riassume il materiale archeologico ungherese
dell’esposizione mondiale di Vienna del 1873, si nota tuttavia che la croce fu
restaurata in molti punti.30
30
I. Henszlmann: A bécsi 1873. évi világtárlatnak magyarországi kedvelőinek régészeti osztálya,
Budapest, 1875/76: 190.
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
403
Figura 5: Dietro di una casula, Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv.
1964. 303, foto: Attila Mudrák
Dato che gli inventari del 1818 e del 1852 registrano ancora quest’oggetto
come “caerulea”, cioè di colore blu, è probabile che in seguito sia stato messo su
un fondo nuovo.31 Dal libro d’inventario del 1818 si evidenzia che a Nagyszombat (Trnava, SK), negli anni prima del trasferimento a Esztergom, c’erano in
31
Inventarium S. Supellectili Ecclesise Cathedralae M.E.S. 1818. EF Mlt. Lad. 196. Inventario dei
tesori d’arte e delle suppellettili conservati nel tesoro in occasione della visita alla Cattedrale di
Esztergom. 1852. Archivio Primaziale (di seguito PL), Esztergom, Visitationes Canonicae, Liber
652. 21. voce 15.
404
Ágnes Szabó
totale 11 vecchie casule con le perline tutte consumate o cadute, principalmente
a causa della loro età. Queste vecchie casule, quindi, non venivano usate nel
servizio sacro, erano tuttavia conservate appese negli armadi.32 La terza casula
identificabile era una veste precedentemente bianca, il cui tessuto di fondo era
stato ravvivato, nel 1609, da colori oro e verde. La sua “preziosa” croce di perline
raffigurava la Vergine Maria che teneva in braccio il Bambino, con un monaco
da un lato e un vescovo dall’altro.33 Il testo ricorda pure che l’infula del santo
vescovo era decorata con perle e piccole pietre. La casula, in base alla sua croce
ricamata, può essere identificata con il paramento corrispondente al numero
d’inventario 1964.308, con la differenza che l’inventario registra che il braccio
longitudinale della croce fu decorato nel XVII secolo con la figura di un santo
vescovo e con quella di Santa Caterina con la ruota.
Figura 6: Figura di un vescovo (particolare), Tesoro della Cattedrale di
Esztergom, n. inv. 1964. 308, foto: Attila Mudrák
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
405
La parte superiore della croce sul dietro del paramento è identica al testo
corrispondente all’inventario del 1609, le raffigurazioni del braccio della croce
sono tuttavia diverse, poiché oggi vediamo la figura di Santa Dorotea e la
raffigurazione della Sant’Anna Metterza sotto la figura di Santa Caterina. Grazie
a una tecnica speciale e al bellissimo disegno rinascimentale dell’attuale tessuto
di fondo del paramento, questo viene chiamato dai posteri la casula di Mattia
Corvino.
Figura 7: Dietro di una casula, Tesoro della Cattedrale di Esztergom, n. inv.
1964. 308, foto: Attila Mudrák
406
Ágnes Szabó
L’ultimo e molto dettagliato libro d’inventario, quello di Nagyszombat del
1818, offre una descrizione corrispondente all’attuale tessuto di fondo e all’odierna disposizione della croce del paramento, un eventuale cambiamento nella
composizione della croce, quindi, potrebbe essere stato fatto prima del 1818.34
Tutti e tre gli oggetti appartengono alla categoria delle croci altamente plastiche realizzate con la tecnica del ricamo a rilievo. A differenza dei paramenti
italiani ricamati con l’oro velato, che usano strumenti di disegno sofisticati e che
danno l’impressione lucida di una pittura a olio, i pezzi di Esztergom rievocano
la tardogotica tecnica scultorea degli altari alati.35 Nel caso della casula con una
croce ricamata raffigurante la Crocifissione (1964.303), la minuscola iscrizione
“Mit Gott” sul libro tenuto dal vescovo, suggerisce che l’uso – e presumibilmente anche la produzione – del paramento può essere associato alle aree di lingua
tedesca del Regno d’ Ungheria. Henrik Horváth la considerava addirittura un’opera sassone dalla Transilvania.36 Evelin Wetter, riferendosi alla croce ricamata
del paramento di velluto nero appartenente alla collezione della Chiesa Nera
di Braşov (RO), ne ha delineato il contesto stilistico.37 La Madonna che tiene
in braccio il Bambino Gesù e le figure intere di due sante sono similmente
collocate, sul paramento di Braşov, sotto i baldacchini, come le sante della
casula Bátori (1964.310, Fig. 2) a Esztergom, ma la forma dei baldacchini mostra
una connessione più stretta con il paramento della Cattedrale dei Santi Pietro
e Paolo a Brno (CZ).38 Per quanto riguarda le figure, la perlinatura e le colonne
dei baldacchini, si può tuttavia dimostrare una relazione anche tra la croce
di casula di Brno e il paramento di Esztergom.39 Evelin Wetter ha ipotizzato,
quindi, l’esistenza di una manifattura più grande che, con i suoi prodotti, era
disponibile sia nelle città di Brno e Braşov che ad Esztergom.40
È importante notare che il ricamo di perline dei paramenti medievali della
cattedrale di Esztergom non lo si può considerare, in sé, un fenomeno singo34
“Casula gemmea cum fundo rubro, in dorso habens figuram B.M.V. cum Jesulo in templo:
circa eam dui Sti Abbates; inferius tres Sanctae in quarum medio est Sta Dorothea; infima autem
Stā duos gestat infantes: copiosis unionibus gravis.” Inventarium 1818.I/106. EF Mlt. Lad. 196
(N. Fodor: Az esztergomi…, op.cit.).
35
M. Csernyánszky: Az esztergomi…, op.cit.: 50.
36
H. Horváth: Zsigmond király és kora, Budapest: Budapest Székesfőváros Házinyomdája,
1937: 176;
37
Inv. Nr. 333. E. Wetter: Liturgischen…, op.cit.: Kat.14; pp. 337–343.
38
Inv. Nr. 27412 Moravská Galerie, Umĕleckoprůmyslové Muzeum, Brno, E. Wetter: Liturgischen…, op.cit.: 339.
39
M. Csernyánszky: Az esztergomi…, op.cit.: 469; E. Wetter Liturgischen…, op.cit.: 340.
40
E. Wetter Liturgischen…, op.cit.: 339.
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
407
lare. Bisogna considerare questi oggetti come parti degli insiemi complessi di
suppellettili liturgiche e di paramenti, poiché i registri del tesoro della metà del
XVI secolo menzionano anche gli accessori che li accompagnavano, cioè camici, veli omerali, manipoli, stole, cinture, spesso anche dalmatiche e mantelli,
similmente decorati con perle e pietre preziose.41 All’inizio del XVII secolo, la
maggior parte di questi oggetti era ancora intatta. L’inventario del 1609 fornisce
parecchi dettagli sulle raffigurazioni decoratissime dei ricami con oro e perle,
sulle iscrizioni e sulla decorazione con gemme dei veli omerali.42 Più tardi, nel
1654, la tesoreria aveva 22 “antiche casule di perline preziose”, per non parlare
delle immagini e delle infule ricamate con perle.43 Nell’inventario del 1659,
però, risultano solo 12 casule perlate, oltre alle quali erano registrate 14 casule
“preziose e antiche”.44 Anche l’elenco dell’inizio del XIX secolo, cioè del 1818,
contava 12 casule di perline, di cui dieci possono essere identificate con oggetti
ancora conservati nella cattedrale. È importante aggiungere che, anche se la
perlatura si trova tipicamente nella decorazione delle croci dei paramenti con
ricami a rilievo, ci sono due tendenze principali: l’evidenziazione dei contorni
e dei dettagli con perline e la copertura, con queste, delle superfici.45
Considerando il territorio del regno ungherese, si può notare che tutte le
tesorerie delle cattedrali episcopali avevano delle casule riccamente perlate,
ma in quantità proporzionalmente inferiore al Tesoro di Esztergom. Nell’elenco
del 1531 della cattedrale di San Michele di Gyulafehérvár (Alba Iulia, RO) sono
41
Vedi nota 23.
Alcuni esempi: “Prima casula alba ex puris aureis et argenteis filis contexta cum crucibus ante
et post ex eiusdem generis filis in modum retis nexis cum rubro atlasco habens humerale ex aureis
filis reticulatis cum omnibus attinentiis. Secunda casula alba pretiosa ex filis aureis contexta
et rubro serico varia duplici viridi taffota suffulta, habens crucifixum gemmatum et humerale
gemmatum cum nomine JESU, cuius nominis litteras, lapides rubri et virides distinguunt, habet
omnia attinentia. Tertia casula alba ex filis aureis contexta, habens ante et retro crucem gemmatam, in cruce a tergo est imago B. Virginis duorum Angelorum coronam tenentium supra caput
Virginis, a latere vero et subtus sunt imagines Doctorum quorumdam et S. Jeronymi. Humerale
habet gemmatum cum imagine Salvatoris cui duo angeli assistunt in pectore lapillum gestantes.
Habet omnia attinentia.” Inventarium clenodiorum Metropolitanae Ecclesiae Strigoniensis […]
1609. EF Mlt. Lad.85. Nr.18; J. Dankó: Történelmi…, op.cit.: 152‒162; J. Braun: Das liturgische…,
op.cit.: 55, 63.
43
“Casulae antiquae pretiosae gemmis ornatae 22.” EF Mlt. Lad.85. Nr. 26 (N. Fodor: Az
esztergomi…, op.cit.).
44
EF Mlt. Lad.85. Nr.25 (ibid.).
45
I tipi di ricamo di perline usati sui paramenti di Esztergom richiedono ulteriori ricerche,
soprattutto perché il posizionamento delle perline e la loro estensione sono cambiati durante
i molteplici restauri degli oggetti.
42
408
Ágnes Szabó
registrate due croci di casule perlate: una su un paramento tessuto con fili rossi e
d’oro, un tempo di proprietà del governatore János Hunyadi (1446‒1453), l’altra
su una casula di fattura più modesta e di valore inferiore che, al momento
della redazione dell’inventario, era già consumata dall’uso.46 Tra gli oggetti
del tesoro della cattedrale di Várad (Oradea, RO), i quali per essere salvati
erano stati trasportati nell’Alta Ungheria (in ungherese Felvidék, nome storico
della parte settentrionale del Regno d’Ungheria), c’erano dei veli omerali, delle
dalmatiche, un’alba di perline e sei casule, di cui cinque avevano una croce
ricamata con perle. Una di queste presentava delle decorazioni sontuose, anche
secondo le stime del loro valore. La casula tessuta con filo d’oro aveva una
croce sul retro raffigurante i santi re ungheresi. Al centro del paramento si
vedeva San Ladislao, con il capo cinto da una corona in argento placcata in
oro e con dodici pietre di cristallo incastonate, mentre in mano teneva uno
scettro d’argento placcato in oro. Sotto il re cavaliere c’era un angelo, mentre
ai suoi lati stavano due figure ricamate con perle: il re Santo Stefano sulla sua
destra e il principe Sant’Emerico sulla sua sinistra. Tra i paramenti perlati delle
suppellettili liturgiche di Várad c’era un altro pezzo legato a un membro della
famiglia Hunyadi, questa volta si tratta di Mattia: il suo stemma era posto sulla
veste raffigurante il Cristo Crocifisso, con la Vergine Maria e San Giovanni
Evangelista ai piedi della croce.47 Continuando la rassegna bisogna considerare
l’inventario del 1530 della cappella del Palazzo Reale di Buda, che conteneva tre
casule riccamente decorate, con croci ricamate con perle su un tessuto di fondo
pregiato. Tra queste casule quella che raffigurava l’Assunzione di Maria portava
anche lo stemma di Mattia Hunyadi.48 La donazione in suffragio dell’anima
di Giovanni Hunyadi, detto Corvino (1473‒1504), riguarda la stessa famiglia
nobile. I doni, dati al monastero paolino di Lepoglava (HR) nel 1505 da Beatrice
Frangipani, moglie del defunto, comprendevano suppellettili liturgiche, tra cui
quattro casule ricamate con perle e dei veli omerali gemmati.49 Tra i tesori
della cappella di San Giovanni del castello di Buda, che erano stati trasportati a Eperjes (Prešov, SK) dopo l’occupazione turca di Buda (1541), c’era una
casula ricamata con perle, la croce della quale raffigurava Cristo crocifisso.
46
A. Beke: ‘Az erdélyi székesegyház készlete’, Magyar Sion, 1867: 193.
Á. Mikó: ‘A középkori…’, op.cit.: 287.
48
N. Knauz: ‘A budai királyi várpalota kápolnájának 1530-as inventáriuma’, Tudományos
Értekező 1862: 52–53.
49
J. Balogh: A művészet Mátyás király udvarában, Budapest: Akadémiai Kiadó, 1966: 382.
47
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
409
Ad arricchire la decorazione si trovano anche uno stemma e uno scettro.50
Nell’inventario dell’eredità di István Radecius, vescovo di Eger e vicario reale
a Bratislava, compilato nel 1581, c’era un cassone che veniva conservato nella
cappella. In esso sei casule su dieci e tre infule su cinque erano ricamate con
perle.51 È degno di nota il fatto che la casula rossa tessuta con fili d’oro e con
“una bella perlatura nel mezzo […], aveva lo stemma dei signori Bátori” (forse
similmente al paramento di Esztergom di cui sopra), mentre un’altra raffigurava
la storia di Santo Stefano.52 Per la datazione delle croci di casula perlinate può
essere importante studiare i registri dei tesori del capitolo di Veszprém, dove tra
il 1429 e il 1437 solo uno dei quasi quaranta paramenti era perlinato: si tratta
di quello che, tra il 1399 e il 1402, era stato donato alla cattedrale dal vescovo
Mihály di Veszprém.53
Il fenomeno della prima età moderna relativo alle croci di paramenti decorate
con ricami a rilievo e con perle solleva molti interrogativi per la ricerca, tuttavia,
in base a quanto sopra, si delinea un gruppo di oggetti la cui creazione, nonché
il programma iconografico e la loro lavorazione sontuosa, sono strettamente
legati al mecenatismo reale e aristocratico ungherese del basso Medioevo. Per
quanto riguarda il periodo medievale, si può notare che nell’Europa centrale
l’uso del ricamo con perle non era limitato alle aree ungheresi.54 Anche nella
pratica dei ricami liturgici cechi del Medioevo appare l’uso delle pietre preziose
per decorare certi dettagli, similmente agli oggetti d’oreficeria, ne è un esempio
la croce ricamata della casula di Broumov (CZ).55
50
ibid.: 383; S. Takáts: ‘A Budavári királyi Szt. János kápolna kincsei’, Archeológiai Értesítő 21,
1901/3: 287‒288.
51
A. Komáromy: ‘Radecius István egri püspök ingóságainak leltára 1581. március 30’, Magyar
Történelmi Tár 3. sor. 15. köt., 1892: 56.
52
Ibid.: 563.
53
L. Fejérpataky: ‘A veszprémi káptalan kincseinek összeírása 1429–1437. évekből. Második
közlemény’, Magyar Történelmi Tár 3. sorozat 2. kötet, 1887: 180‒181.
54
Sull’uso della decorazione con perline e gemme nel XIV secolo al di fuori dell’Europa centrale
vedi ancora: L. Monnas: ‘The Making of Medieval Embroidery’, in: C. Browne, G. Davies &
A. A. Michael (eds.): English Medieval Embroidery. Opus Anglicanum, New Haven & London:
Yale University Press, 2017: 12.
55
Oggi al Museo delle Arti Applicate di Praga: Umĕleckoprůmyslové Museum v Praze.
Ch. M. Jeitner: ‘A cseh hímzések kézművesjegyeinek osztályozása és összehasonlító vizsgálata.
Megjegyzések Hannelore Sachs feltevéseihez a cseh gótikáról Brandenburg tartományban’,
Művészettörténeti Értesítő 44, 1995: 79‒80.
410
Ágnes Szabó
Figura 8: Casula di Broumov (particolare), Umeleckoprůmyslové Museum v
Praze, n. inv. 52.901, foto: u(p)m, The Museum of Decorative Arts in Prague
Secondo la tradizione, la regina Elisabetta (Přemysl) di Boemia, madre di
Carlo IV, imperatore del Sacro Romano Impero (dal 1355 al 1378) decorava i
suoi ricami con perle e pietre preziose (anche i ricami di perle della cattedrale
di San Vito sono a lei attribuiti).56 Tracce di una donazione simile da parte di
una regina si trovano anche nel Regno d’Ungheria: si sa, infatti, che la moglie
di Carlo Roberto d’Angiò (1308‒1342), ossia Elisabetta di Polonia (Łokietek,
1305‒1380), nel suo testamento della fine del XIV secolo (1380) donò diversi
56
Ibid.: 5.
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
411
paramenti perlati alle chiese ungheresi, tra cui le clarisse di Óbuda.57 Alcune
delle vesti liturgiche ricamate con perle (due dalmatiche e una casula), che secondo l’inventario erano decorate anche con pietre preziose, presumibilmente
erano ancora esistenti nel XVIII secolo.58
Considerando le opere legate alle corti reali medievali, non si può tralasciare
il collare del mantello dell’incoronazione dei re ungheresi, un tesoro frammentario dal disegno e dai dettagli tecnici raffinati. Il collare, probabilmente
della fine del XII secolo, potrebbe originariamente essere stato utilizzato come
razionale (superhumerale), non apparteneva quindi ai paramenti realizzati su
incarico di Santo Stefano e della regina Gisella. Le estremità delle palmette a
forma di cuore che riempiono il bordo del colletto sono incastonate con un
trio di piccole perle vere, mentre la fila interna di arcate e le raffigurazioni
sottostanti sono decorate, con perle, sulle loro linee di contorno.59 Il paramento
donato invece dalla prima coppia reale del Casato degli Árpád e conosciuto
come la casula di Metz, aveva pure un collare decorato con medaglioni ricamati
con perle. Si pensa che la casula sia stata inviata dal re Stefano e dalla regina
Gisella a papa Giovanni XIX e, successivamente, donata dal papa Leone IX al
monastero di Sant’Arnolfo a Metz, dove fu distrutta durante la Rivoluzione
francese.60
Il mezzo principale della tradizione del ricamo con perle, che ha conservato e
custodito questa tecnica come una speciale eredità medievale della regione, va
tuttavia cercato non nell’ambito delle vesti ma delle insegne pontificali. Negli
inventari delle tesorerie medievali ungheresi, come abbiamo già avuto modo di
vedere, la mitra decorata con perline e gemme è molto comune. Grazie alle
ricerche di Árpád Mikó abbiamo ancora notizie su due mitre di Nagyvárad
(Oradea, RO), ormai inesistenti, che erano riccamente decorate con pietre preziose. Queste mitre erano simili all’infula medievale del vescovo Pál Bornemisza
(Paolo Astemio), anch’essa del periodo angioino, che lui da vescovo di Vesz57
E. Śnieżyńska & XXX. Stolot: ‘Tanulmányok Erzsébet királyné mecénási tevékenykedéséről’,
Ars Hungarica 7, 1979: 23.
58
“Una casula bianca con una dalmatica, anch’essa dono della santa Regina, decorata con perle e
fibbie.” (1770); “Una Casula preciosa, cujus medium unionibus et lapillis preciosis Manu piissimae
Reginae Elisabet exsutam” L. Némethy: ‘A budai clarissák leltárai’, Egyházművészeti Lap 2, 1881:
208; F. Rómer: ‘Szt. Margit házi oltára’, Archeologiai Közlemények 7, 1868: 37.
59
É. Kovács: ‘A székesfehérvári királyi bazilika 11. századi kincsei’, in: M. Verő & I. Takács (eds.):
Species…, op.cit.: 108–109; I. Bardoly (ed.): A magyar királyok koronázó palástja, Budapest, 2002:
205.
60
É. Kovács: ‘Casula Sancti Stephani Regis’, in: M. Verő & I. Takács (eds.): Species…, op.cit.: 45.
412
Ágnes Szabó
prém fece rinnovare e che, oggi, la si può vedere presso il Museo Diocesano di
Győr.61 Anche la mitra di Zagabria è di origine angioina, risale al XIV secolo e,
come quella di Veszprém, fu similmente rinnovata a metà del XVI secolo.62 La
cosiddetta infula d’incoronazione della prima metà del secolo XV, custodita nel
Tesoro di Esztergom, è un oggetto ricamato interamente con piccole perle, sulla
cui superficie ci sono delle stelle delicatamente a rilievo e delle pietre preziose.63
Tornando ai paramenti del Tesoro di Esztergom, negli inventari della prima
età moderna, oltre ai ricami di perle, era presente anche un tipo di ricamo
italiano a filo d’oro, che viene registrato nel vocabolario degli inventari come
“habet crucem latam ex aureis filis”.64 Esaminando le suppellettili di altre cattedrali in Ungheria, troviamo una tipologia simile nelle fonti scritte: oltre ai
termini “gemmata”, “degemmata”, “aurifilata”, “ex aurifilo simplici”, il registro
della cattedrale di Nagyvárad, nel 1557, riferendosi alla natura bidimensionale
della superficie della croce, utilizza il termine ungherese “a cum cruce vulgo syk
ornata”.65 L’inventario del 1530 della cappella del Castello di Buda, descrive
le vesti decorate con filo d’oro come “cum cruce aurata de opere ( o labore)
Italico”, mentre quelle ricamate con perle sono menzionate con l’espressione
“cum cruce aurata et gemmata”.66
Lo studio della terminologia cinquecentesca è un capitolo importante della
cultura oggettistica liturgica nell’Ungheria dell’epoca: da un lato ci permette di
conoscere precisamente la storia degli oggetti, dall’altro di individuare le singole categorie tipologiche. Nelle tesorerie delle cattedrali gli oggetti si influenzavano a vicenda e favorivano la comparsa di nuove varianti. Si è sviluppata così
una variante ungherese del tipico ricamo veneziano, riportata sulla casula con il
numero d’inventario 1964.299 del Tesoro di Esztergom. Troviamo qui raffigurati
i santi re ungheresi, Santo Stefano e San Ladislao e il principe Sant’Emerico,
con una rappresentazione iconografica ben conosciuta dai dipinti su tavola
medievali. Su questo paramento i dettagli delle figure venivano evidenziati da
perline, non solo sulle loro aureole, ma anche sugli orli dei loro vestiti e sulle
cornici circostanti.
61
Á. Mikó & A. Molnár: ‘A váradi középkori székesegyház kincstárának inventáriuma (1557)’,
Művészettörténeti Értesítő 52, 2003: 303‒318; Á. Mikó: ‘Főpapi kincstárak…’, op.cit.: 324, 328.
62
Á. Mikó: ‘Főpapi kincstárak…’, op.cit.325; É. Kovács: ‘Casula…’, op.cit.: 227.
63
É. Kovács: ‘Koronázási…’, op.cit.: 531–533.
64
1610. EF Mlt, Lad. 85, nr. 19.
65
Á. Mikó & A. Molnár: ‘A váradi…’, op.cit.: 310.
66
N. Knauz: ‘A budai…’, op.cit.: 52‒54.
Tessuti liturgici medievali ricamati con perle
413
Figura 9: Figura di San Ladislao re d’Ungheria. Casula (particolare), Tesoro della
Cattedrale di Esztergom, n. inv. 1964. 299, foto: Attila Mudrák
Inoltre, su un frammento lapideo di un sepolcro pontificale sconosciuto della
prima metà del XVI secolo, rinvenuto nel Castello di Buda, è riconoscibile
un’altra variante del ricamo a filo d’oro delle croci di casula. Si tratta in questo
caso di una versione perlata basata sui motivi tipici del Rinascimento all’antica,
dove la decorazione con perle appare sui bordi della croce.67
Il ferrarese Giovanni Maria Parenti, vedendo i corredi di Esztergom, nota,
nel suo resoconto, un’importante differenza tipologica tra l’Italia e il Regno
67
Budapesti Történeti Múzeum, Inv. nr. BTM‒KO 65.100.1.
414
Ágnes Szabó
d’Ungheria. Se osserviamo, però, le suppellettili liturgiche del tardo medioevo
e della prima età moderna nascoste nel Tesoro di Esztergom, si delinea un
quadro molto complesso delle tesorerie delle cattedrali del Regno d’Ungheria dell’epoca. La composizione e lo stile dei paramenti delle sedi episcopali
e arcivescovili, infatti, non possono essere separati dalla posizione geografica
e culturale di ciascun centro all’interno del regno. La maggior parte di essi,
purtroppo, può essere identificata solo in base agli inventari risalenti alla metà
del XVI secolo, perciò la presenza dei viaggiatori italiani e la loro intensa attività
scritta (documenti amministrativi, corrispondenze, relazioni) rappresentano,
nel caso di Esztergom, un valore inestimabile. La loro attività permette di dare
un ultimo sguardo ai tesori di una cattedrale medievale che, nel corso dei secoli
successivi, si erano poi dispersi.
Traduzione di Ágnes Veres
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
I codici corviniani della Biblioteca Estense
Anna Rosa Venturi
Biblioteca Estense Universitaria Modena
annarosa.venturi@tiscali.it
Abstract
The history of the Corvinian books is long and controversial. Their traces have been
followed all over the world, so that it has been possible to virtually reconstruct a
meaningful portion of the extraordinary collection that Matthias Hunyadi put together.
Tracking the origin of the seventeen codices which ended up in the Estense Library is
quite simple: they were bought in a single lot by the Duke Alfonso II of Este in Venice.
However, today there are only fifteen of them, and they were exhibited in Modena in
2002. They are being examined one more time, with the aim to add some new insight.
Se dovessimo limitarci ad elencare i quindici codici già di Mattia Corvino
e oggi conservati in Biblioteca Estense, ci troveremmo di fronte ad un lavoro
arido che rischierebbe di ripetere cose già scritte e sapute. È necessario partire
da più lontano, cioè dai rapporti non casuali, ma importanti e dagli stretti legami
esistenti tra lo stato estense ai tempi di Ercole I, e ancor prima di Borso, e
il regno ungherese di Mattia Hunyadi detto Corvino. Va aggiunto che, se il
sovrano ungherese costituì quell’unicum che era la sua biblioteca, questo deve
in piccola parte attribuirsi anche alle sollecitazioni culturali e agli esempi provenienti proprio da Casa d’Este. Tralascio le figure di Giano Pannonio e di Andrea
Pannonio, l’anima della rappresentanza ungherese in Italia, per accennare alle
documentazioni dirette, conservate in Archivio di Stato, e a quelle sollecitazioni
che Mattia, e ancor prima di lui Ladislao V, poterono trarre dagli Este in campo
culturale e librario.
È proprio ascrivibile a lui la testimonianza precoce della bibliofilia e delle
aspirazioni umanistiche che si volevano importare a Buda. Il re infatti, in due
diversi momenti, nel 1452 e nel 1457, rivolge a Borso d’Este richieste riferentisi,
416
Anna Rosa Venturi
una in particolare, a cultura, storia e libri.1 In questa chiede espressamente in
prestito dalla biblioteca del duca opere sulla storia dei romani e degli antichi
principi per poterli studiare e fare trascrivere. Se da un lato questo conferma
quanto la fama del contesto culturale estense fosse ben nota a livello europeo
e quanto ricche fossero le collezioni di cui Ladislao conosceva la rigogliosa
abbondanza, dall’altro getta luce sulla volontà di cominciare ad adeguare decorosamente e signorilmente la corte e la reale biblioteca di Buda. Nelle sue parole
registriamo infatti la precisa volontà di volersi accostare agli antichi, traendo
dalle loro gesta e dalle loro imprese un esempio perenne di virtù, di costumi, di
buon governo e di valore; inoltra pertanto la sua richiesta, di cui si stralcia un
breve ma indicativo lacerto: “[…] requirimus et rogamus Serenitatem Vestram
ut ad complenda vota […] librum aliquem vel libros, unum aut duos qui vetera
romanorum seu aliorum principum egregia et virtuosa gesta aut alia antiquorum studia solidius et gravius exprimunt et qui apud nos legi digni sunt quorum
uberem copiam in archivis dominii vestri ferrariensis aggregatam intelleximus,
nobis, pro vestra erga nos benevolentia, per hunc oratorem nostrum mittere
velitis…”.2
Se Ladislao si era limitato alla trascrizione di alcuni testi sulla storia antica,
collocandosi comunque direttamente nel solco dell’umanesimo dei principi italiani ed europei, Mattia va ben oltre, decidendo di allestire un’opera mirabile,
da ricordare nei secoli e da stupire il mondo.3 Egli gode nel sentirsi lodato non
solo per le gesta militari, ma per la cultura e, nei rapporti con i parenti ferraresi,
si sente largamente una volontà emulativa. A Ferrara vengono richieste, ancor
più dopo l’insediamento di Ippolito a Strigonia, figure professionali specifiche:
medici, astrologi, artisti, ma anche setayoli, musici e quant’altro.4 Addirittura
apprezzatissimi i generi alimentari, i formaggi e le cipolle conservate in barattolo.5 Ercole manda al cognato il suo astrologo personale Antonio Arquato.6
1
ASMo, Cancelleria Ducale. Carteggio Principi esteri. Ungheria. Fasc. 1622.
Idem.
3
Naldo Naldi: Epistola de laudibus Augustae Bibliothecae atque libri quattuor versibus scripti
celebrativa della biblioteca del re Mattia, ms. 1488–1490, Toruń, Biblioteca Municipale “N.
Copernico”.
4
Lettera di Beatrice ad Eleonora del 4 novembre 1486. ASMo, Carteggio Principi Esteri.
Ungheria. Filze 1622–1624. Cito da Anna Rosa Venturi Barbolini: ‘Testimonianze dei rapporti
tra l’Ungheria e lo Stato Estense’, in: Nel segno del Corvo, Modena: il Bulino, 2002: 43–63.
5
Lettera di Beatrice ad Eleonora del 12 gennaio 1487, ibid.
6
Cfr. Anna Rosa Venturi Barbolini: ‘Testimonianze…’, op.cit.: 46.
2
I codici corviniani della Biblioteca Estense
417
Una corte, dunque, decisa a plasmarsi sull’esempio dei modelli italiani. Per
i libri, in parte li fa trascrivere da copisti e miniatori locali, guidati sovente
da un esperto venuto da fuori, dall’Italia soprattutto, mentre alcuni tra i più
prestigiosi e finemente miniati vengono commissionati direttamente presso le
scuole fiorentine, in primis quella di Attavante e dei suoi collaboratori. Abbiamo
notizie certe della veicolazione di diversi codici importanti, chiesti ed ottenuti
per essere copiati, da corti italiane. Dalla Milano degli Sforza giunge un Vitruvio
Milanese, forse lo stesso posseduto secondo alcuni dal Filarete e mai più restituito, oggi alla biblioteca Széchényi,7 e a Napoli risultano fatte altre richieste
di libri. Quelli provenienti da Roma sono procacciati da Giano Pannonio, altri
da tutt’Europa vengono ottenuti tramite Taddeo Ugoleto e altri infine sono
donati dai Malatesta di Rimini.8 Una testimonianza singolare ci viene dalla filze
dell’archivio di stato Amministrazione della Casa Biblioteca, Filza 1, Fasc.20. Il
25 gennaio 1510 il miniatore Sigismondo de’ Sigismondi scrive al Duca Ercole
II, supplicandolo (“Mi getto a li piedi di V. S.”) di essere assunto per la stesura
di codici e, come referenza, afferma di aver lavorato per molto tempo a Firenze
come scrittore di Lorenzo de’ Medici e del re Mattia. A conferma di quanto
sopra riferito.9
Mattia non è solo cognato di Ercole I dato che la sua seconda moglie, Beatrice d’Aragona,10 è sorella della sposa dell’Estense, Eleonora, ma anche un suo
munifico benefattore: ha consegnato il ricco cardinalato magiaro di Strigonia
prima al cognato Giovanni d’Aragona, poi al giovanissimo nipote Ippolito, figlio
di Ercole e di Eleonora. I due principati con cui è dunque imparentato, quello
di Ferrara e quello di Napoli, sono animati entrambi da una fervida attività
artistica e culturale. Gli manca solo un blasone. Se Mattia, eroe cristiano e
dotto umanista, non ha sangue blu da esibire, storici italiani, Antonio Bonfini
in primis, accettano senza farsi pregare di confezionargli un’ascendenza pari a
7
Gábor Hajnóczi: ‘Il Vitruvio di Budapest e le sue origini milanesi’, Arte Lombarda 139/3, 2003:
9 sgg.
8
Árpaá Mikó: ‘La nascita della biblioteca di Mattia Corvino e il suo ruolo nella
rappresentazione del sovrano’, in Nel segno del Corvo, op.cit.: 26–27.
9
ASMo, Filza 1, Fasc.20: 25 genn.1510: lettera di Sigismondo de’ Sigismondi al Duca Ercole
II. Dice di essere stato per molto tempo a Firenze come scrittore di Lorenzo de’ Medici e del
re Mattia e, dopo l’espulsione del Magnifico Piero, di essere stato scrittore del re del Portogallo
per la Bibbia commentata da Nicolò da Lira “… et tanto ben ornata et guarnita di miniature et
serature d’oro, scripta tutta a littera antiqua ferma che costò 10000 ducati… Mi getto a li piedi di
V.S…”.
10
Sposata nell’anno 1476.
418
Anna Rosa Venturi
quella del cognato: sarà proprio Ercole, il mitico eroe che compare nell’albero
gentilizio estense ad essere ugualmente invocato come capostipite Hunyadi.
Saranno in seguito la gens Valeria e i Corvini, a Roma nobilissimi e valorosi, a
figurare nell’ascendenza latina degli stessi Hunyadi.11 Il gioco è presto fatto e
i due sovrani cognati sono collocati sullo stesso piano. Il nobilissimo lignaggio
è stato fornito, manca il contesto: la biblioteca ne diventa una componente
fondamentale, specchio del prestigio, della grandiosità e del potere.
Venendo ai corvini oggi in estense essi sono nel numero di 15, ridotti così
a più riprese e dopo alterne vicende dagli originari 17. E’ ormai accettato che
l’acquisto dei pezzi venne fatto dal duca Alfonso II d’Este, noto bibliofilo, e
desideroso di arricchire la biblioteca. Durante il suo governo infatti i suoi emissari, soprattutto da Venezia (Girolamo Falletti), ma anche da Firenze e dal resto
d’Italia colmarono molte lacune nelle collezioni della casa. Voglio ricordare
ad esempio il Corpus lullianum in molti volumi manoscritti, commissionato a
Venezia appunto da Alfonso per colmare le mancanze nelle sue raccolte con
questo importante corpus di scritti teologici, filosofici, mistici e alchemici.
Prendendo a segnale il numero progressivo dell’inventariazione dei corvini
estensi, ben 14 dei 15 si collocano entro un medesimo arco temporale, sono i
latini 391, 419, 425, 432, 435, 436, 437, 439, 441, 447, 448, 449, 458, 472. Il quindicesimo, il Lat. 1039 appartiene ad un momento successivo e porta nel risguardo
anteriore le scritte “Sancti Petri Mutinae” e “Ad usum P. D. Benedicti Bacchinii
Cassinensis”. La provenienza riferisce dunque il passaggio alla biblioteca ducale
dopo la soppressione degli Ordini religiosi a fine Settecento, ma non risponde
al legittimo dubbio sulla sua reale provenienza. Pare molto difficile ipotizzare
che l’opera sia stata acquistata dai benedettini all’epoca della dispersione dei
corviniani, mentre è certamente plausibile il suo acquisto, insieme agli altri,
da parte del Duca. Durante la direzione estense di Padre Bacchini (1697-1698)
è possibile che il codice gli sia stato consegnato in uso, quindi considerato
una sorta di usucapione, senza poi mai venire restituito se non al momento
delle soppressioni. Il contenuto di questo codice, le opere dello Pseudo Dionigi
Areopagita, suffraga l’interesse per la materia religiosa da parte dei monaci.12
Il codice porta ancora la legatura originale, proprio perché non era alla Libraria
11
Antonio Bonfini fu storico italiano al servizio di Mattia dal 1486 che lusingò il sovrano con la
nobilitazione della sua casata. Cfr. Péter E. Kovács: ‘Ritratto di Mattia Hunyadi re d’Ungheria’,
in: Nel segno del Corvo, op.cit.: 19.
12
Altre opere di analogo tenore sono emerse proprio dalla soppressione dei Benedettini di
Modena e convogliate alla Biblioteca Estense e a quella dell’Università.
I codici corviniani della Biblioteca Estense
419
Ducale nella fase tiraboschiana, questo ne ha salvato l’integrità, di fronte alle
legature che Girolamo Tiraboschi fece eseguire su tutto il resto del lotto.13 Piccarda Quilici ascrisse questa coperta sontuosa ad una manifattura ungherese,
per alcuni caratteri orientaleggianti e lontani dal gusto italiano. Porta le armi
reali ed era dotata di bandelle che reggevano i fermagli di chiusura del codice,
di cui restano oggi solo le impronte.
Un sedicesimo testo che rinvia a Buda è il Latino 429,14 contenente le Vite di
Plutarco. Oltre alla contiguità nel numero d’inventariazione, suggestivo della
comune appartenenza, il codice riporta le armi di Beatrice d’Aragona e si colloca, dal punto di vista artistico, entro i moduli miniaturistici fiorentini. Proprio la
sposa italiana di Mattia potrebbe averla commissionata a Firenze per collocarla
nella grandiosa biblioteca del marito, ma con un orgoglioso riferimento alla sua
personale, nobile stirpe. Del resto in un altro caso dei corvini estensi troviamo
le armi fuse degli Aragona e degli Hunyadi.
Un indizio che ci suggerisce l’epoca dell’acquisto da parte degli Este è l’inedito inventario dei libri di Alfonso II, conservato in Archivio di Stato. Sappiamo
che è stato compilato nel 1552 e formulato in modo estremamente sommario,
con indicazioni relative al valore estrinseco dei pezzi (coperte, fibbie, miniature), ma senza riferimenti intrinseci come il nome completo degli autori, i titoli, i
contenuti, le datazioni. Pur con queste limitazioni, è assolutamente da escludere
che vi siano elencati i codici di Mattia, segno questo che l’arricchimento della
biblioteca ducale è avvenuto successivamente, nella seconda metà del Cinquecento. Un secolo più tardi, in pieno Seicento, nel mastodontico catalogo-rubrica
conservato in Archivio di Stato, figurano voci che possono riferirsi ai corvini,
in particolare il Valturio, manoscritto che in Biblioteca Estense esiste in una
sola copia.15 La redazione del catalogo è certamente prebacchiniana in quanto
sono mescolate opere a stampa e manoscritte.16 Per la mancanza di descrizione
specifica per le altre voci si resta nel campo delle ipotesi.
13
Girolamo Tiraboschi diresse per oltre un ventennio la Biblioteca Ducale dal 1770 al 1794 e, in
ossequio ad un malinteso senso di modernizzazione e di igiene, fece rilegare ex novo tutto il corpo
dei manoscritti estensi che persero così le loro coperte originali anche medievali e rinascimentali.
14
Lat.429 0 Alfa W. 1.4, Plutarchus, Vitae.
15
ASMo, Amministrazione della Casa. Biblioteca. filza 21.
16
Benedetto Bacchini, bibliotecario dal 1697 al 1698, fu il primo a catalogare i manoscritti
dell’Estense scorporandoli dalle edizioni a stampa.
420
Anna Rosa Venturi
Questi dunque i 14 pezzi rimasti da elencare:
Lat.391 = Alfa G.4.22 Johannes Chrisostomus, Scripta; Pseudo Dionisius
Areopagita, Epistola ad Thimoteum, Basilius (Sanctus), Scripta nonnulla
Lat.419 = Alfa O.3.8 Leon Battista Alberti, De re aedificatoria
Lat.425 = Alfa Q.4.17 Ammianus Marcellinus, Rerum gestarum libri
Lat.432 = Alfa W.1.8 Tommaso d’Aquino, Super librum primum Sententiarum
Lat.435 = Alfa Q.4.4 Dionisius Halicarnassensis, Originum sive antiquitatum
Romanarum libri XI. Storia antica di Roma)
Lat.436 = Alfa Q.4.19 Aurelius Augustinus, Opus contra Faustum manichaeum, Opus contra Julianum Pelagianum.
Lat.437 = Alfa Q.4.15 Cornelius Nepos, De excellentibus ducibus exterarum
gentium et alii : Lucius Annaeus Florus,Titi Livii Epitomae; Gaius Plinius Secundus, Epitomae in Historiam naturalem; Pomponius Mela, De situ Orbis; Zombinus Grammaticus, Abbreviatio de orbis; Cornelius Nepos, Pomponii Attici vita;
Festus Rufius, Breviarium
Lat.439 = Alfa S 4.18 Ambrosius (Sanctus), Hexameron et alia scripta
Lat.441= Alfa S 4.2 Giorgio Merula, Opera varia (sei trattati soprattutto su
scritti degli antichi)
Lat.447 = Alfa S 4.1 Roberto Valturio, De re militari.
Lat.448 = Alfa U 4.9 Gregorius PP.I (Magno), Homiliae in Ezechielem Prophetam.
Lat.449 = Alfa G 3.1 Gregorius Magnus Papa, Dialogi; De vita et miraculis
Patrum Italicorum libri IV; Vita Gregorii Magni per Johannem Diaconum
Lat.458 = Alfa M 1.14 Origenes, Homiliae in Genesim, in Exodum, in Leviticum
Lat.472 = Alfa X 1.10 Strabo, Geographia a Guarino [Veronensi] in latinum
traslata libri XVII.
Anche soltanto da questo stralcio di opere corviniane si può desumere quanto il proposito di Ladislao di avere opere sugli antichi condottieri e per trarne esempio e spunto per la vita attuale fosse condiviso anche da Mattia. Ben
quattro sono le compilazioni storiche: Ammiano Marcellino, Cornelio Nepote,
Dionigi d’Alicarnasso e le vite parallele di Plutarco. Aggiungendo la Geografia
di Strabone e l’architettura dell’Alberti raggiungiamo la metà di opere profane:
per l’epoca averne il cinquanta per cento rispetto a quelle religiose era una
percentuale notevole. La straordinaria stagione dell’umanesimo magiaro voleva
essere ed era fervida e feconda quanto quella delle corti della rinascenza italiana
ed europea.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria
(1487–1499)
György Domokos
Università Cattolica Péter Pázmány, Gruppo di Ricerca “Vestigia”
domokos.gyorgy@btk.ppke.hu
Abstract
The article aims to give an overview of the activity of Taddeo Lardi, a servant of the
Este court in Ferrara, who accompanied in 1487 the eight-year-old Ippolito d’Este to the
Hungarian court. During his first stay (or first two stays) in the Kingdom of Hungary
(1487–1499), Lardi had important charges at the young archbishop’s court, and his
letters testify his overall interest towards the land where he returned to again after
some years and where he died in 1512.
Vogliamo esaminare, qui di seguito, le prime nove lettere di Taddeo Lardi,
corrispondenti al periodo 1487–1499, relative ai suoi soggiorni in Ungheria
precedenti al suo incarico di governatore della diocesi di Eger. Lo scopo del
presente saggio è presentare il contenuto, la lingua ed i riferimenti ad eventi
e personaggi noti, anche in vista di un’edizione di tutto il corpus di 71 lettere,
compreso anche il secondo periodo del suo governatorato a Eger.
Il ferrarese Taddeo Lardi (varianti del suo nome sono Thadeo, Thaddeo de
Lardi, di Lardi, de Lardis) fu un chierico1 e familiare della corte estense, nato
intorno al 1450. Non abbiamo prove, ma solo un’ipotesi riguardante suo padre,
che potrebbe essere identificato con Vincenzo Lardi, cancelliere della duchessa
1
Il suo essere chierico si ricava dalla lettera del 4 novembre 1487 in cui parla di sé come di
futuro sacerdote. Cfr. Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1487.11.04,
ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295509, 1r.
422
György Domokos
di Ferrara, Eleonora d’Aragona.2 Arriva in Ungheria nel 1487 alla corte di Mattia
Corvino,3 accompagnando il giovanissimo Ippolito I d’Este, figlio di Eleonora
e quindi nipote della regina ungherese Beatrice,4 nominato arcivescovo di Esztergom a sette anni. Saranno Esztergom e la capitale Buda le città ad ospitare
Lardi durante i suoi primi soggiorni in Ungheria, dal 1487 al 1499. In questi anni
sicuramente soggiornò anche in Italia e, siccome sembra essere entrato nella
comitiva più stretta di Ippolito, è logico supporre che sia tornato con lui in Italia
nel 1494, per poi seguirlo in Ungheria nel 1495 e di nuovo in Italia nel 1496.5 Il
secondo periodo ungherese (1501–1512) di Taddeo Lardi sarà invece legato alla
città di Eger, la seconda sede in Ungheria di Ippolito dopo lo scambio operato
con Tamás Bakóc nel 1497.
Le funzioni e gli incarichi di Lardi si evolvono ovviamente nel tempo:6 all’inizio, nei primi due anni, a partire dal 1487, è stato nominato sescalco con un
guadagno previsto di 100 ducati all’anno. Poi ha ricevuto il ruolo del tesorie-
2
Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara (1450–1493). Sin dalla prima lettera Taddeo non
cessa di raccomandare il padre affinché potesse entrare nelle grazie della duchessa Eleonora: “ve
supplico ve sia aricomandato mio patre el quale di novo ve lo aricomando” che poi spiega più
dettagliatamente: “Facia extima vostra signoria de fare una grandindissima elimosina perché si
no sum certo faciandolo vostra signoria non ne potrà exire si non bono et perfecto fructo et quella
serà causa de sublevare mio patre et darli requie riposo con sua famigliola da miseria el quale
iterum genibus flexis supplico vostra illustrissima signoria li sia ricomandato et che lo voglia
conservare et tenirlo in del numero de soi fedeli et minimi servitori”. Segue da questo che il padre
di Taddeo era stato al servizio della duchessa. Cfr. Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona,
Wiener Neustadt, 1487.08.25, ASMo Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295508, 1r-v.
3
Mattia I Corvino, re d’Ungheria (1458–1490).
4
Beatrice d’Aragona, regina consorte d’Ungheria, moglie di Mattia Corvino (1457–1508), zia
di Ippolito d’Este.
5
Nell’insieme di documenti che si trovano sotto la segnatura Amm.Princ. 823 dell’Archivio
di Stato di Modena si trovano infatti documenti firmati da Taddeo Lardi in Italia, in queste
date: 10 ottobre 1496 (Ferrara), 27 novembre 1497 (Certosa di Ferrara), 27 gennaio 1498 (Ferrara).
Ringrazio ancora Hajnalka Kuffart per avermi segnalato questi dati.
6
H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete lesz, mint kevés úrnak Itáliában.” Az
esztergomi érseki udvartartás szervezése 1486/87 folyamán’, Történelmi Szemle 2021: 323–382,
p. 380; in italiano: A. Morselli: Ippolito I d’Este e il suo primo viaggio in Ungheria [1487], Modena:
Società Tipografica Editrice Modenese, 1957; N. C. Tóth: Magyarország késő középkori főpapi
archontológiája. Érsekek, püspökök, illetve segédpüspökeik, vikáriusaik és jövedelemkezelőik az
1440-es évektől 1526-ig (A Győri Egyházmegye Levéltári Kiadványai. Források, feldolgozások 17),
Győr, 2017: 52–53.
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499)
423
re7 e anche maggiordomo della casa dell’arcivescovo, situata nella capitale del
Regno, quindi a Buda. Il camerlengo e guardarobiere (guardarobo) Francesco
da Bagnacavallo, avendo offeso nel 1489 il governatore Beltrame Costabili,
dovette ritornare in patria, fu così che Lardi dovette assumersi per forza questi
uffici. Lardi risulta quindi, fino al 1492, tesoriere e guardarobiere nella casa di
Buda dell’arcivescovo.8 Nel 1493 diventa cameriere di Ippolito, facendo quindi
un grande salto di carriera, anche se dopo la morte di re Mattia la situazione
generale non era favorevole ai prelati italiani e ai loro familiari. Infatti, tornando
Ippolito in Italia nel 1494, le circostanze di Esztergom cambiano notevolmente. Tra il 1496 ed il 1501 molto probabilmente anche lo stesso Taddeo Lardi
soggiorna a Ferrara, almeno non abbiamo notizie di lui in Ungheria, mentre
abbiamo, oltre ai sopraccitati documenti da lui firmati nel periodo 1496–98, tre
libri di conto del periodo 1497–1501.9 Il suo secondo soggiorno ungherese lo
lega ormai alla città di Eger, dove accetta di svolgere l’ufficio di governatore
della diocesi in assenza del vescovo, Ippolito. In questo contesto avviene anche
uno scambio di benefici: Taddeo, precedentemente arcidiacono di Pankota, per
espressa volontà di Ippolito d’Este scambia questo suo beneficio con Domenico
Crispo all’arcidiaconato di Ung.10 Come si legge sulla sua lastra tombale di
fine fattura rinascimentale,11 fu due volte governatore della diocesi: abdicò nel
1508, quando arrivò a sostituirlo Ercole Pio di Savoia,12 ma dopo il ritorno (e la
7
Le categorie degli ufficiali di corte tra Ferrara ed Esztergom non coincidono nel contenuto, per
questo i termini ‘sescalco’ e ‘tesoriere’ sono messi tra virgolette, perché non coincidono con gli
uffici di ‘udvarmester’ e ‘kincstartó’. Come descrive G. Guerzoni: Le corti estensi e la devoluzione
del 1598, Modena: Archivio Storico Comunale di Modena, 1999.
8
V. più ampiamente sul caso H. Huffart: Modenában őrzött esztergomi számadáskönyvek és az
esztergomi érsekség udvartartása (tesi di dottorato, relatore: K. Szovák), Budapest, PPKE BTK,
2018: 196-197.
9
ASMo, Amministrazione dei Principi nr. 758, 760, 761. Ringrazio per la segnalazione Hajnalka
Kuffart.
10
P. E. Kovács: ‘Léhűtők Egerben. Mindennapi élet Estei Hippolit egri püspök udvarában’, in:
Memoria Rerum – Tanulmányok Bán Péter tiszteletére, Eger, 2008: 157.
11
E. Berkovits: ‘La pietra sepolcrale di un umanista ferrarese a Cassovia’, Corvina 4/12, 1941:
164–174; T. Myskovszky: A Renaissance kezdete és fejlődése, különös tekintettel hazánk építészeti
műemlékeire, Budapest: Magyar Tudományos Akadémia, 1881: 34–35; B. Wick: Kassa régi síremlékei, Kassa, 1933: 70–72; Á. Mikó: ‘Jagelló-kori reneszánsz sírköveinkről’, Ars Hungarica 14,
1986: 101.
12
Le lettere di Ercole Pio di Savoia dall’Ungheria sono state pubblicate con un saggio in
ungherese: Gy. Domokos: A jámbor Herkules. Estei Hippolit bíboros egri kormányzója, Ercole Pio
beszámolói Magyarországról, 1508–1510, Budapest: Balassi Kiadó, 2019.
424
György Domokos
morte) di questo, Lardi, ormai vecchio e malato, ricevette di nuovo l’incarico.
Non possiamo essere sicuri che la morte lo colse nella città di Kassa, dove
oggi si trova la tomba: si sa tuttavia che il materiale da costruzione, dopo la
demolizione della cattedrale e di parte del castello di Eger, è stato trasferito
anche in città lontane, quindi Lardi potrebbe essere morto proprio a Eger, che
era stata teatro di gran parte della sua vita.
Il contenuto delle lettere
La prima lettera viene inviata da Lardi il 25 agosto 1487 da Wiener Neustadt,
allora sotto la giurisdizione di Mattia. Arriva in questa città come membro del
seguito del giovanissimo arcivescovo Ippolito d’Este e la lettera è indirizzata alla
madre, Eleonora d’Aragona, duchessa di Ferrara. Dopo le scuse, che presenta
alla sua signora per il ritardo della missiva, in un curioso passaggio ricorda
lungamente il momento del congedo da Eleonora, il non aver potuto proferire
nessuna parola e l’aver dato, mentre piangeva, solo un bacio prolungato alla
mano.
…le parole inornate quale volea havere davanti vostra illustrissima
signoria furono reducte e unite in uno basare de mane el quale basar de mane fu misto con multe lacrime et s’el fusse stato possibile
a prolungarlo ancora più lo averia facto…13
Ricorda inoltre la partenza sul Bucintoro, la galea ducale che portava Ippolito
verso il porto di mare. Con strana eloquenza Lardi inserisce un’adulazione
particolare: pur trattandosi di un evento che non è ritenuto degno della memoria della duchessa, l’umanità di Eleonora sarebbe, secondo lui, così forte da
ricordare perfino il proprio battesimo.
…Vostra Illustrissima Signoria se dè ben aricordare abenché non sia
cosa degna de habitare in tal memoria, nientedimeno la humanità
di Quella è tanta che sum più che certo non le cose infine passate,
ma eciamdio el baptesmo quale recepette Vostra Signoria se debe
aricordare…14
13
Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Wiener Neustadt, 1487.08.25, ASMo
Ambasciatori Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295508, 1r.
14
Ibid.
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499)
425
Invece di dare notizie attuali relative al luogo in cui soggiorna, dice semplicemente che Eleonora sarà sicuramente informata da altre fonti (cosa in
effetti vera: in questo periodo il flusso di lettere è continuo da parte di vari
familiari di Eleonora15 ) ed accenna al fatto che Ippolito sta bene e che è quasi
incredibile che Beatrice ami tanto Ippolito. Nella chiusura della lettera troviamo
le immancabili raccomandazioni: prima di tutto ad Eleonora raccomanda il
padre, chiede invece a lei di essere appoggiato presso la regina Beatrice in
qualità di futuro sacerdote.
La seconda lettera, scritta nel novembre dello stesso anno, ci attesta il fatto
che Eleonora ha degnato Taddeo di una missiva che lo commuove.
…una littera de vostra illustrissima signoria io indigno de quella ò
receputo quisti dì passati, la quale me à pieno de consolatione et
factome reputare multo più digno che primo non me tenea…16
Eleonora sembra aver fatto la richiesta raccomandazione per Taddeo, che la
ringrazia per questo rivolgendole belle parole. Ippolito, secondo lo scrivente,
sviluppa ottime capacità, sia nello studio che nel comportamento.
…benissimo et ogni zorno se cognosse tanta differencia de bene in
meglio in lui che l’è quasi una cosa incredula siando che l’età che
l’è sì in le opere del studio sì anco in discrecione et gravità a loco
et tempo dove che bisogna…17
In chiusura Taddeo non manca di ricordare suo padre nelle grazie della duchessa.
La lettera forse più interessante e ricca di particolari è la terza, perché ci
racconta l’entrata di Ippolito a Vienna, da dove Taddeo Lardi scrive ad Eleonora d’Aragona. La prima persona ad accogliere Ippolito, ancora fuori città, fu
ovviamente la zia, Beatrice, accompagnata da tre vescovi: quello di Várad (János
Filipec), quello di Eger (Orbán Nagylucsei) e quello di Győr (Tamás Bakóc)
15
In questo periodo scrivono regolari relazioni dall’Ungheria: Beltrame Costabili, Borso da
Correggio, Bartolomeo Bresciani, Ludovico Zangarino, Giovanni Valla, Francesco dalle Balestre,
Francesco Bagnacavallo, Tadeo di Lardi, Antonio Sbelzarino, Francesco Palude, Gregorio di
Pannonia. Cfr. H. Kuffart & T. Neumann: ‘ “Olyan szép kísérete…” ’, op.cit.: 333, nota 58.
16
Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1487.11.04, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295509, 1r.
17
Ibid.
426
György Domokos
nonché il despota di Serbia (György Brankovics) e il conte Bernát Frangepán.
La forma del saluto del giovanissimo arcivescovo di Esztergom consiste nel
“toccare la mano” ad ognuno di loro.
…la maestà de madama se li venne incontra fora deli borgi de Vienna per spacio de uno bono migliara, e dicta maestà era acumpagniata dal vescovo Valadino, dal vescovo d’Agria et dal vescovo de
Giavarino, e poi dal dispoto de Servia et dal conte Bernardino e
facto monsignore il debito suo, la maestà de madama dicti signuri
de uno in uno li tocharon la mano…18
Salito sul carro di Beatrice, Ippolito viene travolto da baci ed abbracci finché
non arrivano al punto dove li attende Mattia Corvino, che lo accoglie con segni
di vero affetto. La lettera ci informa del seguito ungherese di Ippolito, ed è una
fonte del tutto particolare e fondamentale per ricostruire il suo ambiente. Un
episodio interessante che Taddeo racconta, ci dipinge Ippolito con Beatrice e
Mattia quasi come una famiglia.
…dicta maestà s’el tolse in caretta sua e s’el ge fu abrazamenti e basi
il lassò pensare a vostra illustrissima signoria e cussì intrando con
gran triumpho arivorno dove che stava el signore re e sua maestà
se ge fece portare incontra insino al primo usso de sue stancie et
feceli honore et carize assai. La humanità quale usò sua maestà
verso dicto reverendissimo signore fu cosa multo notabile et signo
de sviscerato amore…19
Beatrice, a quanto pare già nel 1488, pensava di farlo nominare cardinale, ne
parlava apertamente calcolando chi avrebbe appoggiato la proposta. Se Ippolito
fosse stato di 4 anni più grande (se avesse avuto quindi 12 anni), in tal caso, a
quanto dice, si sarebbe potuto anche tentare. A cena, poi, il re guarda dentro
il sacchetto (indicato con il termine ferrarese “carnirolo”) del piccolo Ippolito
e vi mette venti ducati.
…cussì appresso al re sua maestà se mise a cerchare dentro a uno
carnirolo che tenea a lato monsignore per vedere se tenea dinari
18
Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1488.04.04, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295510, 1r.
19
Ibid.
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499)
427
alcuno et non trovando niente ge posse vinti ducati d’oro e basollo
più de vinte volte…20
La lettera successiva, del 23 giugno 1491, quindi ormai dopo la scomparsa
di Mattia Corvino, ci testimonia il fatto che Eleonora d’Aragona ha pensato
di assicurare il futuro del suo fido servo, Taddeo Lardi, consegnandogli un
beneficio a Camurano. È da questa lettera che veniamo informati della rinuncia
di Taddeo all’ufficio di guardaroba, atto che lui giustifica con una malattia
degli occhi ma anche col fatto che il figlio della duchessa Eleonora, Ippolito,
ha bisogno di lui e il governatore, messer Beltrame Costabili, non ha tutto quel
tempo che conviene dedicare all’educazione di un ragazzo della sua età: deve
ancora correre e giocare molto.
…io non ò rifutato dicto officio si non per potere melgio servire
il signore mio et starli continuamenti ali piedi perché oramai Dio
gratia l’è uno homo, non pò cussì star fermo, bisogna che joca et
corra qualche volta secundo conviene ala etate sua, non sempre
Misser Beltrame li pote esser apresso non perché da lui manchi ma
per occupacione di facende reginale onvero del Patrone, proprio et
per questo non sempre ge pote essere et io per havere lo obbligo
de servitù dala mathina insino a sera et tucta la nocte con sua
illustrissima et reverendissima signoria…21
Con parole adulatorie Taddeo aggiunge che ad Ippolito manca solo il cappello cardinalizio, perché è attratto dall’onore e dalla virtù come il ferro dalla
calamita.
Lo stesso anno, il 15 dicembre del 1491, scrive una lettera anche alla sorella
Beatrice, così veniamo informati circa il nome di due altri suoi fratelli: Domitilla
e Patrizio: probabilmente l’ultimo è la stessa persona che comparirà, qualche
anno più tardi, a Eger vicino a Taddeo.
… fariti la scusa con sore Domecilla et con Patricio deli speroni per
lo primo che venerà mandarò il tucto…22
20
Ibid.
Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1491.06.23, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295511, 1r.
22
Lettera di Taddeo Lardi ad Eleonora d’Aragona, Esztergom, 1491.12.15, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/9, MNL OL DF 295512, 1r
21
428
György Domokos
Le lettere del 1498–1499 potrebbero appartenere ad un soggiorno successivo: abbiamo le prove del suo ritorno in Italia. Nel 1494, con il ritorno di
Ippolito, un folto gruppo abbandona l’Ungheria e pertanto, vista la sua assenza, anche il sistema gestionale delle sue prebende e dei suoi interessi subì un
cambiamento.23
Pare che nel 1498 Taddeo Lardi sia intento a mettere in ordine gli interessi di
diversi italiani che hanno delle entrate in Ungheria.
…el me pare che lo vicario24 qui agia alcuni vostri dinari et cercha
de mandarveli: lo tenerò sollicitato che ve li mandi per bona via…25
Nella lettera che scrive il 7 settembre 1498 a Tommaso Fusco, segretario
del cardinale Ippolito, nomina oltre a lui anche altri interessati non ancora
identificati: Vittore, Giulio, Giovanni.
Nel gennaio del 1499 indirizza una sua lettera sempre a Fusco, in questo caso
già l’attacco della lettera è alquanto curioso: “Non tenebre, sed mea lux”. Rende
qui conto delle trattative intorno allo scambio delle diocesi ancora in corso.
Assicura lo stesso Fusco che l’arcivescovo Bakóc protegge gli interessi degli
italiani e, tra tutti, soprattutto quelli di Fusco.
…pareme agiati scripto a lo gubernatore stia alquanto sopra di sé
ne la permutatione vostra, credo che presto andarà a Strigonia,
chiamato da lo reverendissimo archiepiscopo, et io interim andarò
ad Agria et parlerò con lui, siati certissimo che epso et io non si
sforzaremo d’altro se non di fare cosa vi sia grata, et a proposito
eo maxime per essere ben disposto epso reverendissimo archiepiscopo verso vui, perché l’altro giorno qui in Buda li parlai di
facti vostri, oldendome graciosissimamente mostrando de amarvi
supra ogni familiare de lo illustrissimo patrone et essere desideroso
mantenirvi le cose vostre si come le avesiti in Italia et darve ogni
23
H. Kuffart: Modenában őrzött…, op.cit.: 29, nota 152.
Tommaso Amadei de Ferrara, vicario di Esztergom, 1495–1510, cfr. N. C. Tóth: Az esztergomi
székes- és társaskáptalanok archontológiája 1100–1543 (Subsidia ad historiam medii aevi Hungariae
inquirendam 9), Budapest, 2019: 259.
25
Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Esztergom, 1498.09.07, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295620, 1r.
24
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499)
429
adiuto et favore li sia possibile et a me parea non ge fusse niente di
finto…26
Si tratta anche di benefici di Esztergom che gli italiani cercano di accaparrarsi, ormai però senza successo.
…da lo lectore non est sperandum, perché l’è ito in li frati di Sancto
Paulo27 ut ait vulgus ut hoc est certum che l’à renunciato lo lectorato ad uno chiamato Truzo,28 giovene da bene: et hoc factum est
per istegnio ch’à avuto di parole con lo provisore di Stigonia quale
se chiama Ussi Georgio29 …30
C’è un’unica lettera superstite di questo periodo che Lardi scrive direttamente al cardinale Ippolito, il 12 luglio 1499. Circostanziate e lunghe scuse
intendono motivare il ritardo.
…Se io credesse che vostra illustrissima et reverendissima signoria
havesse una sol sentilla ne l’animo suo, che’l ritornare mio non cusì
presto fusse per altro che per impossibilità, de la pegior voglia me
ritrovaria che mai homo al mondo se ritrovasse et più presto non
voria haver impedito el ventre de mia matre un sol giorno, afinché
simel oppinion non fusse intravenuta; ma perché cogniosco vostra
26
Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Esztergom, 1499.01.27, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295621, 1r.
27
Frate di Sancto Paulo: Kesztölci, Mihály dal 1483 fu canonico lettore ad Esztergom e, fino alla
scoperta di questa lettera, si sapeva della sua presenza fino al 1496 (N. C. Tóth: Az esztergomi…,
op.cit.: 33). Questa lettera è inoltre la prova del fatto che questa persona risulta il vicario dei
Paolini a Nosztra, menzionato là ancora nel 1504 (cfr. ibid.: 44; Id.: Az esztergomi székeskáptalan
a 15. században III. rész. Az ún. 1397. évi esztergomi székeskáptalani egyházlátogatási jegyzőkönyv
(Subsidia ad historiam medii aevi Hungariae inquirendam 13), Budapest, 2021: 249).
28
Truzo: Turzó, Zsigmond (figlio di Márton) dal febbraio del 1500 attestato come canonico
lettore a Esztergom (N. C. Tóth: Az esztergomi…, op.cit.: 33).
29
Da identificarsi con György Ősi amministratore delle entrate arcivescovili di Esztergom negli
anni 1498–1506 (N. C. Tóth: Magyarország…, op.cit.: 30; Ulteriori dati su Ősi recentemente:
I. Kristóf: ‘Bortizedbérlők a késő középkori egri számadáskönyvekben’, Acta Universitatis de
Carolo Eszterházy Nominatae. Sectio Historiae [Tanulmányok Dr. Kozári József és Dr. Kriston Pál
tiszteletére], Eger, 2019: 221–236).
30
Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Buda, 1499.01.27, ASMo Ambasciatori Ungheria
b.3/29, MNL OL DF 295621, 1r.
430
György Domokos
illustrissima et reverendissima signoria sapere tanto bene discernere el negro dal bianco et conprehendere il vero da la busia, che
mi tengo certissimo per sua sollita clementia se digniara pigliare el
mio tardare sì come egli è…31
Poi rimanda alla relazione che verrà presentata oralmente da Ludovico Floreno, governatore di Eger, che sta tornando a Ferrara. La lettera pullula di
raccomandazioni di personaggi che stanno lasciando l’Ungheria: forse la nuova
ondata sarà legata ai decreti delle diete che non lusingano gli stranieri di buoni
uffici nel paese.
Una sola settimana più tardi, precisamente il 19 luglio 1499, Lardi scrive
anche al segretario Tommaso Fusco, sottolineando il personaggio del vescovo
Cantelmo32 che aveva parlato alla dieta in maniera assai forbita, partendo dal
concetto della Trinità. Lardi è del parere che Cantelmo sarebbe la scelta ideale
per fungere da vicario di Ippolito ad Eger.
…siti ad plenum informato per le littere quale scrive el gubernatore
alo illustrissimo patrone et anche a messere Cantelmo, el quale è
persona dignia et da bene et in ogni sua cosa dove che ripresenta
la persona de sua reverendissima signoria ne riesse con grande
honore et in ogni suo judicio et cause. Et maxime in questo sinodo33
a lui è tocato el primo sermone et àllo recitato con grandissima
elegancia, breve con substancia de trinitate, che multo piacque a li
intelligenti auditori, et ultra questo fece adiungere alcune clausule
ne le constitucione sinodale nomine illustrissimi et reverendissimi
domini, molto fructuose, siché in ogni suo atto mi pare reusirne bene et con honore de epso illustrissimo patrone. In lui non
regnia superbia aspreza ni rapacità, anci cum omnibus humilità
grandissima et liberalità, per le qual cose generaliter da ognuno
sumamente è amato et venerato. Et pareme in quanto al mio debile
31
Lettera di Taddeo Lardi ad Ippolito d’Este, Eger, 1499.07.12, ASMo Ambasciatori Ungheria
b.3/29, MNL OL DF 294622, 1r
32
Giulio Cesare Cantelmo, vescovo titolare di Nizza 1490–1503, il quale in qualità di ambasciatore ferrarese, tra il 1499 ed il 1503, soggiornò in Ungheria e vi morì nell’anno 1503 (cfr. I. Kristóf:
‘Utazás Itáliába 1501 nyarán. Egy számadáskönyv tanulságai’, in: Akit Clio elbűvölt : In honorem
Romsics Ignác, Eger, 2021: 187–209).
33
Si tratterà probabilmente della dieta del giorno di San Giorgio, dell’anno 1499, nella città di
Pest (DL 20883). Ringrazio Norbert C. Tóth per l’indicazione.
Le prime lettere di Taddeo Lardi dall’Ungheria (1487–1499)
431
ingegnio che messere reverendissimo et illustrissimo facesse una
optima electione a mandare tal homo qua, il quale da vui aspecta
risposta…34
Osservazioni linguistiche
Per quanto riguarda la lingua di Taddeo Lardi, nell’epistolario integrale che
copre 25 anni e conta una settantina di lettere (da pubblicarsi integralmente
nel prossimo futuro) vediamo un cambiamento notevole. In questo primo periodo, preso in esame nel presente articolo, le lettere abbondano di latinismi
(ad plenum, auditori, cum omnibus, genibus flexis), ma anche nella scrittura
latineggiante (efecto, fructuoso, electione). Nella grafia, in mancanza di un’ortografia stabilita per il volgare, si appoggia certamente sul latino, qualche volta
questo influenza anche le forme stesse delle parole: scrive multe per ‘molte’,
hore per ‘ore’. Troviamo una certa influenza anche della scrittura francese,
nella grafia della parola partença Lardi utilizza il grafema ‘ç’. Usa spesso e
volentieri espedienti per dare dimostrazione della sua cultura: doppia aggettivazione e verbalizzazione (illustrissimo e reverendissimo; reducta e unite, multe
e migliore, bone e perfecte, braciano et basiano, prego e pregarò, joca e corra),
metafore (requie riposo, stare continuamenti ali piedi, como fa la calamita il
ferro, littera tutta gemmata) e rimandi dotti al limite della comprensibilità, come
per la descrizione della capacità di Eleonora d’Aragona di ricordare il proprio
battesimo, o appellandosi a Fusco come “mea lux”. Col tempo il suo stile si
semplificherà, pur mantenendo l’encomio e l’adulazione richiesti ad un servo
del cardinal Ippolito. In questo corpus di nove lettere risalenti ai suoi primi due
soggiorni in Ungheria, troviamo poco accostamento al volgare locale ferrarese.
Sembrano essere caratteristiche della parlata emiliana le a- prostetiche nelle
parole aricordare, abenché, aricomandare. Forse la parola carnirolo, adoperata
per indicare la borsetta del giovanissimo arcivescovo a tavola con Beatrice e
Mattia, potrebbe essere un elemento lessicale localizzabile35 nel ferrarese. Non
34
Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Eger, 1499.07.19, ASMo Ambasciatori Ungheria
b.3/29, MNL OL DF 294623, 1r.
35
carnirolo: tipo di sacca, tasca a foggia di carniere. G. Trenti: Voci di terre estensi. Glossario
del volgare d’uso (Ferrara-Modena) da documenti e cronache del tempo. Secoli XIV–XVI, Vignola:
Fondazione di Vignola, 2008: 135. Ringrazio Elena Ferrazzi per l’indicazione.
432
György Domokos
cede in questo periodo a volgarismi; una sola volta si concede una locuzione
del tipo ge ne incago,36 peraltro con riferimento incerto ad un affare con un
concittadino. Certamente i prestiti dall’ungherese (parole come filer, cozi, suba,
segin ecc.) si faranno più frequenti nel secondo periodo, quando il suo ambiente
normale a Eger sarà fatto per lo più di ungheresi.
Indubbiamente una parte di un epistolario non può essere oggetto di valutazione da parte della storiografia, può tuttavia apportare elementi importanti,
come nel nostro caso sulla corte arcivescovile del giovanissimo Ippolito (lettera
del 4 aprile 1488) o la situazione del capitolo di Esztergom (lettera del 27 gennaio 1499). Speriamo di contribuire in futuro con ulteriori elementi, tramite la
sperata pubblicazione di tutte le lettere di Taddeo Lardi, alla ricostruzione del
suo ambiente.
36
Lettera di Taddeo Lardi a Tommaso Fusco, Esztergom, 1498.09.07, ASMo Ambasciatori
Ungheria b.3/29, MNL OL DF 295620, 1r.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
L’entrata del cardinal Tamás Bakóc a Roma
nel 1512 in due fonti manoscritte
Ágnes Szabó; György Domokos
Università Cattolica Pázmány Péter
szaboagnes8@gmail.com; domokos.gyorgy@btk.ppke.hu
Abstract
The authors of this article compare two manuscripts (one from Mantua and one from
Modena) regarding the solemn Entrata to Rome of the Hungarian cardinal Tamás Bakóc
in 1512. The event is placed in a historical and artistic context, and a special emphasis
is placed on the description of the cloths of the prelate’s sequalae, as they were really
astonishing to the contemporary Italians.
Recentemente, in occasione del 500° anniversario della morte del cardinal Tamás Bakóc, ha avuto luogo un convegno scientifico nella sua città sede, Esztergom. All’Adalbertinum, anticamente Seminario Maggiore della città, fungeva
da sfondo ai relatori un’opera del pittore Ernő Jeges. Quest’opera rappresentava
l’entrata di Bakóc nella Città Eterna nel 1512, un evento carico di simbologia e
richiamato dalla storiografia ungherese come occasione culminante del Regno
d’Ungheria, il cui Primate, avendo impressionato fortemente i romani, avrebbe
sfiorato la possibilità, l’anno seguente, di diventare addirittura papa. La pittura
di Jeges non è certamente un’opera storiografica e, anche se attinge le informazioni da un racconto, a sua volta ispirato ad una pubblicazione del grande
storico Vilmos Fraknói, conserva tuttavia elementi veritieri.1
1
La nascita della pittura fu ispirata dal racconto dello scrittore Ferenc Herczeg intitolato Az
élet kapuja [La porta della vita] (Budapest, 1919), il quale attinge le informazioni, con ogni
probabilità, dalla monografia di Fraknói su Tamás Bakóc. Il dipinto è stato preparato da Ernő
Jeges (1898–1956) nel periodo 1931-34 quando era borsista del Collegium Hungaricum a Roma.
Cfr. E. Bodonyi: Jeges, Szentendre: Pest Megyei Múzeumok Igazgatósága, 2008: 24–26.
434
Ágnes Szabó; György Domokos
Nel presente saggio intendiamo fornire una trascrizione e l’analisi comparata, oltre che della relazione di Stazio Gadio (la fonte esaminata a Mantova da
Fraknói), anche di quella di Ludovico da Fabriano, un altro testimone oculare
che ha scritto la sua relazione per conto della corte estense di Ferrara, che oggi
si ritrova presso l’Archivio di Stato di Modena. L’intervento di Ágnes Szabó al
detto convegno era incentrato sui vestiti del seguito del cardinale; il presente
studio si amplia con una piccola analisi linguistica e, dove questo si rende
possibile, con delle note prosopografiche.
Il corteo degli ungheresi al seguito del cardinal Bakóc viene descritto da
ambedue i testimoni come esotico, soprattutto per il vestiario, che è diverso
da quello consueto in Italia. Alcune particolarità di queste due descrizioni sono
preziose proprio dal punto di vista della storia del costume.
Per studiare i particolari vestiti indossati dal seguito di Bakóc in occasione
dell’entrata a Roma, possiamo prendere in esame i parallelismi italiani della mecenatura del Primate d’Ungheria, soprattutto l’attività in tal senso di Giovanni
de’ Medici. Si è dimostrata molto utile, inoltre, una linea di ricerca portata avanti, negli anni passati, su un pezzo di vestimento laico, la “turca”, che troviamo
spesso menzionata nelle fonti coeve.2
Fonti scritte sull’aspetto degli ambasciatori ed inviati ungheresi all’estero si
hanno anche dal periodo precedente il secolo 16. Jolán Balogh ha pubblicato
un’ampia e curiosa antologia sulle fonti che descrivono il modo di vestire ungherese nel periodo di Mattia Corvino.3 Una di queste fonti, datata 1489, esemplifica in maniera eccellente le caratteristiche della “civiltà dell’ambasceria” e
del vestire accettata alla fine del secolo 15 alla corte reale ungherese. Il testo riguarda un messaggio fatto arrivare in forma scritta al duca di Milano, Ludovico
Sforza, tramite il segretario ducale Bartolomeo Calco da parte dell’arcivescovo
milanese.4 Il messaggio giungeva dopo un loro colloquio a proposito di una
delegazione in procinto di partire per l’Ungheria:
2
Á. Szabó: ‘Turca, suba és a nevető harmadik. Egy öltözék az itáliai-magyar diplomáciai
forrásokban a 15. század második felében és a 16. század elején’, in: B. Gulyás, Á. Mikó & B.
Ugry (eds.): Reneszánsz és barokk Magyarországon. Művészettörténeti tanulmányok Galavics Géza
tiszteletére. I–II, Budapest: ELKH Művészettörténeti Kutatóintézet, 2021: 143–158. Sull’entrata di
Tamás Bakóc a Roma nel 1512: D. Görög: ‘Bakócz Tamás római bevonulása’, in: O. Báthory &
F. Kónya (eds.): Egyház és reprezentáció a régi Magyarországon, Budapest: MTA-PPKE Barokk
Irodalom és Lelkiség Kutatócsoport (Pázmány Irodalmi Műhely, Lelkiségtörténeti Tanulmányok
12), 2016: 113–119.
3
J. Balogh: A művészet Mátyás király udvarában. Budapest: Akadémiai Kiadó, Budapest, 1966:
I. Adattár, 414–435.
4
Guidantonio Arcimboldi, arcivescovo di Milano (1489–1497).
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
435
Ma in specie ha dicto parerli, che al conte Alexandro siano dati
qualche camereri et gentilhomini honorevoli, per essere de quella
condizione et grado e tochando, poich’el numero de tutta la comitiva non dovesse essere mancho de 600 persone, alle quale fusse deputato uno, che generalmente havesse comandarli a tutte le familie
loro, cum tenerle regulate et farli andare cum bono ordine senza
confusione et costumatamente, peroche in quella corte observano
non solamente el parlare de ciascuno, ma anchora li modi et gesti
suoi, demonstrando appresso, che el fusse bene admonire ognuno
ad portare veste longhe, peroche così è il costume loro et damnano
grandamente questi habiti corti.5
È stato lo stesso Bartolomeo Calco a conservare per noi la memoria dell’ambasciatore ungherese, Mózes Buzlai, che indossa la “turca” sopra menzionata:
Dicto ambaxiatore haveva una belissima turcha de drappo d’oro,
cum uno friso in testa rivolto ad treze et perle, cum li capilli longi
anellati et di gratissimo aspecto et belissima statura, de etate de
trenta anni et richissimo de bona maynera et costumi, et è cum
bella compagnia di numero solamente de persone 18, et tra cavalli
e muli 17.6
Dal ritratto del vescovo di Pécs, “messer Giovanni”, scritto da Vespasiano
da Bisticci, siamo informati del carattere ungherese, della grandezza e della
composizione della delegazione ungherese, la cui parte preponderante spettava
alla cavalleria. Si tratta dell’ambasciata di Giano Pannonio che, nel 1465, per
conto di Mattia di Corvino, si reca alla corte di papa Paolo II (1464–1471) con
una delegazione composta da trecento persone a cavallo:
…è lunghissimo tempo che in Italia non venne mai più degna legazione di questa, né con più cavalli, né con maggior pompa, venendo
5
I. Nagy & A. Nyáry (eds.): Magyar diplomácziai emlékek Mátyás király korából IV. (Monumenta Hungariae Historica. Acta extera), Budapest, 1878: 31. J. Balogh: ‘Mátyás-kori, illetve
későközépkori hagyományok továbbélése műveltségünkben’, Ethnographia LIX, 1948: 14; J. Balogh: A művészet…, op.cit.: 430; J. Szendrei: A magyar viselet történeti fejlődése, Budapest, Hermit,
2019: 15.
6
J. Balogh: A művészet…, op.cit.: 435; L. Zanichelli: ‘Gergelylaki Buzlay Mózes milánói követjárása (1489)’, in: Gy. Domokos, N. Mátyus & A. Nuzzo (eds.): Vestigia. Mohács előtti magyar
források olasz könyvtárakban, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 129–130.
436
Ágnes Szabó; György Domokos
dalle estreme parti del mondo. Non si vide mai legati sì bene a
cavallo, né i famigli sì bene a ordine, e i più begli uomini che si
vedessimo mai. […] Vennon qui a Firenze, e alloggiorono in quanti
alberghi v’erano. Istettono parecchi dì a rimettersi in ordine, e a
vedere la terra. Partitisi da Firenze, n’andorono alla via di Roma,
incontrati da’ cardinali in fuora; che fu cosa mirabile a vedergli
entrare in Roma.7
L’entrata di Tamás Bakóc a Roma, come prelato ungherese, non è quindi un
evento senza precedenti. I brani citati, anche se rimandano solo di sfuggita al
vestiario dei membri della delegazione della fine del Quattrocento, sono comunque un importante punto di riferimento per le ricerche sulla storia del
costume in Ungheria. I documenti che ora presentiamo non solo mostrano
una continuità rispetto ai fatti conosciuti del secolo precedente, ma integrano
notevolmente anche le nostre conoscenze particolari a riguardo.
Conosciamo la descrizione particolareggiata dell’entrata di Tamás Bakóc a
Roma, nell’anno 1512, grazie alla biografia di Vilmos Fraknói.8 In essa l’autore,
partendo da diverse fonti, ha ricostruito l’arrivo del cardinale di Esztergom alla
Città Eterna, descrivendo gli eventi di due giorni: l’entrata stessa nel giorno 27
gennaio 1512, la seduta del concistoro avvenuta tre giorni dopo e il suo incontro con papa Giulio II. Per delineare il suo arrivo si appoggia sulla “relazione
dell’ambasciatore mantovano del 2 febbraio 1512”, mentre per quanto riguarda
l’incontro non cita una fonte precisa, anche se, in base ad una nota a piede di
pagina presente in un altro punto, si può supporre che abbia riassunto le cose
accadute sempre in base alle relazioni del 2 febbraio “inviate dagli oratori di
Mantova e di Ferrara”.9 Fraknói può aver letto, quindi, tutte le fonti che qui
presentiamo, è tuttavia la prima volta che vengono edite e comparate insieme.
All’Archivio di Stato di Modena, nella serie degli Ambasciatori, tra le buste
che conservano le relazioni arrivate da Roma, è stata ritrovata quella di Lu7
F. Pulszky: ‘Bisticci Vespasiano Janus Pannoniusról és György kalocsai érsekről’, Budapesti
Szemle 3, 1873: 5–6, p. 283; V. da Bisticci: Vite de Uomini Illustri del Secolo XV. Rivedute sui
manoscritti da Ludovico Frati. Volume primo, Bologna: Romagnoli-Dall’Aqua, 1892: 248–249.
8
V. Fraknói: Erdődi Bakócz Tamás élete, Budapest: Méhner Vilmos kiadása, 1889, 117–120;
V. Fraknói: Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a Római szent-székkel, Budapest:
Szent István Társulat, 1902: 304–306.
9
V. Fraknói, Erdődi Bakócz…, op.cit.: 118–120; per calcolare il numero delle persone del seguito,
Fraknói si appoggia ad una relazione precedente, mandata da Segna a Venezia il 28 novembre
1511. Cita una nota dei Diarii di Marin Sanudo a proposito dell’alloggio romano di Bakóc.
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
437
dovico da Fabriano, risalente all’anno 1512, che rende conto ad Ippolito d’Este
della preparazione e del modo in cui si svolse l’entrata della comitiva ungherese
al concistoro. I fatti in questione li ritroviamo nelle sue lettere del 1, 30 e 31
gennaio e, pur non essendo molto particolareggiato, alla vista dei vestiti esotici
dimostra la stessa meraviglia del suo collega mantovano.
All’Archivio Gonzaga dell’Archivio di Stato di Mantova siamo riusciti ad
identificare il documento che Fraknói, con ogni probabilità, aveva utilizzato per
la ricostruzione dell’entrata del 27 gennaio 1512.10 Esso venne spedito a Isabella
d’Este da Stazio Gadio, oratore del marchese di Mantova a Roma, sei giorni
dopo l’evento stesso, ovvero il 2 febbraio 1512.11 Il documento è una copia della
stessa mano di Gadio di un’altra lettera, da lui spedita lo stesso giorno al marito
di Isabella, il marchese di Mantova, Francesco Gonzaga. In base alla lettera
che accompagna il documento, si chiarisce che la copia fu inviata da Gadio
alla marchesa Isabella d’Este Gonzaga. Questa lettera di accompagnamento,
peraltro, ha un alto valore anche per via di un altro particolare: grazie ad essa
si è riusciti ad identificare una statua antica che oggi si trova al Museo Louvre
di Parigi, raffigurante il dio Tevere e facente parte, un tempo, della famosa
collezione d’arte di papa Giulio II.12
Stazio Gadio accompagnò, nel 1510, in qualità di maestro di casa e segretario
particolare, il primogenito Federico Gonzaga alla corte di papa Giulio II, da dove
informava la marchesa sull’andamento del figlio.13 I suoi scritti permettono di
10
Il giorno dell’entrata fu identificato molto puntualmente da Stazio Gadio: “[…] fatto una bella
entrata: marti proximo passato alli XXVII di jan […]”, Archivio di Stato di Mantova, Archivio
Gonzaga, 860 (Roma), 1 febbraio 1512, 1r.; si conoscono inoltre, sullo stesso evento, le lettere di
Ludovico da Fabriano del 31 gennaio 1512. I testi citati in ungherese da Fraknói coincidono con
la lettera di Stazio Gadio, tanto che gli elementi comuni tra le relazioni di Gadio e di Fabriano
potrebbero rimandare ad una possibile collaborazione tra i due. John Shearman, a proposito delle
fonti relative all’entrata a Firenze di Leone X nel 1515, parla di un volume manoscritto della
British Library, l’Harley 3462. Sembra che in questo libro siano redatti dei testi per il segretario
di Francesco Gonzaga, a partire dalle relazioni di oratori gonzagheschi, tra cui Stazio Gadio.
In questo volume compilativo, che risale al periodo 1500–1517 e riguarda questioni politiche,
dinastiche e di celebrazioni, si potrebbero trovare ulteriori fonti con riferimento ungherese.
J. Shearman: ‘The Florentine Entrata of Leo, 1515’, Journal of the Warburg and Courtauld Institutes
38, 1975: 138.
11
Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 860 (Roma), 2 febbraio 1512.
12
Musée du Louvre, Inv. nr. Ma 93; A. Bertolotti: Artisti in Relazione coi Gonzaga Signori di
Mantova. Ricerche e Studi negli Archivi Mantovani, Modena: Tipi di G.T. Vincenzi e nipoti, 1885.
70; H. H. Brummer: The Statue Court in the Vatican Belvedere, Stockholm: Almqvist & Wiksell,
1970: 191.
13
Il bambino, dell’età di 10 anni, a partire dall’incarcerazione di suo padre, avvenuta a Venezia
nel 1509, viveva alla corte pontificia praticamente come ostaggio. Cfr. R. Tamalio, Stazio Gadio, in:
438
Ágnes Szabó; György Domokos
comprendere non solo lo svolgimento della vita quotidiana a Roma, ma di avere
anche una visione sulla serie di festività religiose e profane del pontificato di
Giulio II.14 Nelle sue descrizioni è caratteristica la sensibilità ai messaggi visivi
dell’epoca, l’annotazione della rappresentazione araldica e anche dei particolari
del vestiario, dei colori, delle stoffe e degli ornamenti.15
La relazione sull’arrivo di Tamás Bakóc, come si capisce dal paragrafo introduttivo del testo, fa parte della serie di lettere che rendono conto sullo stato di
salute di Federico Gonzaga a Roma: “Il signor Federico sta bene et sano et ogni
sera magna et gioca con Nostro Signore, pigliandone sua Santità gran piacere,
lo vede voluntieri, et lo accareza al solito.”16 Gadio, nelle sue lettere, descrive la
figura e le attività quotidiane di papa Giulio II con il piglio di un vero cortigiano,
tuttavia in questo testo la sua attenzione è maggiormente presa dall’arrivo del
cardinale di Esztergom alla Città Eterna.
Dall’introduzione veniamo a sapere che Gadio era ben informato anche sul
viaggio di Tamás Bakóc verso Roma. Rende conto del fatto che il cardinale
sostava ad Ancona, in attesa di un breve papale che gli assicurasse il diritto
di lasciare liberamente testamento (anche il diritto di nominare il successore,
in caso di morte di Bakóc a Roma, sarebbe passato al papa). Si capisce inoltre
che Giulio II, per qualche ragione, non era incline a riceverlo subito, però:
“[…]volse vedere la sua famiglia, informato che era bella, et ben in ordine, como
fu vero”.17 Già nella lettera del 1 gennaio 1512, Ludovico da Fabriano rende
conto al duca di Ferrara dei preparativi, delle trattative per scegliere il giorno
dell’entrata, non descrive però l’evento del 27, solo quello del 30, giorno in cui
gli ungheresi si recano al concistoro. Dell’entrata in città del 27 gennaio scrive
solo sommariamente, riferendone in proposito all’evento di due giorni dopo:
“L’intrata loro in Roma fo ancho um bello spectaculo. Venivano al ordinanza
Dizionario biografico degli italiani (=DBI), LI Roma, 1998: https://www.treccani.it/enciclopedia/
stazio-gadio_(Dizionario-Biografico)/ (consultato il 15 gennaio 2022). A. Modigliani: ‘Roma 1512.
Echi del Concilio e vita di corte attraverso le lettere di Stazio Gadio’, in: M. Chiabò, R. Ronzani &
A. M. Vitale (eds.): Egidio da Viterbo. Cardinale Agostiniano tra Roma e l’Europa del Rinascimento.
Atti del Convegno. Viterbo 22–23. settembre 2012, Roma: Centro Culturale Agostiniano ‘Roma nel
Rinascimento’, 2014: 191.
14
Dopo la morte di papa Giulio II, Federico Gonzaga ottenne, dal collegio cardinalizio, il
permesso di ritornare a Mantova. Sia lui che Stazio Gadio lasciarono quindi Roma.
15
Ha lasciato una descrizione dettagliata anche delle esequie di papa Giulio II (lettera del 3
marzo 1513).
16
Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, 860 (Roma), 2 febbraio 1512, 2v.
17
Ivi,1r.
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
439
con loro pennachie, targhe guarnite et tucti foderi de simitarre d’argento, pure
con fornimenti, speroni richi et maniche racamate de perle. È stata reputata una
sumptuosa comitiva, più che se ricorde um tempo.”18
Procediamo quindi secondo il racconto di Gadio. Il cardinale ed i personaggi
più nobili del suo seguito vennero accompagnati, il 27 gennaio 1512, solo fino
al luogo citato come “Popolo”, mentre l’altra parte della delegazione andò verso
il Ponte Molo (Ponte Milvio)19 per arrivare da lì al Belvedere ed entrare in città
da Porta di San Pietro, così da permettere al Santo Padre di vedere la sfilata.
Siccome il testo di Gadio non menziona poi più la persona del cardinale, si
può supporre che lui, da Porta del Popolo, sia andato con il seguito più stretto
direttamente al palazzo affittato in Campo de’ Fiori.20
In seguito si legge la descrizione dettagliata della delegazione, un racconto
che ci fa avere l’impressione di vedere proprio quel che si trovò davanti ai suoi
occhi papa Giulio II. Davanti camminavano quaranta muli carichi, coperti di
rosato (stoffa fine di lana) di color giallo e bianco, con al centro lo stemma
cardinalizio di Tamás Bakóc, “megia rota sopra qual sta megia cerva in campo
agiuro”.21 Secondo la descrizione “tutti quaranta ad uno modo ordinatamente
che faceva bel vedere”. Conosciamo una dettagliata descrizione dell’entrata di
papa Leone X a Firenze nel 1515, dove a guidare la processione erano pure
dei muli (in questo caso ottanta), coperti anche questi di rosato, sui quali si
distingueva lo stemma di papa Leone X.22 Siccome il ritorno di Giovanni de’
Medici a Firenze è molto ben documentato, sappiamo che due anni prima della
sua entrata in città, il 20 luglio 1513, fu pagata ad un certo maestro ricamatore
chiamato Ghalieno una somma notevole, 54 ducati, per dei lavori: tra questi
18
Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 30 gennaio 1512, 1r.
Il termine “Popolo” indicato nel testo rimanda, con ogni probabilità, a Porta del Popolo, l’entrata di Roma per millecinquecento anni più importante venendo da Nord, fino alla sistemazione
urbanistica dell’Ottocento; Ponte Milvio fu costruito nel 109 a.C. come prolungamento della
Via Flaminia. Il nome originale “Mulvius” si trasforma col tempo in “Milvius”, nel Medioevo
“Molbius” e “Mole”, anche oggi ci si riferisce come “Molle”, in: Roma. Guida d’Italia, Milano:
Touring Club Italiano, 1999: 708.
20
V. Fraknói, Erdődi Bakócz…, op.cit.: 117–118; EF Mlt Lad. 49. 3. 24. Documento notarile.
21
Lettera di Stazio Gadio a Isabella d’Este-Gonzaga 3 febbraio 1512, 1r.; P. Fabbri: La moda
italiana nel XV secolo. Abbigliamento e accessori. Rimini, Bookstones, 2017, 139.
22
“Lo ingresso principiò con questo ordine: passorno prima LXXX mulli del papa con le coperte
rosate con li festoni in mezo l’arma del papa seguiano dui à piedi vestiti de rosato con maze di
legno argentate in mano che faceano far largo alla brigata che passava”: descrizione di Francesco
Chiericato del 30 novembre 1515. In: J. Shearman: The Florentine…, op.cit.: 150.
19
440
Ágnes Szabó; György Domokos
c’era la preparazione di nove coperte per muli con lo stemma di papa Leone
X.23 Oggi, cinquecento anni dopo, non si riesce a far corrispondere in tutti i
casi gli ordini scritti agli oggetti d’arte superstiti o agli eventi documentati,
eppure nell’ambiente di Giovanni de’ Medici, salito al trono pontificio, abbiamo
a disposizione un insieme abbastanza ricco di oggetti. È comunque importante
rilevare che, nel caso delle entrate solenni in Italia ebbero un ruolo rilevante
drappi ed oggetti con elementi araldici. Sempre a proposito della persona di
papa Leone X possiamo portare, come un altro esempio, la sua entrata a Siena,
poi non realizzata, che avrebbe preceduto proprio quella di Firenze. In quel caso
l’entrata non ebbe luogo perché non era stato raggiunto un accordo politico.
A Siena, comunque, erano stati preparati i palazzi che avrebbero ospitato il
Santo Padre e la sua comitiva, si stavano inoltre preparando anche gli archi
di trionfo effimeri, in stile all’antica; dal documento superstite veniamo anzi
informati anche del fatto che, tra i quindici maestri impegnati per contratto
nella realizzazione dell’opera, sette pittori erano dedicati esclusivamente alla
pittura di stemmi colorati.24
In Italia, fortunatamente, sono rimasti molti esemplari di stoffe araldiche
destinate alla rappresentanza. Oltre che per le sue straordinarie caratteristiche
tecniche e stilari, spicca tra loro, per la sua integrità e compiutezza, l’ornato
Passerini che era stato usato per l’occasione e che, oggi, è custodito a Cortona.
L’insieme di paramenti liturgici furono fatti preparare da papa Leone X per il
vescovo di Cortona Silvio Passerini, più tardi cardinale. La stoffa di base è un
velluto intessuto con fili d’argento dorato ed i motivi sono attinti tra gli emblemi della famiglia Medici (ramo tagliato, anello con diamante) e della famiglia
Passerini (toro coricato). I paramenti (l’ornato e il pluviale) furono indossati da
papa Leone X in occasione della sua santa messa celebrata a Cortona nel 1515,
durante il suo viaggio da Roma a Firenze.25
Tre anni prima il suo predecessore, papa Giulio II, vide procedere il seguito
del cardinale ungherese nel seguente ordine: dopo i muli venivano tre uomini
bellamente vestiti in broccato turco, con copricapi all’ungherese, ornati di oro,
23
J. R. Mariotti: ‘Selections from a ledger of Cardinal Giovanni de’ Medici 1512–1513’, Nuovi
Studi 9, 2001–2002: 119. L’incarico era integrato anche da altri capi: venti coperte per muli simili,
quattro sedili in cremesino e un tessuto lungo rosso. Inoltre figura, tra gli ordini, anche una borsa
in rosato.
24
F. Nevola: ‘ “El Papa non verrà”: The Failed Triumphal Entry of Leo X de’Medici into Siena’,
The Sixteenth Century Journal 42/2: 426–446.
25
M Collareta & D. Devoti (eds.): Tesori dalle chiese di Cortona. Arte Aurea Aretiana. Cortona,
Palazzo Casali, 1987, 57–59; J. R. Mariotti: Selections…, op.cit.: 118;
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
441
gemme e perle, come anche le maniche destre dei loro vestiti, coperte anche
queste riccamente di perle, “…sopra tre cavalli turchi molto belli guarniti di
argento et di recame, dreto lor venevano quindeci ben a cavallo, sei portavano
lanzi con le banderoli rossi et bianchi a modo di stratiotti, li altri nove haveano
in testa penacchi grandi bianchi che li coprevano quasi tutte le spalle.”26 A
seguire, “cinque a cavallo conducevano cinque belli cavalli a mane con coperti
ben lavorati, altri quindeci con li lanzetti et bandere andavano subito dretto.”27
Dalla descrizione si evince che il vestito delle tre persone in broccato turco,
quelle che precedevano la prima parte sostanziale della delegazione con lance
e piccole bandiere, offriva una visione spettacolare. L’espressione “broccato”
è assai frequente nelle fonti scritte dell’epoca e rimanda, per lo più, a tessuti
riccamente ornati con filo metallico, quindi argento o argento dorato. L’unica
cosa che Stazio Gadio sottolinea, a proposito della stoffa, è il suo carattere
“turchesco”. Uno spettatore esperto della civiltà cortigiana italiana dell’inizio
del Cinquecento poteva facilmente distinguere, a prima vista, il broccato turco
da quello italiano partendo dai motivi e dai colori. In questo caso potremmo
pensare, prima di tutto, alla stoffa turca detta kemha,28 un tessuto “lampasso”
preparato utilizzando fili colorati di seta o di metallo, oppure al velluto turco,
che era prodotto pure con l’uso di fili metallici. Ambedue facevano parte, proprio per l’utilizzo dei fili metallici e per la tessitura, della categoria dei tessuti
di lusso. Nei territori ungheresi erano facilmente raggiungibili i tipi di tessuto
della vasta scala offerta dall’Impero ottomano: lo si deduce sia dalle fonti scritte
sia dall’oggettistica sacra, in seguito alla trasformazione di pezzi di vestiario
laici in paramenti liturgici. Benché Stazio Gadio non riveli di più sui particolari
di questi vestiti, possiamo tuttavia cogliere un particolare: il braccio destro
dei vestiti era ricoperto di ricami di perle, rendendo questi pezzi veramente
straordinari. Nella parte restante della comitiva si ripete questo particolare,
accennando al fatto che il braccio destro dei vestiti era di raso, quindi di un
tessuto finissimo di lana. L’origine e la fattura di questo tipo di ornamento,
26
Hans Dernschwam, descrivendo il suo viaggio a Costantinopoli negli anni 1552–1555, ricorda
i tempi di re Vladislao II (era venuto in Ungheria nel 1514, durante il regno di questo re, quando
i signori ungheresi portavano ancora copricapi di pellame di zibellino e grandi piume), in: L.
Tardy (ed.): Rabok, követek, kalmárok az Oszmán birodalomról, Budapest: Gondolat, 1977: 377.
27
Lettera di Stazio Gadio ad Isabella d’Este Gonzaga, 3 febbraio 1512, 1v.
28
E. Pásztor (ed.): Az Esterházy-kincstár textíliái az Iparművészeti Múzeum gyűjteményében.
Thesaurus Domus Esterhazyanae II, Budapest: Iparművészeti Múzeum, 2010: 305.
442
Ágnes Szabó; György Domokos
tuttavia, deve essere ancora oggetto di ulteriori ricerche.29 Anche i copricapi
“all’ongaresca” portavano una decorazione di perle. Questo ornamento ci richiama alla mente i vestiti dei baroni e nobili al seguito di Mattia Corvino,
presenti all’incontro dei sovrani a Iglau nel 1486. La descrizione dell’ambasciatore ferrarese Cesare Valentini dice di loro: “[…] tutti [erano] in vesti curti,
alcuni ce n’erano con veste rechamate de perle, una bona parte et alcuni altri
vestiti de crimisino e d’altri colori con foglie di testa assai ornate e belle, chi
con perle e chi con zoye et alcuni che haveano le guagline.”30 Così i copricapi,
riccamente ornati di perle, gemme e ricami, sembrano essere una caratteristica
costante del vestiario della nobiltà ungherese. In seguito, nella sua descrizione,
Valentini separa nettamente l’uso del vestito corto da quello del vestito lungo,
essendo quest’ultimo usato in maniera univoca per il periodo della solennità
liturgica, mentre il vestito corto, riccamente ornato anche questo di ricami e
perle, era il vestito da corte e da cavalcatura. L’ambasciatore ferrarese chiama
“turca” il vestito lungo, cucito all’esterno da broccato d’oro o di argento, oppure
di seta colorita e foderato, all’interno, da pellicce fini. Nella descrizione dell’entrata a Roma, Gadio non rende conto della lunghezza dei vestiti, non nomina
esplicitamente “turca” nessuno dei vestiti foderati, benché in Italia, da un po’
di tempo, facesse già parte della guardaroba di moda maschile e femminile
questo pezzo di vestiario lungo, dalle funzioni variegate, fatto di stoffe varie,
elegante ed esotico allo stesso tempo. Il suo approdo nella penisola sarà stato
effettuato, molto probabilmente, per tramite della diplomazia turca, facendo
presa sul gusto dei nobili dei territori nemici.31
Agli occhi del cortegiano italiano è molto più sorprendente, più che il vestiario e il copricapo degli ungheresi, un elemento accessorio: l’arma (decorativa)
attaccata alla cintura ampia, decorata in argento, assieme agli speroni sugli
stivali e ai finimenti dei cavalli, come vediamo dalla continuazione della lettera:
Doppoi venero ottanta a cavallo a dui a dui vestiti tutti de veste
di rosato,32 cinti ad una foggia con adornamenti di argento adorati
29
È possibile che si tratti di una variante del futuro dolmány e del mente senza manica, dove
una delle maniche del dolmány viene decorata in questo modo. Per ulteriori dettagli si veda più
avanti.
30
L. Óváry: ‘A modenai és mantovai levéltári kutatásokról’, Századok 23, 1889: 395.
31
Á. Szabó: Turca…, op.cit.
32
“Alli quali seguiano II vestiti de rosato à cavallo con due maze di argento in mane: Et doppoi
epsi LXXX scuderi del papa vestiti rosato, subsequendo ad epsi XL Camarieri pur di sua S.ta et
vestiti al medemo modo” (J. Shearman: The Florentine…, op.cit.: 150).
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
443
in petto che seravano denanti li vesti, e tanto grandi erano quelli
allazamenti o botonaturi che coprivano quasi tutto il pecto lor,
li lor manichi de li brazi destri tutti erano di ricami richi di oro,
di perle coperti, li lor spade, stocchi et daghi haveano li fodri di
argento, attacati a cinture largissimi, coperti di argento, sino li
bolzadini a meza gamba al modo lor erano adornati di argento et
li speroni anchor. Ciascuno de li cavalli havea fornimenti coperti
di argento lavorato, perhò grossamente, ma in gran quantità, et
vi erano de belli cavalli turchi, ongari et valacchi, et con questo
ordini passorno per la Piaza di San Petro, per borgo, per ponti
et per la via dritta de banchi andando al pallatio del signor Zo
Jordano in Campo de Fior, ove allogiano et ultra questi che ho detto
venuti ordinatamente passorno senza ordine molti che veramente
computandoli tutti erano più di ducento cavalli con li muli.33
Il caratteristico pezzo di vestito decorativo, allacciato con cordicelle sul petto,
come integrazione al già menzionato vestito in broccato turco, ritorna anche
nella descrizione di due giorni dopo, quando la delegazione ungherese si reca
alla seduta del concistoro. A questo punto possiamo citare anche l’altro testimone oculare, Ludovico da Fabriano, l’ambasciatore ferrarese che descrive questo
evento del 30 gennaio 1512:
…monsignor reverendissimo de Strigonio intrò et facte sue cerimonie consuete comparse la sua comitiva con gran pompa. Li primi
forono octo gentili homini con veste d’oro con bellissime fodere
com pecti de argento, perle et alcuni diverse zoie, apresso una
infinità de altri con veste de brochati turcheschi de diversi colori,
dipo de velluti rasi et rosati tucti con fodere et quelli soi pecti
d’argento furono al numero de cento sedici. Li loro cavalli quasi
tucti guarniti d’argento con certi ornamenti de fogliame relevato
sopra la groppa. Fra questi forono ben IIII guarnimenti de perle,
cavalli turchi assai che andavano ballando per la piaza. Cum tempo
fo tirata certa artiglieria.34
33
34
Lettera di Stazio Gadio a Isabella d’Este-Gonzaga, 3 febbraio 1512, 1v–2r.
Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 30 gennaio 1512, 1r.
444
Ágnes Szabó; György Domokos
Tutto questo offriva, allo spettatore italiano, una visione straordinaria, inusuale, può essere quindi considerato come una caratteristica speciale del vestiario della delegazione ungherese. In base alla descrizione, tuttavia, non si riesce
a capire nemmeno se, questa specie di mantello, si potesse allacciare tramite
nastri ampi di fili di seta o metallo, oppure tramite cordicelle.35 Comunque
sia, più tardi, verso la fine del Cinquecento, troviamo nei documenti italiani
il termine ungherina, espressione che si riferisce ad un vestito aperto, in uso
all’inizio del Seicento, che si poteva allacciare tramite cordicelle. Quanto detto
ci permette di concludere che il vestiario ungherese poteva fungere, in questa
evoluzione, da tramite nel campo della moda.36
Questo indumento con l’allacciamento tramite cordicelle lo ritroviamo anche nelle memorie di László Gorove, che descrive l’entrata del re ungherese
Vladislao II nella città di Lőcse (oggi: Levoča, Slovacchia). In quell’occasione il
vescovo di Eger, Tamás Bakóc, fece accompagnare il sovrano dal suo seguito
personale per conferirgli una degna immagine. Come scrive Gorove: “Il vestito
degli studenti luccicava di tanto oro, perle e frange, non solo al loro collo
brillavano collane d’oro, ma perfino i cavalli erano adorni di decorazioni preziosissime e di finimenti, selle artifatte. Con tale ornamento questi cavalcavano
precedendo i due re.”37
Abraham de Bruyn, incisore originario di Anversa che viveva a Colonia, in
Germania, nel 1588 diede alla luce un lavoro sul modo di vestire dei popoli di
quattro continenti. In quest’opera i nobili e cavalieri ungheresi, polacchi, russi
e turchi sono rappresentati con questo vestito allacciato sul petto.
L’ornamento a cordicelle ci conduce a due elementi importanti del vestiario
dei nobili ungheresi nei secoli 16 e 17: il dolmány e il mente.38 Il mente poteva
essere preparato di stoffa pesante o anche di tessuto di seta, quelli usati d’inverno erano anche foderati.39 Le prime menzioni in lingua ungherese risalgono
35
L. Tompos: ‘Példák a magyar férfiöltözék gombolásmódjának változataira a 16-tól a 20.
századig’, Etnographia 17, 2006: 77–87.
36
G. Butazzi: ‘Oriente e moda nel Rinascimento. Una proposta di ricerca’, Arte Tessile 1991/2: 5.
37
L. Gorové: Eger történetei, Eger: Érseki Lyceum, 1876: 60; O. Bubryák: Családtörténet és
reprezentáció. A galgóci Erdődy-várkastély gyűjteményei, Budapest: MTA BTK Művészettörténeti
Intézet, 2013: 43.
38
L. Tompos: ‘Oriental and Western Influences on Hungarian Attire in the 16th and 17th
Centuries’, in: I. Gerelyes (ed.): Turkish Flowers. Studies on Ottoman Art in Hungary, Budapest:
Hungarian National Museum, 2005: 91; L. Tompos: Hatások, Jelek, Irányok. A magyarországi
öltözetek és jelentéstartalmuk változása a 16–20. században, Budapest: Martin Opitz, 2022: 17‒24.
39
E. Pásztor (ed.): Az Esterházy-kincstár…, op.cit.: 306; L. Tompos: Oriental…, op.cit.: 91–92.
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
445
però solo alla metà del Cinquecento, mentre il dolmány è, sicuramente, una
denominazione di origine turca-ottomana e, già alla fine del 15. secolo, inizio
del 16. secolo, era presente nelle fonti.40 Jolán Balogh ha dimostrato la sua
esistenza nell’inventario del lascito di Ippolito d’Este, dove viene menzionato in
italiano nella forma “duloman al’hungarescha”.41 Il dolmány e il mente erano di
foggia simile, ambedue erano una specie di cappotto. Il dolmány poteva essere
di tessuto di seta, di velluto o di stoffa pesante, aveva una variante lunga, fino a
mezza gamba, mentre il dolmány corto arrivava fino alla vita. La parte della vita
era arcuata, Lilla Tompos la descrive come una caratteristica dei vestiti turchi,
così come la parte anteriore, con chiusura in sovrapposizione, poteva ricalcare
i modi del vestire turchi.42 La vita del dolmány, inoltre, era cinta normalmente
da una cintura larga e caratteristica.
La descrizione dell’entrata fatta da Stazio Gadio assume, in base a tutti questi
elementi, un ruolo importante nella ricostruzione dei vestiti dei nobili. Ciò non
solo per l’attenzione minuziosa della relazione, che accenna a vari dettagli, ma
anche per le piccole osservazioni soggettive. Nella lettera sul concistoro del 30
gennaio, per esempio, parla di sei cavalieri, “[…] quatro vestiti di brocato d’oro
nostrano, con belle fodre et collane, gli dui extremi grandi homini et parenti del
cardinale, vestevano due vesti di panno d’oro richo et bello con collane grosse,
et gioie assai nelle berette”. L’ambiente più vicino al cardinale comunicava
quindi, tramite il vestiario, di essere “romano” e “cortegiano”, cosa che era
subito evidente a chi appartenesse ad un contesto umanistico. Balza subito
all’occhio, inoltre, che la persona e il vestito dello stesso cardinale vengono
appena menzionati nel testo. Sorge la domanda sul perché Gadio abbia voluto
descrivere quella scena quando, su richiesta del cardinale e su concessione del
papa, tutta la delegazione fatta entrare nel concistoro, 111 persone, si recano
40
L. Benkő (ed.): A magyar nyelv történeti etimológiai szótára 1, Budapest: Akadémiai Kiadó, 1967: 656; J. Nagy: ‘Mente. Adalékok a magyar és szász összehasonlító viselettörténeti
kutatásokhoz’, Ethnographia 104, 1993: 14–15; J. Balogh: Mátyás-kori…, op.cit.: 16.
41
Ibid. La parola ungherese dolmány, di origine turca-ottomana, si ritrova contemporaneamente
anche nelle fonti italiane, come prestito, nella forma di tulimano. Da una lettera di un agente
veneziano di Francesco Gonzaga veniamo a sapere, nel 1492, che il tulimano viene indossato
sotto il casachie (un mantello lungo in uso a Venezia). In questo senso ha, quindi, una funzione
analoga al dolmány ungherese. M. Bourne: ‘The Turban Turk in Renaissance Mantua: Francesco
II Gonzaga’s Interest in Ottoman Fashion’, in: Ph. Jackson & G. Rebecchini (eds.): Mantova e il
Rinascimento italiano. Studi in onore di David S. Chambers, Mantua: Sometti, 2011: 59. 62.
42
L. Tompos: ‘Az Esterházy-kincstár öltözékei’, in: E. Pásztor (ed.): Az Esterházy-kincstár…,
op.cit.: 73.
446
Ágnes Szabó; György Domokos
a baciare il piede del Santo Padre. Sulla figura di Tamás Bakóc, d’altro canto, vengono riferiti e tramandati ai posteri elementi in maniera relativamente
schematica.
Il seguito di Tamás Bakóc ha offerto una visione stupefacente e assai ricca
di colori. Nella sua struttura aveva elementi simili alle processioni in uso in
Italia, come i portatori di bandiere, i muli carichi, l’uso del rosato e la presenza
di sei uomini con vestiti rinascimentali. Dalla trattazione dei vestiti, descritti
nei minimi particolari, si evince che Stazio Gadio possiede una cultura del
vestire sostanzialmente diversa da quella italiana. Nella comitiva del cardinale
di Esztergom era rappresentato l’elemento “esotico” nella forma dei vestiti “alla
turca”, la differenza fondamentale, tuttavia, consisteva nella visione unitaria dei
vestiti e dell’armamento. Per quanto riguardava i vestiti si nota la predominanza
dell’ornamento e dei materiali (metalli preziosi, perle, ricami), mentre nelle
entrate italiane la parte maggiore spettava, seguendo i modelli antichi, alla
metacomunicazione dei tessuti e degli elementi araldici.
Fonti
Presentiamo ora, in ordine cronologico, le quattro fonti consultate presso l’Archivio di Stato di Modena e presso l’Archivio di Stato di Mantova: le prime tre
consistono nelle lettere di Ludovico da Fabriano, quella del 1 gennaio 1512 (in
cui si accenna già al progetto, la scelta del giorno dell’entrata ed il colloquio
tra Giulio II e Tamás Bakóc), la seconda del 30 gennaio 1512 (tre giorni dopo
l’evento, una descrizione sommaria, però con elementi inediti) e la terza del
31 gennaio 1512 (con un ulteriore accenno all’incontro tra il papa e il cardinale ungherese). Le trascrizioni sono state eseguite in base alle lettere originali
conservate presso l’Archivio di Stato di Modena, tenendo presenti le loro copie
novecentesche che si conservano presso la Sala dei Manoscritti dell’Accademia
delle Scienze Ungherese, le quali sono state preparate più di cento anni fa, con
le originali ancora in buono stato. Segue poi, al n. 4, la lettera di Stazio Gadio
del 2 febbraio 1512 a Isabella d’Este (la lettera che contiene anche la notizia del
ritrovamento della lupa capitolina e della statua del dio Tevere e, in allegato,
ricopia la descrizione minuziosa dell’entrata di Bakóc). Anche in questo caso
possiamo fornire la trascrizione in base all’originale presente nell’Archivio di
Stato di Mantova.
Per la trascrizione abbiamo cercato di intervenire, tramite i segni diacritici e
la punteggiatura moderni, solo al fine di rendere comprensibile il testo, senza
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
447
modificare le caratteristiche dell’ortografia cinquecentesca. La corrispondenza
tra le diverse corti d’Italia era caratterizzata da una lingua aulica, “cortegiana”,
ormai praticamente ripulita di elementi locali. Né Ludovico da Fabriano, né
Stazio Gadio adoperano forme prettamente volgari, il loro stile è fine e l’ortografia è ancora priva di una norma stabile, rendendo perciò opaca, in qualche
punto, l’interpretazione di alcuni passaggi. I termini tecnici che si riferiscono al
vestiario sono ben padroneggiati, soprattutto da Stazio Gadio che, come detto,
sembra essere stato un esperto nel campo della comunicazione visiva, oltre ad
essere molto attento agli elementi relativi agli indumenti e all’organizzazione
di eventi celebrativi.
1.
Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 1 gennaio 1512
Segnature: Vestigia43 30. = Magyar Tudományos Akadémia, Kézirattár Ms. 4999/
2, 11. La trascrizione è stata eseguita in base all’originale: Archivio di Stato di
Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori Roma
19, Ludovico da Fabriano.
[1r] Illustrissimo signore, questa matina visitando monsignore reverendissimo de Strigonio, me viste volontieri, li recomandai le cose de Vostra Signoria Illustrissima, informandolo che La se era ben portato con Nostro Signore,
maxime circa concilium pisanum.44 Dipo multe bone parole che usò verso la
prefata Vostra Signoria Illustrissima me disse che il Nostro Signore stava multo
sdegnato contra de Lei, havendo portato le arme contra Sua Santità, dipo el
caso occorso al signor Duca suo fratello (…)45 mandato el suo homo a Milano,
et che Sua Santità stava in proposito vo(…) contra de Lei ad privationem, et
sua Signoria Reverendissima havea facto un bonissimo (…) et farà bisognando
regratiar quella de tanta humanità et tucto era per fare a savere ad Vostra
Signoria scusandola che questa imputatione procedeva da maligni, et che non
posseva essere vero, savendo che era in Ferrara et omne zorno cavalcava per la
città col suo habito da cardinale, et non armato, como se scrivea.
43
Segna il numero nel database http://vestigia.hu/kereses/
Il Concilio di Pisa del 1511 era stato convocato, per volontà di re Luigi XII di Francia, per
intimidire papa Giulio II. Secondo l’accenno della lettera Bakóc avrebbe chiarito davanti al papa
la posizione di Ippolito d’Este.
45
Nella copia segnato allo stesso modo.
44
448
Ágnes Szabó; György Domokos
Dipo disse haver facto grande instantia, che la privatione de San Severino46
se feria a uno altro tempo et non al zorno de la sua intrata et non possecte
haver gratia. Disse apresso che havea inteso che Vostra Signoria Illustrissima
rimandava a visitare in Ancona de (…) non era comparso homo al mondo, et
quando havesse saputo stare tanto lì, haria mandato un suo sino a Ferrara,
per visitare Quella. Respusi non havendo mandato deve essere proceduto per
l’impedimento dela guerra, et non solo haria mandato, ma seria andato im
persona, per fare quel debito se ricercava verso sua Signoria Reverendissima,
alla quale era servitore et obediente figliolo. Parme adonqua Vostra Signoria
Illustrissima senza dilatione scriva secondo li parerà et remediare con Nostro
Signore non li vengha fantasia procedere più avante. Questo me pare, poterà
disporre de Nostro Signore quanto vorrà per la dependentia de quelli regni in
questi tempi. [1v] et bene valeat Dominatio Vestra Illustrissima, Rome, prima
Januarii 1512.
Dominationis Vestre Illustrissime
humillimus servulus Ludovicus Fabrianus
Strigonio è de quel medesimo parere, secondo ho scripto, che il cardinale de
Arragona [32]47 perderia tempo intrometterse per accordio [47] fra il Christianissimo48 et il Papa [XV] et tene pro firmo il Papa mai li verrà salvo forzato non
parendoli altra mente che mi ne parle, l’ò priegato (…) ne faza una parola. Adzò
Sua Santità cognosca el bono animo de Vostra Signoria [32] verso la (…)
[1v] Illustrissimo et Reverendissimo Domino, Domino Hippolito Sancte Romane Ecclesie Diacono Cardinali Estensi et Domino Singularissimo.
2.
Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, Roma, 30 gennaio 1512
Segnature: Vestigia 29. = Magyar Tudományos Akadémia, Kézirattár, Ms.
4999/2, 10. La trascrizione è stata eseguita in base all’originale: Archivio di Stato
di Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria, Carteggio Ambasciatori
Roma 19, Ludovico da Fabriano
46
Cardinal Federico Sanseverino (1472–1516), privato dal titolo di cardinale da parte di papa
Giulio II per aver concorso al concilio pisano del 1511.
47
I numeri inseriti nel testo sono, in verità, delle cifre che rimandano alle persone, i cui nomi
sono stati aggiunti da un’altra mano.
48
Luigi XII, re di Francia (1498–1515).
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
449
[1r] Illustrissimo Signore. Questa matina che è el penultimo del mese, Nostro Signore in publico consistorio ha privato Santo Severino. Le cause dela
privatione, secondo referì l’avocato consistoriale è state che sempre è aderito
alli cardinali sismatici dipo andato in Lamagna49 per indurre lo imperatore al
concilio pisano et dismembrare da l’amicitia et devotione de Nostro Signore
et questa Santa Sede. Hoc facto monsignor reverendissimo de Strigonio intrò
et facte sue cerimonie consuete, comparse la sua comitiva con gran pompe. Li
primi forono octo gentili homini con veste d’oro con bellissime fodere com pecti
de argento, perle et alcuni diverse zoie, apresso una infinità de altri con veste de
brochati turcheschi de diversi colori, dipo de velluti rasi et rosati tucti con fodere
et quelli soi pecti d’argento furono al numero de cento sedeci. Li loro cavalli
quasi tucti guarniti d’argento con certi ornamenti de fogliame relevato sopra
la groppa. Fra questi forono ben IIII guarnimenti de perle, cavalli turchi assai
che andavano ballando per la piaza. Cum tempo fo tirata certa artiglieria. La
persona del cardinale era sopra uno cavallo pomato. L’intrata loro in Roma fo
ancho um bello spectaculo. Venivano al ordinanza con loro pennachie, targhe
guarnite et tucti foderi de simitare d’argento, pure con fornimenti, speroni richi
et maniche ricamate de perle. È stata reputata una sumptuosa comitiva, più che
se ricorde un tempo. La sua persona sta robiconda et multo vivace et atende a
fare bona cera. Et bene valeat Dominatio vestra illustrissima. Rome, penultima
Januarii MDXII. Eiusdem Vestre Dominationis Illustrissime
humillimus servulus Ludovicus Fabrianus
[1v] Reverendissimo et Illustrissimo Domino, Domino Ippolito Sancte Romane
Ecclesie Diacono Cardinali Estensi et Domino meo singularissimo.
3.
Lettera di Ludovico da Fabriano a Ippolito d’Este, 31 gennaio 1512
Segnature: Vestigia 28. / Magyar Tudományos Akadémia, Kézirattár, Ms.
4999/2,9. / Archivio di Stato di Modena, Archivio Segreto Estense, Cancelleria,
Carteggio Ambasciatori Roma 19, Ludovico da Fabriano
[1r] Illustrissimo Signore, per diverse mie dava aviso più dì sono como Nostro
Signore è intrato suspecto che Vostra Signoria Illustrissima habbia mandato
uno de li soi stratioti como porcuratore a trovarese presente alla messa canto
santa croce al zorno di Natale in Milano et da quel tempo più volte ha detto che
49
Alemagna, i.e. Germania.
450
Ágnes Szabó; György Domokos
trovando essere vero ne farà desmontrazione. Ho aspectato che Vostra Signoria
Illustrissima in zò voglia chiarire la mente de sua Santità et sino requstanti non
ho un minimo aviso. Le ultime de Quella sonno state de XVII de dicembre.
Dipo la presa de la Bastia e eleaso sucurso al Signor Duca de la percossa de
la testa è stato decto ad sua Santità como el governo et tucte gente d’arme
era apresso la prefata Vostra Signoria Illustrissima et più che là se trovava im
persona in argenta con gente d’arme. Nostro Signore con alcuni ne ha parlato
et decto: Alfonso stae male et el cardnale governate e (…) et che La se trova in
campo alla disconecta. Circa viii dì parlando como altro disse el simile, dicendo
il cadinale ce fa più guerra che non feva Alfonso, per mia fe. Per mia fe forse
ce poteria fare mutare de fantasia. Venero matina uscito di concistoro publico
dispogliandose il piviale disse a [23] cardinale de Aragonia: el cardinale da Este
sta in campo – l’amico sentiva. Secondo referisce il suo medico judeo. Questo
me ha pregato se così è che la preghi per l’amor di Dio a honestare, per non
indurre Nostro Signore a qualche inconveniente. Questo aviso primo è venuto
da [Bernardo Bibiena] quale scrive queste formal parole: Domino Alfonso da
Este sta male a non se lassar vedere et bisogno se faza tragniare la testa; Dono
Hippolyto governa con le gente d’arme, et non trova chi voglia stare in la Bastia.
Monsignor reverendissimo de Strigonio per el mastro de cerimonie supplicò
Nostro Signore li fesse gratia che non se voleva trovare alla privatione di San
Severino. Sua Santità respose queste formali parole: Siamo contenti in questo
satisfarlo, dipo serà buon mezo aconzare le cose del cardinale da Este et de suo
fratello, savendo po disporre di questi signori. Et bene valeat Dominatio Vestra
Illustirissima. Roma, ultima Januari MDXII.
Eiusdem Vestre Dominationis Illustrissime
humillimus servitor Ludovicus Fabrianus
[1v] Reverendissimo et Illustrissimo Domino, Domino Ippolito Sancte Romane
Ecclesie Diacono Cardinali Estensi, Domino meo singularissimo.
4.
Lettera di Stazio Gadio a Isabella d’Este Gonzaga, con copia della lettera dello
stesso giorno indirizzata a Francesco Gonzaga, Roma, 2 febbraio 1512
Segnatura: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga b. 860 (Ambasciatori Roma, anno 1512)
[1r] Illustrissima et excellentissima signora mia unica, non havendo altro di
posser scriver a vostra excellentia, mando la copia de la lettera ch’io scrivo allo
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
451
illustrissimo signor mio de la entrata del cardinale di Strigonia, et l’aviso como
il signor Federico si conserva sano et bello al possibile et spesso va a solazo per
Roma, et à piacer al parco di terme di San Petro in Vincula ad far correr daini,
capre, cervi et coniglii. Nostro Signore lo accareza al solito benissimo, et ogni
dì magna et gioca seco con gran piacer di sua Santità. Qua in Roma in una casa
sotto terra è stà ritrovato uno marmore nel qual sono intagliate di relevo quatro
figure, il dio del fiume Tevere, homo grande più del naturale, con la barba longa
et capilli et una girlanda in testa de fronde, stassi apostato sopra il cubito destro
et ha uno corno de divitie nella man dritta, ha panni a torno ma il corpo è quasi
tutto scoperto nudo e sopra l’acqua nella ripa è una lupa a colegata con Romulo
e Remo putini che tetano, fatti con bono modo et gratia, cosa molto laudata,
benché alli putini manchino le teste, uno brazo et una gamba, et alla lupa megio
il mustatio. Nostro Signore se l’ha fatto menar il Belvedere, per metterlo presso
le altre antiquità belle che vi sono. Agurolo a vostra Excellentia, benché il seria
alquanto discontio ad poterlo condur sin lì, ma voria che vi fusse senza pensar
di trovare modo di posserlo condure. Baso la mane a vostra excellentia et me le
racomando. Rome, secundo Febrauarii MDCXII.
Messer Bonifacio Parmesano basa la mane a vostra Excellentia et se le racomanda.
Di vostra Excellentia servo fidelissimo
Statio
Copia
[1r] Illustrissimo et excellentissimo signore mio colendissimo: Vostra Excellenza debbe saper che ’l reverendissimo cardinale de Strigonia è stato molti
giorni in Ancona et prima che’l habbi voluto partire de là per venir a Roma,
ha voluto uno breve da Nostro Signore de licentia di poter testar de le cose sue
accadendo la morte sua in queste parti et che’l vescovato di Strigonia si intenda
esser vacato non in corte di Roma ma in Ongaria, qual obtenute queste gratie
da Nostro Signore è venuto qua et ha fatto una bella entrata. Marti proximo
passato alli XXVII di januario entrò adunche in Roma, et venne al Populo, non
volendo la Santità di Nostro Signore che’l venessi a pallatio sino veneri et per
questo non comparse sino quel giorno. Ma perché il papa volse vedere la sua
famiglia, informato che era bella, et ben in ordine, como fu vero, accompagnato
il cardinale nel Populo, et restando perhò con lui li più nobili et principali, il
resto de la famiglia ritornò per Pontemolo, et voltò sotto Belvedere, entrando
452
Ágnes Szabó; György Domokos
per la Porta de la Piaza di San Petro, a questo modo stando Nostro Signore
ad vedere. Prima venero inanti quaranta muli carichi con li coperti di rosato
con panno biancho et gialo intertagliato sopra et l’arma sua in meggio che è
megia rota sopra qual sta megia cerva in campo agiuro et tutti quaranta ad
uno modo ordinatamente che faceva bel vedere, segueva poi la famiglia, prima
tre ben vestiti di veste brocato turchesco con capelli al ongarescha adornati de
gioie, perle et lavorati d’oro, con la manica dritta del brazzo destro tutta [1v]
recamata de richo lavoro, et de molti perle sopra tre cavalli turchi molto belli
guarniti di argento et di recame, dreto lor venevano quindeci ben a cavallo, sei
portavano lanzi con le banderoli rossi et bianchi a modo di stratiotti, li altri
nove haveano in testa penacchi grandi bianchi che li coprevano quasi tutte le
spalle, poi cinque a cavallo conducevano cinque belli cavalli a mane con coperti
ben lavorati, altri quindeci con li lanzetti et bandere andavano subito dretto,
doppoi venero ottanta a cavallo a dui a dui vestiti tutti de veste di rosato, cinti
ad una foggia con adornamenti di argento adorati in petto che seravano denanti
li vesti, e tanto grandi erano quelli allazamenti o botonaturi che coprivano
quasi tutto il pecto lor, li lor manichi de li brazi destri tutti erano di ricami
richi di oro, di perle coperti, li loi spade, stocchi et daghi haveano li fodri di
argento, attacati a cinture largissimi, coperti di argento, sino li bolzadini a meza
gamba al modo lor erano adornati di argento et li speroni anchor. Ciascuno
de li cavalli havea fornimenti coperti di argento lavorato, perhò grossamente
ma in gran quantità, et vi erano de belli cavalli turchi, ongari et valacchi, et
con questo ordini passorno per la Piaza di San Petro, per borgo, per ponti
et per la via dritta de banchi andando al pallatio del signor Zo Jordano in
Campo de Fior, ove allogiano et ultra questi che ho detto venuti ordinatamente
passorno senza ordine [2r] molti che veramente computandoli tutti erano più di
ducento cavalli con li muli. Veneri alli XXX dil passato havendo Nostro Signore
fatto concistorio publico nella gran sala, sì per privar San Severino, como per
acceptar questo cardinale. La matina a bon hora tutti gli cardinali andorno ad
tuor ditto cardinale ongaro al Populo, ove era, et lo conducero in pallatio con
questo ordine: prima venero tutte le famiglie de cardinali confusamente, poi
tutti li ongari ordinatamente a dui a dui, inanti erano otto vestiti di veste di
brocato d’oro turchesco con quelli adornamenti di petto di argento adorato
che ho detto, fodri de arme cincture, speroni et bolzadini forniti, anzi coperti
de lamme di argento, li altri haveano vesti di diversi drappi con qualche belle
fodre di vulpe bianche, dossi martori et zibellini, nel ultima di questa compagnia
erano sei cavallieri, quatro vestiti di brocato d’oro nostrano, con belle fodre et
collane, gli dui extremi grandi homini et parenti del cardinale, vestevano due
L’entrata del cardinal T. Bakóc a Roma nel 1512 in due fonti manoscritte
453
vesti di panno d’oro richo et bello con collane grosse, et gioie assai nelle berette.
Questi sei haveano cavalli sotto grandi capeza di mori con fornimenti larghi
tutti recamati di perle, gioie et oro superba, et richa cosa, ciascuno de li altri
era ben a cavallo chi con turcho con girelli di raso di veluto et li testere tutte
di argento, chi con cavalli vestiti al ongarescha, et tutti li fornimenti coperti
di argento lavorato a fogliami con vasi sopra la croppa di argento alti una
spanna, con collane alli cavalli di argento adorate e botoni grossi di argento
pendenti sotto la gola. [2v] Inmediate doppo questi venero li cardinali, excepto
l’ongaro accompagnato da dui diaconi, Senna et Cornaro: che lo conducero in
pallatio per un’altra via et lo posero in alcune camere, ovi stette con la sua
compagnia, sino che fu finita la privatione di San Severino alla qual non volse
ritornarsi. Fornita essa, el prefato cardinale, accompagnato pur da dui diaconi
venne in concistorio et fece reverentia a Nostro Signore basandoli il piede, la
mane, et il volto, al qual sua Santità fece bona cera et accarezò assai poi andò
a basar tutti li cardinali et posesi al loco suo primo de li cardinali preti. Stato
ivi alquanto si levò, et andò ad dimandar gratia a Nostro Signore che si lassasse
basar il piede alla sua famiglia al che voluntier condescese e prima venne uno
ambasator ongaro, prelato, poi cinque vescovi et successive vinticinque preti.
Doppoi li seculari quali erano ottanta et con questo finiò il concistorio, et tutti
li cardinali accompagnorno il ditto cardinale ongaro a casa con sono di trombe,
tamburini et artigliaria nel giongere et partir di pallatio, et nel passar da castello
Sant’Angelo. Sabbato andò a visitar Nostro Signore et mo andarà ad visitar tutti
li cardinali a casa loro. Hozi la Santità di Nostro Signore dovea andar al Populo
ad far la cerimonia de le candele, ma non vi è andato, et li cardinali l’hanno
fatta lor. Il signor Federico sta bene et sano et ogni sera magna et gioca con
Nostro Signore, pigliandone sua Santità gran piacere, lo vede voluntieri, et lo
accareza al solito.
Raccomandomi alla bona gratia di vostra Excellentia. Rome, secundo Februarii
MDXII.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei
Jagelloni e gli stati italiani alla luce delle
ambasciate inviate e ricevute (1490–1526).
Uno schizzo
Bálint Lakatos
Gruppo di ricerca ungherese per gli studi medievali
claustrarius@gmail.com
Abstract
The relationships between the Hungarian-Bohemian kings Vladislaus II (1490–1516)
and his son Louis II (1516–1526) and certain Italian states can be characterised by
the number and distribution of the envoys sent and received. Milan, Florence and
Naples were occasional, while the Holy See and Venice were regular destinations of
the Hungarian diplomats. In the case of the former, relations were largely determined by the dynastic ties that King Matthias Corvinus had established or sought
to establish, and then they were cut (the remarriage of the widowed Queen Beatrix
to Vladislaus II and their curial divorce, lasted until 1500). Florence’s connections
extended to commercial interests. With the Pope and Venice there was a reciprocal,
balanced ambassadorial presence, also because of the common Ottoman threat, but on
the Hungarian side an ‘ultramontane’, more archaic system of ad hoc missions, based
on personal specialisation, can be compared with a hierarchical and representational
diplomatic organisation with long-term assignments.
Oggigiorno l’esame dei rapporti diplomatici viene considerato un elemento
delle ricerche più ampie sulla storia delle relazioni tra Paesi. Questa concezione
può essere utile nella presentazione dei rapporti molteplici tra due Paesi. Nel
mio saggio, invece, mi concentro esclusivamente sulla comunicazione politica
a livello superiore, ossia su un solo elemento: l’invio e l’accoglienza degli ambasciatori tra alcuni stati italiani e il Regno d’Ungheria nei trentasei anni che
456
Bálint Lakatos
intercorrono tra la morte del re Mattia Corvino (1490) e la sconfitta di Mohács
(1526), che segnò la fine del Medioevo ungherese. Questo periodo può essere
interpretato solo dal punto di vista storico ungherese: copre i regni di due
re, padre e figlio del ramo ungherese-ceco della dinastia Jagello, Vladislao II
(1490–1516) e Luigi II (1516–1526).
Perché prendo dunque in considerazione solo gli ambasciatori? Perché l’invio
degli ambasciatori è il livello superiore della creazione dei legami diplomatici tra due paesi, ovviamente senza contare l’incontro personale dei sovrani.
Ovunque mandassero un inviato, era considerato un importante sodalizio. Se
solo scrivevano una lettera all’altra parte, in quel periodo veniva inviata anche
tramite un corriere, dunque il rapporto aveva sicuramente un carattere personale. L’intensità e la ripartizione dell’invio e dell’accoglienza degli ambasciatori
delineano quindi anche il modello delle relazioni.1 Prima della mia analisi –
che è solo abbozzata – premetto quattro cose. Primo, essendo la politica estera
primariamente dinastica nel medioevo e nella prima età moderna, parlerò della
politica estera di sovrani e non di stati, anche se menzionerò i Paesi coinvolti.
Secondo, nell’epoca non esisteva ancora il concetto di sovranità; praticamente
chiunque avesse abbastanza autorità, potere, possibilità e naturalmente soldi,
poteva mandare degli ambasciatori. Nella mia analisi, tuttavia, tengo presente
primariamente il restringimento dato dalla concezione di sovranità, non parlerò
quindi, per esempio, degli ambasciatori della regina Beatrice, vedova di Mattia
Corvino (†1508).2 Terzo, all’epoca non era precisamente definito chi potesse
identificarsi come ambasciatore. La serie di relazioni scoperte dal Gruppo di
Ricerca Vestigia, per esempio, proveniva dai deputati residenti in Ungheria di
Ippolito d’Este, arcivescovo di Esztergom, poi vescovo di Eger, ma secondo i
nostri termini di oggi loro non potrebberro essere considerati ambasciatori.3
1
W. Höflechner: ‘Anmerkungen zu Diplomatie und Gesandtschaftswesen am Ende des 15.
Jahrhunderts’, Mitteilungen des Österreichischen Staatsarchivs 32, 1979: 1–23, p. 23 (nel appendice,
tavola C).
2
Aragoniai Beatrix magyar királyné életére vonatkozó okiratok, a cura di Albert Berzeviczy,
Budapest: Akadémia, 1914 (Monumenta Hungariae Historica, Magyar történelmi emlékek. Diplomataria, Okmánytárak 39): passim, Lipót Óváry (ed.): A Magyar Tud. Akadémia történelmi
bizottságának oklevél-másolatai. 1. füzet. (A mohácsi vész előtti okiratok kivonatai), Budapest:
Akadémia, 1890 (= Óváry I): 153 (n. 624, Felice da Nola), 169 (n. 695), 170 (n. 699). Vedi anche Albert Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, tradotto dall’ungherese da Rodolfo Mosca, Milano:
Corbaccio, 1931 (ristampa Milano: Dall’Oglio, 1962): passim.
3
http://vestigia.hu/kereses/ (data della visita: 20 gennaio 2022), Gy. Domokos: ‘A pestis és a
gepárd: Ercole Pio, Estei Hippolit egy ügynökének beszámolói Magyarországról, 1508–1510’, in:
Gy. Domokos, N. Mátyus & Armando Nuzzo (eds.): Vestigia. Mohács előtti magyar források olasz
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
457
In quarto e ultimo luogo devo menzionare “il mito” delle legazioni permanenti. Applicando i termini diplomatici dell’età moderna si crede che, a cavallo tra
il Quattrocento e il Cinquecento, ci fosse il periodo delle legazioni permanenti,
mandate in un solo luogo.4 In realtà in quest’epoca le ambascerie permanenti
sono rarissime fuori dall’Italia. I trattati dell’epoca dissertano sul fatto che le legazioni solenni sono missioni casuali, di genere ad-hoc, solo gli amministratori
si trovano costantemente nelle corti dei sovrani. La situazione cambiò in Europa
alla fine del Cinquecento.5 È quindi importante rendersi conto che, in questo
senso, l’Italia sia un’eccezione. Fritz Ernst, in un suo articolo del 1951, offrì un
modello divenuto poi utile che distingue tre categorie, che Ernst considerava
successive nel tempo e interdipendenti, adesso siamo portati a tenerle tutte
distinte. Dunque la prima categoria è l’ambasceria rappresentativa e casuale,
la seconda è un tipo di ambasceria “comunicativa” di una durata più lunga e
che abbracciava più temi, la terza è un tipo di ambasceria stabilizzata e rappresentativa.6 Come vedremo, le missioni casuali erano la norma all’epoca, quelle
prolungate, comunicative e stabilizzate sono quindi da considerarsi qualcosa di
eccezionale.
könyvtárakban, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 185–196, Gy. Domokos (ed.): A jámbor Herkules. Estei
Hippolit bíboros egri kormányzója, Ercole Pio beszámolói Magyarországról 1508–1510, Budapest:
Balassi Kiadó, 2019, Gy. Domokos & R. Erős: ‘Ercole Pio e le indulgenze di Eger’, Verbum 16,
2015: 43–58. Il professor György Domokos pubblica anche la corrispondenza di Taddeo Lardi,
governatore del vescovato di Eger.
4
Adolf Schaube: ‘Zur Entstehung der ständigen Gesandtschaften’, Mitteilungen des Instituts für
österreichische Geschichtsforschung 10, 1889: 501–552, pp. 501–505, 535–542, Garrett Mattingly:
Renaissance Diplomacy, 2nd ed., Baltimore: Penguine Books, 1964 (Peregrine Books 45): 47–
70, 87–93, 132–139, Donald E. Queller: The Office of Ambassador in the Middle Ages, Princeton:
Princeton University Press, 1967: 75–84, Matthew S. Anderson: The Rise of Modern Diplomacy
1450–1919, London & New York: Longman, 1993: 8–20.
5
Per l’edizione dei trattati sugli inviati, vedi Vladimir E. Hrabar (ed): De legatis et legationibus
tractatus varii. Bernardi de Rosergio Ambaxiatorum breviolgus, Hermaolai Barbari De officio
Legati, Martini Garrati Laudensis De Legatis maxime principum. Ex aliis excerpta qui eadem de
re usque ad annum MDCXXV scripserunt, Dorpat: Mattiesen, 1906. Betty Behrens: ‘Treatises on
the Ambassador Written in the Fifteenth and Early Sixteenth Centuries’, The English Historical
Review 51, 1936, 616–627, pp. 620–621; Catherine Fletcher: Diplomacy in Renaissance Rome. The
Rise of the Resident Ambassador, Cambridge: Cambridge University Press, 2015: 38–45, Manfred
Hollegger: ‘Anlassgesandtschaften – ständige Gesandtschaften – Sondergesandtschaften. Das
Gesandtschaftswesen in der Zeit Maximilians I.’, in: Sonja Dünnebeil & Christine Ottner (eds.):
Aussenpolitisches Handeln im ausgehenden Mittelalter: Akteure und Ziele. Wien–Köln–Weimar:
Böhlau, 2007 (Forschungen zur kaiser- und Papstgeschichte des Mittelalters, Beihefte zu J. F.
Böhmer, Regesta Imperii 27): 213–225, pp. 213–218.
6
Fritz Ernst: ‘Über Gesandschaftswesen und Diplomatie an der Wende vom Mittelalter zur
Neuzeit’, Archiv für Kulturgeschichte 33, 1950–1951: 64–95, pp. 88–90.
458
Bálint Lakatos
La distribuzione degli inviati dai re ungheresi in generale
Vediamo ora lo spazio relazionale europeo dal punto di vista del re ungheresececo.7 Vladislao II e Luigi II mandavano ambasciatori in 15 centri di potere.
I partner destinatari si dividono in due gruppi: le corti visitate occasionalmente
e quelle ricorrentemente, normalmente più di 10 volte. I partner ricorrenti,
oltre la Santa Sede Apostolica, erano esclusivamente i paesi vicini. Per quanto
riguarda l’Italia era designata la Repubblica di Venezia, mentre Milano, Firenze
e Napoli erano potenze visitate solo occasionalmente.8
Destinazione
n.
Destinazione
n.
Sacro Romano Impero
Regno di Polonia
Impero Ottomano
Repubblica di Venezia
Santa Sede
Moldavia
Valacchia
Regno di Francia
55
35
32
22
17
13
7
4
Repubblica di Ragusa
Repubblica di Firenze
Regno d’Inghilterra
Granducato di Muscovia
Cavalieri di Rodi
Ducato di Milano
Regno di Napoli
3
2
2
2
2
1
1
Tavola 1. Destinazioni delle ambasciate ungheresi (1490–1526). – Gli stati italiani sono
elencati in grassetto. Fonte dei dati: B. Lakatos: ‘A király diplomatái… I e II.’, op.cit.:
passim. Per il Sacro Romano Impero, ho contato le ambasciate inviate all’imperatore,
all’assemblea imperiale (Reichstag) e a certe zone dell’Impero (Baviera, Austria, Brandeburgo). Il Regno di Polonia è incluso con il Granducato di Lituania (non c’era un
inviato separato al Granducato di Lituania dal re ungherese-ceco). Ho preso solo le
date sicure. Il segno n. = numero delle ambasciate (e non il numero degli ambasciatori,
poiché un’ambasciata era talvolta composta da più persone).
7
I dati qui presentati sono tratti da un mio studio precedente, pubblicato in due parti: B. Lakatos: ‘A király diplomatái. Követek és követségek a Jagelló-korban (1490–1526). I. rész. Kutatási
vázlat’, Történelmi Szemle 61, 2019: 593–616 e idem.: ‘A király diplomatái. Követek és követségek
a Jagelló-korban (1490–1526). II. rész. Adattár’, Történelmi Szemle 62, 2020: 281–362. Il suo
antecedente, pubblicato in inglese, era semplificato e conteneva ancora meno dati: B. Lakatos:
‘Diplomats of the Kings of Hungary and Bohemia (1490–1526)’, in: S. Miljan, É. B. Halász & A.
Simon (eds.): Reform and Renewal in Medieval East and Central Europe: Politics, Law and Society
(Minerva III. Acta europea 15/Studies in Russia and Eastern Europe 14), Cluj-Napoca–Zagreb–
London: Romanian Academy, Centre for Transylvanian Studies & Croatian Academy of Sciences
and Arts & School of Slavonic and East European Studies, University College of London, 2019:
305–338.
8
La mappa è stata disegnata da Béla Nagy.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
459
460
Bálint Lakatos
La stessa immagine si profila organizzando i Paesi destinati e organizzati
in scala discendente. Nella politica estera, tra gli stati italiani, la Signoria di
Venezia fu partner 22 volte e il Santo Padre 17 volte, mentre Milano, Firenze
e Napoli solo una o due volte adeguatamente ai summenzionati. Inoltre, come
vedremo, di queste ultime missioni le ambasciate a Firenze sono state effettuate
alla fine del periodo studiato, nel 1522 e nel 1525, quelle a Milano e a Napoli,
invece, nel 1491 e nel 1493.
Questa rappresenta, tuttavia, solo una delle facce della medaglia. Nel segno
della vicendevolezza è necessario esaminare anche gli ambasciatori inviati dall’estero alla corte ungherese. Quanto è stato equilibrato il numero di ambasciate
inviate e ricevute?
Gli stati italiani offrono buoni esempi per esaminare la questione. Tra i cinque
poteri più notevoli della Penisola italiana – nel periodo successivo alla pace di
Lodi (1454), fino all’inizio delle grandi guerre in Italia (1494–1559) vale la pena
trattare separatamente Roma e Venezia, perché i rapporti con gli altri stati italiani erano caratterizzati principalmente da legami dinastici, stretti o desiderati
da Mattia Corvino9 e, dopo la sua morte, dall’eliminazione di essi: dal problema
del matrimonio non consumato della regina vedova Beatrice d’Aragona con
Vladislao II (che oggi sarebbe chiamato uno scandalo internazionale), dal loro
processo di divorzio prolungato alla Curia Romana fino al 150010 e, nello stesso
tempo, dalla questione del matrimonio reale ungherese della duchessa Bianca
Maria Sforza, una volta fidanzata con János Corvin. Firenze invece restò fuori
anche da questo cerchio. Per i dati sulle ambasciate discusse qui di seguito, si
veda l’Appendice.
Napoli, Ferrara, Milano e Firenze
Vediamo questi legami dinastici da più vicino. Fin dall’inizio del processo di
divorzio furono inviati da Napoli in Ungheria, in favore di Beatrice, più ambasciatori, mentre Vladislao II mandò solo una volta a Napoli, nel gennaio del
1493, il vescovo Antal Sánkfalvi, che viaggiò a Roma attraverso Venezia e, alla
9
A. Kubinyi: Matthias rex, Tradotto in inglese da A. T. Gane. Budapest: Balassi Kiadó, 2008:
135–136, 138–140, 143–144.
10
La sentenza: Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 387–403, A. Berzeviczy: Beatrice d’Aragona, op.cit.:
264–271.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
461
Curia, prese parte al processo.11 Non tratterò qui degli inviati e dei delegati
della regina Beatrice a Napoli, Ferrara e Venezia. Siccome la regina Beatrice
fu la cognata di Ercole duca di Ferrara tramite Eleonora, sua sorella, si ebbe
una legazione del 1490 e 1491 da Ferrara che non fu costituita dagli agenti già
menzionati dell’arcivescovo Ippolito, ma fu direttamente mandata alla corte
reale.12 L’incarico del vescovo di Adria, Nicolò Maria d’Este, nipote del duca
Ercole e quelli di Armano de Nobili servirono per il saluto d’onore al nuovo
re, per comprendere il valore effettivo del suo matrimonio con la regina Beatrice e perla difesa degli interessi d’Ippolito. Due rapporti finali sull’ambasciata
sono sopravvissuti con più o meno lo stesso contenuto. Dopo alcuni mesi di
prigionia a Zagabria, ritornarono a seguito di varie peripezie, nella primavera e
nell’estate del 1491, senza maggiori risultati.13 Non siamo invece a conoscenza
delle legazioni mandate direttamente dal re ungherese ai duchi di Ferrara.
Tutto questo fu colorato dal tiremmolla diplomatico con il Ducato di Milano.
L’ambasciatore Maffeo di Treviglio, mandato alla corte di Mattia Corvino da
Milano nel 1485, originalmente lavorava per la realizzazione del matrimonio
di János Corvin e Bianca Maria Sforza14 e, al tempo della morte di Mattia
Corvino, fu alla corte a Vienna. Nella nuova situazione restò in Ungheria fino
all’estate del 1491 e fece trattative sul matrimonio di Bianca Maria e Vladislao,
comunicando soprattutto con il cancelliere ungherese, Tamás Bakóc.15 Anche
dopo il suo ritorno rimase in contatto con la corte di Buda: le trattative segrete
continuarono, attraverso corrispondenze, fino all’autunno del 1492 grazie alla
mediazione dell’abate di San Mercuriale di Forlì e, nel contempo, del governatore dell’abbazia benedettina di Pécsvárad, Nicolò Bartolini. Nel frattempo
11
M. Hlavačková: ‘A Diplomat in the Service of the Kings of Hungary. The Activity of the
Bishop of Nitra Antony of Šankovce at the End of the Middle Ages’, Historický časopis 59,
2011/Supplement: 3–24, pp. 16–18.
12
Vedi in generale M. Folin, ‘Gli oratori estensi nel sistema politico italiano (1440–1505)’, in:
G. Fragnito & M. Miegge (a cura di): Girolamo Savonarola da Ferrara all’Europa, Firenze: SISMEL
– Edizioni del Galuzzo, 2001: 51–83.
13
A. J. Sárközi: Documenti di una ambasciata difficile: Lettere di Nicolò Maria d’Este ed Armanno
de’Nobili, Tesi MA, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 10–17, 26–39 (edizione).
14
A. Kubinyi: Matthias rex, op.cit.: 143–144.
15
Lucia Maria Negri: Lettere dall’Ungheria di Maffeo di Treviglio: La fine del regno di Mattia
Corvino, Tesi di laurea, Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Lettere e Filosofia,
Corso di laurea in Filologia Moderna, 2007: XXII–XXIII, pubblicazione sue lettere fino al 6
settembre 1490: ibid.: 2–86, D. Labancz: Lettere su e dall’Ungheria 1491. Tesi di laurea, Milano:
Università Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Filologia
Moderna, 2012: 5–14.
462
Bálint Lakatos
due altri ambasciatori arrivarono in Ungheria da Milano, Rafaello de la Caude
e Paolo Lanterio. Alla fine, per le conseguenze degli sviluppi avvenuti a Roma,
la parte milanese fece un passo indietro sul matrimonio progettato e supportò
Napoli, o meglio dire Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero, marito di Bianca Maria,16 al contrario di quanto accadde in occasione del divorzio
di Beatrice e Vladislao. Dopo quest’occasione apparse una legazione milanese
a Buda solo nel febbraio del 1500, non si è però a conoscenza di chi fossero
gli ambasciatori. Quest’ambasceria è conosciuta con una sola data sporadica e
finora non verificata. Vladislao II mandò a Milano un ambasciatore, il boemo
Petrus Falco, che non è stato ancora identificato (forse un Petr Sokol z Mor, dal
paese di Mory – membro di una famiglia di origine borghese della città di Louny
in Boemia?), solo una volta per le trattative segrete sul matrimonio. Quella tra
l’Ungheria e Milano, quindi, non è una relazione diplomatica continua.
La relazione diplomatica con la Repubblica di Firenze non era continua nemmeno all’epoca di Mattia Corvino.17 I contatti nell’epoca dei Jagelloni si limitarono alle interessenze commerciali tra fiorentini e ungheresi e, a questo
proposito, devo menzionare le ricerche di Zsuzsa Teke, Krisztina Arany e Katalin Prajda, che si concentra più sulla prima metà del Quattrocento.18 Questi
contatti non erano quindi generalmente di livello diplomatico, tranne in casi
come nel gennaio del 1524, quando papa Clemente VII, della famiglia Medici
di Firenze, indirizzò diversi brevi al legato Vio, al re Luigi II d’Ungheria e al
cancelliere ungherese László Szalkai, riguardo ai beni confiscati e alla successione del mercante Pietro Corsellini, che era morto a Buda.19 Dall’epoca di
16
D. Unterholzner: Bianca Maria Sfoza (1472–1510). Herrschaftliche Handelsspielräume einer
Königin vor dem Hintergrund von Hof, Familie und Dynastie. Dissertation zur Erlangung des
Doktorgrades der Philosophie an der Philosophish-Historischen Fakultät der Leopold-FranzensUniversität zu Innsbruck. Innsbruck: Leopold-Franzens-Universität, 2015: 36–51. (Online: https:
//diglib.uibk.ac.at/ulbtirolhs/download/pdf/761506?originalFilename=true – data della visita: 20
gennaio 2022.)
17
Zs. Teke: ‘Economia e politica nei rapporti tra Firenze e Ungheria durante il Quattrocento’,
in: P. Farbaky et al. (eds.): Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria,
Firenze: Giunti, 2013: 68–75, pp. 70, 72–73.
18
Zs. Teke: ‘Egy firenzei kereskedő a Jagelló-korban: Raggione Bontempi 1488–1528’, Századok
141, 2007: 967–990, K. Arany: Florentine Families in Hungary in the First Half of the Fifteenth
Century. A Prosopographic Study of Their Economic and Social Strategies, Kiel: Solivagus, 2020,
K. Prajda: ‘Florentines’ Trade in the Kingdom of Hungary in the Fourteenth and Fifteenth
Centuries: Trade Routes, Networks, and Commodities’, Hungarian Historical Review 6, 2017/1:
36–58, K. Prajda: Network and Migration in Early Renaissance Florence, 1387–1433. Friends of
Friends in the Kigdom of Hungary, Amsterdam: Amsterdam University Press, 2018: 21–22, 38–64.
19
G. Nemes (ed.): Brevia Clementina. VII. Kelemen pápa magyar vonatkozású brévéi. The
Hungarian-ralted Breves of Pope Clement VII (1523–1526) (Collectanea Vaticana Hungariae I/12),
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
463
Vladislao II ho una sola data sui rapporti con Firenze, ma neanche questa è
di genere politico: nella primavera del 1498 Alexander Farmoser, di origine
tedesca, pittore attivo a Firenze nonché “agente artistico” del re Mattia Corvino,
sempre a Firenze, negli anni 1470 e 1480,20 viaggiò da Buda a Firenze su incarico
del re per documentarsi sull’esistenza delle Corvine ordinate ancora da Mattia,
ma non finite.21 Da parte ungherese abbiamo dati di ambascerie solo a partire
dalla fine dell’epoca esaminata, dal 1522 e dal 1525. L’ambasciatore reale István
Brodarics, nel suo viaggio a Roma, fece trattative anche a Venezia e a Firenze,
chiedendo aiuto alla Repubblica di Firenze contro i turchi. Da Firenze, invece,
non mandarono ambasciatori a Buda nell’epoca esaminata.
La Santa Sede
Ci occuperemo ora dei due poteri che ebbero relazioni continue, quindi la Santa
Sede Apostolica e Venezia. La Curia Romana era una delle burocrazie meglio
organizzate nell’Europa tardomedievale, il che è visibile anche nella sua diplomazia. La comunicazione tra la Santa Sede Apostolica e la parti (partes) della Res
publica Cristiana non era separata dalle questioni del governo e della disciplina
ecclesiastici né dai casi politici. In conseguenza del potere di capo della chiesa,
giudiziario e spirituale del Santo Padre, anche i rapporti risultavano molto più
vari, come se parlassimo di due poteri secolari. Dal punto di vista ungherese
questo dato è stato confermato, negli ultimi anni, anche dalle ricerche di Tamás
Fedeles e Gábor Nemes.22
Budapest–Győr–Roma: MTA–PPKE V. Fraknói Vatican Historical Research Group–Diocesan
Archives Győr, 2015: 4–7 (nn. 3–5).
20
L. A. Waldman: ‘Alexander Farmoser: un pittore straniero, mediatore di cultura fiorentina’,
in: P. Farbaky et al. (eds.): Mattia Corvino e Firenze. Arte e umanesimo alla corte del re di Ungheria,
Firenze: Giunti, 2013: 300–303 e 306–307: pp. 300–301, L. A. Waldman: ‘Commissioning Art in
Florence for Matthias Corvinus: The Painter and Agent Alexander Farmoser and His Sons, Jacopo
and Raffaello del Tedesco’, in: P. Farbaky & L. A. Waldman (eds.): Italy & Hungary, Humanism
and Art in the Early Renaissance, [Firenze]–Milano: Officina Libraria–Harvard University Press,
2011 (Villa I Tatti): 427–501, pp. 438–444, 452–457, D. Pócs: ‘White Marble Sculptures from the
Buda Castle: Reconsidering some Facts About an Antique Statue and a Fountain by Verocchio’,
in: ibid.: 553–607, pp. 563–564.
21
L. B. Kumorovitz: ‘II. Ulászló levélváltása Firenzével az ott rekedt Corvinák ügyében’, Magyar
Könyvszemle 72, 1956: 294–296, L. A. Waldman: ‘Commissioning Art…’, op.cit.: 454–457, 498–501.
22
Fedeles Tamás: ‘Budáról Rómába. A Magyar Királyság szentszéki diplomáciai képviseletének
jellemzői a késő középkorban (1458–1526)’, Pontes. A PTK BTK Történettudományi Intézetének
Évkönyve 4, 2021: 164–193, p. 171, G. Nemes: ‘Magyarország kapcsolatai az Apostoli Szentszék-
464
Bálint Lakatos
La Curia fu il centro di potere di informazione più importante d’Europa anche
nei primi anni del Cinquecento. Già András Kubinyi richiamò l’attenzione sul
fatto che il papa avesse la possibilità di selezionare i propri diplomatici da
tutto il territorio d’Europa, compresi i sudditi del re d’Ungheria. Risulta quindi
evidente che, nella corte del sovrano ungherese-ceco, il Santo Padre sia stato
rappresentato da ecclesiastici ungheresi.23
I gradi, il rango, la competenza e l’intitolazione degli ambasciatori furono già
prestabiliti nel Quattrocento. I deputati più importanti erano i legati de latere,
mandati in più Paesi e provincie, dotati di competenza nel governo ecclesiastico
con il rango di cardinale. Per lo svolgimento degli avvenimenti casuali venivano
mandati i nunzi (nuncii), normalmente vescovi. Qua dobbiamo distinguere il
vescovo dotato della competenza di legato e quello “semplice”, che invece non
la possedeva. In questo caso, in pratica, non c’erano differenze nell’intitolazione
ma, per quanto riguarda l’importanza, si possono fare distinzioni. Il nunzio
senza il potere del legato corrisponde all’oratore con poteri secolari, considerando che si tratta di un deputato casuale mandato in un luogo solo. Gli
internunzi (internuncii) e i cavallari (cursori) avevano una posizione inferiore;
questi ultimi normalmente erano magistrati della Curia che consegnavano una
lettera papale.24 Nel periodo oggetto di studio, i delegati e gli inviati papali
presso Vladislao II e Luigi II non comprendono le categorie di nunzio della
competenza di legatus de latere e internuncius; Bernat Albisi è menzionato una
volta nel 1515/16 come internunzio,25 ma è altrimenti indirizzato come nunzio.
kel (1523–1526)’, Századok 149, 2015: 479–506, pp. 483–495, G. Nemes: ‘The Relations of the
Holy See and Hungary Under the Pontificate of Clement VII (1523–1526)’, in: A. Bárány (ed.):
The Jagiellonians in Europe: Dynastic Diplomacy and Foreign Relations (Memoria Hungariae 2),
Debrecen: Hungarian Academy of Sciences & University of Debrecen “Lendület” Hungary in
Medieval Europe Research Group, 2016: 171–182.
23
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések a Jagelló-kori magyar állam és a pápaság között
(1490–1526)’, in: I. Zombori (ed.): Magyarország és a Szentszék kapcsolatának ezer éve, Budapest:
METEM, 1996: 119–134, pp. 119–120.
24
Dalla biblioteca della letteratura, vedi per esempio in generale P. Blet: Histoire de la représentation diplomatique du Saint-Siège: des origines à l’aube du XIXe siècle (Collectanea Archivi
Vaticani 9), Città del Vaticano: Archivio Segreto Vaticano, 1982: 159–215; con una rassegna della
letteratura vedi Wolfgang Untergehrer: Die päpstlichen nuntii und legati im Reich (1447–1484):
Zu personal und Organisation des kurialen Gesandtenwesens, Inauguraldissertation zur Erlangung
des Doktorgrades der Philosophie an der Ludwig-Maximilian-Universität München, 2012: 37–
60, A. Kalous: Late Medieval Papal Legation. Between the Councils and the Reformation (Viella
History, Art and Humanities Collection 3), Roma: Viella, 2017: 19–49.
25
S. Katona: Historia critica regum Hungariae, stirpis mixtae ex fide domesticorum et exterorum
fide concinnata, tomulus XII, ordine XIX. Ab anno Christi MDXVI ad annum usque MDXXVI,
Budae: Regia Universitas, 1793: 13, 15.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
465
Se consideriamo insieme la distribuzione cronologica degli inviati papali spediti al Regno d’Ungheria e degli inviati dal re d’Ungheria alla Curia Romana, emerge il seguente quadro: nel periodo esaminato si verificarono quattro
missioni di legati intervallati da grandiiati nel tempo. Per la loro importanza
dobbiamo aggiungere anche i tre nunzi dotati della competenza di legato. Con
l’eccezione di Tamás Bakóc, tutti appartenevano alla frontiera della diplomazia
della Santa Sede e, le loro missioni sono ben documentate ed esaminate –
basti pensare, oltre a Vilmos Fraknói, anche alle opere di Antonín Kalous e di
Wolfgang Untergehrer.26 Angelo Pecchinoli soggiornava in Ungheria, presso
la corte di Mattia, a partire dal 1488 e la sua missione continuò anche all’epoca
di Vladislao II.27 Nel nome del Santo Padre lo seguirono Orso Orsini dal 1493
al 1495, con il rango di nunzio, il legato Pietro Isvalies dal 1501 al 1503 e il
nunzio Achille Grassi nel 1510. Tamás Bakóc fu legato per una durata di tempo
dalla lunghezza record, dal 1513 fino al 1519 circa – non sappiamo precisamente
la data finale.28 Si tenga tuttavia conto che, dopo l’insuccesso della ribellione
dei crociati di Dózsa, il peso diplomatico della sua missione si limitò solo al
livello formale. Alla fine delle loro missioni i legati Tommaso Vio e Lorenzo
Campeggio ebbero un ruolo importante nella difesa antiturca.29 Le missioni dei
legati si sovrappongono nel tempo a quelle dei nunzi e dei cursori, spesso precedendole o seguendole da vicino. Ci sono però diversi periodi (1491–1492, 1497–
1498, 1505–1510, 1512, 1520–1523) in cui la Santa Sede non ha una missione
diplomatica in Ungheria. L’assenza dei primi anni del 1490 può essere spiegata
26
V. Fraknói: Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a római szent-székkel, II. Magyarország egyházi és politikai összeköttetései a római szent-székkel a konstanzi zsinattól a mohácsi
vészig, Budapest: Szent István Társulat, 1902: 245–399, A. Kalous: ‘Jagiellonian Kings of Bohemia
and Hungary and Papal Legates’, in: A. Bárány (ed.): The Jagiellonians in Europe: Dynastic
Diplomacy and Foreign Relations (Memoria Hungariae 2), Debrecen: Hungarian Academy of
Sciences & University of Debrecen “Lendület” Hungary in Medieval Europe Research Group,
2016: 159–169, pp. 162–169.
27
A. Kalous (ed.): The Legation of Angelo Pecchinoli at the Court of the King of Hungary (1488–
1490) (Collectanea Vaticana Hungariae II/8), Budapest & Rome: MTA-PPKE V. Fraknói Vatican
Historical Research Group, 2021.
28
La corte dei legati del cardinale continuò fino alla sua morte nel 1521, vedi più recentemente
G. Nemes: ‘Bakóc Tamás legátusi bírósága’ (studio nel prossimo libro commemorativo di Bakóc,
prima della pubblicazione).
29
A. Kalous: Plenitudo potestas in partibus? Papežští legáti a nunciové ve střední Evropě na konci
středověku (1450–1526) (Knižnice Matice moravské 30), Brno: Matice moravská, 2010: 343–406,
A. Kalous: ‘Jagiellonian Kings…’, op.cit.: 164–168, G. Nemes: ‘Pápai követek a Mohács előtti
Magyarországon’, Századok 150, 2016: 369–385, pp. 369–376.
466
Bálint Lakatos
con il periodo di attesa, presso la Santa Sede, dovuto all’incertezza causata dalla
lotta per il trono, il periodo più sorprendente è tuttavia quello tra il 1505 e il
1510, quando c’è meno attività da parte di Vladislao II, in particolare gli anni
tra il 1505 e il 1507 sono trascorsi in completo “silenzio diplomatico”.
Tra i nunzi il barone Burgio, ossia Antonio Giovanni Buglio (l’unico personaggio secolare in questo servizio) fu ambasciatore in Ungheria in un’epoca
importante. Le sue relazioni in lingua italiana sono ben note, anzi in Ungheria
influenzavano il modo di pensare comune sulla battaglia di Mohács. Tra i nunzi
Bernát Albisi, il sassone transilvano Jacobus Piso, il croato Simon Kožičić e
il dalmato Johannes Stafileus e, nel rango di legato, anche il già menzionato
Bakóc, furono sudditi del re ungherese.
Da parte ungherese, nel primo decennio del regno di Vladislao II, si vede
una presenza culminante nella Curia Romana, con l’attività in contemporanea
di più ambasciatori. Tutto ciò è una conseguenza del processo di divorzio. Un
argomento ancora più importante e comune tra il re ungherese e il Papa, era
il progetto di una crociata generale anti-ottomana e, oltre a ciò, il supporto
finanziario apostolico della difesa contro i turchi sul confine ungherese.30 Alla
fine dell’epoca esaminata, l’arcidiacono di Nógrád, Francesco Marsuppini, una
volta familiare e agente a Roma di Bakóc, divenne deputato di Luigi II.31 Se in
quest’epoca un ambasciatore si presentava dal Santo Padre da solo, come fece
István Brodarics nel 1522 e nel 1525, Marsuppini doveva affiancarlo nel suo
lavoro. Il periodo di mezzo è l’epoca delle legazioni casuali da parte ungherese;
qua possiamo menzionare, oltre alle tre missioni a Roma di Péter Beriszló,
anche quelle di Zsigmond Turzó e di Márton Atádi, nonché l’ambasceria dei
nobili regnicoli, guidata da István Verbőci (Werbőczy) nel 1519. Quest’ultima
ambasciata era eccezionale anche perché differiva da tutte le altre inviate alla
Santa Sede che, solitamente, erano composte da chierici.32
Risulta importante anche il fatto che, con l’eccezione di un paio di casi, il
re ungherese mandava dal Santo Padre esclusivamente deputati ecclesiastici.
Per quanto riguarda la linea tra la Santa Sede e l’Ungheria, quindi, si vede una
30
A. Kalous: ‘Jagiellonian Kings…’, op.cit.: 159, 164–168.
Per la sua carriera, vedi Zs. Teke: ‘A firenzei Francesco Marsuppini magyarországi pályafutása
(1489–1539)’, in: Gy. Kövér, Á. Pogány & B. Weisz (eds.): Magyar Gazdaságtörténeti Évkönyv 2016.
Válság – kereskedelem, Budapest: MTA Bölcsészettudományi Kutatóközpont & Hajnal István
Alapítvány, 2016: 359–369.
32
Cf. T. Fedeles: ‘Budáról Rómába…’, op.cit.: 171, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.:
127–128.
31
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
467
presenza di ambasciatori reciproca ed equilibrata. I dati mettono in evidenza
anche il fatto che la minaccia ottomana, nell’epoca che precedeva Mohács,
motivava entrambi gli stati all’attività.
Venezia
La diplomazia veneziana era l’organo meglio strutturato dell’epoca. Aveva un
carattere rappresentativo, operante con i deputati mandati in un luogo per un
lungo periodo. L’incarico degli ambasciatori aveva una durata di due anni ma,
sul posto ungherese, alcuni servirono per quattro anni. Si tenga tuttavia conto
che un diplomatico non ritornava mai nello stesso luogo. Per quanto riguarda
il loro incarico, distinguiamo gli oratori, gli oratori di compagnia o di secondo
grado, mandati per motivi pratici, infine i segretari che potevano rappresentare
la Signoria contemporaneamente o autonomamente.33 La frequenza delle loro
relazioni dipendeva dagli accadimenti. A volte scrivevano lettere ogni settimana, ogni due settimane o ogni giorno. Le loro lettere, i dispacci, venivano
letti e discussi al Collegio o davanti al Senato di Venezia, veniva poi preparata
una risposta ogni settimana o ogni mese. Una parte delle relazioni mandate
dall’Ungheria venne conservata in copie originali, questa corrispondenza è conosciuta anche dalla ricerca ungherese, ma solo in base ai compendi dei diari
monumentali di Marin Sanudo. Sulla base delle ricerche di Vilmos Fraknói e
Péter E. Kovács, conosciamo il corpus dei dispacci di Pietro Pasqualigo del
1509–1512, che furono compilati in un volume.34 L’oratore o il segretario, al
suo ritorno, scriveva una relazione finale che leggeva davanti al Consiglio dei
Pregadi. La relazione presenta le condizioni politiche precedenti della sede,
riassumendole e concentrandosi sui personaggi politici e sui dati importanti dal
33
G. Mattingly: Renaissance Diplomacy, op.cit.: 89–90, D. E. Queller: The Office of Ambassador…,
op.cit.: 66–69, 83–84, I. Balogh: Velenczei diplomaták Magyarországról (1500–1526). Forrástanulmány (A Szegedi Magy. Kir. Ferencz József-Tudományegyetem Közép- és Újkori Történeti
Intézete, 2), Szeged: Új Nemzedék Nyomda, 1926: 10.
34
V. Fraknói: ‘Magyarország és a cambrayi liga 1509–1511’, parte I–IV, Századok 16, 1882: 177–
201, 366–387, 705–727, 793–811; in seguito pubblicato come libro separato in tedesco, V. Fraknói:
Ungarn und die Liga von Cambray 1509–1511, Budapest: Kilian, 1883, P. E. Kovács: ‘I dispacci
dell’ambasciatore di Venezia Pietro Pasqualigo dell’Ungheria (1509–1512)’, in: Annuario 1997.
Accademia d’Ungheria in Roma Istituto Storico «Fraknói». Studi e documenti italo-ungheresi (diritta
da József Pál), Roma: Rubettino, 1997: 182–201.
468
Bálint Lakatos
punto di vista di Venezia.35 Queste relazioni finali vennero archiviate e furono
utilizzate, anche in seguito, come materiale di appoggio. Questo è illustrato, per
esempio, dal fatto che l’oratore Lorenzo Orio, nella sua stessa relazione, cita i
suoi due predecessori, Pasqualigo e Alvise Bon.36
Per quanto riguarda Venezia rimane ancora da esaminare la missione di
Marco Dandolo e Pietro Cappello negli anni 1490;37 si tratta del periodo che
precede la serie di diari di Marin Sanudo, perciò ne sappiamo poco. La ripresa delle relazioni comincia nel 1501 con la preparazione della lega triplice
veneziano-papale-ungherese. Prima mandarono un segretario, nella persona di
Francesco de Zuecha o della Giudecca, poi un’ambasceria duplice. La morte
di Vetor Soranzo portò ad un cambiamento anticipato del co-ambasciatore ed
anche dell’oratore-compagno Pisani, che ritornò prima dell’oratore Giustiniani.
Dal 1504 al 1510 da parte di Venezia si vedono solo deputati di rango minore,
quindi segretari. La guerra della lega di Cambrai e la possibile partecipazione
ungherese resero nuovamente attiva la diplomazia. Dal 1510 al dicembre 1523
Venezia stanziava ambasciatori presso la corte ungherese in maniera continuativa. Si trattava unicamente di diplomatici di prima linea della propria patria.
Sebastiano Giustiniani e Pietro Pasqualigo, per esempio, erano già stati oratori
presso il Sacro Romano Imperatore Massimiliano, il primo nel 1498, il secondo
tra il 1505 e il 1507, così come all’epoca della guerra austriaca-ungherese del
1506. Alvise Bon fu assegnato alla corte di papa Clementino VII nel 1524 e
Lorenzo Orio fu ambasciatore in Inghilterra nel 1525.38 L’unico a ritornare con il
35
W. Andreas: Die venezianischen Relazionen und ihr Verhältnisse zur Kultur der Renaissance,
Leipzig: Quelle und Meyer, 1908: passim, G. Mattingly: Renaissance Diplomacy, op.cit.: 98–99,
D. E. Queller: The Office of Ambassador…, op.cit.: 137–138, 142–148.
36
M. Sanuto: I Diarii, 1496–1533, Tom. I–LVIII, a cura di R. Fulin et al, Venezia: a spese degli
editori, 1879–1903 (= Sanudo) XXXV: 299, I. Balogh: Velenczei diplomaták…, op.cit.: XLV.
37
Dizionario biografico degli italiani, vol. 1–100, a cura di R. Romanelli ed altri, Roma: Istituto
della Enciclopedia Italiana, 1960–2020 (=DBI), vol. 32, 1986, s. v. M. Dandolo (2) (autore G. Gullino), https://www.treccani.it/enciclopedia/marco-dandolo/_%28Dizionario-Biografico%29/ (data
della visita: 20 gennaio 2022).
38
DBI vol. 11, 1969, s. v. A. Bon (autore A. Ventura), vol. 52, 1999, s. v. Gaurco, Luca (autore Franco Bacchelli – Gaurico succedette a Orio come ambasciatore in Inghilterra dal 1526), vol. 57, 2001,
s. v. Giustinian, Sebastiano (autore Guiseppe Gullino), https://www.treccani.it/enciclopedia/
alvise-bon o …luca-gaurico… o …sebastiano-giustinian_%28Dizionario-Biografico%29/ (data della visita: 20 gennaio 2022), e poi Sanudo III. 84. Per la missione di Pasqualigo nel 1506, vedi Andrea
Lanzer: Die Gesandten der süd- und westeuropäischen Mächte 1501–1508. Inaugural-Dissertation
zur Erlangung der Doktorwürde an der Geisteswissenschaftlichen Fakultät der Karl-Franzens-
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
469
rango di segretario fu, in ambedue i casi, Vincenzo Guidoto. Siccome da Venezia,
a quel tempo, non volevano inviare oratori, la sua missione si svolse dal 1523
al 1525.
Nella successione degli ambasciatori prima veniva accettata la supplica di
dimissione dell’ambasciatore in carica, poi veniva eletto il successore che doveva accettare l’incarico. Fino all’arrivo del successore, l’ambasciatore restava
ancora nella sua sede e presentava il suo nuovo collega al re. L’ambasciatore
uscente riceveva regali dal re che, addirittura, lo poteva insignire della carica
di cavaliere; nell’epoca esaminata quest’onore fu ottenuto da Marco Dandolo e Giovanni Badoer (Baduario),39 mentre il segretario Giovanni Francesco
Benedetti rifiutò cortesemente il proprio cavalierato offertogli da Vladislao II,
sostenendo che il re doveva riservare questo favore ai patrizi veneziani. Lorenzo
Orio rifiutò invece la proposta di Luigi II nell’estate del 1519, appellandosi al suo
dottorato.40 Prima dell’inizio del periodo preso qui in esame il re Mattia, due
giorni prima della sua morte, fece cavaliere Domenico Bollani a Vienna, durante
la domenica delle Palme del 1490.41 Gli ambasciatori veneziani ritornati, se non
ottenevano un nuovo incarico diplomatico, ricevevano compiti nell’amministrazione dello stato. Sia dalla parte veneziana che da quella ungherese, tuttavia,
contavano sulle loro esperienze e sui loro rapporti precedenti. Secondo i dati a
disposizione sappiamo che, anni dopo, l’ex-ambasciatore mandato in Ungheria
partecipava all’accoglienza degli ambasciatori dall’Ungheria e nelle trattative.
Nella primavera dell’anno 1519, per esempio, diversi ex ambasciatori veneziani
che erano stati precedentemente delegati presso il re ungherese, entrarono
Universität zu Graz. Graz: Karl-Franzens-Universität, 1986: 314–317 (sulla base di Sanudo VI.
183, 214, 234, 276, 310, 370, 380, 401, 415, 456, 503, VII. 32, 36, 45, 48, 51).
39
DBI vol. 32, 1986, s. v. Dandolo, Marco (2) (autore Giuseppe Gullino), op.cit., vol. 5, 1963, s. v.
Badoer, Giovanni (autore Angelo Ventura). Secondo l’autore il suo cavalierato gli fu conferito l’8
gennaio 1504, data che lo stesso Badoer non menziona nella sua relazione orale, Sanudo V. 823,
I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XII.
40
Sanudo VI. 510 e XXVII. 501 = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXXV–XXXVI.
41
I. Nagy & A. Nyáry (eds.): Magyar diplomacziai emlékek Mátyás király korából 1458–1490, IV,
Budapest: Akadémia, 1878 (Monumenta Hungariae Historica. Magyar történelmi emlékek. IV.
Acta extera. Diplomacziai emlékek 4) (= MDE IV) 161 (nome omesso) = Vestigia infocus n. 274
(datata 5 aprile 1490 – http://vestigia.hu/infocus/kepek/1333623854.jpg, in realtà senza nome,
menzionato solo per funzione), Antonius de Bonfinis [Antonio Bonfini]: Rerum Ungaricarum
decades I–VI/1, edd. I. Fógel, B. Iványi & L. Juhász, Lipsiae [Szeged–Budapest]: Teubner [Árpád
Nyomda], 1936–1941: VI/2. Appendix, fontes, index, ed. P. Kulcsár. Budapest: Akadémiai, 1976
(Bibliotheca scriptorum medii recentisque aevorum, saec. XVI) (= Bonfini) IV/1. 161. = decas IV.
liber 8. sent. 190 (menzionato solo per funzione).
470
Bálint Lakatos
in contatto con la suddetta ambasciata ungherese guidata da István Verbőci,
che era in viaggio verso la Santa Sede ma aveva anche visitato Venezia. Tra i
membri del commissariato veneziano, che contava venti o ventidue persone ed
era stato inviato a Mestre il 22 marzo per ricevere questa ambasciata, c’erano
l’ex ambasciatore Giovanni Badoer e il futuro ambasciatore Lorenzo Orio, già
nominato.42 Si tratta delle stesse persone che, il 24 marzo, erano state inviate
a comunicare la risposta della Signoria.43 Il 25 marzo l’ambasciata ungherese
non si presentò al Collegio, chiese tuttavia che alcuni delegati andassero a
parlare con loro; uno dei nominati era Giorgio Pisani.44 Il 26 marzo Antonio
Surian (ex ambasciatore) e Lorenzo Orio (inviato designato) sostennero insieme, presso il governo veneziano, la richiesta di Verbőci per una piccola reliquia
di Sant’Elena.45
Le ambascerie mandate a Venezia da Vladislao II e Luigi II erano organizzate,
rispetto alla pratica veneziana, secondo una struttura e una logica diverse. I
loro ambasciatori vi trascorrono un breve periodo, normalmente un paio di
settimane, con un incarico casuale, in particolare per facilitare il pagamento
degli aiuti militari in contanti. Secondo la testimonianza di Sanudo gli ambasciatori ungheresi residenti a Venezia scrivevano e ricevevano lettere da Buda,
ma non ne sappiamo di più. Nella stessa fonte troviamo molti dati sulla loro
comitiva, sulla loro accoglienza, sul loro alloggio e sulle loro trattative, dunque
le missioni sono ben conoscibili.
L’ambasceria reale ungherese era costituita, normalmente, da una persona.
Fece eccezione l’ambasceria rappresentativa del 1502 che accolse la sposa reale,
oltre a quella già menzionata a proposito di Roma, riguardante l’elezione cesarea del 1519, guidata da István Verbőci e composta da tre persone. Era frequente
che lo stesso ambasciatore fosse mandato più volte, come nel caso di Albert
Lónyai (4 volte), Péter Beriszló (3) e Fülöp Móré (6). La richiesta degli specialisti,
tuttavia, era anche rapportata con la puntualità. Essendo mandato l’ambasciatore per un breve periodo, era utile delegare la stessa persona anche altre volte.
Sulla scelta di chi inviare prevaleva, quindi, una sorta di risparmio, quindi il
deputato mandato più lontano e con un incarico diverso, si poteva fermare e
fare trattative nella città delle lagune, pur se solo di passaggio. All’epoca di
Mattia Corvino Venezia rappresentava una sosta, una fermata di mezzo sia nelle
42
Sanudo XXVII: 86–87.
Ibid.: 101.
44
Ibid.: 102.
45
Ibid.: 108.
43
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
471
missioni borgognoni, spagnole e francesi fatte alle spalle dell’imperatore del
Sacro Impero Romano, sia in quelle dell’Italia centrale e meridionale. Durante
il regno di Vladislao e di Luigi II, tuttavia, rimase solo la seconda direzione,
quindi quella italiana, tranne l’unica ambasceria in Francia nel 1500. Per quanto
riguarda le missioni di transito, Venezia potette venire in discorso quattro volte
a Roma, una volta a Firenze ed una a Napoli. Nel 1522 István Brodarics e nel
1492 Antal Sánkfalvi proseguirono verso Napoli attraversando Firenze e Roma.
Nella maggior parte dei casi gli ambasciatori ungheresi (come i veneziani verso
la corte di Buda) viaggiavano a Venezia attraverso Zagabria e Segna, poi da
Segna proseguivano per mare. L’unica eccezione terrestre fu l’ambasceria del
1502, ma al ritorno una parte della comitiva, insieme alla futura regina, viaggiò
in nave.46
Per quanto riguarda l’invio degli ambasciatori, le relazioni dal 1490 al 1500
languivano anche dalla parte ungherese. Dell’epoca che precede il 1502 conosciamo solo un’ambasceria di una persona non identificata nel 1490, poi quella
di transito di Antal Sánkfalvi, già più volte menzionata nel turno del 1492–
1493. Dopo l’accoglienza della regina Anna nel 1502, fino al 1510 le ambascerie
ungheresi divennero improvvisamente più frequenti, mandate due volte all’anno fino alla terza legazione di Fülöp Móré nel 1509 e nel 1510. Quest’ultima,
sulla base delle ricerche di Márton Szovák, va considerata come una missione
separata.47 L’intero periodo in questione è quello in cui Venezia era rappresentata a Buda da un solo deputato con il rango di segretario. Dopo che, dal
1510 al 1524, l’ambasciatore veneziano aveva sempre il rango di oratore nella
corte ungherese, dalla parte ungherese le ambascerie divenivano più rare ma,
secondo l’esempio di Fülöp Móré, potevano essere anche prolungate.
In questi anni apparvero a Venezia anche membri della nuova generazione
di ambasciatori, Statileo e Brodarics; l’ultima ambasciata da parte ungherese in
questo periodo fu una breve missione del 1523 da parte di un chierico italiano o
dalmata, Tommaso Niger (Crnić). Tra gli ambasciatori ungheresi, Albert Lónyai
era un agente con le conoscenze giuste per la sua posizione di capitano di Segna
46
A. Györkös: Reneszánsz utazás. Anna királyné 1502-es fogadtatásának ünnepségei ÉszakItáliában és Magyarországon (Scriptores rerum Hungaricarum 9), Máriabesnyő: Attraktor, 2016:
52, 130–131 (edizione), 154.
47
M. Szovák: ‘Újabb adatok Csulai Móré Fülöp diplomáciai pályájához’, in: Gy. Domokos, J. W.
Somogyi & M. Szovák (eds.): Vestigia III. Italianista tanulmányok a magyar humanizmus és a
tizenöt éves háború idejéről, Budapest, 2020: 197–215, pp. 200–201.
472
Bálint Lakatos
e la sua esperienza lì acquisita,48 Beriszló ebbe anche incarichi focalizzati sui
Balcani, dovuti soprattutto alla sua origine dalmata (era di Traù),49 Fülöp Móré
di Csula, invece, un nobile rumeno (‘kenéz’) della contea di Hunyad, era una
scelta adatta al re ungherese per la sua educazione italiana e la sua lingua madre
rumena. Móré era anche diventato una specie di specialista attraverso le sue
diverse missioni a Venezia, mantenendo buoni rapporti non solo con i politici
della città delle lagune, ma anche con alcuni umanisti, come il famoso editore
e stampatore Aldo Manuzio.50
Per quanto riguarda i rapporti con Venezia, si può affermare che, dopo i contatti apparentemente disordinati degli anni 1490, nel 1500 cominciò un periodo
intenso, verificato anche dalla creazione di una lega, tanto che l’ambasceria
continua si ridusse fino al 1525. Il tema più importante era la difesa antiturca
e il sussidio militare di Venezia erogato all’Ungheria. Per il potere sempre più
minaccioso dell’Impero Ottomano, il governo di Venezia preferì la sicurezza al
posto di una politica militante e, per i suoi interessi commerciali, aveva sempre
meno conflitti con il sultano. Lo scioglimento del filone ungherese, anche già
prima di Mohács, è dovuto a questo motivo.51
Conclusioni
In base a quanto detto, quali tendenze si possono rinvenire e quali sono le
conclusioni che da queste si possono trarre? Il numero di ambasciate italiane
inviate e ricevute dai re ungheresi nel periodo 1490–1526 fu il seguente: 24
inviate / 17 ricevute dalla Sede Apostolica, 22 inviate / 14 ricevute da Venezia,
1 inviata / 5 ricevute da Milano, 1 inviata / 5 ricevute da Napoli, 2 inviate / 0
ricevute a Firenze, 0 inviate / 1 ricevuto a Ferrara.
48
V. Fraknói: ‘Lónyai Albert zengi kapitány velenczei követségei 1501–1515. Közlemények a
velenczei állami levéltárból’, Magyar Történelmi Tár 22, 1877: 3–44, pp. 3–4.
49
J. Köblös: Az egyházi középréteg Mátyás és a Jagellók korában. (A budai, fehérvári, győri és
pozsonyi káptalan adattárával) (Társadalom- és művelődéstörténeti tanulmányok 12), Budapest:
MTA Történettudományi Intézete, 1994: 337.
50
T. Fedeles: ‘Egy Jagelló-kori humanista pályaképe: Csulai Móré Fülöp (1476/1477–1526)’,
Levéltári Közlemények 78, 2007: 35–84, pp. 36–39, 47–53, R. Gerézdi: ‘Aldus Manutius magyar
barátai’, Magyar Könyvszemle 69, 1945: 38–98, pp. 63–64, 67–72, 75–76, 82–84.
51
M. Jászay: Velence és Magyarország. Egy szomszédság küzdelmes történte, Budapest: Gondolat,
1990: 211–221. Vedi il capitolo corrispondente nella versione italiana: J. Magda: Venezia e Ungheria. La storia travagliata di una vicinanza, traduzione di A. Venturini, Martignacco: Edizioni del
Labirinto, 2004.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
473
Nel caso del rapporto del Regno d’Ungheria con la Santa Sede Apostolica
o Venezia, al livello delle ambascerie si delinea un certo tipo di parità, ma la
simmetria è difficilmente interpretabile. Pone un limite al calcolo il fatto che si
metta a paragone un sistema diplomatico subalpino più arcaico, che lavora con
incarichi casuali, con un sistema meglio organizzato, gerarchizzato, operante
con un punto di gravitazione rappresentativo e con incarichi più lunghi. Sia
Venezia che il Papato possedevano, inoltre, poteri straordinari, la prima per il
carattere commerciale ed il secondo per quello spirituale e universale.
I rapporti con gli altri poteri italiani sarebbero, d’altro canto, più facilmente
comparabili. La maggior parte di queste relazioni aveva la base dinastica ereditata da Mattia Corvino, all’epoca di Vladislao II, tuttavia, divennero inutili
e furono ridotti da entrambe le parti. Il caso di Ferrara, da me separatamente
non esaminato, fu atipico per i feudi e per il ruolo del cardinale Ippolito I d’Este.
Mentre nessuno rappresentava la corte ungherese-ceca dagli Este, i commissari
arcivescovili-cardinalizi, oltre ai loro doveri amministrativi, erano anche dotati,
fino alla partenza finale di Ippolito nel 1520, di incarichi di ambasciatore in
Ungheria.
Per terminare, risalendo anche al regno di Mattia Corvino, si vede quanto
sia invariabile l’interesse geopolitica d’Ungheria. La comunicazione sistematica
verteva sempre sulla stessa tematica ed era caratterizzata dalla minaccia ottomana e dall’esigenza dell’insorgenza comune antiturca, prima e dopo il 1490. Al
contrario del suo predecessore, Vladislao II aveva un rapporto molto più stabile
e più redditizio, dal punto di vista economico, con la Repubblica di Venezia.
Appendice
Il seguente elenco, nell’ordine alfabetico degli stati italiani, enumera prima gli
inviati dagli stati italiani al re ungherese-ceco, poi da Vladislao II e Luigi II al
rispettivo stato o monarca in ordine cronologico. Le date indicate si riferiscono
all’intera durata della missione, ma in alcuni casi sono approssimative. Per ogni
ambasciata ho riportato solo i dati bibliografici e le fonti più importanti; per gli
ambasciatori e gli inviati ungheresi, rimando alla mia base di dati pubblicata,
dove si possono trovare ulteriori dettagli. Per la Santa Sede e Venezia ho distinto
gli ambasciatori di diverso grado con caratteri in grassetto e corsivo: con il grassetto il legato de latere e l’oratore veneziano, con il corsivo il cursore/segretario.
Nel caso delle ambasciate reali ungheresi, anche i corrieri appaiono in corsivo.
474
Bálint Lakatos
Ferrara
Gli inviati del duca di Ferrara, Modena e Reggio al re d’Ungheria
Nicolò Maria d’Este, Armanno de Nobili: ottobre 1490–marzo 149152
Firenze
Gli inviati reale ungherese alla Repubblica di Firenze
(Alexander Farmoser: maggio 1498)53
István Brodarics: giugno 1522.54 Vedi anche alla Santa Sede.
István Brodarics: aprile 1525.55 Vedi anche alla Santa Sede.
Milano
Gli inviati del duca di Milano al re d’Ungheria
Maffeo di Treviglio: 1485–giugno 149156
Nicolò Bartolini (abate di San Mercuriale di Forlì): giugno 1491–ottobre 149257
Raffaello de la Caude: giugno 149158
Paolo Lanterio: luglio–ottobre 149259
ignoto: aprile 150060
52
D. Labancz: ‘Az 1491-es év eseményei Magyarországon a Milánói Állami Levéltárban őrzött
dokumentumokon keresztül’, in: Gy. Domokos, M. Norbert & A. Nuzzo (eds.): Vestigia. Mohács
előtti magyar források olasz könyvtárakban, Piliscsaba: PPKE BTK, 2015: 131–140, p. 139, M. Szovák: ‘I rapporti magiari di Ferrara nello sguardo di Bernardino Zambotti’, Verbum 17, 2016: 129–
146, p. 143, Óváry I. 157 (n. 643), elaborata in dettaglio da A. J. Sárközi: Documenti…, op.cit.:
passim (istruzione: ASMo C. Est. Amb. Ungh. b. 3/4, 1, la parte segreta delle istruzioni in italiano:
ibid.: 3/2, 2. Due rapporti finali sull’ambasciata, con più o meno lo stesso contenuto, ibid. b. 3/5,
1 e 3/6, 1, quest’ultimo firmato dagli ambasciatori).
53
Pittore di origine tedesca residente a Firenze, già “agente artistico” del re Mattia Corvino.
A. Waldman: ‘Alexander Farmoser…’, op.cit.: 300–301, L. A. Waldman: ‘Commissioning Art…’,
op.cit.: 438–444, 452–457. Incaricato per le Corvine rimaste a Firenze. L. B. Kumorovitz: ‘II.
Ulászló levélváltása…’, op.cit.: 294–295 = L. A. Waldman: ‘Commissioning Art…’, op.cit.: 498–502
(pubblicazione di testo completo, con traduzione in inglese ed elenco delle edizioni precedenti).
54
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 342–343 (n. 167a).
55
Ibid.: 348 (n. 184a).
56
L. M. Negri: ‘Lettere dall’Ungheria…’, op.cit.: XXII–XXIII, pubblicazione delle sue lettere fino
al 6 settembre 1490: ibid.: 2–86. Vedi anche MDE IV. 425–426, Vestigia infocus n. 242. e n. 2923,
poi Óváry I. 157 (n. 646), 158 (n. 649), 159 (nn. 654–655) e 160 (n. 656). Un resoconto degli eventi
della missione dopo la morte del re Mattia Corvino: D. Labancz: Lettere…, op.cit.: 5–14.
57
Vestigia infocus n. 2923, Óváry I. 163 (n. 671), 164 (n. 677), 170 (n. 697), 173 (n. 712), poi ibid.
174–175. (nn. 718–720), come “Jakab” (Giacomo).
58
Óváry I. 160 (nn. 657–658).
59
Óváry I. 176 (n. 726) instruzione ibid.: 177 (n. 730); è anche menzionato prima
dall’ambasciatore Maffeo Treviglio nella sua lettera dell’8 settembre 1490: MDE IV. 259.
60
Sanudo III., 132.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
475
Inviato reale ungherese al duca di Milano
Petrus Falco: novembre 149161
Napoli
Gli inviati reali da Napoli al re d’Ungheria
ignoti (4 persone): settembre 149062
Alvise Catullo: febbraio 149163
Francesco de’ Monti: febbraio–agosto 149264
Andrea Caraffa: giugno 1492. VI–all’inizio del 149365
(Antonio Brancia: agosto 1494)66
(ignoto: aprile–ottobre 1500)67
Inviato reale ungherese al re di Napoli
Antal Sánkfalvi: gennaio–febbraio 1493.68 Vedi anche alla Santa Sede e a Venezia.
Santa Sede / Papa
Inviati papali al re d’Ungheria69
Angelo Pecchinoli nuncius/legatus: settembre 1488–settembre 149070
György Horvát cursor: aprile 149371
61
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 292 (n. 7) = Óváry I. 164 (n. 675).
Menzionato da Maffeo Treviglio nel suo rapporto dell’8 settembre 1490: MDE IV. 256.
63
Óváry I. 155–156 (n. 638, 640), e cf. 167 (n. 687).
64
Óváry I. 167 (n. 690) e 168 (n. 692).
65
Óváry I. 169 (n. 695), 170 (n. 699), 171 (n. 701), 173–174 (n. 715) e 177 (n. 727), M. Hlavačková:
‘A Diplomat in the Service…’, op.cit.: 17.
66
Accanto alla regina Beatrice. Vestigia infocus n. 1328, 1r, senza nome, come ‘ambasciatore’.
67
Un’ambasciata spagnola di Ferdinando II d’Aragona detto “il Cattolico”, Sanudo III. 213
“esser lì l’orator yspano e dil re di Napoli”, 985 “l’orator yspano e neapolitano”. Probabilmente
Luis Mercader o Francisco Muñoz, conosciuti dal 1499, vedi M. Á. Ochoa Brun: Historia de la
diplomacia española, Apéndice 1, Repertorio diplomático. Listas cronológicas de representantes
desde la Alta Edad Media hasta el año 2000 (Biblioteca diplomática española. Sección estudios
6), Madrid: Ministerio de Asuntos Exteriores, 2002: 194.
68
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II’, op.cit.: 293 (n. 14).
69
La lista è basata su A. Kalous: Late Medieval Papal Legation…, op.cit.: 207–208. Elenco solo
gli ambasciatori che furono delegati anche in Ungheria (non quelli che furono inviati solo nel
territorio dell’Impero).
70
A. Kalous (ed.): The Legation of Angelo Pecchinoli, op.cit.: passim; A. Kalous: Plenitudo
potestas…, op.cit.: 343–351, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121.
71
Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 285, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121,
A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 351.
62
476
Bálint Lakatos
Antonio Fabregues (Fabrignisi) cursor: agosto–settembre 149372
Orso Orsini nuncius/legatus: ottobre 1493–giugno 149573
Antonio Fabregues (Fabrignisi) cursor: agosto 149574
Bartolomeo de Miranda cursor: novembre 149675
Gaspare Golfi nuncius: ottobre 1499–marzo 150076
Gaspare Golfi nuncius: agosto–settembre 150077
Pietro Isvalies legatus de latere: novembre 1500–ottobre 150378
Gaspare Golfi nuncius: febbraio 150179
Iacobus Neretus cursor: marzo 150480
Achille Grassi nuncius/legatus: aprile–agosto 151081
72
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.:
352–353.
73
Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 311–318, V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 253–255,
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, W. Untergehrer: Die päpstlichen nuntii…,
op.cit.: 446.
74
V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 272–273, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 121, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 352–353.
75
Aragoniai Beatrix…, op.cit.: 392–393, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122, A.
Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 353–355.
76
V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 256–257, Sanudo III. 57–58, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 355–356. Cf. B. Lakatos:
‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 296.
77
V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 257–258, Sanudo III. 294, 309, 343–344, 378,
384–385, 402, 409, 412, 566–567, 791. A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122.
78
G. Nemes: ‘Cardinal Pietro Isvalies, the Bishop of Veszprém’, Archivum Historiae Pontificiae
53, 2019: 69–110, pp. 71–81, 86–90, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 356–361.
79
Lettera di Tommaso Danieri a Ercole d’Este, Buda, il 25 febbraio 1501, edita per Cesare
Foucaud: ‘Lettere di Tommaso Dainero ad Ercole duca di Ferrara 1501–1502’, in: Modenai és
velenczei követek jelentései Magyarország földrajzi és culturai állapotáról a XV. és XVI. században.
Descrizione dell’Ungheria nei secoli XV. e XVI, Edita in occasione del congresso geografico
internazionale di Venezia, settembre 1881, Budapest: senza editore, 1881: 5–25, p. 7. Sanudo III.
1535, 1549. A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 122.
80
G. Pray (coll.): Epistolae procerum regni Hungariae, pars I. Complectens epistolas ab anno
MCCCCXC ad MDXXXI, Posonii: G. A. Belnay, 1806: 49, Sanudo VI. 36, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai
érintkezések…’, op.cit.: 123, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 363–364.
81
Sanudo XI. 577, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 124, A. Kalous: Plenitudo
potestas…, op.cit.: 366–368, B. Lakatos: ‘A tatai országgyűlés és diplomáciai háttere (1508–1510)’,
in: László János (ed.): A diplomácia válaszútján. 500 éve volt Tatán országgyűlés, Tata: Tata Város
Önkormányzata & Komárom-Esztergom Megyei Önkormányzat Múzeumainak Igazgatósága,
2010 (Annales Tataienses VI): 29–65, pp. 8, 13, 14–15, 18, 22.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
477
Simon Kožičić (Modrusi/de Begna) nuncius: luglio 151082
Iacobus Piso: luglio 151083
Iohannes Staphileus: ottobre 151184
Tamás Bakóc legatus de latere: luglio 1513–151985
Vincenzo Andrić (de Andreis) nuncius: marzo 151486
Pietro Bergnano (Brignani?), Bernát Albisi nuncius e ignoto: giugno–luglio
151487
Vincenzo Andrić (de Andreis), Iulius Cortonensis nuncii: aprile 151588
Bernát Albisi nuncius: maggio 1515–marzo 151689
Nikolaus von Schönberg (Schomberg) nuncius: marzo 1517–151890
Tommaso de Vio legatus de latere: luglio 1523–gennaio 152491
82
A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 368, B. Lakatos: ‘A tatai országgyűlés…’, op.cit.: 20–21.
Sanudo X. 849, 851.
83
V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 460–461, nota 910, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai
érintkezések…’, op.cit.: 124, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 364–366.
84
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 125, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.:
368, B. Iványi: ‘Adalékok nemzetközi érintkezéseink történetéhez a Jagelló-korban’, Történelmi
Tár [29], 1906: 139–151, 161–197, 321–367, p. 189.
85
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 125–126, A. Kalous: Plenitudo potestas…,
op.cit.: 368–370, G. Érszegi: ‘A Curia Romana középkori levéltárai’, Levéltári Szemle 28, 1978:
321–399, pp. 336–338, G. Érszegi: ‘Bakócz Tamás pápai követi megbízatása’, in: Á. Somorjai &
I. Zombori (eds): Episcopus, Archiabbas benedictus, Historicus ecclesiae. Tanulmányok Várszegi
Asztrik 70. születésnapjára (METEM-könyvek 85), Budapest: METEM, 2016: 193–202.
86
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126.
87
V. Kenéz, L. Solymosi & G. Érszegi (eds.): Monumenta rusticorum in Hungariam rebellium anno
MDXIV (Publicationes Archivi Nationalis Hungarici II-12), Budapest: Akadémiai, 1979: 145, il 27
giugno 1514, lettera di incarico al re d’Ungheria da parte del famigliare papale Pietro Bergnano (il
nome potrebbe essere rotto al posto di ‘Brignano’ o ‘Brignani’), vedi ibid.: 172–173, con il quale fu
inviato Bernato Albisi come nuncius: ibid.: 146 (4 luglio 1514). Infine, tre messi lasciarono Roma
il 12 luglio, ibid.: 157, linea 22. Vedi B. Lakatos: ‘Hírek Magyarországról. Külföldi értesülések
1514-ben a parasztháború eseményeiről’, in: N. C. Tóth & T. Neumann (eds.): Keresztesekből lázadók. Tanulmányok 1514 Magyarországáról, Budapest: MTA Bölcsészettudományi Kutatóközpont
Történettudományi Intézete, 2015: 155–217, pp. 192–193.
88
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126.
89
G. Pray (coll.): Epistolae procerum… I, op.cit.: 100–103, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 126, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 370–371.
90
V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 326, A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’,
op.cit.: 126–127, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 371–372.
91
A. Kubinyi: ‘Diplomáciai érintkezések…’, op.cit.: 128, A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.:
377–379, G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 370–373.
478
Bálint Lakatos
Giovanni Antonio Buglio (Pulleo / Burgio, barone) nuncius: luglio 1523–
settembre 152692
Lorenzo Campeggio legatus de latere: gennaio 1524–giugno 152593
Giovanni Verzelio cursor: giugno–settembre 152694
Gli inviati reali ungheresi alla Santa Sede95
László Kemendi: maggio–giugno 149296
Antal Sánkfalvi: novembre 1492–1496.97 Vedi anche a Venezia e a Napoli.
Miklós Bacskai: agosto 1493–settembre 149698
Fülöp Bodrogi: ottobre 1494–150099
Iohannes Brandis: ottobre 1494–1499100
János Móré corriere: novembre 1494101
ignoto: ottobre 1498102
Miklós Bánfi (alsólendvai): aprile 1500103
Alexander de Servis (de Senis?): novembre 1500104
92
La sua corrispondenza diplomatica è stata pubblicata da V. Fraknói: Mon. Vat. Hung. II/1.
1–455. Vedi anche A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 382–406, G. Nemes: ‘Pápai követek…’,
op.cit.: 376–381.
93
A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 380–382, G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 373–376.
94
V. Fraknói: Magyarország egyházi… II., op.cit.: 398. Lettere superstiti: Mon. Vat. Hung. II/1.
422–424, 429–430, 437, 442–444, 446–447, 453, 455–456., G. Nemes: ‘Pápai követek…’, op.cit.: 381.
95
Per una rassegna delle persone, dello status sociale e delle qualifiche di questi ambasciatori,
distinguendo tra ambasciatori e agenti (procuratores), si veda da ultimo il lavoro di T. Fedeles:
‘Budáról Rómába…’, op.cit.: 173–183.
96
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 292 (n. 9).
97
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 293 (n. 13), Óváry I. 171–172 (n. 705) – Sulla
base di Höflechner ho ipotizzato (B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 295 [n. 19]) che
nel gennaio-febbraio 1494 anche Tamás Bakóc fosse un inviato ungherese, anch’egli incaricato
da Massimiliano I. Si tratta di un errore: l’oratore di Massimiliano I era János Vitéz, vescovo di
Veszprém e amministratore di Vienna. Lo sappiamo da un rapporto milanese dell’8 dicembre
1498. Si ringraziano Hajnalka Kuffart e Tibor Neumann per il loro aiuto.
98
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 294 (n. 17).
99
Ibid.: 294 (n. 17) e 295–296 (n. 23).
100
Ibid.: 295–296 (n. 23).
101
Ibid.: 294 (n. 17).
102
Forse Albert Lónyai. Sanudo III. 792. Vedi B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 300
(n. 36).
103
Ibid.: 301 (n. 41).
104
Ibid.: 302–303 (n. 47).
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
479
Péter Beriszló: dicembre 1502–febbraio 1503105
Zsigmond Turzó (Thurzo): settembre–ottobre 1507106
Péter Beriszló: maggio–agosto 1508.107 Vedi anche a Venezia.
Péter Beriszló: dicembre 1511–marzo 1512108
Márton Atádi: agosto–settembre 1513109
Francesco Marsuppini (procuratore): 1518–1526110
István Verbőci ed altri: aprile–giugno 1519.111 Vedi anche a Venezia.
Márton Mlatkovith Horvát corriere: maggio 1520112
István Brodarics: settembre 1522–agosto 1524.113 Vedi anche a Firenze.
István Brodarics: febbraio–agosto 1525.114 Vedi anche a Firenze.
Venezia
Gli inviati della Signoria di Venezia al re d’Ungheria115
Marco Dandolo oratore: febbraio 1492–novembre 1495116
Pietro Cappello oratore: febbraio 1492–novembre 1495117
Francesco de Zuecha (della Guidecca) segretario: settembre 1499–ottobre 1500118
Sebastian Zustignan (Sebastiano Giustiniani) oratore: gennaio 1500–marzo
1503119
105
Ibid.: 308 (n. 59).
La missione potrebbe non essere stata realizzata. B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.:
316 (n. 87).
107
Ibid.: 317 (n. 93).
108
Ibid.: 323 (n. 117).
109
Ibid.: 328 (n. 128).
110
Ibid.: 332–333 (n. 139), G. Nemes: ‘The Relations of the Holy See…’, op.cit.: 177–178.
111
Gli altri due membri dell’ambasciata erano Pál Csavlovics (gyurkovci) e Imre Fáncsi.
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 335–336 (n. 150).
112
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 337 (n. 155).
113
Ibid.: 344 (n. 171), G. Nemes: ‘The Relations of the Holy See…’, op.cit.: 178.
114
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 348–349 (n. 186)
115
Per le ambasciate ben documentate nei Diari di Marino Sanudo, nelle note enumero solo i
dati più importanti.
116
Óváry I. 177 (n. 731), senza nome; dato successivo del 1500: “fo ambasador in Hongaria”, e
del 1501, ibid.: 1533, “stato alias orator nostro in Hongaria…”.
117
Secondo inviato, insieme a Dandolo. Óváry I. 177 (n. 731), senza nome.
118
Óváry I. 203 (n. 862); Sanudo II. 1374, III. 57–58, 213, 702, 985, 1009, 1054.
119
Sanudo III. 75, 84, 119, 193, 213, 1177, IV. 86, 251, 284, 286, 563–564, 792, 863–865, 866.
Relazione finale ed. Alfred von Reumont: Un’ ambasciata veneziana in Ungheria (1500–1503).
Commentario, Estratto dall’Archivio storico italiano 4a série, tomo III, anno 1879) Firenze:
106
480
Bálint Lakatos
Vetor Soranzo oratore: gennaio–†14 novembre 1500120
Zorzi Pixani (Giorgio Pisani) oratore: gennaio–novembre 1501121
Zuan Badoer (Giovanni Baduario) oratore: novembre 1501–gennaio 1504122
Zuan Francesco di Benedeti (Benedetti) segretario: gennaio 1504–dicembre
1506123
Vincenzo Guidoto segretario: novembre 1506–maggio 1510124
Pietro Pasqualigo oratore: ottobre 1509–agosto 1512125
Antonio Surian (Suriano) oratore: luglio 1512–luglio 1516126
Alvise Bon oratore: agosto 1516–giugno 1519127
M. Cellini, 1879 (online: https://opacplus.bsb-muenchen.de/title/BV020963522 – data della visita:
22 gennaio 2022): 8–12, Sanudo IV. 858–863 = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: III–XI. Il
suo segretario era Pollo Zoltarello, vedi Sanudo IV. 862.
120
Secondo inviato, insieme a Giustiniani. Sanudo III. 75, 84, 119, 193, 213, 1113, 1158–1159 (era
morto), 1177 (seppelito a Buda). Il suo segretario era Andrea di Franceschi, vedi Sanudo III. 1453,
IV. 862.
121
Secondo inviato, in sostituzione di Soranzo. III. 1186, 1205–1207, 1214, 1230, 1247, 1262, 1316,
1357–1358, 1453, 1535–1537, 1603–1604, IV. 86, 96–97, 176. Vedi anche Riccardo Predelli (a cura
di): I libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, VI., Venezia: a spese della Società,
1903 (Monumenti storici publicati dalla R. deputazione veneta di storia patria, serie I. vol. XI): lib.
18. pp. 46–47 (trattato del 13 marzo 1503). Il suo segretario era Geronimo Donato, vedi Sanudo
IV. 862.
122
Sanudo IV. 96–97, 174–175, 284, 563–564, V. 70, 72–73, 135, 241, 769, 804–805. Il sommario
della relazione ibid.: V. 823. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XII; V. Fraknói: ‘Lónyai
Albert zengi kapitány velenczei követségei 1501–1515. Közlemények a velenczei állami levéltárból’, Magyar Történelmi Tár 22, 1877: 3–44, p. 16–20. Il suo segretario era Alvise Rosso, vedi
Sanudo IV. 862.
123
Sanudo V. 766–768, 828–831, 388, VI. 410–411, 438, 510.
124
Sanudo VI. 410–411, 503–506, 536, VII. 716, VIII. 129, IX. 234, 380, 519, 546, X. 55, 503–506,
536–537.
125
Sanudo IX. 234, 241, 245, 289, 380, 546, X. 55, 503–506, 537, 847–851, la fine della missione:
Sanudo XIII. 405, XIV. 560–561. Vedi anche V. Fraknói: Magyarország és a cambrayi liga, op.cit.,
P. E. Kovács: ‘I dispacci…’, op.cit.
126
Óváry I. 243. (nn. 1046–1047), Sanudo XIV. 560–561, 638, rapporti regolari dalla corte reale
ungherese, vedi Sanudo XIV–XXII, per esempio XX. 412–413, 428, XXII. 63, 69–70 (testo completo
del suo dispaccio del 13 marzo 1516 sulla morte di Vladislao II), la fine della missione: Sanudo
XXII. 250–251, 458. Il sommario della relazione ibid.: XXIII. 348–354. = I. Balogh: Velenczei
diplomaták… op.cit.: XIII–XXIII.
127
Sanudo XXII. 273, 458, 555–556, rapporti regolari dalla corte reale ungherese, vedi Sanudo
XXII–XXVI, per esempio ibid.: XXV. 230–231, XXVI. 238–239, 415, 418–419, 428, 506–507, la
fine della missione: ibid.: XXVII. 287–288, 352, 408, 419, 543. Il sommario della relazione ibid.:
495–502. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXIV–XXXVI. Il suo segretario era Giacomo
Vedoa, vedi Sanudo XXVII. 501. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: XXXV.
Relazioni diplomatiche tra l’Ungheria dei Jagelloni e gli stati italiani
481
Lorenzo Orio oratore: giugno 1519–dicembre 1523128
Vincenzo Guidoto segretario: novembre 1523–luglio 1525129
Gli inviati del re d’Ungheria alla Signoria di Venezia
ignoto: dicembre 1490–gennaio 1491130
Antal Sánkfalvi: novembre 1492.131 Vedi anche alla Santa Sede e a Napoli.
Lőrinc Újlaki, Ferenc Szatmári ed altri: luglio–agosto 1502132
Albert Lónyai: agosto–settembre 1503133
Péter Beriszló, Máté Jurisics: ottobre–dicembre 1503 (a Traù, Dalmazia)134
Albert Lónyai: marzo 1504135
Péter Beriszló: settembre–dicembre 1504136
Fülöp Móré (csulai Móré): luglio–dicembre 1505137
András Bot (bajnai Both): giugno 1506138
128
Sanudo XXVI. 317, XXVII. 119, 133, 230, 386, 419, 543–544, rapporti regolari dalla corte reale
ungherese, vedi Sanuto XXVII–XXXV. La fine della missione: ibid.: XXXIV. 186, XXXV. 40, 174–
175, 277, 282, 286, 289. Sua relazione in sommario, vedi ibid.: 295–300 = I. Balogh: Velenczei
diplomaták… op.cit.: XXXVII–XLVI. La sua udienza finale e il discorso del 17 novembre 1523, e
la risposta reale ungherese del 20 novembre: Krzysztof Szydłowiecki kancellár naplója 1523-ból
[Acta legationis], tradotto in ungherese da I. Boronkainé Bellus, il testo latino è stato curato
da G. Érszegi, a cura di I. Zombori, Budapest: METEM, 2004: 179–182, 187 (testo latino). Il suo
segretario era Francesco Massaro (relazione da ottobre 1523 in Sanudo XXXV. 99–116 = I. Balogh:
Velenczei diplomaták… op.cit.: XLVII–LXVIII).
129
Sanudo XXXIV. 376, XXXV. 40, 277, 282, rapporti regolari dalla corte reale ungherese, vedi
Sanudo XXXV–XXXIX. La fine della missione: ibid.: XXXIX. 64, 104, 105, 315, 318–320. Relazione
finale ed. F. Firnhaber: ‘Vinzenzo Guidoto’s Gesandschafts am Hofe K. Ludwigs von Ungern
1523–1525’, in: Quellen und Forschungen zur vaterländischen Geschichte, Literatur und Kunst,
Wien: Braumüller, 1849: 66–138. = I. Balogh: Velenczei diplomaták… op.cit.: LXIX–LXXXV.
130
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 291 (n. 3).
131
Ibid.: 293 (n. 12).
132
Delegazione ungherese a Padova per accogliere Anne de Foix, la futura regina ungherese;
altri membri: Tamás Szentgyörgyi-Bazini, Mihály Ország, András Bot (bajnai), Bátori György.
Ibid.: 305–306 (n. 56), vedi anche V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 12.
133
V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 13–15, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 309 (n. 62).
134
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 310–311 (n. 66).
135
V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 20–25, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 311–312
(n. 68).
136
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 312 (n. 71).
137
Ibid.: 312–313 (n. 73), Szovák M.: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 198–200.
138
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 313 (n. 76).
482
Bálint Lakatos
György Merzini (Korbáviai): febbraio–marzo 1507139
Albert Lónyai: giugno–settembre 1507140
Péter Beriszló: marzo 1508.141 Vedi anche alla Santa Sede.
Fülöp Móré (Csulai Móré): settembre–ottobre 1508142
Fülöp Móré (Csulai Móré): giugno 1509–marzo 1510143
Fülöp Móré (Csulai Móré): ottobre 1512–agosto 1514144
István Telegdi: novembre 1512145
Albert Lónyai: gennaio–aprile 1515146
Fülöp Móré (Csulai Móré): ottobre 1517–marzo 1518147
István Verbőci ed altri: marzo–aprile 1519.148 Vedi anche alla Santa Sede.
Fülöp Móré (Csulai Móré): dicembre 1520–agosto 1521149
Statileo János: luglio–settembre 1521150
Brodarics István: aprile–maggio 1522.151 Vedi anche a Firenze e alla Santa Sede.
Thomas Niger (Crnić): ottobre–novembre 1523152
Traduzione di Dorottya Anna Kriston
139
Ibid.: 314–315 (n. 81).
V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 25–28, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 315 (n. 84).
141
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 317 (n. 92).
142
Ibid.: 318 (n. 96). La missione è stata erroneamente confusa con quella successiva, iniziata nel
giugno del 1509. Vedere correttamente M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 200–201.
143
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 318 (n. 96), aggiunto come seconda parte alla
missione, vedere correttamente M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 201–203.
144
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 326–327 (n. 124), M. Szovák: ‘Újabb adatok…’,
op.cit.: 203–205.
145
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 326 (n. 124). Inviato accanto all’ambasciata
precedente.
146
V. Fraknói: ‘Lónyai…’, op.cit.: 29–44, B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 331 (n. 133).
147
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 333–334 (n. 141), M. Szovák: ‘Újabb adatok…’,
op.cit.: 205–206.
148
Gli altri due membri dell’ambasciata erano Pál Csavlovics (gyurkovci) e Imre Fáncsi.
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 334–335 (n. 147).
149
Ibid.: 339–340 (n. 159), M. Szovák: ‘Újabb adatok…’, op.cit.: 206–209.
150
B. Lakatos: ‘A király diplomatái… II.’, op.cit.: 341–342 (n. 164).
151
Ibid.: 343 (n. 169).
152
Ibid.: 347 (n. 182), cf. A. Kalous: Plenitudo potestas…, op.cit.: 376.
140
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Contactos comerciales del Conde Nicolás Pálffy
(1552–1600) con el extranjero1
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
Universidad de Trnava en Trnava; Universidad Comenius de Bratislava
monika.tihanyiova@truni.sk; medveczka@fedu.uniba.sk
Abstract
The study is based on a letter of the Hungarian nobleman Nicolás Pálffy (1552–1600)
from February 1596, addressed to Vincenzo I. Gonzaga, Duke of Mantua (1562–1612).
The subject of the letter was horses and greyhounds. This prompted a study of Pálffy’s
correspondence in terms of his business activities and contacts. Upon closer examination of the surviving letters, in addition to the well-known grain and wine trades,
frequent horse and game hunting trades were also discovered. Among those interested
in these goods were not only prominent local nobles, but also members of well-known
foreign families. The research has also confirmed the number of languages that this
early medieval nobleman was able to communicate in, besides Latin, Hungarian, German, Italian also in Spanish, which is the language of this letter. The study concludes
with a linguistic analysis of the letter and its transcription.
En la historiografía eslovaca y húngara, Nicolás Pálffy (1552–1600) es conocido por sus logros en diferentes ámbitos. En primer lugar, ha pasado a la historia
como quien sentase una sólida base para la rica historia de la familia Pálffy. En
los ámbitos militar y político, tuvo un rol destacado tanto en el campo de batalla
como en el campo diplomático, no sólo en el ámbito húngaro, sino en toda
la monarquía de los Habsburgo. Además, son bien conocidas sus actividades
económicas y comerciales. Un aspecto interesante de la vida de Nicolás es su
1
El presente estudio ha sido realizado en el marco del proyecto de investigación VEGA
1/0563/19 Neznáme pramene k dejinám Slovenska v talianskych archívoch (14.–16. storočie)
[Fuentes desconocidas sobre la historia de Eslovaquia en los archivos italianos (siglos XIV–XVI)].
484
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
red de contactos con socios comerciales extranjeros con los que comunicaba no
sólo en latín, húngaro o alemán, sino también en italiano y español.
Retrato de Nicolás Pálffy, 1615 (Rijksmuseum Amsterdam)2
El éxito de Nicolás Pálffy en Hungría y en la monarquía habsbúrgica en el
dificilísimo periodo del último tercio del siglo XVI, un tiempo de constantes
conflictos con los otomanos que ocupaban las partes centrales del antiguo Reino
de Hungría, se debió entre otros a su origen familiar.3 Era el menor de los ocho
hijos de Pedro Pálffy (hijo de Pablo Pálffy y Clara Erdődy) y Sofía Dersffy. Los
lazos de parentesco, establecidos paulatinamente desde finales del siglo XV por
su abuelo y su padre, contribuyeron significativamente a la propiedad y al estatus social de la familia, que descendía de la baja nobleza. Incluso el emperador
2
https://www.rijksmuseum.nl/en/collection/RP-P-1908--3838
Sobre los orígenes de la familia, véase: G. Pálffy: ‘A Pálffy család felemelkedése a 16. században’, in: A. Fundárková & G. Pálffy (eds.): Pálfiovci v novoveku. Vzostup významného uhorského
šľachtického rodu, Bratislava & Budapest: Spoločnosť Pro Historia, 2013: 17–36.
3
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
485
Rodolfo II de Habsburgo (1576–1608),4 cuando en 1581 concedió a la familia
Pálffy el título de barón, señaló los orígenes de la familia y sus vínculos con las
familias Erdődy y Dersffy. La madre de Nicolás, Sofía, era sobrina de Francisco
Batthyány (1525–1533), ban croata-eslavón, conocido luchador antiotomano,
participante en la batalla de Mohács y uno de los dignatarios húngaros más
importantes e influyentes durante el reinado de Fernando I (1527–1564). La
influencia de Francisco y su estrecha relación con su hermana Perpetua (la
madre de Sofía) se pone de manifiesto en la colocación de varias de sus hijas
en la corte de Francisco con el fin de adquirir una mayor educación social y, en
particular, para encontrar pretendientes adecuados.5 Sofía y Pedro continuaron
en una línea similar. Proporcionaron a sus hijos una buena educación en casa
con un tutor contratado, el letrado llamado Valentino, y al mismo tiempo concertaron para ellos matrimonios con miembros de las entonces prominentes
familias aristocráticas.6 Dado el turbulento periodo de la intensa defensa del
Reino húngaro contra los otomanos, no sorprende la carrera militar de los
hermanos mayores de Nicolás.7
Los contactos de Pedro Pálffy y su esposa Sofía con muchas personalidades
influyentes de la época contribuyeron a que su hijo menor, Nicolás, de once
años, se educara directamente en Viena, en la corte de Maximiliano II (1564–
1576). Esto ocurrió poco después de que su hijo y el hermano mayor de Nicolás, Jorge Pálffy (†1562),8 sucumbiera a sus heridas tras una batalla con los
otomanos. El periodo en el que Nicolás fue educado en la corte vienesa y luego
española junto al archiduque Rodolfo fue mencionado por este último en 1581,
cuando ya era rey magiar y emperador, al enumerar los méritos de Nicolás
y sus hermanos. No olvidó mencionar la lealtad de Nicolás durante su viaje
a España y posteriormente a otros países, durante el cual le prestó muchos y
4
P. Jedlicska: Adatok erdődi báró Pálffy Miklós a győri hősnek életrajza és korához 1552–1600.
Eger: Az érseki lyceum könyvnyomdája, 1897: 5.
5
Magyar Nemzeti Levéltár, Országos Levéltára, Diplomatikai Levéltár 104464.
6
G. Pálffy: ‘A Pálffy…’, op.cit.: 27–29.
7
En la época de la incipiente carrera de los hermanos de Nicolás, en estas batallas ya se habían
distinguido con éxito los hermanos de Sofía – Esteban Dersffy, capitán de los distritos de Košice
(Kassa) y de las regiones transdanubianas, y Farkas Dersffy, capitán de Szigetvár. E. Terbe:
Batthyány Ferencné Svetkovics Katalin levelei (1538–1575), Budapest: Magyar Nyelvtudományi
Társaság, 2010: 55. Sobre los éxitos y fracasos de los hermanos de Nicolás, véase: G. Pálffy: ‘A
Pálffy…’, op.cit.: 27–28. A. Fundárková: ‘Rábsky hrdina Mikuláš Pálffy – mýtus a skutočnosť’,
Historické štúdie 53, 2019: 45–58, pp. 47–48.
8
Ibid.: 47.
486
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
buenos servicios.9 Sabemos que este viaje duró casi ocho años (1563–1571) y
que, además del archiduque Rodolfo, participaron en él sus hermanos Ernesto,
Wenceslao y Alberto.10 A España fueron invitados por su tío (el hermano de su
madre, la emperatriz María), el rey español Felipe II de Habsburgo, para adquirir
experiencia práctica en todas las esferas importantes de la vida monárquica
de la época -la política, la diplomacia y el ejército- bajo la estricta supervisión de la Iglesia católica. Los acompañaban hijos de algunos de los magnates
húngaros, entre ellos Nicolás Pálffy. Así, estos tuvieron la rara oportunidad
de ser educados por los mejores maestros y además hacerlo en la corte del
monarca europeo más importante de la época. Nicolás pudo acompañar a los
archiduques incluso en sus viajes a otros países de Europa Occidental (Sacro
Imperio, Francia, Flandes), ampliando considerablemente sus conocimientos,
incluyendo los lingüísticos.11
El archiduque Rodolfo, acompañado por Nicolás, regresó a Viena poco antes
de su coronación como rey de Hungría, que tuvo lugar en 1572. No es de
extrañar que Nicolás se convirtiera inmediatamente en miembro de su corte. Le
sirvió como dapifer, luego como panatier, y finalmente, a partir de 1575, como
Jefe mayor de la Vajilla de Plata (Oberstsilberkämmerer). Siguió ocupando este
puesto en la corte de Rodolfo también más tarde, después de que éste tomara el
relevo de su padre Maximiliano II (†12.10.1576). A partir de 1579, Nicolás Pálffy
fue el único verdadero mayordomo húngaro (Kämmerer).12 Sería, por tanto, el
más importante miembro de la aristocracia húngara de la época con verdadera
ascendencia sobre el rey y emperador y, al mismo tiempo, quien entrase entre
9
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: 5.
Z. A. Liktor: ‘ “Spanyol az Isten”. Egy Spanyolországhoz erősen kötődő dinasztia a Magyar
Királyság élén a XVI–XVII. században: a Habsbug-ház’, Jogtörténeti szemle 1, 2020: 43–50, p. 45.
Su tío, el hijo menor del rey Fernando I, Carlos, también estaba en Madrid en ese momento.
Mientras Rodolfo y Ernesto, junto con Nicolás Pálffy, regresaron a Viena, Wenceslao y Alberto
permanecieron en España. Wenceslao se puso a la cabeza de los Caballeros de Malta en Castilla
y León hasta su temprana muerte, mientras Alberto llegó a ser Cardenal, Arzobispo de Toledo
y Virrey de Portugal, hasta que en 1595 le fue encomendado el gobierno de los Países Bajos
españoles, tierra que recibió su futura esposa, la infanta Isabel Clara Eugenia de Habsburgo,
como soberana en 1598. Ibid:, p. 49. El viaje a España para conseguir mayor educación confirma
los continuos y estrechos lazos de la corte vienesa con la de Madrid, la promoción de la etiqueta
y cultura españolas en la corte de Maximiliano (especialmente por iniciativa de su esposa), y el
recordar constante de su ascendencia común.
11
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: 5.
12
G. Pálffy: ‘Baróni a magnáti v Uhorskom kráľovstve v 16. storočí’, Forum Historiae 4, 2010:
1–13, p. 12.
10
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
487
sus connacionales en el círculo de personas cercanas a él provenientes de la
nobleza de la Baja Austria, Bohemia y Alemania e influyentes en la política
interior y exterior del monarca. Desde finales de 1583, Nicolás se convirtió
también en conde supremo -főispán (comitatus Posoniensis supremus comes)
y capitán en jefe del castillo de Bratislava.13 Rodolfo mostró su confianza en
él desde el principio, como lo demuestra, por ejemplo, el hecho de que aún en
1574 fuera enviado como diplomático a Constantinopla, y un año después a
Buda, sede del bajá del eyalato de Buda.
Otra exitosa etapa en la vida de Nicolás fue su matrimonio concertado con
la hija del chambelán del archiduque Ernesto, Marcos Fugger (1529–1597), que
era miembro de una rica familia de banqueros de Augsburgo, alcalde de esta
ciudad y reputado hombre de negocios. El compromiso tuvo lugar en dicha
plaza germánica a principios de 1583, junto con la celebración de un nuevo
matrimonio en la familia, el del hermano de la novia, Jorge Fugger, con la
baronesa italiana Elena Madruzzo (Madrutsch).14 De esta manera, Nicolás no
se emparentó solo con la todavía muy influyente familia Fugger, sino también
con una familia de barones italianos. Sus contactos mutuos son atestiguados
por su correspondencia conservada. En abril de 1585, el padre de Elena, el barón
Fortunato Madruzzo (1538–1604), escribió a Nicolás. En la carta le expresó la
sincera amistad y confianza que le tenía y le instó a que, si necesitaba algo, no
dudara en acudir a él.15
Además de la creación de estos nuevos parentescos influyentes, un otro asunto importante transcurrió en la vida de Nicolás: la compra gradual de la parte
restante del dominio del castillo de Červený Kameň16 a los Fugger (una parte
había recibido a través de la dote de su esposa), que la poseían desde 1535
y la habían dividido en varias cuotas de propiedad. Nicolás no lo consiguió
definitivamente hasta 1588.17 El castillo, construido en el territorio del actual
13
Pozsony (hún.)
La boda tuvo lugar originalmente en Trento, y las celebraciones continuaron en Augsburgo.
La ausencia de Jorge en la boda en Trento está documentada en una carta de su prometida y de
su futura suegra, en la que lamentan su ausencia y le agradecen los numerosos regalos, entre
ellos las preciosas rosas. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 95, nr. 29.
15
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 186, nr. 209. El barón Fortunato Madruzzo, exitoso comandante militar, era hermano del obispo de Trento Ludovico, de quien también se tiene constancia
en cierto momento de la historia de la monarquía de los Habsburgo cuando organizó el ejército
papal para luchar contra los otomanos. I. Gy. Tóth: ‘A Propaganda megalapítása és Magyarország
(1622)’, Történelmi szemle 42/1–2, 2000: 19–68, p. 28.
16
Vöröskő (hun.)
17
P. Kalus: Die Fugger in der Slowakei, Augsburg: Wißner, 1999: 264–265.
14
488
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
suroeste de Eslovaquia, al pie del sureste de los Pequeños Cárpatos, cerca de
la ciudad de Trnava,18 se convirtió así en la nueva sede de Nicolás Pállfy y de
su creciente familia.19
La adquisición del pujante dominio perteneciente a la familia Fugger, que
lo había elevado considerablemente gracias a sus actividades empresariales y
a su meticulosa gestión,20 supuso para Nicolás nuevas oportunidades de hacer
uso de sus conocimientos y habilidades, así como de sus influyentes contactos.
Además de organizar los costosos trabajos de construcción del castillo, Nicolás
continuó en las actividades económicas de sus predecesores, incluyendo las
actividades de poblamiento. Al mismo tiempo, en el dominio de Červený Kameň
organizó el cultivo masivo de tierras, que decidió utilizar para su negocio de
cereales (trigo, centeno, avena, cebada). En tiempos de permanente estado de
guerra y de la necesidad de abastecer constantemente a las guarniciones (y a
sus caballos) de los castillos fronterizos, esta materia prima era una de las más
codiciadas. Ya en 1584 podemos rastrear el suministro regular de grano por
los dominios pertenecientes a Nicolás a la hacienda real, lo que le reportó un
considerable beneficio (por ejemplo, en 1596 vendió grano por 33.622 florines).
Además, a la cámara de la corte también ofrecía de venta vino, que procedía
de los extensos viñedos de sus dominios. Tras el estallido de la llamada Guerra
de los Quince Años con los otomanos (1593–1606), a menudo concedía a la
hacienda imperial préstamos en suministro de grano. A cambio, recibía ingresos
administrados por la Cámara.21
18
Nagyszombat (hun.)
I. Štibraná: Rodová portrétna galéria a umelecké zbierky Pálffyovcov na Červenom Kameni.
Obdobie prvých troch generácií rodu v 16.–17. storočí, Kraków: Towarzystwo Slowaków w Polsce –
Trnava: Filozofická fakulta Trnavskej univerzity v Trnave, 2013: 19. En la segunda mitad del siglo
XVI, además del castillo, que daba nombre a todo el dominio, pertenecían al dominio de Červený
Kameň tres ciudades pequeñas (Častá, Doľany, Dolné Orešany) y la mitad de 15 pueblos (Bohdanovce nad Trnavou, Borová, Budmerice, Dlhá, Dubová, Jablonec, Kaplná, Klčovany, Košolná,
Suchá nad Parnou, Šelpice, Štefanová, Vištuk, Zvončín y parte de Slovenská Nová Ves). V. Čičaj:
‘’Ekonomické pozadie vzostupu Pálfiovcov v 16. storočí’, in: A. Fundárková & G. Pálffy (eds.):
Pálfiovci v novoveku. Vzostup významného uhorského šľachtického rodu, Bratislava & Budapest:
Spoločnosť Pro Historia, 2013: 37–46, p. 39.
20
Sobre las actividades económicas en el dominio de Červený Kameň bajo los Fugger, véase.
J. Žudel: Fuggerovci na Červenom Kameni 1535–1583, Bratislava: Veda, 1991. O más recientemente
E. Benková: ‘„Statuta den newgeseczten Richtern, Burgern und allen Underthanen in der gannczen Herschafft Bybersburg”. Príspevok k poddanskému právu v Uhorskom kráľovstve v 16.
storočí’, Opus caementum. Historia nova 19. [en línea] Bratislava: Stimul, 2021: 85–131. Accesible
en: https://fphil.uniba.sk/fileadmin/fif/katedry_pracoviska/ksd/h/Hino19.pdf
21
V. Čičaj: ‘Ekonomické…’, op.cit.: 44–45. Véase, p. ej. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 343, nr. 545.
19
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
489
El comercio de grano y vino de calidad atrajo a Nicolás incluso clientes
extranjeros: unos italianos desconocidos de Venecia y el propio rey polaco.22
En 1590, también Marcos Fugger pidió a su yerno que le comprara grano de
Hungría.23 La documentación sobre el comercio de trigo, madera y ganado es
algo más numerosa y está directamente relacionada con los otomanos (por
ejemplo, con el Beg de Strigonia24 ).25 En tiempos de escasez, la demanda de
grano obligó a Nicolás a negociar su compra e importación a los nobles de la
Baja Austria.26
Los productos mencionados no fueron los únicos con los que Nicolás Pálffy
comerciaba con éxito. Ya en una de sus primeras cartas que se conservan, de
1577, observamos sus conocimientos en materia de precios y venta de caballos.27 Cinco años más tarde, se conoce por una carta de su suegro, Marcos
Fugger, que Nicolás le había remitido un caballo turco gris y que pensaba
enviarle otro. Sin embargo, Fugger tuvo que rechazarlo debido a que su caballeriza estaba atestada de animales. Sin embargo, le sugirió a Pálffy que colocara
este caballo en su propio establo.28 Un año después, en diciembre de 1583,
Fugger pidió a su yerno que le enviara los dos caballos acordados con arreos,
aconsejándole que los mejores arreos se compraban en Trnava. Sobre la calidad
de estos caballos debía haber informado a Nicolás en una carta anterior.29 No
cabe duda de que el suegro de Nicolás era un gran conocedor de las razas y
la calidad de los caballos. Los Fugger eran conocidos en aquella época no sólo
por sus actividades financieras y económicas, sino también por su gran interés
por los caballos, la equitación e incluso el cuidado de estos animales. El primo
de Marcos, Juan Jacobo Fugger (1516–1575), con el que el primero dirigió el
22
V. Čičaj: ‘Ekonomické…’, op.cit.: 45. Nos enteramos del comercio de cereales con los italianos
por una carta de un oficial de Pálffy, fechada en marzo de 1591. Escribió a Nicolás que en Trnava
se había encontrado con un representante de los comerciantes italianos y que este le dijo que
no compraría más trigo por el momento, ya que sus amos le habían informado de que estaban
esperando la posibilidad de comprar trigo de Inglaterra. Según el oficial de Pálffy, se trataba sin
duda de una táctica para reducir el precio del trigo. P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 420, nr. 729.
23
Ibid.: p. 418, nr. 725.
24
Esztergom (hún.), Ostrihom (eslov.)
25
V. Čičaj: ‘Ekonomické…’, op.cit.: 45; P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 156, nr. 156.
26
En 1586, por ejemplo, le mandaron sus ofertas el conde Segismundo de Hardegg (en la Baja
Austria) y Ernesto Roggendorf. Ibid.: p. 209, nr. 257, p. 211, nr. 265.
27
Ibid.: p. 81, nr. 2.
28
Ibid.: p. 89, nr. 20.
29
Ibid.: p. 104, nr. 45.
490
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
negocio de los Fugger durante un tiempo tras la muerte de su padre, incluso
llegó a escribir un libro sobre la cría de caballos, que se publicó en Worms en
1578. Sin embargo, en su traducción al húngaro de 1786, la autoría de este libro
se atribuyó a Marcos, sin duda, porque también era conocido por su gran interés
en los caballos y la equitación.30 Por último, lo vemos en la correspondencia
con su yerno Nicolás. La caballeriza que mencionó en su carta a Nicolás era, al
parecer, una de sus conocidas caballerizas en la ciudad bávara de Sonthofen o
Bad Hindelang. Asimismo, se sabe que Marcos también compraba caballos en
España. El libro mencionado anteriormente recoge su viaje a este país en 1563,
donde supuestamente llamó su atención el innovador cuidado por la salud de los
caballos, que en España ya no era responsabilidad de los herreros (como lo era
en aquella época, por ejemplo, en Hungría), sino de expertos formados para ello:
los albéitares.31 En Madrid adquirió un libro de medicina equina árabe, ilustrado
con bellas imágenes en color, cuyos conocimientos fueron puestos en práctica
por sus mozos de cuadra y otros sirvientes que cuidaban de sus caballos.32 El
interés de Fugger por los caballos de Hungría no es sorprendente también por
otra razón. Ya en la época medieval eran conocidos por ser excepcionalmente
resistentes, duros, fuertes y rápidos. Otra razón por la que había un gran interés
por ellos fuera de Hungría, era su bajo precio. Además de los caballos de montar,
también los caballos de tiro se consideraban de una calidad excepcional, ya
que eran robustos y un animal era capaz de tirar de un carruaje con seis u
ocho personas. Además de los caballos húngaros, en la Edad Media los nobles
húngaros más ricos también poseían caballos comprados en el extranjero. Estos
caballos procedían principalmente de Europa occidental donde ya en aquella
época se mantenían en establos, a veces durante todo el año. Del mismo modo,
aparecían en Hungría en aquel periodo los caballos árabes, o cada vez más
a menudo llamados turcos, exactamente los que Nicolás regaló a su suegro.
En la Edad Media, sólo eran propiedad de los gobernantes y de la más alta
aristocracia y se encontraban entre los caballos más destacados de sus cuadras.
La resistencia y el aguante de estos animales se basaba, como en el caso de los
30
D. Karasszon: ‘A címlapon látható képről bövébben’, Magyar Állatorvosok Lapja 124, 2002:
130, p. 130. Sobre los datos biográficos de Juan Jacobo y Marcos, véase: https://www.deutschebiographie.de/sfz18012.html/#ndbcontent; https://www.deutsche-biographie.de/sfz18022.html/
#ndbcontent.
31
J. Carpio Elías: Las caballerizas reales de Córdoba en el siglo XVI: un proyecto de Estado, Sevilla:
Editorial Universidad de Sevilla, 2017. D. Dvořáková: Kôň a človek v stredoveku. Budmerice: Rak,
2007: 119.
32
Ibid.: p. 119. D. Karasszon: ‘A címlapon…’, op.cit.: 130.
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
491
de Hungría, en el pastoreo libre (a diferencia de los de Europa occidental que
se mantenían con avena en establos).33
Los Fugger se dedicaron a la crianza de caballos también en la época en la
que eran propietarios del castillo y del dominio de Červený Kameň. En 1546, el
padre de Marcos, Antonio Fugger, envió aquí de sus fincas alemanas 11 yeguas
y un semental y comenzó la crianza local de caballos. Cuatro años después
ya había en el establo 24 yeguas y 10 caballos jóvenes de uno a tres años. La
prometedora crianza se vio interrumpida inesperadamente por el traslado de
las yeguas a otro dominio perteneciente a los Fugger (el dominio del castillo
de Plavec34 ) y el envío de cinco caballos jóvenes a Augsburgo. La reanudación
de la crianza de caballos en la finca de Červený Kameň, quizá por iniciativa de
Marcos, tuvo lugar a principios de la década de 1580. La caballeriza señorial fue
restaurada y en 1581 contaba con 1 semental, 18 yeguas y 7 potros.35 Además, en
el dominio se mantenían caballos de trabajo y para tirar carruajes. Se conocen
tales números gracias a varios registros económicos del dominio de la época
cuando era propiedad de los Fugger. El número más alto, 73, se registró en
1550.36
Pero volvamos a Nicolas Pálffy y Marcos Fugger. Para qué se utilizaban
los caballos de los Fugger, además de para viajar, lo sabemos también por su
correspondencia. Por la mencionada carta de enero de 1583, escrita a Nicolás
por su prometida María Magdalena y su madre Sibila Eberstein, nos enteramos
del pesar del hermano de María, Jorge Fugger, por no asistir Nicolás a su boda
y cabalgar con ellos. En la invitación a la boda se pedía incluso la confirmación
no solo de la asistencia, sino también del número de caballos con los que el
invitado llegaría a Trento.37 Sin duda, Nicolás debió de tener una caballeriza con
un número no despreciable de caballos. Los caballos eran un bien muy codiciado
pero escaso en los mercados durante las guerras que asolaron Hungría a lo largo
de la segunda mitad del siglo XVI. En 1584, cuando Nicolás fuera el primer noble
húngaro en solicitar el puesto de comandante militar de la importante fortaleza
de Komárno, en su oferta de mantener entre 40 y 50 caballos a su cargo para
la defensa de la fortaleza pesó mucho en la aprobación de su solicitud.38 No se
33
D. Dvořáková: Kôň…, op.cit.: 46–49.
Detrekő (hun.)
35
J. Žudel: Fuggerovci…, op.cit.: 71–72.
36
Ibid.: 73.
37
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 95, nr. 29, p. 90, nr. 21.
38
Ibid.: p. 106, nr. 50. A. Fundárková: ‘Rábsky…’, op.cit.: 52.
34
492
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
sabe si estos caballos procedían de sus establos. Sin embargo, es cierto que él y
su gente fueron capaces de mantenerlos, incluso gracias al grano proveniente
del dominio de Červený Kameň. Los caballos también son mencionados por
su pariente cercano Esteban Dersffy en una carta que le escribió en mayo
de 1585. Se enteró de que Nicolás iba a Praga a ver al monarca que debía
proporcionarle fondos para la compra de 200 caballos. Le rogó a Nicolás que en
el encuentro con el rey le mencionara a él también.39 En mayo de 1586, escribió
a Nicolás su suegro Marcos Fugger, de nuevo en relación con los caballos.
Esta vez nos enteramos claramente del comercio de caballos de Nicolás y de
su buen conocimiento de las distintas razas. De hecho, Fugger le pidió que le
proporcionara y enviara dos caballos destinados para el tiro, que ya le había
solicitado varias veces el príncipe Guillermo de Baviera. Quería tenerlas a más
tardar a mediados de agosto, ya que pensaba regalárselas al italiano duque de
Urbino.40 A base de lo dicho anteriormente tampoco cabe duda de que los caballos turcos procedentes de Hungría o disponibles en este país seguían siendo
demandados en los países desarrollados de Europa en aquella época. Uno de los
intermediarios de su exportación fue Nicolás Pálffy.
Por una carta escrita a Pálffy a Červený Kameň a finales de noviembre de 1585
por su empleado de Komárno, Juan Trombitás, nos enteramos indirectamente
de dónde compraba Pálffy los caballos. En su carta, Trombitás informaba a su
señor sobre el sultán y el bajá de Buda, mencionando también a un tal otomán,
del que se dice que partió hacia la Puerta y le avisó que los caballos estaban en
camino y que sus hombres se los enviarían en cuanto llegaran. Le comunicó
a Nicolás que el que le gustara se lo podía quedar de inmediato.41 Por una
carta de otro oficial de Pálffy en Komárno de finales de diciembre del mismo
año, nos enteramos incluso de la adquisición de un caballo directamente de
un prisionero otomano. Sin embargo, tras inspeccionarlo, el oficial en cuestión
concluyó que a su amo no le gustaría nada. Por lo tanto, devolvió el caballo
y liberó al cautivo, con la condición de que obtuviera otro, por valor de 400
monedas de oro. Si no encontrara uno, que al menos consiguiera ganado de ese
valor. El agha otomano incluso llegó a sugerir a Pálffy que diera más tiempo
al prisionero para encontrar un caballo, ya que así sería de mejor calidad.42
Está claro, por tanto, que los caballos que se utilizaban en las batallas contra
39
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 136, nr. 112.
Ibid.: p. 233, nr. 312.
41
Ibid.: p. 180, nr. 202.
42
Ibid.: p. 194, nr. 224.
40
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
493
los otomanos, o que Nicolás conseguía para sí mismo y para sus conocidos,
procedían también directamente de los propios otomanos. Uno de estos caballos
le pidió a Pálffy el vicecapitán de Komárno, Erasmo Praun, en 1585. De la carta
se desprende que el caballo fue obtenido como botín.43 El hecho de que estos
caballos no siempre fueron adquiridos por los nobles de la época directamente
a través del comercio también se evidencia en la batalla con los otomanos en las
montañas de Vértes, que tuvo lugar el 27 de junio de 1587. El motivo del estallido
de esta batalla, iniciada por las tropas de Nicolás Pálffy, Francisco Nádasdy y
el capitán de Nové Zámky44 Juan Görög, fue supuestamente el pastoreo de manadas de caballos del beg Hamza en los alrededores de Buda. Según el informe
de Nicolás Pálffy, con provocar esta batalla, las tropas húngaras reaccionaron
a varias razzias de las tropas otomanas a la fortaleza de Komárno, durante
los cuales capturaron a varios pescadores húngaros o robaron caballos que
pastaban cerca del edificio del nuevo castillo.45 Este incidente también confirma
que, aunque se concluyó una tregua con los otomanos, las escaramuzas menores
en la zona fronteriza eran algo cotidiano. Las razones eran comprensibles; los
suministros a los castillos fronterizos, así como los pagos a las guarniciones,
se retrasaban constantemente, por lo que ambos bandos lo compensaban con
pequeñas provocaciones de este tipo, que finalmente se traducían en saqueos
y, sobre todo, botines. Como hemos visto, las tropas húngaras, al igual que las
otomanas, también secuestraban a soldados, que luego eran liberados a cambio
de un rescate, a menudo en forma de algunos bienes, incluidos los caballos. Así
lo demuestra también una carta del archiduque Ernesto (entonces gobernador
de Hungría) a Nicolás Pálffy, fechada en marzo de 1589. De ella se desprende
que el ejército húngaro había logrado capturar a los dos más altos oficiales los begs-, del sancajado de Pécs y Koppány. Fue justo Nicolás el encargado de
negociar su liberación, estando en juego no sólo el rescate en forma de bienes,
sino también la liberación de los cautivos húngaros. Los otomanos solían ser
rescatados también con caballos, entre otros bienes, y el archiduque Ernesto
subrayó en una carta a Pálffy que seleccionara sólo equinos de razas nobles.46
43
Ibid.: p. 186, nr. 209. Numerosas manadas de caballos, capturadas a los turcos, incluidos los
caballos ensillados, también son mencionadas por el propio Nicolás en varios de sus informes
al rey Rodolfo o al archiduque Matías (desde 1593 gobernador de la Alta y Baja Austria y
comandante militar supremo, el futuro rey Matías II). Ibid.: p. 627, nr. 694/a, p. 629, nr. 965/c.,
p. 702, nr. 1082, p. 706, nr. 1090.
44
Érsekújvár (hún.)
45
Para más información sobre esta batalla, véase: A. Fundárková: ‘Rábsky…’, op.cit.: 55–57.
46
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 359, nr. 578. En 1589, se incautaron los caballos que pertenecían directamente a los enviados de Pálffy, a los que había enviado a negociar con los otomanos.
494
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
Del lugar en el que mandó construir Nicolás la caballeriza en la que guardaba
sus caballos, y que se menciona también en una carta de Marcos Fugger, tenemos noticias por los informes de un empleado de Nicolás en Červený Kameň.
A finales de septiembre de 1585, informó a su señor de la buena cosecha de
la temporada anterior, incluida la vendimia. Escribió que ya a mediados de
septiembre se habían conseguido los barriles, pero que su número era insuficiente. Por ello, pidió a Nicolás que le enviara algunos barriles vacíos desde
Komárno, ya que él sólo podía conseguir unos muy caros. Al final, también
sabemos de la existencia de una caballeriza, tal vez en algún lugar del dominio
de Červený Kameň o directamente en un lugar cerca del castillo, de la que el
citado oficial debía seleccionar cinco hermosos potros.47 No conocemos si se
trataba de establos en los que se colocaban los caballos de trabajo, o si se trataba
de una caballeriza, que Nicolás pudo haber utilizado para continuar con la cría
de caballos de raza que se había iniciado en el dominio en la época de los Fugger.
Teniendo en cuenta el contenido de muchas cartas, que demuestran que Nicolás
era un gran conocedor de las razas de caballos y que por eso le contactaron
varios aristócratas, archiduques e incluso el propio emperador, es probable que
tuviera una caballeriza de este tipo en su dominio.48 Esto queda confirmado
por la mención en una carta de 1595 escrita por otro oficial de Červený Kameň,
en la que se mencionan dos sementales de raza que el dapifer dejó a Nicolás
Pálffy tras su muerte. Como escribe el oficial, estos caballos ya se encuentran
en Červený Kameň junto con otros caballos del mencionado dapifer.49 Como
sabemos por el testamento de Nicolás, que hizo en Bratislava en marzo de 1596,
después de su muerte debía ser mandado un caballo de su caballeriza, quizás de
la de Červený Kameň, al emperador Rodolfo y otro al archiduque Matías.50
Uno de los últimos pedidos de caballos, dirigido a Nicolás, también estaba
relacionado con la dinastía de los Habsburgo. Con motivo de la boda del archiduque Fernando (más tarde rey Fernando II) que se estaba aproximando, éste se
La queja de Pálffy sobre este incidente fue dirigida directamente al bajá de Buda, que le respondió
en una carta que ya había ordenado a los culpables que devolvieran los caballos. Ibid.: p. 394,
nr. 652.
47
Ibid.: p. 164, nr. 174.
48
Pál Jedlicska en su obra sobre Nicolás Pállfy menciona también la caballeriza de Pusté Úľany
(Födémes). A diferencia de otros datos de la parte introductoria de su obra, no añade a esta
información una referencia a la fuente correspondiente. Ibid.: 17.
49
P. Jedlicska: Eredeti részletek gróf Pálffy család okmánytárához 1401–1653 s gróf Pálffyak
életrajzi vázlatai, Budapest, 1910: p. 4, nr. 9.
50
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 611, nr. 933.
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
495
dirigió a Nicolás con la petición de que le proporcionara siete caballos negros o
blancos para su novia y futura esposa.51 Unas semanas más tarde le escribió de
nuevo (a través del capitán Hans Sigismundo de Herberstein), esta vez haciendo
hincapié en que debían ser caballos utilizados para el tiro. También le recordó
que, si no podía conseguir caballos blancos o negros, debía comprarlos de color marrón oscuro, pero sobre todo que no debían ser espantados. En ambas
cartas se ve que Fernando tenía la máxima confianza en Nicolás en cuanto a la
elección de estos animales. Nicolás debía recibir el dinero para su compra de un
comerciante vienés. Herberstein añadió a la carta también su propia petición de
que Nicolás junto con los equinos de Fernando enviara un caballo también para
él.52 Esta petición no hace más que confirmar la posición destacada de Nicolás
en la sociedad de la época, y además, que su fama no sólo estaba relacionada
con sus éxitos militares, como parece sugerir la mayor parte de la literatura,
sino también con su experiencia y conocimiento sobre la cría de caballos, sobre
las razas y sin duda también sobre su cuidado. Así lo confirma la carta de
otro de los archiduques, esta vez el archiduque Matías, que escribió a Nicolás
expresando su satisfacción por poder acompañarle en la ya mencionada boda
de Fernando. Se interesaba por el número de sirvientes que le iban a acompañar
y, en particular, por el número de caballos que llevaría consigo. Expresó la
esperanza de que participaran allí juntos en los tradicionales torneos de justas
o juegos ecuestres. También esperaba que Nicolás trajera caballos de una raza
más noble para la ocasión.53 Unos días más tarde, Matías volvió a dirigirse a él,
esta vez con la petición de que le proporcionara dos o tres caballos rápidos para
la boda de Fernando.54 Así, en los ejemplos anteriores, tenemos la oportunidad
de ver, entre otras cosas, las razones por las que a los aristócratas de la temprana
Edad Moderna les gustaba cualquier tipo de celebración, incluidas las bodas.
Los caballos y las justas seguían siendo el mayor entretenimiento y, en una
época de constantes conflictos con los otomanos y poco antes del estallido de
la primera sublevación contra los Habsburgo, sin duda, un acontecimiento adecuado para distraerse de estas difíciles circunstancias. La demanda de caballos
para la monta, ya sea para juegos o para la caza, sugiere que Nicolás también
51
Ibid.: p. 716, nr. 1109. La boda debía celebrarse el 23 de abril. La futura esposa de Fernando
iba a ser la hija del duque Guillermo V de Baviera, María Ana de Wittelsbach.
52
Ibid.: p. 723, nr. 1125.
53
Ibid.: p. 728, nr. 1139.
54
Ibid.: p. 729, nr. 1142.
496
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
sabía cómo entrenar a los caballos para estos fines, o que tenía entrenadores
experimentados a su disposición.
La correspondencia conservada de Nicolás revela cómo obtenía los caballos,
a quién y cómo los negociaba, y que entre sus clientes no sólo había nobles y
conocidos locales, sino también extranjeros. Además de los ya mencionados,
su correspondencia a partir de 1586 conserva interesantes contactos con otros
italianos, justo en relación con los caballos.55 En febrero de 1586, un tal Octavio Cavriani se dirigió a él de forma muy amistosa, pidiéndole seis faisanes
hembras, por los que dijo que le gustaría pagarle. También añadió que estaría
encantado de recibir un buen y gran busardo ratonero.56 Así llegamos a saber
que Nicolás también era conocido por su capacidad de proporcionar animales
de caza de buena calidad y bien amaestrados (perros y aves de rapiña), o quizás
incluso por criarlas directamente.
Octavio volvió a dirigirse a Nicolás en el verano de ese mismo año, el 12
de agosto de 1586. Esta vez queda claro de la carta que fue su amo quien
encomendó el negocio con Pálffy. De hecho, en su nombre pidió a Nicolás
que le proporcionara entre 16 y 18 yeguas para engancharlas a su carroza.
También añadió su sincero agradecimiento por la ayuda y el servicio de Pálffy.57
Octavio provenía de Mantua y en la historia húngara es conocido sobre todo de
principios del siglo XVII como chambelán y confidente del archiduque Matías,
hermano del rey Rodolfo. Sin embargo, los orígenes de su actuación en la monarquía de los Habsburgo se remontan a finales de la década de 1570, cuando
sirvió en la corte imperial de Viena como enviado del Ducado de Mantua. Poco
a poco se fue abriendo paso hacia las personas más cercanas al rey Rodolfo, a
quien siguió hasta Praga. Tras algunas desavenencias con el monarca, comenzó
a actuar en la corte vienesa de Matías.58
55
En la correspondencia de Nicolás, publicada por P. Jedlicska: encontramos también los
contactos con un italiano llamado Pedro Foscarini, que podría ser miembro de la conocida familia
veneciana Foscari. Pedro escribió a Nicolás el 19 de agosto de 1586 desde Venecia. Escribió
cómo él y sus parientes (las familias Strozzi, Dandoli, Contarini, Barbarigi y Cornari) recordaban
la amabilidad y el afecto que les había demostrado y le invitaban a ir a Venecia a visitarlos.
P. Jedlicska: Adatok…, op.cit.: p. 25, p. 260, nr. 374.
56
Ibid.: p. 209, nr. 260.
57
Ibid.: p. 25, 259, nr. 369.
58
T. Kruppa: ‘Tervek az erdélyi kormányzóság megszerzésére 1601–1602-ben. Erdély és a
Gonzaga dinasztia kapcsolatai a XVI.–XVII. század fordulóján’, in: Hadtörténelmi közlemények
115, 2002: 281–308, p. 287–288. P. Ötvös: ‘Illésházy István az emigrációban’, Századok 1983: 609–
625, p. 620.
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
497
El amo mencionado por Octavio Cavriani en su segunda carta, fechada en
agosto de 1586, puede identificarse muy probablemente con el duque de Mantua, Vicente Gonzaga (1562–1612). También él marcó activamente la historia
de la monarquía de los Habsburgo, incluida la de Hungría, cuando, tras el
estallido de la llamada Guerra de los Quince Años con los otomanos, se unió
directamente a la lucha, con una visión de gloria como héroe de guerra.59 Como
es sabido, en esas batallas se distinguió también Nicolás Pálffy.60 El valiente
Gonzaga, sin experiencia militar previa, se puso al frente de un ejército de
400 hombres, que reunió a sus gastos.61 Su ejército, junto con sus cortesanos,
entró en Hungría a principios de septiembre de 1595, tras una breve estancia en
Praga y Viena. Sin embargo, sus planes militares no estaban claros. A Esztergom
llegó sólo después de su exitosa conquista, en la que tomó parte activa también
Nicolás Pálffy con su ejército. En Esztergom, se decidió entonces hacia dónde
se movería el ejército de Gonzaga. Es probable que participara en la conquista
de Visegrád, pero no registró más éxitos y, ante la llegada del invierno, volvió
a Mantua. Durante su viaje desde Viena, Gonzaga también permaneció unos
días en la actual Bratislava, como demuestran sus cartas desde esta ciudad a
su padre, Carlo Gonzaga.62 Ya al salir de Hungría, Gonzaga planeó volver y así
ganar la deseada gloria en la lucha contra los otomanos.
Los contactos de Vicente con Hungría y con los comandantes locales después
de la expedición de 1595 se evidencian también en una carta inédita, descubierta
en el Archivio di Stato de Mantua.63 Entre otras cosas, completa la imagen de las
59
En aquella época, la monarquía de los Habsburgo recibió ayuda financiera y también ayuda
activa de varios estados italianos, incluido el Papa Clemente VIII que envió 12 mil infantes y mil
jinetes a Hungría. Z. Bagi: ‘Az alsó-magyarországi császári-királyi hadsereg, az oszmán őrség,
valamint a megsegítésükre küldött csapatok létszáma és veszteségei Esztergom 1595. évi ostromának idején’, in: E. Erzsébet (ed.): Évkönyv 2010, Komárom-Esztergom Megyei Önkormányzat
Levéltára 19, Esztergom, 2010: 42–52, p. 43.
60
Entre sus logros más conocidos destaca la conquista del castillo de Győr. A. Fundárková:
‘Rábsky…’, op.cit.: 46.
61
Las informaciones sobre el número de su ejército varían. Para más informaciones sobre
esto, así como sobre los motivos de la expedición de Gonzaga y todo su recorrido, véase:
Z. Bagi: ‘I. Vincenzo Gonzaga mantovai fejedelem 1595. évi hadjárata a Magyar Királyságban
a Fuggerzeitung alapján’, in: Gy. Domokos, J. W. Somogyi & M. Szovák: Vestigia III. Italianista
tanulmányok a magyar humanizmus és a tizenöt éves haború idejéről, Budapest: Balassi Kiadó,
2020: 15–25, pp. 18–20.
62
Z. Bagi: ‘I. Vincenzo…’, op.cit.: 24. P. Bertelli: ‘I Gonzaga e l’impero. Storia di nobilta e dipinti’,
Atti dell’accademia roveretana degli agati VII, 2006: 93–149, pp. 139–140.
63
Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 533. La carta fue descubierta y digitalizada
por el equipo de investigación Vestigia en 2014 y 2019.
498
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
continuas actividades comerciales de Nicolás Pálffy con el príncipe de Mantua.
La carta fue escrita por Nicolás en Esztergom el 2 de febrero de 1596, menos
de medio año después de la conquista de la ciudad. Los caballos y animales
de caza amaestrados volvieron a ser objeto de su contacto mutuo. De la parte
introductoria de la carta queda claro que Pálffy respondía a la petición de Vicente de conseguirle buenos caballos. Octavio Cavriani también vuelve a entrar
en acción. Nicolás había escrito a Gonzaga pidiéndole que enviara a Octavio
para que este viera no solo los caballos de los establos de Nicolás, sino también
otros, por supuesto, de raza noble, que pudiera conseguir. Y que fuera el propio
Cavriani quien seleccionaría los mejores sementales para él. Al mismo tiempo,
le ofreció un número ilimitado de yeguas de sus propios establos, que estaría
encantado de ceder y enviarle. Sin embargo, si Gonzaga quisiera enviar a su
propio hombre por los caballos, que lo hiciera en cualquier momento, ya que
Nicolás creía que en su caballeriza seguramente encontraría los caballos que
deseaba. Además de los caballos, Nicolás menciona también a galgos, buscados
por Gonzaga sin duda para la caza. Como supuestamente le había prometido
Nicolás, estaría encantado de enviárselos, así como cualquier otra cosa que
pudiera necesitar. La carta está escrita de forma muy cortés y servicial.
Además del interesante contenido que completa nuestra imagen de las actividades comerciales de Nicolás Pálffy, incluidos los contactos que tenía, y las
pruebas claras de la cría de caballos de raza por parte de él y de la existencia
de su caballeriza, la carta también enriquece nuestro conocimiento de las habilidades lingüísticas de Pállfy, ya que la carta fue escrita en español. El autor
utiliza el lenguaje del siglo XVI, que estaba en fuerte evolución, lo que se refleja
también en este texto escrito. Así podemos ver el deslizamiento de la vocal no
acentuada i a e (recevido, mesmo) que copia la pronunciación de aquella época,64
pero aparece también el uso de h- en lugar de f- (hebrero) que manifiesta una
vacilación en el momento cuando la f- inicial latina tendía a desaparecer o ser
aspirada. En dos casos se nota la conservación de grupos consonánticos que más
tarde se simplificarán (monstrar, prompto), en mayor grado está representada
la confusión de /b/ y /v/ (Ottabio, recevido, savré, embiar) que demuestra la
neutralización de la oposición de sus rasgos distintivos en el habla castellana
del periodo. La carta demuestra ya la naturalización del superlativo -ísimo (aún
escrito como -issimo) que corresponde a ese siglo.65 En cuanto al vocabulario,
destaca la palabra ansina, usada en el Siglo de Oro pero hoy día ya desaparecida.
64
65
A. Alatorre: Los 1,001 años de la lengua española. México: Tezontle, 1989: 257.
R. Lapesa: Historia de la lengua española. Madrid: Gredos, 1981: 396.
Contactos comerciales de Nicolás Pálffy con el extranjero
499
El texto refleja también el influjo del italiano en el español del autor que, como
hemos mencionado, dominaba ambas lenguas pero ninguna de ellas era su
lengua materna (estalones, condurre). Aún queda por explicar el uso del posesivo
vossa en la forma de tratamiento Vossa Alteza que no es propio ni del español
ni del italiano, sino del portugués. El hecho de tratarse de una carta escrita en
lengua extranjera para el autor podría explicar también otras formas inusuales,
incluido el uso de los tiempos verbales.
Aún se desconocen los motivos de Nicolás de la elección del español para
comunicarse con el príncipe italiano. Tal vez el descubrimiento de otras cartas
de su comunicación mutua, cuya existencia hay que suponer a base de esta
carta, las aclare en el futuro.
Para facilitar la comprensión, en nuestra transcripción de la carta original
escrita por Nicolás Pállfy a Vicenzo Gonzaga hemos modificado el uso de algunos signos ortográficos auxiliares (tilde, diéresis) y de algunas mayúsculas,
hemos suprimido el uso del punto (.) delante de las abreviaciones (.V. Alteza).
Nos ha parecido importante alterar algunos casos de separación de palabras
(sola mente, selos, parache), pero hemos mantenido la separación en caso de los
pronombres personales átonos de complemento (manda le, hare lo). También
hemos corregido el uso ocasional de j en lugar de y (jeguas > yeguas, soj > soy,
muj > muy) y el de ch en lugar de qu en las palabras che > que, parache > para
que manteniendo el uso de la q en lugar de la c.
1596:2:febo .
Strigonio
Sereníssimo Señor, Señor mío clementíssimo,
La Carta de Vossa66 Alteza e recevido67 al qual digo que Vossa Alteza o mande
al Señor Ottabio Caviriani que vea mis caballos, o otros que sean en esas partes,
y yo en todas las fronteras a donde savré que sea algún lindo y buen caballo
para la raeza,68 lo monstraré69 y escoja él mesmo, y yo los daré a V. Alteza
66
vuestra
he recibido. En el siglo XVI todavía no se ha empezado a restaurar la h latina muda desde el
primer siglo. R. Lapesa: ‘Historia…’, op.cit.: 422.
68
raza
69
mostraré (del latín monstare)
67
500
Monika Tihányiová; Mária Medveczká
los dos estalones,70 y también escoja entre mis yeguas no solamente dos sino
quantos mandare y yo se los daré, para que pueda embiar a V. Alteza, mas si
V. Alteza quiere mandar Vna persona aquí, quien les condura,71 mánda le V.
Alteza quando quierra72 que yo espero que en mi caballeriza hallara caballos,
que serán al gusto de V. Alteza.
Los galgos los que yo e prometido a Vossa A. también los embiaré, y si alguna
otra cossa me mandara V.A. en que le puda servir a V.A., haré lo con tan
prompto73 ánimo como soy obligado, y ansina74 suplico a V.A. que me mande
en todas las ocasiones.
Y con esso75 accabo76 mas no de rogar a mío Señor que guarde la Sereníssima
persona de V. Alteza, de Strigonio al 2 de Hebrero77 1596,
De Vossa Sereníssima Alteza,
Muy humilde criado que sus pies bessa
Nicolas Palffy
Al Ser.mo señor el señor Duq de Mantoua y Monteferrato. – My señor.
70
sementales (del italiano stallone)
conduzca (del italiano condurre)
72
quiera
73
pronto (del latín promptus)
74
así
75
eso
76
acabo
77
febrero
71
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Le relazioni di carattere militare tra la Casa
d’Austria-Este e l’Ungheria nel secolo XIX.
Prime note di ricerca
Alberto Menziani
Deputazione di Storia Patria, Modena
alberto.menziani@gmail.com
Abstract
The centuries-old relations between the Este family and Hungary were carried on
also with the new Austria-Este dynasty, originating from the marriage between the
archduke Ferdinand of Habsburg-Lorraine and princess Maria Beatrice d’Este, heir
to the Duchy of Modena. From a military point of view, Francis Ferdinand held for
over forty years (1834–1875) the position of owner colonel (Inhaber) of a Hungarian
regiment, the I. and R. 32nd infantry regiment. Archduke Francis always remained
very attached to his own regiment, which fought in Italy in 1848–1849 and 1859, and
in Bohemia in 1866, and provided instructors for the ducal troops on some occasions.
Inhaber of a Hungarian-recruiting regiment, i.e. the I. and R. 3rd Hussar cavalry regiment, was also the archduke Ferdinand of Austria-Este (1781–1850), uncle of Francis V,
who joined the Austrian army at a very young age, obtaining in 1836 the rank of field
marshal. Among the numerous tasks carried out by Ferdinand, there were also those
of General Commander of Hungary and Imperial Commissioner in Transylvania. It is
precisely in the tight-fitting Hungarian uniform that he is depicted in a beautiful statue,
inaugurated in 1855, which can still be admired in the vestibule of the Este mortuary
chapel in Modena. Another uncle of Francis V, the archduke Maximilian of AustriaEste, also had to deal with Hungary, having been, among other things, in charge of
organizing the Insurrectio in Transylvania during 1809 war. The Austria-Este Dukes
also took to their service some Hungarian soldiers coming from Austrian army, such
as Nicola Romay and John Pisztory. Some ducal soldiers entered Austrian regiments
with Hungarian recruitment or in any case of garrison in Hungary, also following the
dissolution of the Modenese ducal army (Brigata Estense) in September 1863.
502
Alberto Menziani
La Casa d’Este, da Ferrara prima e da Modena poi, intrattenne secolari relazioni con l’Ungheria, i suoi sovrani e le sue genti, le quali proseguirono anche
con la nuova dinastia austro-estense, che assunse il governo dello Stato di
Modena a seguito della Restaurazione del 1814–1815.1
Tali rapporti investirono diversi ambiti, fra i quali quello militare.
Sotto questo profilo, si può anzitutto ricordare che l’arciduca Francesco Ferdinando Geminiano d’Austria-Este, nato a Modena nel 1819 e Duca di Modena
dal 1846 al 1859 col nome di Francesco V,2 rivestì per oltre quarant’anni, e cioè
dal 1834 fino alla morte, avvenuta nel 1875, la carica di colonnello proprietario
di un reggimento ungherese, il 32° Fanteria.
La carica di colonnello proprietario di un reggimento (Inhaber), divenuta
all’epoca ormai sostanzialmente onorifica ma comunque assolutamente prestigiosa, era -come è noto- concessa da Vienna ad illustri personaggi che avevano
acquisito particolari benemerenze nei confronti dell’Impero, o appartenevano
alla dinastia regnante, o comunque con essa intrattenevano particolari legami
familiari o d’altro genere. Il prestigio della carica era anche legato al fatto che il
reggimento veniva ufficialmente indicato non solo col numero progressivo, che
rimaneva fisso, ma anche col nome del proprietario pro tempore. Così dal 1834 al
1875 il 32° Fanteria fu appunto denominato Infanterie-Regiment nr.32 Erzherzog
Franz Ferdinand d’Este, con l’aggiunta delle parole Herzog von Modena a partire
dal 1846. Ancora, nel 1859 il 12° Ulani si chiamava Ferdinand II, König beider
Sicilien, il 52° Fanteria (anch’esso ungherese) Erzherzog Franz Carl, ecc.
Naturalmente i reggimenti austriaci avevano anche un comandante effettivo,3 che nel caso dell’Erzherzog Franz Ferdinand d’Este fu dapprima il colonnello Anton von Martini, sostituito poi nel 1835 da Ernst von Sisak, al quale
succedette nel 1843 Johann von Castelliz, avvicendato a sua volta nel 1849
da Emanuel von Torri, e così via. Negli ultimi anni di vita di Francesco V il
1
La dinastia austro-estense trasse origine, come è noto, dal matrimonio, celebrato con gran
pompa a Milano il 15 ottobre 1771, tra l’arciduca Ferdinando d’Asburgo-Lorena, figlio cadetto di
Maria Teresa d’Austria, e la principessa Maria Beatrice Ricciarda d’Este, figlia ed erede del Duca
di Modena Ercole III. Il matrimonio diede occasione a grandiosi festeggiamenti, nell’ambito dei
quali il 17 ottobre fu eseguita per la prima volta presso il Teatro Regio Ducale della metropoli
lombarda l’opera Ascanio in Alba, composta per la circostanza da Wolfgang Amadeus Mozart su
libretto di Giuseppe Parini.
2
Su Francesco V vedasi la monumentale biografia di T. Bayard De Volo: Vita di Francesco V,
Modena–Milano–Torino–Venezia–Roma, 1878–1885.
3
E spesso anche un colonnello proprietario in seconda. Dal 1847 al 1850 fu ad esempio Zweite
Inhaber del 32° il barone Franz von Weigelsperg (cfr. Militär-Schematismus des österreichischen
Kaiserthumes, Wien, 1851: 233).
Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria
503
32° reggimento, che a partire dal 1873 sarà l’Hausregiment di Budapest, era
comandato dal colonnello Maximilian von Cruss, nominato nel 1872.4
La ragione per la quale l’Imperatore d’Austria volle attribuire all’arciduca
Francesco Ferdinando Geminiano la prestigiosa distinzione che abbiamo ricordato va certamente individuata nell’intento di gratificare un prossimo congiunto e di onorare uno Stato amico. Non si conosce peraltro, almeno allo stato, il
motivo preciso per il quale per il colonnellato da conferire fu scelto proprio
un reggimento ungherese, e il 32° in particolare. Si può comunque ragionevolmente supporre che a tale determinazione si sia pervenuti in relazione al
forte radicamento che la Casa austro-estense aveva in Ungheria, alla quale la
famiglia aveva dato un Primate (Carlo Ambrogio d’Austria-Este, arcivescovo di
Esztergom dal 1808 al 1809), e dove gli Austro-Estensi erano titolari di vaste
signorie territoriali. Inoltre nei primi anni ’30 dell’Ottocento le sorti del 32°
reggimento, che aveva allora quale colonnello proprietario il principe Nikolaus
Esterházy, si erano venute ripetutamente ad intrecciare con quelle del Ducato di
Modena. Nei mesi immediatamente successivi alla rivoluzione del 1831, infatti,
un battaglione del 32° fu inviato di presidio nella Capitale ducale, da dove partì il
14 luglio lasciando un favorevole ricordo per “la buona armonia, e la concordia
che hanno regnato fra le Truppe Estensi, e le […] Austriache”, come si legge
nell’ordine del giorno di saluto del Supremo Comando Militare modenese.5 Nel
febbraio del 1832 troviamo poi il 3° battaglione dell’Esterházy accantonato a
Reggio,6 mentre nel 1834 il reggimento era di nuovo di guarnigione a Modena.
In ogni caso, quale che sia stata la specifica motivazione che portò alla scelta
del 32° per l’allora quindicenne principe ereditario, la nomina di quest’ultimo
ad Inhaber fu accolta a Modena con notevole soddisfazione, dando fra l’altro
occasione alla pubblicazione di un sonetto da parte del giurista e letterato prof.
Giuseppe Lugli,7 che appare per la verità di non eccelso pregio poetico ma che
comunque si riporta in nota.8
4
Cfr. A. v. Wrede: Geschichte der K. u. K. Wehrmacht, vol. I, Wien, 1898: 346–347.
O.d.g. del Supremo Comando Generale (d’ora in poi S.C.G.) del 14 luglio 1831 conservato
presso l’Archivio di Stato di Modena (d’ora in poi ASMo), Archivio Militare Austro-Estense,
OO.dd.gg. del S.C.G. dal 13 luglio 1831 al 1° gennaio 1833.
6
Cfr. i buoni per boccali di vino “da somministrarsi dal provveditore della Caserma di San Francesco” di Reggio rilasciati alle varie compagnie del battaglione il 12 febbraio 1832 e conservati
in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.106 (1832/12).
7
Per un breve profilo biografico del Lugli (Modena 1787, ivi 1856) si veda G. Silingardi & A.
Barbieri: Enciclopedia Modenese, vol. 11, San Pietro in Cariano, 1977: 64–65, nonché T. De Volo,
op.cit.: T. IV, pp. 240–244.
8
Poi che l’Austriaco Sire i tuoi verdi anni,/ O Prence, ornò di bellicosi lauri,/ Onde la Fama un
dì gl’impigri vanni,/ Forte del nome tuo stenda e ristauri;// Luce perenne il fausto evento inauri,/
5
504
Alberto Menziani
L’arciduca Francesco rimase sempre assai legato al suo reggimento ungherese, che negli anni tra il 1834 e il 1858 rimase tra l’altro quasi sempre di guarnigione in Italia, partecipando anche, con due battaglioni, alla grande manovra
congiunta austro-estense-parmigiana tenutasi dal 25 al 27 settembre 1843 nelle
vicinanze della fortezza modenese di Brescello.9
Al 32° Fanteria talora si ricorse per migliorare la preparazione delle truppe
ducali, come ad esempio nel 1846, quando il sergente Pfiffer e il caporale Illeszy
furono fatti venire a Modena “per l’istruzione ginnastica” dei “sott’ufficiali e
soldati del R. Battaglione di Linea”, ricevendo alla fine una generosa gratifica
per i servizi prestati.10 Viceversa nel 1845 fu inviato presso il reggimento a fare
esperienza e a completare la propria formazione militare il diciottenne caporale
cadetto di Linea estense conte Luigi Pongileoni di Correggio, già allievo del
Collegio Militare di San Luca a Milano, buon conoscitore della lingua tedesca
e “giovane […] d’ottima condotta di buon indole e di capacità come pure di
bella presenza e sufficientemente robusta complessione”.11 Il Pongileoni arrivò
a Verona il 3 maggio 1845, prendendo servizio nel 32° “col distintivo di Caporale
Cadetto di Reggimento inobbligato”.12 Il nuovo arrivato, presto promosso al
grado di sergente cadetto, corrispose pienamente alle aspettative, tanto che
nell’autunno del 1846 il comandante colonnello Castelliz si esprimeva a suo
riguardo nei termini più lusinghieri. Il Castelliz ne evidenziava in particolare
gli “ulteriori notevoli progressi fatti nell’istruzione” nonché “la morale esem-
Luce che rompa i moltiformi inganni/ Dell’empia frode, che d’Europa ai danni/ Dai lidi infuria
dell’Ircania ai Mauri.// Del tuo gran Genitor l’orma ti addestre:/ A lui davanti riverenti e mute/
Lamagna e Italia si fidar le destre.// Senta l’Abisso ogni sua rabbia doma,/ Veggia la Fede per la tua
virtute/ Fermo lor dritto a’ Regi, il Trono a Roma (riportato in T. De Volo: op.cit., T.I, p. 62 nota 1).
9
Sulla manovra vedasi Prospetto degli esercizj militari delle RR. Truppe Estensi e Parmigiane in
unione di un Corpo delle II. RR. Truppe Austriache nel Settembre 1843, Modena, s.d. (ma 1843),
nonché M. Zannoni: L’Esercito del Ducato di Parma e Piacenza Le truppe di Maria Luigia 1814–
1847, Parma, 2012: 107–109. Per la fortezza ottocentesca di Brescello cfr. A. Menziani: L’esercito
del Ducato di Modena dal 1848 al 1859, Roma, 2005: 158–161.
10
Cfr. la minuta della lettera del S.C.G. al comando del Battaglione di Linea e all’Economato
Militare datata 9 marzo 1846 e conservata in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G.,
f.296 (1846/2). Per l’attività svolta i due militari ricevettero una gratifica complessiva di 15 pezzi
d’oro da 20 franchi.
11
Elenco di ossequiose proposte a Sua Altezza Reale, datato Modena 27 marzo 1845 e conservato
in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.285 (1845/1).
12
Elenco di […] informazioni e domande all’arciduca Francesco d’Austria-Este, allora generale
comandante delle truppe estensi, datato Modena 8 maggio 1845 e cons. Ibid.
Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria
505
plare condotta”, raccomandandolo senz’altro per la promozione ad ufficiale.13
Francesco V dispose quindi che venissero avviate le pratiche per ottenere sollecitamente il congedo del Pongileoni dal servizio imperiale, riammettendolo poi
nelle truppe ducali e nominandolo in effetti nel novembre del 1846 sottotenente
banderale nel Battaglione di Linea.14 Tuttavia il correggese non si mostrò troppo
grato per le opportunità che gli erano state offerte, perché dopo la rivoluzione
del 1848 entrò nelle truppe del governo provvisorio modenese e in seguito
nell’Armata Sarda, dove percorse una carriera non particolarmente brillante,
conclusa col grado di colonnello.15
La rivoluzione del 1848 coinvolse in pieno il 32° Fanteria, il cui 1° e 2° battaglione si trovavano di guarnigione negli Stati di Modena e di Parma.16 La
partenza dei sovrani (Francesco V lasciò la sua capitale il 21 marzo) e la dissoluzione dei loro governi mise in forte difficoltà le truppe ungheresi di stanza
nei Ducati, che furono costrette a una complicata ritirata su Mantova. In seguito il reggimento continuò disciplinatamente a battersi sotto gli ordini del
feldmaresciallo Radetzky, nonostante i fermenti indipendentisti che agitavano
l’Ungheria17 ed il fatto che il 3° battaglione del 32°, colà stanziato, fosse passato
sotto il controllo del governo magiaro.18 Lo spirito combattivo di ufficiali e
soldati non doveva tuttavia essere troppo alto, almeno a giudicare da quanto
avvenne a Governolo il 24 aprile 1848. Qui una colonna austriaca agli ordini
del comandante del reggimento, colonnello Castelliz, il cui nerbo era costituito
da sei compagnie del 32°, fu respinta e volta in fuga da un corpo di inesperti
volontari modenesi, reggiani e mantovani guidati da un ex ufficiale estense, il
maggiore Lodovico Fontana.19
13
Elenco di ossequiose informazioni e domande a Sua Altezza Reale datato Modena 6 novembre
1846 e conservato in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.295 (1846/1).
14
Cfr. il decreto sovrano in data 20 novembre 1846 a margine dell’Elenco in pari data conservato
ibid. Nel decreto il Duca ordinava anche di ringraziare il comandante del 32° “delle premure che
ebbe in questi ultimi 2 anni per l’istruzione del Cadetto Pongileoni che ebbe sì buon successo”.
15
Sul Pongileoni vedasi G. Fontanesi: Un correggese protagonista del Risorgimento: il conte Luigi
Pongileoni, in Correggio produce, 2017: 121–126. II Pongileoni era stato addetto al 32° Fanteria
anche durante la sua permanenza nel collegio militare di Milano.
16
Cfr. A. Troubetzkoi : Campagnes du Feldmaréchal Comte Radetzky, Paris, 1854 : tav. I.
17
Sulle truppe ungheresi dell’esercito del feldmaresciallo Radetzky nel 1848 vedasi A. Sked:
Radetzky e le armate imperiali L’impero d’Austria e l’esercito asburgico nella rivoluzione del 1848,
Bologna, 1983: 139–148.
18
Cfr. M. Zoppi: La spada di Radetzky. Le Armate Imperiali dalla Restaurazione alla rivoluzione
1836–1849, Bassano del Grappa, 2011: 150.
19
Cfr. G. Fontanesi: I volontari correggesi alla battaglia di Governolo 24 aprile 1848, in La ricerca
storica locale a Correggio 5ª Giornata di studi storici, Correggio, 2008: 119–150.
506
Alberto Menziani
Terminata la guerra del 1848–1849 e ristabilita la situazione, Francesco V diede nuovo impulso alla pratica di inviare i più promettenti tra i giovani militari
estensi a trascorrere periodi di formazione presso reparti austriaci, in modo da
far loro acquisire “quelle cognizioni e quella pratica che solo una grande […]
armata può dare”.20 Tra i reggimenti prescelti per tali stages vi fu naturalmente
anche il 32° Fanteria, presso il quale nell’estate del 1855 fu inviato il sottotenente
di Linea Mamoli, che fu poi richiamato a Modena un paio d’anni dopo.21
Il 32° Herzog von Modena fu impiegato anche nel conflitto del 1859, sotto gli
ordini del suo comandante effettivo, colonnello conte Victor zu Alt-Leiningen. Il
reggimento si batté con onore prima a Magenta (4 giugno 1859) e poi a Solferino
(24 giugno), dove si distinse particolarmente il battaglione Granatieri.
Pochi giorni dopo quest’ultima battaglia, ossia il 28 giugno 1859, Francesco
V, che si trovava presso il Quartier Generale austriaco, si recò a visitare i suoi
Ungheresi, trovandoli “in buono stato, benché bivaccasse[ro] da due mesi ed
allora […] senza paglia, e quindi non comodamente, nei ghiajosi campi veronesi;
e di nuovo mi persuasi quanto il morale può sul fisico. L’Ungarese”, proseguiva
con compiaciuto orgoglio il Duca-Inhaber, “è vivo, coraggioso e guerriero, e
trovai che detto reggimento spiccava sugli altri e non gli si vedeva in cera la
battaglia perduta, come, bisogna pur dirlo, si vedeva in gran parte delle altre
truppe. Anch’esso aveva preso però parte ben onorevole all’azione, in cui aveva
perduto sei o sette uffiziali e, se ben mi ricordo, 270 uomini morti e feriti”.22
Nella guerra del 1866 il 32° Fanteria, comandato del colonnello Joseph Kopal, non fu invece impegnato sul fronte italiano, ma sul teatro principale delle
operazioni, e cioè in Boemia. Il reggimento combatté duramente a Skalitz, a
Sadowa e, nel corso della successiva ritirata, a Dub,23 subendo forti perdite,
che ne dimezzarono la forza originaria. In particolare a Sadowa il 32° perse
1.400 uomini tra morti, feriti e dispersi, in massima parte appartenenti al 1°
battaglione, rimasto dopo la battaglia con non più di 150 soldati ed un solo
ufficiale.24
20
Comunicazione di Francesco V al S.C.G. datata Modena 29 giugno 1855 e conservata in ASMo,
Archivio Militare Austro-Estense, Atti S.C.G., f.421 (1855/2).
21
Cfr. A. Menziani, op.cit.: 288, dove sono ricordati anche altri ufficiali inviati presso differenti
reggimenti. Anche altri piccoli Stati italiani, come il Ducato di Parma, mandavano personale
all’estero, per ampliarne le cognizioni e fare esperienza.
22
F. V d’Austria-Este: Memorie di quanto disposi, vidi ed udii dall’11 giugno al 12 luglio 1859,
Modena, 1981: 103.
23
Cfr. A. v. Wrede, op.cit.: vol. I, p. 350.
24
Cfr. T. De Volo, op.cit.: T. III, p. 313.
Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria
507
In queste difficili circostanze Francesco V, ormai da tempo in esilio, fece il
possibile per aiutare i suoi Ungheresi, nei confronti dei quali, come ricorda il
De Volo, fu “Largo […] di assistenza munifica”.25
Dopo la morte del Duca di Modena nel 187526 la carica di Inhaber del 32°
rimase vacante per diversi anni, finché nel 1888 il governo austriaco decise –
come per altri reggimenti – di intitolare definitivamente il reparto alla Kaiserin
und Königin Maria Theresia; e con questa denominazione il 32° Fanteria combatté nella I Guerra Mondiale, che segnò come noto la fine del vecchio Impero
e delle sue istituzioni militari.
Parimenti proprietario di un reggimento a reclutamento ungherese, ma di
cavalleria, fu sin dal 1793 l’arciduca Ferdinando Carlo d’Austria-Este, nato a
Milano nel 1781, fratello del Duca Francesco IV di Modena e quindi zio di
Francesco V. Si trattava del 3° Ussari, denominato appunto Erzherzog Ferdinand
Carl d’Este, che nel 1819 era sotto il comando effettivo del colonnello Giuseppe
Gosztonyi di Gosztony e Köves-Szarv. Tra i Cadeten del reggimento, che aveva
il deposito a Troppau in Slesia, figura all’epoca significativamente un suddito
estense, e cioè il conte Alfonso Mallaguzzy (Malaguzzi) di Reggio.27
Negli anni Quaranta troviamo poi nei ranghi del Ferdinand Carl un altro
esponente della famiglia Malaguzzi, e cioè il conte Francesco, che nel 1847 era
tenente colonnello del reggimento.28
25
Ibid.: 312.
A meglio illuminare i rapporti tra l’arciduca Francesco Ferdinando Geminiano e il reggimento
ungherese di cui era proprietario potranno sicuramente valere vari documenti che risultano
conservati presso l’Archivio di Stato di Modena, ma che non sono purtroppo al momento
consultabili in quanto non materialmente reperiti. Si tratta di Rapporti n.34 del Comando del
Reggimento […] di fanteria austriaco n.32 diretti a Francesco V Proprietario del reggimento stesso.
E diverse altre carte, il tutto in lingua Toscana, inventariati nel fondo “Segreteria di Gabinetto”
dell’Archivio Austro-Estense (cassetta 657 – nr. 61). Inoltre in appendice all’Archivio Militare
Austro-Estense sono inventariati ruoli e situazioni degli ufficiali del 32° Fanteria per l’anno 1860
(Inventario di documenti di natura militare pervenuti da Vienna e rinvenuti fra le carte dell’Archivio
della R. Brigata Estense, nr. 6).
27
Cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthums, Wien, 1819: 304–305. Zweyter
Inhaber del reggimento era il conte Adamo Alberto di Neipperg, destinato di lì a poco a divenire,
come noto, il secondo marito della Duchessa Maria Luigia di Parma.
28
Cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthumes, Wien, 1847: 328. Sul conte Francesco Malaguzzi, entrato in giovane età nell’esercito austriaco ed incaricato da Francesco V nel
1850–1851 di negoziare a Vienna e presso le Corti della Penisola il progetto ducale di Lega fra
gli Stati conservatori italiani, cfr. T. De Volo, op.cit.: T. I, pp. 417–418 e p. 417 nota 1.
26
508
Alberto Menziani
In occasione degli sconvolgimenti del 1848–1849 il 3° Ussari, che non era
dislocato in Italia, passò integralmente al governo ungherese.29
Dopo la morte dell’arciduca Ferdinando Carlo, avvenuta nel 1850, la carica
di Inhaber del 3° fu conferita ad un esponente della famiglia reale bavarese e il
reggimento prese la nuova denominazione di Prinz Carl von Bayern.
I rapporti dell’arciduca con l’Ungheria andarono peraltro ben oltre quelli
connessi alla semplice titolarità della carica di colonnello proprietario di un
reggimento di cavalleria magiaro.
Nel 1816 Ferdinando Carlo d’Austria-Este, che sin dalla giovinezza era entrato nell’esercito austriaco arrivando poi a conseguire nel 1836 il grado di feldmaresciallo, fu infatti nominato Comandante Generale del Regno d’Ungheria,
“ove” – come si legge nell’orazione funebre dedicatagli da Cesare Galvani- “le
complicate e non sempre agevoli relazioni fra la Corona e il Paese richiedevano
avvedutezza di prudenza, fermezza di carattere, e sagace perspicacia nel ben
calcolare le circostanze del luogo”.30 Secondo il Galvani l’arciduca svolse con
generale soddisfazione il suo delicato compito, riuscendo a “condurre a felicissima risoluzione tutti gli avvenimenti i quali ne’sedici anni in cui durava in
quell’incarico si succedettero”.31 In Ungheria Ferdinando Carlo godeva del resto
di un notevole prestigio personale, ed era inoltre in grado di relazionarsi nel
modo più diretto con i subordinati, le autorità civili e la popolazione in quanto
parlava correntemente la lingua magiara.
In seguito il governo di Vienna incaricò l’arciduca di altre difficili incombenze, affidandogli fra l’altro per qualche anno la carica di Commissario Imperiale
nell’irrequieta Transilvania. “Confessava FERDINANDO esser stata quella la
più ardua e penosa delle sostenute missioni, eppure colla prudente e forte direzion delle cose, senza accorrere ad estreme misure […] ottenne di mantener
l’ordine in quelle altere Provincie, e di troncarvi le rivoltose macchinazioni”.32
I profondi legami di Ferdinando Carlo d’Austria-Este con l’Ungheria sono
richiamati anche dalla bella statua a lui dedicata che si può tuttora ammirare
a Modena nel vestibolo della cappella funeraria estense in San Vincenzo. Nella scultura, opera del modenese Giovanni Cappelli ed inaugurata nel 1855, il
29
Cfr. M. Zoppi, op.cit.: 153.
C. Galvani: Orazione funebre alla memoria dell’Altezza Reale di Ferdinando Carlo Giuseppe
d’Austria-Este, Modena, 1850: 11.
31
Idem.
32
C. Galvani, op.cit.: 12.
30
Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria
509
defunto, fregiato dei distintivi di feldmaresciallo, è infatti raffigurato proprio
nell’“attillata divisa ungherese”.33
Con le terre ungheresi ebbe a che fare dal punto di vista militare anche un
terzo Austria-Este, e cioè l’arciduca Massimiliano Giuseppe, nato a Milano nel
1782 e pure lui zio del Duca Francesco V.
Nel corso della guerra del 1809, infatti, al giovane Massimiliano fu affidato
il non agevole compito di organizzare l’insurrectio, cioè la leva in massa, in
Transilvania, “paese” tra l’altro “non troppo colto a quei giorni”.34 Quivi “vi
volle l’acuto ingegno dell’Arciduca e la sua forza di volontà per poter vincere
le molte difficoltà che si attraversavano all’esecuzione degli ordini avuti”.35 La
firma della pace di Schönbrunn pose comunque fine a tale missione.
Massimiliano d’Austria-Este, che occupa un posto di rilievo nella storia militare del XIX secolo per i suoi studi e le sue realizzazioni nel campo dell’artiglieria e delle fortificazioni,36 rivestì anche, a partire dal 1855, la carica di colonnello
proprietario del 10° Feld-Artillerie-Regiment, formato nel 1854. E proprio al 10°
reggimento, e più precisamente alla decima batteria rigata da 6, fu assegnato,
dopo lo scioglimento della Brigata Estense nel settembre del 1863,37 il sottotenente in 2ª Adamo Donadelli, che da Pest scriveva il 15 dicembre 1863 all’ultimo
comandante delle truppe ducali, Agostino Saccozzi, manifestando il desiderio
“di riscattare” “anche a prezzo della vita” la piccola patria modenese, ormai
inglobata nel Regno d’Italia, “a Colui che fu ed è l’ottimo mio Generale”.38
All’epoca peraltro la titolarità del 10º reggimento era vacante, in quanto
l’arciduca Massimiliano era morto il 1° giugno del 1863.
Va a questo punto ricordato che i sovrani austro-estensi presero anche al loro
servizio alcuni militari magiari provenienti dall’armata austriaca.
33
T. De Volo, op.cit.: T. II, p. 164. La statua, originariamente collocata nella chiesa della Cittadella
di Modena, fu trasportata in San Vincenzo dopo l’Unità.
34
Cenni biografici di S.A.R. Massimiliano Giuseppe d’Austria-Este, Verona, 1863: 15.
35
Ibid.
36
Cfr. G. Perbellini & L. V. Bozzetto: Verona La piazzaforte ottocentesca nella cultura europea,
Verona, 1990: 142–147.
37
Per la Brigata Estense vedasi il Giornale della Reale Ducale Brigata Estense, Modena 1977 e
2013 (ristampe anastatiche dell’edizione del 1866).
38
La lettera è conservata presso la Biblioteca Estense di Modena (d’ora in poi BEMo), Raccolta
Saccozzi, cassetta 69 B).
510
Alberto Menziani
Uno di essi fu ad esempio Nicola Romay, nato a Maria Theresienopol (Szabadka), nel Comitato Bács e’ Bodróg,39 e già sergente del reggimento ungherese
Erzherzog Franz Carl nr.52, il quale nel 1836 entrò appunto nell’esercito ducale
quale sottotenente banderale ed aiutante della Piazza di Reggio. Promosso poi
tenente, nel luglio del 1846 il Romay passò col suo grado nel Battaglione di
Linea, divenendo in seguito capitano, finché nel 1855 fu collocato nella classe
dei pensionati e contestualmente passato a dirigere la casa di forza della Saliceta.40 Dopo lo scioglimento della Brigata Estense nel settembre 1863, il capitano
in disponibilità Nicola Romay risulta definitivamente ammesso nello stato de’
pensionati dell’I.R. Armata, dopo avere scelto Padova come luogo di dimora.41
Un altro caso, assai interessante, è quello di Giovanni Massimiliano Pisztory,
nato nel 1777 da Giovanni e Teresa Martinevich, entrambi di Pest.42
Il Pisztory, che aveva abbracciato la carriera militare nell’esercito austriaco,
nei primissimi anni Trenta dell’Ottocento era tenente colonnello del più volte
citato 32° Fanteria, che in quell’epoca, come si è visto, fu ripetutamente di stanza
nel Ducato di Modena. Nel 1832 i figli dell’ufficiale, Stefano e Lodovico, furono
ammessi nel prestigioso collegio modenese di San Carlo,43 e poco tempo dopo,
e cioè il 23 aprile 1833, ottenute da Vienna le necessarie autorizzazioni il Duca
Francesco IV accolse nelle sue truppe, a far tempo dal 1° maggio, Giovanni
Massimiliano Pisztory, promuovendolo colonnello e destinandolo al comando
della Piazza di Modena.44
Non è dato sapere il motivo preciso per il quale l’Estense mise gli occhi
proprio sul Pisztory, ma si può ragionevolmente ritenere che nei difficili anni
39
Cfr. la lettera del Real Militare Comando Superiore d’Armi della Città e Provincia di Reggio al
Supremo Comando Generale datata 6 giugno 1846, in ASMo, Archivio Militare Austro-Estense,
Atti S.C.G., f.296 (1846/2). Con tale lettera venivano trasmessi i ringraziamenti del Romay per la
sovvenzione di Lit.300 concessagli dal Duca per fare fronte alle spese del viaggio fino alla sua
città natale, che il militare intendeva intraprendere insieme alla moglie fiumana profittando di
un permesso di due mesi.
40
Cfr. il chirografo ducale datato Modena 13 febbraio 1855 in ASMo, R. Segreteria di Gabinetto,
Chirografi Sovrani, f.357 del 1855.
41
Cfr. Giornale, cit.: 342–343.
42
Cfr. G. C. Montanari: Italiani d’Ungheria La Nobile famiglia de Pisztory tra Modena e
Castelvetro, Modena, 2012: 15.
43
Nel collegio di San Carlo è tuttora conservato un bel ritratto di Stefano Árpád Pisztory.
Giovanni Massimiliano aveva sposato Giuseppina Schuirer (cfr. ibid.: 18).
44
Cfr. l’O.d.g. del Supremo Comando Generale del 24 aprile 1833, in ASMo, Archivio Militare
Austro-Estense, OO.dd.gg. del S.C.G. dal 1° gennaio 1833 al 30 giugno 1834.
Le relazioni di carattere militare tra la Casa d’Austria-Este e l’Ungheria
511
successivi alla rivoluzione del 1831 il sovrano cercasse, per un posto delicato
come il comando di Piazza della sua capitale, un uomo esperto, professionalmente preparato e senza legami con l’ambiente modenese. E il Pisztory, allora
cinquantaseienne, ufficiale superiore di uno dei principali eserciti dell’epoca,
ungherese di nascita, certamente possedeva tutte le qualità desiderate.45
Il colonnello Pizstory non deluse evidentemente le aspettative ducali, perché fu mantenuto al comando della Piazza di Modena fino al 1846, quando,
ormai quasi settantenne, fu passato a pensione, venendo poi a morte, sempre a
Modena, diversi anni dopo, e cioè il 23 gennaio 1859.
La famiglia si era nel frattempo radicata nel Modenese, dove si estinse intorno
alla metà del secolo scorso.46
Accanto ai militari magiari passati nelle truppe estensi, nel XIX secolo vi fu
anche un certo numero di militari provenienti dallo Stato di Modena che, all’opposto, entrarono in reggimenti dell’esercito austriaco di reclutamento ungherese o comunque di guarnigione in Ungheria, anche a seguito dello scioglimento
della Brigata Estense nel settembre 1863, che vide il passaggio nell’armata o
alla pensione imperiale di pressoché tutti gli ufficiali nonché di un migliaio di
soldati della Brigata stessa.47
Oltre ai conti Alfonso e Francesco Malaguzzi nonché al sottotenente Adamo
Donadelli, di cui già si è parlato, possiamo ad esempio ricordare il caso del
sottotenente in 1ª conte Giuseppe Giacobazzi, già addetto allo Stato Maggiore
Estense, che appunto sul finire del 1863 fu ammesso con lo stesso grado in un
reggimento di Ussari.48
Una lettera indirizzata dal Lieutnant Giacobazzi al generale Saccozzi, datata
Wessely (Veselì) 13 novembre 1863, fornisce un’interessante testimonianza sui
primi giorni di servizio dell’ufficiale nell’esercito austriaco.
“Partito da Bassano il giorno 29 [ottobre]”, si legge nella missiva, “fui a Vienna nel 31 e quivi mi trattenni per quattro giorni onde equipaggiarmi. A Vien45
Cfr. G. C. Montanari, op.cit.: p.15.
Cfr. G. C. Montanari, op.cit. Stefano Pisztory (1822–1895), che aveva sposato nel 1856 la
marchesina Maria Teresa Montecuccoli degli Erri, dopo la caduta del Ducato si allontanò per
diversi anni da Modena per i suoi orientamenti legittimisti. Nel 1864 lo troviamo tra i beneficiari
di un sussidio di 1000 fiorini erogato da Francesco V a numerosi individui a lui rimasti fedeli;
al Pisztory ne toccarono 100 (cfr. lo Stato dei sussidj accordati ad Ufficiali pensionati e Truppa
coi fiorini 1000 in Banconote concessi a tale effetto dalla beneficenza Sovrana, in BEMo, Raccolta
Saccozzi, cassetta 73 A).
47
Cfr. Giornale, cit.: 346.
48
Cfr. Giornale, cit.: 334–335.
46
512
Alberto Menziani
na vidi il Capitano Pellegrini del Reggimento Grueber che veniva da Verona
ed andava al Deposito del Reggimento in Ollmütz. Dal giorno 5 mi ritrovo a
Wesselÿ, piccola città della Moravia distante […] tre ore di ferrovia da Vienna
[…] Lunedì incomincia l’Equitazione di Reggimento e io sono occupato tutto il
giorno per le istruzioni, e la sera studierò da me in casa poiché debbo imparare
l’ungherese. Sono già vestito in uniforme ungherese e con domani ho terminato
le visite di presentazione agli Ufficiali del Reggimento […] Io sono presso il
5° Squadrone che si trova di stazione in Gödny, ma per tutto l’inverno sono
distaccato a Wessely presso l’Equitazione”.49
Giuseppe Giacobazzi dovette comunque ambientarsi bene nel nuovo ambiente, perché già nel 1864 risulta Oberlieutenant (tenente) del 12° Ussari Graf
Franz Haller, con la qualifica di Aiutante del Reggimento. All’epoca militava
peraltro nel 12° anche un altro Giacobazzi, e cioè il conte Antonio, col grado di
Rittmeister (capitano) di seconda classe.50
49
La lettera è conservata in BEMo, Raccolta Saccozzi, cassetta 69 B).
Cfr. Militär-Schematismus des österreichischen Kaiserthumes, Wien, 1864: 401–402. Nel 1859 il
conte Antonio Giacobazzi era tenente, sempre del 12° Ussari: cfr. F. V d’Austria-Este, op.cit.: 102.
50
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna
e l’Ungheria. Alcuni spunti di ricerca
Riccardo Pallotti
Archivio di Stato di Modena
riccardo.pallotti@beniculturali.it
Abstract
The essay focuses on relations of the Este House with the Imperial Court of Vienna
and Hungary since the end of 18th century until the fall of Napoleon. Relationships
between Modena and the Habsburg monarchy had already been established in the first
half of 18th century, as duke Rinaldo I of Este had been enfeoffed with the Hungarian
domains of Arad and Jenő in Transilvania (1725). The political relations between the
Este House and the Habsburg empire were strengthened with the marriage of Maria
Beatrice of Este, heiress of the Duchy of Modena and Reggio, with archduke Ferdinand
of Habsburg-Lorraine, cadet son of empress Maria Theresa of Austria. Celebrated in
Milan in 1771, this marriage created the House of Habsburg-Este, a cadet branch of the
Imperial House of Austria who definitely settled in Vienna after the loss of Modena
(1859). The birth of the Habsburg-Este dynasty in 1771 led to long time ties with the
Austrian empire, then with the Austro-Hungarian monarchy, who inherited honours
and estates of the Este House in the 20th century. As Napoleon invaded Northern
Italy in 1796, Maria Beatrice and Ferdinand fled Milan and moved to Austria with their
sons. They settled in Vienna, where Maria Beatrice and Ferdinand bought as a city
palace as a garden palace. Carlo Ambrogio of Austria Este, bishop of Vác celebrated
the marriage between her sister and emperor Francis, despite his young age, he was
elected archbishop of Esztergom and Primate of Hungary. As archbishop Primate of
the Hungarian church, Carlo Ambrogio of Austria-Este crowned Maria Ludovica as
queen of Hungary in the St. Martin’s cathedral of Pressburg on 7 September 1808.
L’avvento della dinastia austro-estense, sancito dalle nozze milanesi del 1771
tra Maria Beatrice d’Este, nipote del duca di Modena Francesco III, e l’arciduca
Ferdinando d’Asburgo-Lorena, figlio cadetto dell’imperatrice Maria Teresa, segnò una nuova, importante, fase nei plurisecolari rapporti tra la Casa d’Este e il
514
Riccardo Pallotti
regno ungherese. La nuova alleanza politico-dinastica con la Casa d’Austria e il
trasferimento alla corte di Vienna nei travagliati anni delle guerre napoleoniche
portò Maria Beatrice d’Este (1750–1829) e la sua famiglia a rinsaldare gli antichi
legami del casato estense con l’Ungheria, soggetta alla sovranità asburgica.
Fortemente volute da Maria Teresa d’Austria, imperatrice del Sacro Romano
Impero e regina di Ungheria, le nozze dell’ottobre 1771 fecero del casato estense, ormai prossimo ad estinguersi nella linea maschile, un ramo cadetto della
Casa imperiale d’Austria. La nascita della linea dinastica austro-estense sancì
il definitivo passaggio del Ducato di Modena nell’orbita politica austriaca ma
stabilì anche un legame famigliare, diretto, con la Casa imperiale che culminò,
soprattutto grazie a Maria Beatrice, con il radicamento patrimoniale e sociale
degli Estensi a Vienna e nei territori della monarchia danubiana. Pertanto,
l’unione dinastica con gli Asburgo, il trasferimento nella capitale austriaca così
come le nozze dei figli di Maria Beatrice proiettarono l’antico casato estense
ai più alti livelli dell’aristocrazia europea, ampliandone notevolmente in senso
internazionale gli orizzonti famigliari e sociali.1 Nel corso dell’Ottocento, in
quanto arciduchi d’Austria e principi di Ungheria e Boemia, gli eredi della
Casa ducale di Modena divennero parte integrante dell’aristocrazia mitteleuropea e del mondo cosmopolita della società di corte viennese. Il legame con
i circoli dell’aristocrazia internazionale andò rafforzandosi grazie anche alle
unioni matrimoniali con la Casa reale di Baviera. In seguito, il trasferimento a
Vienna di Francesco V e della moglie Adelgonda di Wittelsbach dopo la perdita
del Ducato di Modena legò ancor più da vicino il casato austro-estense alla
corte di Vienna e alla terre della Monarchia. Tale processo culminò alla morte
dell’ultimo duca (1875), con il passaggio dei titoli e del patrimonio estense
direttamente ai membri della Casa imperiale austro-lorenese.
Se la grande svolta in senso filo-asburgico ebbe luogo sotto Maria Teresa
d’Austria, va però ricordato che già suo padre, l’imperatore Carlo VI, aveva
avviato significative relazioni con il casato estense, concedendo a Rinaldo I
d’Este, nel 1725, i feudi di Arad e Jenő, in Transilvania. Durante la guerra
di successione spagnola gli Estensi avevano fornito appoggio alle truppe au-
1
Oltre che con gli Asburgo, gli Estensi si imparentarono strettamente con la Casa reale di
Baviera. Alle nozze di Maria Leopoldina con l’Elettore bavarese seguirono, infatti, nel corso
dell’Ottocento, il matrimonio di Francesco V d’Austria-Este con Adelgonda di Wittelsbach e le
nozze di Maria Teresa Enrichetta con il futuro re di Baviera Luigi III. Vanno poi ricordate le
unioni matrimoniali delle due sorelle di Francesco V rispettivamente con il conte di Chambord,
erede legittimista di Francia, e il pretende carlista al trono di Spagna.
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria
515
striache di Eugenio di Savoia, cedendo loro l’importante fortezza di Brescello.
Come è noto, però, la fortezza sul Po era andata distrutta e i Francesi avevano
occupato Modena fino al 1707. Il sostegno ricevuto dal duca Rinaldo nella guerra
contro i Francesi e i danni subiti in tale frangente dal casato estense, che aveva
inoltre visto sfumare il recupero di Comacchio, indussero l’imperatore Carlo VI
ad indennizzare il duca Rinaldo con alcuni feudi imperiali. La scelta cadde sui
territori transilvani di Arad e Jenő, all’estremità orientale dei domini asburgici,
in aree di recente riconquista e che per secoli erano state teatro dello scontro
con l’impero ottomano. Solo i recenti successi del principe Eugenio avevano
liberato queste terre dagli Ottomani, cedute agli Asburgo con la pace di Passarowitz. Alle guerre contro i Turchi, lo ricordiamo, prese parte lo stesso Francesco,
figlio di Rinaldo I, il futuro duca Francesco III. L’investitura rilasciata da Carlo
VI nel novembre 1726 concedeva al duca Rinaldo il territorio di Arad, senza
però la città, munita da imponenti fortificazioni; spettava invece all’Estense
l’intero territorio di Jenő, l’odierna Borosjenő/Ineu, nei pressi della stessa Arad.
Il duca d’Este ottenne anche l’indigenato d’Ungheria, entrano così nel novero
delle grandi famiglie aristocratiche di quel regno. Le carte dell’Archivio di Stato
di Modena ben documentano l’amministrazione di questi feudi transilvani, che
vennero riconfermati anche all’erede di Rinaldo, Francesco III d’Este, duca dal
1737.2 Significativo è il fatto che Francesco alla morte del padre si trovasse
proprio in Ungheria, al seguito dell’armata imperiale impegnata nell’eterno
conflitto con gli Ottomani. Le fonti dell’Archivio estense attestano almeno fino
al 1777.
Differenti furono le posizioni iniziali di Francesco III nei confronti dell’Austria all’inizio del suo regno. Egli infatti sostenne i Francesi durante la guerra
di successione austriaca, ma i successi austro-piemontesi lo travolsero, costringendolo alla fuga da Modena. Maria Teresa d’Austria, uscita vincitrice dal conflitto, non tardò a manifestare le proprie mire verso i ducati padani, data la loro
importante ubicazione strategica e il loro peso diplomatico nell’eterno scontro
tra Asburgo e Borboni. Le lunghe guerre di successione avevano messo a dura
prova la sopravvivenza stesso del Ducato estense; gli enormi debiti contratti,
2
L’Archivio di Stato di Modena conserva un piccolo fondo denominato Signoria di Arad.
Questo complesso archivistico contiene le carte di amministrazione dei feudi di Arad e Jenő
ed è costituito da bb. 4 e reg. 1 riferiti agli anni 1741–1777.
Riferimenti ai domini ungheresi degli Estensi sono presenti in: T. M. Osio, Il testamento del
vescovo Giuliano Sabbatini (1757): inventario dei beni, lasciti, contestazioni sull’eredità, in “Atti
e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Antiche Provincie Modenesi”, s. XI, XLIII
(2021), pp. 121–152.
516
Riccardo Pallotti
la debolezza politica e la condizione di vassallaggio verso il Sacro Romano
Impero indussero Francesco III ad accettare l’alleanza offerta da Maria Teresa,
ponendo fine al tradizionale orientamento filo-francese della Casa d’Este. Il
nuovo orientamento filo-asburgico del Ducato estense venne formalizzato con
il contratto nuziale del maggio 1753, che prevedeva le nozze di Maria Beatrice
d’Este, nipote di Francesco III, con uno dei figli di Maria Teresa, fra i quali in
un secondo momento venne designato l’arciduca Ferdinando.3 L’intesa con gli
Asburgo fruttò a Francesco III le cariche onorifiche di governatore generale
della Lombardia austriaca e capitano generale delle truppe austriache in Italia
(1754), oltre al feudo imperiale di Varese. Una volta raggiunta la maggiore età,
Ferdinando poté sposare Maria Beatrice a Milano il 15 ottobre 1771, dando così
vita al nuovo ramo dinastico d’Austria-Este.
Con le nozze, l’arciduca Ferdinando e Maria Beatrice subentrarono al duca
Francesco III nel governo della Lombardia austriaca. Sebbene privo di un ruolo
politico effettivo, l’arciduca raggiunse presto una forte intesa con la moglie, da
cui ebbe numerosi figli; il primogenito maschio, il futuro duca Francesco IV,
nacque a Milano nel 1779, seguito dai due fratelli Ferdinando Carlo e Massimiliano negli anni successivi (il primo nel 1781, il secondo nel 1782). Gli ultimi
figli della coppia arciducale furono Carlo Ambrogio (1785), battezzato col nome
del patrono milanese, e Maria Ludovica (1787), futura imperatrice d’Austria e
regina di Ungheria.4 Gli anni settanta e ottanta del Settecento trascorsero sereni
per la numerosa famiglia arciducale, che trascorreva gli inverni al palazzo reale
di Milano e le estati nella magnifica villa di Monza, dono dell’imperatrice Maria
Teresa.
Lo scoppio della Rivoluzione francese e l’invasione napoleonica segnarono
una drastica cesura anche nelle destini del casato austro-estense. Nel maggio
1796 Maria Beatrice e Ferdinando, fratello della regina di Francia Maria Antonietta, dovettero abbandonare per sempre la Lombardia, riparando dapprima
a Trieste. Negli stessi giorni anche suo padre Ercole III abbandonò Modena,
riparando a Venezia. Dopo alcuni mesi a Trieste, Maria Beatrice e Ferdinando
3
L. Righi Guerzoni, Il “Grande Affare” matrimoniale con la casa d’Austria (1753). Il Principe
Ercole Rinaldo d’Este alle corti di Vienna, Dresda, Monaco e alla battaglia di Praga (1757), in “Atti
e Memorie della Deputazione di Storia patria per le Antiche Provincie Modenesi”, s. XI, XXXVIII
(2016), pp. 169–182.
4
Dalla coppia arciducale nacquero anche altri figli, fra cui ricordiamo la primogenita Maria
Teresa d’Austria-Este, futura regina di Sardegna, e Maria Leopoldina, divenuta Elettrice di
Baviera a seguito delle sue nozze con Carlo Teodoro di Wittelsbach.
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria
517
nel 1798 si stabilirono alle porte di Vienna, a Wiener Neustadt, nel locale monastero cistercense. Ben presto l’arciduca si spostò a Vienna, dove dal Belvedere
inferiore poteva curare gli affari di famiglia a stretto contatto con gli ambienti
di quella corte in cui era cresciuto. Maria Beatrice invece rimase con i figli
più piccoli a Wiener Neustadt e lì visse fino al 1803. Quell’anno la famiglia
arciducale poté riunirsi a Vienna grazie all’acquisto, da parte di Ferdinando, di
una dimora signorile nel centro della capitale.
Nel 1803 l’arciduca acquistò il Palais Ulfeld, ubicato nella Minoritenplatz, a
pochi metri dalla Hofburg.5 Gli Asburgo d’Este decisero di ampliare la antica dimora e affidarono i lavori ad un giovane architetto austriaco che con la
propria famiglia aveva seguito gli arciduchi nell’esilio: era Alois Pichl, nato a
Milano nel 1782, figlio del maestro di cappella di Ferdinando e Maria Beatrice.
Rientrato in Austria con la propria famiglia, Alois Pichl, noto anche come Luigi,
si affermò come architetto della Casa d’Austria-Este, le cui residenza a Vienna
e in Ungheria furono tutte ristrutturate sotto la sua direzione. Fra gli artisti
che lavorarono per Maria Beatrice a Vienna e in Italia il nome più noto è
comunque quello di Giuseppe Pisani, scultore carrarese tra i massimi esponenti
del Neoclassicismo. Egli lavorò per gli Asburgo d’Este anche in Ungheria, dove
realizzò il celebre monumento funebre di Carlo Ambrogio d’Austria-Este nella
cattedrale di Esztergom, di cui si dirà in seguito.
Anche Alois Pichl lavorò per gli Austria-Este in terra magiara, oltre che a
Vienna.6 Fra i primi incarichi che gli vennero affidati vi fu la ristrutturazione del
castello di Sárvár, nell’Ungheria nord-occidentale, appartenuto ad alcune delle
più importanti famiglie dell’aristocrazia ungherese. Non distante da Szombathely, il castello di Sárvár era storicamente legato alla famiglia Nádasdy, che lo
aveva posseduto fino al tempo dell’esecuzione di Ferenc III, caduto in disgrazia
presso l’imperatore. Testimone anche della rivolta di Rákóczi, il castello era
poi passato ai Draskovich ed infine ai Pallavicini, casato marchionale di origine italiane da tempo insediatosi a Vienna e in Ungheria. Nel 1803 l’arciduca
Ferdinando d’Austria-Este acquistò la signoria di Sárvár, che comprendeva il
5
Sul patrimonio immobiliare degli Asburgo d’Este a Vienna si rinvia ai seguenti studi: R. Pallotti, I Palais Modena di Vienna. Gli Asburgo d’Este nella capitale imperiale, in “Atti e Memorie della
Deputazione di Storia patria per le Antiche Provincie Modenesi”, s. XI, XLIII (2021), pp. 185–230;
G. Mayer, Maria Beatrice d’Este (1750–1829) als Auftraggeberin zwischen Italien und Österreich,
tesi di laurea magistrale, Università di Vienna, Facoltà di Studi storici e culturali, Vienna 2012.
6
J. Sisa, Alois Pichl in Ungarn. Die Tätigkeit eines Wiener Architekten in Ungarn während der
ersten Hälfte des 19. Jahrhunerts, in «Acta Historiae Artium», XXVIII (1982), pp. 67–116.
518
Riccardo Pallotti
castello, la cittadina e i villaggi limitrofi; oltre a possedere l’antico maniero come
bene allodiale, pertanto, gli Asburgo d’Este erano titolari dei diritti signorili
sull’intera giurisdizione del castello. Al momento dell’acquisto da parte di Ferdinando, il castello versava in pessime condizioni, per cui si resero necessari fin
da subito vasti interventi di restauro, affidati all’architetto di corte Alois Pichl;
l’imponente restauro, celebrato in un’epigrafe scolpita sulla facciata del cortile,
fu avviato da Ferdinando e alla sua morte (1806) venne portato avanti dal figlio
primogenito Francesco, erede della proprietà.7
I diari di viaggio di Francesco, futuro sovrano di Modena e Reggio, rappresentano una preziosissima testimonianza della signoria di Sárvár così come di molti
altri luoghi dell’Ungheria in età napoleonica. Dal 1798 fino almeno al 1810 l’arciduca Francesco intraprese numerosi viaggi attraverso il territorio ungherese,
che egli descrisse accuratamente nei suoi diari, inediti, conservati all’Archivio
di Stato di Modena.8 I diari di viaggio dell’arciduca costituiscono una straordinaria testimonianza del territorio ungherese in età napoleonica non solo su
un piano geografico ma anche etnografico, in quanto la minuziosa descrizione
fisica di villaggi, castelli, pianure, montagne e boschi è talora accompagnata da
informazioni sugli usi e i costumi locali, in particolare sulla toponomastica, sulle
lingue udite, sull’architettura ammirata e sull’abbigliamento delle popolazioni
rurali. Partendo dalla sua residenza viennese o talvolta da Wiener Neustadt,
l’arciduca Francesco, tra il 1798 e il 1806, si recò assai spesso nell’Ungheria
nord-occidentale, effettuando inoltre numerose escursioni a Baden e in altre
località climatiche della Bassa Austria, Boemia meridionale, Stiria e Burgenland.
Le mete ungheresi del giovane arciduca, accompagnato dal padre Ferdinando o
7
Le notizie su Sárvár sono qui ricavate da: Sisa, Alois Pichl, cit., p. 79. Vedi anche: H. Takács,
A Sárvári vár (Die Burg in Sárvár), Budapest 1957, p. 22.
8
ASMo, Archivio Austro-Estense di Vienna, Parte V, b. VI.
La Parte V dell’Archivio Austro-Estense comprende la documentazione prodotta da Francesco
IV, fra cui i suoi diari di viaggio, mentre la Parte VI conserva le carte di suo figlio Francesco V.
La Parte I del fondo contiene invece gli Atti di famiglia, ovvero investiture, contratti nuziali,
trattati ed altri documenti di interesse politico-dinastico in parte risalenti anche al medioevo.
Queste serie furono trasferite a Vienna da Francesco V alla caduta del Ducato e nel 1921
vennero consegnate allo Stato italiano. Le Parti I, V, VI si trovano quindi a Modena, mentre
le Parti II, III, IV sono conservate a Vienna; queste ultime sono ovviamente parte integrante
dell’Archivio Habsburg-Este, compreso tra i fondi dello Haus,-Hof-und Staatsarchiv di Vienna. Il
fondo Habsburg-Este conserva i carteggi famigliari di Maria Beatrice e del marito così come gli
atti relativi all’amministrazione del patrimonio immobiliare viennese. Per la storia dell’Archivio
Habsburg-Este si rimanda al Gesamtinventar des Wiener Haus, Hof-und Staatsarchivs, vol. 2: Das
habsburg-lothringische Hausarchiv, a cura di F. von Reinöhl, Vienna 1937, pp. 58–62.
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria
519
dai fratelli, erano il castello di famiglia di Sárvár e la zona del lago di Neusiedl,
quindi Sopron e Ágfalva, ma sovente anche la città di Presburgo, antica capitale
del regno ungherese.
Francesco si recò a Sárvár assieme al padre e al generale Guicciardi tra il 25
e il 31 luglio 1804; essi raggiunsero la signoria dopo aver attraversato Sopron,
e nei giorni seguenti si spostarono verso Pápa e Győr, per poi fare rientro a
Vienna. Francesco e il padre arrivarono a a Sárvár il pomeriggio del 26 luglio
1804; nel suo diario il giovane arciduca descrive dapprima il bosco, “assai esteso”
sebbene gli alberi siano rari: “Sono gli alberi di quercia a sinistra, e a destra vi
sono dei birkenbäumer…”. Egli prosegue poi con la descrizione del villaggio e
del castello: “Alle ore 4 ½ passammo dal villaggio di Sar prima, e dopo il quale
sono già prati, e campagne, e 5 minuti dopo si entra in Sarwar, che dicono è
una città; cioè è luogo più grosso a mezzo villaggio, a destra si va al castello.
Noi vi abitiamo nel castello del Pappà, che è antico, circondato da mura, e da
fossa, ma una fossa di palude non d’acqua corrente. Il cortile è pentagono. Vi
è una sala, e 5 o 6 stanze dipinte pulite, con parquet. Vi sono forse altrettante
e più camere rovinate da riparare, oltre le abitazioni di tutti gli impiegati, v’è
qualche altra camera, che è affittata, v’è un bel granaro. Appresso v’è una stalla,
che s’aggrandisce ora, una casa ove si fa birra affittata: il tetto è di tegole: la
casa ha il pianterreno, e [un primo] piano: v’à una torre sull’ingresso. Alcune
case nel villaggio, come pare l’osteria, appartengono alla signoria. Li 26. luglio
pranzammo avendo mandato il cuoco avanti, poi restammo in casa, e alle 9.ore
s’andò a letto”.9
Numerose sono le notizie relative a Sárvár che ritroviamo nei diari dell’arciduca. Il futuro Francesco IV di Modena vi si recò anche in altre occasioni,
come ad esempio nell’ottobre 1805, mentre i suoi fratelli Ferdinando Carlo
e Massimiliano si apprestavano alla battaglia di Ulma. Testimoniano questo
viaggio dell’ottobre 1805 le sue Annotazioni riguardanti i contorni da Sarwar,
e la strada dritta da Sarwar a Ödinburgo per Kál, Köwesd, fatta nel viaggio da
Vienna a Sarwar fatto dal 1. al 6. Ottobre 180.10 Un altro viaggio da Vienna a
Sárvár ebbe luogo nell’estate del 1806, quando l’arciduca Francesco si spinse
fino al Balaton, visitando numerose località dell’Ungheria occidentale. Fra il 26
giugno e il 5 luglio del 1806 nei suoi diari egli registrò le visite alla signoria
di Sárvár ed in seguito a Keszthely, alla penisola di Tihany e a Füred sul lago
9
10
ASMo, Archivio Austro-Estense di Vienna, Parte V, b. VI, fasc. II, ins. R
Ibidem, fasc. II, ins. B.
520
Riccardo Pallotti
Balaton, da cui proseguì per la antica città di Székesfehérvár, e di lì a Tata e
Győrszentmárton per poi rientrare nella capitale imperiale.11
Nuovi soggiorni di Francesco d’Austria-Este a Sárvár e in altri luoghi dell’Ungheria si ebbero tra il 1809 e il 1810, quando l’occupazione francese di Vienna costrinse l’imperatore d’Austria e la sua consorte Maria Ludovica, sorella
dell’Austro-Estense, a mettersi in salvo a Buda. Francesco naturalmente seguì
la sorella imperatrice e l’anziana madre Maria Beatrice d’Este in Ungheria, dove
poco tempo prima suo fratello Carlo Ambrogio era stato designato arcivescovo
primate. Come meglio diremo in seguito, Maria Beatrice si rifugiò in Transilvania, a Gran Varadino (Nagyvárad/ Grosswardein/ Oradea), dove la raggiunse in
vari momenti il figlio Francesco. I diari dell’arciduca confermano, infatti, vari
viaggi tra Buda e Gran Varadino tra la fine del 1809 e i primi mesi del 1810,
quando Francesco rientrò a Vienna dopo oltre un anno in Ungheria.
Quelli dello Stadtpalais viennese e di Sárvár furono solo i primi di una lunga
serie di acquisti realizzati dagli Austria-Este.12 L’arciduchessa Maria Beatrice
si mostrò particolarmente attiva sul fronte patrimoniale i questi primi anni del
secolo, a partire dall’anno 1803, quando poté riunirsi col marito nella nuova
casa di Minoritenplatz. Nello stesso anno erano venuti a morte il padre di Maria
Beatrice, Ercole III d’Este e la zia Maria Fortunata, principessa di Borbone-Conti
alla corte di Luigi XVI. È quindi probabile che i notevoli mezzi finanziari di cui
disponeva Maria Beatrice derivassero dall’eredità del padre, morto in esilio a
Treviso.
Dopo l’acquisto del palazzo cittadino l’arciduchessa si mise alla ricerca di una
residenza di campagna ove trascorrere l’estate. La scelta definitiva cadde sul
quartiere extraurbano di Landstrasse, ove sorgevano le residenze di campagna
delle maggiori famiglie della nobiltà viennese. In questa area suburbana gli
arciduchi d’Austria-Este acquistarono un palazzo nella Raabengasse (oggi Beatrixgasse,13 in ricordo di Maria Beatrice d’Este), già appartenuto alla famiglia
11
Ibidem, fasc. II, ins. A.
Studio molto importante per le transazioni patrimoniali di Maria Beatrice e il suo ruolo di
committente e patrona di artisti è la tesi di laurea dello storico dell’arte austriaco Gernot Mayer,
Maria Beatrice d’Este (1750–1829) als Auftraggeberin zwischen Italien und Österreich, contributo
citato a nota 2.
13
Il legame degli Austria-Este con il palazzo di Landstrasse è testimoniato anche dalla toponomastica cittadina; infatti, già al tempo di Francesco V, la città di Vienna rese omaggio agli
Asburgo d’Este intitolando la via del Gartenpalais Modena a Maria Beatrice, nonna del duca; la
“Raabengasse” assunse così la attuale denominazione di “Beatrixgasse”, che rievoca la presenza
austro-estense.
12
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria
521
Stockhammer.14 Maria Beatrice e il marito comprarono questa casa, con il suo
vasto parco, dalla principessa Eleonora di Liechtenstein nei primi mesi del 1806;
subito dopo iniziarono grandi lavori di ampliamento, affidati come sempre ad
Alois Pichl. La casa di campagna assunse le dimensioni di una grande residenza
signorile, con l’aggiunta di due ali laterali e di un cortile d’onore. Iniziò così
la storia del Gartenpalais Modena, la più importante residenza viennese della
Casa d’Austria-Este.15 Fu qui infatti che visse in esilio l’ultimo duca di Modena,
Francesco V.16 Il duca si ritirò nel Gartenpalais di Landstrasse con la moglie
Adelgonda di Wittelsbach a seguito della caduta del Ducato di Modena (1859)
e qui visse fino alla sua morte, avvenuta il 20 novembre 1875.17
I primi anni dell’Ottocento, come è ben noto, furono assai difficili per l’Impero asburgico, in forte crisi dopo la pace di Presburgo (1805). Nonostante il ricco
patrimonio a disposizione, anche gli Asburgo d’Este dovettero affrontare forti
criticità. Alle guerre della terza coalizione antinapoleonica presero parte anche
Massimiliano e Ferdinando Carlo d’Austria-Este, da poco usciti dall’Accademia
militare di Wiener Neustadt. Essi si distinsero nella campagna di Germania
del 1805, a Ratisbona, Ulma e Linz, ma la guerra fu persa e si concluse con
l’occupazione francese di Vienna, che costrinse la famiglia imperiale a rifugiarsi
a Buda. Napoleone decretò così, nel 1806, la dissoluzione del millenario Sacro
Romano Impero, dalle cui ceneri sorse l’Impero d’Austria. Nello stesso anno
le condizioni di salute dell’arciduca Ferdinando andarono aggravandosi e la
vigilia di Natale del 1806 il figlio cadetto dell’imperatrice Maria Teresa morì
nel suo palazzo di Minoritenplatz. La morte del marito fu ovviamente un colpo
durissimo per Maria Beatrice e privò la famiglia del suo principale punto di
riferimento.
14
W. G. Rizzi, Vom Gartenhaus Stockhammer zur Residenz des Herzogs von Modena, in C. JägerKlein, A. Kolbitsch, Fabrica et ratiocinatio in Architektur, Bauforschung und Denkmalpflege:
Festschrift für Friedmund Hueber zum 70. Geburtstag„ Vienna,/Graz 2011, pp. 255–271.
15
Sulla storia del Gartenpalais Modena si rinvia a Pallotti, I Palais Modena, cit., pp. 203–213;
Mayer, Maria Beatrice, cit., pp. 24–26.
16
Il palazzo di Landstrasse divenne così sotto Francesco V la sede del governo ducale austroestense in esilio, che rimase formalmente in carica fino al 1867, quando dovette cessare dal
servizio anche la Legazione Estense di Vienna, avente sede nello stesso Gartenpalais. Sulla
Legazione Estense di Vienna si veda A. Menziani, Le relazioni degli Stati Estensi con l’estero dal
1814 al 1866. Rassegna e profili istituzionali delle rappresentanze diplomatiche e consolari, in Le
relazioni della casa austro-estense con l’estero, a cura di A. Spaggiari, con testi di A. Menziani e A.
Spaggari, Modena, Aedes Muratoriana, 2006, pp. 60–61.
17
Su Francesco V si rinvia a E. Bianchini Braglia, L’ultimo Duca. Francesco V d’Austria-Este,
Modena 2019.
522
Riccardo Pallotti
Nel giro di breve tempo però le sorti del casato austro-estense si capovolsero;
Maria Beatrice d’Este e i propri figli conobbero un’insperata quanto rapida
ascesa alla corte imperiale. Nel 1807 anche l’imperatore d’Austria Francesco I
d’Asburgo-Lorena rimase vedovo e subito dopo si mise alla ricerca di una nuova
moglie. La terribile situazione dell’Impero asburgico, in larga parte occupato dei
Francesi, suggeriva la ricerca di una sposa all’interno della famiglia e Francesco
I scelse così sua cugina Maria Ludovica d’Austria-Este, la figlia più giovane
di Maria Beatrice. Le nozze furono celebrate nella Augustinerkirche il giorno
dell’Epifania del 1808 e ad officiare fu il vescovo Carlo Ambrogio d’Austria-Este,
fratello della sposa.18
Divenuta imperatrice d’Austria e regina di Ungheria, la giovane Maria Ludovica non si limitò ad un ruolo meramente formale e si adoperò anzi per favorire
l’ascesa dei propri fratelli, a cominciare da Carlo Ambrogio, già avviato ad una
brillante carriera ecclesiastica. In riferimento ai rapporti tra Estensi e Ungheria
la figura di Carlo Ambrogio d’Austria-Este riveste un particolare rilievo, in
quanto si tratta di un discendente della Casa d’Este elevato alla dignità di Primate d’Ungheria. Notizie biografiche su Carlo Ambrogio sono presenti nel Biographisches Lexikon di Constantin von Wurzbach, in cui vengono particolarmente
elogiate la preparazione teologica, l’amore per le arte e le grandi virtù morali
di questo giovane prelato del casato austro-estense.19 Ottavo e penultimo figlio
di Maria Beatrice e Ferdinado d’Austria-Este, nacque a Milano il 2 novembre
1785 e ben presto venne avviato alla carriera ecclesiastica. L’invasione francese
lo portò a Wiener Neustadt, dove si stabilì con la madre Maria Beatrice e la
sorella Maria Ludovica dal 1798. La minaccia napoleonica sulla stessa Austria
lo condusse nella più sicura Ungheria, fino a Szerencs, non lontano da Miskolc,
dove poté proseguire i suoi studi di teologia. La sua carriera fu comunque assai
18
Seguirono giorni di festa in onore degli augusti sposi. Il 7 gennaio furono ricevuti gli Stati
ungheresi e il 9 andò in scena l’Armida di Gluck al Kärntnertortheater. La sera seguente ebbe
luogo un gran ballo in maschera alla Hofburg. Notizie sulle nozze dell’imperatore Francesco I
con Maria Ludovica in F. Herre, Maria Luigia. Il destino di un’Asburgo da Parigi a Parma, Milano
1998, pp. 33–35.
19
C. von Wurzbach, Biographisches Lexikon des Kaiserthums Österreich, vol. 4: Egervári-Füchs,
Vienna 1858, p. 88.
Fra i profili biografici più recenti si vedano: Die Bischöfe der Donaumonarchie 1804 bis 1918.
Ein amtsbiographisches Lexikon, a cura di R. Klieber, con la collab. di P. Tusor, vol. I, Berlino 2020,
pp. 21–22, 237, appendice, tav. 2. Si veda anche: C. Latorcai, Egy Habsburg a prímási székben–
Lotharingiai Károly Ambrus esztergomi érseksége, in «Magyar Sión», XLVI (2009/2), pp. 262–272
(risorsa web: http://epa.oszk.hu/01300/01397/00006/pdf/MSion_2009_02_262–272.pdf).
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria
523
rapida, in quanto ancora giovanissimo divenne vescovo di Vác, diocesi di cui
era stato precedentemente nominato amministratore.20 Fu però l’ascesa al trono
della sorella Maria Ludovica a proiettarlo ai vertici della gerarchia episcopale
della Chiesa ungherese; fu Carlo Ambrogio ad officiare le nozze dell’imperatore
Francesco I con la sorella il 6 gennaio 1808 e appena due mesi dopo, il 16
marzo, ottenne la prestigiosa nomina ad arcivescovo di Esztergom, la sede
primaziale d’Ungheria.21 La cerimonia di consacrazione a Primate d’Ungheria
ebbe luogo ad Esztergom il 24 luglio seguente, per mano dei vescovi di Eger,
Győr e Szombathely. In quanto arcivescovo Primate della Chiesa ungherese, fu
Carlo Ambrogio ad incoronare regina di Ungheria la sorella Maria Ludovica il 7
settembre 1808, nel corso della solenne cerimonia di incoronazione che si svolse, come di consueto, a Presburgo, nella cattedrale di San Martino di Presburgo.
Il 6 ottobre seguente, inoltre, a Vienna consacrò la cappella privata della Casa
d’Austria-Este nel palazzo giardino di Landstrasse, cappella simbolicamente
dedicata alla “Fuga in Egitto” a ricordo dell’esilio della famiglia. Carlo Ambrogio
d’Austria-Este però fu primate della Chiesa di Ungheria per poco più di un
anno; all’inizio del 1809 infatti ripresero le ostilità con Napoleone, che però ebbe
trionfò nuovamente occupando Vienna una seconda volta. Come già nel 1805, la
corte asburgica riparò in Ungheria, le cui città divennero di fatto la retrovia del
fronte. L’Ungheria divenne dunque meta dell’aristocrazia sfollata nonché dei
feriti dell’armata imperiale e in breve tempo alla minaccia di un’aggressione
francese e della carestia incombente si aggiunse il tifo. In un simile contesto
l’arcivescovo Primate di Ungheria, come ci ricorda Konstantin von Wurzbach,
mostrò grande senso del dovere e non esitò a manifestare la propria vicinanza
ai soldati delle truppe asburgiche ricoverati nei lazzaretti ungheresi; durante
le visite agli ospedali militari, però anch’egli finì per contrarre il tifo e il 24
settembre 1809, a Tata, morì a soli 24 anni. In quanto primate di Ungheria fu in
seguito tumulato nella cattedrale di Esztergom, dove Giuseppe Pisani realizzò
lo splendido monumento funebre che si conserva ancora oggi.22
La ripresa della guerra era stata appoggiata con fervore dall’imperatrice Maria Ludovica, acerrima nemica di Napoleone, le cui armate la avevano costretta,
ancora bambina, ad una precipitosa fuga dall’Italia. Maria Ludovica, malgrado
la giovane età e le sue origini straniere, cercò di svolgere un ruolo attivo nella
politica asburgica; fin dall’inizio del suo regno, ella allacciò relazioni con i
20
Die Bischöfe, cit., p. 237; Latorcai, Egy Habsburg, cit., p. 263.
Die Bischöfe, cit., pp. 21–22; Latorcai, Egy Habsburg, cit., pp. 265–266.
22
Latorcai, Egy Habsburg, cit., p. 272.
21
524
Riccardo Pallotti
circoli militaristi, sostenendo la ripresa delle ostilità contro Napoleone. Sposando l’imperatore Francesco I, Maria Ludovica era divenuta matrigna della
sua amica Maria Luigia, quasi sua coetanea. Come è ben noto, Maria Luigia
sarebbe divenuta di lì a breve imperatrice dei Francesi per poi vedersi assegnare, in seguito, il Ducato di Parma e Piacenza dalle potenze del Congresso di
Vienna. Maria Ludovica cercò di instillare il proprio odio verso Napoleone nella
figliastra, senza immaginare che nel giro di pochi mesi la politica del Metternich
avrebbe condotto Maria Luigia alle Tuileries. L’imperatrice d’Austria nutriva
progetti ben diversi per la figliastra; narrano infatti i biografi di Maria Luigia
che tra 1809 e 1810, durante i lunghi mesi trascorsi in Ungheria, la figlia del
monarca austriaco sarebbe stata molto vicina a sposare Francesco d’AustriaEste, il futuro duca di Modena.23 Era desiderio della giovane imperatrice che il
proprio fratello maggiore, a capo del casato austro-estense ormai da anni, divenisse genero dell’imperatore d’Austria. I piani del Metternich, tuttavia, fecero
sfumare queste nozze.
La guerra del 1809 vide nuovamente la famiglia imperiale rifugiarsi in Ungheria, come già nel 1805. I fatti sono noti: dopo un’iniziale occupazione della
Baviera, le truppe austriache furono respinte dai Francesi, i quali con una rapida
controffensiva occuparono Vienna. Ai primi di maggio del 1809 l’imperatrice
Maria Ludovica, con la madre Maria Beatrice e con i propri figliastri, lasciò
Vienna per l’Ungheria. La famiglia imperiale raggiunse Győr e di lì Buda, dove
il castello a dominio del Danubio rappresentava un sicuro baluardo contro i
Francesi. Seguirono Maria Beatrice in Ungheria i figli Carlo Ambrogio e Francesco d’Austria-Este; i diari di quest’ultimo, il futuro duca Francesco IV, ben
documentano i viaggi in Ungheria del 1809–1810;24 grazie a questa fonte sappiamo che l’arciduca viaggiò a più riprese dall’ovest all’est del paese, spostandosi
spesso tra Buda e Gran Varadino, dove aveva trovato riparo la sua anziana
madre.
I fratelli maggiori dell’imperatrice, Ferdinando Carlo e Massimiliano, inquadrati nello stato maggiore austriaco, presero parte ai duri scontri con le truppe
francesi ad Aspern ed Essling, alle porte di Vienna. Le truppe dell’arciduca
Carlo riuscirono a bloccare l’avanzata francese, ma lo scontro decisivo avvenne
a Wagram (5–6 luglio 1809), dove le truppe austriache furono battute. Seguì
23
Notizie su Francesco d’Austria-Este e Maria Luigia, futuri sovrani dei ducati padani, durante
l’esilio ungherese del 1809–10 in Herre, Maria Luigia, cit., pp. 44–46.
24
ASMo, Archivio Austro-Estense di Vienna, Parte V, b. VI, fasc. III, inss. A, C.
Gli Austria-Este tra la corte di Vienna e l’Ungheria
525
la pace di Schönbrunn del 14 ottobre 1809, con cui l’Austria dovette accettare
condizioni durissime e la perdita di gran parte del proprio territorio.
In una simile situazione l’imperatrice Maria Ludovica e la madre Maria Beatrice restarono ancora Ungheria. I nuovi successi francesi le avevano indotte
a lasciare Buda per spostarsi più ad est, ad Eger. Ancora più lontano si era
spinta l’ormai anziana Maria Beatrice d’Este, che trovò rifugio a Grosswardein,
in Transilvania. Qui l’Estense trascorse quasi tutto il 1809 e parte dell’anno
seguente, rientrando a Vienna solo nell’estate del 1810. Sebbene al sicuro dai
Francesi, l’arciduchessa in Ungheria dovette però sopportare un durissimo colpo, ovvero la morte del figlio Carlo Ambrogio, che come già ricordato morì di
tifo a Tata il 2 settembre 1809. Nonostante il lutto e i disagi, Maria Beatrice così
come tutto il resto della famiglia imperiale si trattennero in Ungheria ancora
parecchi mesi. Il loro soggiorno ungherese al riparo dai Francesi si protrasse
comunque ancora per vari mesi.25
I diari di viaggio di Francesco IV documentano i viaggi dell’arciduca tra Buda,
Gran Varadino e Vienna, dove egli rientrò prima della madre per poter meglio
curare gli affari di famiglia. Verso la fine del 1809 Francesco decise di mettere in
vendita lo Stadtpalais della Minoritenplatz mentre la madre si trovava ancora
a Gran Varadino. Nel marzo 1810 l’arciduca Francesco vendette il Palais Ulfeld
al conte Paumgarten per la somma di 570.000 fiorini.26
La vendita della residenza di Minoritenplatz lasciava senza un palazzo di città
l’arciduchessa Maria Beatrice, ormai prossima a rientrare a Vienna dopo un anno in Ungheria. Fu così che già dalla Transilvania l’arciduchessa incaricò Alois
Pichl di mettersi alla ricerca di un nuovo Stadtpalais. L’architetto di fiducia
individuò così il magnifico palazzo Dietrichstein della Herrengasse, a pochi
metri della precedente abitazione di Minoritenplatz. Il palazzo fu acquistato
da Maria Beatrice il 9 maggio 1811 per la somma di 284.000 fiorini.27 Il Palais
Dietrichstein della Herrengasse, attuale sede del Ministero degli Interni, è noto
ancora oggi come Palais Modena.28 Il passaggio dalla Minoritenplatz alla fastosa
25
La stessa Maria Luigia ancora nel gennaio del 1810 si trovava a Buda con la matrigna per
sfuggire da Napoleone, il quale, nel giro di poche settimane, sarebbe diventato suo consorte
(Vedi Herre, Maria Luigia, cit.).
26
Pallotti, I Palais Modena, cit., p. 199. L’atto di vendita è conservato in HHStA, HabsburgischEstensisches Hausarchiv, K. 347, come indicato in Mayer, Maria Beatrice, cit., p. 22.
27
Pallotti, I Palais Modena, cit., p. 199. L’atto di vendita è conservato in HHStA, HabsburgischEstensisches Hausarchiv, KK. 147, 228, come indicato in Mayer, Maria Beatrice, cit., p. 22.
28
S si trattava di una delle residenza gentilizie più in vista della città, ricca di tesori artistici e
vicinissima alla Hofburg. Si veda: R. Perger, W. G. Rizzi, Das Palais Modena in der Herrengasse zu
Wien, Vienna 1997.
526
Riccardo Pallotti
residenza dei principi Dietrichstein è una chiara spia dell’ascesa politica, sociale
e patrimoniale del casato austro-estense a Vienna sancita dalle nozze di Maria
Ludovica con l’imperatore.
Maria Beatrice abitò in Herrengasse a partire dal 1813, ma continuò spesso
a risiedere anche nel Gartenpalais di Landstrasse. Con la vittoria su Napoleone
l’arciduchessa Maria Beatrice poté rientrare stabilmente a Vienna e dedicarsi
all’amministrazione dei propri beni nonché al governo degli Stati di Massa
e Carrara, che le furono restituiti dal Congresso di Vienna. Il giubilo per la
sospirata vittoria su Napoleone fu però offuscato dalla prematura morte della
figlia, l’imperatrice Maria Ludovica, che si spense a Verona nell’aprile 1816 a
causa di una malattia polmonare. Gli anni successivi al Congresso di Vienna
la videro comunque spesso in Italia, soprattutto alla corte di Modena, presso
il figlio Francesco IV. La morte la colse nel “Giardino” di Landstrasse il 15
novembre 1829.
Alla morte di Maria Beatrice il palazzo di città della Herrengasse passò a
Francesco IV, mentre il palazzo giardino di Landstrasse toccò a suo fratello,
l’arciduca Ferdinando Carlo, già governatore militare in Ungheria. Il palazzo di
città fu venduto all’imperial-regio Governo nel 1842, mentre il palazzo giardino
passò nel 1850 al duca Francesco V, che lo elesse a propria residenza ufficiale
negli anni dell’esilio, dopo il 1859. La coppia ducale in esilio trascorreva gli
inverni a Vienna e le estati al castello di Wildenwart in Baviera, ma soggiornava
talora anche a Sárvár, che apparteneva ancora al casato austro-estense.29 A
seguito della scomparsa del duca, la signoria di Sárvár passò all’ultima erede
diretta della Casa d’Austria-Este, Maria Teresa Enrichetta (1849–1919), figlia
di un fratello minore di Francesco V. Il castello di Sárvár legò così il proprio
nome alla Casa reale bavarese, in quanto Maria Teresa Enrichetta d’AustriaEste aveva sposato nel 1867 Luigi di Wittelsbach, re di Baviera col nome di Luigi
III dal 1913 al 1918. Esiliati a seguito della Prima guerra mondiale, l’anziano re
Luigi III e Maria Teresa Enrichetta trascorsero parte dei loro ultimi anni proprio
a Sárvár; fu qui, presso l’antico castello Nádasdy, che nel 1922, vedovo da tre
anni, si spense l’ultimo re di Baviera.
29
Narra il conte Teodoro Bayard de Volo, principale amico e collaboratore di Francesco V, che
“… Wildenwart era divenuto l’usuale loro abitazione estiva, il che non impediva al Duca di fare
ogni anno una o due corse a Chlumez ed altrettante a Sarvar, ed alla Duchessa di passare sempre
qualche settimana in alcuno dei castelli de’ suoi reali Congiunti in Baviera. Così del pari il loro
palazzo nella Landstrasse a Vienna accoglievali in tempo di autunno avanzato e d’inverno, e
ciò senza pregiudizio di geniali assenze o a Frohsdorf presso la sorella ed il Cognato od a Praga
presso l’Imperatore Ferdinando e la Zia Imperatrice Marianna, od a Gratz presso l’infante Maria
Beatrice” (Vita di Francesco V duca di Modena (1819–1875) scritta dal conte Teodoro Bayard de Volo,
vol. III, Modena, Aedes Muratoriana, 1983).
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento
del conte modenese Luigi Forni
Lidia Righi Guerzoni
Archivio di Stato di Modena
lidiarighiguerzoni@gmail.com
Abstract
The essay analyses Count Luigi Forni’s experiences in the Kingdom of Hungary, based
on his work Alcune notizie sull’Ungheria. His experiences as a young military officer
in several Hungarian garrisons forged in Count Forni a lifelong bond with Hungary.
After a comprehensive description of the chorography, which is also in print, the
essay discusses Count Forni’s manuscript legacy, including manuscript notes of the
rapidly developing capital, Budapest, written during a later visit to the military and the
publication of the chorography. Count Forni’s relationship with Hungary concludes
with opinion pieces written after the defeat of the 1848–1849 War of Independence.
Nel 1832 viene pubblicato a Modena un libro di rilevante interesse e novità,
dal titolo Alcune notizie sull’Ungheria. Ne è autore il conte Luigi Forni che, come
puntualizza, lo ha composto nel 1829 durante il soggiorno in terra magiara
rielaborando le conoscenze acquisite in loco con i testi di noti studiosi. Nato
a Modena nel 1806, all’epoca Forni è in possesso di una solida cultura maturata
con la frequentazione del prestigioso Collegio dei Nobili e dell’Accademia Nobile Militare Estense. Come si evince dai numerosi suoi manoscritti conservati
nell’archivio di famiglia (in deposito presso l’Archivio di Stato di Modena), era
dotato di viva curiosità intellettuale e di acuto spirito di osservazione sugli
aspetti geoantropologici- e socio-culturali delle località visitate, come dimostrerà anche nel ruolo di aiutante di campo nel corso dei viaggi con i duchi austroestensi Francesco IV e Francesco V. Dal carteggio con i famigliari, specie con il
fratello prediletto Giuseppe, si apprende che nel luglio 1827 il giovane conte
avviato alla carriera militare si trasferisce a Pösing nei pressi di Presburgo.
528
Lidia Righi Guerzoni
Da “cadetto dell’I. R. Reggimento Corazzieri del Principe Ferdinando n. 4”, due
anni dopo viene promosso “tenente nell’I. R. Reggimento König von Bayern
n. 2” di stanza a Grosskanisa. Nel corso dei successivi acquartieramenti tra
cui Rosing-Zeil, Sankt Georgen, Draškovec, Großkanizsa, Forni ha modo di
conoscere le plurime realtà del Regno Ungherese in gran parte per lui sorprendenti, in primis la coesistenza di più nazionalità, ciascuna con emblematiche
peculiarità e tali da affascinarlo e da legarlo profondamente a questa terra. Ne
è testimonianza eccellente il libro Alcune notizie sull’Ungheria, il cui contenuto
di un centinaio di pagine, suddiviso in “Lettere” rivolte come è facile intuire al
fratello, restituisce un accattivante affresco della terra magiara. Le sue descrizioni si soffermano sui villaggi e sui castelli delle signorie, percorrono brani di
storia, il livello di cultura e istruzione, la viabilità e i prodotti del suolo, nonché
abbigliamenti, divertimenti e superstizioni, per poi affrontare i temi dell’amministrazione politica, economica, giudiziaria ed ecclesiastica. Quasi vent’anni
dopo, nel luglio 1845 Luigi Forni al seguito a Vienna del duca Francesco IV
ottiene il permesso di assentarsi alcuni giorni per visitare Buda e Pest che non
conosce ancora di persona. Naviga sul Danubio, annota in fogli sparsi e illustra
nelle lettere alla moglie Misina ambedue le realtà urbane separate dal Danubio
e alquanto dissimili, una sull’altura con testimonianze di regale antichità, l’altra
vivacizzata dal recente progresso industriale. Con lo scoppio della rivoluzione
del 1848 il lungo filo rosso che legava il conte Forni all’Ungheria si dipana
ancora una volta con l’obiettivo di divulgarne ad ampio raggio le connotazioni
storico-antropologiche. Come attestano i suoi numerosi manoscritti, compone
l’importante saggio Delle popolazioni che abitano l’Ungheria e la Transilvania e
si avvale del veicolo mediatico del periodico ducale “Il Messaggere”. Il saggio vi
compare anonimo nell’“Appendice” per tre numeri, il 27 novembre, il 4 e l’11
dicembre 1848 ma, nonostante la scritta “continua” se ne perdono le tracce, forse per un autorevole intervento censorio determinato dalla precaria situazione
politica.
“Certamente nella dimora da me fatta in queste parti non mi stetti pigro,
né trascurai d’informarmi di tante cose che quivi mi vennero osservate…”. Con
queste parole il conte Luigi Forni dà inizio al suo libro Alcune notizie sull’Ungheria redatto, come puntualizza, nel 1829 durante il suo soggiorno in terra
magiara in qualità di giovane ufficiale dell’esercito austriaco ed edito a Modena
nel 1832. Traspare da tale incipit una precoce vocazione, che andrà maturando
nel corso degli anni, a cogliere con acuto spirito di osservazione alimentato
da viva curiosità intellettuale gli aspetti geo-antropologici e socio-culturali dei
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 529
luoghi visitati in occasione di numerosi viaggi, specie nel ruolo di aiutante di
campo dei sovrani austro-estensi di Modena Francesco IV e Francesco V.1
Peraltro Luigi Forni (Luigi Forni Cervaroli) apparteneva a una casata di antica
nobiltà, il cui titolo comitale risaliva all’imperatore Carlo V. Nato a Modena nel
1806 dal conte Paolo (1756–1838), uomo colto, insignito di varie onorificenze e
incarichi di corte,2 era stato avviato insieme con il fratello Giuseppe, nato nel
1807, al percorso educativo presso il prestigioso Collegio dei Nobili e presso
l’Accademia Nobile Militare Estense fondata con sovrano chirografo del 30 dicembre 1821. Tale istituto si inseriva nel vasto programma innovativo promosso
dal sovrano con la finalità peculiare di riscattare dall’ozio i giovani aristocratici
del Ducato “chiamati ad essere la difesa, ed il sostegno del Trono e della società
e a cooperare col Sovrano a promuovere il bene comune”.3 Secondo il regola1
Lo attestano i suoi manoscritti e le lettere inviate ai famigliari conservate presso l’Archivio di
Stato di Modena (ASMo), fondo Archivio Forni (Ar. Forni), tra cui i diari odeporici di particolare
interesse per la dovizia descrittiva. Si veda in merito: L. Righi Guerzoni, In viaggio con il
duca di Modena Francesco V a Vienna per il matrimonio dell’imperatore Francesco Giuseppe, a
Praga, Dresda, Monaco, in Memorie Scientifiche, Giuridiche, Letterarie dell’Accademia Nazionale
di Scienze, Lettere, Arti di Modena, s. IX, vol. II, fasc. I (2018), pp. 227–242; L. Righi Guerzoni, Il
duca di Modena Francesco V alla scoperta delle bellezze paesaggistiche della Svizzerae sue riflessioni
sul governo confederale, in Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per el Antiche Provincie
Modenesi, s. XI, pp. 177–184.
2
Dal primo matrimonio del conte Paolo Forni con la contessa Carlotta Lopez Amor de Soria
erano nati Lodovico (1789–1865) e Giovanni Battista (1793–1852). Luigi e Giuseppe erano nati
dal secondo matrimonio con la marchesa Anna Molza, deceduta prematuramente nel 1824. Si
veda il testo redatto su basi documentarie di F. Ceretti, Sul Conte Giuseppe Forni ultimo Ministro
degli Affari Esteri del Ducato di Modena, Modena 1894.
3
Il testo del chirografo ducale è pubblicato in G. Canevazzi, La Scuola Militare di Modena (1756–
1915), Modena 1920, vol. II, pp. 2–3. Tra i contributi più recenti sull’Accademia Nobile Militare
Estense: A. Menziani, Il servizio della Guardia Nobile d’onore di Modena dal 1814 al 1829, in Atti e
Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Provincie Modenesi, s. XI, vol. VI (1984),
pp. 319–327; E. Frascaroli, La scuola dei Cadetti Matematici Pionieri, in Quaderni dell’Archivio
Storico, VIII, Modena 1998, pp. 17–20; L. Righi Guerzoni, L’arciduca Massimiliano d’Austria d’Este
e la sua operosità culturale nel Ducato di Modena, in Mutina splendidissima. La città romana e la
sua eredità, a cura di L. Malnati, S. Pellegrini, F. Piccinini, C. Stefani, Roma 2018, pp. 559–561.
Il giovane Forni già nel corso degli studi aveva avviato numerose ricerche di storia locale, tra
cui l’urbanistica e la Zecca di Modena, attingendo da fonti accreditate tra cui Lodovico Antonio
Muratori (ASMo, Ar. Forni, A 27). È inoltre noto che negli anni Quaranta si contraddistinguerà
tra i protagonisti delle indagini su Mutina e quale ideatore della “Società Archeologica” per il
finanziamento degli scavi, i cui esiti pubblicherà nell’importante volume corredato da mappe:
Luigi Forni, Relazione degli scavi eseguiti a Modena nel 1844–1845, Modena 1852, nonché quale
autore insieme a Cesare Campori di Modena a tre epoche, Modena 1844. La sua attività nel settore
archeologico è stata illustrata di recente in Mutina splendidissima cit., in particolare nei contributi
530
Lidia Righi Guerzoni
mento e i programmi di studio stabiliti dall’arciduca Massimiliano d’AustriaEste fratello di Francesco IV, oltre la disciplina militare, la “cavallerizza”, la
scherma e il ballo, ne costituivano l’identità formativa gli studi di matematica,
cosmografia, disegno e fortificazioni, fisica sperimentale, lingua e “belle lettere”.
È in tale contesto pluridisciplinare, nel quale particolarmente significativi sono
pure gli esercizi in lingua tedesca e ungherese,4 che si va attuando in Luigi la
scelta della futura carriera che lo porterà a militare in primo luogo nell’Imperial
Regio Esercito austriaco e in seguito, con adamantina fedeltà, a fianco dei sovrani austro-estensi. Giuseppe viene invece introdotto alla carriera diplomatica
a Vienna e a Madrid, poi a ricoprire incarichi amministrativi a Massa fino alla
nomina di ministro degli Affari Esteri del Ducato, carica che manterrà fino al
1859. Nel corso degli anni si consolidano strettamente i legami d’affetto tra
i due fratelli, come evidenzia il cospicuo loro carteggio, nel quale peraltro si
rispecchia buona parte delle vicende del Ducato austro-estense.
Al termine del triennio accademico, nel luglio 1827 Luigi parte da Modena
con il benestare di Francesco IV, raggiunge Venezia, Trieste e da qui viaggia
in vettura fino a Vienna e Presburgo.5 Già al primo approccio l’Ungheria gli
appare tutta da scoprire, ben diversa dalle fantasie fanciullesche di “un luogo
tutto pieno di soldati ove i nobili superbi e sdegnosi abitavano forti castelli
[…], un paese ove le uniche occupazioni degli abitanti erano il brandir l’armi
e l’adoperare cavalli”.6 Ne coglie a mano a mano il fascino, tanto da essere
sollecitato dal desiderio di conoscerla a fondo, fino a condensarne un esaustivo
profilo nel suo libro, all’epoca autentica rarità nel Ducato austro-estense.7
di S. Pellegrini, Le terme di Mutina, pp. 95–96; C. Zanasi, Nuovi dati sulla Società Archeologica, pp.
599–606. Per un ulteriore contributo in merito: L. Righi Guerzoni, “Per la grandezza e la gloria
della nostra città”. Celestino Cavedoni e lo studio delle antichità a Modena nel primo Ottocento in
Il contributo della Deputazione di Storia Patria alla storiografia di Mutina e del suo territorio nel
2.200° anno della fondazione della colonia romana, a cura di M. Calzolari e D. Labate, Modena,
Aedes Muratoriana, 2021.
4
ASMo, Ar. Forni, C 16. Sulla sua biografia: Sua Eccellenza il Conte Luigi Forni Cervaroli, Cenno
cronologico, in Il Diritto Cattolico, X (1877), n.108, 15 maggio 1877; Necrologia. Conte Luigi Forni
Cervaroli (1806–1877), in Opuscoli Religiosi, Letterari e Morali, s. IV, t. II, Modena 1877, pp. 80–
88; Cenno necrologico, in Biblioteca Estense Universitaria di Modena, Miscellanea Dondi, A 291;
Conte Luigi Forni, in T. Bayard de Volo, Vita di Francesco V Duca di Modena (1819–1875), t. IV,
Modena 1885, pp. 398–402.
5
ASMo, A. Forni, C 3, 17 luglio 1827, Lettera di Luigi al padre, nella quale scrive a proposito
di Trieste: “Tutto è vita, tutto è commercio”.
6
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 2.
7
Ibid.
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 531
Come si evince dalle lettere inviate ai famigliari, in particolare al padre e a
Giuseppe, la prima importante tappa è Pösing8 nei pressi di Presburgo,9 nella
cui scuola di equitazione il conte Forni “cadetto dell’Imperial Regio Reggimento
Corazzieri del Principe Ereditario Ferdinando n. 4”10 milita fino a febbraio 1828.
È consapevole di poter contare sulla protezione degli arciduchi d’Austria-Este
fratelli di Francesco IV: riceve infatti una “grazia” (non altrimenti definita) da
Ferdinando comandante in Ungheria della Cavalleria Ussari, mentre Massimiliano riferisce alla famiglia gli elogi per il suo “buon portamento militare”.11 Non
solo, ma nell’estate del 1828 Giuseppe, che risiede a Vienna in qualità di addetto
all’“Aulica Cancelleria”, dopo l’incontro con il fratello a Pösing fa sapere: “S. A.
R il nostro Sovrano gli ha detto che si assicuri che non lo perderà di vista e
vedrà di poterlo farlo avanzare di qualche buon grado”.12 Nel frattempo Luigi,
che è stato trasferito nella cosiddetta “Divisione del Colonnello” va scoprendo
località che gli svelano il volto autentico della terra magiara, tra cui oltre Pösing,
Rosing-Zeil e Sankt Georgen.
L’attesa promozione si fa attendere, tuttavia già nei primi mesi del 1829
egli gode di una posizione privilegiata in quanto a Sankt Georgen è addetto
alla Segreteria Militare, dove la sue “mansioni sono di scrivere un’oretta al
giorno e di stare sbadigliando due ore la mattina, due ore dopo pranzo dallo
Ajutante”.13 Finalmente, come scrive al padre, ha ottenuto la promozione a
tenente di fanteria presso il reggimento Haugwitz n. 38 di stanza a Graz,14 però
a breve giro ne riceve un’altra che gratifica pienamente le sue attese. Come
comunica da Vienna al fratello: “Già ero in procinto di partire per Gratz allorchè
arrivò l’ordine di essere fino dal 14 aprile Tenente nel I. R. Reggimento Bayern
8
Oggi: Pezinok/Bazin/Bösing (Slovacchia).
Oggi: Bratislava/Pozsony/Pressburg (Slovacchia).
10
Niederösterreichisches Kürassier-Regiment “Erzherzog Ferdinand” Nr. 4, di stanza a Sväty
Jur/Szentgyörgy/Sankt Georgen (Slovacchia), vicino a Pezinok. Vedi: Militär-schematismus des
österreichischen Kaiserthums, Wien, 1828, p. 274.
11
ASMo, Ar. Forni, C 68; 3 novembre 1827, Lettere di Luigi al padre in C 3, 27 novembre 1827 e
8 gennaio 1828.
12
ASMo, Ar. Forni, C 3, Lettere di Giuseppe Forni al padre, 19 agosto e 25 ottobre 1828.
13
ASMo, Ar. Forni, C 4, Lettera di Luigi a Giuseppe, 23 febbraio 1829 nella quale afferma
che dispone di un’ottima abitazione, con una bellissima camera arredata con specchi e mobili
moderni dorati e dalla quale si gode di un’ampia vista sulla pianura e sui monti, nonché di una
camera per il suo “servitore”.
14
Lombardisches Infanterie-Regiment “Graf Eugen Haugwitz” Nr. 38.
9
532
Lidia Righi Guerzoni
Dragoner”.15 E gli comunica il nuovo recapito: “Tenente nel I. R. Reggimento
di Chönig von Bayern Dragoni n. 2 a Grosskaniza”.16 Tra l’estate e l’autunno
ha modo di conoscere nuove località in cui soggiorna con il proprio plotone;
tra queste Draškovec17 di cui traccia un disegnino a penna e Canissa. Inoltre,
in quei giorni invia nelle lettere al padre e al fratello anche il disegno di una
uniforme di ufficiale dei Dragoni del 2° Reggimento, la stessa che lui stesso
indossa.18
Scrive inoltre: “Il mio tempo lo impiego coll’esercizio o colle scuole o colla
mia gente, oppure leggendo e scrivendo sull’Ungheria”. E poco dopo: “Le mie
occupazioni sono ora leggere e scrivere. Scrivo i miei souvenir de l’Angrie ove
metto ciò che mi salta in testa. Per esempio ora descrivo un viaggetto che ho
fatto al lago Platten,19 il primo dell’Ungheria, non che un quadro di naturale
bellezza ed un alto silenzio regna nelle acque di esso”.20
In realtà, il conte Forni doveva aver iniziato già da tempo a leggere e a fare
appunti sui vari aspetti della terra ungherese, in quanto difficilmente avrebbe
potuto condensare in soli tre mesi, dall’ottobre al dicembre del 1829, la mole di
lavoro presente nel suo libro. Tanto più ne convince l’annotazione che recita:
“L’argomento di queste lettere scritte nel 1829 è tratto in gran parte dai Quadri
dell’Ungheria di Giovanni Csaplovics stampati in tedesco a Pest nel 1829 in due
volumi,21 dalla statistica dello Schwartner,22 dalla Storia dell’Ungheria di Sacy,23
da quella di casa d’Austria del Coxe,24 dalla statistica del barone Lichtenstern25
15
Ober- und Niederösterreichisches Dragoner-Regiment “König Ludwig von Baiern” Nr.
2, di stanza a Nagykanizsa/Großkanizsa/Canissa (Ungheria). Vedi: Militär-schematismus des
österreichischen Kaiserthums, Wien, 1830, p. 283.
16
ASMo, Ar. Forni, C 3, Modena 5 giugno 1829 e C 4, Vienna 3 luglio 1829. Oltre i famigliari,
Forni informa della promozione il duca Francesco IV, che gli trasmette il suo compiacimento.
17
Oggi: Draškovec/Ligetvár (Croazia).
18
ASMo, Ar. Forni, C 4, 21 luglio, 27 agosto, 22 settembre 1829.
19
Balaton/Plattensee (Ungheria).
20
Ibid., C 4, 2 e 25 ottobre 1829.
21
J. Csaplovics, Gemälde von Ungern, Pest, Hartleben, 1829.
22
M. Schwartner, Statistik des Königreichs Ungern, Ofen, 1809–1811.
23
C. L. M. de Sacy, Histoire génerale de Hongrie, depuis la première invasion de Huns, jusq’à nos
jours, Paris, Demonville, 1778.
24
W. Coxe, Histoire de la maison d’Autriche, depuis Rodolphe de Hapsbourg, jusqu’a a la mort de
Léopold II. (1218–1792), Paris, Nicolle, 1809.
25
J. M. von Lichtenstern, Statistisch-geografische Beschreibung des Erzherzogthums Oestreich
unter der Ens, Wien-Leipzig, Kleinmaier, 1791.
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 533
e da parecchi altri libri”.26 Peraltro all’inizio del 1830 viene trasferito con il
suo plotone a Perlak in Croazia,27 grosso borgo, secondo le sue parole, nella
“cosiddetta isola tra i fiumi Muhr e Drava”.28 A fine gennaio riceve la luttuosa
notizia della morte del padre e fa ritorno a Modena.29 Riparte a metà maggio,
sosta a Vienna dove incontra gli arciduchi Ferdinando e Massimiliano, poi
raggiunge il suo reggimento.30 Trascorre l’estate con le truppe in un piccolo
borgo assolato vicino al lago Balaton, fino al ritorno a Canissa in autunno.
Nel frattempo gli sono giunte notizie sulla rivoluzione a Parigi che lo impensieriscono molto, chiede invano il permesso di rientrare in Italia, medita
anzi di dimettersi dall’esercito austriaco. Confida a Giuseppe, all’epoca ancora
in Spagna ma desideroso anche lui di ritornare a Modena, che l’Austria ha
mandato in Italia alcuni reggimenti, non sa se toccherà anche al suo; di recente,
aggiunge, è stato mandato a perlustrare i confini militari dove sono allestite le
truppe per l’occupazione della Bosnia.31 Ottiene infine da parte di Francesco IV
l’autorizzazione a lasciare l’esercito austriaco: da Perlak, via Gorizia, raggiunge
Modena il 30 novembre 1830 e si mette a disposizione del sovrano. Ha di qui
inizio la sua carriera a fianco dei duchi austro-estensi: riceve la nomina di
ciambellano e di maggiore del 2° Battaglione delle milizie volontarie estensi
(1831), in seguito di tenente delle milizie attive e di aiutante di campo. Mantiene
quest’ultimo ruolo anche con il duca Francesco V, che lo promuoverà generale
maggiore (1856) con incarico all’Alta direzione della Real Casa e maggiordomo
maggiore. Verrà inoltre decorato da varie prestigiose onorificenze.32
26
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 65.
Oggi: Perlog/Perlak (Croazia).
28
L’“isola” è praticamente la regione del Međimurje/Muraköz tra i fiumi Mura e Drava
(Croazia).
29
ASMo, Ar. Forni, C 69, 12 febbraio 1830, Lettera al fratello maggiore Lodovico, subentrato al
padre nell’amministrazione del patrimonio avito nonostante un grave problema alla vista.
30
In omaggio ai commilitoni Luigi si fa inviare da Modena una cassetta contenente bottiglie di
aceto balsamico, certo di offrire una prelibatezza. Più che dai commilitoni, il dono riscuote molto
successo da parte del colonnello del reggimento, che lo invita a pranzo (ASMo, Ar. Forni, Lettera
di Luigi al fratello maggiore Lodovico, C 68, 26 giugno 1830).
31
Ibid., 4 settembre 1830. Giuseppe scrive da Madrid il 16 dicembre 1830 allo zio Giuseppe
Molza ministro degli Affari Esteri del Ducato: “La risoluzione presa da Luigino di abbandonare il
servizio Austriaco non mi è giunta nuova, anzi me ne aveva fatto cenno nelle sue lettere e spero
che Francesco IV acconsenta a tale decisione” (F. Ceretti, Sul Conte Giuseppe cit., p. 206, n. 256).
32
Se ne vedano i testi biografici in nota 4.
27
534
Lidia Righi Guerzoni
L’intenzione di pubblicare a breve al suo rientro a Modena, per i tipi Soliani,
i manoscritti redatti in Ungheria dovette essere rinviata probabilmente a causa
dell’insurrezione menottiana (1831) e della crisi politica del Ducato. Soltanto
nell’estate dell’anno successivo Luigi Forni scrive al fratello Giuseppe che il
libro Alcune notizie sull’Ungheria è terminato e gliene invia tre copie da dare
anche agli amici.33 Riceve parecchi apprezzamenti, complici la duttilità e la
freschezza espositiva cui si coniuga uno stile editoriale originale: la mancanza
nel titolo di copertina del suo nome, rinvenibile soltanto alla fine del testo
con le parole “Tutto vostro, C. Luigi Forni” e la suddivisione in dieci “Lettere”
anziché in capitoli. Non solo, ma il contenuto si dilata ben oltre alcune notizie,
restituendo un vasto affresco del profilo storico e geo-antropologico del regno
ungherese, con indagini nel vissuto tra cultura e superstizione, tra abbigliamento e divertimenti, per poi concludere su temi di amministrazione economica,
politica, finanziaria ed ecclesiastica, compresa una “Tabella” finale con i nomi
di capoluoghi e dei comitati del regno, i confini militari e i singoli reggimenti.
Le “Lettere” sono indirizzate a un ignoto interlocutore, tuttavia facilmente
ravvisabile con il fratello Giuseppe dato il tono confidenziale, talora scherzoso,
e gli inviti a visitare queste terre dove le ragazze hanno un’“amabile semplicità
che soavemente innamora”. Vi menziona pure le esperienze condivise nella
fanciullezza, quando ambedue ammiravano le figure dei cavalieri ungheresi
con il corto giubbetto stretto alla persona, la larga e curva sciabola e i lunghi
mustacchi che ne ornavano con fierezza il viso rosso e acceso. E confida la sua
immaginazione infantile che l’Ungheria fosse “un luogo tutto pieno di soldati
ove i nobili superbi e disdegnosi abitavano forti castella […], un paese ove le
uniche occupazioni degli abitanti erano il brandir l’armi e l’adoperare cavalli”.34
Afferma pertanto:
Vidi l’Ungheria: oh quanto era stato ingannato! Un popolo atto all’armi bensì,
ma non rozzo e incolto: Nobili di un’alterezza dignitosa e quindi amichevoli e
cordiali, che abitano ameni castelli, la maggior parte fabbricati in luoghi ubertosi e ridenti: un paesano che poco ha di che invidiare a’ suoi fratelli nell’Italia
e nella Francia: un clima, il quale se non può paragonarsi con quello del bel
paese, pure generalmente è salubre: una regione insomma che se non levasi tra
le prime per civiltà e per scienze, nientemeno pregia e conosce abbastanza i
costumi delle nazioni pù colte.35
33
ASMo, Ar. Forni, C 5, 30 luglio e 31 agosto 1832.
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1832, p.77.
35
Ibid., p. 2.
34
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 535
Sottolinea in particolare la cordialità e l’ospitalità nei confronti del forestiero
sia nei castelli dei nobili che nelle abitazioni cittadine, tuttavia ha constatato con
sorpresa che non esiste un popolo solo di nome “ungherese”, bensì la presenza
di varie nazionalità: “Sui confini del Regno verso l’Austria trovai una nazione
detta Slovena, più oltre verso la Polonia trovai dei Tedeschi, nel mezzo del paese
del Magiari, colà dei Croati, qua dei Valacchi: ognuno parlava la propria lingua,
ognuno aveva le proprie abitudini”.36 E cerca di individuarne le cause mediante
le complesse vicende storiche e alle invasioni cui fu soggetta questa terra.
Analizza poi nella “Lettera 2” la situazione contemporanea dell’Ungheria
focalizzandone la suddivisione topografica in città, borghi e villaggi. Sulla scia
delle fonti consultate, ricorre idealmente a quattro grandi circoli, due dei quali
al di qua e al di là del Danubio e del Tibisco e colloca al loro interno 46 “contee”
o “comitati”, 52 comprese la Slavonia e la Croazia, nonché 49 “regie città libere”. Come spiega successivamente, queste si andarono formando quando i re
d’Ungheria chiamarono coloni in gran parte tedeschi chiamati Hospites, Cives,
Homines liberi cui concessero prerogative e privilegi affinché lavorassero nelle
miniere o coltivassero quei terreni. Ognuna di queste 49 città cinte da mura è
considerata come un singolo gentiluomo, partecipa alle Diete e i suoi abitanti
non possono essere arrestati per debiti; sono esenti dai dazi ma pagano le tasse
e le decime e hanno l’obbligo di insorgere in caso di attacco.37
Luigi Forni si sofferma soprattutto sui borghi e villaggi che dice formati dalle
case dei paesani qui raggruppate, con la chiesa, la locanda e botteghe, tuttavia
alcuni di quelli che chiama villaggi contano anche tra gli otto e i diecimila
abitanti e Csaba38 più di ventimila. Tra le povere casupole, piccole e basse con
tetto acuminato coperto di paglia annerita dal tempo “…all’improvviso compare
un ampio terreno di fronte al quale s’innalza maestosamente un palazzo, il
castello della Signoria…”39 di cui Forni esalta l’ordine, la simmetria, la bellezza
delle varie torrette sovrastate da cupole rivestite di rame, l’arma gentilizia sulla
porta d’ingresso, nonché l’armonia degli edifici laterali.40 Ne descrive inoltre
l’ampio cortile, le comode scale, gli ambienti arredati con gusto tra cui il salone,
le stanze da gioco, la sala d’armi, quella con i ritratti dei nobili antenati e
talvolta pure la biblioteca. Attiguo al castello si trova il giardino con le serre, il
36
Ibid., pp. 3–4.
Ibid., p. 75.
38
Probabilmente oggi: Békéscsaba (Ungheria).
39
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena 1832, p. 166.
40
Ibid., pp. 13–14.
37
536
Lidia Righi Guerzoni
boschetto, le collinette, il laghetto, la piccola moschea, un patrimonio vegetale
che dalla descrizione appare simile ai coevi giardini del Ducato austro-estense,
ovviamente tranne la presenza della moschea. Ma, aggiunge, vi sono anche
villaggi con povere abitazioni ad un unico piano fatte di pietre, sassi, legno
e di terra mista a paglia.
Quanto alle città, osserva che quelle abitate dai magiari hanno contrade
spaziose e belle case, mentre quelle dei tedeschi e degli sloveni sono meno “comode”. Cita in particolare la capitale Buda, “città di generosa ricordanza nella
storia ungherese”, “seria e maestosa”, sede del palatino, dei principali ministeri
e dell’imponente castello. Definisce la “poco distante rivale Pest” città commerciale e in gran fiore e Presburgo sede delle Diete e dell’incoronazione dei re.41
In realtà, Forni non ha ancora visitato di persona né Buda né Pest;42 lo farà,
come vedremo, soltanto nel 1845 nel corso di una “gita” di tre-quattro giorni.
Traccia inoltre ulteriori osservazioni sulla viabilità citando il detto “Cui si vuol
male mandisi a girar l’Ungheria”. Vi riscontra infatti “strade disuguali, rotte da
crepacci o traversate da fossati”,43 nonché la loro assenza nelle puszte. Tuttavia
trova eccellenti quelle tra le principali città, ossia la “Carolina” e la “Giuseppina”
rispettivamente costruite dagli imperatori d’Austria Carlo VI e Giuseppe II, cui
si è aggiunta di recente (1812) la “Luigina” in onore dell’imperatrice Maria
Luigia sorella di Francesco IV.44
Nella capillare analisi ambientale il conte Forni riserva un ulteriore capitolo sulla produzione agricola e mineraria.45 Elenca la coltivazione di grano e
biada un po’ ovunque così come di cavoli, patate e cetrioli, di orzo e segala
prevalentemente a nord, di miglio e grano turco nonché di meloni, cocomeri e
zucche a sud, di tabacco, canapa e lino, mentre gli alberi da frutto sono coltivati
soltanto nei giardini. Nomina tra le eccellenze il vino Tokaj e l’“amabile” di S.
Giorgio, i cavalli delle “larghe puszte”, le pecore dalla folta lana e un “fabbrica
del cotone” di proprietà dei negozianti Puthon di Vienna. Tra i prodotti minerari
cita torba e carbon fossile, cave di marmo “opale”, di rame e ferro, nonché d’oro
a Kremnitz46 e nei pressi di Pösing. A tale ricchezza però non corrisponde che un
41
Ibid., pp. 16–17.
Le due maggiori città che unite insieme ad Óbuda nel 1873 costituiscono oggi Budapest, la
capitale dell’Ungheria. Buda è situata alla riva occidentale del Danubio, Pest a quella orientale.
43
Ibid., p. 17.
44
Ibid., Lettera 5.
45
Ibid., Lettera 3, pp. 19–27.
46
Oggi: Kremnica/Körmöcbánya/Kremnitz (Slovacchia).
42
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 537
modesto sviluppo industriale, onde la carenza anche di un prospero commercio
estero. Più fiorenti invece sono i lavori fabbrili tra cui la porcellana governati
dagli “Statuti dell’Unione degli Artigiani”.
Più accattivante rispetto al tema precedente si presenta la successiva indagine sul livello culturale della popolazione peraltro più consona agli interessi di
Forni. Avverte già nelle prime righe che un paese occupato da continue guerre
non poté avere molto tempo da dedicare alla cultura. Tuttavia negli ultimi
anni vi predomina lo studio della lingua magiara o ungherese, “la quale bella
per sé, forte e virile, solo abbisogna di abili artefici che la sappiano all’uopo
adoperare”,47 ma è abbastanza diffuso pure lo studio del latino, parlato correttamente dagli impiegati civili.48 Quanto agli artisti, nomina in primo luogo il
famoso scultore Ferenczy49 allievo di Canova, gli incisori “Karatz”,50 “Csetter”,51
Falka,52 il presburghese Oeser direttore dell’Accademia delle Arti a Berlino53 e
i compositori di musica Lavotta,54 “Czermak”,55 Spech.56 Traccia poi un dettagliato quadro sui livelli di istruzione delle giovani generazioni: per i cattolici
esistono le scuole nazionali dove s’impara a leggere, scrivere e far di conto, le
grammaticali della durata di quattro anni, le normali di sei anni, i ginnasi per lo
studio di umanità e retorica, nonché cinque accademie con un corso biennale di
filosofia. Inoltre sia i protestanti che i “riformati” hanno le loro scuole nazionali,
vari ginnasi e grandi “collegi” a “Debreczin”,57 ”Saros-Patak”,58 “Papa”,59 mentre
i greci scismatici hanno scuole miste, frequentate cioè da cattolici, protestanti,
riformati e gli ebrei hanno le loro sinagoghe. L’unica università è a Pest, conta
49 professori e vi sono annessi l’osservatorio astronomico, una biblioteca con
47
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, p. 172.
Ibid., Lettera 4, p. 28. Nella corrispondente nota Forni afferma che vengono pubblicati in
lingua ungherese quattro giornali letterari e due gazzette.
49
István Ferenczy (1792–1856).
50
Ferenc Karacs (1770–1838).
51
Sámuel Czetter (1765–dopo del 1829).
52
Sámuel Falka (1766–1826).
53
Adam Friedrich Oeser (1717–1799).
54
János Lavotta (1764–1820).
55
Antal Csermák (circa 1774–1822).
56
János Spech (1767–1836).
57
Debrecen (Ungheria).
58
Sárospatak (Ungheria).
59
Pápa (Ungheria).
48
538
Lidia Righi Guerzoni
circa sessantamila volumi, un gabinetto di fisica, uno di storia naturale, la scuola
di veterinaria, il giardino botanico, il seminario e una “stamperia”.
Alquanto interessante, a proposito del tema che Forni definisce “carattere
morale della popolazione”, è la distinzione tra le diverse nazionalità dell’Ungheria, ciascuna con le proprie abitudini e “inclinazioni”. Osserva: “Il Tedesco
conserva il suo carattere quieto ed il suo spirito ingegnoso; il Magiaro è vivace; le popolazioni slave sono più pacifiche, il Zingaro è irrequieto, l’Ebreo è
dappertutto l’Ebreo”.60
Quanto alle fogge d’abbigliamento, Forni si sofferma anzitutto a descrivere
quella tradizionale detta “all’ungherese” atta a risaltare la conformazione fisica,
composta da un giubbetto (dolman) di panno nero orlato di cordoncini e bottoni
di seta, calzoni pure di panno nero, stivaletti con speroni d’argento, copricapo
e mantello di finissima pelliccia (kalpag) e una catenella d’argento sul petto. La
dama ungherese indossa una cuffia di pizzo da cui scende un velo nero ricamato
d’oro, la veste pure di pizzo con ampie maniche e con un grembiulino, una
cintura di pietre preziose e un collier di perle. Tuttavia, aggiunge, gli abiti dei
nobili ungheresi sono attualmente modellati sui figurini di Parigi e di Vienna,
mentre i tedeschi restano fedeli alla loro moda nazionale.
Il successivo tema “Superstizioni, divertimenti, nozze, funerali” attinto come
specifica Forni dalla fonte narrativa del barone di “Mednyanszki”,61 introduce
nel vivo della quotidianità. Avverte che, nonostante “i notevoli progressi nella
civilizzazione” permangono ben salde le credenze superstiziose non solo tra il
“basso popolo”, ma anche nella classe medio-alta.62 Affrontando l’argomento
streghe, afferma che ne esistevano in ogni villaggio, dove “il peso del corpo
veniva considerato segno di stregoneria”: le vecchie imputate si immergevano insieme nell’acqua, quella che non affondava subito era la strega e veniva
brutalmente bastonata. L’esistenza dei vampiri, cioè dei morti che escono dalle
tombe e succhiano il sangue dei bambini e del gregge, è ancora tradizione tra i
ruteni e i valacchi. Per renderli inoffensivi essi effettuano una serie di atrocità
puntualmente riferite, ma sulle quali pare ora opportuno sorvolare. Elenca di
seguito ulteriori superstizioni quotidiane come i giorni e le ore sconsigliate per
60
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, Lettera 4, p. 32. Aggiunge: “Succede
una lite, il Tedesco alza la voce e minaccia, il Croato manda imprecazioni e bestemmie, gli Slavi
menano pugni e schiaffi, i Magiari si bastonano a morte, gli Zingari si graffiano la faccia, il
Valacco ammazza, l’Ebreo grida e scappa” (ibid., p. 34).
61
A. Mednyánszky, Erzählungen. Sagen und Legenden aus Ungarns Vorzeit, Pest, Hartleben, 1829.
62
L. Forni, Alcune notizie sull’Ungheria, Modena, 1932, Lettera 6, p. 41.
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 539
un viaggio e alcuni presagi di disgrazia intuibili dai versi degli animali o dai
momenti in cui scoppia il raffreddore, per giungere alle nascite in fase di Luna
crescente o calante.
Tra i divertimenti elenca le feste popolari in occasione della vendemmia e
delle cacce, quelle degli studenti in maggio dette majales e il ballo nelle osterie
nei pomeriggi festivi. Con le nozze tra il “basso popolo”, le feste durano due o
tre giorni nei quali si mangia, si beve, si salta, si gira su e giù per il villaggio
preceduti dal suono di un violino e di una piva. Se gli sposi appartengono a
villaggi diversi, i parenti arrivano su carri ornati di più colori, tra lo sparo di
fucili e mortaretti. Quanto ai funerali, vi sono usanze diverse, ma solo la “gente
bassa” si lamenta e grida ad alta voce.
Su tutt’altro clima vertono invece i temi delle ultime quattro “Lettere”63 meritevoli peraltro di approfondimento, tuttavia in questo contesto per economia
espositiva ci si limita soltanto ad una brevissima presentazione. Riguardo la
costituzione, Forni si sofferma a illustrare le pertinenze negli “Stati del Regno”
di clero, baroni, conti, gentiluomini, regie città libere, plebe. Il re, che appartiene
alla casa d’Austria, viene incoronato a Presburgo con la corona di Santo Stefano
nel corso di una solenne cerimonia e giura fedeltà alla costituzione. La dieta,
convocata in genere ogni tre anni, è composta da circa 800 uomini riuniti in
due camere: la “tavola dei magnati” formata da vescovi, conti, baroni e la “tavola
degli stati” formata prima di tutto dai rappresentanti delle contee e delle regie
città libere. Alla rassegna storica che dal re Santo Stefano giunge all’attualità,
seguono vari settori amministrativi tra cui quello politico, finanziario, ecclesiastico e quello giudiziario con la descrizione delle varie pene fino alla gogna
praticata in ogni villaggio.
Come si è detto, soltanto nel 1845 il conte Forni visita di persona Buda e
Pest: “Sono stato cinque anni in Ungheria e non ho visto la capitale!” scrive a
Giuseppe.64 In luglio è a Vienna al seguito di Francesco IV che gli concede di
assentarsi alcuni giorni per raggiungere la meta che gli sta a cuore. Nel corso di
questa “gita” come la chiama Forni stesso, non manca di scrivere come al solito
appunti e impressioni sulle due realtà urbane separate dal Danubio e alquanto
63
Ibid., Lettera 7: “Costituzione ungherese. Il Re, gli Stati del Regno. Il paesano”; Lettera 8: “La
Dieta. Incoronazione del Re e della Regina”; Lettera 9: “Amministrazione politica, giudiziale,
criminale ed ecclesiastica. Sicurezza interna del paese”; Lettera 10: “Finanza. Forza”. Seguono
“Comitati, loro Capoluoghi, Popolazione città ecc.”; “Reggimenti che somministra l’Ungheria”;
“Serie cronologica di Re d’Ungheria”.
64
ASMo, Ar. Forni, C 69, Vienna 18 luglio 1845.
540
Lidia Righi Guerzoni
diverse tra loro.65 Al contempo invia lettere alla moglie marchesa Misina Cambiaso nelle quali illustra quanto ha visto e ammirato:66 arriva a Pest la sera del 23
luglio dopo un felice viaggio in vapore sul Danubio, durante il quale ha potuto
ammirare da lontano l’antica fortezza di Comorn67 mai espugnata dai turchi,
per cui si vede in essa la statua di una giovane con alloro in mano. Aggiunge
che a Gran68 s’innalza sul Danubio e fa da lontano una bellissima mostra di sé la
cattedrale ornata di statue, già sede dell’arcivescovo primate d’Ungheria Carlo
Ambrogio d’Austria Este fratello di Francesco IV. A Pest osserva in primo luogo
che per raggiungere Buda si deve attraversare un ponte di barche sul Danubio,
ma che è in atto la costruzione di un ponte a catena sospeso di cui hanno già
eretto tre pilastri, un’operazione gigantesca che comporta la spesa complessiva
di quattro milioni di fiorini. Visita il “Museo delle antichità romane e ungheresi”
e tra i reperti di età romana elenca vasi fittili, “alcuni detti di Arezzo” cioè i
vasellami raffinati cosiddetti “sigillate aretine” dalla vernice rossa e con motivi
ornamentali in leggero rilievo, nonché mattoni con il bollo dei fornaciai. Pare
però più interessato alle rarità ungheresi, tipo una sella d’avorio ricca di ornati
appartenuta forse al re Lodovico e un’altra sella turca con gualdrappa tessuta in
oro, regalata da un pascià in seguito alla liberazione dalla prigionia della figlia.
Negli appunti aggiunge che sono qui conservate pure “armi antiche e celebri
per qualche ricordanza”, collezioni di storia naturale e di minerali, fossili, vetri,
porcellane. A Pest è inoltre iniziata la costruzione, sebbene soltanto nella parte
iniziale, della ferrovia per Gran e per Debrecen.
Il pomeriggio stesso percorre l’itinerario verso l’altura suggestiva su cui sorge Buda. Vi osserva che la sua chiesa più antica dedicata all’“Assunzione” durante la dominazione turca venne trasformata in moschea e che vi sopravvive
ancora un “bagno alla turca”. Altra meta è il “Museo Nazionale” la cui architettura ancora da completare “… è bella e vasta, con un atrio, una bella sala
rotonda”, però custodisce al momento soltanto la raccolta di quadri donati dall’arcivescovo “Pilker”,69 parte dei quali acquistati in Italia. Altro appuntamento
imperdibile è il “castello reale”, di cui però si limita a dire che negli appartamenti
si susseguono ritratti di antenati e una stanza decorata “alla chinese”. Cita
65
Ibid., A 19, “Gita a Vienna e Pest. Luglio e Agosto 1845”.
Ibid., C 69, Pest, 25–28 luglio 1845.
67
Oggi: Komárom (Ungheria) e Komárno/Révkomárom (Slovacchia).
68
Oggi: Esztergom/Strigonio (Ungheria).
69
János László Pyrker (1772–1847, arcivescovo di Eger 1826–1847).
66
L’Ungheria nelle memorie di primo Ottocento del conte modenese Luigi Forni 541
inoltre l’attigua chiesa con la cappella di S. Andrea e l’osservatorio astronomico
dal quale si gode un’ampia vista panoramica sui dintorni.
Il giorno successivo è di nuovo dedicato all’esplorazione delle attività industriali di Pest, ma anche della biblioteca dei frati francescani ricca di oltre sessantamila volumi. Forni visita in particolare un mulino a vapore e una fabbrica
di “ferro fuso” ambedue di proprietà di azionisti. È poi la volta dell’“Istituto dei
ciechi” che raccoglie una trentina di ragazzi e ragazze e dove, come spiega alla
moglie: “Vidi i loro lavori, che per lo più lavorano di Falegnameria, studiano la
musica […] e leggono con lettere rilevate”.70 La sera stessa si reca nel “Teatro
ungherese” di recente costruzione che dice bello, grandioso ma dall’interno
assai semplice. Vi si rappresentava l’opera Lucrezia Borgia di Donizetti, dove
la celebre primadonna Alboni71 “cantava assai bene le sue arie in italiano” e
riceveva calorosi applausi.72 Quanto all’ultimo giorno di permanenza prima
del ritorno a Vienna, il racconto di Luigi Forni è alquanto sobrio, poiché si
limita a descrivere brevemente le passeggiate nel parco “Horwath” di Buda,73
frequentato nei giorni festivi da molti cittadini a piedi e in carrozza.
Il lungo filo rosso che lo legava all’Ungheria si dipana ancora una volta nel
1848 in seguito alle insurrezioni che travolgevano mezza Europa, in particolare,
nel nostro caso, l’Impero Asburgico. Le rivendicazioni tra l’altro del popolo
magiaro di maggiore autonomia e di ampliamento dei diritti di voto lo stimolano
a riproporne il profilo storico-culturale sulla scia del suo libro di una ventina
d’anni prima. Redige pertanto un lungo articolo che intitola Delle popolazioni
che abitano l’Ungheria e la Transilvania e per assicurarne la divulgazione ricorre
al veicolo mediatico del periodico ducale “Il Messaggere. Foglio di Modena”
diretto all’epoca da Filippo Palmieri, che gli riserva il settore della “Appendice”.
Forni vi si impegna a fondo, come attestano i numerosi manoscritti, alcuni dei
quali in più copie, conservati nell’archivio di famiglia.74 La prima parte dell’articolo viene pubblicata il 27 novembre 1848 e continua nei numeri successivi del
70
Ibid., C 69, Pest, 27 luglio 1845. Forni vi acquista alcuni piccoli manufatti tra cui una caffettiera
e un bicchierino di legno.
71
Maria Anna Marzia (detta Marietta) Alboni (1826–1894).
72
Com’è noto, Marietta Alboni era all’epoca una delle più famose cantanti liriche, richiesta e
omaggiata in tutti i teatri europei. In quei giorni era reduce dalla stagione 1844–1845 di San
Pietroburgo.
73
Horváth-kert, parco sotto il castello di Buda.
74
ASMo, Ar. Forni, A 16. Vi sono comprese pure più copie a stampa, in fogli slegati, di questo
suo lavoro destinate probabilmente a comporre un libro, rimasto incompleto al pari degli articoli
sul “Messaggere”.
542
Lidia Righi Guerzoni
4 e dell’11 dicembre, ma nonostante la scritta “continua” s’interrompe senza
alcuna spiegazione e senza recare il nome dell’autore che, secondo la prassi,
avrebbe dovuto comparire alla conclusione.
Non è dato saperne la ragione, si può forse ipotizzare un intervento da parte
di Francesco V, visto che la rivolta magiara capeggiata da Lajos Kossuth75 e
venata di acceso nazionalismo si sta trasformando in aperto conflitto contro
l’Austria, conflitto concluso, com’è noto, con la vittoria dell’Impero Asburgico.
Il che non sembra sminuire in Luigi Forni l’apprezzamento nei confronti
del popolo ungherese. Lo accerta un suo manoscritto datato 2 ottobre 1849,
nel quale riflette sulla situazione: “In questi momenti il giovane Imperatore76
trovasi al possesso di tutti gli Stati formanti la monarchia austriaca. Sarà un
possesso pacifico? Gli elementi del dissertare esistono, ma sento da tutti che
nella Ungheria vi è molto meno male di quello si crede. Non mi farebbe caso se
in una occasione l’Ungheria fosse quella che sostenesse la monarchia austriaca.
Gli ungheresi sono popolo cavalleresco e leale e la loro storia dimostra che
possono passare da un’idea ad un’altra seguendo essi gli impulsi dati da chi sia
capace di guadagnare il loro animo”.77
75
Lajos Kossuth (1802–1894).
Francesco Giuseppe I d’Austria (1830–1916, imperatore d’Austria e re d’Ungheria 1848–1916).
77
Ibid., “Norme generali per manovre campali”, Ebenzweier, 2 ottobre 1849.
76
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Intrigo internazionale a Modena. La causa di
Crouy-Chanel contro Francesco V tra alta
politica, nazionalismo e massoneria
Alberto Attolini
Archivio di Stato di Modena
alberto.attolini@beniculturali.it
Abstract
In the aftermath of the fall of the ducal government of Modena, Baron Albert Nyáry
was among the first to study the documents of the Este archives, which had recently
been opened to the public. This research activity achieved as a result the printing of
two pamphlets of a historical-genealogical nature, which became the starting point
for a particular court case: Auguste Crouy-Chanel sues Francis V to claim the title of
Duke of Modena. What, at first glance, might appear to be little more than a bizarre
controversy with no legal basis, is put back into its original context of Hungarian
political emigration circles and Masonic lodges, ending up revealing an underlying
plot of international politics conceived in France and aimed at striking at the Empire
of Austria and the House of Habsburg.
Il titolo di questo contributo è ripreso da un film di Alfred Hitchcock.1 Ciò in
quanto si ritiene che una causa giudiziaria temeraria, legalmente e storicamente
priva di fondamento, sia stata il paravento dietro il quale si nascondevano ben
altri piani e interessi.
Le ricerche di Albert Nyáry
Come è noto, nel 1859, in seguito alla sconfitta dell’Austria, cessò di esistere
il Ducato di Modena, provvisoriamente rimpiazzato dalla dittatura di Luigi
1
Titolo originale North by Nothwest, USA, 1959.
544
Alberto Attolini
Carlo Farini, traghettatore verso il regno unitario. Fu proprio il Farini a volere
l’apertura al pubblico degli archivi estensi. Tra i primi studiosi che vi si recarono
vi fu il barone Albert Nyáry de Nyáregyháza, già autore di due opuscoli sui
diritti degli Arpad,2 che iniziò a occuparsi della genealogia e dei diritti feudali
dei d’Este. Frutto delle ricerche del magiaro fu un opuscolo, Postumus István és
az estei örökség, edito in lingua ungherese a Modena, dal libraio e tipografo
Cappelli.3 Non si trattò di una buona prova per colui che sarebbe divenuto
uno dei più apprezzati genealogisti d’Europa, in quanto Nyáry forzò la storia al
sostegno della propria tesi. All’epoca raccolse sia giudizi entusiasti, sia stroncature, a seconda del pensiero politico di chi ne valutava l’opera: i liberali lo vedevano come studioso rigoroso, mentre i reazionari lo consideravano una sorta
di truffatore, in quanto, utilizzando le parole di Bartolomeo Veratti, convertiva
“in lotta politica una questione meramente storica”. Oggi questi saggi di Nyáry
sono pacificamente considerati come una mera polemica, legata al particolare
momento della vita del loro autore, e privi di alcuna pretesa di scientificità.4 Più
avanti ne offriremo un’ulteriore chiave di lettura.
La causa di Crouy-Chanel
La prima e più importante conseguenza degli studi di Albert Nyáry fu l’essere il fondamento di una causa legale che vide contrapposti due nomi molto
altisonanti: il (sedicente) principe Augusto di Crouy-Chanel d’Ungheria e Francesco V d’Asburgo-Este, l’ultimo duca di Modena, spodestato manu militari in
seguito alla campagna del 1859.
La vertenza era veramente insolita, in quanto l’attore, Crouy-Chanel, conveniva in giudizio l’ex sovrano di Modena per rivendicarne il titolo, al quale
tuttavia non corrispondeva più l’esercizio effettivo del potere. Il conte Teodoro
Bayard de Volo, uno degli osservatori dell’epoca, politicamente legato a Francesco V, ma sempre acuto e limpido nei suoi giudizi, notò la bizzarria di questa
azione legale, definendola “la più strana e temeraria delle cause intentate contro
Francesco V”.5 Se infatti gli altri procedimenti avevano un chiaro fondamento
2
Nyáry 1862.
Nyáry 1863.
4
Furlani 1984**, pp. 614 e 617 (da cui si trae anche la citazione).
5
Bayard 1881, p. 188.
3
Intrigo internazionale a Modena
545
patrimoniale, e spesso un altrettanto evidente secondo fine politico,6 questo
si presentava pressoché esclusivamente come una provocazione. Bayard de
Volo ipotizzò l’esistenza di legami occulti tra l’attore e Napoleone III. Ritenendo degna di interesse questa considerazione, abbiamo investigato su quanto
potessero essere fondate le impressioni del diplomatico modenese.
Crouy-Chanel
Il punto di partenza nell’esame di questa vicenda è l’analisi della figura del
pretendente e dei suoi rapporti con Albert Nyáry. A tal fine occorre un breve
excursus sugli avvenimenti dei suoi ascendenti, originari del Delfinato.
Membri della famiglia Crouy-Chanel, all’inizio solo Chanel, avevano già infruttuosamente tentato, nel 1770, di farsi riconoscere quali parenti dei duchi di
Croÿ. La sconfitta non li fece demordere e vent’anni dopo, nel 1790, in piena
temperie rivoluzionaria, fecero trascrivere in registri pubblici una serie di atti
tesi a dimostrare la loro nobile origine. Essi espatriarono poco dopo, seguendo le
orme di molte casate aristocratiche che cercavano asilo oltre confine. Rientrati
in patria durante il Primo Impero, ottennero la tanto agognata nobilitazione,
giunta tra il 1809 e il 1810 a favore di Claude François, ciambellano di Napoleone
I, creato conte dell’impero con il nome di Croy-Chanel d’Ungheria, in quanto
si era presentato come membro di un ramo cadetto della casata dei duchi di
Croÿ. Questa quasi omonimia si concluse durante la Restaurazione, nel 1818,
quando il legittimo duca di Croÿ citò in giudizio i Croy-Chanel, per costringerli
ad abbandonare il suo nome. I veri Croÿ vinsero il primo grado di giudizio e
il secondo, tenuto nel 1821 davanti alla Corte reale di Parigi, che ingiunse loro
di non utilizzare né il cognome Croÿ, né altri assonanti. Gli ormai solo Chanel
impugnarono la sentenza in Cassazione, ma questa respinse il ricorso, pur consentendo loro di premettere al cognome Chanel un furbescamente omofono
Crouy.
Nel frattempo, già dal 1790, avevano aperto un’altra strada per giungere alla
nobiltà: la discendenza reale ungherese. Jean-Claude Chanel e François Nicolas
Chanel chiesero, infatti, alla Corte dei conti di Grenoble una dichiarazione di
discendenza in linea diretta da Félix de Crouy-Chanel, presunto figlio di Andrea
6
Bayard 1881, pp. 175–187.
546
Alberto Attolini
III il veneziano, re d’Ungheria, pronuncia che non sembra mai essere stata
emanata.7
Claudio Francesco Augusto Crouy-Chanel fu il protagonista della nostra vicenda. Aveva tre nomi e spesso ne usava uno solo (mai lo stesso), quasi per
essere sfuggente. Era nato nel 1793 a Duisburg, dove la sua famiglia si trovava
in esilio volontario – come si è visto – per confondersi con la nobiltà. Essendo i
congiunti bonapartisti, rientrò al loro seguito in Francia già durante il Consolato. Nel 1822 prese parte alla guerra per l’indipendenza greca e successivamente
fu tra i sostenitori di Luigi Napoleone. Per questa vicinanza politica, venne coinvolto nel processo del 1840 a carico del principe, celebrato dalla Corte dei pari di
Parigi in seguito al secondo fallito tentativo di colpo di stato.8 Nel dibattimento
emerse che Crouy-Chanel e Luigi Napoleone erano in stretto contatto già dal
1838 e che il Bonaparte l’aveva finanziato cospicuamente. “Il sig. de Crouy
Chanel veniva accusato d’aver ricevuto dal principe Luigi 400,000 fr. con fine
colpevole”, mentre lui obiettava di averne ricevuti solamente 140.000 allo scopo
di fondare un giornale in appoggio al partito bonapartista e per “altri usi leciti”.
I “maneggi di Crouy Chanel pel principe” vennero dimostrati solamente fino
al novembre 1839, portando ad escludere un suo coinvolgimento nello sbarco
di Boulogne. Dal suo canto, Luigi Napoleone confermò questa tesi, dichiarando
che egli “non aveva avuto la più piccola influenza ne’ suoi disegni, per ciò ch’ei
faceva poco capital del suo ingegno”.9 Forse era un modo per proteggere un
seguace fidato ed efficiente. Dopo il 1859, Crouy-Chanel si trasferì in Italia,
allora luogo di concentrazione dell’emigrazione politica ungherese, per dare
alle sue pretese una base politica e diplomatica. Il morale degli esuli era, in
quel frangente, basso. Essi, infatti, in un primo momento avevano ricevuto da
Cavour e da Ricasoli promesse di un intervento sabaudo risolutivo della loro
questione nazionale, ma in seguito si erano dovuti ricredere a fronte dell’impossibilità italiana di agire in tal senso. L’arrivo di Crouy-Chanel, che si poneva
apertamente come pretendente al trono magiaro, venendo addirittura chiamato
re Stefano II dai suoi sostenitori,10 ebbe l’effetto pratico di rompere il fronte
degli esuli:
7
de Coston 1863, passim; Bayard 1881, pp. 194–196; Crouy-Chanel (BNF); Casato di Croÿ
(Wikipédia).
8
Furlani 1984**, p. 614.
9
Sbarco 1840, p. 484, da cui si traggono le citazioni.
10
Verona 1865.
Intrigo internazionale a Modena
547
Non avvertirono […] questi patrioti disillusi che la loro adesione
al principe di Crouy-Chanel doveva condurre all’esaurimento di
ogni valida affermazione dell’emigrazione ungherese come fattore politico, essendo evidente che le mire personali del sedicente
discendente degli Arpad divergevano del tutto dall’impostazione
ideologica che alla loro azione avevano impresso i capi dell’emigrazione. Così stando le cose era fatale che si dovesse giungere ad una
scissione dell’emigrazione: da una parte i seguaci del pretendente,
dall’altra coloro che si mantenevano fedeli a Kossuth.11
Nyáry e Crouy-Chanel
Albert Nyáry, come si è detto, non svolse le sue ricerche in maniera rigorosa.
Egli giunse, al contrario, a piegare alle sue tesi tanto la storia che l’interpretazione dei documenti. Ciò in quanto egli era strettamente legato a Crouy-Chanel.
Il barone Albert Nyáry de Nyáregyháza, nato il 30 giugno 1828, partecipò,
appena ventenne, alla rivoluzione del 1848, sia come politico, che come militare,
arrivando al grado di generale e aiutante di campo di Kossuth. Espatriato in
Piemonte, partecipò alla campagna del 1859 come capitano nei ranghi della
Legione ungherese, per poi far parte dei Mille di Garibaldi, tra le sue guardie del
corpo. Un uomo di pensiero, quindi, ma anche di azione: il prototipo dell’uomo
del Romanticismo. Nel 1860 incontrò Crouy-Chanel, di cui divenne segretario.12
Il fatto che Nyáry fosse rimasto affascinato da Crouy-Chanel, fino al punto
da sposarne le assurde tesi e da rischiare di compromettere per sempre la propria reputazione di studioso, sostenendole fino a negare l’evidenza, può essere
spiegato facilmente confrontando i dati anagrafici e approfondendo come si
presentava il preteso principe. Il trentaduenne Nyáry si trovava di fronte a un
uomo di sessantasette anni, età che all’epoca era più rilevante che oggi. Anche
lui aveva combattuto per la libertà di altri popoli (come si è visto, in Grecia) e
cospirato in patria. Uno dei suoi collaboratori lo presentava in questi termini:
“Consumò la sua vita nelle vessazioni politiche, e come vittima dell’Austriaco
usurpatore, nel suo lungo esilio trasse l’unico conforto dal continuo studio, per
11
12
Furlani 1984**, p. 615.
Furlani 1984*, p. 214 nota 51; Nyáry (Wikipédia); Lajos 1965, p. 127.
548
Alberto Attolini
cui divenne distinto letterato e profondo filosofo”.13 Nonostante il fatto che il
riferimento sia a un francese sempre vissuto in patria, e che quindi le vessazioni
austriache e l’esilio sono inventati di sana pianta, questo brano è importante
per farci comprendere come si presentava il Crouy-Chanel: anch’egli uomo
d’azione e di pensiero, con un alone di martirio dovuto alla dura persecuzione
austriaca. Il ritratto prosegue notando che “il di lui discorso è una continua
istruzione”.14 Altro elemento chiave era la generosità: “ognuno sa quali e quante beneficenze va prodigando il Principe d’Arpad [cioè Crouy-Chanel, nda];
imperocché all’Albergo ove alloggia, non viene mai meno la concorrenza dei
poveri”. La sua carità non era solo pubblica, ma anche segreta, dal momento
che sussidiava pure diversi indigenti vergognosi.15 Sembra quindi evidente la
ragione per cui Nyáry si legò a un personaggio ambiguo come Crouy-Chanel:
oltre alla motivazione politica (che sarà meglio esplicitata oltre), l’aristocratico
magiaro si trovava di fronte a quello che poteva (o avrebbe voluto) essere lui
da anziano. Si aggiunga il fatto che Crouy-Chanel, senz’altro dotato di grande carisma e di capacità dialettiche, funse da mentore per il giovane Nyáry,
iniziandolo alla massoneria.
La massoneria
In Italia, la massoneria, dopo la diffusione settecentesca e l’istituzionalizzazione
napoleonica, “scomparve nella fase acuta del Risorgimento e solo a partire dall’ottobre 1859 emerse con una vera identità nazionale”.16 Va puntualizzato che
in questo periodo la massoneria cessò di esistere solo “ufficialmente”, quando
in realtà la sua presenza – o eterodirezione – si palesò nell’operato di altre
società segrete (sublimi maestri perfetti, carboneria o setta di san Teobaldo)
dedite più all’azione rivoluzionaria che al pensiero.17 Similmente, tra le file
unitarie, si mossero sempre numerosi massoni, iniziati all’estero o negli Stati
italiani in logge affiliate a obbedienze straniere. Nell’Ottocento, la massoneria
appare come una sorta di salotto buono e di passaggio obbligato per cospiratori,
democratici e liberali. Ciò per il suo internazionalismo, che la rendeva presente
13
Manzini 1863, p. 13.
Manzini 1863, pp. 13–14.
15
Manzini 1863, p. 14.
16
Polo Friz 1998*, p. 103.
17
Soriga 1942, pp. 114 e 117.
14
Intrigo internazionale a Modena
549
in ogni Paese, per i vincoli solidaristici che essa poneva tra i fratelli (utili anche
per agevolare le relazioni interpersonali), per il suo operare discreto e per le
idee politiche che tale organizzazione portava avanti.
In quegli anni, ebbe un ruolo centrale la loggia Dante Alighieri, costituita a
Torino (allora capitale d’Italia) il 7 febbraio 1862, e posta all’obbedienza (cioè
sottoposta gerarchicamente) del Grande oriente italiano, insediato nella medesima città. All’epoca “De Crouy Chanel era una persona avanti negli anni,
essendo nato nel 1793. Iniziato molto giovane, nel 1818 era arrivato al 33mo
grado. […] Ovviamente egli poteva essere centro di attrazione per altri emigrati
connazionali”,18 cosa che avvenne puntualmente. L’Ungheria, infatti, era priva
di una propria massoneria19 e la Dante Alighieri poteva divenirne l’embrione.
Ciò può spiegare sia l’alto numero di membri magiari della loggia (circa un terzo),20 sia il repentino abbandono del Grande oriente italiano di Torino in favore
del Grande oriente d’Italia di Palermo, che aveva come gran maestro Garibaldi,
avvenuto appena un mese dopo la fondazione (8 marzo 1862).21 Dal momento
che l’emigrazione politica ungherese si era divisa in due correnti, governativa
e democratica, con quest’ultima maggioritaria,22 il legarsi al sodalizio siciliano
sembra il tentativo di intercettare il consenso del maggior numero di esuli.
Nel medesimo anno, Crouy-Chanel aveva fondato il Supremo consiglio del
rito scozzese antico e accettato, di cui era divenuto sovrano gran commendatore, carica che mantenne fino al 1864.23 Sempre nel 1862, fu iniziato in massoneria, nella loggia Dante Alighieri, un protagonista delle vicende politiche e
massoniche di quegli anni: Lodovico Frapolli, che, in appena un mese, giunse al
massimo grado del rito scozzese, per divenire gran maestro del Grande oriente
italiano nel 1867. Egli era stato a Modena nel 1859, subito dopo l’Armistizio di
Villafranca, chiamato da Farini al Ministero della guerra, per assicurare la difesa
militare nell’ipotesi di un rientro in armi di Francesco V. Per questo fine aveva
arruolato un buon numero di militari della disciolta Legione ungherese.24
18
Polo Friz 1998*, pp. 103 e 106.
Polo Friz 1998**, p. 45.
20
Polo Friz 1998*, p. 104.
21
Polo Friz 1998**, p. 36.
22
Polo Friz 1998**, p. 57.
23
Isastia 2011.
24
Lajos 1965, pp. 55–58; Polo Friz 1990, pp. 101–103, 107; Polo Friz 1998*, p. 104; Polo Friz 1998**,
p. 54.
19
550
Alberto Attolini
Le logge massoniche erano, come si è potuto intuire, centri di politica, di
“grande politica, quella stimolata da forti tensioni ideali. Nella Dante Alighieri o da parte dei suoi affiliati si fece una politica di altissimo livello, tesa a
rivendicare unicamente i principi di libertà e giustizia dei popoli”.25 In quest’ottica, nel 1866, fu concepito un tentativo di provocare una sollevazione in
Ungheria per indebolire l’Austria, grazie alla creazione di un fronte ulteriore e
alternativo rispetto a quello occidentale. Lo studioso che scoprì questo piano
escluse e quasi irrise l’ipotesi di “cospirazione massonica”.26 Il fatto, tuttavia,
che l’ideazione del progetto, al pari dei tentativi per realizzarlo, fossero portati
avanti esclusivamente da importanti membri della massoneria, non ci consente
di considerare del tutto casuale l’affiliazione dei protagonisti della vicenda che,
se non fu “cospirazione massonica”, appare perlomeno cospirazione di massoni.
Lo stesso ragionamento vale per la trama di cui ci occupiamo, architettata tra
uffici di gabinetto e logge, da rivoluzionari provetti e finalizzata a realizzare
uno dei disegni politici massonici.
Napoleone III
Napoleone III potrebbe essere stato il mandante di questa vicenda e diversi
aspetti paiono confermare questa tesi, o quantomeno un suo diretto coinvolgimento.
Si è ipotizzato che l’attacco per via giudiziaria a Francesco V potrebbe essere
stato ideato nell’ambiente massonico. Al riguardo, si può trovare un legame
tra la massoneria e Napoleone III nei trascorsi carbonari del futuro imperatore.
La carboneria, che sembra nata come una sorta di mutuo soccorso fra i militari
napoleonici di basso rango, finì ben presto col divenire una forma di massoneria
per i ceti umili, meno speculativa e più dedita all’azione, ma con strutture simili
e finalità identiche. I rapporti tra le due società segrete vedevano la massoneria
prevalere: i massoni entravano nella carboneria senza iniziazione, mentre per
accedere agli alti gradi carbonari occorreva un certo cursus honorum massonico.
La simbologia era difforme da quella impiegata dalla massoneria solo per le
differenze dei corpi sociali cui si rivolgevano: al posto di templi e logge vi erano
vendite e baracche, Cristo invece che Hiram, ma gli scopi coincidevano.
25
26
Polo Friz 1998*, p. 110.
Polo Friz 1990, pp. 107–108.
Intrigo internazionale a Modena
551
La Massoneria è fine; la Carboneria fu uno de’ metodi per raggiungerlo. […] La Carboneria fu detta una Massoneria popolare; meglio
si direbbe una Massoneria trasportata dal campo dell’idea in quello
dell’azione, dall’idea astratta all’idea concreta, dall’enunciazione
dottrinaria di un principio all’attuazione d’esso. Basata sulle virtù del cittadino, ebbe carattere politico ed un fine immediato, la
distruzione della tirannide.27
Allo stato dei fatti, comunque, manca la prova dell’iniziazione alla massoneria di Napoleone III, ma non si può escludere l’ipotesi che essa sia avvenuta in
segreto, ““all’orecchio del Gran Maestro”, una formula di estrema riservatezza
utilizzata per uomini particolarmente esposti nella vita civile”.28 La congettura trova alimento anche dall’intenzione, di parte della massoneria italiana, di
creare gran maestro Costantino Nigra, ambasciatore in Francia, benvoluto dall’imperatore e dai suoi familiari. Il Nigra declinò l’offerta a causa della pesante
campagna di stampa mossa contro di lui dalle testate clericali, che l’accusarono
di aver fatto una brillante carriera più per l’affiliazione che per le sue doti
personali.29 Resta evidente che, per lo meno secondo i proponenti, la carica
di capo della massoneria italiana non avrebbe creato imbarazzo né a Nigra, né
– soprattutto – a Napoleone III.
L’imperatore francese, inoltre, aveva interesse a colpire Francesco V sia per
motivi di alta politica, che esamineremo più avanti, sia per ragioni più immediate e personali.
I rapporti diplomatici tra Modena e Parigi erano inesistenti. Il Ducato estense,
infatti, era il solo Stato d’Europa a non intrattenere relazioni internazionali
con la Francia di Napoleone III. Questo gelo aveva un’origine più risalente. Nel
1830, Francesco IV fu l’unico sovrano europeo a non riconoscere Luigi Filippo
d’Orléans, ritenendolo un usurpatore. Salito al trono nel 1846, Francesco V non
mutò la linea politica del padre, malgrado il principe di Metternich si fosse
27
Dito 1905, pp. 69–70. Secondo Mola, questo è “un testo tuttora di riferimento per lo studio
della carboneria e della massoneria” (Mola 2008, p. IX), pur avvertendo che “quella di cui qui
parla Dito non è la Massoneria sibbene quella specifica di una (breve) stagione della storia del
Paese” (Mola 2008, p. XI). Anche de Mattei ritiene attendibile l’opera di Dito (de Mattei 2001,
pp. 129–134). Contra: Della Peruta 1998, p. 8; Della Peruta 2004, pp. 13–14; Isastia 2004, passim;
Polo Friz 2004, pp. 60–64.
28
La definizione di iniziazione “all’orecchio del gran maestro” è tratta da Polo Friz 1998**, p. 320
(che non l’attribuisce a Napoleone III).
29
Polo Friz 1998**, pp. 23 e 26.
552
Alberto Attolini
offerto quale intermediario fra lui e il sovrano francese, al fine di riallacciare
i rapporti diplomatici tra i due Stati. Nello stesso anno, quasi a rincarare la
dose, la sorella del duca di Modena, Maria Beatrice Gaetana, sposava Enrico
di Borbone, più noto come conte di Chambord, pretendente legittimo al trono
di Francia in quanto figlio del duca di Berry, il secondogenito di Carlo X. “Nel
1848 anche Luigi Filippo d’Orléans scomparve dalla scena politica d’Europa,
ed è superfluo dire che se il duca di Modena non aveva voluto riconoscere per
capo della nazione francese un principe di sangue regio, quale era Luigi Filippo,
tanto più si mostrò intransigente verso il Bonaparte, figlio della rivoluzione
[sic]”.30 Nell’ottica della visione politica di Francesco V e della sua coerenza
“tutta d’un pezzo”, la chiusura nei confronti della Francia rivoluzionaria è stata
significativamente valutata nel novero delle “clamorose prese di posizione, che
non furono però tanto atti politici quanto piuttosto atti emblematici, quasi puri
e semplici simboli”.31
L’antipatia, verrebbe da dire il fastidio, che Francesco V provava nei confronti
di Napoleone III esplodeva nelle corrispondenze private del duca, specialmente
in quelle con i fratelli Forni e con Teodoro Bayard de Volo, “carteggio molto
spesso di profondo contenuto politico unito a sincero abbandono espressivo”.32
Queste ci rendono un’immagine dell’Austro-Estense molto diversa da quella superficialmente delineata dalla storiografia “ufficiale” post-unitaria: egli ci
appare come persona acuta, lungimirante, attenta alle vicende del tempo e
persino dotata di umorismo e allegria,33 tutt’altro che il povero sempliciotto
malinconico raffigurato – post mortem – dagli avversari.34 In questo contesto,
e da questa penna, i giudizi appaiono ancora più taglienti e gli epiteti ancora
più forti.
Nel 1864, in una lettera a Teodoro Bayard de Volo, Francesco V analizzava la
politica francese nei confronti dello Stato pontificio: “Io ho sempre pensato che
Napoleone vuol uccidere il potere temporale a fuoco lento, per mostrare che è
30
Dallari 1914, pp. 14–15, 30–32 (la citazione è tratta da p. 32).
Valenti 1981, p. 15. Pur trovandola interessante, si dissente radicalmente dalla successiva
valutazione di Francesco V come di una personalità schiacciata dal proprio ruolo di sovrano
e dalle proprie idee reazionarie.
32
Valenti 1981, p. 11.
33
In una lettera del 1874, ad esempio, si lamenta del suo attendente conte Galen: “riservato e
di poche parole, carattere del vero un poco freddo e con cui è difficile avere una conversazione
brillante” (ASMo, Forni, b. C62, fasc. Lettere di Sua Altezza Reale il Duca e d’altri a Sua Eccellenza
il Sig. Gen.le C.te Luigi Forni, lettera di Francesco V a Luigi Forni, Vienna 26 aprile 1874).
34
Si veda, per tutti, Fano 1941, pp. 8, 10–15.
31
Intrigo internazionale a Modena
553
impossibile tale potere”. Per raggiungere questo scopo, l’imperatore aveva agito
al fine di assottigliare il territorio, e conseguentemente la popolazione e le risorse, dello Stato della Chiesa, che ora si trovava con un deficit di bilancio spropositato e incolmabile. Malgrado il favore ottenuto dal francese presso le Corti
europee, il duca di Modena notava “mi pare che l’apatica quiete apparente di
Napoleone covi delle profonde perfidie”.35 Spesso lo aveva definito “brigante”,36
quindi il “padrone” del “galantuomo” (Vittorio Emanuele II)37 e – addirittura –
l’Anticristo, capo della massoneria. Scrisse nel 1863, in un momento di sfiducia
generato dalla politica internazionale:
Così sono al limbo e tale stato durante la burrasca è sì penoso da
desiderare di essere piuttosto lontano e […] di non saperne nulla
di questo orribile mondo servo dei frammassoni e del loro Capo
Napoleone, che alcuni già nominano e non a torto l’Anticristo. La
perfidia satanica di quell’uomo lo rende degno di tal titolo. Nessun
altro mortale ha quel genere diabolico che ha Napoleone in ogni
suo passo e parola. Ogni parola, la più apparentemente moderata,
è velenosa ed ha germi di guai di discordia ecc. in sé.38
Parole pesanti, ma rivolte a un uomo dal passato settario e che continuava a
interessarsi di occultismo.39 Un giudizio più politico, ma non meno duro, viene
stilato in un’altra missiva: “Da Napoleone non si può avere che del male, il mostrare fiducia in lui è ormai una viltà se è affettata tale fiducia, una balordaggine
se fosse verace”.40
Francesco V non era neppure tenero con l’imperatrice Eugenia: “Essa è l’unica buona, od almeno non cattiva, in quella corte, ma credo che abbia poca
testa”.41 Alcune lettere confidenziali, con espressioni di questo tenore, erano
35
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart
23 luglio 1864, n. 37.
36
Dallari 1914, p. 33.
37
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart
23 luglio 1864, n. 37.
38
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 20
novembre (indicazione posteriore dubbia, sembra più corretto luglio) 1863, n. 197.
39
Galli 1995, p. 65.
40
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 21
novembre 1863, n. 159.
41
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 18
marzo 1865, n. 25.
554
Alberto Attolini
finite nelle mani del Farini, a causa di una loro errata collocazione in archivio,
ed erano state pubblicate, durante la Conferenza di Zurigo del 1859, con il fine
di inasprire ulteriormente i rapporti – già tesi – tra i due sovrani.42
Tra Napoleone III e Crouy-Chanel, al contrario, vi era quasi un idillio, provato
dal fatto che l’imperatore manteneva l’anziano bonapartista con un sussidio
annuo.43
Il 1863: l’annus horribilis
Un ulteriore elemento a conferma della tesi che vuole questa causa come una
provocazione politica pianificata a tavolino, viene dalla singolare coincidenza
temporale tra essa e altri eventi, letteralmente nefasti per Francesco V. Il 1863
vide, infatti, una serie di accadimenti molto negativi e pesanti per il duca, tanto
da poter essere definito un annus horribilis. Il momento ideale per colpire il
nemico già indebolito.
La nota più dolente dell’anno fu lo scioglimento della Brigata estense, l’esercito ducale che aveva seguito il sovrano nell’esilio. Nel Trattato internazionale
di alleanza stipulato nel 1847 tra Modena e Vienna, era previsto l’obbligo di
mantenimento delle truppe alleate. Per questo motivo, dopo un iniziale inquadramento nell’esercito imperiale, nel corso della breve campagna del 1859,
gli estensi vennero dislocati nel Veneto, mantenendo le proprie uniformi e le
proprie bandiere. Nonostante la Pace di Zurigo, che prevedeva il ripristino del
Ducato di Modena, venisse disattesa, facendo sfumare così l’occasione di un
impiego di questi militari per il rientro del duca nel suo Stato, la Brigata estense
rimase perfettamente inquadrata per oltre quattro anni. Essa era, assieme alla
rappresentanza diplomatica a Vienna, l’ultimo segno tangibile della sovranità
di Francesco V.
La smobilitazione di questa unità fu una misura politica, chiesta a gran voce
dai liberali, capeggiati dal deputato Carl Giskra, sulla base di motivazioni di
bilancio assolutamente infondate. La reale natura del provvedimento emerge
considerando che gli effettivi dell’esercito ducale passarono tra le file austriache
oppure vennero pensionati a carico dell’erario austriaco, quindi senza che dallo
scioglimento sortisse alcun beneficio economico. Il rifiuto di una posizione
intermedia, consistente nel passaggio dell’intera Brigata estense nei ranghi im42
43
Bayard 1881, pp. 72–73.
Bayard 1881, p. 190.
Intrigo internazionale a Modena
555
periali, rese ancora più palese la matrice della decisione di smembrarla. Simbolo
esteriore della sovranità estense, era ormai la personificazione della Reazione.
Nei duri anni dell’esilio e dell’emarginazione, non fu falcidiata dalle diserzioni
e dai congedi, come speravano i liberali, ma divenne – al contrario – un polo
di attrazione per molti italiani renitenti alla leva, che attraversavano il Po per
arruolarsi sotto le insegne di Francesco V. Le trattative sullo scioglimento e
– in buona sostanza – sul futuro dei militari, furono lunghe, complesse ed
amareggiarono molto il sovrano estense.44 Ne è prova in primo luogo la pubblicistica edita sull’argomento in quegli anni, dove la polemica verso i liberali,
cede il posto, dopo la smobilitazione, a quella verso l’Impero d’Austria.45 Il
ragionamento sotteso a questa evoluzione è semplice e logico: se i liberali hanno
fatto quanto ci si poteva aspettare da loro, è stato l’imperatore a disattendere
al suo duplice ruolo politico (inteso in senso reazionario) e dinastico. “Un patto
solenne stava garante che a Modena Francesco V doveva continuare a regnare.
Ma altro è promettere, altro è mantenere. […] Arciduca d’Austria, il Duca di
Modena teneva fermo alla parola dell’Austria […]”,46 venendo invece offerto
“in olocausto al principio di non-intervento, proclamato imparziale a parole,
sempre parzialissimo a fatti”.47 Bayard de Volo, quasi vent’anni dopo, cercò di
placare gli animi, sottolineando che l’imperatore dovette subire “influenze così
diverse dai veri e spontanei suoi sentimenti”.48
Il malumore verso il governo asburgico, tuttavia, era diffuso, anche tra chi
riusciva a scindere i differenti ruoli del governo e del capo di Stato. Un buon
esempio ci viene dalla cronaca di Giulio Besini, una tra le poche guardie nobili
d’onore ad aver seguito il sovrano in esilio,49 che già il 31 dicembre 1862, nove
mesi prima dello scioglimento, notava:
quello che più sorprende e strazia veramente l’animo si è il vedere
che siamo anche perseguitati da quelli stessi che pur ci dovrebbero
sostenere e che ne hanno un sacrosanto dovere, sia perché noi
44
Troupes 1862; Autriche 1863; Cinquantadue 1863; Giornale 1866; Bayard 1881, pp. 140–174;
Bianchini Braglia 2007.
45
Del Corno 2015, pp. 32–34.
46
Cinquantadue 1863, p. 43.
47
Cinquantadue 1863, p. 41.
48
Bayard 1881, p. 146.
49
La Guardia nobile d’onore era un corpo militare sui generis, con mere funzioni di
rappresentanza. Nel 1859, solo 9 guardie su 119 seguirono il sovrano.
556
Alberto Attolini
siamo qui per la loro causa, sia pei trattati i quali ci legano reciprocamente. Intendo parlare del Governo austriaco che dopo tante
promesse, assicurazioni e belle parole ha poi finito col “decretare
che gli assegni per la Brigata Estense sarebbero dalle I.R. finanze
pagati solamente fino a tutto Ottobre del 1863”. Ecco dunque i
nostri alleati, i nostri amici, quelli soli che in Europa avrebbero
dovuto aiutarci ecco che fra pochi mesi ci pianteranno con tanto
di naso. Povero Imperatore chi sa mai dove lo trascineranno le sue
riforme liberali e quelle maledette Camere alle quali siamo debitori
di questa bella misura che ci riguarda: misura che per la verità
del resto non vi sarebbe stata perché i sentimenti personali dell’Imperatore non possono essere migliori a nostro riguardo. Eccoci
dunque perseguitati dai nemici ed abbandonati dagli amici: a chi
dunque ricorrere? … in chi sperare? … Propriamente non v’è più
da sperare che in Dio e nella giustizia della nostra causa […].50
La tensione nei rapporti con l’Austria emerge diffusamente nelle corrispondenze di Francesco V, che il 20 giugno 1863 scriveva da Sárvár: “Io stò bene, ma
non allegramente, giacché lo scioglimento delle mie truppe in prospettiva non
mi lascia godere di nulla”.51 In più occasioni il duca si lamentava dell’Austria
e del generale Ludwig von Benedek, capo della commissione incaricata per le
procedure relative alla liquidazione della Brigata estense, tra cui la definizione delle condizioni da accordare ai militari modenesi che fossero passati nei
ranghi asburgici o pensionati. L’11 agosto 1863 Francesco V, esasperato dagli
imperiali, che si rivelavano più fiscali di quanto si sarebbe aspettato, scrisse:
“Ciò si chiama far le cose colle calcagna al solito modo illogico ed incoerente
che ha sempre caratterizzato gli Austriaci”.52 Pochi giorni dopo, von Benedek
emanò un dispaccio in cui correggeva il tiro e il duca, rasserenato, ne parlava in
termini entusiasti: “Esso è concepito in termini i più delicati possibili e si vede il
cuore e la lealtà di Benedek”.53 Il rammarico non era solo politico, essendo ben
presente anche la preoccupazione umana per la sorte dei suoi fedeli militari,
50
Besini 2015, p. 258.
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Sárvár 20
giugno 1863, n. 62.
52
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 11 agosto
1863, n. 100.
53
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 18 agosto
1863, n. 107.
51
Intrigo internazionale a Modena
557
come – un esempio fra i tanti – quando notava: “l’agonia è incominciata per
la Brigata e sono ansioso di sentire come quei poveri diavoli hanno preso la
loro sentenza”.54
Il 1863 fu un anno pesante anche per la morte di diverse persone molto
vicine a Francesco V. La perdita più importante fu quella dello zio Massimiliano
d’Asburgo-Este, gran maestro dell’Ordine Teutonico, scomparso nel castello di
Ebenzweier il 1 giugno 1863. Nonostante fosse anziano e da tempo malato, era
sempre stato vicino al nipote, come saggio e apprezzato consigliere.55
Altri lutti particolarmente gravi vennero dai decessi di alcuni stretti collaboratori. Il 15 febbraio 1863 morì a Venezia il duca Gaston François Felix di LévisVentadour, legittimista francese e, secondo le parole di Francesco V, “vero amico, consigliere e factotum”56 di suo cognato, il conte di Chambord, per il quale
aveva anche svolto il ruolo di plenipotenziario e procuratore in occasione delle
nozze con Maria Beatrice Gaetana d’Asburgo-Este.57 Il 30 maggio fu la volta del
conte Luigi Benicasa, guardia nobile, ciamberlano e cavaliere in servizio permanente presso la duchessa Adelgonda.58 In agosto la serie dei lutti comprese
anche Gaetano Gamorra, già segretario di gabinetto e segretario privato del
duca, che a proposito scriveva a de Volo: “dica a Forni che fui afflittissimo della
perdita dell’ottimo segretario Gamorra, uno dei vecchi fidi nostri”.59 Egli era
stato insignito dell’Ordine dell’Aquila Estense e aveva seguito, con la famiglia,
il sovrano in esilio (morì infatti a Padova), continuando a curarne gli affari. Il 28
luglio era stata la volta di Constantine Phipps, marchese di Normanby, autore
della celebre Difesa del duca di Modena contro le accuse del Signor Gladstone,
“altra perdita per noi”.60
A questi turbamenti si aggiunsero i processi, sia quelli che videro il duca parte
(attore o convenuto) per motivi economici, sia quelli politici. In quest’ultima
54
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 18 agosto
1863, n. 107. Sulle precarie condizioni di molti ex militari estensi si veda Menziani 1988.
55
Bayard 1881, pp. 244–252.
56
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 15
febbraio 1863, n. 17.
57
Dallari 1914, pp. 31–32.
58
Bayard 1881, pp. 259–260; Besini 2015, p. 266.
59
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 11 agosto
1863, n. 100, il testo prosegue con l’intenzione di Francesco V di beneficiare la vedova.
60
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart
2 agosto 1863, n. 92.
558
Alberto Attolini
categoria è da ricomprendere anche il giudizio nei confronti del conte Girolamo
Riccini, persona da sempre invisa a Francesco V. Il procedimento in parola,
infatti, finiva per giudicare e censurare l’operato politico di Francesco IV. Il
Riccini aveva chiesto – a sua difesa – di poter produrre lettere e ordini del
defunto duca, facendo commentare al figlio: “sono cose disgustose”. E mentre
l’affare prendeva “forme poco pulite”, alcuni “birboni” tentavano di vendere
alcuni documenti a Francesco V.61
A fine anno il duca tracciava amaramente un bilancio della sua vita dal 1859:
Io mi sacrificai al mio posto per 13 anni, subendo due rivoluzioni
e perdita dello Stato, sacrificai la mia libertà per ormai altri 5 anni,
attendendo un dénouement o che S.M. avesse avuto bisogno di me.
Lo sacrificai per ultimo pur le mie truppe, e per non star lontano da
mio Zio ottuagenario [Massimiliano d’Asburgo-Este, nda]. Un altro
avrebbe trovato beata la vita del Prater e del Kärntner Theater, io
ne ho sin sopra le orecchie, quindi fu solo il sentimento di dovere
che me tenne a portata di adempiere ad un dovere di essere utile
a qualcuno. La morte di mio Zio, lo scioglimento delle mie truppe
mi dispensano dai doveri principali. Il capo di mia famiglia non
sa cosa farsi di me e sono convinto che anche in caso di guerra
succederebbe altrettanto. In detto caso gli Arciduchi, massimo poi
io, o riceverei un cenno di non andare all’armata o vegeterei ad un
quartier generale, inutile a tutti.62
L’Austria isolata
Il 1863 non era un momento particolarmente felice neppure per l’Austria, fatto
che conferma la singolare coincidenza temporale tra una situazione difficile e
lo scandalo provocato dalla causa intentata da Crouy-Chanel.
61
Manfredi 2016; ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de
Volo, Venezia 15 febbraio 1863, n. 17 (da cui si trae la prima citazione); ASMo, Bayard, b. 68,
fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 23 febbraio 1863, n. 29 (da cui si
traggono le altre citazioni).
62
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 21
dicembre 1863, n. 199.
Intrigo internazionale a Modena
559
L’impero asburgico si trovava, infatti, a scontare un isolamento internazionale originato dal suo ambiguo comportamento in occasione della Guerra di
Crimea. Allora “l’Austria, nonostante il debito di riconoscenza verso lo zar
per l’aiuto prestatole nel 1849 nella repressione della rivoluzione ungherese,
non scese in campo a fianco della Russia”.63 I motivi della rottura del fronte
reazionario furono molteplici. In primo luogo influirono la personalità e gli
atteggiamenti dei sovrani, in particolare dello zar Nicola I, che, fermo nei suoi
principi politici e conscio della sua forza militare, si pose come il capo naturale dello schieramento conservatore, comportandosi quasi come il tutore di
Austria e Prussia, le quali – al contrario – non gradivano le sue ingerenze.
Tra queste ultime, poi, vi era rivalità per il ruolo di guida del mondo germanico.64 Mentre gli ambienti economici austriaci spingevano, addirittura, per
un’alleanza con la Francia, il governo asburgico paventava la politica zarista
come fattore di destabilizzazione non solo per l’Impero ottomano, territorio
esterno anche se confinante, ma anche per il suo interno, temendo possibili
turbolenze nazionaliste slave. Questa è la cifra per interpretare le successive,
disastrose, mosse austriache: dall’iniziale neutralità, all’occupazione dei principati danubiani (segno di diffidenza verso la Russia), al trattato del 1854 con
le potenze occidentali, fino al disastro della Conferenza di Vienna del 1855.65
Tale politica ambigua causò l’isolamento internazionale dell’Austria, mentre
“la Corte russa era dominata da un sentimento: il rancore contro l’Austria per
il”tradimento” dell’antica alleanza”.66 La conseguenza più immediata si vide in
seguito alla Pace di Zurigo del 1859: giocando sul fatto che la restaurazione
dei troni di Modena e Firenze non era materialmente possibile senza il loro
consenso, Russia e Francia subordinarono il reintegro di quei sovrani (che – si
sottolinea – erano membri della Casa d’Asburgo) a condizioni inaccettabili e fra
loro contraddittorie. L’impero zarista chiedeva, infatti, una nuova discussione
dei trattati del 1856 (post Crimea), mentre l’impero napoleonico reclamava
addirittura la revisione di quelli del Congresso di Vienna del 1815. L’Austria ne
usciva umiliata e isolata.67 Anche il seguente Convegno di Varsavia, del 1860,
tra Austria, Russia e Prussia, fu un insuccesso:
63
Della Peruta 1996, p. 242.
Valsecchi 1964, pp. 576–577, 587.
65
Valsecchi 1964, pp. 587–588, 591–592, 613–615.
66
Valsecchi 1964, p. 623. Similmente Fejtö 1990, p. 17.
67
Valsecchi 1964, pp. 740, 744.
64
560
Alberto Attolini
Le “conferenze di Varsavia” non avevano partorito nulla: avevano, casomai, esorcizzato definitivamente il fantasma della Santa
Alleanza, che Vienna si sforzava invano di evocare; avevano contribuito piuttosto a paralizzare, che non a sostenere, le velleità di
Vienna di riprendere l’iniziativa. Il risultato di Varsavia è – come
l’aveva definito argutamente Gorciakoff – un ramo d’ulivo gettato
nell’acqua, “un coup d’olivier dans l’eau”.68
A questa situazione andava aggiunta l’annosa questione ungherese, che vedeva il popolo magiaro in grande fermento e protesta per porre fine al rigido centralismo di Vienna e ottenere il riconoscimento delle proprie istanze
nazionali.69 La stessa corona imperiale del Messico, offerta da Napoleone III
all’arciduca Massimiliano, aveva provocato una frattura in seno alla Casa d’Austria e si sarebbe rivelata, nel volgere di pochi anni, l’ennesima magra figura
internazionale.70
Francesco V commentò questa situazione con toni duri, e una visione analitica del frangente particolare e dei suoi possibili sviluppi:
Deploro di vero cuore le aberrazioni Viennesi contro Russia e Prussia e le simpatie Occidentali. È un tornare al vomito. Le prime ci costarono tutto a noi ed ad essa la Lombardia, questa 2a volta potrebbe
far sì la politica attuale che si dovesse cantare un De profundis a
questa malconsigliata Austria, che pare cerchi solo l’approvazione
di quelli che vogliono perderla. La Provvidenza le dà l’ultima occasione di salvarsi, essa se persevererà nella politica erronea del
1854 non sò se si meriterà un nuovo miracolo dalla Provvidenza
per conservarla. Spero che il vento nelle altre regioni sarà diverso
di quello che lo sembra dalle gazette anche semi-uffiziali, ma se è
tale, l’Austria è una suicida. La Prussia e Russia agiscono ora bene,
perché sono prese pel collo dalla rivoluzione, bisogna quindi dar
loro la mano, giacché la Provvidenza ci ha già vendicato castigando
dette Potenze pel mal fatto riconoscendo l’Italia e non ajutando
68
Valsecchi 1964, pp. 812–814, la citazione è tratta da p. 814.
Della Peruta 1996, pp. 212–213.
70
Herre 1979, pp. 238–250.
69
Intrigo internazionale a Modena
561
l’Austria. Se vogliamo avere una politica di vendetta, la Rivoluzione, dopo le lodi, ci strozzerà infallibilmente. Dio illumini, in questi
supremi momenti, S.M.71
Gli avvocati
L’ultimo punto da esaminare riguarda i legali e gli altri consulenti cui CrouyChanel si era affidato. Il pretendente era patrocinato da un vero e proprio collegio difensivo che vedeva gli avvocati modenesi Gustavo Benucci e Gugliemo
Raisini affiancati, già dal primo grado di giudizio, da nomi del calibro di Giovanni Battista Cassinis, Pasquale Stanislao Mancini e Sebastiano Tecchio, deputati
della sinistra storica, con esperienze ministeriali e in odore di massoneria (pur
non essendo certa la loro affiliazione) per le loro idee politiche rigidamente
laiche. In Cassazione, poi, comparve anche Francesco Crispi.72
Si trattava, come notato, di personalità di primo piano e giuristi di chiara
fama. Cassinis, già avvocato di Cavour, ricopriva l’incarico di presidente della
Camera dei deputati;73 Tecchio, suo predecessore sullo scranno più alto del
ramo elettivo del parlamento, era “uno dei più noti avvocati di Torino”.74 Mancini, ricordato come “avvocato di fama cui si attribuivano guadagni favolosi”, fu
tra gli ideologi del processo unitario e maestro del futuro Umberto I.75 Crispi,
garibaldino e massone, fu un politico di lungo corso, più volte presidente del
Consiglio dei ministri.76 Anche i legali modenesi erano principi del foro e, di
conseguenza, costosi.77 Ai sei giuristi occorre aggiungere ulteriori qualificati
collaboratori: il già citato Albert Nyáry e l’ingegnere Manfredi (che “gli presta servizio nella traduzione delle di lui Memorie dall’ungherese all’italiano”,
71
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 3
marzo 1863, n. 38.
72
Manzini 1863, pp. 12–13, 36, 42; Bayard 1881, p. 191; Cassazione 1866; ASMo, Prefettura,
fasc. carte sciolte, minuta del prefetto al Ministero dell’interno, Modena 26 agosto 1863, n. 155.
73
Martone 1978.
74
Cecchinato 2019.
75
Mancini 2007 (da cui si trae la citazione); Albertario 1934.
76
Fonzi 1984.
77
Barbieri 1971, p. 334.
562
Alberto Attolini
in quanto il magiaro “non è bene fermo nell’idioma italiano”78 ), oltre a Luigi
Manzini, direttore del periodico modenese La Vipera, autore di testi a supporto
del pretendente.79
Non passò inosservata la sproporzione tra i mezzi di Crouy-Chanel, privo
di rendite all’infuori del sussidio proveniente da Parigi, e i costi di un tale
collegio difensivo, uscite che, oltretutto, si andavano a sommare a un tenore di
vita molto dispendioso e alle già citate beneficienze. Negli ambienti diplomatici
del tempo correva voce che il finanziatore dell’impresa fosse Napoleone III.80
Un’altra fonte di sostegno economico avrebbe potuto essere la massoneria, che
poneva ai suoi affiliati un “obbligo di pagare elevate quote associative e costose
patenti di iniziazione o di passaggio di gradi”. Queste somme erano destinate
al mantenimento in vita della struttura e la principale causa di radiazione dei
singoli massoni era la morosità.81 Alla luce dei fini ultimi della causa legale,
e considerando i ruoli apicali ricoperti dal suo protagonista all’interno del sodalizio, si può ipotizzare che una parte dei fondi necessari all’operazione sia
giunta anche dagli ambienti massonici. Detta ipotesi appare assai verosimile se
si considera l’importante finanziamento dato, appena pochi anni prima, dalla
massoneria britannica a Garibaldi, per agevolarne la campagna contro il Regno
delle Due Sicilie.82
Conclusioni
La vera natura di provocazione politica della causa intentata contro Francesco V
è incontestabile. A tal proposito valgono le parole del suo attore, Crouy-Chanel,
riprese da uno dei tanti opuscoli che – secondo l’uso del tempo – riportavano
le parti più salienti della controversia:
ho respinto lungi da me qualsiasi pretesa al sovrano potere, e […]
nelle ultime ore della mia vecchiezza, siccome in tutto il resto della
mia vita, ho una sola pretesa, quella cioè, di concorrere coi prodi
78
ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna
8 maggio 1864.
79
Di argomento politico, usciva tre volte a settimana: Annuario 1864, p. 267.
80
Bayard 1881, pp. 190–191.
81
Polo Friz 2004, pp. 53–54.
82
Di Vita 1990.
Intrigo internazionale a Modena
563
soldati della mia patria ungherese al conseguimento della sua indipendenza e della sua libertà. Ed il processo che muovo ora all’exduca di Modena ha ben anco questo scopo; perocché, minando nella
sua base le pretese legittimità degli Absburgo d’Italia, e così quelle
degli Absburgo d’Ungheria, mercè la copia delle prove istoriche e
legali che proveranno la loro flagrante illegittimità, questo processo
darà l’ultimo crollo al trattato di Villafranca, sospeso ancora per un
filo a questa pretesa legittimità.83
Concetto ripreso ed esplicitato maggiormente in un suo scritto successivo,
dove riferendosi alla contesa legale afferma:
se […] deve avere per conseguenza la restaurazione della Polonia,
l’indipendenza completa dell’Italia, e l’emancipazione della mia patria originaria l’Ungheria, io confesso che sarò ancora felice nelle
ultime ore di mia vecchiezza, d’essere il mille ed uno di più per
il compimento alla grande opera della rigenerazione sociale per
mezzo di Napoleone III, diventando egli così per il suo genio umanitario il moderno Carlo Magno della Democrazia Cristiana. Allora
sarà raggiunto il fine del mio processo contro l’ex-duca di Modena
della casa d’Absburgo, perocché allora il regime dispotico di questa
casa avrà cessato di esistere.84
Simili dichiarazioni di intenti, inquadrate nel contesto sopra esaminato, palesano come Francesco V fosse attaccato non solo come duca di Modena ma anche
come simbolo della Reazione e come arciduca d’Austria. La sua vulnerabilità
(causata dall’esilio e dalla marginalizzazione politica e dinastica) lo rendevano
un bersaglio facile. La sua caduta, ad opera di una magistratura ostile, poteva
essere il possibile preludio a turbolenze rivoluzionarie nell’impero asburgico.
Fu la Corte di cassazione ad archiviare le assurde pretese di Crouy-Chanel.
Ancora una volta, tuttavia, si deve notare una singolare coincidenza temporale:
la sentenza conclusiva della vertenza porta la data del 25 agosto 1866, successiva
alla sconfitta subita dall’Austria a Sadowa (3 luglio) e alla sottoscrizione dell’Armistizio di Cormons (11 agosto), che poneva le basi per l’annessione del Veneto
83
La citazione, corsivi compresi, è tratta da Manzini 1863, pp. 14–15; il brano è pubblicato anche
in Bayard 1881, p. 189.
84
Manzini 1863, pp. 58–59.
564
Alberto Attolini
all’Italia e per la normalizzazione dei rapporti diplomatici tra i due Stati. Lo scenario internazionale era cambiato e le provocazioni di Crouy-Chanel non erano
più necessarie per destabilizzare l’Austria, definitivamente ridimensionata nel
suo ruolo europeo. Di conseguenza, Francesco V poteva uscire vittorioso.
Alla luce di quanto esposto, sembra confermata in pieno la tesi di Teodoro
Bayard de Volo, che vedeva alle spalle di questa vicenda la regia occulta di Napoleone III e delle forze rivoluzionarie.85 Allo stesso modo si può comprendere
perché Nyáry rischiasse di bruciare sul nascere la sua carriera di studioso, firmando opuscoli scientificamente imbarazzanti: il sostegno alle strampalate tesi
del francese era meramente strumentale, in quanto il vero obiettivo risultava
essere l’Ungheria. Nyáry in realtà non aveva condotto ricerche storiche, ma aveva seguitato il suo combattimento contro l’impero asburgico utilizzando carta
e inchiostro come armi. La sua motivazione non era soltanto l’ammirazione per
Crouy-Chanel, ma anche il suo ideale nazionale.
La causa e i commenti di Francesco V
Esaurito l’esame del momento politico in cui si svolse la vicenda e – ritenuti
– provati gli occulti intrecci internazionali alla sua base, resta da vedere come
procedette la causa.
Il 10 ottobre 1863 iniziò il giudizio di primo grado, nel quale Francesco V fu
parzialmente soccombente. Il Tribunale di Modena, infatti, pur dichiarandosi
competente a decidere su diritti feudali creati secoli prima da un’autorità non
più esistente (il Sacro romano impero), ammise la propria incompetenza a giudicare un sovrano, ancorché spodestato, stante il riconoscimento internazionale
di cui ancora godeva. Entrambe le parti impugnarono la sentenza e la Corte
d’appello di Modena, il 5 agosto 1865, ribaltò la precedente decisione, riconoscendosi competente su entrambi i punti. La Suprema corte di cassazione, allora
ancora insediata a Torino, accolse le tesi della difesa del duca, pur emanando, il
25 maggio 1866, una sentenza molto particolare. Nella sua motivazione, infatti,
trovava posto un duro atto d’accusa al governo austro-estense, assolutamente
fuori luogo rispetto ai delicati temi giuridici sollevati. Le spese di lite, inoltre,
venivano compensate tra le parti, malgrado la vittoria totale di Francesco V.
Bayard de Volo ipotizzò, al riguardo, che un giudice avesse scaltramente utilizzato la visibilità datagli da quell’affare per fini personali: “Relatore ed estensore
85
Bayard 1881, pp. 175.
Intrigo internazionale a Modena
565
della sentenza fu il modenese Avvocato Pietro Muratori, sino al 1855 Priore del
Collegio dei causidici in Modena, il quale non aveva certo titoli personali per
isfogare tanta bile; ma che le opinioni professate avevano rapidamente fatto
salire ai primi seggi della Magistratura italiana”.86
Dalla corrispondenza di Francesco V possiamo ricavare che egli seguì la
causa senza eccessivo interesse, vivendola più come un fastidio che altro e
scrivendone al solo conte Bayard de Volo. Già nel dicembre 1863, dopo aver
definito il Crouy-Chanel “sedicente principe”, si informava sulla distribuzione
di copie di uno degli opuscoli redatti da Bartolomeo Veratti a confutazione delle
tesi del francese.87 La pubblicistica era uno degli strumenti difensivi del duca,
che la reputava un mezzo utile per far conoscere le proprie posizioni e per
confutare le tesi avversarie, per quanto palesemente infondate.88 A tal fine, si
avvaleva anche della collaborazione del fedelissimo Porphyre De Laulne, che
da Parigi teneva sotto controllo la stampa francese, provvedendo a replicare
agli articoli ritenuti dannosi, secondo una linea di condotta dettata dal sovrano
a de Volo:
Ella quindi gli scriva [a De Laulne, nda] che soltanto se in Francia
l’affare del processo Crouy-Chanel facesse chiasso e mi si attribuissero proteste ecc. egli facesse mettere ciò che crede meglio del
materiale speditogli. Insomma, non vorrei levar polvere se il mondo
non se ne occupa, e se se ne occupa, rettificare le cose dandovi poca
importanza.89
L’attenzione del duca si focalizzava anche su come la stampa amica, in particolare Il Difensore di Modena, riportava la cronaca del processo,90 malgrado
la scarsa stima nutrita verso questa testata. Il 28 maggio 1865 si lamentava:
86
Bayard 1881, pp. 196–199 e 199–200 nota 1 (da cui si trae la citazione); Cassazione 1866.
ASMo, Bayard, b. 68, fasc. 1863, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 30
dicembre 1863, n. 208.
88
ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna
18 agosto 1865.
89
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart
15 agosto 1865, n. 98.
90
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 20 luglio
1865, n. 80; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V,
Vienna 21 luglio 1865; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo
a Francesco V, Vienna 25 agosto 1865.
87
566
Alberto Attolini
“Peccato che il Difensore sia in mani sì sciocche e non diretto da uomini riflessivi come, per esempio, Veratti”,91 mentre, il successivo 5 settembre, “insolenti
articoli all’indirizzo dell’Austria e di S.M.” lo spingevano a domandarsi: “E questi
sono Duchisti?”.92
Come già accennato, Francesco V non dava troppa importanza al procedimento, classificandolo fin dal principio come un cavillo giuridico: “Questa è
una chicane in fondo, ma in ogni modo una vessazione e per far scandalo”.93
Dopo la sentenza della Cassazione, il duca trasmise a Teodoro Bayard de Volo
una nota, che venne ripresa dalla Gazzetta di Vienna.94 Nei giorni seguenti, il
de Volo redasse una “informazione storica dell’andamento della causa”, che,
inizialmente richiesta dal re di Napoli,95 venne trasmessa anche al duca di
Modena96 e servì di base per un opuscolo riassuntivo della vicenda.97
Al momento di scrivere il terzo tomo della Vita di Francesco V, Bayard de Volo
contattò Bartolomeo Veratti, per di ricostruire la vertenza. L’avvocato la definì
testualmente “commedia del Crouy-Chanel”, mentre l’ex diplomatico infarcì
i suoi appunti di commenti altrettanto salaci, rivolti sia al pretendente (“un
giullare venuto dalla Senna”) che ai suoi difensori.98
Rimase inedito un ulteriore sgradevole episodio, che oggi definiremmo di
sciacallaggio, avvenuto durante la pendenza del procedimento. Bayard de Volo
scriveva al duca:
91
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, s.l. 28 maggio
1865, n. 76.
92
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart
5 settembre 1865, n. 104.
93
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1864, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 3
gennaio 1864, n. 1.
94
ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, appunto di Teodoro Bayard de Volo allegato a lettera
del medesimo a Francesco V, Vienna 5 settembre 1866.
95
ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna
17 settembre 1866.
96
ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna
18 settembre 1866.
97
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1866, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Wildenwart
21 settembre 1866, n. 22; ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo
a Francesco V, Vienna 7 agosto 1868.
98
ASMo, Bayard, b. 115, fasc. Citazioni e memorie desunte principalmente da miei libri, opuscoli
e stampe in ordine alla vita e ai fasti di SAR Francesco V Arciduca d’Austria d’Este, Duca di
Modena, Reggio, Massa, Carrara, Guastalla ecc. ecc. ecc. e riportate in N° IV Epoche, lettera di
Bartolomeo Veratti a Teodoro Bayard de Volo, Modena 5 gennaio 1881 e appunto “N° IV (pagine
numerate 16, allegati n° 1)”, pp. 1, 3, 5.
Intrigo internazionale a Modena
567
La suddetta Ambasciata [la sede diplomatica austriaca a Parigi,
nda] ha, non ha guari, riferito a questo Imperiale e Regio Ministero
degli Affari Esteri (che lo ha comunicato a me con apposita Nota)
che un certo Rochas si asserisce possessore di documenti originarj
che concernono la famiglia Croy-Chanel, e quindi la causa che si
agita con V.A.R., ed offresi di entrare in trattative per la loro cessione. Perché V.A.R. conosca esattamente di che si tratta, unisco qui le
copie della Nota Ministeriale, del Rapporto del Principe Metternich
e la memoria del Sig. Rochas.
Il diplomatico estense proseguiva sconsigliando, “sommessamente”, l’acquisto di tali documenti, che non avrebbero aggiunto “gran peso nella discussione
delle temerarie pretese Crouy-Chanel, cui la pubblica opinione dà quel valore
che meritano”. Il suggerimento era accolto dal sovrano che scriveva, in calce
alla copia della nota ministeriale austriaca, “rifiutata assolutamente l’offerta”.99
Tale determinazione era ribadita con forza nella risposta al suo ambasciatore:
“Non accetto i documenti sulla famiglia Crouy Chanel offertimi, ossia li rifiuto
recisamente, anche se me li dessero gratis”.100
L’epitaffio per la vicenda può ben essere ricavato dalle contemporanee amare
riflessioni di Francesco V su un’altra sentenza: “Oggi Ciska ebbe una comunicazione d’una sentenza da Lei. Gliela lascerò leggere, perché quelle cose non sono
buone che da muover bile. Già so che, al solito, devo pagare e per me mi basta.
La giustizia del ladro politico non si avrà mai, ma sempre nuove spogliazioni”.101
Epilogo
L’ultima annotazione riguarda le successive vicende umane di Crouy-Chanel.
Rientrato in Francia, proseguì le sue attività poco chiare, venendo infine, sempre nel 1866, condannato in contumacia ai lavori forzati, “quale complice del
cassiere infedele e falsario che aveva sottratto, a danno dell’amministrazione
99
ASMo, Bayard, b. 70, fasc. 1864–1875, lettera di Teodoro Bayard de Volo a Francesco V, Vienna
6 aprile 1865.
100
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 8
aprile 1865, n. 58.
101
ASMo, Bayard, b. 69, fasc. 1865, lettera di Francesco V a Teodoro Bayard de Volo, Venezia 5
marzo 1865, n. 15.
568
Alberto Attolini
della cassa sussidiaria delle ferrovie, la somma di tre milioni e duecentomila
franchi”.102 Una voce voleva che tale ingente importo fosse finito integralmente
nelle tasche di Crouy-Chanel, che avrebbe truffato il suo complice, promettendogli un lauto interesse in cambio del prestito della sua quota di somma
rubata.103 “Morì in miseria, nel 1873, dopo un lungo ricovero in una clinica
per malattie mentali”.104 Nello stesso anno scomparve anche Napoleone III,
il regista di questa vicenda, deceduto in esilio dopo essere stato sconfitto e
umiliato nel 1870.
Sigle usate in nota e bibliografia
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102
Condanna 1866.
Bayard 1881, pp. 190–191, nota 3.
104
Polo Friz 1998**, p. 55.
103
Intrigo internazionale a Modena
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ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic
documents and in literature
Mojmír Malovecký
Comenius University Bratislava
malovecky@fedu.uniba.sk
Abstract
The study outlines the links that broaden the possibilities of didactization in context,
by conceptualizing the selected themes of Ján Kalinčiak’s novel The Prince of Liptov
with the help of the archival documents about John Corvinus. It focuses on the 19thcentury literary text comparing it to the original preserved historical documents from
15th-century Italy from the point of view of literary history and history of intercultural
relations. The practical development of the skills of analysis and synthesis for future
teachers through an information-based activity aimed to deepen the students’ knowledge of a prominent author by expanding the perspective of the contextualization of his
work and narrative by proper research, beyond the limits of the state of art in the field.
History and literature in teacher training
This study is written in the frame of the research work of the VEGA project
Unknown documents for the history of Slovakia in Italian archives (14th–16th
century).1 Therefore, we will primarily deal with the documents within the
VESTIGIA database2 and focus on the contextualization of the historical personality of John Corvinus with the published research studies on these documents.
1
Unknown documents for the history of Slovakia in Italian archives (14th–16th century) – VEGA
1/0563/19
2
OTKA 81430 sz. project: Vestigia XIV–XVI századi magyar történelmi és irodalmi források Olaszország levéltáraiban és könyvtáraiban (http://nyilvanos.otka-palyazat.hu/index.php?
menuid=930&num=81430&lang=HU); OTKA 128797 sz. project: Vestigia II. XIV–XVI századi
magyar történelmi és irodalmi források Olaszország levéltáraiban és könyvtáraiban (https://www.
otka-palyazat.hu/?menuid=223_I&pid=128797).
574
Mojmír Malovecký
The aim of this article is to point out the possible use of the correlation of
documents discovered within the VESTIGIA and VEGA projects and Kalinčiak’s
historical novel The Prince of Liptov.3,4 The novel’s plot centres around the Duke
of Liptov, prince John Corvinus.5 The main theme of the work is the portrayal
of the historical situation in Hungary in the year 1499 partly through fictional
characters, or by the fictionalization of historical figures and historical contextualization of the plot. Thus, the writer’s approach inspired us to compare the
literary narrative with the content of the historical documents themselves. Our
aim is to focus on a possible didacticization of selected themes that represent
a connection between the literary text of the novel and the extant historical
documents, and the way they can be employed either in the teaching of the
history of literature or in the teaching of the history of intercultural relations
in university degree programmes designed for future teachers of Italian as a
foreign language.
How could documents from the turn of the 15th and 16th centuries, discussed
in relation to 19th-century literary works, serve to develop the knowledge and
skills of future foreign language teachers in the 21st century? For a future foreign language teacher whose teacher training curriculum is based on three pillars: the study of linguistics of the foreign language, the study of the history of
literature, and the study of didactics of the foreign language, linking the study
of the history of intercultural relations and the history of literature is much
more important for the development of the didactic aspect. The didacticization
should not be based only on the possibility to use a factual connection of the
contents of historical documents and their intercultural substance. Moreover,
it should be focused on adding value to the teaching process by innovating and
motivating the student, a future teacher of the foreign language. That is why we
propose to connect the intercultural historical topics to the history of literature
of the native language in the framework of foreign language teaching. In this
study, we seek to show that such cross-curricular collaboration can be directed
towards complementary content that broadens the teacher’s horizon in his or
her theoretical and practical training at university. To accomplish this goal
with any plausible success, we must answer the questions that constitute our
argumentative base. The latter is constructed on the contextualization of the
author Ján Kalinčiak, his novel The Prince of Liptov, and on selected historical
3
J. Kalinčiak: Dielo I. Knieža liptovský, Bratislava: Slovenský Tatran, 2001: 165–392.
J. Kalinčiak: Knieža liptovské, Bratislava: Zlatý fond denníka SME, 2007.
5
John Corvinus (born 1473, died 1504) was illegitimate son of King Matthias of Hungary.
4
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
575
documents about John Corvinus whose content is relevant to the content of
Kalinčiak’s literary text.
Ján Kalinčiak and his novel
Ján Kalinčiak is an important Slovak writer of the 19th century. He was born
in 1822 in the village of Horné Záturčie, and he died in 1871 in Turčiansky
Svätý Martin. He started working on the novel The Prince of Liptov in 1845
as a young writer at the age of 22 and he finished it in 1852 when he was 30
years old. In relation to the novel, it is essential to point out some significant
facts concerning his youth that could have had a major influence on his literary
work related to the history of the Kingdom of Hungary. He grew up in a family
of an Evangelical (Lutheran) parish priest. He studied at the Gymnasium in
Gemer, then at the Evangelical Lyceum in Levoča, and finally in Bratislava. In
the years 1843–1845, he studied history and philology at the University of Halle
in Germany. In his biography he describes how in his youth he learned about
the past.6 That was the very source of his affinity for the history of the landed
gentry and the life of the nobility in Hungary. Then, in our opinion, the focus of
his studies in Halle also had an impact on his work in terms of his methodology,
influencing the new way in which Kalinčiak handled the historical themes in
his novel The Prince of Liptov.
The text is an example of the period of transition in literary history between
Romanticism and Realism. The author does not only draw on the romantic
attraction of the antiquities, but he creates a fictional narrative based on his
experiences with the oral tradition of the rendering of the events in the families
of the landed gentry., At the same time, he realistically uses a sophisticated
method in which he interweaves the lives of fictional characters, for instance
the love of Červeň and Marienka, and contextualizing the plot in relation to
historical figures and historical events that are not fictional but grounded in
a contemporary knowledge of the history of Hungary at the end of the 15th
century. Although the literary characters act as part of a historically contextualised plot, their primary role is to take a moral, human, and ethical stance
despite the circumstances that surround them. Červeň is a representative of
the Corvinus wing – the fictional half-brother of the prince John Corvinus, and
6
J. Kalinčiak: Dielo I. Vlastný životopis, Bratislava: Slovenský Tatran, 2001: 288–303.
576
Mojmír Malovecký
Marienka is the fictional daughter of the historical palatine Stephen Zápoľa.7
Thus, as we can see already in the creation of fictional characters, Kalinčiak
places considerable emphasis on the fact that the main characters represent, as
it was a well-known historical fact to him, two hostile sides of the conflict.
On the one hand, this very choice points out the absurdity of looking for
references to historical figures in the novel, while on the other hand, he does
make references to historical facts.
Focusing on the author’s method we can understand why readers regard
this novel as a literary fiction with historical motifs rather than as a source of
information on the historical and social situation. Since the two main characters
are fictional, the reader easily assumes that the fiction element goes further and
does not quite know how much to trust the author in terms of historical accuracy, as is usually the case with historical fiction. Many interesting figures of
history are represented in various second-rate literary or cinematic productions
that obscure the factual record of their lives preserved in existing documents.
Analysing 15th-century documents on the life and trial of Joan of Arc, famous
French historian Régine Pernoud8 convincingly showed this approach in contemporary popular culture and proved with the help of the historical documents
how the facts have been constantly ignored by authors of both literary and cinematic biographies. In our history, King Matthias is a popular figure of literary
works that emerged in part from oral storytelling. Therefore, the story and life
of King Matthias is relatively well-known to the public. Nevertheless, this does
not apply to his son John Corvinus. The historical narrative about Corvinus
predominates over fiction in popular culture. As the two main characters of
Kalinčiak’s novel, Červeň and Marienka, are fictional, the reader is not given a
clear distinction between purely imagined characters and the historically based
John Corvinus. Therefore, the underlying plan of the author to use the novel to
popularize the historical facts does not even become apparent. Literary Realism,
stemming from Romanticism in the mid-nineteenth century, did not earn such
a reputation by readers. Contrary to this usual perception of the novel we
propose to search for its links to the historical basis of the plot of The Prince of
Liptov to contemporary historical sources. Historical sources do not know of
any brother of John Corvinus, presumed son of King Matthias, called Červeň.
7
Palatine of Hungary Stephen Zápolya, Szapolyai or Zápoľský (died 1499). Kalinčiak used
a contemporary Slovak transcription of the family name “Zápoľa”, nowadays “Zápoľský” is of
common use in Slovak historiography.
8
R. Pernoud: Jeanne d’Arc, Paris: Éditions du Seuil, 1959: 24–26.
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
577
The palatine Stephen Zápoľa had several children, but none of his daughters
was called Marienka. Ján Kalinčiak situates the plot after the death of King
Matthias Corvinus, setting the narrative in the times of the conflict between
his son John Corvinus and the Palatine of the Kingdom of Hungary, Stephen
Zápoľa. The conflict that frames the novel’s storyline was recently described,
for example, by the historian Tibor Neumann in his excellent study Private War
between the Count and the Duke (The Struggle of Stephen Szapolyai and John
Corvinus for the Duchy of Liptó).9,10 The historical atmosphere of this heated
rivalry between two prominent noblemen, which is described in detail in the
above-mentioned study by Tibor Neumann, is followed by Kalinčiak’s novel.
But, as a literary author, he does not give precise historical details on specific
events.
Historical documents vs. literary fiction
Kalinčiak’s authorial intent is to create a historical novel following a factual
narrative. The rivalry between John Corvinus and Stephen Zápoľa is a historical fact. Our concern is not only whether Kalinčiak as a historicizing author
presents actual facts, but for our intended use and application of the findings
and comparisons, it is important to discover whether he portrays the person
of John Corvinus in an accurate way based on the study of the historical facts,
or in the way he shows the atmosphere of the period through the characters
and their expressions of attitudes. Through the speech of the characters, the
novel presents Palatine Zapoľa in a negative light, and deplores the fact that
John Corvinus did not become King of Hungary. In the same way, the characters express their disillusionment with the reign of Wladislaus II. In his novel,
Kalinčiak explicitly quotes a historical source only in one place, mentioning
Antonio Bonfini,11 a historian contemporary to the Corvinus period, as follows:
9
T. Neumann: ‘A gróf és a herceg magánháborúja (Szapolyai István és Corvin János harca a
liptói hercegségért)’, Századok 148, 2014: 387–426.
10
Further reading on historical context in a study by T. Neumann: ‘Two Palatines and a
Voivode, or the Szapolyai Family’s Journey to the Royal Throne’, in: P. Fodor & Sz. Varga
(eds.): A Forgotten Hungarian Royal Dynasty: The Szapolyais (Mohács 1526–2026. Rekonstrukció
és emlékezet), Budapest, Research Centre for the Humanities 2020: 21–55.
11
Italian humanist Antonio Bonfini (born 1434, died 1503) was court historian for kings
Matthias and Wladislaus II.
578
Mojmír Malovecký
The Noble Prince was a young man, enthusiastic with a fiery mind;
his fiery soul dreamed only of the glory of the Hungarian kingdom.
King Matthias, his father, brought him up under his own tutelage,
and showed him the path to follow, instilling into his heart purity
of feeling; and old Bonfini, his tutor, poring over the history of
Hungary, recalling the old heroic days of our kings, infused into his
soul a blissful longing for the glory of the country. Matthias said:
“Prosecute iniquity, uphold law and right with all your life, love
your fatherland and seek to maintain its unity by any sacrifice.”
– Bonfini, in his turn, not troubling himself with scenes of the
present time, spoke how beautiful it was before, how beautiful
now, when our kings have lifted up their name and their countries
to the sun in deeds of war. Corvinus combined both these elements
in himself and thought: “Enlarge the glory of the country, and
yet make unity, so do what thou ought to do, so follow both the
teaching of Matthias and the great thoughts of Bonfini.”12
In the middle of the 19th century Kalinčiak does not seem to consider the
severe criticism of Bonfini commonly expressed by the prominent Hungarian
critical historiography of the 18th century. For example, Hungarian critical
historian Carolus Wagner in his famous Analecta wrote: “However, Bonfini is
less respected by contemporaries who subject everything to stricter criticism.
He is accused of putting many fables into the story, of saying many things as
he wishes, in an effort to flatter, and of often doing more as a speaker than a
historian.”13 We can see this romanticisation of Kalinčiak directly in the quoted
text. The other mention of Antonio Bonfini contextualizes the historian’s name
in the novel as follows: “And the noble lover said to me, ‘Go, Katrena, out of the
house, close the gate, take the rope from the bell, that not a sound may come
in, for I must learn the language by which I am to receive the prince, and it is a
Latin language, such as the prince has not heard even from Bonfini.’ ”14 In the
latter case, the novel mentions Bonfini only as a historical figure, again as one
in relation to the Latin language. Kalinčiak was assuming that Antonio Bonfini,
as a humanist scholar, wrote in Latin. But despite this idealization of Bonfini,
12
J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 48–49.
C. Wagner: ‘Analecta Scepusii sacri et profani II.’ Viennae: 1774, in: M. Malovecká: Karol
Wagner 1732/1790 historik Spiša a Šariša, Prešov: Vydavateľstvo Michala Vaška, 2009: 114.
14
J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 77.
13
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
579
Kalinčiak fails to mention that Bonfini was clearly on the Corvinus side under
Matthias and then was a court historian under Wladislaus II, which Kalinčiak
no longer reflects in his text either. The use of the language can be linked to
the letters written in 1490 that are listed in the Vestigia database as addressed
to John Corvinus from Italy, or from italophone authors, in Latin.15
At first sight, we might get the impression that the entire text of the novel
is more of Kalinčiak’s fiction in terms of the attitudes of the historical characters, reflecting the fading romanticism in literature. However, the lack of
historical erudition can be attributed to Kalinčiak’s young age, and today we
no longer know which of his views were influenced by the strong oral tradition
of presenting the life and history of landowning families which he had learned
from his relatives in his childhood, as he writes about it in his autobiography.16
At the same time, Kalinčiak tries to portray the attitudes and actions of the
main and minor characters in a colourful manner, on the basis of a general
characterization of universal human traits. He tends toward psychological explanations, in a novel that was written half a century before G. Schönherr17
proposed his famous biography of John Corvinus. In the text of the novel, the
word prince is mentioned 266 times and the name Corvinus 206 times, which
proves what an important part it constitutes in the plot of the novel. It also
shows that it is possible to assume various details related by the author to
the character of John Corvinus. We compared Kalinčiak’s characterization and
contextualization of John Corvinus and the contents of selected documents
in the Vestigia database. We searched the Vestigia database for 94 historical
documents where John Corvinus is mentioned. Of these, 85 are in Italian and 9
in Latin, a selection of which have been clearly summarised by Gy. Domokos in
his study ‘Adalékok Corvin János személyével kapcsolatban a Vestigia-kutatás
során számbavett dokumentumokból’.18 Therefore, we selected some examples
which we correlate with the selection of documents according to the cited study
15
Latin letters to John Corvinus, (20th April 1490). Manuscript, Sf 642/4,29, Vestigia 294; (27th
February 1490) Manuscript, Sf 642/2,19, Vestigia 297. State Archives in Milan.
16
J. Kalinčiak: Dielo I. Vlastný …, op.cit.: 288–303.
17
G. Schönherr : Hunyadi Corvin János 1473–1504, Budapest: Magyar Történelmi Társulat–
Franklin Nyomda, 1894. Reprint: Budapest: História Antik Könyvesház, 2010.
18
Gy. Domokos: ‘Adalékok Corvin János személyével kapcsolatban a Vestigia-kutatás során
számbavett dokumentumokból’. In: Hunyadiak és Corvinok, a volume to be published in Budapest
at the Institute of Hungarian Studies in 2022.
580
Mojmír Malovecký
by Gy. Domokos, to exemplify how they could be employed in the context of
teaching Italian as a foreign language.
One of the themes that reappear several times in the novel is related to the
fiancée of John Corvinus, a young Italian noblewoman called Bianca of Milan
(although Kalinčiak mentions explicitly her name and her Milanese origins,
he does not mention her belonging to the Sforza family). Bianca Maria Sforza
also appears in the letters listed by Domokos,19 as the Italian courts, especially
Milan and Ferrara were very closely associated with the court of Hungary.
A teacher could use this moment to compare the author’s narrative in the
novel to the preserved historical documents from that period. A letter from
8th December 1487 by Eleanor of Aragon20 addressed to Beatrix of Aragon21
mentions the engagement of Bianca Maria Sforza and John Corvinus.22 The
theme is also supported by later extant documents. For example, the document
Vestigia 687 23 is a diplomatic letter on behalf of Pope Alexander VI in Latin
about the dissolution of the engagement between Bianca Maria Sforza and John
Corvinus. There is also an Italian document written in the autumn of 1493, from
Lodovico Maria Sforza24 addressed to Bartolomeo Calco,25 on how to break off
the engagement in a way that Bianca Maria could enter a dignified marriage.26
In the novel we read the words of the palatine Stephen Zápoľa, when he explains
to Verbőczy27 the considerations of the marriage of John Corvinus, the only
son of King Matthias:
As Matthias began to think of Corvinus’s marriage, here he half
consented to the union of his son with my Marienka; but Pankrác
19
Idem.
Eleanor of Aragon (born 1450, died 1493), wife of Ercole I d’Este , Duke of Ferrara. Sister of
Beatrix of Aragon, Queen consort of Hungary.
21
Beatrix of Aragon (born 1457, died 1508) Queen consort of Hungary. Spouse of King Matthias,
after his death spouse of King Wladislaus II.
22
Idem.
23
Diplomatic letter on behalf of Pope Alexander VI. Manuscript. MS 4936/IV,42, Vestigia 687,
Copies of documents of State Archives in Milan related to Hungary. Gy. Domokos: ‘Adalékok…’,
op.cit.
24
Lodovico Maria Sforza (born 1452, died 1508), Duke of Milan.
25
Bartolomeo Calco (born 1434, died 1508), first ducal secretary of Duchy of Milan.
26
Letter of Lodovico Maria Sforza to Bartolomeo Calco, (11th september 1493). Manuscript, MTA
MS 4936 / IV, 37, Vestigia 682. Copies of documents of State Archives in Milan related to Hungary.
27
Stephen Verbőczy (born 1458, died 1541), Hungarian legal scholar and theologist.
20
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
581
spoke and begged the king: “Don’t do it, don’t do it, you will spoil
everything; our country squires will never have confidence in your
grace’s son if his wife is of equal origin to them.” So, the king
declared him for Bianca of Milan. Then the palatine argued, “And
would not my Marienka have been more to his crown than all these
Italian and Frankopan women?”28
The palatine Stephen Zápoľa takes part in a dialogue implying that if Corvinus had married a palatine’s daughter it would have helped him gain the
throne more successfully than an engagement to the powerful Milanese ducal
house of Sforza, or even a later marriage to Beatrix Frankopan. The engagement
to Bianca Maria Sforza, niece of Lodovico Sforza, Duke of Milan was a very
important point in international relations and could have been of a huge impact
on the history on developing further intercultural relations by continuing the
policy of tight connections between the court of Buda and important courts in
Italy. Gy. Domokos29 also reveals letters related to a certain Maffeo da Treviglio.
These authentic sources disclose that in Milan the marriage of John Corvinus
to Bianca Maria Sforza was planned with a view to the succession of John
Corvinus. We can read a reassurance that, after the death of King Matthias,
John Corvinus will ascend to the throne. In a Latin document from Hungary
to Italy, he even assures Milan that John Corvinus, although in a tense situation, has a growing circle, already 30000, of supporters and their number is
increasing, even those who supported other candidates are coming over to his
side. “[…] unde optimam spem gerimus quod nemo alter nisi ipse Dominus
noster Dominus Joannes Corvinus Dux Liptoviensis et Opaviensis in regem
costituetur […]”30 In English: ” […] whence we bear the best hope, that none but
our lord John Corvinus, duke of Liptov and Opava, shall be appointed as king
[…].”31 In the novel the theme of the support for John Corvinus after Matthias’s
death to become King of Hungary is also related to marriage plans. Domokos
notes32 that extant documents show the diverse interests of Milan and Ferrara.
There is evidence that what was favourable to the court in Ferrara was not
28
J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 24.
Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit.
30
Diplomatic letter. Manuscript, HU-MNL-OL-X 8330-DF 294065, Vestigia 184, in: Gy. Domokos:
‘Adalékok…’, op.cit.
31
English translation of the excerpts by Mojmír Malovecký.
32
Gy. Domokos: ‘Adalékok…’, op.cit.
29
582
Mojmír Malovecký
favourable to the court in Milan. We see the rivalry between the families of
Milan and Ferrara and their competition for influence over the internal affairs
of the Hungarian Kingdom.
Kalinčiak, creating a novel about the local situation at Likava Castle in Liptov, did not cover every possible historical detail, but he illustrates that the
Frankopans were in close social relations with the local noblemen when they
were in Liptov on a visit to John Corvinus. Kalinčiak speaks positively of John
Corvinus’s spouse Beatrix Frankopan and of their infant son. Thus, the novel’s
premise is clear and points out that the world of the Frankopan family as highranking members of the Croatian nobility and allied to the Italian families
(Aragon and Este) is different from the Liptov nobility, and the author presents
this as a fact. Beatrix Frankopan was the daughter of Bernardin Frankopan,
Prince of Krk and Modruš, her mother was Luisa Marzano of Aragon, her
father was Prince Giovanni Francesco Marino Marzano, Prince of Squillace. Her
grandmother was Eleonor of Aragon, who was the daughter of King Alfonso V
of Aragon. Eleonor’s brother Ferdinand I of Naples was the father of John
Corvinus’s stepmother, the Hungarian queen Beatrix of Aragon. The wife of
John Corvinus, Beatrix Frankopan was not only genealogically tied to Italy
through her mother’s line, but also through her father’s line because Prince
Bernardin Frankopan was the son of Isotta d’Este, who was the daughter of
Niccolò III d’Este Marquis of Modena and Ferrara.
In the novel, Kalinčiak portrays John Corvinus as decisive and not afraid
of controversy. In the Vestigia database a letter from Beltrame Costabili to
Prince Ercole d’Este, (Esztergom, June 27, 1490. State Archives of Modena) we
read “[…] Ancora el duca Corvino già sono giorni diece ch’el se partete di qua
insalutato hospite, da meza nocte, indigniato per havere avuto parole extranee
col predicto vayvoda et col thesaurero regio, siché aremo pace col turcho et non
mancarà bello intestine […]”.33 In English: “[…] It has already been ten days
since Duke Corvinus left without parting, in the middle of the night, indignant
for having had extraneous words with the aforesaid vayvoda and with the royal
treasurer, so that we will have peace with the Turk and will not miss a civil war
[…]”. There are many situations in the novel where John Corvinus is taking part
in a conflict. In this context, Kalinčiak in his novel allows the historical figure
of the prince to speak directly in relation to the Frankopan family as follows:
33
Letter from Beltrame Costabili to Prince Ercole d’Este, Esztergom, June 27th, 1490. Manuscript.
Vestigia 2913. State Archives in Modena, Ambasciatori Ungheria, in: Gy. Domokos: ‘Adalékok…’,
op.cit.
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
583
What is here is not all over the country – but nevertheless it will spread, and
higher courts will come. In Croatia my brother-in-law Frankopan and the whole
family are already in an understanding with me, Jakub Székely is only waiting
for me to stand up against Zápoľa; the Ujlakys34 are also in an understanding
with me – only now so that we can somehow come forward. We have only to
begin something, but only after Wladislaus has judged what I will submit to
him. The Frankopans have already gone to Buda and are working in the royal
court against Zápoľa. The King, I know, is unfriendly to him, and would not
suffer him if he had anyone in the country to count on to help him put down so
troublesome a Zapoľa. And if my accusations, which you have heard to-day, are
found to be true, well, Zápoľa must come down willingly or unwillingly. That,
then, we must wait. On the other hand, we need Zápoľa to bite us even harder,
because only then will we have the right to strike at him. – Now, therefore, we
must send to Spiš, where we shall invite him in the name of the law and of the
royal conclusion, not only to satisfy all those who have sued against him today, and to remit the estates, but also to restore to me my castle of Zombor, and,
according to the second decree of Wladislaus, which has recently been issued
to us, to restore to me the yearly benefits as well.35
The author exemplifies the importance of the Frankopans in the internal
conflicts within the kingdom but does not explain the complexity of their and
John Corvinus’s relations toward Italian courts that we consider of decisive importance for the period. The plot devised by the author is regionally focused on
introducing characters from foreign backgrounds by referring to the historical
facts of the 15th century. Still, the text of the novel fails to convey to the reader
the richness of the relationships and the supra-regional aspect of the events
and personalities to the extent that authentic documents prove. Indeed, they
make it clear that the relations of central Europe and the centres of power in
Italy in the 15th century were not marginal facts in our history, but functioned
as a key factor in the power relations of the time.
34
35
Lawrence III Ujlaky (born 1459, died 1523).
J. Kalinčiak: Dielo…, op.cit.: 18.
584
Mojmír Malovecký
Conclusion
We showed how Ján Kalinčiak episodically contextualized John Corvinus in
the elements that we can link to 15th-century authentic historical documents.
Their comparison to the 19th-century literary narrative reveals very interesting
points that could help to develop both the overall knowledge and specific skills
of the students, in this case future teachers of foreign language that represent
our target group. Thanks to the systematic research work in critical historiography and the development of systematic editions of historical sources, we
can provide students with a more detailed look directly at documents from
which immediate inferences can be made about historical figures and their interrelationships. Thus, students can study the history of intercultural relations
without depending solely on the information of historical syntheses.
Through focusing on specific aspects of a well-known major author and
his work, the following goals could be achieved. Students will acquire general
information about the literature and society of the period of the work’s creation. They tend to relate their expectations of a 19th-century work to what
they know from general handbooks on that literary period. It is likely that a
student will not have the erudition to deeply analyse the text on their own,
without help, and without learning about some aspects of the author’s intent
and the manner of its realization. We do not underestimate the student at
this point; we assume that, for example, for such novels brimming with 19thcentury historicism, we do not even now find enough specialized analyses to
help the prospective student better understand how to contextualize the work.
The available studies, relative to Kalinčiak, map mainly the literary dimensions
of his work.36 Its relation to extra-linguistic realities has not yet been the subject
of sufficient scholarly interest. However, this can only be complemented by
an interdisciplinary approach combining an analysis of the literary work with
the examination of the historical context based on authentic documents. By
comparing and correlating the seemingly incomparable and distant historical
factuality of 15th-century literature and the reverberations of Romanticism-
36
For example, studies by: A. Mráz: ‘Postavenie Jána Kalinčiaka vo vývine slovenskej literatúry’, in: Púť lásky, Bratislava: Slovenské vydavateľstvo krásnej literatúry, 1963: 7–26; J. Noge:
‘Literárne dielo Jána Kalinčiaka’ in: Slovenská romantická próza, Bratislava, 1969: 364–455;
M. Pišút: ‘Ján Kalinčiak a jeho literárne dielo’, in: Knieža liptovské, Bratislava: Slovenské vydavateľstvo krásnej literatúry, 1960: 301–315; M. Šalingová-Ivanová: Príspevok k štýlu štúrovskej
prózy (Štýl prózy Jána Kalinčiaka), Bratislava: Slovenská akadémia vied, 1964.
The Prince of Liptov, John Corvinus in historic documents and in literature
585
influenced 19th-century literature, we bring together the seemingly unconnected and very distant.
The romantic, historicizing idealization of John Corvinus detracts from the
exactitude of the portrayal of this historical figure. But Kalinčiak has captured
the atmosphere and relations around his person very well. However, the author
had no access to authentic documents relative to the Italian families of Milan
and Ferrara that developed their influence at the Hungarian court significantly
during the life of King Matthias. As we showed, the 21st-century awareness of
these facts, based on Vestigia documents, can be further developed by a teacher
to contextualize the 19th-century novel The Prince of Liptov to the history of
intercultural relations between Italy and central Europe in the 15th century.
RECENSIONES
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Éva Vígh & Eszter Draskóczy (a cura di), «Quella
terra che ’l Danubio riga». Dante in Ungheria1
Dóra Bodrogai
Università Cattolica Pázmány Péter
dora.bodrogai@gmail.com
Per il settimo centenario della morte di Dante Alighieri in moltissimi paesi
del mondo sono state organizzate celebrazioni ed eventi durante tutto l’anno
2021. Non è mancata nemmeno l’Ungheria: durante l’anno scorso si sono aperte
mostre ed esposizioni su Dante, si sono organizzati concerti e altri spettacoli in
onore del poeta fiorentino, oltre ai convegni e alle conferenze tenutesi sull’opera e influenza della sua poesia e del suo pensiero.2 È recentemente uscito anche
il primo volume in ungherese contenente l’Inferno ampiamente commentato,
disponibile non soltanto in forma cartacea ma anche digitale.3
Nella storia culturale dell’Ungheria la presenza di Dante si manifestò abbastanza presto, ma acquistò maggiore influenza soltanto alla fine dell’Ottocento.
Come affermano le curatrici Éva Vígh ed Eszter Draskóczy nella premessa del
volume, uno dei codici più antichi della Commedia risale al Trecento ed ora è
conservato nella biblioteca dell’Università ELTE. Un altro codice, contenente
la traduzione in latino della Commedia e il commento di Giovanni Bertoldi
da Serravalle, fu regalato al re Sigismondo di Lussemburgo e si trova, oggi,
1
Roma: Aracne, 2021, 376 pp.
Mostre: Dante e Liszt (Museo Memoriale Ferenc Liszt), L’universo di Dante (Associazione
Nazionale degli Artisti Ungheresi), «Silány időkből az örökkvalóba» (Museo Letterario Petőfi);
Convegni: Scienza e poesia nelle opere di Dante (Szeged–Budapest), La Commedia in Europa Centrale (Accademia d’Ungheria in Roma). Per un riassunto più dettagliato degli eventi organizzati vedi i siti. https://abtk.hu/ismerettar/evfordulok/2089-a-vilagnak-ketsegtelenullegnagyobb-koltoje-a-dante-emlekev-magyarorszagon; http://www.dante700.hu/ (ultima data
di consultazione: 28.02.2022).
3
J. Kelemen (a cura di): Dante Alighieri, Komédia I. Pokol. Kommentár, Budapest: ELTE Eötvös Kiadó, 2019, http://real.mtak.hu/107897/12/Dante-POKOL-KOM-TELJES-Vagott-07VII-2020.pdf (ultima data di consultazione: 2022.04.06.).
2
590
Recensiones
nella biblioteca della diocesi di Eger. L’Ungheria, quindi, dispone di due fonti
primarie assai importanti per la ricerca dantesca. Quanto al pensiero, invece,
Dante influisce seriamente a partire dal XIX secolo: le prime traduzioni in
ungherese risalgono a quel periodo. Tra queste dobbiamo menzionare János
Arany, uno dei maggiori poeti dell’Ottocento ungherese, Antal Radó, János Angyal e Károly Szász, il pastore protestante che aveva tradotto tutta la Commedia
per la prima volta e la cui traduzione ha ispirato quella di Mihály Babits. Questa
traduzione è, fino ad oggi, probabilmente la versione di Dante all’ungherese
più conosciuta e apprezzata, disponibile in numerose edizioni. La presenza del
poeta fiorentino nella letteratura ungherese per frequenza e abbondanza di
traduzioni è comparabile soltanto a quella di Shakespeare e della Bibbia, come
viene sottolineato anche nella premessa del volume.
Dante in Ungheria è il diciannovesimo volume della collana “Dante nel mondo” diretta da Antonio Lanza ed è stato pubblicato per celebrare proprio l’anniversario menzionato sopra. Il titolo è preso da Dante stesso: si tratta del verso
45 del canto VIII del Paradiso. Carlo Martello era il figlio di Maria d’Ungheria
e Carlo d’Angiò II, venne incoronato re titolare d’Ungheria nel 1293 e morì
giovanissimo nel 1295. Nel 1294 trascorse venti giorni a Siena e Firenze, durante
i quali ebbe occasione di incontrare Dante stesso, la cui simpatia verso Carlo
Martello viene dimostrata dal fatto che tutto il canto VIII è dedicato a lui. Il
titolo del libro fu tratto quindi da un canto non solo d’argomento ungherese
ma anche significativo per l’Ungheria. I saggi pubblicati nel volume sono redatti
sia in lingua italiana sia in inglese, il che rende il volume più accessibile a un
pubblico più vasto, nonostante potrebbe anche appesantire la lettura di chi non
possieda una conoscenza abbastanza approfondita di una o dell’altra lingua. I
riassunti in italiano all’inizio di ogni saggio aiutano l’orientamento nella lettura.
Il volume è diviso in due parti: nella prima si leggono studi su Dante scritti da
studiosi e dantisti ungheresi quali János Kelemen, Éva Vígh, Eszter Draskóczy,
Béla Hoffmann, Ágnes Máté e József Nagy. Questi contributi analizzano certi
aspetti dell’opera dantesca: presentano “le ultime ricerche, studiano le fonti
della Commedia e le interpretazioni del linguaggio (verbale e gestuale); altri
analizzano alcuni loci danteschi e contesti letterari topici” (12). János Kelemen
approfondisce il carattere sociale della lingua, esaminando tre momenti chiave:
l’interpretazione del mito di Babele e il “contrappasso linguistico”, gli aspetti
politici del programma del “volgare illustre” e, infine, il discorso di Ulisse di Inf.
XXVI. Éva Vígh, dall’altro lato, analizza il linguaggio non verbale, i gesti e la
fisiognomia di Dante, capace di esprimere lo stato d’animo e le emozioni dei
caratteri del poema. Eszter Draskóczy tratta in dettaglio i modelli di visione
Recensiones
591
e viaggio della Commedia, sia del mondo religioso sia di quello laico. Béla
Hoffmann mira a presentare le questioni metapoetiche di due canti, mostrando
i legami con la vecchia poesia e il Stilnovo; Ágnes Máté, invece, analizza alcune
coppie fittizie come Didone ed Enea attraverso i secoli e i lavori di Dante,
Boccaccio e Enea Silvio Piccolomini. Il contributo di József Nagy è una vera
e propria Lectura Dantis, in quanto esamina i temi centrali di un solo canto,
Purg. IX, considerando anche le interpretazioni precedenti e argomentando il
proprio punto di vista rispetto ad esse.
Nella seconda parte più lunga (quasi il doppio della prima), intitolata Dante
nella cultura ungherese, si trovano studi che esaminano l’influenza culturale di
Dante non soltanto sulla letteratura, ma anche sulla musica e sulle arti. Inoltre si
parla in più occasioni degli avvenimenti e delle pubblicazioni per l’anniversario
del 1921 in Ungheria. Péter Sárközy spiega come Dante risultò essere anche un
appoggio morale per Babits durante il processo di traduzione della Commedia
negli anni della guerra, mentre Zoltán Szénási evidenzia i paralleli strutturali tra
la Commedia e il volume di poesia intitolato Nyugtalanság völgye [Valle dell’inquietudine] di Mihály Babits. Lorenzo Marmiroli mostra l’influenza di Dante su
tre poeti maggiori della poesia ungherese dell’Otto- e Novecento, János Arany,
Endre Ady e Dezső Kosztolányi. Il merito più grande di questo contributo è
che pubblica le traduzioni in italiano di tre poesie. Esse sono Dante di János
Arany, Divina comoedia di Ady, Dante in Santa Croce del Corvo, Inferno, Anche
io e Verso l’Inferno di Dezső Kosztolányi, frutti della collaborazione di studenti di
magiaristica e italianistica presso la Casa del Traduttore di Balatonfüred. Infine,
Marmiroli pubblica anche la poesia di Kosztolányi intitolata Dante (Alla statua
di Canciani) nella propria traduzione. Pál József presenta dettagliatamente tre
antologie di studi pubblicate attorno all’anniversario del 1921: un numero della
Corvina (1921/2) della Società Ungherese-Italiana Mattia Corvino, il numero
speciale della rivista Nyugat (settembre 1921) e l’Album cattolico Santo Stefano
(1924). Il contributo di Ádám Nádasdy analizza la traduzione dei primi cinque
canti dell’Inferno nella versione del poeta Sándor Weöres e arriva alla conclusione che la traudizione di Weöres “non è più precisa, più contemporanea e,
per questo, non abbastanza interessante” (246). Norbert Mátyus scrive quasi
un’apologia della traduzione di Babits dopo la critica nascosta di Nádasdy apparsa in questo volume; i due scritti sono, quindi, da leggere insieme. Márton
Kaposi presenta il lavoro di italianista e la traduzione dimenticata della Vita
Nuova di Jenő Koltay-Kastner, stampato soltanto nel 2015, ma eseguito tra
1916–1918; Kornélia Horváth mostra l’influsso di Dante su due poeti ungheresi,
Lőrinc Szabó e György Petri, nell’unire prosa e poesia nella prorpia poetica
592
Recensiones
degli autori menzionati. Tibor Szabó offre una panoramica della ricerca dantesca in Ungheria a partire dall’Ottocento. Mária Prokopp, in base al titolo del
contributo, mira a far vedere lo spirito del Paradiso nel Palazzo del Primate
d’Ungheria János Vitéz, ma dedica molto più spazio a spiegare le probabili
origini e la provenienza del Codex Italicus 1 in Ungheria e a presentare l’attività
di János Vitéz. L’ultimo contributo del volume, di Adrienne Kaczmarczyk, mira
a dimostrare la stretta connessione tra musica e poesia e tratta l’influenza di
Dante su Liszt che compose, ispirato dal poeta fiorentino, non soltanto una
sonata, ma anche una sinfonia.
I saggi sono molto eterogenei tra loro: vi ritroviamo, da una parte, saggi di
poche pagine, dall’altra invece alcuni di più di trenta. Il pregio del volume è
chiaramente il fatto che presenta saggi non soltanto di dantisti ma anche di
altri studiosi di letteratura e filosofia, della storia dell’arte e della musicologia.
Il volume, in sintonia con l’intenzione originale, è riuscito a presentare certi
aspetti e momenti dell’ampia influenza di Dante sulla cultura ungherese attraverso i risultati di più discipline umanistiche, il che è lodevole, e offre una
visione su “tanto la storia dell’influenza di Dante quanto la situazione delle
odierne ricerche in Ungheria” (12). I contributi della prima parte danno, per di
più, testimonianza della continuata presenza della ricerca in Ungheria relativa
alle opere di Dante.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
Zuzana Toth, Tense and Aspect
in Italian Interlanguage1
Anna Raimo
University of Bologna
anna.raimo2@unibo.it
“A person who doesn’t know foreign languages
doesn’t know anything about his native tongue”.2
Why is it useful to learn a third language today? What properties does it provide
to speakers? Studying a third language allows you to enrich your linguistic
vocabulary, read new books, learn about new cultures, improve your memory,
increase your ability to communicate, become open and tolerant of others,
find a rewarding job, increase your self-confidence, and grow, thanks to an
educational activity.
Given these answers, the object of Zuzana Toth’s3 innovative study becomes
immediately clear: Italian as a third language (L3). Two questions immediately
arise: how will speakers express themselves in the new language and above all,
how will they express temporal relations?
In Tense and Aspect in Italian Interlanguage, the author investigates the development of tense and aspect marking in interlanguage, analysing narrative texts
written by Italian language students at the University of Vienna (Austria). The
selected students come from graduate courses and the Institute for Romance
Languages in Vienna.
1
Berlin & Boston: Walter de Gruyter, 2020, 278 pp.
Quote attributed to Johann W. Goethe: “Wer fremde Sprachen nicht kennt, weiß nichts von
seiner eigenen” (my translation).
3
Zuzana Toth is a researcher and teaches Romance languages and literatures at the University
of Bratislava. She graduated in Linguistics at the University of Padua with a thesis entitled La
grammatica nelle prove INVALSI [Grammar in the INVALSI tests] with Professor Maria Giuseppa
Lo Duca, and is currently working on spelling competence in the above-mentioned tests.
2
594
Recensiones
The book is part of the series “Sprachen im Kontext – Language in context”,
which brings together contributions in the field of applied linguistics, in which
the language of use is critically analysed in its context, and as a contextualising
factor, of social and political processes and discourses. It consists of ten chapters
and is accompanied by an analytical index from which information can be
extracted quickly (e.g., Aktionsart 43, 45, 63).
Toth’s study focuses particularly on how the process of acquiring verbal
aspect is shaped in the interlanguage of L3 learners by factors such as lexical
aspect and discourse. In the introduction, the academic gives a brief excursus
on the purpose of the book, the learners analysed and presents the structure
by summarising the main points. Later on, the researcher first explains the
importance of temporal expressions and then shows a practical example of the
problem:
Alla fine è arrivato il cacciaguida e uccideva il lupo4 (Toth 2020: 1)
In this sentence, the reader has difficulty with interpretation of temporal information because it is not clear how the student understands the verb “killed”
(uccideva). In fact, in its place it would have been appropriate to use the “passato
prossimo” with “ha ucciso” or the “passato remoto” with “uccise”, a perfective
verb which implies that the action took place after the arrival of the guidehunter and that the action is also concluded and, in the tale, irreversible.
As opposed to English where the two tenses “passato prossimo” and “imperfetto” do not exist, in the Italian language they have two different roles to
express time. In fact, to say “Maria ha mangiato la mela” or “Maria mangiava la
mela” in English, we would translate the sentences in the same way: ‘Maria ate
the apple’. But how can we determine if the action is presented as concluded or
in progress? In Italian grammars, verbal aspect is defined as the way in which
the unfolding of an event is enunciated (Salvi & Vanelli 2004: 190) and this way
can be expressed through perfective and imperfective verbs. Therefore, we will
speak of perfective aspect when the action is presented as concluded, while we
will use imperfective aspect when the action is presented during its unfolding
(Renzi & Salvi 1991: 25).
Returning to the example of the sentence; since the student was on beginnerintermediate level, he probably did not yet know the aspectual value of forms
4
Translated by Zuzana Toth: “In the end, the hunter arrived and killed the wolf” (Toth 2020: 1).
Recensiones
595
in Italian and therefore did not understand the difference between perfective
and imperfective verbs.
The present study examines the development of the appearance and chosen time marking of students learning Italian in Vienna based on analyses of
narrative texts composed by them. Most of the participants have German as
their mother tongue and, in addition, speak or are already familiar with other
languages, including Romance languages such as Spanish and French. As a
first step, the study identifies the level of knowledge since the students’ use of
perfective and imperfective verb forms in sentences represents the foreground
and background of the narrative.
In the second chapter of the book, the scholar examines the key concepts
for research on language acquisition, making a distinction between cognitive
orientation and sociocultural approaches. The following chapter offers a theoretical introduction to the language phenomenon examined in this study. Toth
also describes an excursus on how time and aspects act in the Italian language.
In particular, she proposes a reflection on the aspectual distinctions in Italian
and other European languages, which are visible at morphological, lexical, and
textual level.
The following chapters (the third and the fourth) are devoted to a review
of empirical studies on the acquisition of time and appearance in Romance
and European languages in general and in the fifth chapter specifically on
the Italian language. The main findings identified in a wide range of studies
are highlighted. In fact, as already noted, while many researchers claim that
lexical aspect and/or discourse degrees influence morphological choice in their
interlanguage, there is little evidence of how the effect of these factors changes
in the acquisition process. The major issues presented in the sixth chapter
allow for the identifications of learners’ levels of knowledge, which can be
observed in the acquisition of time-aspect in L3 Italian, and the extension on
how the development of this time-aspect is influenced by discourse principles
and value. Furthermore, it describes the methodological approaches used for
data collection and analysis.
It is followed by three further chapters presenting the results of the study
conducted using analytical techniques such as coding of clauses for grounding
and obligatory occasional analysis, designed to identify levels of knowledge.
It is precisely on chapter seven that we should dwell, for after the scholar has
outlined the field of study, from chapter seven the author enters the full scope
of the empirical research. Students with low proficiency use perfective and
596
Recensiones
imperfective verb forms to a greater extent, regardless of whether the utterance
is in the foreground or background of the story:
C’era una volta la mamma di Cappuccetto Rosso mandava lei per
portare una cesta colmato con alimenti alla sua nonna. Nel bosco
Cappuccetto Rosso incontrava un lupo. Loro dialogavano e […].5
(Toth 2020: 153)
In contrast, students with intermediate knowledge also integrate aspect
marking into their language and show a tendency to use the perfective tense,
especially with telic predicates in the foreground and the imperfective tense
in the background of the stories they write:
Il lupo ha mangiato anche la piccola ragazza6 (Toth 2020: 158)
C’era una volta una piccola ragazza si vestiva sempre un cappotto
rosso7 (idem.)
This tendency becomes very pronounced in the advanced-intermediate
group, where the association between perfectivity, telicity and foregrounding
becomes even more pronounced, while in the background stative predicates
conjugated in the imperfect often appear:
Ho iniziato a parlare del mio tema personale e i professori mi hanno
fatto qualche domanda.8 (Toth 2020: 162)
Dopo questa parte dell’esame ogni professore mi ha fatto domande
della sua materia.9 (idem.)
5
My translation: “Once upon a time Little Red Riding Hood’s mother sent her to bring a basket
filled with food to her grandmother. In the woods Little Red Riding Hood met a wolf. They talked
and […]”.
6
My translation: “The wolf also ate the little girl”.
7
My translation: “Once upon a time a little girl always wore a red coat”.
8
My translation: “I started talking about my personal topic and the professors asked me a few
questions”.
9
My translation: “After this part of the exam each professor asked me questions from their
subject”.
Recensiones
597
So-called prototypical associations, e.g., the prevalence of telic predicates
with perfective predicates in the foreground and stative predicates with imperfective predicates in the background, seem to be categorical in a group with
a very advanced level of knowledge:
Il lupo ha anche mangiato la ragazza ed è andato di nuovo al letto10
(Toth 2020: 165)
C’era una piccola ragazza che aveva una nonna malata11 (idem.)
This analysis is also confirmed in the eighth chapter in which the author
investigates narrative texts using the technique of frequency analysis proposed by Ellis and Barkhuizen (2005). The indicators chosen from Ellis and
Barkhuizen’s (2005: 139) study include the length of the text (e.g., the number
of words and the number of sentences): the percentage of sentences without
errors, the number of errors per 100 words and the percentage of correct use
of verbal morphology.
The ninth chapter shows how the frequency of prototypical associations
increases in direct proportion to linguistic competence. Toth reports predicate
codes for lexical aspect that have been developed to examine the relationship
between the marking of morphological aspect, lexical aspects, and the distribution of verb forms in the various discourse levels.
Finally, in the tenth chapter there is a discussion of the main results found
with an active comparison with the first five theoretical chapters of the book.
There are several factors to be considered, but the influence of the L2 should
be further investigated and, above all, a greater number of students from other
institutions should be involved so that they can be compared using the same
tasks.
Zuzana Toth, in the wake of acquisition studies to understand the evolution
of aspectual distinctions in the interlanguage of learners of Romance languages
(Andersen 1991; Giacalone Ramat 1995, 2002, 2003; Rocca 2005; Salaberry 2003):
has managed to add value to the research by opening a new perspective of
work which, if extended, will allow for the improvement of the use of temporal
expressions. Temporal expression is not only a fertile field of study for Toth’s
analyses of interlanguage, but it is also an exemplary object of study in L2
Didactics, as a fundamental feature of all human communication: “[t]he ability
10
11
My translation: “The wolf also ate the girl and went back to bed”.
My translation: “There was a little girl who had a sick grandmother”.
598
Recensiones
to talk about time is a fundamental trait of human communication, and all
languages we know of have developed means to express time” (Klein 2009: 35).
From a more general point of view, this book represents a crucial stage in
Zuzana Toth’s scientific production and teaching activities, which have the
merit of promoting and supporting the Italian language abroad at a time when
it is suffering the blows of growing disinterest. The implications of this book are
therefore particularly promising as a foundation for the creation of new bridges
of communication and new projects towards plurilingualism. It is now universally known that it is not enough to know only one language. Paraphrasing
the words of Frank Smith, it’s good to remember that one language can open a
corridor for a life, but two languages can open all the doors along the way.12
References
Andersen, R. W. (1991): Developmental sequences. The emergence of aspect
marking in second language acquisition. In: T. Huebner & C. A. Ferguson
(eds.) Cross currents in second language acquisition and linguistic theories.
Amsterdam & Philadelphia: John Benjamins. 305–324.
Bisanti, T. (2020): La didattica dell’italiano L2: uno sguardo alla Germania. Italiano LinguaDue 1: 125–142.
Ellis, R. & G. P. Barkhuizen (2005): Analysing learner language. Oxford : Oxford
University Press.
Giacalone Ramat, A. (1995): Tense and aspect in learner Italian. In: P. M.
Bertinetto, V. Bianchi, Ö. Dahl & M. Squartini (eds.) Temporal reference:
Aspect and actionality, Vol. 2. Typological perspectives, Turin: Rosenberg &
Sellier, 289–307.
Giacalone Ramat, A. (2002): Come acquisiscono gli studenti le tre categorie
classiche di temporalità? Prove dall’italiano L2. In: R. M. Salaberry & Y.
Shirai (eds.): The L2 acquisition of tense–aspect morphology. Amsterdam &
Philadelphia: John Benjamins. 221–249.
Giacalone Ramat, A. (2003): Verso l’italiano: percorsi e strategie di acquisizione.
Roma: Carocci.
Klein, W. (2009): Concepts of time. In: W. Klein & P. Li (eds.) The expression of
time. Berlin & New York: Mouton de Gruyter. 5–38.
12
Quote attributed to Frank Smith: cfr “One language sets you on a corridor for life. Two
languages open every door along the way” (my translation).
Recensiones
599
Renzi, L., G. Salvi & A. Cardinaletti (2001): Grande Grammatica Italiana di
Consultazione. Bologna: Il Mulino.
Rocca, S. (2005): Italian tense–aspect morphology in child L2 acquisition. In: D.
Ayoun & M. R. Salaberry (eds.) Tense and aspect in Romance languages: Theoretical and applied perspectives. Amsterdam & Philadelphia: John Benjamins.
129–178.
Salaberry. M. R. (2003): Tense aspect in verbal morphology. Hispanica 86(3):
559–573.
Salvi, G. & L. Vanelli (2004): Nuova grammatica italiana. Bologna: Il Mulino.
Toth, Z. (2019): Il tempo e l’aspetto verbale nell’italiano, nel tedesco e
nell’interlingua di apprendenti tedescofoni. Tre sistemi linguistici a confronto. Philologia 29(1–2): 35–54.
Toth, Z. (2020): Tense and Aspect in Italian Interlanguage. Berlin & Boston:
Walter de Gruyter.
Verbum – Analecta Neolatina XXIII, 2022/2
ISSN 1588-4309; ©2022 PPKE BTK
György Domokos, Storia della lingua italiana
nel panorama romanzo1
Zuzana Tóth
Università Comenius di Bratislava
toth@fedu.uniba.sk
Come spiega il professore Claudio Marazzini in un’intervista,2 l’italiano è una
lingua meravigliosa perché è maturata sulla punta delle penne e non su quella
delle spade, nel senso che la sua storia “è legata più alla cultura e all’arte che
alla politica e all’espansione territoriale della nazione”. Infatti, nel momento in
cui nasce l’Italia, l’italiano è già una lingua con una ricca e affascinante storia
alle spalle. Il libro di György Domokos ripercorre le tappe principali della sua
evoluzione e costituisce una bussola fondamentale per chi si approccia per la
prima volta a questi temi.
Come dichiarato nell’introduzione, il libro è dedicato in primo luogo a studenti del Corso di laurea triennale in Italianistica dell’Università Comenio di
Bratislava. Si tratta di un pubblico abbastanza ristretto, però con caratteristiche
molto particolari. Sono studenti che spesso cominciano a studiare l’italiano
all’università, senza conoscenze pregresse, pieni di curiosità ma ancora molto
impegnati a imparare la lingua, a sviluppare la loro competenza linguisticocomunicativa. Chi ha la fortuna di insegnare la storia della lingua a questi studenti deve mediare tra esigenze diverse, a prima vista inconciliabili. Insegnare
in lingua italiana, senza però utilizzare un linguaggio troppo elaborato, scoraggiante per i destinatari. Spiegare concetti complessi in modo semplice, senza
però banalizzarli. Gerarchizzare i contenuti, selezionare quelli più importanti,
che possono servire come bussola negli studi più avanzati, senza perdere di vista
la complessità e l’elaboratezza dell’insieme. Fare delle scelte linguistiche appropriate al tema e al contesto, senza sconfortare i lettori spesso alle prime armi con
1
Bratislava: Univerzita Komenského v Bratislave, 2019, 151 pp.
L’intervista è reperibile in rete: https://www.letture.org/l-italiano-e-meraviglioso-come-eperche-dobbiamo-salvare-la-nostra-lingua-claudio-marazzini
2
602
Recensiones
l’italiano. Il testo di György Domokos riesce a creare un equilibrio perfetto tra
queste esigenze contrastanti e offre una lettura interessante e stimolante sia per
gli studenti sia per gli studiosi, che apprezzeranno la chiarezza dell’esposizione,
la limpidezza della sintassi e delle scelte lessicali, la creatività e l’ingegno nel
trovare il compromesso tra complessità, comprensibilità e accuratezza, anche
quando sembra impossibile.
Il volume è composto da tre parti: dopo un’introduzione alla filologia romanza l’attenzione si concentra sulla storia dell’italiano, per offrire poi un’antologia
di tesi che illustrano il passaggio dal latino volgare all’italiano.
Le prime pagine consentono ai lettori di familiarizzare con l’apparato terminologico e concettuale indispensabile per riflettere sulla storia dell’italiano. Il
secondo capitolo, intitolato L’italiano nel panorama romanzo, offre una rassegna
delle lingue romanze e una discussione dei criteri utilizzati nella loro classificazione, come quello geografico o quello legato all’innovazione, che oppone
le lingue balcano-romanze, che costituiscono “uno spazio linguistico conservatore” a quelle gallo-romanze, definite “un gruppo innovatore”. È particolarmente interessante l’attenzione alla dimensione sociolinguistica, che consente
agli studenti di creare dei ponti concettuali tra i fatti di linguistica storica e i
mutamenti linguistici in atto, osservabili nell’uso odierno delle diverse lingue
romanze che studiano. Dopo una discussione critica dei concetti di lingua e
dialetto, il capitolo offre una descrizione di 14 lingue romanze: il galego, il portoghese, lo spagnolo, il catalano, il francese, il provenzale, il franco-provenzale,
il ladino, il romancio, il friulano, l’italiano, il sardo, il dalmatico e il rumeno,
con informazioni accattivanti e accuratamente selezionate.
Il terzo capitolo presenta una panoramica dei principali fenomeni grammaticali che interessano l’evoluzione delle lingue romanze dal latino. Il primo
fenomeno illustrato è la “radicale riduzione dei casi, che si conclude nell’eliminazione dell’opposizione tra il Nominativo e l’Accusativo” (p. 22). Il processo viene spiegato attraverso alcuni esempi accattivanti dal rumeno che, come
sottolinea l’autore, “benché abbia realizzato quest’eliminazione possiede ancora
oggi un sistema casuale” (ivi). Il secondo cambiamento descritto è la formazione
dell’articolo. L’autore evidenzia che il momento cruciale in questo processo di
innovazione, che interessa tutte le lingue romanze, “deve essere collocato verso
il VI sec., dunque in un periodo di profonda trasformazione nello spazio geografico della Romània” (p. 32.). Tali informazioni di carattere interdisciplinare non
solo rendono il tema più interessante, ma consentono agli studenti di collegare
informazioni acquisite nelle diverse materie di studio. La rassegna dei fenomeni
grammaticali particolarmente interessanti da un punto di vista storico continua
Recensiones
603
con la perdita del genere neutro, le caratteristiche dell’avverbio, la formazione
del condizionale, i tratti del futuro, l’uso del pronome soggetto, la negazione,
l’interrogazione, l’articolo partitivo, l’ordine dei sintagmi, la formazione dei
diminutivi, l’uso di verbi come essere e stare, avere e tenere, i tempi del passato
e infine la formazione del plurale. Il capitolo si chiude con un’appendice, che
riporta la preghiera del Padre nostro in 22 lingue romanze: latino, portoghese,
castigliano, aragonese, catalano, provenzale, occitanico, francese, italiano, napoletano, siciliano, calabrese, romagnolo, piemontese, veneto, ladino, friulano,
romancio, romanico, sardo, dalmatico e rumeno. La raccolta di questi teti costituisce una ricca e preziosa fonte di informazioni e consente al lettore di osservare alcuni dei fenomeni sopra illustrati su esempi linguistici concreti, attraverso
lo studio di un testo fondamentale del patrimonio culturale dell’umanità. Si
tratta di una delle scelte originali e ingegnose che rendono il libro una lettura
particolarmente piacevole.
Il quarto capitolo è dedicato alla storia dell’italiano e descrive la sua evoluzione dal latino volgare. Viene spiegato perché il De Vulgari Eloquentia costituisce “[u]na pietra militare per il pensiero linguistico in generale” (p. 54),
viene descritta l’importanza di Dante, Boccaccio e Petrarca nella diffusione del
fiorentino per via letteraria, il contributo di Pietro Bembo, di Lodovico Ariosto
e dell’Accademia della Crusca all’affermazione del toscano come lingua scritta.
In seguito vengono spiegati i motivi di allontanamento della lingua scritta da
quella parlata e i tentativi di rimedio elaborati da Alessandro Manzoni durante
il romanticismo, quando l’idea di una lingua nazionale acquista particolare
importanza. Il capitolo si chiude con un’introduzione alla sociolinguistica, con
particolare attenzione a concetti come lingua standard e variazione linguistica.
La parte finale del libro è costituita da un’antologia di testi del primo millennio, che consente di progettare laboratori di riflessione sulla lingua in prospettiva diacronica. Come infatti osserva Luca Serianni, la storia della lingua
offre un “terreno privilegiato per la riflessione metalinguistica”,3 che permette
di sviluppare competenze trasversali, utili non solo allo studio della lingua, ma
anche a quello della letteratura e della cultura.
Consigliamo questo libro, che tratta temi di fondamentale importanza in uno
stile chiaro, accattivante e carismatico, senza rinunciare al rigore scientifico, a
tutti gli studenti che si approcciano allo studio della storia dell’italiano e agli
insegnanti che li accompagnano.
3
Si veda il testo Fare storia della lingua, reperibile in rete: https://www.treccani.it/enciclopedia/
fare-storia-della-lingua/_%28XXI-Secolo%29/