architettura
UNA
NUOVA
PORTA
URBIS
PER FOLIGNO
Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana, Foligno
a cura di Paolo Belardi, Alfiero Moretti, Luca Martini
prefazione di Carlo Terpolilli
architettura
Presentazioni
Nando Mismetti
Sindaco del Comune di Foligno
L’idea di caratterizzare l’area di porta
Romana come nuovo ingresso al
centro antico della città di Foligno
non è nuova. Dalla seconda metà del
XIX secolo numerosi sono i progetti
e gli interventi che hanno perseguito
questo obiettivo.
In questa direzione vanno, negli anni
recenti, la riorganizzazione della
viabilità, il restauro dei Propilei, la
realizzazione del parcheggio interrato “Quintana” nel 2005 e la ripavimentazione del tratto finale di corso
Cavour nel 2008. Proprio nel 2008
l’Amministrazione Comunale ha
intrapreso con maggiore decisione
questa strada con la presentazione
del bando regionale relativo al PUC 2,
in cui si prefigurava l’intento di bandire un concorso di idee per il
ridisegno dell’area dal titolo “La nuova
porta della città del terzo millennio”, a
tutt’oggi senza seguito per la difficoltà
di reperire finanziamenti adeguati.
Oggi un passo ulteriore viene compiuto grazie agli elaborati didattici redatti dagli studenti dei corsi di
Progettazione Digitale e Laboratorio
di Progettazione Digitale del quinto
anno del Corso di Laurea Magistrale
a Ciclo Unico in Ingegneria edile-Architettura della Facoltà di Ingegneria
dell‟Università degli Studi di Perugia,
presentati in occasione dell‟iniziativa
Una nuova porta urbis per Foligno.
Sette progetti per la galleria pedonale
di porta Romana, che si è svolta a
Foligno presso l’auditorium di Santa
Caterina il 27 gennaio 2012.
Queste proposte ridesteranno sicuramente un dibattito mai sopito,
in particolare a causa della presunta
eversività di un linguaggio estremamente contemporaneo, a pochi passi
da piazza della Repubblica in cui sono
collocati il Municipio ed il Duomo
di San Feliciano. Ma piuttosto che
soffermarsi sugli esiti formali, pare
interessante evidenziare l’intento
perseguito con questa operazione,
ovvero quello di restituire il ruolo di
ingresso privilegiato al centro storico
della città all’area di porta Romana.
È auspicabile che l’avvio di questo
percorso virtuoso permetta di
ripensare in termini di accessibilità,
sostenibilità ambientale e qualità del
disegno urbano il nodo di porta Romana che a tutt’oggi è ancora
irrisolto, in modo tale che a beneficiarne sia l’intera città di Foligno.
Alberto Cianetti
Presidente della Fondazione
Cassa di Risparmio di Foligno
Ogni volta che l’Università degli Studi
di Perugia presenta i suoi studenti, il
loro impegno, la loro creatività e determinazione e, perché no, i loro sogni,
c’è sempre da parte della Fondazione
Cassa di Risparmio di Foligno una
particolare attenzione e disponibilità a
tale realtà, non solo perché è coinvolta
l’Istituzione regionale a carattere scientifico per eccellenza, ma anche perché i giovani sono la radice del nostro
futuro su cui è doveroso e fondamentale investire risorse ed energie.
In questa cornice devo sottolineare
che la Fondazione ha accolto con
grande interesse questa iniziativa
anche per un’altra serie di ragioni,
che coincidono più propriamente con
il suo ruolo di attore protagonista
del territorio e di partner importante
dell’Amministrazione Comunale in
tema di modifica della conformazione
urbanistica della città. Basti pensare
che, attraversando quotidianamente
lo spazio preso in considerazione dai
giovani studenti, ci si è spesso posti
il problema di una sua necessaria
riqualificazione; ma vi è di più: gli organi della Fondazione hanno pensato
di intervenire in loco per migliorare
almeno la qualità di quanto è attualmente in uso, razionalizzando spazi,
percorsi e volumi e per creare, anche
per chi arriva in città, un punto di accoglienza funzionale e gratificante.
Ci è sembrato, dunque, che sostenendo la realizzazione della presente
pubblicazione, si potesse operare una
valorizzazione dei sette progetti per
porta Romana, concorrendo a porre la
città di fronte all’ipotesi di una rivisitazione di questo luogo simbolo di
Foligno. Intendo ringraziare il gruppo
di lavoro che ha operato sotto la guida
attenta del professor Paolo Belardi e
dell’architetto Alfiero Moretti, senza
la cui disponibilità, passione e competenza non sarebbe stato possibile
giungere a questo risultato;
esito, ci tengo a sottolineare, che ha
permesso di far conoscere anche le
trasformazioni subite dal luogo preso
in esame nel corso dei secoli e quindi
ha creato un ragionevole legame con
il passato; storia che, attraversata dal
presente, deve essere assolutamente
conosciuta per poter affrontare in
modo costruttivo il futuro.
A conclusione di questo breve saluto,
mi auguro che questa pubblicazione
possa costituire il primo passo per
poter dare seguito alla progettualità
avviata e stimolare le Istituzioni a
realizzare un intervento concreto che
riqualifichi questo spazio vitale della
nostra città.
3
Joseph Flagiello
Assessore all’Urbanistica del Comune di Foligno
L’esperienza didattica Una nuova
porta urbis per Foligno. Sette progetti per la galleria pedonale di porta
Romana ha affrontato un tema progettuale senza troppe inibizioni e ha
prodotto ipotesi interessanti e numerosi stimoli, ma più semplicemente
ci ha consegnato un argomento per
un dibattito: che cosa rappresenta
ancora oggi una “porta” per la nostra
città, per le nostre città? É un contributo che ci coinvolge, che ci stimola
a pensare e ad affermare anche parole
“usate”, “vecchie”, per descrivere fatti
diversi, esigenze nuove che cambiano
col tempo. Il bisogno è quello di trovare risposte per orientarci negli spazi
che cambiano per noi e per gli altri,
per chi li dimentica e per chi li scopre.
E’ il caso di porta Romana a Foligno.
Chi ne riconosce la forza di fagocitare
chiunque si avvicini, chi ne ricordi la
storia, più o meno recente, fatta di
memoria o solamente di esperienza
vissuta, chi invece ne cerca gli aspetti innovativi. Chi invece ci passa e
basta.
Offrire una gerarchia degli spazi urbani, insieme a un’immagine definita del
centro antico per chi arriva a Foligno,
è una scelta obbligata e strategica per
competere, per evocare, per decifrare
la città. Una “nuova porta” attraverso
la quale si ha l’impressione di un
inizio e di una fine, in cui si distingue
il dentro dal fuori. Una “porta” che non
si oppone ma che si propone, che non
separa ma che invece unisce chi è nel
centro antico con quelli che stanno
nella città contemporanea: non impedisce l’ingresso e forse neanche lo
agevola, lo determina.
Senza la “porta” si entrerebbe lo
stesso nel nucleo antico della città,
ma forse non si avrebbe la sensazione
di essere in un luogo speciale, unico
ed irripetibile. Una “porta” oggi non
apre una via, la segna, la sostanzia,
la rende evidente e riconoscibile, la
distingue dal resto. Offre la consistenza al sentiero solcato nei secoli
precedenti. Serve anche questo, serve
per accordarci, per regolarci ma anche
per incontrarci.
Il programma PUC 2 “Foligno c’entro”
prevedeva, già dal 2009, la copertura
di alcuni spazi all’interno del centro
storico facendo seguito ad una proposta presentata dalla Confcommercio. Successivamente dallo studio di
fattibilità che il comune ha predisposto, è emerso che il luogo più idoneo
per promuovere la sistemazione di
uno spazio pubblico, anche attraverso
l’inserimento di una copertura, sarebbe stato la piazzetta di porta Romana,
ricompresa tra i due edifici comunali, senza interferenze con proprietà
private, luogo simbolico in cui poter
progettare “la nuova porta della città
del terzo millennio”.
E’ pertanto particolarmente apprezzato il contributo che gli studenti
dei corsi di Progettazione Digitale e
Laboratorio di Progettazione Digitale del Corso di Laurea Magistrale
a Ciclo Unico in Ingegneria edile-Architettura della Facoltà di Ingegneria
dell’Università degli Studi di
Perugia, coordinati dal professor
Paolo Belardi e dall’architetto Alfiero
Moretti, hanno dato alla città di Foligno con i loro elaborati didattici, in
quanto si inserisce all’interno di un
percorso che l’Amministrazione comunale aveva avviato già dal 2009.
Queste proposte costituiscono
un’ulteriore tappa sul cammino avviato per restituire all’area di porta
Romana un ruolo primario di scambio,
che ha svolto nei secoli, tra il nucleo
antico e la città contemporanea.
Rita Fanelli Marini
Presidente del Grand Jury
I sette progetti per “una nuova
porta urbis per Foligno”, proposti
nell’iniziativa di presentazione del
27 gennaio 2012, hanno riportato
all’attenzione della città un
problema che viene da lontano.
Infatti, da quando nel 1870 era stata
abbattuta la porta storica con i suoi
torrioni monumentali fortemente
caratterizzanti, lo spazio di porta
Romana ha subito continue e diverse
sistemazioni, senza mai raggiungere
un assetto definitivo.
Nel momento attuale il riordino e la
riqualificazione di questa area della
città è divenuta urgente, e l’impegno
degli studenti della facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Perugia giunge proprio al momento giusto.
Il professor Paolo Belardi e l’architetto
Alfiero Moretti, che hanno coordinato
i sette gruppi di lavoro, hanno colto
l’urgenza di questo problema e hanno
saputo alimentare ogni idea che è poi
divenuta vero e proprio progetto.
I sette gruppi hanno dato vita a
un’interessante riflessione sul tema,
con un ventaglio di proposte assai
diversificate fra loro. Gli elaborati
hanno evidenziato peraltro la corretta
considerazione del contesto storico
che ha caratterizzato nel tempo lo
spazio preso in esame, e hanno dato
il dovuto rilievo alla funzione di accoglienza e di vivibilità in un luogo che
è ormai divenuto soltanto di transito,
data l’attuale presenza di molteplici
servizi tra loro scollegati e del tutto
differenziati.
Un’organica rivisitazione dell’insieme,
considerato nella sua complessità,
è stata opportunamente alla base di
ognuno dei sette progetti, che hanno
rivelato una particolare vivacità
creativa. Nella competizione si è
distinto il lavoro che ha proposto
una nuova vivibilità dello spazio disponibile, aggregando tutti gli edifici
preesistenti attraverso un volume che
potrebbe apparire fuori scala, ma che
al contrario darebbe vita ad un nuovo
fronte monumentale per l’ingresso
alla città, evocando un grande imponente blocco scultoreo. Un’idea di
sicuro interesse che potrebbe dunque
essere ripresa e approfondita.
È proprio questo il rapporto fecondo
che una città deve cercare. Solo nel
confronto delle idee, nel dibattito
aperto, tutta una comunità può ritrovarsi e consapevolmente crescere.
Questa occasione è stata dunque
preziosa e sicuramente esemplare per
aprire una nuova stagione nel rapporto tra Città e Università; un rapporto sinergico che potrà dare esiti
fruttuosi.
5
Prefazione
Carlo Terpolilli
FOTO DI GRUPPO IN UN INTERNO
Stimolato dai contenuti e dai
risultati di questo laboratorio e da
questa competizione, mi permetto
di esprimere alcune considerazioni:
la prima sul metodo, la seconda sul
come, ovvero sulle strategie del progetto di architettura, e la terza sul
dove, ovvero sui nuovi e vecchi territori dell’architettura.
Sul metodo
Il significato profondo di questa iniziativa, di questa esperienza progettuale collettiva, sta, a mio parere,
semplicemente nella foto che chiude
la pubblicazione: una foto di gruppo in
un interno, giovani sorridenti e soddisfatti, intorno ai loro mentori, ai loro
maestri. Sono i protagonisti, gli attori che si presentano sulla scena a
conclusione della rappresentazione
teatrale. Si respira un’aria di
soddisfazione, quella di esserci, di
essere parte, di aver contribuito alla
costruzione corale di una vicenda utile
non solo per sé, ma anche per gli altri.
Un valore didattico straordinario, più
di ogni lezione ex cathedra. Perché
ci ricorda che c’è un valore morale
nell’azione, nel fare, nel darsi da fare,
prima ancora di qualsiasi valore
materiale e finanche di quello culturale: quello di essere utile, appunto,
di avere un ruolo. Ecco quello che ci
racconta quella foto: metti un gruppo
di giovani, una brigata di studenti, per
un periodo limitato di tempo dentro un
tema ben definito e chiaro e il risultato
è straordinario.
Questa foto mi riporta alla mente una
scena simile mai fotografata. Una
brigata di ragazzi chiusi in un interno
per molti giorni per sfuggire alla peste,
che, per dare senso ai giorni, si danno
una regola: ogni giorno viene proposto
un tema, un argomento da cui ciascuno prenderà spunto per un racconto.
Da qui prende le mosse un capolavoro
della letteratura, il Decamerone, che
nel suo significato letterale è “(Opera
di) dieci giorni”.
Il confronto d’idee, la contrapposizione, lo stimolo reciproco, la
provocazione, l’emulazione sono le
condizioni necessarie per sviluppare
l’immaginazione, la capacità di
realizzare progetti, visioni, racconti.
Il risultato evidente di questo evento,
la “nuova porta urbis”, sono sette racconti (C’era una porta…, Door Code,
Porta 3.0, More&Less, P-Connection,
Linking Foligno, Tessere (di) Foligno),
sette declinazioni e variazioni sullo
stesso tema. Ciascuna di esse usa
un proprio registro compositivo con
matura consapevolezza, quasi da non
far sospettare la giovane età dei protagonisti. Non voglio entrare nel
commento sui singoli progetti perché, come ho detto spesso, quello
che conta è il risultato corale, laddove
certamente conta anche il valore del
risultato dei singoli. Ciò che poi è importante è la testimonianza “vivente”
del potenziale umano e intellettuale
della nuova generazione, su cui il
nostro paese non può che scommettere, pena il suo declino.
In poco tempo, con un’unica azione
otteniamo più risultati, che vanno
al di là delle proposte specifiche,
pur importanti: per gli studenti, che
s’immergono nella realtà concreta
della città, per l’Università, che esce
dalle sue mura e mette a disposizione
del territorio le sue risorse umane e
materiali, e per la Comunità, che si
ritrova nelle mani soluzioni e proposte
su cui riflettere e discutere.
Sulle strategie del progetto di
architettura
Questo coinvolgimento delle
istituzioni, della città e dell’opinione
pubblica, questa iniziativa culturale
svolta a partire dai corsi universitari
coordinati da Paolo Belardi e
Alfiero Moretti, compie un ulteriore
atto fondamentale: riporta in primo
piano il ruolo strategico
dell’architettura e il suo significato, e
soprattutto ricorda alla Comunità che
non possiamo fare a meno di essa,
qualunque sia la strategia di sviluppo
che possiamo immaginare per il territorio e la città. Perché Architettura è
un modo originale e originario di interpretare il mondo, di dare spiegazione
dei fenomeni di organizzazione, strutturazione ed evoluzione del territorio
antropizzato, delle città, dei manufatti
edilizi e delle infrastrutture. Architettura, in altri termini, è una disciplina
che dà “spiegazione” dell’intima strutturazione degli artefatti. Il progetto
architettonico è metodo di ricerca
e, nello stesso tempo, strumento
con cui agisce la disciplina architettonica: è solo attraverso i progetti che
l’architettura costituisce e innova il
suo corpus teorico normativo, il suo
statuto disciplinare. La ricerca progettuale è, dunque, la modalità necessaria e sufficiente con cui di-svelare ciò
che emerge dalla interazione tra uomo
e ambiente e dalla evoluzione degli
artefatti. E il risultato si costituisce
come evento, come epifania.
Il processo progettuale ha le qualità
di un procedimento scientifico proprio in ragione di questa sua capacità
d’indagine, e va tolto da quella condizione arbitraria, senza regole, incline
all’assenza di una riflessione teorica
che è poco educativa, non
7
trasferibile. Un atteggiamento basato
su una sorta di cinismo che tende a
preservare il fare in assenza di un fine.
La progettazione architettonica è
molte cose contemporaneamente,
ciascuna delle quali rivela una strategia di azione diversa; tutte convergono verso un unico obiettivo, quello
di dare realtà a ciò che semplicemente
si è immaginato. La capacità di immaginare sta alla base dell’azione
progettuale, senza la quale è impossibile pensare e agire in architettura.
Questa capacità umana, e non solo
divina, di trasformazione della realtà
contiene una forza visionaria, ineffabile, capace di anticipare a breve ciò
che sarà. Perché progettare è prevedere, dal momento in cui contiene
un’idea di anteriorità che viene prima
dell’oggetto. Ma se progettare è prevedere, le trasformazioni e le modificazioni dello spazio antropico e l’atto
del progettare sono un atto di fiducia
verso il futuro, un atto di
speranza: oggi dobbiamo accompagnare questa speranza con un senso
nuovo, il senso della tragedia.
Viviamo in un tempo in cui le modificazioni dell’assetto globale del mondo, la fine delle illusioni e la perdita
delle certezze provocano angoscia,
paura di sbagliare e un senso di tragedia imminente. Solo accompagnando
la “speranza progettuale” con la consapevolezza dei limiti dello sviluppo, e
delle crisi globali, si potranno affrontare le questioni spesso contraddittorie e paradossali che si addensano sul
tavolo da disegno: un atteggiamento
progettuale consapevole che fonda
la sua azione sulla responsabilità.
Questa consapevolezza ci ricorda che
con la nostra azione arrechiamo ferite
al territorio e modifichiamo gli assetti geomorfologici; ma, allo stesso
tempo, la speranza ci indica che la capacità trasformatrice del progetto di
architettura può sanare ogni frattura.
Non sempre ciò accade. Per questo
dobbiamo trovare un atteggiamento
nuovo nella ricerca architettonica che
ci porti a percorrere strade mai battute o a riscoprire quelle abbandonate,
perché magari inutili in un determinato periodo storico, avendo sempre
chiaro l’obiettivo che si vuole raggiungere.
Molta architettura contemporanea
appare fuori tempo e fuori misura,
un’architettura ipertrofica e, per certi
versi, se può valere una categoria
dell’anima, superba. Costruita spesso
inconsapevolmente e irresponsabilmente, e certamente non accompagnata da quel senso della tragedia e
dalla necessaria pietas; ciò eviterebbe
a noi tutti di scambiare le barricaie
delle cantine vinicole con i Sancta
Sanctorum delle tombe dei faraoni.
Dobbiamo ripartire dal limite, dalla
crisi, dalla tragedia, da questa
consapevolezza della fine imminente,
se vogliamo riappropriarci del futuro e
del senso profondo del fare architettura.
Sui vecchi e nuovi territori
dell’architettura ovvero costruire nel
costruito.
Ammesso e non concesso che sia
possibile ancora pensare in termini
di costruzione come nel passato,
rimane il fatto che, in alcune realtà, si
è costruito fin troppo, e spesso male,
e che dunque qualsiasi nuova strategia costruttiva deve confrontarsi con
l’idea che il territorio è un bene limitato e fragile e che, dunque, va salvaguardato e recuperato a usi compatibili con uno sviluppo equilibrato.
Costruire oggi un nuovo spazio antropico è possibile solo a
condizione di lavorare all’interno del
già costruito, nelle realtà già fortemente compromesse, con una serie
di strategie che si affianchino a quelle
più comuni, come il recupero, la riqualificazione, la ristrutturazione.
Queste nuove strategie, però, a ben
guardare, sono intimamente
legate alla storia dell’evoluzione e
dello sviluppo della città: da una parte
la demolizione e la ricostruzione e,
dall’altra, quelli che Gianfranco
Caniggia chiama i prodotti della coscienza spontanea: la superfetazione,
l’ampliamento e l’intasamento.
Oggi la demolizione e la ricostruzione
vengono sempre più declinate con
la variante che la ricostruzione non
può che essere a parità di volume:
ma ciò è possibile solo in determinate condizioni. In alcuni casi, infatti,
possiamo non ricostruire per nulla, se
in quella realtà vi è necessità di spazi
aperti, mentre, all’opposto, possiamo
immaginare di raddoppiare il volume,
se vi è una reale necessità, ad esempio, di nuove abitazioni.
La superfetazione, l’ampliamento,
l’intasamento vanno tolti dalla condizione negativa d’illegalità e
abusivismo, e recuperati,
esercitandone il controllo, come
strategie innovative di sviluppo urbano. Quando si parla di abusivismo non
ci si riferisce alle operazioni illegali
di speculazione edilizia, ma a quelle
attività rese necessarie dalla continua
mutazione della struttura socio-economica, intese come risposte caotiche
all’assenza di flessibilità e di regolamenti capaci di accogliere le nuove
istanze connesse a tali
fenomeni in divenire. Dobbiamo mettere in moto strategie nuove,
complesse e articolate, che diano
senso e significato a queste pressioni:
fare di necessità virtù.
Tutto ciò a condizione di essere in
grado di accettare la densificazione
abitativa, da contrapporre alla dispersione della città diffusa, a quella
dimensione infausta che fagocita territorio.
All’interno di quel processo discontinuo che è l’evoluzione della città, fatto
di momenti singolari di
mutazione, possiamo individuare delle
fasi in cui la forma urbana rimane sufficientemente stabile. In questi casi
la trasformazione è graduale, interna
alla stessa dinamica strutturale e
culturale. Gli interventi spontanei possono essere considerati come i modi
di attuazione di queste
trasformazioni. I processi evolutivi,
come adeguamenti alle necessità e
agli interessi del momento non preordinati, riguardano soprattutto le
strutture edilizie di base e procedono
solitamente nel senso di un progressivo e in parte disordinato processo
d’intasamento, di superfetazione,
restrizione delle sezioni stradali,
frammentazione dello spazio e suddivisione delle grandi unità abitative.
Questi stessi processi riguardano oggi
la trasformazione selvaggia e spontanea, episodica e spesso caotica,
dei luoghi pubblici di grande transito,
come le stazioni ferroviarie, le piazze
e le vie commerciali. Questo processo
di trasformazione, in stretta relazione
con le scarse possibilità d’intervento
e di pianificazione dei singoli, investe
dunque non solo gli edifici, ma soprattutto l’attacco a terra degli stessi, in
altre parole quello spazio compreso
tra la quota stradale, cioè il marciapiede, e il primo piano. Queste trasformazioni ne suggeriscono un uso
diverso e, contemporaneamente benché non stabilmente, alterano la sua
percezione e il suo significato, trasformano i flussi pedonali, costruiscono
microambienti non recepiti virtualmente dall’architettura.
In conclusione ritengo che il metodo
adottato e i contenuti sviluppati nei
progetti per porta Romana sono asso-
lutamente in linea con le questioni su
cui oggi dibattiamo, non ultima la capacità di confrontarsi con la memoria
della città, con la sua storia, perché a
essa affidiamo anche il nostro futuro.
Il progetto architettonico non si è mai
occupato di riorganizzare una serie di
spinte trasformistiche di tipo spontaneo; al progetto architettonico si è fatto ricorso solo nel momento in cui era
necessario dare forma alla mutazione
che si andava delineando in modo
programmatico. L’organizzazione
attuale della società, a causa della
perdita del controllo culturale, appare
inerme di fronte a questi fenomeni, ma
non può permettersi d’abbandonare a
se stessa una realtà che evolve spontaneamente.
È necessario demandare al progetto
architettonico anche la responsabilità
d’accompagnare e indirizzare queste
spinte trasformistiche. Questa esperienza progettuale collettiva su
porta Romana a Foligno sta qui a
dimostrarlo.
9
UNA
NUOVA
PORTA
URBIS
PER FOLIGNO
La sostenibilità sostiene l’architettura
Dalle scale mobili di Perugia alla galleria pedonale di Foligno
Paolo Belardi
A ben guardare, il concetto di
sostenibilità è profondamente umbro.
Non soltanto perché è legato a quello
di solidarietà, che è proprio del
pensiero francescano, ma anche perché è legato a quello di storicità, che è
proprio delle città murate.
Anche se non ne abbiamo la dovuta
consapevolezza.
D’altra parte, sfogliando le riviste
di architettura, sembra quasi che la
leggerezza, l’immaterialità e la trasparenza esauriscano in sé il concetto di sostenibilità. E che un edificio
tappezzato con vetrate scintillanti e
farcito con pannelli fotovoltaici sia
necessariamente più sostenibile di un
edificio rivestito in pietra da taglio e
orientato correttamente. Niente di più
falso. Se è vero, infatti, che progettare
in modo sostenibile significa prima di
tutto evitare di sprecare inutilmente le
risorse ambientali e governare
virtuosamente il riciclo dei rifiuti, non
dovremmo avere difficoltà a renderci
conto che i complessi più sostenibili
della storia dell’architettura sono
proprio i centri storici. A cominciare
da quelli umbri, che sono cresciuti su
se stessi minimizzando il consumo
del suolo e dove ogni singola pietra,
ogni singolo mattone, ogni singolo
capitello non è stato smaltito in una
qualche discarica di periferia, ma è
stato recuperato e riutilizzato per
costruire sul costruito con il costruito. Penso al tempio di Minerva ad
Assisi (trasformato in età rinascimentale nella chiesa di Santa Maria
sopra Minerva), così come penso al
monastero di Sant’Agata a Spoleto
(adibito a carcere in età postunitaria
e oggi sede museale). Ma, più ancora,
penso alla rocca Paolina di Perugia,
vero e proprio grumo di modificazioni
architettoniche succedutesi nel corso
dei secoli (prima città, poi palazzo e
infine ancora città), ma anche simbolo per antonomasia della riqualificazione urbana perseguita mediante l’innovazione infrastrutturale.
D’altronde è innegabile che l’identità
del capoluogo umbro è ormai anche
quella di un’ingegnosa città-laboratorio, impegnata in prima linea nella
sperimentazione di forme insolite di
mobilità: in base a un programma avviato nel 1971 con la
pedonalizzazione dell’area centrale
di corso Pietro Vannucci, alimentato
nel 1983 con l’introduzione delle scale
mobili nei meandri ipogei della rocca
Paolina e amplificato nel 2009 con
l’attivazione della linea del
minimetrò. Tuttavia, mentre la pedonalizzazione dell’antica platea
magna non ha catalizzato particolari
attenzioni mediatiche (distratte dalle
analoghe iniziative intraprese da
municipalità d’oltralpe quali Chalon
sur Saône, Nancy e Rouen), la risalita
meccanica tra piazza Partigiani e
piazza Italia ha eletto la città di Perugia a modello esemplare. Seppure con
un limite congenito, perché capace di
promuovere la proliferazione quantitativa di un lungo elenco d’iniziative
succedanee, tanto a livello regionale
(Assisi, Cascia, Città di Castello, Gubbio, Narni, Orvieto) quanto a livello
nazionale (L’Aquila, Arezzo, Belluno,
Camerino, Chieti, Potenza), ma incapace di superare la dimensione trasportistica a vantaggio di quella paesaggistica. Non a caso il progressivo
oblio pubblicistico dell’infrastruttura
perugina (salutata da Giovanni Klaus
Koenig come “ottava meraviglia”) è
imputabile a due precisi fattori caratterizzanti, che inizialmente hanno garantito il consenso unanime, ma che
con il tempo si sono rivelati dei veri e
propri boomerang: l’eccezionalità ambientale e l’invisibilità figurativa. Laddove la struggente contaminazione
tra la ruvida opacità delle coperture
laterizie voltate dal Sangallo e l’algida
luminosità delle scale mobili prodotte
dalla “Orenstein & Koppel”, che contrassegna e qualifica l’architettura
degli interni, ha creato il falso convincimento che la ricerca di valenze
espressive autonome potesse essere
omessa, mentre la minimizzazione
percettiva imposta dai vincoli
ambientali (soprattutto in corrispondenza dello sbarco su piazza Italia) ha
creato l’altrettanto falso
convincimento che la rinuncia alla
Assisi, chiesa di Santa Maria sopra Minerva
13
presenza visiva potesse diventare un
presupposto dello statuto tipologico.
Il che ha finito con il penalizzare gli
aspetti compositivi degli interventi
mutuati dal prodromo perugino, che
hanno fatto scuola dal punto di
vista urbanistico, ma che non hanno
saputo tenere il passo dal punto di
vista architettonico. Tanto che, sulle
pagine delle più recenti monografie
dedicate, le risalite meccaniche in
Italia sono sistematicamente disattese e la stessa risalita meccanica
della rocca Paolina è offuscata dalla
fascinosità ipogea degli ascensori
sprofondati da Aurelio Galfetti nelle
viscere di Castelgrande a Bellinzona
e dalla spettacolarità panoramica
delle scale mobili scavate da José
Antonio Martínez Lapeña ed Elias
Torres Tur nel fianco della collina de
la Granja a Toledo. E probabilmente,
nell’incubazione metaprogettuale del
minimetrò, è stata proprio la coscienza di questi due limiti a scongiurare il
ripetersi dell’errore, orientando i promotori a concentrare gli sforzi ideativi
sugli aspetti architettonici oltre che
su quelli ingegneristici. Così come si
fa, visto che è proprio l’architettura la
disciplina deputata a misurare la disponibilità delle nostre città ad accogliere le sempre più pressanti istanze
infrastrutturali, e così come si è sempre fatto, visto che da sempre firmitas e utilitas non hanno luogo senza
venustas. Non a caso, anche nella
Perugia del XIII secolo, trattandosi di
celebrare degnamente il compimento
di un’opera pubblica vitale come
l’acquedotto di monte Pacciano, il
progetto idraulico predisposto ad
opera di Boninsegna da Venezia fu
suggellato dalle rotondità solenni di
Fra Bevignate e dalle preziosità
ornamentali dei fratelli Pisano. Così,
dopo più di settecento anni, è riaffiorata l’idea che la bellezza sia una
componente necessaria anche nel
campo infrastrutturale e si è avuta
la lungimiranza di potenziare la già
qualificata équipe tecnica impegnata
nella progettazione del minimetrò
con l’affidamento dell’art direction a
un’archistar del calibro di Jean Nouvel. Che peraltro non ha tradito le
attese, forgiando viadotti e pensiline
che si librano nell’azzurro del cielo e
plasmando gallerie che evocano climax oniriche (dal tunnel delle streghe
di Eurodisney alla canna di pistola che
prelude ai film di James Bond). Ma
che soprattutto ha conferito a Perugia il crisma della contemporaneità.
Perché, a dispetto di quanto recitano
i dépliant tecnici, la velocità massima delle navette non è di sette metri
al secondo, così come la lunghezza
complessiva del percorso non è di
tre chilometri. La vera velocità delle
navette, infatti, sta nella rapidità con
cui l’impalcato/filo srotolato da Nouvel/Teseo tra i condomini/minotauri
per orientare i passeggeri nella periferia/labirinto di Perugia ha smascherato l’obsolescenza estetica della città
recente. Così come la vera lunghezza
del percorso è quella che collega in
senso transculturale il capoluogo
umbro al resto del mondo, perché,
non appena si varcano i tornelli delle
stazioni e ci s’immerge nel microcosmo rosso ritagliato da
Nouvel tra il verde delle essenze vegetali e il grigio delle strutture metalliche, si respira un’atmosfera profonda14
Perugia, risalita meccanica della rocca Paolina
Perugia, percorso del Minimetrò nell’area semiperiferica della stazione di Fontivegge
Aurelio Galfetti, Restauro Castelgrande, Bellinzona, 2000.
José Antonio Martínez Lapeña & Elías Torres, Scale mobili
de la Granja, Toledo, 2000.
Giancarlo Partenzi, Centro Italiano Arte Contemporanea,
Foligno, 2009.
mente europea.
Peraltro pienamente convalidata dalla
raffinatezza delle soluzioni illuminotecniche e dall’eleganza delle
soluzioni grafiche. Ma non è tutto.
Perché il minimetrò è e rimane prima
di tutto un fatto urbano. E come tale,
prima o poi, si evolverà necessariamente come struttura dialettica, governando le modificazioni che
inevitabilmente indurrà sull’intorno e
le modificazioni che, altrettanto inevitabilmente, l’intorno indurrà a sua volta. Anche per questo varrebbe la pena
prendere in considerazione sin d’ora
uno spettro più ampio, valutando non
solo l’ipotesi di ottimizzare l’efficacia
del sistema, ramificando la linea verso
altre direzionalità strategiche, ma anche di affinare l’integrazione paesaggistica, sperimentando l’inserimento
di architetture parassite sopra, sotto e
lungo il minimetrò. Forse anche intervenendo oltre il minimetrò e, magari,
cominciando a prendere in
considerazione l’ipotesi di prolungarlo
a valle con la “piazza telematica”
pensata da Cherubino Gambardella
come museo virtuale complementare
al terminal di Pian di Massiano e di
prolungarlo a monte con la “galleria
energetica vetrata” con cui Wolf Prix
ha prefigurato di proteggere l’antica
via Nuova al fine di saldare, sia fisicamente che idealmente, il terminal
del Pincetto con il cuore dell’acropoli.
D’altra parte è indubbio che la
contraddizione latente tra l’obiettivo di
migliorare l’accessibilità e il rischio di
definire al contorno luoghi emarginati
dai circuiti vitali cittadini rappresenta
un problema cruciale non solo per la
città di Perugia, ma per tutte le città
Coop Himmelb(l)au, Energy Roof Perugia, Perugia, 2009,
fotoinserimento.
Cherubino Gambardella, Cavità etrusca, 2006, vista del
modello tridimensionale
17
storiche. A cominciare da Foligno,
che peraltro potrebbe suggellare
la propria collezione di architetture
contemporanee (la biblioteca di Arrigo Rudi, la chiesa di Massimiliano
Fuksas, l’antiquarium di Roberto de
Rubertis, i musei di Giancarlo Partenzi
e di Guendalina Salimei) con una galleria pedonale ricavata nell’area di
porta Romana che ne consacrerebbe
definitivamente il ruolo di laboratorio vocato alla sostenibilità ambientale. Perché, chiudendo il cerchio del
ragionamento, la galleria pedonale
sarebbe un’opera fondata sui concetti
di storicità e di solidarietà laddove
volta a compendiare le preesistenze
architettoniche (dai misteriosi reperti
archeologici medievali che giacciono
nel sottosuolo agli eleganti caselli
eclettici che sanciscono il limite della
città murata fino agli imponenti fabbricati moderni che serrano lateralmente l’area) e a promuovere le
relazioni interpersonali (interponendo
una pausa tra il via-vai pedonale di
corso Cavour e il via-vai veicolare di
viale Roma). In fondo la sostenibilità,
per noi che siamo figli di Galeazzo
Alessi e di Giuseppe Piermarini, non
è una chimera, ma è parte integrante
della nostra quotidianità. E da sempre, così come recita un accattivante
slogan coniato da Massimo Pica
Ciamarra, sostiene l’architettura.
T- studio (Guendalina Salimei), Restauro e riuso della ex
chiesa dell’Annunziata a Foligno, 2011.
Giulio Caravaggi, Le Scale, 1984, schizzo di studio
19
L’area di porta Romana: un luogo irrisolto
Alfiero Moretti
L’area di porta Romana negli anni ha
incarnato il ruolo di contesto privilegiato dell’evoluzione urbana che ha
caratterizzato la città di Foligno (da
baluardo difensivo a diaframma tra
città e campagna, da snodo viario a
ingresso al centro storico ecc.), ma
allo stesso tempo non ha mai
acquisito un assetto definitivamente
compiuto1.
La prima configurazione nota è quella
ritratta in un dipinto del XVII secolo da
Ascensidonio Spacca detto Il Fantino,
che raffigura la porta circondata da
due torrioni circolari merlati posti a
difesa del varco nelle mura urbiche
rivolto a sud, in direzione della città di
Roma. Nell’opera il duomo di San Feliciano viene dipinto in stretta relazione
figurativa con la porta stessa: infatti
proprio di fronte alla cattedrale ha
inizio l’asse dell’attuale corso Cavour,
già via della Fiera, che si conclude in
corrispondenza dell’area di studio.
Di fatto tale configurazione rimane
pressoché immutata fino al 1869,
quando viene deciso di abbattere i
due torrioni medievali e il tratto murario che li congiunge a causa delle
cattive condizioni in cui versano. Al
loro posto vengono erette su progetto
dell’ingegner Pio Pizzamiglio nel 1872
le due palazzine che si vedono ancora
oggi2. La scelta di tale soluzione3 ha
il solo motivo funzionale di ospitare
la direzione dell’amministrazione
daziaria nella palazzina a ovest e
il casello daziario vero e proprio in
quella a est, in una posizione contigua
alla bascula per la pesa pubblica delle
merci che viene collocata all’aperto a
ridosso della parte esterna delle mura
urbiche, di fronte a un lavatoio pubblico. Anche quest’area è destinata
a rimanere inedificata fino al 1963,
quando viene concluso l’edificio che
ospitava l’ex hotel Umbria. Sempre
nel 1872 lo scultore locale Ottaviano
Ottaviani termina la statua di Nicolò
di Liberatore detto l’Alunno che gli è
stata commissionata anni addietro
dall’Amministrazione Comunale, nel
lato a ovest dello spazio libero che
fronteggia le palazzine. Nel 1926 nei
terreni inedificati4 posti tra la
stazione ferroviaria (1865) e la caserma “Vittorio Emanuele II” (1874)5
viene realizzato il primo nucleo di abitazioni su progetto dell’ingegner Felice Sabatini6. L’intervento viene avallato dall’Amministrazione con l’intento
di costruire case per le classi sociali
meno abbienti7, mentre in realtà viene
realizzata una serie di villini che si
configurano fin da subito quali immobili di pregio in stile liberty, posizionati
strategicamente tra l’accesso al centro storico e il tracciato ferroviario. La
vocazione residenziale è confermata
anche dal piano regolatore del 1928 di
20
Ascensidonio Spacca detto Il Fantino, Veduta della città di Foligno, [1630]
Citta di Foligno, 1636
Stato Ecclesiastico, Provincia dell’Umbria, Delegazione di
Perugia, Governo e Comune di Fuligno, Mappa originale
della Città di Fuligno elevata dal giorno 13 gennaio al
giorno 31 marzo 1819, 1819,
particolare dell’area di porta Romana
Cesare Bazzani, che in più ipotizza un
completo ridisegno dell’area occupata
dalle palazzine daziarie. L’architetto
romano elabora due soluzioni distinte,
in cui immagina di sostituire i caselli
con due edifici alti per enfatizzare
il ruolo d’ingresso al centro storico,
mentre nell’area della bascula propone di realizzare un albergo, come
in effetti avvenne circa cinquant’anni
dopo, ma con esiti figurativi ben differenti8. Nel 1929 sempre Cesare
Bazzani progetta in quella zona il
Campo del Littorio, che viene costruito
nell’area occupata dal bosco di lecci
alle spalle del monumento a Nicolò
Alunno. In tale occasione vengono
realizzati i propilei che ancora oggi
incorniciano l’accesso a tutta una
serie di attrezzature sportive, tra cui
un campo per gli incontri di calcio e
alcuni campi per il tennis: l’impianto
viene intitolato a Dandolo Gramellini e
si trasformerà, dopo alcuni interventi
che si sono susseguiti negli anni,
nell’attuale Circolo Tennis Foligno
22
Catasto Gregoriano, Foligno, [1872], particolare
dell’area di porta Romana
Giuseppe Jacquety, Fuligno. Il Municipio presenta al
Pontefice le chiavi della città fuori la Porta romana, 1857
(foto di Rinaldo Laurentini, 1907).
Foligno, area di porta Romana, [1920]
Cesare Bazzani, Sistemazione a porta Romana, 1928, prospetto
Cesare Bazzani, seconda ipotesi per la sistemazione di porta
Romana, 1928, prospettiva
25
“Alberto Cipolloni” e nel Campo de li
Giochi, dove oggi si corre la Giostra
della Quintana. L’assetto raggiunto
rimane immutato fino al secondo
conflitto mondiale, quando durante
un bombardamento aereo un ordigno
distrugge il lavatoio e danneggia la
bascula per la pesatura delle merci:
ciò da l’avvio a una serie di ipotesi per
il ridisegno della zona.
In tal senso l’Amministrazione Comunale propone la realizzazione
di un garage con officina per la riparazione di automobili, ma in un
primo momento questa proposta non
trova un riscontro positivo da parte
della comunità folignate, anche perché evidentemente di basso profilo
se rapportata a una delle aree car-
dine della città. In più la mancanza
di residenze è di nuovo il problema
più impellente che affligge Foligno
nel dopoguerra, e perciò nel 1955
viene stabilito di realizzare a ridosso
dell’ex casello daziario a est un edificio a due piani che avrebbe dovuto
ospitare un’autorimessa e alcune
residenze, contestualmente con
l’innalzamento di un piano di entrambe le palazzine e la realizzazione
delle colonne nel tratto terminale di
corso Cavour. Completati i lavori di
sopraelevazione degli edifici pubblici
(ex palazzine daziarie) e di arredo
urbano dell’area, solo nel 1963 viene
realizzato l’immobile di nove piani che
ospitava l’ex hotel Umbria ed alcune
attività commerciali e residenze, con
26
Cesare Bazzani, Foligno. Nuovo campo sportivo, 1929,
prospettiva
Comune di Foligno, Ufficio Tecnico,
Ampliamento e trasformazione fabbricato
del Dazio a Porta Romana in riferimento al
progetto Carosi, 1955,
piante, sezioni e prospetto
l’intento di ridisegnare il landmark
di porta Romana in chiave contemporanea. Con lo stesso obiettivo
viene realizzato il centro direzionalecommerciale “Le Scale”, progettato
nei primi anni Ottanta dall’architetto
Giulio Caravaggi9, al posto del grande
insediamento industriale del mulino e
pastificio Pambuffetti (1926-1931)10.
In realtà le differenze di scala e di
qualità figurativa che contraddistinguono le palazzine, l’albergo e il centro commerciale, e più in generale tutti
gli edifici dell’area, costituiscono un
insieme eterogeneo che non da vita a
uno spazio compiuto e riconoscibile.
Tanto più che, dagli anni Sessanta in
avanti, solo la circolazione stradale
è oggetto di una serie di ripensamenti ed interventi e, a compimento
Foligno, area di porta Romana, [1850]
di questi, nel 2005 viene realizzato
un parcheggio interrato al posto della
stazione degli autobus edificata nel
1950. Anche lo spazio superficiale
viene riqualificato con la sistemazione
a giardino pubblico e piazza pedonale.
A suggellare quasi un secolo e mezzo
di idee e progetti per porta Romana,
nel 2008, a seguito della ripavimentazione del tratto di corso Cavour
tra i due ex caselli daziari, vengono
rinvenuti un tratto della cinta muraria,
frammenti del basamento dell’antica
porta risalente al XV secolo e il tracciato della derivazione che permetteva
l’approvvigionamento idrico del lavatoio pubblico, interrata a causa della
costruzione dell’edificio dell’ex hotel
Umbria.
Sempre nel 2008, a seguito della
Foligno, area di porta Romana, [1960]
Foligno, area di porta Romana, [1970]
partecipazione dell’Amministrazione
Comunale folignate al bando regionale relativo alla presentazione
del PUC 2 “foligno c’entro”, è stata
redatta dall’Area Governo del Territorio-Servizio Beni Culturali un’ipotesi
schematica di una piazza coperta,
con l’intento di bandire in seguito
un concorso per idee e progetti dal
titolo “La nuova porta della città del
terzo millennio”, che però a tutt’oggi,
per carenza di finanziamenti, non ha
avuto seguito. In tal senso appare evidente la volontà dell’Amministrazione
di dare l’avvio a un processo che contribuisca a conferire all’area di porta
Romana quel carattere di
riconoscibilità che la semplice giustapposizione di opere, seppur di
qualità, negli anni non ha innescato:
in modo tale che rappresenti non solo
uno snodo per il traffico urbano, ma il
vero e proprio ingresso privilegiato al
centro storico folignate.
I progetti elaborati dagli studenti
nell’ambito dell’iniziativa Una nuova
porta urbis per Foligno. Sette progetti
per la galleria pedonale di porta Romana si muovono in questa direzione.
Sull’argomento cfr. Giovanni Bosi, Foligno, una stagione. La città
tra Otto e Novecento, Edizioni Orfini Numeister, Foligno, 2009,
pp. 14, 23, 44. In particolare il capitolo dal titolo Porta Romana,
evoluzione al di fuori delle Mura, pp. 160-175.
2
Le palazzine saranno oggetto della sopraelevazione di un piano
che verrà realizzata successivamente.
3
Le due palazzine vengono realizzate a seguito di un concorso
indetto nel 1868 vinto dalla proposta dell’ingegner Giacomo Paniconi, di cui Pizzamiglio elabora una semplificazione. Cfr. Alfiero
Moretti, Pietro Battoni, Foligno: progetti e realizzazioni fra il 1840
e il 1940 in “Bollettino Storico della città di Foligno”, XI, 1987, pp.
261-280.
4
Tali terreni in un primo tempo vengono utilizzati come campo
boario e piazza d’armi.
5
Oggi caserma “Generale Ferrante Gonzaga del Vodice”.
6
I villini vengono costruiti dalla società cooperativa fondata a tale
scopo dallo stesso Sabatini e dall’ingegner Romolo Raschi.
7
Al tempo appaiono evidenti l’esigenze di rinnovamento igienicosanitario che mostra l’edilizia residenziale storica dentro le mura
urbiche.
8
Le due soluzioni si differenziano nettamente per lo stile adottato
dal progettista: la prima, più monumentale (di cui conosciamo
una raffigurazione in pianta e una in prospetto), si sviluppa attorno a una piazza a esedra, mentre la seconda, in stile littorio
(di cui ci è giunta una vista in prospettiva), propone un prospetto
rettilineo lungo la direttrice dell’attuale viale Cesare Battisti.
9
In proposito cfr. Emiliana Ciciotti, Le Scale, in Giulio Caravaggi
Architetto, Casa Editrice Librìa, Melfi, 2012, pp. 140-143. Per la
stessa area è noto anche un progetto precedente dell’architetto
Franco Antonelli, non realizzato. In proposito cfr. Fondo Franco
Antonelli (archivio privato), n. 46A.
10
Il mulino sorse a ridosso delle mura a fianco della palazzina
ovest del dazio.
1
Franco Antonelli, Ristrutturazione edilizia a porta Romana,
1978, prospettiva
30
Foligno. Porta Romana e Corso Cavour. Notturno, [1950]
Foligno, area di porta Romana, 2012
SETTE PROGETTI
PORTA
ROMANA
GALLERIA PEDONALE
Porta 3.0
Linking Foligno
C’era una porta...
Door Code
More&Less
P-Connection
Tessere (di) Foligno
motto: Porta 3.0
tutor: Luca Martini, Carlo Rossi
studenti: Jasmine Capitini, Laura Cesaroni, Michele Giuseppe Onali, Luca Torricelli
progetto vincitore
Porta 3.0
Luca Martini
“La città non può vivere senza conflitti, per
questo motivo c’è bisogno ciclicamente di
provocarli e di tenerli in vita fino a quando
essi, divenuti troppo destabilizzanti, richiedono una loro composizione alla quale, dopo
un certo periodo, seguirà un ennesimo conflitto”.
Franco Purini, 2008
La proposta progettuale Porta 3.0 può essere
interpretata solo ammettendo chiavi di lettura
antitetiche. Jasmine Capitini, Laura Cesaroni,
Michele Giuseppe Onali e Luca Torricelli la
elaborano innestandosi nelle dinamiche che
determinano l’evoluzione dell’area studiata
ma, allo stesso tempo, se ne distaccano figurativamente privilegiando le forme sinuose e i
materiali high-tech della contemporaneità più
radicale.
La soluzione (che mutua il proprio motto
dalla consuetudine di far seguire un numero
progressivo al nome di un software al fine
di caratterizzare le release successive alla
prima) viene presentata come terzo step del
percorso evolutivo dell’area di porta Romana,
che prende le mosse dalla porta urbis
medievale (Porta 1.0) e che assume la configurazione attuale nell’Ottocento con la
costruzione della porta daziaria (Porta 2.0).
Le quote a cui si imposta l’edificio proposto
sono determinate dagli allineamenti con i
volumi contigui (l’hotel Summit e il complesso polifunzionale “Le Scale”), nel tentativo di
rammagliare lo skyline dell’area. Allo stesso
tempo, però, appare evidente l’assenza di
alcuna volontà mimetica, in quanto l’iconicità
dell’intervento proposto ridisegna il prospetto
sui viali che lambiscono il centro storico della
città.
La nuova porta conferma il suo ruolo di
cerniera tra centro e periferia e in tal senso
inquadra la cupola e il campanile del duomo
di San Feliciano (come esprime efficacemente il logo del progetto), ma al contempo
introduce un’inedita chiave di lettura della
città dall’alto che reinterpreta gli skyline turriti propri dell’immagine consolidata della
città storica. Appare volutamente ambiguo
anche il risultato della genesi formale, dove
la perentoria stereometricità dell’involucro
esterno è contraddetta dalla sinuosa fluidità
del corpo interno. Laddove il primo connette
i due caselli daziari reinterpretando la nuove
sede della CCTV di Rem Koolhaas, mentre
il secondo racchiude le funzioni principali
riecheggiando la complessità formale di una
blob architecture. L’intervento s’inserisce
nel percorso museale folignate dedicato alle
nuove forme d’arte, attualmente composto
dalle due sedi del Centro Italiano Arte Contemporanea (in via del Campanile e nella
ex chiesa dell’Annunziata), e ne costituisce
un’appendice dedicata alla video arte. Peraltro anche la distribuzione funzionale tende a
sovvertire una chiave interpretativa univoca,
poiché le opere video sono proiettate sulle
pareti dei quattro piani della torre a sud ovest
(dove per una esperienza totalmente immersiva è prevista la possibilità di utilizzare come
schermi anche i soffitti e i pavimenti), mentre
lo spazio che raccorda i due corpi verticali
ospita la zona ristoro: una piazza coperta raggiungibile anche per mezzo dei collegamenti
verticali nella torre a nord est.
Durante le ore notturne l’edificio ideato per
Porta Romana proietta la propria immagine
lattescente attraverso la schermatura esterna
trasparente, grazie alla superficie traslucida
dell’involucro interno. In questo senso riconoscibilità, attrattività, vivibilità e evocatività
caratterizzano la “nuova porta della città del
terzo millennio”.
35
Pianta alla quota della piazza coperta
Prospetto su viale Cesare Battisti
Sezione trasversale
37
Vista del modello tridimensionale e fotoinserimento
38
Concept e fotoinserimento
40
motto: Linking Foligno
tutor: Luca Martini, Carlo Rossi
studenti: Giulio Galli, Matteo Margutti, Fabio Negozio, Gabriele Rinchi,
Giacomo Sparamonti, Matteo Tanganelli
progetto segnalato
Linking Foligno
Carlo Rossi
Il gruppo che ha per motto Linking Foligno
prende le mosse dal modello della “città
compatta”, che riafferma culturalmente la
centralità del limite urbano e della rete dei
collegamenti e, soprattutto, della loro qualità.
In tal senso il progetto contribuisce a creare
nuove relazioni centro-periferia: nuove aree
di scambio locale-globale in cui si insediano sistemi di attività che non fanno più
perno su centralità predefinite, ma piuttosto
su sistemi complessi che mirano a riconnettere un tessuto piuttosto che prevederne
l’espansione, oggigiorno quanto mai incerta.
Perciò la domanda da cui Giulio Galli, Matteo
Margutti, Fabio Negozio, Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti e Matteo Tanganelli hanno
sviluppato il progetto proposto è stata: “come
si può modificare una complessa realtà
architettonica e urbanistica in un nuovo nodo
nevralgico della Foligno d’oggi?”.
L’attenta analisi dell’area di porta Romana
ha evidenziato la mancata correlazione tra
l’organizzazione dei percorsi carrabili e il
sistema dei percorsi ciclo-pedonali, inadeguati alle esigenze e alla predisposizione
dei folignati verso la mobilità lenta. Inoltre è
caratterizzata dalla presenza di una serie di
emergenze architettoniche che ne compromettono il valore identitario. Ma, allo stesso
tempo, un punto di forza è dato dalla presenza di aree a grande potenziale trasformativo, quali il Circolo Tennis Foligno “Alberto
Cipolloni”, il centro direzionale-commerciale
“Le Scale” di Giulio Caravaggi e, soprattutto,
le porte daziarie che identificavano l’ingresso
della città.
La strategia attuata dal gruppo è quella di
recuperare e riqualificare lo spazio
mediante azioni architettoniche elementari
quali “abbassare”, “svuotare”, “bucare”, che
permettono una serie di interventi mirati
come l’introduzione di una nuova piazza in
sostituzione degli attuali campi da tennis, la
creazione di un percorso che metta in
relazione pedonale l’edificio ex mulino Pambuffetti con il nuovo sistema di percorsi e
l’utilizzo degli edifici daziari per ospitare
iniziative mirate alla promozione della città,
garantendo allo stesso tempo l’accesso
ai reperti archeologici delle fondazioni
dell’antica porta di epoca romana.
L’intenzione è dare vita a un sistema di collegamenti finalizzato alla ricucitura e alla
valorizzazione dell’area mediante un percorso a un livello inferiore a quello stradale,
sfruttando l’area del circolo del tennis e la
galleria del centro commerciale, in modo tale
da scongiurare ogni forma di promiscuità tra
pedoni e automobili. I percorsi si articolano
in una arteria principale da cui si diramano
una serie di collegamenti a creare una vera e
propria maglia urbana. Dal lato di viale Roma
il nuovo sistema si riconnette alla quota
stradale mediante una rampa che costeggia il parcheggio Quintana. Il sottopassaggio
attraversa trasversalmente l’asse stradale
in corrispondenza dell’aiuola spartitraffico e
fuoriesce in corrispondenza dell’area
ridisegnata degli attuali campi da tennis.
Il percorso principale prosegue in corrispondenza della galleria del centro commerciale,
che subisce una vera e propria metamorfosi
in quanto diventa parte integrante di una rete:
un’ideale prosecuzione del corso al di fuori
dalla città storica. Il perno del nuovo sistema
integrato è la piazza scoperta posta sotto
il livello stradale in sostituzione del circolo
tennis come una vera e propria dilatazione del
percorso. Questo nuovo spazio fornisce una
insolita chiave di lettura, da sotto in su, dei
propilei progettati da Cesare Bazzani e della
statua di Nicolò Alunno di Ottaviano Ottaviani.
I tratti del percorso pedonale che contraddistingue il progetto Linking Foligno che si snodano sotto la superficie stradale sono segnati
dalle bucature ritmate che li illuminano; al
contrario i tratti in superficie sono caratterizzati matericamente da un “nastro” rivestito
in tavole di laterizio, che si avvolge a spirale
ricreando un portale tra gli edifici daziari,
secondo i principi della folding architecture.
43
Piante alle quote -4.00 e 0.00 metri e planimetria
45
Fotoinserimento
46
47
Viste del modello tridimensionale
49
motto: C’era una porta…
tutor: Filippo Conti, Ilaria Cellini
studenti: Alessandro Bianchi, Nicola Croccolino, Francesco Fantauzzi, Lorenzo Polli
C’era una porta...
Filippo Conti
C’era una porta… è un racconto che parla del
passato e si proietta nel futuro occupandosi
dell’istante. Istante inteso come momento di
durata indefinita, ma anche come luogo fisico
di confine tra due luoghi apparentemente
appartenenti allo stesso continuum urbis, ma
di fatto con caratteristiche diverse mutate nel
corso del tempo. Una porta urbica (soglia)
era un elemento che collegava ciò che era
è dentro e ciò che era fuori dalla città, dalle
mura urbiche (limite), che dividevano la città
dalla campagna: attualmente non è più così e
la porta cambia funzione, non è più un
elemento di divisione ma di unione tra
due parti di un’unica città che nel tempo è
cresciuta ed ha perso la sua identità unitaria
protetta, un tempo, dalle mura. La porta dei
nostri tempi racconta la storia della città,
conserva le memorie e informa sul presente,
aggiornandone continuamente l’identità come
insieme di edifici, persone ed eventi.
Il progetto prevede di rafforzare l’immagine
della porta andata persa nel corso del tempo
a causa di una continua espansione verso
la periferia (che di fatto polverizzò le mura
urbiche e i relativi confini); intende proporre
uno spazio di informazione a più livelli di contenuti e tempistiche di consultazione; intende
proporre un luogo di incontro e integrazione.
La ridefinizione del volume della porta avverrà
attraverso una copertura di collegamento
che unirà gli edifici daziari e formerà una
piazza coperta, tale copertura sarà composta da schermi a led orientabili in maniera
libera, come un frangisole multimediale dove
potranno essere proiettati messaggi informativi sulle attività e notizie del folignate che
interesseranno i flussi di persone in entrata
e in uscita dal centro storico: informazione
rapida, futuro.
Nella facciata prospiciente viale Cesare Battisti verrà ricavata un’apertura che ricorda
un’antica porta, mentre nella facciata verso
corso Cavour si ha un’unica apertura per tutta
la larghezza della piazza, con l’obiettivo di
evidenziare il passaggio da uno spazio verticale, le vie del centro, ad uno spazio orizzontale, la periferia, e viceversa. La penombra
51
della piazza sottolinea il momento della
transizione e invita a rallentare e sostare al
suo interno.
Il percorso museale si sviluppa perpendicolarmente all’asse viale Roma corso Cavour,
mettendo in relazione gli edifici daziari e
la piazza attraverso un elemento materico
uniforme contenente elementi descrittivonarrativi della città e dei cittadini di Foligno;
quest’ultimo si appoggia sulla piazza e
compenetra le palazzine risalendone le pareti
di fondo. Questo oggetto scenico mette in
relazione tutte le parti distanziandosi dagli
spazi pedonali. La percezione dello spazio e
del tempo si dilata: informazione lenta, passato.
Nei fronti interni della piazza si distribuiscono vari spazi pensati a disposizione
dell’Amministrazione comunale, che potrà
concederli di volta in volta a enti e operatori diversi, in modo da realizzare un centro
informazioni aperto ai turisti e ai cittadini per
mettere in contatto tutte le realtà attive sul
territorio. Ciò che prima divideva ora unisce
ed è il punto di scambio di informazioni:
informazione condivisa, presente. I tre livelli
di informazione si sovrappongono l’un l’altro
senza interferire nella comunicazione dei
singoli contenuti.
C’era una porta... E la storia continua...
Piante alle quote 0.00 e +5.00 metri
52
Sezione longitudinale
53
Fotoinserimento
55
Fotoinserimenti
57
motto: Door Code
tutor: Marco Palazzeschi, Simona Graziotti
studenti: Davide Baliani, Alex Bellucci, Valeria Berellini, Lorenzo De Matteis,
Filomena Demaio, Nicholas Mencarelli
Door Code
Door Code
Marco Palazzeschi
“Il passato si apre come materiale del progetto”.
Questa prima frase, citazione da Vittorio Gregotti,
è stata scelta come motto di Door Code e in effetti
racchiude gran parte del senso di questo progetto. Un doppio senso direi, dove l’interpretazione
stretta riguarda l’apertura (o riapertura) del terreno
sottostante la “soglia” per riscoprire il sedime e
le tracce ancora presenti dell’antica porta medievale. Una porta la cui ricostruzione tridimensionale mette in evidenza i notevoli valori plastici
del suo curvo aggettare verso la via romana con
le due torri che serrano l’accesso proteggendolo
adeguatamente in caso di attacco. Il senso più
recondito del richiamo al passato sta proprio nel
recupero dell’importanza dell’“aprirsi”,
funzione propria di una porta, e tanto più di una
porta urbana. Come se per recuperare il senso di
un passaggio ma anche di una comunicazione con
l’esterno, anche Foligno debba riscoprire qualcosa
di più profondo, qualcosa relativo al proprio passato dimenticato. Certo è che la sostituzione della
porta con le barriere daziarie rappresentate dalle
due palazzine gemelle, molto ha tolto al senso di
questo passaggio e di questa apertura. Sia per un
fatto di distanza e proporzioni, sia per il rapporto
con un contesto nel frattempo notevolmente
modificato dalla mole dell’edificio ex mulino Pambufetti e dell’hotel Summit.
Il progetto Door Code tenta dunque di ristabilire
questo rapporto di passaggio dapprima con
due movimenti di “levare”: il primo consiste nel
togliere la terra che ricopre i resti archeologici
delle fondazioni dell’antica porta; il secondo
nell’abbassare le palazzine al piano unico originario e nel loro successivo svuotamento. In questo
modo esse diventano frammenti di un recinto che
delimita lo spazio di passaggio (questa volta in
alzato) segnando nel contempo anche la propria
epoca storica all’interno del progetto.
Anch’esse “aprendosi” ad esso, dunque.
Due operazioni molto decise, motivate per altro da un’approfondita ricerca che ha permesso
di sovrapporre la cartografia storica e le carte
archeologiche con lo stato attuale, ritrovando i
sedimi ancora presenti nel sottosuolo. Una volta
eliminato l’assetto rassicurante raggiunto con le
ultime sistemazioni di “arredo urbano”, riducendolo
peraltro ad una serie di interessanti e “suggestivi”
frammenti, il progetto non fa che inserirne altri
chiaramente ascrivibili al tempo presente. Il tutto
con l’obiettivo di dotare questo punto nodale della
città di Foligno di alcuni caratteri ora per lo più assenti: la riconoscibilità, l’accessibilità e una nuova
funzionalità.
59
Due alte pensiline, che si percepiscono come blocchi verticali superano la parte dei resti della porta e
si protendono verso viale Roma dando al punto di
passaggio la giusta proporzione e distanza. Altre
due, più basse e ad andamento orizzontale, mediano con il contesto andando a coprire la nuova
rampa di accesso al parcheggio sotterraneo dell’ex
mulino Pambuffetti, nonché a collegarsi con la galleria coperta del centro commerciale. La rampa del
parcheggio viene spostata verso viale Cesare Battisti per rendere libero dall’attraversamento delle
auto e dunque accessibile tutta l’area della porta.
La duplice natura del progetto si rivela all’interno,
per chi proviene dal corso della città e percepisce
non la rappresentatività forte del fronte esterno,
ma quasi una lieve sistemazione archeologica
fatta di sottili pensiline e pilastri, di passaggi aerei
che collegano il piano sotterraneo dei ruderi, i
livelli delle vecchie palazzine e il piano della nuova
piazza. Ne deriva un fronte molto più permeabile
di quello esterno e in questo aspetto dobbiamo
riscontrare una certa sensibilità e immaginazione
per quella che doveva essere la porta urbica prima
di perdere la sua funzione difensiva: un brulicare di
persone e attività o magari di leonardesche macchine da guerra pronte per il prossimo uso.
Ovviamente nulla di tutto questo è pensato per
l’uso contemporaneo della nuova porta di Foligno,
bensì semplicemente un luogo di ritrovo a più
livelli con terrazze per la sosta e la socializzazione,
punti informazione per l’accoglienza in città e per
la riscoperta di una parte magari sconosciuta del
sottosuolo e della storia urbana. Inoltre il parcheggio del centro commerciale viene coinvolto nel
progetto mediante una nuova scala ricavata nello
spessore della porta e con un giardino di bambù
che mette in comunicazione i due livelli dando
anche luce naturale a quello interrato.
Il trattamento materico delle pensiline è coerente
con la loro funzione poiché l’acciaio COR-TEN ben
si presta a dialogare con le scabre superfici delle
murature storiche dichiarando la propria contemporaneità senza generare eccessivi contrasti. La
parte esterna presenta sottili scanalature verticali
a tutt’altezza che segnano, di giorno con le ombre
e di notte illuminandosi, questa nuova porta della
città e richiamano le barre di un segreto codice di
accesso ad un livello più approfondito di conoscenza.
Pianta alla quota 0.00 metri
60
Vista del modello tridimensionale
61
62
Viste del modello tridimensionale
63
motto: More&Less
tutor: Simone Bori, Giacomo Pagnotta
studenti: Michele Biscotti, Lucia Cornelli, Ilaria Morelli, Giacomo Palombi,
Claudia Tondini
More&Less
Simone Bori
Il progetto More&Less, che si propone di
risolvere il tema del ridisegno figurativo di
porta Romana senza intervenire sulla viabilità e sulle preesistenze architettoniche
limitrofe, prefigura una galleria pedonale, in
forma di piazza coperta, che funga da filtro
tra le zone carrabile e pedonale e allo stesso
tempo si configuri come testata di corso
Cavour (dall’interno) e come nuova porta
urbis (dall’esterno); ipotizza, inoltre, che nelle
ex palazzine che costituivano la porta daziaria sia inserito uno spazio espositivo in
cui presentare a cittadini e turisti la città di
Foligno; riscopre, infine, i ruderi dell’antica
cinta muraria cittadina inserendoli in un percorso museale che esalti le principali valenze
archeologiche dell’area.
Il concept architettonico, descritto programmaticamente anche dal motto More&Less,
prevede l’introduzione di una copertura e di
un nuovo livello ipogeo contestualmente alla
sottrazione dei volumi interni alle palazzine,
ampliando così lo spazio fruibile dalla cittadinanza oltre la piazza, che viene coperta al fine
di configurare una vera e propria galleria pedonale. I rimandi formali sono da ricercare nel
Museo del Novecento di Italo Rota a Milano
per gli aspetti di trasformazione dei contenitori storici, nelle stazioni del minimetrò
di Jean Nouvel a Perugia per le trasparenze
generate dalla sapiente aggregazione di
elementi architettonici e nel Museo Nazionale
Romano di Giovanni Bulian presso le Terme
di Diocleziano a Roma per l’elegante scelta
dei materiali nell’inserimento di un intervento
contemporaneo in uno spazio storico.
La copertura, prevista piana all’intradosso
con una svasatura nella parte finale che la
raccorda con la superficie dell’estradosso, è
sorretta da un colonnato regolare che misura
lo spazio pedonale. Tale copertura, inoltre,
recupera le giaciture dell’edificato circostante
e si pone come elemento architettonico di
mediazione che contrasta la sproporzione
attuale tra il vuoto dello spazio pubblico e il
pieno rappresentato dall’invadente
edificato adiacente. Negli spazi ricavati dallo
svuotamento delle palazzine il progetto
prevede la realizzazione di un suggestivo
percorso ascensionale, pubblico e continuo,
di presentazione della storia cittadina, che
si snoda su più livelli tra scale e solai in
acciaio nero rigorosamente indipendenti
rispetto ai muri preesistenti, al fine di enfatizzare, nell’accostamento, le rispettive identità
architettoniche. Il percorso si completa nello
spazio espositivo ipogeo in cui avviene la
riscoperta attiva dei reperti archeologici
situati al di sotto della piazza, che testimoniano l’antica presenza di una delle porte di accesso alla città storica. Un ampio solaio con
struttura in acciaio e finitura in vetro calpestabile posto sul piano della piazza consente
infine di mettere in comunicazione visiva i
diversi livelli che caratterizzano il progetto e
di illuminare con luce naturale il livello ipogeo.
Secondo un principio recentemente condiviso
nel dibattito architettonico sull’inserimento di
architetture contemporanee nei centri storici,
il progetto More&Less propone l’integrazione
degli aspetti estetici con i principi della sostenibilità dal punto di vista energetico (e, con
esso, anche economico e sociale). Questa
opportunità, oltre a essere l’unica possibile
finalizzata a ottenere un bilancio attivo in termini di sostenibilità ambientale, sgombra anche il campo dal dibattito sugli interventi “in
stile” o mimetici in quanto questi non consentono di raggiungere performance energetiche
come avviene invece nel caso dell’architettura
dall’estetica prettamente contemporanea.
Nel caso specifico a tale scopo, infatti, sulla
copertura è integrato un sistema di pannelli fotovoltaici opportunamente orientati
che consentono di soddisfare il fabbisogno
necessario all’illuminazione degli spazi
pubblici all’aperto e al coperto ricadenti
nell’ambito del progetto. L’intervento, inoltre,
è fondato sul concetto di reversibilità in cui,
in maniera flessibile, sia il sistema architettonico progettato sia l’ambiente circostante
in cui esso è inserito ritornano nello stato di
equilibrio preesistente all’inizio del processo
progettuale. In questo tipo di approccio, che
dimostra una particolare sensibilità per i temi
legati alla progettazione all’interno dei centri
storici, sono adottati materiali, come l’acciaio
e il vetro, oltre che componenti tecnologiche
o soluzioni strutturali che meglio di ogni altre
consentono l’attuazione di tale principio.
Il progetto More&Less, quindi, si presenta
con un carattere sobrio e rigoroso, discreto
e minimale, che, seppure, di assoluta contemporaneità non si lascia corrompere dalle
mode figurative del momento e che, piuttosto,
recupera la profondità concettuale della progettazione guardando al passato per proiettarsi nel futuro.
67
Planimetria
Pianta alla quota 0.00 metri
68
69
Prospetto su viale Cesare Battisti
70
Prospetto su via Luigi Chiavellati
72
Viste del modello tridimensionale
motto: P-Connection
tutor: Marco Palazzeschi, Simona Graziotti
studenti: Elisa Brunelli, Marta Ciancabilla, Lara Pelliccia, Marta Piazza, Francesca Rea,
Giovanni Sensi, Matteo Ziarelli
P-Connection
Simona Graziotti
P-Connection è un modo nuovo di interpretare la porta di una città: in una società dove
la connessione multimediale è alla base di
ogni rapporto tra luoghi e persone attraverso
dispositivi elettronici, P-Connection si propone come una rete che capta informazioni
dall’esterno della città per poi convogliarle al
suo interno.
L’intensità del traffico quotidiano che interessa le strade limitrofe a porta Romana impedisce al cittadino di vivere l’area in oggetto
come una zona pedonale: la passeggiata che
arriva dal centro storico si interrompe bruscamente arrivando alla porta, per lasciare spazio
a un incrocio di strade carrabili: si ha così la
percezione di una zona di transito piuttosto
che di un’area di sosta. Questo improvviso
ribaltamento della fruibilità degli spazi vuole
essere risolto riservando al cittadino un’area
integralmente dedicata, proponendogli un
nuovo modo di interagire con la città. La
nuova porta diventa così un nodo di convergenza per chi esce dal centro storico e per chi
vi entra, offrendo un ambiente a servizio della
collettività.
Per rendere possibile questa connessione
fondamentale tra le persone e i luoghi,
l’intervento presuppone la presenza di un
filtro, una piazza suggerita, che lascia convivere il traffico veicolare con quello pedonale,
integrando l’esistente con ambienti dedicati
al cittadino e con punti di accumulo formati
da sedute e da percorsi in grado di offrire
nuovi punti di vista da dove poter inquadrare
la città. L’isola pedonale si trasforma in un
giardino fruibile e la nuova piazza offre ai
passanti aree di sosta formate da elementi
modulari che si uniscono e si intersecano per
formare sedute ed elementi di arredo urbano.
Questo contesto inquadra perfettamente il
soggetto dell’intervento progettuale, la nuova
porta, che acclama l’ingresso alla città con
elementi colorati e distintivi. Il nuovo si integra con l’antico, denunciandone l’esistenza
ma suggerendo anche nuove forme e nuove
destinazioni d’uso.
La volontà di realizzare una continuità tra la
nuova piazza e il percorso pedonale esistente
all’interno della città storica è espressa da
un taglio netto, che nasce dal prolungamento
ideale di corso Cavour e attraversa uno dei
due caselli daziari esistenti, sezionandolo
e lasciandone in piedi solo una parte. Da
questa traccia prende forma la nuova parete
75
verticale, pensata in parte trasparente per
mostrare le parti sezionate come testimonianza del processo evolutivo dell’edificio.
Questo elemento supera in altezza il volume
preesistente e si estende verso lo spazio collettivo, realizzando una copertura per l’area
sottostante a servizio di chi vuole sostare e
interagire con la città.
Il carattere multimediale di P-Connection si
concretizza in questa parete che si rivela un
grande schermo interattivo a disposizione del
cittadino che ricerca informazioni sugli
itinerari e sulle iniziative di volta in volta
organizzate a Foligno. La nuova porta assume così un aspetto anticonvenzionale ma
funzionale, traccia uno spazio più ampio di
quello esistente e lo protegge dalle intemperie
per una maggiore vivibilità.
Il nuovo edificio ha una pianta trapezoidale:
i muri ortogonali sono quelli preesistenti e
l’elemento diagonale è la nuova parete
interattiva. Si sviluppa su due piani, che sono
collegati tra loro con un ascensore e una
scala esterna. Entrambi i livelli sono caratterizzati da punti singolari che consentono
di approfondire la conoscenza di Foligno: al
primo piano un plastico appeso mostra la
forma urbis della città.
Il casello daziario che rimane integro è messo
in rilievo da una struttura in acciaio che gli si
antepone come una cornice, e che, allo stesso
tempo, offre lo spunto per l’inserimento di
nuovi elementi. Questi sono costituiti da
due terrazze traslucide e colorate, che comunicano con gli ambienti del primo piano
dell’edificio e aggettano verso la nuova piazza
sostenute dalla cornice che ha una maglia
regolare, che riprende il modulo utilizzato per
l’ideazione dell’intero progetto. Le due terrazze accolgono tavoli e sedute a servizio
della zona ristoro: le superfici trasparenti permettono la visione della nuova piazza e delle
immagini trasmesse nello schermo di fronte.
Lo spazio di porta Romana è stato ridisegnato
da questo intervento per quanto riguarda le
sue dimensioni e le sue funzioni, per restituire
al cittadino la dimensione umana della città.
La nuova porta non offre solo un ingresso
al centro storico, ma rappresenta anche un
punto di aggregazione per la popolazione,
con forme e funzioni che soddisfano le nuove
esigenze del cittadino.
Vista del modello tridimensionale
76
Piante alle quote 0.00 e +5.60 metri
77
Prospetto su viale Cesare Battisti
Prospetto su corso Cavour
78
Prospetto su corso Cavour
79
80
Viste del modello tridimensionale
motto: Tessere (di) Foligno
tutor: Simone Bori, Giacomo Pagnotta
studenti: Alessandra Angeli, Giacomo Boncio, Francesca Catalucci, Daniele Mariani,
Deborah Muzi, Selene Teodori
Tessere (di) Foligno
Giacomo Pagnotta
Il progetto che ha per motto Tessere (di)
Foligno, ideato dagli studenti Alessandra
Angeli, Giacomo Boncio, Francesca Catalucci, Daniele Mariani, Deborah Muzi e Selene
Teodori, nasce dall’attenta analisi dell’area
di porta Romana: uno spazio irrisolto della
città di Foligno che oggi appare come un “non
luogo”, dove il tessuto urbano e i percorsi
carrabili si intersecano con il flusso pedonale
d’accesso alla città e gli assi percettivi che
lo caratterizzano. L’imponente presenza
dell’hotel Summit, le stratificazioni architettoniche che si sono susseguite nel corso
degli anni, i cambi di destinazione d’uso e
l’aumento del volume di traffico hanno reso
l’area caotica e senza identità, dove la presenza delle automobili sovrasta quella delle
persone e dove quello che dovrebbe essere
un luogo di incontro si riduce a un luogo di
passaggio. L’obiettivo principale del progetto
è quello di dare una nuova figuratività all’area
senza stravolgerne l’impianto consolidato,
secondo i principi dell’architettura parassita:
il pretesto ideativo è quello di ricucire spazi
attualmente scollegati tra loro per mezzo di
interventi di arredo urbano (a metà strada tra
architettura e design) che si aggrappano agli
edifici esistenti, escono dal terreno e scavalcano le strade.
Prendendo spunto da installazioni artistiche
a scala urbana (che con elementi sinuosi generano giochi di luci e composizioni
complesse), il progetto si articola in una serie
di interventi dislocati nell’area di progetto
vera e propria e in quelle limitrofe,
rammagliando simbolicamente le diverse
“tessere” di cui è composta la città. Il motto
Tessere (di) Foligno esplica questa volontà
di restituire una continuità architettonica e
percettiva attraverso un trait d’union, laddove il termine “tessere” è leggibile sia come
sostantivo (parti di, tasselli di ecc.) sia come
verbo (cucire, rammagliare ecc).
Gli interventi principali sono dislocati nell’area
tra i due caselli daziari e nello spazio antistante la statua di Nicolò Alunno.
Nell’intervento sulla parte terminale di corso
Cavour tubolari metallici colorati high-tech
style ed elementi strutturali fuori scala si
intrecciano configurandosi come il sostegno
di una serie di membrane traslucide che
si sovrappongono tra loro, generando una
83
trama che copre quasi interamente la piazza.
Quest’ultima si trasforma in un luogo “icona”,
un punto nevralgico di sosta e d’incontro.
Gli elementi strutturali e i materiali utilizzati
sono esito di ricerche a partire dalle lezioni
tenute dai visiting professor che hanno caratterizzato il calendario didattico, e sono stati
progettati per alloggiare al loro interno tubi di
led che, distribuiti per tutta la loro lunghezza,
nelle ore notturne generano effetti luminosi e
cromatici di grande impatto visivo. La copertura è realizzata con membrane di ETFE
che, grazie alla loro elasticità, si adattano
perfettamente a strutture complesse, e sono
caratterizzate da un’elevata leggerezza e ottima resistenza agli agenti atmosferici. Le due
palazzine vengono recuperate mantenendo
inalterate l’immagine esterna e l’impianto
planimetrico, mentre internamente vengono
completamente svuotate fino a diventare
un’estensione della piazza, uno spazio pubblico aperto ma coperto. Questa continuità è
evidenziata anche figurativamente da elementi metallici d’arredo che dal piano terra
si snodano fino agli uffici comunali presenti al
piano superiore con forme sinuose che contribuiscono a creare una continuità spaziale.
L’intervento di fronte alla statua di Nicolò
Alunno enfatizza le qualità inespresse di uno
spazio dove il monumento costituisce di per
sé l’elemento più significativo. In quest’ottica
l’elemento tubolare che caratterizza il progetto avvolge sinuoso la statua senza mai
toccarla, esaltandone la plasticità per mezzo
delle proprietà riflettenti della superficie del
materiale metallico durante le ore diurne
e della scenografica illuminazione dei led
durante le ore notturne. Lo stesso elemento è
anche una copertura per le sedute già presenti, attualmente poco utilizzate a causa della
scarsa protezione dagli agenti atmosferici.
Tessere (di) Foligno si caratterizza per un
approccio originale al tema del recupero
dell’area di porta Romana, riponendo particolare attenzione all’integrazione di un intervento high-tech a volume zero con un contesto
urbano decisamente stratificato al fine di
ridefinirne una chiave di lettura unitaria.
Planimetria e pianta alla quota 0.00 metri
Prospetto su piazza Niccolò Alunno
Prospetto su viale Cesare Battisti
85
Fotoinserimenti
87
Viste del modello tridimensionale
89
IL CONCORSO
92
grand jury
esito del concorso
Una volta terminata la presentazione,
il grand jury si è riunito al fine di esaminare le proposte progettuali esposte
e ha ritenuto di premiare un progetto
vincitore e uno segnalato, secondo i
seguenti principi.
“Il progetto dal motto Porta 3.0 del
gruppo composto dagli studenti Jasmine Capitini, Laura Cesaroni, Michele
Giuseppe Onali e Luca Torricelli risulta
vincitore per la sua iconicità, in quanto
rilegge il significato di monumentalità
in chiave contemporanea nel rapporto
con i volumi esistenti che attualmente
appaiono fuori scala rispetto al contesto.
Il progetto dal motto Linking Foligno del
gruppo composto dagli studenti Giulio
Galli, Matteo Margutti, Fabio Negozio,
Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti
e Matteo Tanganelli risulta segnalato
per il riuscito rapporto con l’intera area
di porta Romana conseguito attraverso operazioni compositive semplici
quali abbassare, bucare e svuotare e
per aver privilegiato la mobilità lenta”.
93
Indice
UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO
Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana
PRESENTAZIONI
p.2
PREFAZIONE
Carlo Terpolilli
p.6
UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO
La sostenibilità sostiene l’architettura
Dalle scale mobili di Perugia alla galleria pedonale di Foligno
Paolo Belardi
p.12
L’area di porta Romana: un luogo irrisolto
Alfiero Moretti
p.20
SETTE PROGETTI PER LA GALLERIA
PEDONALE DI PORTA ROMANA
Porta 3.0 Luca Martini
p.34
Linking Foligno Carlo Rossi
p.42
C’era una porta... Filippo Conti
p.50
Door Code Marco Palazzeschi
p.58
More&Less Simone Bori
p.66
p.74
P-Connection Simona Graziotti
Tessere (di) Foligno Giacomo Pagnotta
p.82
IL CONCORSO
95
p.91
UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO
Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana
a cura di
Paolo Belardi, Alfiero Moretti, Luca Martini
Il volume presenta gli atti dell’iniziativa che si è svolta a Foligno presso l’auditorium di Santa Caterina il
27 gennaio 2012, in occasione della quale sono stati
presentati i progetti redatti nell’ambito dell’attività
didattica dei corsi di Progettazione Digitale e Laboratorio di Progettazione Digitale del Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Ingegneria edile-Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università
degli Studi di Perugia attivati nell’anno accademico
2011-2012.
docenti
Paolo Belardi, Alfiero Moretti
visiting professor
Gianni Drisaldi, Vittoria Garibaldi,
Salvatore Santucci, Riccardo Vetturini
tutor
Simone Bori, Ilaria Cellini, Filippo Conti,
Simona Graziotti, Luca Martini,
Giacomo Pagnotta, Marco Palazzeschi,
Carlo Rossi
studenti
Alessandra Angeli, Davide Baliani,
Alex Bellucci, Valeria Berellini,
Alessandro Bianchi, Michele Biscotti,
Giacomo Boncio, Elisa Brunelli,
Jasmine Capitini, Francesca Catalucci,
Laura Cesaroni, Marta Ciancabilla,
Lucia Cornelli, Nicola Croccolino,
Filomena Demaio, Lorenzo De Matteis,
Francesco Fantauzzi, Giulio Galli, Matteo
Margutti, Daniele Mariani, Nicholas Mencarelli,
Ilaria Morelli, Deborah Muzi, Fabio Negozio,
Michele Giuseppe Onali, Giacomo Palombi,
Lara Pelliccia, Marta Piazza, Lorenzo Polli,
Francesca Rea, Giovanni Sensi,
Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti,
Matteo Tanganelli, Selene Teodori,
Claudia Tondini, Luca Torricelli, Matteo Ziarelli
L’iniziativa si è conclusa con la premiazione del progetto vincitore e del progetto segnalato dal parte del
grand jury nominato all’uopo.
grand jury
Gian Marco Cannavicci, Rita Fanelli Marini
(presidente), Paolo Luccioni,
Giancarlo Partenzi, Luciano Piermarini
VIAINDUSTRIAE edizioni
via delle Industrie 9
06034 Foligno (PG)
info@viaindustriae.it
progetto grafico VIAINDUSTRIAE
stampa in Febbraio 2013 grafiche CMF, Foligno
L’editore rimane a disposizione degli eventuali
detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare.
COMUNE DI FOLIGNO
ISBN 978-88-97753-06-3
prezzo 10,00 €