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architettura UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana, Foligno a cura di Paolo Belardi, Alfiero Moretti, Luca Martini prefazione di Carlo Terpolilli architettura Presentazioni Nando Mismetti Sindaco del Comune di Foligno L’idea di caratterizzare l’area di porta Romana come nuovo ingresso al centro antico della città di Foligno non è nuova. Dalla seconda metà del XIX secolo numerosi sono i progetti e gli interventi che hanno perseguito questo obiettivo. In questa direzione vanno, negli anni recenti, la riorganizzazione della viabilità, il restauro dei Propilei, la realizzazione del parcheggio interrato “Quintana” nel 2005 e la ripavimentazione del tratto finale di corso Cavour nel 2008. Proprio nel 2008 l’Amministrazione Comunale ha intrapreso con maggiore decisione questa strada con la presentazione del bando regionale relativo al PUC 2, in cui si prefigurava l’intento di bandire un concorso di idee per il ridisegno dell’area dal titolo “La nuova porta della città del terzo millennio”, a tutt’oggi senza seguito per la difficoltà di reperire finanziamenti adeguati. Oggi un passo ulteriore viene compiuto grazie agli elaborati didattici redatti dagli studenti dei corsi di Progettazione Digitale e Laboratorio di Progettazione Digitale del quinto anno del Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Ingegneria edile-Architettura della Facoltà di Ingegneria dell‟Università degli Studi di Perugia, presentati in occasione dell‟iniziativa Una nuova porta urbis per Foligno. Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana, che si è svolta a Foligno presso l’auditorium di Santa Caterina il 27 gennaio 2012. Queste proposte ridesteranno sicuramente un dibattito mai sopito, in particolare a causa della presunta eversività di un linguaggio estremamente contemporaneo, a pochi passi da piazza della Repubblica in cui sono collocati il Municipio ed il Duomo di San Feliciano. Ma piuttosto che soffermarsi sugli esiti formali, pare interessante evidenziare l’intento perseguito con questa operazione, ovvero quello di restituire il ruolo di ingresso privilegiato al centro storico della città all’area di porta Romana. È auspicabile che l’avvio di questo percorso virtuoso permetta di ripensare in termini di accessibilità, sostenibilità ambientale e qualità del disegno urbano il nodo di porta Romana che a tutt’oggi è ancora irrisolto, in modo tale che a beneficiarne sia l’intera città di Foligno. Alberto Cianetti Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno Ogni volta che l’Università degli Studi di Perugia presenta i suoi studenti, il loro impegno, la loro creatività e determinazione e, perché no, i loro sogni, c’è sempre da parte della Fondazione Cassa di Risparmio di Foligno una particolare attenzione e disponibilità a tale realtà, non solo perché è coinvolta l’Istituzione regionale a carattere scientifico per eccellenza, ma anche perché i giovani sono la radice del nostro futuro su cui è doveroso e fondamentale investire risorse ed energie. In questa cornice devo sottolineare che la Fondazione ha accolto con grande interesse questa iniziativa anche per un’altra serie di ragioni, che coincidono più propriamente con il suo ruolo di attore protagonista del territorio e di partner importante dell’Amministrazione Comunale in tema di modifica della conformazione urbanistica della città. Basti pensare che, attraversando quotidianamente lo spazio preso in considerazione dai giovani studenti, ci si è spesso posti il problema di una sua necessaria riqualificazione; ma vi è di più: gli organi della Fondazione hanno pensato di intervenire in loco per migliorare almeno la qualità di quanto è attualmente in uso, razionalizzando spazi, percorsi e volumi e per creare, anche per chi arriva in città, un punto di accoglienza funzionale e gratificante. Ci è sembrato, dunque, che sostenendo la realizzazione della presente pubblicazione, si potesse operare una valorizzazione dei sette progetti per porta Romana, concorrendo a porre la città di fronte all’ipotesi di una rivisitazione di questo luogo simbolo di Foligno. Intendo ringraziare il gruppo di lavoro che ha operato sotto la guida attenta del professor Paolo Belardi e dell’architetto Alfiero Moretti, senza la cui disponibilità, passione e competenza non sarebbe stato possibile giungere a questo risultato; esito, ci tengo a sottolineare, che ha permesso di far conoscere anche le trasformazioni subite dal luogo preso in esame nel corso dei secoli e quindi ha creato un ragionevole legame con il passato; storia che, attraversata dal presente, deve essere assolutamente conosciuta per poter affrontare in modo costruttivo il futuro. A conclusione di questo breve saluto, mi auguro che questa pubblicazione possa costituire il primo passo per poter dare seguito alla progettualità avviata e stimolare le Istituzioni a realizzare un intervento concreto che riqualifichi questo spazio vitale della nostra città. 3 Joseph Flagiello Assessore all’Urbanistica del Comune di Foligno L’esperienza didattica Una nuova porta urbis per Foligno. Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana ha affrontato un tema progettuale senza troppe inibizioni e ha prodotto ipotesi interessanti e numerosi stimoli, ma più semplicemente ci ha consegnato un argomento per un dibattito: che cosa rappresenta ancora oggi una “porta” per la nostra città, per le nostre città? É un contributo che ci coinvolge, che ci stimola a pensare e ad affermare anche parole “usate”, “vecchie”, per descrivere fatti diversi, esigenze nuove che cambiano col tempo. Il bisogno è quello di trovare risposte per orientarci negli spazi che cambiano per noi e per gli altri, per chi li dimentica e per chi li scopre. E’ il caso di porta Romana a Foligno. Chi ne riconosce la forza di fagocitare chiunque si avvicini, chi ne ricordi la storia, più o meno recente, fatta di memoria o solamente di esperienza vissuta, chi invece ne cerca gli aspetti innovativi. Chi invece ci passa e basta. Offrire una gerarchia degli spazi urbani, insieme a un’immagine definita del centro antico per chi arriva a Foligno, è una scelta obbligata e strategica per competere, per evocare, per decifrare la città. Una “nuova porta” attraverso la quale si ha l’impressione di un inizio e di una fine, in cui si distingue il dentro dal fuori. Una “porta” che non si oppone ma che si propone, che non separa ma che invece unisce chi è nel centro antico con quelli che stanno nella città contemporanea: non impedisce l’ingresso e forse neanche lo agevola, lo determina. Senza la “porta” si entrerebbe lo stesso nel nucleo antico della città, ma forse non si avrebbe la sensazione di essere in un luogo speciale, unico ed irripetibile. Una “porta” oggi non apre una via, la segna, la sostanzia, la rende evidente e riconoscibile, la distingue dal resto. Offre la consistenza al sentiero solcato nei secoli precedenti. Serve anche questo, serve per accordarci, per regolarci ma anche per incontrarci. Il programma PUC 2 “Foligno c’entro” prevedeva, già dal 2009, la copertura di alcuni spazi all’interno del centro storico facendo seguito ad una proposta presentata dalla Confcommercio. Successivamente dallo studio di fattibilità che il comune ha predisposto, è emerso che il luogo più idoneo per promuovere la sistemazione di uno spazio pubblico, anche attraverso l’inserimento di una copertura, sarebbe stato la piazzetta di porta Romana, ricompresa tra i due edifici comunali, senza interferenze con proprietà private, luogo simbolico in cui poter progettare “la nuova porta della città del terzo millennio”. E’ pertanto particolarmente apprezzato il contributo che gli studenti dei corsi di Progettazione Digitale e Laboratorio di Progettazione Digitale del Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Ingegneria edile-Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Perugia, coordinati dal professor Paolo Belardi e dall’architetto Alfiero Moretti, hanno dato alla città di Foligno con i loro elaborati didattici, in quanto si inserisce all’interno di un percorso che l’Amministrazione comunale aveva avviato già dal 2009. Queste proposte costituiscono un’ulteriore tappa sul cammino avviato per restituire all’area di porta Romana un ruolo primario di scambio, che ha svolto nei secoli, tra il nucleo antico e la città contemporanea. Rita Fanelli Marini Presidente del Grand Jury I sette progetti per “una nuova porta urbis per Foligno”, proposti nell’iniziativa di presentazione del 27 gennaio 2012, hanno riportato all’attenzione della città un problema che viene da lontano. Infatti, da quando nel 1870 era stata abbattuta la porta storica con i suoi torrioni monumentali fortemente caratterizzanti, lo spazio di porta Romana ha subito continue e diverse sistemazioni, senza mai raggiungere un assetto definitivo. Nel momento attuale il riordino e la riqualificazione di questa area della città è divenuta urgente, e l’impegno degli studenti della facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Perugia giunge proprio al momento giusto. Il professor Paolo Belardi e l’architetto Alfiero Moretti, che hanno coordinato i sette gruppi di lavoro, hanno colto l’urgenza di questo problema e hanno saputo alimentare ogni idea che è poi divenuta vero e proprio progetto. I sette gruppi hanno dato vita a un’interessante riflessione sul tema, con un ventaglio di proposte assai diversificate fra loro. Gli elaborati hanno evidenziato peraltro la corretta considerazione del contesto storico che ha caratterizzato nel tempo lo spazio preso in esame, e hanno dato il dovuto rilievo alla funzione di accoglienza e di vivibilità in un luogo che è ormai divenuto soltanto di transito, data l’attuale presenza di molteplici servizi tra loro scollegati e del tutto differenziati. Un’organica rivisitazione dell’insieme, considerato nella sua complessità, è stata opportunamente alla base di ognuno dei sette progetti, che hanno rivelato una particolare vivacità creativa. Nella competizione si è distinto il lavoro che ha proposto una nuova vivibilità dello spazio disponibile, aggregando tutti gli edifici preesistenti attraverso un volume che potrebbe apparire fuori scala, ma che al contrario darebbe vita ad un nuovo fronte monumentale per l’ingresso alla città, evocando un grande imponente blocco scultoreo. Un’idea di sicuro interesse che potrebbe dunque essere ripresa e approfondita. È proprio questo il rapporto fecondo che una città deve cercare. Solo nel confronto delle idee, nel dibattito aperto, tutta una comunità può ritrovarsi e consapevolmente crescere. Questa occasione è stata dunque preziosa e sicuramente esemplare per aprire una nuova stagione nel rapporto tra Città e Università; un rapporto sinergico che potrà dare esiti fruttuosi. 5 Prefazione Carlo Terpolilli FOTO DI GRUPPO IN UN INTERNO Stimolato dai contenuti e dai risultati di questo laboratorio e da questa competizione, mi permetto di esprimere alcune considerazioni: la prima sul metodo, la seconda sul come, ovvero sulle strategie del progetto di architettura, e la terza sul dove, ovvero sui nuovi e vecchi territori dell’architettura. Sul metodo Il significato profondo di questa iniziativa, di questa esperienza progettuale collettiva, sta, a mio parere, semplicemente nella foto che chiude la pubblicazione: una foto di gruppo in un interno, giovani sorridenti e soddisfatti, intorno ai loro mentori, ai loro maestri. Sono i protagonisti, gli attori che si presentano sulla scena a conclusione della rappresentazione teatrale. Si respira un’aria di soddisfazione, quella di esserci, di essere parte, di aver contribuito alla costruzione corale di una vicenda utile non solo per sé, ma anche per gli altri. Un valore didattico straordinario, più di ogni lezione ex cathedra. Perché ci ricorda che c’è un valore morale nell’azione, nel fare, nel darsi da fare, prima ancora di qualsiasi valore materiale e finanche di quello culturale: quello di essere utile, appunto, di avere un ruolo. Ecco quello che ci racconta quella foto: metti un gruppo di giovani, una brigata di studenti, per un periodo limitato di tempo dentro un tema ben definito e chiaro e il risultato è straordinario. Questa foto mi riporta alla mente una scena simile mai fotografata. Una brigata di ragazzi chiusi in un interno per molti giorni per sfuggire alla peste, che, per dare senso ai giorni, si danno una regola: ogni giorno viene proposto un tema, un argomento da cui ciascuno prenderà spunto per un racconto. Da qui prende le mosse un capolavoro della letteratura, il Decamerone, che nel suo significato letterale è “(Opera di) dieci giorni”. Il confronto d’idee, la contrapposizione, lo stimolo reciproco, la provocazione, l’emulazione sono le condizioni necessarie per sviluppare l’immaginazione, la capacità di realizzare progetti, visioni, racconti. Il risultato evidente di questo evento, la “nuova porta urbis”, sono sette racconti (C’era una porta…, Door Code, Porta 3.0, More&Less, P-Connection, Linking Foligno, Tessere (di) Foligno), sette declinazioni e variazioni sullo stesso tema. Ciascuna di esse usa un proprio registro compositivo con matura consapevolezza, quasi da non far sospettare la giovane età dei protagonisti. Non voglio entrare nel commento sui singoli progetti perché, come ho detto spesso, quello che conta è il risultato corale, laddove certamente conta anche il valore del risultato dei singoli. Ciò che poi è importante è la testimonianza “vivente” del potenziale umano e intellettuale della nuova generazione, su cui il nostro paese non può che scommettere, pena il suo declino. In poco tempo, con un’unica azione otteniamo più risultati, che vanno al di là delle proposte specifiche, pur importanti: per gli studenti, che s’immergono nella realtà concreta della città, per l’Università, che esce dalle sue mura e mette a disposizione del territorio le sue risorse umane e materiali, e per la Comunità, che si ritrova nelle mani soluzioni e proposte su cui riflettere e discutere. Sulle strategie del progetto di architettura Questo coinvolgimento delle istituzioni, della città e dell’opinione pubblica, questa iniziativa culturale svolta a partire dai corsi universitari coordinati da Paolo Belardi e Alfiero Moretti, compie un ulteriore atto fondamentale: riporta in primo piano il ruolo strategico dell’architettura e il suo significato, e soprattutto ricorda alla Comunità che non possiamo fare a meno di essa, qualunque sia la strategia di sviluppo che possiamo immaginare per il territorio e la città. Perché Architettura è un modo originale e originario di interpretare il mondo, di dare spiegazione dei fenomeni di organizzazione, strutturazione ed evoluzione del territorio antropizzato, delle città, dei manufatti edilizi e delle infrastrutture. Architettura, in altri termini, è una disciplina che dà “spiegazione” dell’intima strutturazione degli artefatti. Il progetto architettonico è metodo di ricerca e, nello stesso tempo, strumento con cui agisce la disciplina architettonica: è solo attraverso i progetti che l’architettura costituisce e innova il suo corpus teorico normativo, il suo statuto disciplinare. La ricerca progettuale è, dunque, la modalità necessaria e sufficiente con cui di-svelare ciò che emerge dalla interazione tra uomo e ambiente e dalla evoluzione degli artefatti. E il risultato si costituisce come evento, come epifania. Il processo progettuale ha le qualità di un procedimento scientifico proprio in ragione di questa sua capacità d’indagine, e va tolto da quella condizione arbitraria, senza regole, incline all’assenza di una riflessione teorica che è poco educativa, non 7 trasferibile. Un atteggiamento basato su una sorta di cinismo che tende a preservare il fare in assenza di un fine. La progettazione architettonica è molte cose contemporaneamente, ciascuna delle quali rivela una strategia di azione diversa; tutte convergono verso un unico obiettivo, quello di dare realtà a ciò che semplicemente si è immaginato. La capacità di immaginare sta alla base dell’azione progettuale, senza la quale è impossibile pensare e agire in architettura. Questa capacità umana, e non solo divina, di trasformazione della realtà contiene una forza visionaria, ineffabile, capace di anticipare a breve ciò che sarà. Perché progettare è prevedere, dal momento in cui contiene un’idea di anteriorità che viene prima dell’oggetto. Ma se progettare è prevedere, le trasformazioni e le modificazioni dello spazio antropico e l’atto del progettare sono un atto di fiducia verso il futuro, un atto di speranza: oggi dobbiamo accompagnare questa speranza con un senso nuovo, il senso della tragedia. Viviamo in un tempo in cui le modificazioni dell’assetto globale del mondo, la fine delle illusioni e la perdita delle certezze provocano angoscia, paura di sbagliare e un senso di tragedia imminente. Solo accompagnando la “speranza progettuale” con la consapevolezza dei limiti dello sviluppo, e delle crisi globali, si potranno affrontare le questioni spesso contraddittorie e paradossali che si addensano sul tavolo da disegno: un atteggiamento progettuale consapevole che fonda la sua azione sulla responsabilità. Questa consapevolezza ci ricorda che con la nostra azione arrechiamo ferite al territorio e modifichiamo gli assetti geomorfologici; ma, allo stesso tempo, la speranza ci indica che la capacità trasformatrice del progetto di architettura può sanare ogni frattura. Non sempre ciò accade. Per questo dobbiamo trovare un atteggiamento nuovo nella ricerca architettonica che ci porti a percorrere strade mai battute o a riscoprire quelle abbandonate, perché magari inutili in un determinato periodo storico, avendo sempre chiaro l’obiettivo che si vuole raggiungere. Molta architettura contemporanea appare fuori tempo e fuori misura, un’architettura ipertrofica e, per certi versi, se può valere una categoria dell’anima, superba. Costruita spesso inconsapevolmente e irresponsabilmente, e certamente non accompagnata da quel senso della tragedia e dalla necessaria pietas; ciò eviterebbe a noi tutti di scambiare le barricaie delle cantine vinicole con i Sancta Sanctorum delle tombe dei faraoni. Dobbiamo ripartire dal limite, dalla crisi, dalla tragedia, da questa consapevolezza della fine imminente, se vogliamo riappropriarci del futuro e del senso profondo del fare architettura. Sui vecchi e nuovi territori dell’architettura ovvero costruire nel costruito. Ammesso e non concesso che sia possibile ancora pensare in termini di costruzione come nel passato, rimane il fatto che, in alcune realtà, si è costruito fin troppo, e spesso male, e che dunque qualsiasi nuova strategia costruttiva deve confrontarsi con l’idea che il territorio è un bene limitato e fragile e che, dunque, va salvaguardato e recuperato a usi compatibili con uno sviluppo equilibrato. Costruire oggi un nuovo spazio antropico è possibile solo a condizione di lavorare all’interno del già costruito, nelle realtà già fortemente compromesse, con una serie di strategie che si affianchino a quelle più comuni, come il recupero, la riqualificazione, la ristrutturazione. Queste nuove strategie, però, a ben guardare, sono intimamente legate alla storia dell’evoluzione e dello sviluppo della città: da una parte la demolizione e la ricostruzione e, dall’altra, quelli che Gianfranco Caniggia chiama i prodotti della coscienza spontanea: la superfetazione, l’ampliamento e l’intasamento. Oggi la demolizione e la ricostruzione vengono sempre più declinate con la variante che la ricostruzione non può che essere a parità di volume: ma ciò è possibile solo in determinate condizioni. In alcuni casi, infatti, possiamo non ricostruire per nulla, se in quella realtà vi è necessità di spazi aperti, mentre, all’opposto, possiamo immaginare di raddoppiare il volume, se vi è una reale necessità, ad esempio, di nuove abitazioni. La superfetazione, l’ampliamento, l’intasamento vanno tolti dalla condizione negativa d’illegalità e abusivismo, e recuperati, esercitandone il controllo, come strategie innovative di sviluppo urbano. Quando si parla di abusivismo non ci si riferisce alle operazioni illegali di speculazione edilizia, ma a quelle attività rese necessarie dalla continua mutazione della struttura socio-economica, intese come risposte caotiche all’assenza di flessibilità e di regolamenti capaci di accogliere le nuove istanze connesse a tali fenomeni in divenire. Dobbiamo mettere in moto strategie nuove, complesse e articolate, che diano senso e significato a queste pressioni: fare di necessità virtù. Tutto ciò a condizione di essere in grado di accettare la densificazione abitativa, da contrapporre alla dispersione della città diffusa, a quella dimensione infausta che fagocita territorio. All’interno di quel processo discontinuo che è l’evoluzione della città, fatto di momenti singolari di mutazione, possiamo individuare delle fasi in cui la forma urbana rimane sufficientemente stabile. In questi casi la trasformazione è graduale, interna alla stessa dinamica strutturale e culturale. Gli interventi spontanei possono essere considerati come i modi di attuazione di queste trasformazioni. I processi evolutivi, come adeguamenti alle necessità e agli interessi del momento non preordinati, riguardano soprattutto le strutture edilizie di base e procedono solitamente nel senso di un progressivo e in parte disordinato processo d’intasamento, di superfetazione, restrizione delle sezioni stradali, frammentazione dello spazio e suddivisione delle grandi unità abitative. Questi stessi processi riguardano oggi la trasformazione selvaggia e spontanea, episodica e spesso caotica, dei luoghi pubblici di grande transito, come le stazioni ferroviarie, le piazze e le vie commerciali. Questo processo di trasformazione, in stretta relazione con le scarse possibilità d’intervento e di pianificazione dei singoli, investe dunque non solo gli edifici, ma soprattutto l’attacco a terra degli stessi, in altre parole quello spazio compreso tra la quota stradale, cioè il marciapiede, e il primo piano. Queste trasformazioni ne suggeriscono un uso diverso e, contemporaneamente benché non stabilmente, alterano la sua percezione e il suo significato, trasformano i flussi pedonali, costruiscono microambienti non recepiti virtualmente dall’architettura. In conclusione ritengo che il metodo adottato e i contenuti sviluppati nei progetti per porta Romana sono asso- lutamente in linea con le questioni su cui oggi dibattiamo, non ultima la capacità di confrontarsi con la memoria della città, con la sua storia, perché a essa affidiamo anche il nostro futuro. Il progetto architettonico non si è mai occupato di riorganizzare una serie di spinte trasformistiche di tipo spontaneo; al progetto architettonico si è fatto ricorso solo nel momento in cui era necessario dare forma alla mutazione che si andava delineando in modo programmatico. L’organizzazione attuale della società, a causa della perdita del controllo culturale, appare inerme di fronte a questi fenomeni, ma non può permettersi d’abbandonare a se stessa una realtà che evolve spontaneamente. È necessario demandare al progetto architettonico anche la responsabilità d’accompagnare e indirizzare queste spinte trasformistiche. Questa esperienza progettuale collettiva su porta Romana a Foligno sta qui a dimostrarlo. 9 UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO La sostenibilità sostiene l’architettura Dalle scale mobili di Perugia alla galleria pedonale di Foligno Paolo Belardi A ben guardare, il concetto di sostenibilità è profondamente umbro. Non soltanto perché è legato a quello di solidarietà, che è proprio del pensiero francescano, ma anche perché è legato a quello di storicità, che è proprio delle città murate. Anche se non ne abbiamo la dovuta consapevolezza. D’altra parte, sfogliando le riviste di architettura, sembra quasi che la leggerezza, l’immaterialità e la trasparenza esauriscano in sé il concetto di sostenibilità. E che un edificio tappezzato con vetrate scintillanti e farcito con pannelli fotovoltaici sia necessariamente più sostenibile di un edificio rivestito in pietra da taglio e orientato correttamente. Niente di più falso. Se è vero, infatti, che progettare in modo sostenibile significa prima di tutto evitare di sprecare inutilmente le risorse ambientali e governare virtuosamente il riciclo dei rifiuti, non dovremmo avere difficoltà a renderci conto che i complessi più sostenibili della storia dell’architettura sono proprio i centri storici. A cominciare da quelli umbri, che sono cresciuti su se stessi minimizzando il consumo del suolo e dove ogni singola pietra, ogni singolo mattone, ogni singolo capitello non è stato smaltito in una qualche discarica di periferia, ma è stato recuperato e riutilizzato per costruire sul costruito con il costruito. Penso al tempio di Minerva ad Assisi (trasformato in età rinascimentale nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva), così come penso al monastero di Sant’Agata a Spoleto (adibito a carcere in età postunitaria e oggi sede museale). Ma, più ancora, penso alla rocca Paolina di Perugia, vero e proprio grumo di modificazioni architettoniche succedutesi nel corso dei secoli (prima città, poi palazzo e infine ancora città), ma anche simbolo per antonomasia della riqualificazione urbana perseguita mediante l’innovazione infrastrutturale. D’altronde è innegabile che l’identità del capoluogo umbro è ormai anche quella di un’ingegnosa città-laboratorio, impegnata in prima linea nella sperimentazione di forme insolite di mobilità: in base a un programma avviato nel 1971 con la pedonalizzazione dell’area centrale di corso Pietro Vannucci, alimentato nel 1983 con l’introduzione delle scale mobili nei meandri ipogei della rocca Paolina e amplificato nel 2009 con l’attivazione della linea del minimetrò. Tuttavia, mentre la pedonalizzazione dell’antica platea magna non ha catalizzato particolari attenzioni mediatiche (distratte dalle analoghe iniziative intraprese da municipalità d’oltralpe quali Chalon sur Saône, Nancy e Rouen), la risalita meccanica tra piazza Partigiani e piazza Italia ha eletto la città di Perugia a modello esemplare. Seppure con un limite congenito, perché capace di promuovere la proliferazione quantitativa di un lungo elenco d’iniziative succedanee, tanto a livello regionale (Assisi, Cascia, Città di Castello, Gubbio, Narni, Orvieto) quanto a livello nazionale (L’Aquila, Arezzo, Belluno, Camerino, Chieti, Potenza), ma incapace di superare la dimensione trasportistica a vantaggio di quella paesaggistica. Non a caso il progressivo oblio pubblicistico dell’infrastruttura perugina (salutata da Giovanni Klaus Koenig come “ottava meraviglia”) è imputabile a due precisi fattori caratterizzanti, che inizialmente hanno garantito il consenso unanime, ma che con il tempo si sono rivelati dei veri e propri boomerang: l’eccezionalità ambientale e l’invisibilità figurativa. Laddove la struggente contaminazione tra la ruvida opacità delle coperture laterizie voltate dal Sangallo e l’algida luminosità delle scale mobili prodotte dalla “Orenstein & Koppel”, che contrassegna e qualifica l’architettura degli interni, ha creato il falso convincimento che la ricerca di valenze espressive autonome potesse essere omessa, mentre la minimizzazione percettiva imposta dai vincoli ambientali (soprattutto in corrispondenza dello sbarco su piazza Italia) ha creato l’altrettanto falso convincimento che la rinuncia alla Assisi, chiesa di Santa Maria sopra Minerva 13 presenza visiva potesse diventare un presupposto dello statuto tipologico. Il che ha finito con il penalizzare gli aspetti compositivi degli interventi mutuati dal prodromo perugino, che hanno fatto scuola dal punto di vista urbanistico, ma che non hanno saputo tenere il passo dal punto di vista architettonico. Tanto che, sulle pagine delle più recenti monografie dedicate, le risalite meccaniche in Italia sono sistematicamente disattese e la stessa risalita meccanica della rocca Paolina è offuscata dalla fascinosità ipogea degli ascensori sprofondati da Aurelio Galfetti nelle viscere di Castelgrande a Bellinzona e dalla spettacolarità panoramica delle scale mobili scavate da José Antonio Martínez Lapeña ed Elias Torres Tur nel fianco della collina de la Granja a Toledo. E probabilmente, nell’incubazione metaprogettuale del minimetrò, è stata proprio la coscienza di questi due limiti a scongiurare il ripetersi dell’errore, orientando i promotori a concentrare gli sforzi ideativi sugli aspetti architettonici oltre che su quelli ingegneristici. Così come si fa, visto che è proprio l’architettura la disciplina deputata a misurare la disponibilità delle nostre città ad accogliere le sempre più pressanti istanze infrastrutturali, e così come si è sempre fatto, visto che da sempre firmitas e utilitas non hanno luogo senza venustas. Non a caso, anche nella Perugia del XIII secolo, trattandosi di celebrare degnamente il compimento di un’opera pubblica vitale come l’acquedotto di monte Pacciano, il progetto idraulico predisposto ad opera di Boninsegna da Venezia fu suggellato dalle rotondità solenni di Fra Bevignate e dalle preziosità ornamentali dei fratelli Pisano. Così, dopo più di settecento anni, è riaffiorata l’idea che la bellezza sia una componente necessaria anche nel campo infrastrutturale e si è avuta la lungimiranza di potenziare la già qualificata équipe tecnica impegnata nella progettazione del minimetrò con l’affidamento dell’art direction a un’archistar del calibro di Jean Nouvel. Che peraltro non ha tradito le attese, forgiando viadotti e pensiline che si librano nell’azzurro del cielo e plasmando gallerie che evocano climax oniriche (dal tunnel delle streghe di Eurodisney alla canna di pistola che prelude ai film di James Bond). Ma che soprattutto ha conferito a Perugia il crisma della contemporaneità. Perché, a dispetto di quanto recitano i dépliant tecnici, la velocità massima delle navette non è di sette metri al secondo, così come la lunghezza complessiva del percorso non è di tre chilometri. La vera velocità delle navette, infatti, sta nella rapidità con cui l’impalcato/filo srotolato da Nouvel/Teseo tra i condomini/minotauri per orientare i passeggeri nella periferia/labirinto di Perugia ha smascherato l’obsolescenza estetica della città recente. Così come la vera lunghezza del percorso è quella che collega in senso transculturale il capoluogo umbro al resto del mondo, perché, non appena si varcano i tornelli delle stazioni e ci s’immerge nel microcosmo rosso ritagliato da Nouvel tra il verde delle essenze vegetali e il grigio delle strutture metalliche, si respira un’atmosfera profonda14 Perugia, risalita meccanica della rocca Paolina Perugia, percorso del Minimetrò nell’area semiperiferica della stazione di Fontivegge Aurelio Galfetti, Restauro Castelgrande, Bellinzona, 2000. José Antonio Martínez Lapeña & Elías Torres, Scale mobili de la Granja, Toledo, 2000. Giancarlo Partenzi, Centro Italiano Arte Contemporanea, Foligno, 2009. mente europea. Peraltro pienamente convalidata dalla raffinatezza delle soluzioni illuminotecniche e dall’eleganza delle soluzioni grafiche. Ma non è tutto. Perché il minimetrò è e rimane prima di tutto un fatto urbano. E come tale, prima o poi, si evolverà necessariamente come struttura dialettica, governando le modificazioni che inevitabilmente indurrà sull’intorno e le modificazioni che, altrettanto inevitabilmente, l’intorno indurrà a sua volta. Anche per questo varrebbe la pena prendere in considerazione sin d’ora uno spettro più ampio, valutando non solo l’ipotesi di ottimizzare l’efficacia del sistema, ramificando la linea verso altre direzionalità strategiche, ma anche di affinare l’integrazione paesaggistica, sperimentando l’inserimento di architetture parassite sopra, sotto e lungo il minimetrò. Forse anche intervenendo oltre il minimetrò e, magari, cominciando a prendere in considerazione l’ipotesi di prolungarlo a valle con la “piazza telematica” pensata da Cherubino Gambardella come museo virtuale complementare al terminal di Pian di Massiano e di prolungarlo a monte con la “galleria energetica vetrata” con cui Wolf Prix ha prefigurato di proteggere l’antica via Nuova al fine di saldare, sia fisicamente che idealmente, il terminal del Pincetto con il cuore dell’acropoli. D’altra parte è indubbio che la contraddizione latente tra l’obiettivo di migliorare l’accessibilità e il rischio di definire al contorno luoghi emarginati dai circuiti vitali cittadini rappresenta un problema cruciale non solo per la città di Perugia, ma per tutte le città Coop Himmelb(l)au, Energy Roof Perugia, Perugia, 2009, fotoinserimento. Cherubino Gambardella, Cavità etrusca, 2006, vista del modello tridimensionale 17 storiche. A cominciare da Foligno, che peraltro potrebbe suggellare la propria collezione di architetture contemporanee (la biblioteca di Arrigo Rudi, la chiesa di Massimiliano Fuksas, l’antiquarium di Roberto de Rubertis, i musei di Giancarlo Partenzi e di Guendalina Salimei) con una galleria pedonale ricavata nell’area di porta Romana che ne consacrerebbe definitivamente il ruolo di laboratorio vocato alla sostenibilità ambientale. Perché, chiudendo il cerchio del ragionamento, la galleria pedonale sarebbe un’opera fondata sui concetti di storicità e di solidarietà laddove volta a compendiare le preesistenze architettoniche (dai misteriosi reperti archeologici medievali che giacciono nel sottosuolo agli eleganti caselli eclettici che sanciscono il limite della città murata fino agli imponenti fabbricati moderni che serrano lateralmente l’area) e a promuovere le relazioni interpersonali (interponendo una pausa tra il via-vai pedonale di corso Cavour e il via-vai veicolare di viale Roma). In fondo la sostenibilità, per noi che siamo figli di Galeazzo Alessi e di Giuseppe Piermarini, non è una chimera, ma è parte integrante della nostra quotidianità. E da sempre, così come recita un accattivante slogan coniato da Massimo Pica Ciamarra, sostiene l’architettura. T- studio (Guendalina Salimei), Restauro e riuso della ex chiesa dell’Annunziata a Foligno, 2011. Giulio Caravaggi, Le Scale, 1984, schizzo di studio 19 L’area di porta Romana: un luogo irrisolto Alfiero Moretti L’area di porta Romana negli anni ha incarnato il ruolo di contesto privilegiato dell’evoluzione urbana che ha caratterizzato la città di Foligno (da baluardo difensivo a diaframma tra città e campagna, da snodo viario a ingresso al centro storico ecc.), ma allo stesso tempo non ha mai acquisito un assetto definitivamente compiuto1. La prima configurazione nota è quella ritratta in un dipinto del XVII secolo da Ascensidonio Spacca detto Il Fantino, che raffigura la porta circondata da due torrioni circolari merlati posti a difesa del varco nelle mura urbiche rivolto a sud, in direzione della città di Roma. Nell’opera il duomo di San Feliciano viene dipinto in stretta relazione figurativa con la porta stessa: infatti proprio di fronte alla cattedrale ha inizio l’asse dell’attuale corso Cavour, già via della Fiera, che si conclude in corrispondenza dell’area di studio. Di fatto tale configurazione rimane pressoché immutata fino al 1869, quando viene deciso di abbattere i due torrioni medievali e il tratto murario che li congiunge a causa delle cattive condizioni in cui versano. Al loro posto vengono erette su progetto dell’ingegner Pio Pizzamiglio nel 1872 le due palazzine che si vedono ancora oggi2. La scelta di tale soluzione3 ha il solo motivo funzionale di ospitare la direzione dell’amministrazione daziaria nella palazzina a ovest e il casello daziario vero e proprio in quella a est, in una posizione contigua alla bascula per la pesa pubblica delle merci che viene collocata all’aperto a ridosso della parte esterna delle mura urbiche, di fronte a un lavatoio pubblico. Anche quest’area è destinata a rimanere inedificata fino al 1963, quando viene concluso l’edificio che ospitava l’ex hotel Umbria. Sempre nel 1872 lo scultore locale Ottaviano Ottaviani termina la statua di Nicolò di Liberatore detto l’Alunno che gli è stata commissionata anni addietro dall’Amministrazione Comunale, nel lato a ovest dello spazio libero che fronteggia le palazzine. Nel 1926 nei terreni inedificati4 posti tra la stazione ferroviaria (1865) e la caserma “Vittorio Emanuele II” (1874)5 viene realizzato il primo nucleo di abitazioni su progetto dell’ingegner Felice Sabatini6. L’intervento viene avallato dall’Amministrazione con l’intento di costruire case per le classi sociali meno abbienti7, mentre in realtà viene realizzata una serie di villini che si configurano fin da subito quali immobili di pregio in stile liberty, posizionati strategicamente tra l’accesso al centro storico e il tracciato ferroviario. La vocazione residenziale è confermata anche dal piano regolatore del 1928 di 20 Ascensidonio Spacca detto Il Fantino, Veduta della città di Foligno, [1630] Citta di Foligno, 1636 Stato Ecclesiastico, Provincia dell’Umbria, Delegazione di Perugia, Governo e Comune di Fuligno, Mappa originale della Città di Fuligno elevata dal giorno 13 gennaio al giorno 31 marzo 1819, 1819, particolare dell’area di porta Romana Cesare Bazzani, che in più ipotizza un completo ridisegno dell’area occupata dalle palazzine daziarie. L’architetto romano elabora due soluzioni distinte, in cui immagina di sostituire i caselli con due edifici alti per enfatizzare il ruolo d’ingresso al centro storico, mentre nell’area della bascula propone di realizzare un albergo, come in effetti avvenne circa cinquant’anni dopo, ma con esiti figurativi ben differenti8. Nel 1929 sempre Cesare Bazzani progetta in quella zona il Campo del Littorio, che viene costruito nell’area occupata dal bosco di lecci alle spalle del monumento a Nicolò Alunno. In tale occasione vengono realizzati i propilei che ancora oggi incorniciano l’accesso a tutta una serie di attrezzature sportive, tra cui un campo per gli incontri di calcio e alcuni campi per il tennis: l’impianto viene intitolato a Dandolo Gramellini e si trasformerà, dopo alcuni interventi che si sono susseguiti negli anni, nell’attuale Circolo Tennis Foligno 22 Catasto Gregoriano, Foligno, [1872], particolare dell’area di porta Romana Giuseppe Jacquety, Fuligno. Il Municipio presenta al Pontefice le chiavi della città fuori la Porta romana, 1857 (foto di Rinaldo Laurentini, 1907). Foligno, area di porta Romana, [1920] Cesare Bazzani, Sistemazione a porta Romana, 1928, prospetto Cesare Bazzani, seconda ipotesi per la sistemazione di porta Romana, 1928, prospettiva 25 “Alberto Cipolloni” e nel Campo de li Giochi, dove oggi si corre la Giostra della Quintana. L’assetto raggiunto rimane immutato fino al secondo conflitto mondiale, quando durante un bombardamento aereo un ordigno distrugge il lavatoio e danneggia la bascula per la pesatura delle merci: ciò da l’avvio a una serie di ipotesi per il ridisegno della zona. In tal senso l’Amministrazione Comunale propone la realizzazione di un garage con officina per la riparazione di automobili, ma in un primo momento questa proposta non trova un riscontro positivo da parte della comunità folignate, anche perché evidentemente di basso profilo se rapportata a una delle aree car- dine della città. In più la mancanza di residenze è di nuovo il problema più impellente che affligge Foligno nel dopoguerra, e perciò nel 1955 viene stabilito di realizzare a ridosso dell’ex casello daziario a est un edificio a due piani che avrebbe dovuto ospitare un’autorimessa e alcune residenze, contestualmente con l’innalzamento di un piano di entrambe le palazzine e la realizzazione delle colonne nel tratto terminale di corso Cavour. Completati i lavori di sopraelevazione degli edifici pubblici (ex palazzine daziarie) e di arredo urbano dell’area, solo nel 1963 viene realizzato l’immobile di nove piani che ospitava l’ex hotel Umbria ed alcune attività commerciali e residenze, con 26 Cesare Bazzani, Foligno. Nuovo campo sportivo, 1929, prospettiva Comune di Foligno, Ufficio Tecnico, Ampliamento e trasformazione fabbricato del Dazio a Porta Romana in riferimento al progetto Carosi, 1955, piante, sezioni e prospetto l’intento di ridisegnare il landmark di porta Romana in chiave contemporanea. Con lo stesso obiettivo viene realizzato il centro direzionalecommerciale “Le Scale”, progettato nei primi anni Ottanta dall’architetto Giulio Caravaggi9, al posto del grande insediamento industriale del mulino e pastificio Pambuffetti (1926-1931)10. In realtà le differenze di scala e di qualità figurativa che contraddistinguono le palazzine, l’albergo e il centro commerciale, e più in generale tutti gli edifici dell’area, costituiscono un insieme eterogeneo che non da vita a uno spazio compiuto e riconoscibile. Tanto più che, dagli anni Sessanta in avanti, solo la circolazione stradale è oggetto di una serie di ripensamenti ed interventi e, a compimento Foligno, area di porta Romana, [1850] di questi, nel 2005 viene realizzato un parcheggio interrato al posto della stazione degli autobus edificata nel 1950. Anche lo spazio superficiale viene riqualificato con la sistemazione a giardino pubblico e piazza pedonale. A suggellare quasi un secolo e mezzo di idee e progetti per porta Romana, nel 2008, a seguito della ripavimentazione del tratto di corso Cavour tra i due ex caselli daziari, vengono rinvenuti un tratto della cinta muraria, frammenti del basamento dell’antica porta risalente al XV secolo e il tracciato della derivazione che permetteva l’approvvigionamento idrico del lavatoio pubblico, interrata a causa della costruzione dell’edificio dell’ex hotel Umbria. Sempre nel 2008, a seguito della Foligno, area di porta Romana, [1960] Foligno, area di porta Romana, [1970] partecipazione dell’Amministrazione Comunale folignate al bando regionale relativo alla presentazione del PUC 2 “foligno c’entro”, è stata redatta dall’Area Governo del Territorio-Servizio Beni Culturali un’ipotesi schematica di una piazza coperta, con l’intento di bandire in seguito un concorso per idee e progetti dal titolo “La nuova porta della città del terzo millennio”, che però a tutt’oggi, per carenza di finanziamenti, non ha avuto seguito. In tal senso appare evidente la volontà dell’Amministrazione di dare l’avvio a un processo che contribuisca a conferire all’area di porta Romana quel carattere di riconoscibilità che la semplice giustapposizione di opere, seppur di qualità, negli anni non ha innescato: in modo tale che rappresenti non solo uno snodo per il traffico urbano, ma il vero e proprio ingresso privilegiato al centro storico folignate. I progetti elaborati dagli studenti nell’ambito dell’iniziativa Una nuova porta urbis per Foligno. Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana si muovono in questa direzione. Sull’argomento cfr. Giovanni Bosi, Foligno, una stagione. La città tra Otto e Novecento, Edizioni Orfini Numeister, Foligno, 2009, pp. 14, 23, 44. In particolare il capitolo dal titolo Porta Romana, evoluzione al di fuori delle Mura, pp. 160-175. 2 Le palazzine saranno oggetto della sopraelevazione di un piano che verrà realizzata successivamente. 3 Le due palazzine vengono realizzate a seguito di un concorso indetto nel 1868 vinto dalla proposta dell’ingegner Giacomo Paniconi, di cui Pizzamiglio elabora una semplificazione. Cfr. Alfiero Moretti, Pietro Battoni, Foligno: progetti e realizzazioni fra il 1840 e il 1940 in “Bollettino Storico della città di Foligno”, XI, 1987, pp. 261-280. 4 Tali terreni in un primo tempo vengono utilizzati come campo boario e piazza d’armi. 5 Oggi caserma “Generale Ferrante Gonzaga del Vodice”. 6 I villini vengono costruiti dalla società cooperativa fondata a tale scopo dallo stesso Sabatini e dall’ingegner Romolo Raschi. 7 Al tempo appaiono evidenti l’esigenze di rinnovamento igienicosanitario che mostra l’edilizia residenziale storica dentro le mura urbiche. 8 Le due soluzioni si differenziano nettamente per lo stile adottato dal progettista: la prima, più monumentale (di cui conosciamo una raffigurazione in pianta e una in prospetto), si sviluppa attorno a una piazza a esedra, mentre la seconda, in stile littorio (di cui ci è giunta una vista in prospettiva), propone un prospetto rettilineo lungo la direttrice dell’attuale viale Cesare Battisti. 9 In proposito cfr. Emiliana Ciciotti, Le Scale, in Giulio Caravaggi Architetto, Casa Editrice Librìa, Melfi, 2012, pp. 140-143. Per la stessa area è noto anche un progetto precedente dell’architetto Franco Antonelli, non realizzato. In proposito cfr. Fondo Franco Antonelli (archivio privato), n. 46A. 10 Il mulino sorse a ridosso delle mura a fianco della palazzina ovest del dazio. 1 Franco Antonelli, Ristrutturazione edilizia a porta Romana, 1978, prospettiva 30 Foligno. Porta Romana e Corso Cavour. Notturno, [1950] Foligno, area di porta Romana, 2012 SETTE PROGETTI PORTA ROMANA GALLERIA PEDONALE Porta 3.0 Linking Foligno C’era una porta... Door Code More&Less P-Connection Tessere (di) Foligno motto: Porta 3.0 tutor: Luca Martini, Carlo Rossi studenti: Jasmine Capitini, Laura Cesaroni, Michele Giuseppe Onali, Luca Torricelli progetto vincitore Porta 3.0 Luca Martini “La città non può vivere senza conflitti, per questo motivo c’è bisogno ciclicamente di provocarli e di tenerli in vita fino a quando essi, divenuti troppo destabilizzanti, richiedono una loro composizione alla quale, dopo un certo periodo, seguirà un ennesimo conflitto”. Franco Purini, 2008 La proposta progettuale Porta 3.0 può essere interpretata solo ammettendo chiavi di lettura antitetiche. Jasmine Capitini, Laura Cesaroni, Michele Giuseppe Onali e Luca Torricelli la elaborano innestandosi nelle dinamiche che determinano l’evoluzione dell’area studiata ma, allo stesso tempo, se ne distaccano figurativamente privilegiando le forme sinuose e i materiali high-tech della contemporaneità più radicale. La soluzione (che mutua il proprio motto dalla consuetudine di far seguire un numero progressivo al nome di un software al fine di caratterizzare le release successive alla prima) viene presentata come terzo step del percorso evolutivo dell’area di porta Romana, che prende le mosse dalla porta urbis medievale (Porta 1.0) e che assume la configurazione attuale nell’Ottocento con la costruzione della porta daziaria (Porta 2.0). Le quote a cui si imposta l’edificio proposto sono determinate dagli allineamenti con i volumi contigui (l’hotel Summit e il complesso polifunzionale “Le Scale”), nel tentativo di rammagliare lo skyline dell’area. Allo stesso tempo, però, appare evidente l’assenza di alcuna volontà mimetica, in quanto l’iconicità dell’intervento proposto ridisegna il prospetto sui viali che lambiscono il centro storico della città. La nuova porta conferma il suo ruolo di cerniera tra centro e periferia e in tal senso inquadra la cupola e il campanile del duomo di San Feliciano (come esprime efficacemente il logo del progetto), ma al contempo introduce un’inedita chiave di lettura della città dall’alto che reinterpreta gli skyline turriti propri dell’immagine consolidata della città storica. Appare volutamente ambiguo anche il risultato della genesi formale, dove la perentoria stereometricità dell’involucro esterno è contraddetta dalla sinuosa fluidità del corpo interno. Laddove il primo connette i due caselli daziari reinterpretando la nuove sede della CCTV di Rem Koolhaas, mentre il secondo racchiude le funzioni principali riecheggiando la complessità formale di una blob architecture. L’intervento s’inserisce nel percorso museale folignate dedicato alle nuove forme d’arte, attualmente composto dalle due sedi del Centro Italiano Arte Contemporanea (in via del Campanile e nella ex chiesa dell’Annunziata), e ne costituisce un’appendice dedicata alla video arte. Peraltro anche la distribuzione funzionale tende a sovvertire una chiave interpretativa univoca, poiché le opere video sono proiettate sulle pareti dei quattro piani della torre a sud ovest (dove per una esperienza totalmente immersiva è prevista la possibilità di utilizzare come schermi anche i soffitti e i pavimenti), mentre lo spazio che raccorda i due corpi verticali ospita la zona ristoro: una piazza coperta raggiungibile anche per mezzo dei collegamenti verticali nella torre a nord est. Durante le ore notturne l’edificio ideato per Porta Romana proietta la propria immagine lattescente attraverso la schermatura esterna trasparente, grazie alla superficie traslucida dell’involucro interno. In questo senso riconoscibilità, attrattività, vivibilità e evocatività caratterizzano la “nuova porta della città del terzo millennio”. 35 Pianta alla quota della piazza coperta Prospetto su viale Cesare Battisti Sezione trasversale 37 Vista del modello tridimensionale e fotoinserimento 38 Concept e fotoinserimento 40 motto: Linking Foligno tutor: Luca Martini, Carlo Rossi studenti: Giulio Galli, Matteo Margutti, Fabio Negozio, Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti, Matteo Tanganelli progetto segnalato Linking Foligno Carlo Rossi Il gruppo che ha per motto Linking Foligno prende le mosse dal modello della “città compatta”, che riafferma culturalmente la centralità del limite urbano e della rete dei collegamenti e, soprattutto, della loro qualità. In tal senso il progetto contribuisce a creare nuove relazioni centro-periferia: nuove aree di scambio locale-globale in cui si insediano sistemi di attività che non fanno più perno su centralità predefinite, ma piuttosto su sistemi complessi che mirano a riconnettere un tessuto piuttosto che prevederne l’espansione, oggigiorno quanto mai incerta. Perciò la domanda da cui Giulio Galli, Matteo Margutti, Fabio Negozio, Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti e Matteo Tanganelli hanno sviluppato il progetto proposto è stata: “come si può modificare una complessa realtà architettonica e urbanistica in un nuovo nodo nevralgico della Foligno d’oggi?”. L’attenta analisi dell’area di porta Romana ha evidenziato la mancata correlazione tra l’organizzazione dei percorsi carrabili e il sistema dei percorsi ciclo-pedonali, inadeguati alle esigenze e alla predisposizione dei folignati verso la mobilità lenta. Inoltre è caratterizzata dalla presenza di una serie di emergenze architettoniche che ne compromettono il valore identitario. Ma, allo stesso tempo, un punto di forza è dato dalla presenza di aree a grande potenziale trasformativo, quali il Circolo Tennis Foligno “Alberto Cipolloni”, il centro direzionale-commerciale “Le Scale” di Giulio Caravaggi e, soprattutto, le porte daziarie che identificavano l’ingresso della città. La strategia attuata dal gruppo è quella di recuperare e riqualificare lo spazio mediante azioni architettoniche elementari quali “abbassare”, “svuotare”, “bucare”, che permettono una serie di interventi mirati come l’introduzione di una nuova piazza in sostituzione degli attuali campi da tennis, la creazione di un percorso che metta in relazione pedonale l’edificio ex mulino Pambuffetti con il nuovo sistema di percorsi e l’utilizzo degli edifici daziari per ospitare iniziative mirate alla promozione della città, garantendo allo stesso tempo l’accesso ai reperti archeologici delle fondazioni dell’antica porta di epoca romana. L’intenzione è dare vita a un sistema di collegamenti finalizzato alla ricucitura e alla valorizzazione dell’area mediante un percorso a un livello inferiore a quello stradale, sfruttando l’area del circolo del tennis e la galleria del centro commerciale, in modo tale da scongiurare ogni forma di promiscuità tra pedoni e automobili. I percorsi si articolano in una arteria principale da cui si diramano una serie di collegamenti a creare una vera e propria maglia urbana. Dal lato di viale Roma il nuovo sistema si riconnette alla quota stradale mediante una rampa che costeggia il parcheggio Quintana. Il sottopassaggio attraversa trasversalmente l’asse stradale in corrispondenza dell’aiuola spartitraffico e fuoriesce in corrispondenza dell’area ridisegnata degli attuali campi da tennis. Il percorso principale prosegue in corrispondenza della galleria del centro commerciale, che subisce una vera e propria metamorfosi in quanto diventa parte integrante di una rete: un’ideale prosecuzione del corso al di fuori dalla città storica. Il perno del nuovo sistema integrato è la piazza scoperta posta sotto il livello stradale in sostituzione del circolo tennis come una vera e propria dilatazione del percorso. Questo nuovo spazio fornisce una insolita chiave di lettura, da sotto in su, dei propilei progettati da Cesare Bazzani e della statua di Nicolò Alunno di Ottaviano Ottaviani. I tratti del percorso pedonale che contraddistingue il progetto Linking Foligno che si snodano sotto la superficie stradale sono segnati dalle bucature ritmate che li illuminano; al contrario i tratti in superficie sono caratterizzati matericamente da un “nastro” rivestito in tavole di laterizio, che si avvolge a spirale ricreando un portale tra gli edifici daziari, secondo i principi della folding architecture. 43 Piante alle quote -4.00 e 0.00 metri e planimetria 45 Fotoinserimento 46 47 Viste del modello tridimensionale 49 motto: C’era una porta… tutor: Filippo Conti, Ilaria Cellini studenti: Alessandro Bianchi, Nicola Croccolino, Francesco Fantauzzi, Lorenzo Polli C’era una porta... Filippo Conti C’era una porta… è un racconto che parla del passato e si proietta nel futuro occupandosi dell’istante. Istante inteso come momento di durata indefinita, ma anche come luogo fisico di confine tra due luoghi apparentemente appartenenti allo stesso continuum urbis, ma di fatto con caratteristiche diverse mutate nel corso del tempo. Una porta urbica (soglia) era un elemento che collegava ciò che era è dentro e ciò che era fuori dalla città, dalle mura urbiche (limite), che dividevano la città dalla campagna: attualmente non è più così e la porta cambia funzione, non è più un elemento di divisione ma di unione tra due parti di un’unica città che nel tempo è cresciuta ed ha perso la sua identità unitaria protetta, un tempo, dalle mura. La porta dei nostri tempi racconta la storia della città, conserva le memorie e informa sul presente, aggiornandone continuamente l’identità come insieme di edifici, persone ed eventi. Il progetto prevede di rafforzare l’immagine della porta andata persa nel corso del tempo a causa di una continua espansione verso la periferia (che di fatto polverizzò le mura urbiche e i relativi confini); intende proporre uno spazio di informazione a più livelli di contenuti e tempistiche di consultazione; intende proporre un luogo di incontro e integrazione. La ridefinizione del volume della porta avverrà attraverso una copertura di collegamento che unirà gli edifici daziari e formerà una piazza coperta, tale copertura sarà composta da schermi a led orientabili in maniera libera, come un frangisole multimediale dove potranno essere proiettati messaggi informativi sulle attività e notizie del folignate che interesseranno i flussi di persone in entrata e in uscita dal centro storico: informazione rapida, futuro. Nella facciata prospiciente viale Cesare Battisti verrà ricavata un’apertura che ricorda un’antica porta, mentre nella facciata verso corso Cavour si ha un’unica apertura per tutta la larghezza della piazza, con l’obiettivo di evidenziare il passaggio da uno spazio verticale, le vie del centro, ad uno spazio orizzontale, la periferia, e viceversa. La penombra 51 della piazza sottolinea il momento della transizione e invita a rallentare e sostare al suo interno. Il percorso museale si sviluppa perpendicolarmente all’asse viale Roma corso Cavour, mettendo in relazione gli edifici daziari e la piazza attraverso un elemento materico uniforme contenente elementi descrittivonarrativi della città e dei cittadini di Foligno; quest’ultimo si appoggia sulla piazza e compenetra le palazzine risalendone le pareti di fondo. Questo oggetto scenico mette in relazione tutte le parti distanziandosi dagli spazi pedonali. La percezione dello spazio e del tempo si dilata: informazione lenta, passato. Nei fronti interni della piazza si distribuiscono vari spazi pensati a disposizione dell’Amministrazione comunale, che potrà concederli di volta in volta a enti e operatori diversi, in modo da realizzare un centro informazioni aperto ai turisti e ai cittadini per mettere in contatto tutte le realtà attive sul territorio. Ciò che prima divideva ora unisce ed è il punto di scambio di informazioni: informazione condivisa, presente. I tre livelli di informazione si sovrappongono l’un l’altro senza interferire nella comunicazione dei singoli contenuti. C’era una porta... E la storia continua... Piante alle quote 0.00 e +5.00 metri 52 Sezione longitudinale 53 Fotoinserimento 55 Fotoinserimenti 57 motto: Door Code tutor: Marco Palazzeschi, Simona Graziotti studenti: Davide Baliani, Alex Bellucci, Valeria Berellini, Lorenzo De Matteis, Filomena Demaio, Nicholas Mencarelli Door Code Door Code Marco Palazzeschi “Il passato si apre come materiale del progetto”. Questa prima frase, citazione da Vittorio Gregotti, è stata scelta come motto di Door Code e in effetti racchiude gran parte del senso di questo progetto. Un doppio senso direi, dove l’interpretazione stretta riguarda l’apertura (o riapertura) del terreno sottostante la “soglia” per riscoprire il sedime e le tracce ancora presenti dell’antica porta medievale. Una porta la cui ricostruzione tridimensionale mette in evidenza i notevoli valori plastici del suo curvo aggettare verso la via romana con le due torri che serrano l’accesso proteggendolo adeguatamente in caso di attacco. Il senso più recondito del richiamo al passato sta proprio nel recupero dell’importanza dell’“aprirsi”, funzione propria di una porta, e tanto più di una porta urbana. Come se per recuperare il senso di un passaggio ma anche di una comunicazione con l’esterno, anche Foligno debba riscoprire qualcosa di più profondo, qualcosa relativo al proprio passato dimenticato. Certo è che la sostituzione della porta con le barriere daziarie rappresentate dalle due palazzine gemelle, molto ha tolto al senso di questo passaggio e di questa apertura. Sia per un fatto di distanza e proporzioni, sia per il rapporto con un contesto nel frattempo notevolmente modificato dalla mole dell’edificio ex mulino Pambufetti e dell’hotel Summit. Il progetto Door Code tenta dunque di ristabilire questo rapporto di passaggio dapprima con due movimenti di “levare”: il primo consiste nel togliere la terra che ricopre i resti archeologici delle fondazioni dell’antica porta; il secondo nell’abbassare le palazzine al piano unico originario e nel loro successivo svuotamento. In questo modo esse diventano frammenti di un recinto che delimita lo spazio di passaggio (questa volta in alzato) segnando nel contempo anche la propria epoca storica all’interno del progetto. Anch’esse “aprendosi” ad esso, dunque. Due operazioni molto decise, motivate per altro da un’approfondita ricerca che ha permesso di sovrapporre la cartografia storica e le carte archeologiche con lo stato attuale, ritrovando i sedimi ancora presenti nel sottosuolo. Una volta eliminato l’assetto rassicurante raggiunto con le ultime sistemazioni di “arredo urbano”, riducendolo peraltro ad una serie di interessanti e “suggestivi” frammenti, il progetto non fa che inserirne altri chiaramente ascrivibili al tempo presente. Il tutto con l’obiettivo di dotare questo punto nodale della città di Foligno di alcuni caratteri ora per lo più assenti: la riconoscibilità, l’accessibilità e una nuova funzionalità. 59 Due alte pensiline, che si percepiscono come blocchi verticali superano la parte dei resti della porta e si protendono verso viale Roma dando al punto di passaggio la giusta proporzione e distanza. Altre due, più basse e ad andamento orizzontale, mediano con il contesto andando a coprire la nuova rampa di accesso al parcheggio sotterraneo dell’ex mulino Pambuffetti, nonché a collegarsi con la galleria coperta del centro commerciale. La rampa del parcheggio viene spostata verso viale Cesare Battisti per rendere libero dall’attraversamento delle auto e dunque accessibile tutta l’area della porta. La duplice natura del progetto si rivela all’interno, per chi proviene dal corso della città e percepisce non la rappresentatività forte del fronte esterno, ma quasi una lieve sistemazione archeologica fatta di sottili pensiline e pilastri, di passaggi aerei che collegano il piano sotterraneo dei ruderi, i livelli delle vecchie palazzine e il piano della nuova piazza. Ne deriva un fronte molto più permeabile di quello esterno e in questo aspetto dobbiamo riscontrare una certa sensibilità e immaginazione per quella che doveva essere la porta urbica prima di perdere la sua funzione difensiva: un brulicare di persone e attività o magari di leonardesche macchine da guerra pronte per il prossimo uso. Ovviamente nulla di tutto questo è pensato per l’uso contemporaneo della nuova porta di Foligno, bensì semplicemente un luogo di ritrovo a più livelli con terrazze per la sosta e la socializzazione, punti informazione per l’accoglienza in città e per la riscoperta di una parte magari sconosciuta del sottosuolo e della storia urbana. Inoltre il parcheggio del centro commerciale viene coinvolto nel progetto mediante una nuova scala ricavata nello spessore della porta e con un giardino di bambù che mette in comunicazione i due livelli dando anche luce naturale a quello interrato. Il trattamento materico delle pensiline è coerente con la loro funzione poiché l’acciaio COR-TEN ben si presta a dialogare con le scabre superfici delle murature storiche dichiarando la propria contemporaneità senza generare eccessivi contrasti. La parte esterna presenta sottili scanalature verticali a tutt’altezza che segnano, di giorno con le ombre e di notte illuminandosi, questa nuova porta della città e richiamano le barre di un segreto codice di accesso ad un livello più approfondito di conoscenza. Pianta alla quota 0.00 metri 60 Vista del modello tridimensionale 61 62 Viste del modello tridimensionale 63 motto: More&Less tutor: Simone Bori, Giacomo Pagnotta studenti: Michele Biscotti, Lucia Cornelli, Ilaria Morelli, Giacomo Palombi, Claudia Tondini More&Less Simone Bori Il progetto More&Less, che si propone di risolvere il tema del ridisegno figurativo di porta Romana senza intervenire sulla viabilità e sulle preesistenze architettoniche limitrofe, prefigura una galleria pedonale, in forma di piazza coperta, che funga da filtro tra le zone carrabile e pedonale e allo stesso tempo si configuri come testata di corso Cavour (dall’interno) e come nuova porta urbis (dall’esterno); ipotizza, inoltre, che nelle ex palazzine che costituivano la porta daziaria sia inserito uno spazio espositivo in cui presentare a cittadini e turisti la città di Foligno; riscopre, infine, i ruderi dell’antica cinta muraria cittadina inserendoli in un percorso museale che esalti le principali valenze archeologiche dell’area. Il concept architettonico, descritto programmaticamente anche dal motto More&Less, prevede l’introduzione di una copertura e di un nuovo livello ipogeo contestualmente alla sottrazione dei volumi interni alle palazzine, ampliando così lo spazio fruibile dalla cittadinanza oltre la piazza, che viene coperta al fine di configurare una vera e propria galleria pedonale. I rimandi formali sono da ricercare nel Museo del Novecento di Italo Rota a Milano per gli aspetti di trasformazione dei contenitori storici, nelle stazioni del minimetrò di Jean Nouvel a Perugia per le trasparenze generate dalla sapiente aggregazione di elementi architettonici e nel Museo Nazionale Romano di Giovanni Bulian presso le Terme di Diocleziano a Roma per l’elegante scelta dei materiali nell’inserimento di un intervento contemporaneo in uno spazio storico. La copertura, prevista piana all’intradosso con una svasatura nella parte finale che la raccorda con la superficie dell’estradosso, è sorretta da un colonnato regolare che misura lo spazio pedonale. Tale copertura, inoltre, recupera le giaciture dell’edificato circostante e si pone come elemento architettonico di mediazione che contrasta la sproporzione attuale tra il vuoto dello spazio pubblico e il pieno rappresentato dall’invadente edificato adiacente. Negli spazi ricavati dallo svuotamento delle palazzine il progetto prevede la realizzazione di un suggestivo percorso ascensionale, pubblico e continuo, di presentazione della storia cittadina, che si snoda su più livelli tra scale e solai in acciaio nero rigorosamente indipendenti rispetto ai muri preesistenti, al fine di enfatizzare, nell’accostamento, le rispettive identità architettoniche. Il percorso si completa nello spazio espositivo ipogeo in cui avviene la riscoperta attiva dei reperti archeologici situati al di sotto della piazza, che testimoniano l’antica presenza di una delle porte di accesso alla città storica. Un ampio solaio con struttura in acciaio e finitura in vetro calpestabile posto sul piano della piazza consente infine di mettere in comunicazione visiva i diversi livelli che caratterizzano il progetto e di illuminare con luce naturale il livello ipogeo. Secondo un principio recentemente condiviso nel dibattito architettonico sull’inserimento di architetture contemporanee nei centri storici, il progetto More&Less propone l’integrazione degli aspetti estetici con i principi della sostenibilità dal punto di vista energetico (e, con esso, anche economico e sociale). Questa opportunità, oltre a essere l’unica possibile finalizzata a ottenere un bilancio attivo in termini di sostenibilità ambientale, sgombra anche il campo dal dibattito sugli interventi “in stile” o mimetici in quanto questi non consentono di raggiungere performance energetiche come avviene invece nel caso dell’architettura dall’estetica prettamente contemporanea. Nel caso specifico a tale scopo, infatti, sulla copertura è integrato un sistema di pannelli fotovoltaici opportunamente orientati che consentono di soddisfare il fabbisogno necessario all’illuminazione degli spazi pubblici all’aperto e al coperto ricadenti nell’ambito del progetto. L’intervento, inoltre, è fondato sul concetto di reversibilità in cui, in maniera flessibile, sia il sistema architettonico progettato sia l’ambiente circostante in cui esso è inserito ritornano nello stato di equilibrio preesistente all’inizio del processo progettuale. In questo tipo di approccio, che dimostra una particolare sensibilità per i temi legati alla progettazione all’interno dei centri storici, sono adottati materiali, come l’acciaio e il vetro, oltre che componenti tecnologiche o soluzioni strutturali che meglio di ogni altre consentono l’attuazione di tale principio. Il progetto More&Less, quindi, si presenta con un carattere sobrio e rigoroso, discreto e minimale, che, seppure, di assoluta contemporaneità non si lascia corrompere dalle mode figurative del momento e che, piuttosto, recupera la profondità concettuale della progettazione guardando al passato per proiettarsi nel futuro. 67 Planimetria Pianta alla quota 0.00 metri 68 69 Prospetto su viale Cesare Battisti 70 Prospetto su via Luigi Chiavellati 72 Viste del modello tridimensionale motto: P-Connection tutor: Marco Palazzeschi, Simona Graziotti studenti: Elisa Brunelli, Marta Ciancabilla, Lara Pelliccia, Marta Piazza, Francesca Rea, Giovanni Sensi, Matteo Ziarelli P-Connection Simona Graziotti P-Connection è un modo nuovo di interpretare la porta di una città: in una società dove la connessione multimediale è alla base di ogni rapporto tra luoghi e persone attraverso dispositivi elettronici, P-Connection si propone come una rete che capta informazioni dall’esterno della città per poi convogliarle al suo interno. L’intensità del traffico quotidiano che interessa le strade limitrofe a porta Romana impedisce al cittadino di vivere l’area in oggetto come una zona pedonale: la passeggiata che arriva dal centro storico si interrompe bruscamente arrivando alla porta, per lasciare spazio a un incrocio di strade carrabili: si ha così la percezione di una zona di transito piuttosto che di un’area di sosta. Questo improvviso ribaltamento della fruibilità degli spazi vuole essere risolto riservando al cittadino un’area integralmente dedicata, proponendogli un nuovo modo di interagire con la città. La nuova porta diventa così un nodo di convergenza per chi esce dal centro storico e per chi vi entra, offrendo un ambiente a servizio della collettività. Per rendere possibile questa connessione fondamentale tra le persone e i luoghi, l’intervento presuppone la presenza di un filtro, una piazza suggerita, che lascia convivere il traffico veicolare con quello pedonale, integrando l’esistente con ambienti dedicati al cittadino e con punti di accumulo formati da sedute e da percorsi in grado di offrire nuovi punti di vista da dove poter inquadrare la città. L’isola pedonale si trasforma in un giardino fruibile e la nuova piazza offre ai passanti aree di sosta formate da elementi modulari che si uniscono e si intersecano per formare sedute ed elementi di arredo urbano. Questo contesto inquadra perfettamente il soggetto dell’intervento progettuale, la nuova porta, che acclama l’ingresso alla città con elementi colorati e distintivi. Il nuovo si integra con l’antico, denunciandone l’esistenza ma suggerendo anche nuove forme e nuove destinazioni d’uso. La volontà di realizzare una continuità tra la nuova piazza e il percorso pedonale esistente all’interno della città storica è espressa da un taglio netto, che nasce dal prolungamento ideale di corso Cavour e attraversa uno dei due caselli daziari esistenti, sezionandolo e lasciandone in piedi solo una parte. Da questa traccia prende forma la nuova parete 75 verticale, pensata in parte trasparente per mostrare le parti sezionate come testimonianza del processo evolutivo dell’edificio. Questo elemento supera in altezza il volume preesistente e si estende verso lo spazio collettivo, realizzando una copertura per l’area sottostante a servizio di chi vuole sostare e interagire con la città. Il carattere multimediale di P-Connection si concretizza in questa parete che si rivela un grande schermo interattivo a disposizione del cittadino che ricerca informazioni sugli itinerari e sulle iniziative di volta in volta organizzate a Foligno. La nuova porta assume così un aspetto anticonvenzionale ma funzionale, traccia uno spazio più ampio di quello esistente e lo protegge dalle intemperie per una maggiore vivibilità. Il nuovo edificio ha una pianta trapezoidale: i muri ortogonali sono quelli preesistenti e l’elemento diagonale è la nuova parete interattiva. Si sviluppa su due piani, che sono collegati tra loro con un ascensore e una scala esterna. Entrambi i livelli sono caratterizzati da punti singolari che consentono di approfondire la conoscenza di Foligno: al primo piano un plastico appeso mostra la forma urbis della città. Il casello daziario che rimane integro è messo in rilievo da una struttura in acciaio che gli si antepone come una cornice, e che, allo stesso tempo, offre lo spunto per l’inserimento di nuovi elementi. Questi sono costituiti da due terrazze traslucide e colorate, che comunicano con gli ambienti del primo piano dell’edificio e aggettano verso la nuova piazza sostenute dalla cornice che ha una maglia regolare, che riprende il modulo utilizzato per l’ideazione dell’intero progetto. Le due terrazze accolgono tavoli e sedute a servizio della zona ristoro: le superfici trasparenti permettono la visione della nuova piazza e delle immagini trasmesse nello schermo di fronte. Lo spazio di porta Romana è stato ridisegnato da questo intervento per quanto riguarda le sue dimensioni e le sue funzioni, per restituire al cittadino la dimensione umana della città. La nuova porta non offre solo un ingresso al centro storico, ma rappresenta anche un punto di aggregazione per la popolazione, con forme e funzioni che soddisfano le nuove esigenze del cittadino. Vista del modello tridimensionale 76 Piante alle quote 0.00 e +5.60 metri 77 Prospetto su viale Cesare Battisti Prospetto su corso Cavour 78 Prospetto su corso Cavour 79 80 Viste del modello tridimensionale motto: Tessere (di) Foligno tutor: Simone Bori, Giacomo Pagnotta studenti: Alessandra Angeli, Giacomo Boncio, Francesca Catalucci, Daniele Mariani, Deborah Muzi, Selene Teodori Tessere (di) Foligno Giacomo Pagnotta Il progetto che ha per motto Tessere (di) Foligno, ideato dagli studenti Alessandra Angeli, Giacomo Boncio, Francesca Catalucci, Daniele Mariani, Deborah Muzi e Selene Teodori, nasce dall’attenta analisi dell’area di porta Romana: uno spazio irrisolto della città di Foligno che oggi appare come un “non luogo”, dove il tessuto urbano e i percorsi carrabili si intersecano con il flusso pedonale d’accesso alla città e gli assi percettivi che lo caratterizzano. L’imponente presenza dell’hotel Summit, le stratificazioni architettoniche che si sono susseguite nel corso degli anni, i cambi di destinazione d’uso e l’aumento del volume di traffico hanno reso l’area caotica e senza identità, dove la presenza delle automobili sovrasta quella delle persone e dove quello che dovrebbe essere un luogo di incontro si riduce a un luogo di passaggio. L’obiettivo principale del progetto è quello di dare una nuova figuratività all’area senza stravolgerne l’impianto consolidato, secondo i principi dell’architettura parassita: il pretesto ideativo è quello di ricucire spazi attualmente scollegati tra loro per mezzo di interventi di arredo urbano (a metà strada tra architettura e design) che si aggrappano agli edifici esistenti, escono dal terreno e scavalcano le strade. Prendendo spunto da installazioni artistiche a scala urbana (che con elementi sinuosi generano giochi di luci e composizioni complesse), il progetto si articola in una serie di interventi dislocati nell’area di progetto vera e propria e in quelle limitrofe, rammagliando simbolicamente le diverse “tessere” di cui è composta la città. Il motto Tessere (di) Foligno esplica questa volontà di restituire una continuità architettonica e percettiva attraverso un trait d’union, laddove il termine “tessere” è leggibile sia come sostantivo (parti di, tasselli di ecc.) sia come verbo (cucire, rammagliare ecc). Gli interventi principali sono dislocati nell’area tra i due caselli daziari e nello spazio antistante la statua di Nicolò Alunno. Nell’intervento sulla parte terminale di corso Cavour tubolari metallici colorati high-tech style ed elementi strutturali fuori scala si intrecciano configurandosi come il sostegno di una serie di membrane traslucide che si sovrappongono tra loro, generando una 83 trama che copre quasi interamente la piazza. Quest’ultima si trasforma in un luogo “icona”, un punto nevralgico di sosta e d’incontro. Gli elementi strutturali e i materiali utilizzati sono esito di ricerche a partire dalle lezioni tenute dai visiting professor che hanno caratterizzato il calendario didattico, e sono stati progettati per alloggiare al loro interno tubi di led che, distribuiti per tutta la loro lunghezza, nelle ore notturne generano effetti luminosi e cromatici di grande impatto visivo. La copertura è realizzata con membrane di ETFE che, grazie alla loro elasticità, si adattano perfettamente a strutture complesse, e sono caratterizzate da un’elevata leggerezza e ottima resistenza agli agenti atmosferici. Le due palazzine vengono recuperate mantenendo inalterate l’immagine esterna e l’impianto planimetrico, mentre internamente vengono completamente svuotate fino a diventare un’estensione della piazza, uno spazio pubblico aperto ma coperto. Questa continuità è evidenziata anche figurativamente da elementi metallici d’arredo che dal piano terra si snodano fino agli uffici comunali presenti al piano superiore con forme sinuose che contribuiscono a creare una continuità spaziale. L’intervento di fronte alla statua di Nicolò Alunno enfatizza le qualità inespresse di uno spazio dove il monumento costituisce di per sé l’elemento più significativo. In quest’ottica l’elemento tubolare che caratterizza il progetto avvolge sinuoso la statua senza mai toccarla, esaltandone la plasticità per mezzo delle proprietà riflettenti della superficie del materiale metallico durante le ore diurne e della scenografica illuminazione dei led durante le ore notturne. Lo stesso elemento è anche una copertura per le sedute già presenti, attualmente poco utilizzate a causa della scarsa protezione dagli agenti atmosferici. Tessere (di) Foligno si caratterizza per un approccio originale al tema del recupero dell’area di porta Romana, riponendo particolare attenzione all’integrazione di un intervento high-tech a volume zero con un contesto urbano decisamente stratificato al fine di ridefinirne una chiave di lettura unitaria. Planimetria e pianta alla quota 0.00 metri Prospetto su piazza Niccolò Alunno Prospetto su viale Cesare Battisti 85 Fotoinserimenti 87 Viste del modello tridimensionale 89 IL CONCORSO 92 grand jury esito del concorso Una volta terminata la presentazione, il grand jury si è riunito al fine di esaminare le proposte progettuali esposte e ha ritenuto di premiare un progetto vincitore e uno segnalato, secondo i seguenti principi. “Il progetto dal motto Porta 3.0 del gruppo composto dagli studenti Jasmine Capitini, Laura Cesaroni, Michele Giuseppe Onali e Luca Torricelli risulta vincitore per la sua iconicità, in quanto rilegge il significato di monumentalità in chiave contemporanea nel rapporto con i volumi esistenti che attualmente appaiono fuori scala rispetto al contesto. Il progetto dal motto Linking Foligno del gruppo composto dagli studenti Giulio Galli, Matteo Margutti, Fabio Negozio, Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti e Matteo Tanganelli risulta segnalato per il riuscito rapporto con l’intera area di porta Romana conseguito attraverso operazioni compositive semplici quali abbassare, bucare e svuotare e per aver privilegiato la mobilità lenta”. 93 Indice UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana PRESENTAZIONI p.2 PREFAZIONE Carlo Terpolilli p.6 UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO La sostenibilità sostiene l’architettura Dalle scale mobili di Perugia alla galleria pedonale di Foligno Paolo Belardi p.12 L’area di porta Romana: un luogo irrisolto Alfiero Moretti p.20 SETTE PROGETTI PER LA GALLERIA PEDONALE DI PORTA ROMANA Porta 3.0 Luca Martini p.34 Linking Foligno Carlo Rossi p.42 C’era una porta... Filippo Conti p.50 Door Code Marco Palazzeschi p.58 More&Less Simone Bori p.66 p.74 P-Connection Simona Graziotti Tessere (di) Foligno Giacomo Pagnotta p.82 IL CONCORSO 95 p.91 UNA NUOVA PORTA URBIS PER FOLIGNO Sette progetti per la galleria pedonale di porta Romana a cura di Paolo Belardi, Alfiero Moretti, Luca Martini Il volume presenta gli atti dell’iniziativa che si è svolta a Foligno presso l’auditorium di Santa Caterina il 27 gennaio 2012, in occasione della quale sono stati presentati i progetti redatti nell’ambito dell’attività didattica dei corsi di Progettazione Digitale e Laboratorio di Progettazione Digitale del Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Ingegneria edile-Architettura della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Perugia attivati nell’anno accademico 2011-2012. docenti Paolo Belardi, Alfiero Moretti visiting professor Gianni Drisaldi, Vittoria Garibaldi, Salvatore Santucci, Riccardo Vetturini tutor Simone Bori, Ilaria Cellini, Filippo Conti, Simona Graziotti, Luca Martini, Giacomo Pagnotta, Marco Palazzeschi, Carlo Rossi studenti Alessandra Angeli, Davide Baliani, Alex Bellucci, Valeria Berellini, Alessandro Bianchi, Michele Biscotti, Giacomo Boncio, Elisa Brunelli, Jasmine Capitini, Francesca Catalucci, Laura Cesaroni, Marta Ciancabilla, Lucia Cornelli, Nicola Croccolino, Filomena Demaio, Lorenzo De Matteis, Francesco Fantauzzi, Giulio Galli, Matteo Margutti, Daniele Mariani, Nicholas Mencarelli, Ilaria Morelli, Deborah Muzi, Fabio Negozio, Michele Giuseppe Onali, Giacomo Palombi, Lara Pelliccia, Marta Piazza, Lorenzo Polli, Francesca Rea, Giovanni Sensi, Gabriele Rinchi, Giacomo Sparamonti, Matteo Tanganelli, Selene Teodori, Claudia Tondini, Luca Torricelli, Matteo Ziarelli L’iniziativa si è conclusa con la premiazione del progetto vincitore e del progetto segnalato dal parte del grand jury nominato all’uopo. grand jury Gian Marco Cannavicci, Rita Fanelli Marini (presidente), Paolo Luccioni, Giancarlo Partenzi, Luciano Piermarini VIAINDUSTRIAE edizioni via delle Industrie 9 06034 Foligno (PG) info@viaindustriae.it progetto grafico VIAINDUSTRIAE stampa in Febbraio 2013 grafiche CMF, Foligno L’editore rimane a disposizione degli eventuali detentori di diritti che non sia stato possibile rintracciare. COMUNE DI FOLIGNO ISBN 978-88-97753-06-3 prezzo 10,00 €