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Il “seguito” dell’ordinanza 207: mutamento (nella continuità) di paradigma costituzionale e (necessaria) leale collaborazione tra poteri * di Simone Penasa ** (30 giugno 2019) 1. In questo breve intervento si svolgeranno tre ordini di considerazioni, relative a: l’individuazione del “posto” di una eventuale decisione nel merito della Corte costituzionale all’interno dei diversi approcci ricavabili a livello comparato; i possibili effetti dell’ordinanza 207 sul seguito sia legislativo sia giurisprudenziale, in termini di definizione del quadro assiologico e metodologico di riferimento entro il quale si dovrà muovere tanto la discrezionalità legislativa quanto quella giurisdizionale; infine, la natura fisiologica o patologica dell’utilizzo dei propri poteri (tanto istruttori quanto sostanziali) della Corte costituzionale nella prospettiva della dinamica tra i poteri. 2. Per quanto riguarda l’utilità della comparazione giuridica, essa prescinde dalla funzione attribuitole dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 207, sul quale si è ampiamente discusso in dottrina, venendo ad assumere una duplice funzione: tassonomica (rispetto alla razionalizzazione delle tendenze emergenti in ambito comparato) e prospettica (rispetto alla concreta collocazione del futuro seguito giurisprudenziale all’interno della tassonomia dei diversi approcci consolidati a livello comparato, dando per scontato il perdurare dell’inerzia del legislatore). In relazione alla funzione tassonomica della comparazione, si assiste ad una tendenza verso la progressiva flessibilizzazione dei modelli a tendenza impositiva nel fine vita (caratterizzati sulla compresenza del riconoscimento di un diritto al rifiuto dei trattamenti e della previsione del divieto di assistenza al suicidio e di omicidio del consenziente, secondo la classificazione proposta da C. Casonato, Introduzione al biodiritto, Giappichelli, 2012). In tale quadro, l’intervento delle corti dotati di funzioni di controllo di costituzionalità, finalizzato a ridurre l’ambito del penalmente rilevante in tale ambito, può avvenire: a) in modo diretto e forte, attraverso la dichiarazione di illegittimità delle fattispecie penali, pur con meccanismi di modulazione temporali degli effetti, come nel caso canadese citato dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 207; b) in modo mediato e temperato, attraverso il combinato disposto di interpretazione conforme della normativa vigente e monito rivolto al legislatore a superare – anche solo parzialmente – l’approccio punitivo, atteggiamento – questo – che si può accompagnare a una successiva delega di bilanciamento in concreto all’amministrazione finalizzata a definire le condizioni concrete di accesso a tale trattamento, come nel caso della giurisprudenza costituzionale colombiana (Corte costituzionale colombiana, caso C-239 del 1997; T-970 del 2014, alla quale ha fatto seguito la Declaraciòn del Ministero della Salute n. 1216 del 20 aprile 2015, che contengono le linee guida che definiscono i termini del diritto a “morire con dignità”, dando attuazione alle decisioni citate); c) ma può avvenire anche in modo indiretto e residuale, tendendo in questo caso alla minimizzazione o neutralizzazione degli effetti delle condotta formalmente illecita, rilevando in questo senso il caso britannico, nel quale pur facendo salva la * Intervento al Seminario 2019 di Quaderni Costituzionali, Dopo l’ordinanza 207/2018 della Corte costituzionale: una nuova tecnica di giudizio? Un seguito legislativo (e quale)?, Bologna, 27 maggio 2019. 1 discrezionalità piena del legislatore in tale materia (i noti casi Nicklinson e Conway: le decisioni che si sono susseguite sono reperibili, come tutte le sentenze citate nel presente scritto, sul sito www.biodiritto.org), si è sfruttata la natura dell’ordinamento – ad esempio l’assenza dell’obbligo di esercizio dell’azione penale da parte dei public prosecutors – per limitare da un lato l’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice, restringendo quindi l’ambito della punibilità delle condotte di assistenza (cfr. in tal senso le guidelines del director of public prosecutors che condizionano l’incriminazione di chi prenda parte al processo di assistenza all’avveramento di una serie di condizioni predeterminate) e dall’altro lato limitando la compressione delle posizioni giuridiche soggettive dei soggetti che abbiano posto in essere tali condotte (ad esempio, la moglie che abbia condotto in Svizzera il marito al fine di avere accesso al suicidio assistito, ad esempio in materia successoria: High Court, Business and Property Courts, caso Ninian v. Findlay, 21 febbraio 2019). In tal senso quest’ultima via risulta ipoteticamente percorribile anche dalla Corte costituzionale, pur essendo comunque da intendere in senso recessivo rispetto alla linea argomentativa tracciata nell’ordinanza 207. Ciò potrà avvenire, ad esempio, potenziando lo schema decisionale introdotto con la sentenza n. 138 del 2010 in materia di matrimonio tra persone dello stesso sesso (su cui il contributo di Romboli in questa Sezione), nella quale come noto la Corte ha svolto un triplice ordine di considerazioni: accertamento dell’esigenza di tutela; delega “in bianco” al legislatore rispetto ai tempi, modalità e forme del riconoscimento normativo del rilievo costituzionale di tali unioni; allo steso, tempo, avocazione a sé della tutela in concreto dei singoli diritti che possano subire indebite compressioni all’interno di tale relazione familiare. Nel quadro delineato dall’ordinanza 207, tale schema potrebbe risultare ulteriormente potenziato, in quanto nella citata ordinanza la Corte costituzionale è sembrato non lasciare all’incondizionata volontà del legislatore il se, il come e il quando dell’intervento in materia di assistenza al suicidio, pur se nel ristretto perimetro tratteggiato in conformità alle specifiche caratteristiche del caso a quo. 3. Passando agli effetti della decisione, si offriranno alcuni spunti relativi alla cornice metodologica e assiologica all’interno dei quali si dovrà inserire qualsiasi seguito, sia esso legislativo o giurisprudenziale, dell’ordinanza 207. La Corte costituzionale ha infatti, nell’opinione di chi scrive, fissato il paradigma costituzionale di riferimento entro cui dovrà svolgersi il seguito della propria (non?) decisione: nell’ordinanza 207 è possibile infatti rinvenire un percorso argomentativo che sembra richiamare le dinamiche ermeneutiche che hanno condotto al ribaltamento di paradigma avvenuto in ambito civile tra l’art. 5 del codice civile e art. 32, secondo comma, della Costituzione. In tale prospettiva, quindi, e seguendo la linea argomentativa tracciata in modo inequivoco dalla Corte nell’ordinanza in commento, si potrebbe giungere – mutatis mutandis – ad adottare un’interpretazione dell’art. 580 del codice penale alla luce dei principi costituzionali, come attuati dalla legge n. 219 del 2017. In tal senso, è vero che la Corte ha riconosciuto la non incompatibilità assoluta dell’art. 580 c.p. con la Costituzione, ma sembra prospettare l’esigenza di una ridefinizione dell’ambito e della tensione di quella “cintura protettiva” che il legislatore penale ha opportunamente deciso di edificare attorno alla persona in condizione di debolezza o comunque fragilità. Significativamente, la Corte si esprime in termini di possibile inserimento non solo formale ma anche sostanziale e assiologico nello spirito della legge 219 del 2017, e più in 2 particolare in quella relazione di cura e fiducia tra medico e persona paziente che rappresenta la pietra angolare della struttura normativa edificata dalla medesima legge. In questo senso, cercando di divinare il futuro, a me pare convincente (pur con le condivisili perplessità evocate dal prof. Dal Canto nel contributo ospitato nella presente Sezione), la via dell’attivazione del combinato disposto rappresentato dal principio di ragionevolezza ex art. 3 e dall’art. 32 Cost., evocato dalla medesima Corte come “parametro ombra” della questione sollevata dal giudice milanese. Tale andamento sembra richiamare lo schema decisionale già adottato dalla Corte in materia di ammissibilità della diagnosi genetica preimpianto nell’ambito delle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Nella sentenza n. 96 del 2015, infatti, la Corte costituzionale ha affermato l’incoerenza del (presunto) divieto legislativo contenuto nella legge n. 40 del 2004 alla luce del parametro della coerenza esterna del medesimo, valutata alla luce della disciplina in materia di interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978). Nelle trame argomentative dell’ordinanza n. 207 sembra riecheggiare tale approccio, nel momento in cui la Corte afferma che “in simili casi” e “entro lo specifico ambito considerato” (quindi in un ambito casistico e quindi normativo che la Corte si premura di ritagliare sulle caratteristiche del caso all’origine del giudizio a quo) sarebbe irragionevole consentire il rifiuto dei trattamenti, eventualmente associato alla sedazione terminale profonda, vietando al contempo l’assistenza al suicidio senza prevedere alcuna eccezione (sembra utile riportare integralmente il passaggio argomentativo al quale ci si riferisce: “il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo delle sofferenze, scaturente dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, Cost., imponendogli in ultima analisi un’unica modalità per congedarsi dalla vita, senza che tale limitazione possa ritenersi preordinata alla tutela di altro interesse costituzionalmente apprezzabile, con conseguente lesione del principio della dignità umana, oltre che dei principi di ragionevolezza e di uguaglianza in rapporto alle diverse condizioni soggettive (…)”, § 9): un ragionamento che sembra richiamare il classico parametro di ragionevolezza-coerenza delle scelte legislative, pur se in una materia eticamente sensibile e quindi connotata da un’ampia discrezionalità politica. Pertanto, l’ordinanza 207 pare cogliere ed esprimere (se non formalmente, considerata la natura interlocutoria della pronuncia, certamente in termini sostanziali) un mutamento di paradigma costituzionale da tempo in atto a livello di giurisprudenza ordinaria (a partire dalla ormai nota sentenza della Cassazione nel caso Englaro), all’interno della medesima giurisprudenza costituzionale (non a caso la Corte richiama espressamente la sentenza n. 438 del 2008 in materia di consenso informato, definito come noto quale sintesi del diritto alla salute e all’autodeterminazione della persona, § 8) e finalmente recepita a livello legislativo (la già richiamata legge n. 219 del 2017), rispetto al quale ma entro il quale la discrezionalità del legislatore potrà liberamente esprimersi: ciò, sia che l’intervento legislativo – nel caso auspicabile ma non ragionevolmente prevedibile nel medio periodo che ciò avvenga – intervenga in peius o al contrario in melius rispetto al quadro tracciato dalla Corte costituzionale nella ordinanza di illegittimità annunciata ma non dichiarata che qui si commenta. Pare opportuno ribadire che, anche in caso di futuro accoglimento della questione da parte della Corte costituzionale, che pare essere alla luce della struttura argomentativa dell’ordinanza 207 una strada costituzionalmente necessaria anche se a contenuto e forma non costituzionalmente vincolato (mutuando i noti concetti tipici della giurisprudenza costituzionale in materia di ammissibilità referendaria), il legislatore resterebbe comunque libero di intervenire – utilizzando una metafora chirurgica – sia secondo modalità “di precisione” rispetto al quadro delineato dalla Corte sia in modo “invasivo”, discostandosi 3 quindi da quest’ultimo, ma comunque sempre all’interno del paradigma costituzionale delineato dalla Corte. Occorre peraltro sottolineare come, e questo pare essere un elemento decisivo al fine di valutare la coerenza interna alle argomentazioni utilizzate dalla Corte nell’ordinanza 207 e dell’eventuale futuro intervento ablativo relativo all’art. 580 del codice penale, la Corte costituzionale non abbia svolto tale mutamento in via “originaria”, ma alla luce di scelte legislative e giurisprudenziali già operate e che hanno assunto ormai natura consolidata e strutturale all’interno dell’ordinamento (ex plurimis, la sentenza Englaro e la legge 219 del 2017). In caso contrario, nel caso cioè in cui il legislatore decida di esondare rispetto al quadro assiologico delineato dalla Corte, l’eventuale legge si potrebbe esporre ad un ulteriore ciclo di controllo di costituzionalità, all’interno del quale il paradigma proposto dalla Corte – fondato sull’incrocio tra articoli 2, 13 e 32, secondo comma, Cost. – si potrà porre anche formalmente quale parametro di costituzionalità. Del resto, che la partita non sia chiusa, e che non lo sarà nemmeno in caso di futura sentenza di accoglimento, lo dimostra l’esperienza canadese: il Medical Assistance in Dying Act ha operato in senso più restrittivo rispetto al quadro e ai criteri indicati dalla Corte Suprema nel caso Carter, citato anche dalla Corte costituzionale nell’ordinanza 207, generando inevitabilmente una litigiosità anche costituzionale finalizzata a chiarirne i termini di attuazione e il concreto ambito applicativo alla luce dei principi enucleati in Carter (sul punto, T. McMorrow, Voluntary Euthanasia, Assisted Suicide & Law Reform: A Sketch of the Canadian Experience, in BioLaw Journal-Rivista di BioDiritto, 1, 2019, in particolare 274 ss.). 4. Relativamente ad una lettura dell’ordinanza nella prospettiva del rapporto tra poteri, per quanto possano rilevarsi criticità dal punto di vista delle soluzioni tanto processuali quanto sostanziali adottate in concreto dall’ordinanza 207, a parere di chi scrive – richiamando l’efficace espressione utilizzata da Salazar in una delle Relazioni ospitate in questa sezione secondo cui la Corte “ha avviato, sin dove le è consentito, il processo di attuazione della Costituzione”, l’atteggiamento della Corte rientri pienamente nella fisiologia del dinamico evolversi del progetto costituzionale, rispetto all’attuazione del quale la relazione tra poteri è raffigurabile attraverso l’immagine del triangolo, al cui vertice alto sta la Costituzione e ai vertici bassi – “l’uno a fianco dell’altro” (M. Fioravanti, Il legislatore e i giudici di fronte alla Costituzione, in Quaderni costituzionali, 1, 2016, 7 ss.) – legislatore e giudici (anche costituzionale), ciascuno all’interno delle rispettive funzioni e secondo una logica di “leale collaborazione” (non chi ma come ed entro quali ambiti funzionali debba intervenire, secondo un rapporto orientato non dal criterio di gerarchia istituzionale ma di competenza e sussidiarietà). Di tale rinnovato disegno si hanno peraltro, nell’ambito del fine vita, prodromi all’interno della medesima giurisprudenza costituzionale, basti pensare all’ordinanza n. 334/2008 in riferimento al caso Englaro, nel quale la Corte ha chiaramente – anche se in modo inevitabilmente dinamico – tracciato il perimetro delle rispettive funzioni. In tal senso, nella dilatazione dei poteri processuali effettuata dall’ordinanza 207 pare rinvenibile la volontà da parte della Corte non tanto di non decidere, quanto di chiamare ogni soggetto istituzionale coinvolto alla rispettiva responsabilità (e autonomia): il legislatore non è vincolato – almeno formalmente – dalla “messa in mora” operata dall’ordinanza 207, così come i giudici ordinari dall’“indicazione” della Corte di valutare l’opportunità di sospendere giudizi analoghi e proporre una questione di legittimità; questo, del resto, non sembra essere stato l’obiettivo perseguito dalla Corte costituzionale, che sembra al contrario orientata a riconoscerne e richiamarne le rispettive funzioni e poteri (esigendone però 4 l’esercizio in concreto), riservandosi pro futuro una eventuale ri-dilatazione dei propri poteri decisori “prudenzialmente” compressi attraverso la valorizzazione di quelli processuali in occasione dell’ordinanza 207. ** Ricercatore a tempo determinato in Diritto pubblico comparato, Università di Trento, simone.penasa@unitn.it 5