INDIVIDUO, LIBERTÀ E POTERE
Questo volume è stato pensato per celebrare e rendere omaggio all’attività
di ricerca e di insegnamento del nostro amico e collega Lorenzo Infantino.
L’opera di Infantino si pone nel solco del pensiero liberale: dalla tradizione
dei moralisti scozzesi, di David Hume e Adam Smith, alla Scuola Austriaca, di Carl Menger, Ludwig von Mises e Friedrich A. von Hayek. Nella sua
lunga carriera di studioso, Infantino ha dato un fondamentale impulso alla
diffusione delle idee di questi giganti del pensiero e ha prodotto importanti
contributi originali sull’evoluzionismo sociale, sull’ordine spontaneo e sulla
natura del potere.
La profonda conoscenza delle scienze sociali gli ha consentito di sviluppare
un fecondo intreccio interdisciplinare che unisce in maniera sempre stimolante la filosofia, la sociologia e l’economia.
Il volume raccoglie i contributi di studiosi di diverso orientamento scientifico
e ideale, che condividono la stima, l’amicizia e un qualche debito culturale
nei confronti di Lorenzo. Esso si compone di una parte dedicata ai temi economici e di una parte dedicata ai temi della filosofia delle scienze sociali. Si
tratta di contributi originali che possono essere di notevole interesse per un
pubblico più vasto della cerchia ristretta degli addetti ai lavori.
STUDI IN ONORE
DI LORENZO INFANTINO
a cura di Raimondo Cubeddu e Pietro Reichlin
Con scritti di: José Antonio de Aguirre, Pierpaolo Benigno,
Rosamaria Bitetti e Federico Morganti, Enrico Colombatto,
Simona Fallocco, Giampaolo Garzarelli e Giuseppina Gianfreda,
Marcello Messori, Salvatore Nisticò, Pietro Reichlin,
Florindo Rubbettino, Carlo Stagnaro, Luigi Marco Bassani,
Paolo L. Bernardini, Salvatore Carruba, Raimondo Cubeddu,
Raffaele De Mucci, Alessandro De Nicola, Gianfranco Fabi,
Nicola Iannello, Carlo Lottieri, Antonio Masala, Alberto Mingardi,
Albertina Oliverio, Luciano Pellicani, Alessandro Vitale
€ 28,00
Individuo, libertà e potere
Studi in onore di Lorenzo Infantino
a cura di Raimondo Cubeddu e Pietro Reichlin
© 2019 - Rubbettino Editore
88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - tel (0968) 6664201
www.rubbettino.it
Antonio Masala*
Commercio, istituzioni e potere politico
nel pensiero di Adam Ferguson
Almeno in parte, la considerazione che Adam Ferguson gode tra gli esponenti
e gli studiosi della tradizione liberale è dovuta all’importanza che gli attribuisce
Friedrich A. von Hayek.
Hayek iniziò il suo percorso scientifico come economista, per poi rendersi
gradualmente conto di come le conclusioni che aveva raggiunto in quel campo di
studi riguardassero in senso molto più ampio tutta la vita dell’uomo in società. Nel
cammino che lo portò a comprendere la reale portata delle sue scoperte, un ruolo
fondamentale ebbe certamente lo studio dell’Illuminismo scozzese. La questione
di quanto il suo tentativo di integrare la tradizione scozzese con la Scuola austriaca
fosse filologicamente corretto1 e di quanto fosse un’operazione anche “politica”, ossia
volta a nobilitare una tradizione che dopo decenni di crisi si apprestava a rifiorire2,
è assai complessa e non verrà qui affrontata. Quello che è certo è che non si può più
comprendere la reale rilevanza del liberalismo contemporaneo come “teoria della
società” senza passare anche per lo studio dell’Illuminismo scozzese, e di questo
Hayek era ben consapevole3.
Il modo con il quale Hayek include Ferguson tra i padri fondatori della teoria
dello spontaneous order merita qualche riflessione. Egli lo inserisce convintamente
a fianco a Mandeville, a Smith e a Hume tra i padri fondatori di quella tradizione e
cita in molte occasioni la sua celebre frase sulla nascita inintenzionale delle istituzioni4. Tuttavia nell’opera di Hayek, nonostante la presenza di alcune annotazioni
interessanti, non si trova (diversamente di quanto accade per gli altri autori citati)
* Ricercatore in Filosofia politica presso il Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere dell’Università di Pisa.
1. Il principale assertore della continuità tra la tradizione scozzese e quella austriaca è Lorenzo
Infantino, in particolare si veda il suo ormai classico L. Infantino (2011). Alcuni importanti elementi
di discontinuità sono stati invece messi in luce in R. Cubeddu (2016).
2. Su questo tema si può vedere il quarto capitolo di A. Masala (2017).
3. Interessanti e ben documentati sono i saggi che Ronald Hamowy ha dedicato al pensiero di
Ferguson e a quello di Hayek, ora raccolti in R. Hamowy (2005). Sorprendente come dedichi una
sola e marginale citazione a Ferguson C. Petsoulas (2001).
4. La celebre frase di Ferguson viene anche mutuata nel titolo del saggio F.A. von Hayek (1967).
202
antonio masala
una trattazione organica dell’opera di Ferguson e della sua rilevanza per la tradizione liberale5.
La ragione potrebbe risiedere semplicemente in un minore interesse del lavoro
di Ferguson, comparativamente a quello degli altri moralisti scozzesi, per la teoria
liberale. Oppure potrebbe essere dovuta alla presenza di varie pagine “problematiche” per la tradizione liberale, anche se si potrebbe osservare che una discreta
problematicità si ritrova anche in vari passaggi della riflessione di Smith. Ma al di
là dei motivi di questa relativa marginalità, o meglio della relativa carenza di analisi
del pensiero di Ferguson nel suo complesso, vale la pena provare a ricostruire alcuni
passaggi dell’opera dello scozzese, per cercare di inquadrare meglio in che termini
egli si possa davvero ascrivere a quella che per Hayek è la “grande tradizione” del
liberalismo.
Questo tentativo verrà fatto guardando prevalentemente a An Essay on the History of Civil Society, poiché nonostante i successivi Principles of Moral and Political
Science siano, come è stato autorevolmente osservato, un’opera «ben più matura»6, è
in quell’opera che si trovano con più immediatezza e forza (nonché problematicità)
le idee di Ferguson7.
È certamente vero che in vari passaggi del lavoro di Ferguson si trova una
critica della “società commerciale” e un rimpianto per la dimensione comunitaria
che proprio da quel modello di società era stata spazzata via. Egli argomenta infatti
come l’attitudine al progresso, legata al principio di autoconservazione, porti l’uomo
ad agire per assicurarsi i mezzi «per appagare tutti gli appetiti», ma lo porti anche
a far diventare l’accumulazione di ricchezza «l’idolo della sua mente». La forza
dei legami comunitari e quel coraggio nel difendere le istituzioni della società che
Ferguson tanto ammirava sono continuamente messe in pericolo dal «desiderio
di guadagno»8, che caratterizza lo sviluppo delle società commerciali, desiderio
che è anche la principale causa delle ingiustizie che si compiono nei confronti del
prossimo. Vi sono certamente, oltre all’avidità, anche altre motivazioni (l’orgoglio
e l’invidia tra tutti) che rendono gli uomini capaci di commettere ingiustizie9, ma
5. Un destino per certi versi analogo Ferguson incontra nelle opere di Infantino, e in particolare nei
suoi due volumi tradotti in inglese che rappresentano un importante spartiacque per comprendere
le origini della moderna teoria liberale: L. Infantino (2014) e (2015).
6. Id. (1999), p. 115, n. 41.
7. La letteratura su Ferguson è molto ampia, in lingua italiana sono disponibili due interessanti
monografie, che però si pongono assai marginalmente il problema della sua collocazione rispetto
alla tradizione liberale, P. Salvucci (1977) e V. Merolle (1994).
8. Il tema si ritrova in tanti luoghi, ma in particolare A. Ferguson (1767), pp. 44 e ss.
9. Ciò che caratterizza il pensiero di Ferguson, ivi, pp. 96 e ss., è che, oltre alle passioni positive,
prima fra tutte la benevolenza, anche quelle “negative” sono essenziali al costituirsi della società. Tali
passioni sono presenti sia a livello individuale (sono generate dai “germi dell’animosità” presenti
in ogni uomo) sia a livello sociale, ed egli indica la rivalità tra nazioni e l’ostilità verso gli “altri” (e
addirittura anche la guerra e il saccheggio) come elementi fondamentali per comprendere la vita in
Commercio, istituzioni e potere politico nel pensiero di adam ferguson
203
è la ricerca della ricchezza (che non ha come obiettivo solo il godimento della proprietà, ma anche il privilegio, l’onore, il rango che essa genera) a suscitare quelle
che Ferguson definisce “le passioni più violente”.
La tendenza all’accumulazione di ricchezza e di beni è qualcosa di inarrestabile,
cresce su se stessa poiché l’abbondanza genera incessantemente nuovi desideri. È
questa la ragione da un lato dell’esponenziale e “insano” aumento delle disuguaglianze nella società commerciale, e dall’altro del declino delle virtù e delle arti non
legate al profitto10. A questo si aggiunge poi il fatto che la divisione del lavoro, se ha
il pregio di far aumentare il benessere, rompe i legami sociali e crea una società nella
quale ognuna delle “diverse parti” possiede le sue specifiche abilità, ma nessuna di
esse è “animata dallo spirito della società stessa”. Ecco che allora il progresso delle
“arti meccaniche” ha anche effetti deteriori, perché gli uomini svolgono mansioni
che non richiedono alcuna capacità particolare; sono queste le pagine che piacevano
a Karl Marx, dove Ferguson tratta di fenomeni che poi il pensatore tedesco definirà
di alienazione e di proletarizzazione.
Questi passaggi sembrano allontanare Ferguson dalla tradizione liberale e dalla
riflessione hayekiana, la quale forse non indica direttamente una generazione di valori
morali positivi da parte delle dinamiche del mercato, ma si guarda bene dall’indicare l’effetto contrario, ossia un deteriorarsi dei valori a causa del commercio e della
ricerca della ricchezza. Le cose tuttavia stanno così solo in parte e si cercherà ora di
argomentare come lo scozzese fosse sì un feroce critico di alcune conseguenze morali
e sociali della rivoluzione industriale (dati storici non negati o minimizzati, ma solo
contestualizzati, dalla tradizione liberale), ma non certo un critico del progresso e
dello sviluppo economico, che ha nella divisione del lavoro uno dei suoi innegabili
pilastri. Si guarderà dunque all’articolata riflessione di Ferguson non solo per ricordare i noti passaggi che ne fanno uno dei padri della tradizione liberale, ma anche
per cercare di collocare meglio la sua problematica critica della società commerciale
all’interno della sua visione della politica e della società.
Nella centrale sezione che venne inizialmente intitolata La storia della subordinazione, e poi, a partire dall’edizione del 1773, La storia delle istituzioni politiche,
si trovano due fondamentali passaggi nei quali Ferguson da un lato nega che gli
Stati possano aver avuto la loro fondazione in un contratto o in un legislatore11, e
società, giacché sono quelle esperienze a creare l’unione nel gruppo, e dunque il senso di identità e
coesione. Poco più avanti, p. 139, la guerra viene vista anche come un elemento fondamentale della
formazione del carattere, tanto che Ferguson si spinge a dire che chi non ha imparato a servire in
guerra, obbedendo in maniera incondizionata e rinunciando completamente alla propria libertà,
«deve ancora imparare la più importante lezione della società civile».
10. Ivi p. 201: «Il desiderio di profitto soffoca l’amore per la perfezione. L’interesse rende fredda
l’immaginazione e indurisce il cuore».
11. Ivi p. 116: «Nessuna costituzione è stata concepita sulla base di un accordo, nessun governo è
stato copiato da un piano […]. Perciò dobbiamo cogliere con cautela le storie tradizionali di anti-
204
antonio masala
dall’altro ci ricorda che «le nazioni camminano barcollando su istituzioni che in
realtà sono il risultato dell’azione umana e non la realizzazione di qualche disegno
umano»12. Un passaggio che è forse la più efficace sintesi della tradizione dell’ordine
spontaneo, e un concetto che egli sviluppa non solo in altri passaggi dello stesso
Saggio, ma anche in altre opere13.
Ma oltre a questo passo tanto amato dagli Austriaci, vi sono numerose altre idee
che fanno di Ferguson un liberale classico. Egli osserva ad esempio come lo sviluppo
di industria e commercio siano gli unici mezzi per raggiungere l’incremento della
popolazione e la ricchezza della nazione e come sia sempre inefficace promuovere
quell’incremento senza la tutela della proprietà, della libertà e della sicurezza degli
individui. Gli Stati diventano dunque prosperi “inintenzionalmente”, ossia quando
soddisfano le richieste dei ceti produttivi, assicurando al lavoratore indipendenza
e libertà, e l’uomo di Stato al fine di promuovere il benessere e la ricchezza della
popolazione non può fare altro che “evitare di procurare danni”. Se infatti la libertà
e la sicurezza personale sono il grande fondamento dell’incremento del benessere e
della popolazione, allora «il grande compito della politica» non sarà altro che quello
chi legislatori e fondatori di Stati. […] Si considera effetto di disegno ciò che probabilmente è solo
conseguenza della condizione precedente. […] Attribuiamo a un disegno ciò che si conosce solo per
esperienza, ciò che nessuna saggezza potrebbe mai prevedere e ciò che nessuna autorità potrebbe
autorizzare a un individuo senza il concorso del carattere e della tendenza dell’epoca». Come ricorda
Infantino la distruzione del mito del «supremo legislatore» è stata definita da Duncan Forbes «il
più originale e audace coup della scienza sociale dell’Illuminismo scozzese», per quanto si debba
al riguardo ricordare anche l’importanza dell’opera di Mandeville, cfr. L. Infantino (1999), p. 132.
12. Merita di essere riportato, in tutta la sua forza e bellezza stilistica, l’intero passaggio, A. Ferguson
(1767), pp. 115-116: «Come i venti che non sanno da dove vengono e soffiano dove vogliono, le forme
della società derivano da un’origine oscura e lontana. Nascono dagli istinti non dalle speculazioni
umane, molto prima dell’inizio della filosofia. Nella formazione delle istituzioni e nelle misure adottate
la massa degli uomini è guidata dalle circostanze in cui si trova e raramente abbandona la propria
strada per seguire il progetto di qualche singolo pianificatore. Anche nelle età definite illuminate ogni
passo e ogni movimento della moltitudine è fatto con uguale cecità nei confronti del futuro, mentre
le nazioni camminano barcollando su istituzioni che in realtà sono il risultato dell’azione umana e
non la realizzazione di qualche disegno umano. Se Cromwell poté affermare che un uomo non sale
mai tanto in alto come quando non sa dove sta andando, si può a maggior ragione affermare che le
società favoriscono le più grandi rivoluzioni proprio quando non viene progettato alcun cambiamento,
e i politici più sottili non sempre sanno dove stanno portando lo Stato con i loro progetti». Poco più
avanti, p. 169, aggiunge che le istituzioni degli uomini «sono suggerite dalla natura e sono il risultato
dell’istinto, […] nascono da miglioramenti successivi, realizzati senza alcuna consapevolezza dei
loro effetti generali e portano gli affari umani a uno stadio di complessità che neanche la più grande
facoltà di cui la natura umana sia stata dotata può progettare, anche se ci si trovasse alla fine del tutto
e si potesse abbracciarlo in tutta la sua estensione», un passo dal forte sapore hayekiano.
13. Ad esempio, Ferguson, Id. (1792) ricorda come «i baroni d’Inghilterra […] non sapevano che le
concessioni (charters) strappate al proprio sovrano sarebbero divenute la base della libertà del popolo
che essi desideravano tiranneggiare», citato in L. Infantino (2008), p. 40.
Commercio, istituzioni e potere politico nel pensiero di adam ferguson
205
di «assicurare alla famiglia i suoi mezzi di sussistenza e sistemazione, di proteggere
la persona industriosa nello svolgimento della sua professione»14.
Coerentemente poi egli osserva come «la ricchezza dello Stato è costituita dalla
fortuna dei suoi membri» e come le sue entrate, poiché sono solo «un’aliquota della
ricchezza privata», dovrebbero essere in proporzione a ciò che i cittadini (e non lo
Stato) ritengono giusto, ossia in base a quanto sono disposti a dare senza danneggiare il loro stile di vita e i loro progetti di spesa e di commercio15. Un altro passaggio
interessante è quello in cui si argomenta come il progresso delle nazioni derivi anche
dal loro essere divise e dunque dal tentativo di reciproca emulazione, osservando
poi come i cittadini in realtà non abbiano interesse all’annessione di nuovi territori,
perché la loro importanza (e dunque anche la loro libertà) diminuisce al crescere
dello Stato16. Passaggio che rende la riflessione di Ferguson interessante nell’attuale
dibattito sui tentativi di secessione di alcune comunità dagli Stati nazionali.
Vi sono diversi punti del Saggio nel quale, in apparente contraddizione con
le critiche che abbiamo visto in precedenza, Ferguson tesse un convinto elogio
del commercio e dei valori che suo tramite si sviluppano. Il primo ed essenziale
elemento da rilevare è che in Ferguson il “progresso” è inteso come tendenza degli
individui a migliorarsi costantemente ed esso non solo è l’origine della società
commerciale, ma è soprattutto qualcosa di assolutamente “connaturato” all’essere
umano, il quale, «mai sazio di novità», è «incapace di trovare quiete»17. In questo
senso, cosa che forse non sempre viene rimarcata a sufficienza dagli interpreti dello
scozzese, lo sviluppo delle “arti meccaniche” e delle “arti commerciali” è qualcosa
di naturale e inevitabile per l’uomo. La stessa cosa può in realtà essere detta per
la proprietà, oggetto di cura e desiderio anche nelle società barbare, e dunque
prima di essere codificata dalle leggi. L’aspirazione alla proprietà e l’attitudine al
progresso sembrano dunque essere nella riflessione di Ferguson qualcosa che va al
di là dell’essere un bene o un male, proprio perché si tratta di elementi costitutivi
della natura umana.
I passaggi nei quali Ferguson rimarca gli effetti (anche moralmente) positivi del
binomio proprietà/progresso sono assai numerosi e rilevanti. La proprietà, che risulta
14. A questo riguardo, Ferguson, A. Ferguson (1767), pp. 120 e ss., sostiene ad esempio che l’interesse
pubblico è assicurato non per il considerarlo il fine della condotta individuale, ma perché ognuno
vuole salvaguardare il proprio interesse, e che le leggi più sagge, e più favorevoli alla libertà, sono il
prodotto della mediazione tra interessi diversi.
15. Ivi, p. 214.
16. Si veda ivi, pp. 54 e ss.
17. Questa convinzione, unita alla considerazione che l’individuo per sua natura sia sempre portato
a vivere con gli altri (è un falso mito quello di uomini primitivi che vivono isolati) ha una forza tale
da portare alla radicale negazione dell’esistenza di uno stato di natura, e a sostenere che ogni forma
di umana esistenza sia, almeno in forma embrionale, una società civile.
206
antonio masala
«con molta evidenza» essere «un elemento di progresso»18, è infatti legata alla “industriosità”, una virtù assai importante perché richiede l’abitudine ad agire in vista di oggetti
futuri ed è tramite essa che gli individui imparano ad astenersi da profitti illegittimi
e chiedono di essere garantiti dal possesso di ciò che guadagnano legittimamente19.
Il progresso, così essenziale per la natura umana, viene poi chiaramente associato alla divisione del lavoro, della quale abbiamo visto in precedenza la critica.
È infatti con la divisione delle arti e delle professioni che “si aprono le fonti della
ricchezza”, ed è già in questo terreno che emerge l’importanza di quelle conseguenze
inintenzionali che Ferguson seppe sintetizzare al meglio guardando alla nascita
delle istituzioni politiche. Egli infatti sostiene che le nazioni mercantili sono spesso
composte da membri che non sanno nulla al di fuori delle loro attività specifiche
e dunque nulla degli «affari umani» (e qui sembra riferirsi all’arte politica) «ma
che tuttavia possono contribuire alla conservazione e alla espansione della loro
nazione senza che l’interesse della comunità sia oggetto delle loro considerazioni
o attenzioni»20. Si trovano poi passaggi dal sapore mandevilliano, quando si sostiene che nella società commerciale l’ozioso e l’industrioso promuovono entrambi
il progresso e si paga anche per le più diverse produzioni dell’ingegno21, e una
interessante analisi del lusso.
Contrariamente a quanto la sua ammirazione per la società spartana (o almeno alcuni aspetti di essa) lasci pensare, in Ferguson non vi è una condanna del
lusso, che esiste come conseguenza della vanità, anch’essa connaturata all’uomo.
Particolarmente interessante è l’idea per la quale ciò che viene considerato lusso
oggi è possibile che diventi qualcosa di uso comune domani, grazie al progresso
economico, e che se può essere più o meno giustificabile una richiesta di frenare il
crescere del lusso tuttavia a nessuno verrebbe in mente di condannare quelli che in
passato erano lussi e che ora sono solo comodità della vita quotidiana, perché una
condanna di questo tipo, se sviluppata con coerenza, costringerebbe gli uomini a
tornare a vivere nelle foreste. Questo ragionamento è interessante anche perché fa
emergere l’importanza delle diseguaglianze per la diffusione del benessere, e in un
passo quasi misesisano Ferguson osserva come «il progresso delle arti» presupponga
«una distribuzione disuguale di ricchezza»22. L’aspetto problematico e forse ancora
più rilevante è però nel fatto che se il lusso è ammissibile solo quando si accetta la
disuguaglianza tra gli uomini allora esso appare in conflitto con la democrazia, la
quale sembra così indirettamente porsi in conflitto con il progresso stesso. Ferguson
18. Ivi (1767), p. 78.
19. Ivi, pp. 92 e ss. ove si osserva come passando per molti e lenti gradi gli uomini acquisiscono
l’industriosità, considerano i loro interessi, imparano ad astenersi da profitti illegittimi, sono garantiti
dal possesso di ciò che guadagnano legittimamente.
20. Ivi, p. 168.
21. Si vedano in particolare ivi, pp. 167-170.
22. Ivi, p. 228.
Commercio, istituzioni e potere politico nel pensiero di adam ferguson
207
era in realtà un convinto sostenitore della forma democratica, ma sviluppando una
critica della democrazia nel momento in cui essa porta a negare l’importanza delle
diseguaglianze come motore di progresso si pone come pioniere, per quanto in
forma ancora molto rudimentale, delle importanti analisi che la tradizione liberale
svilupperà guardando alle tensioni tra uguaglianza e libertà.
L’analisi del lusso ci fa capire molto delle reali preoccupazioni di Ferguson.
Come abbiamo visto, quando il lusso è l’uso delle agiatezze esso è solo qualcosa di
relativo alla propria epoca e dipende dal livello di progresso raggiunto; ecco allora
che per Ferguson l’errore non è amare il lusso, ma semmai preferirlo agli amici,
al Paese, agli esseri umani, poiché le comodità e la ricchezza non devono essere
i principali obiettivi della vita degli uomini. La polemica di Ferguson allora non
sembra tanto essere nei confronti dei meccanismi del commercio o in generale
della generazione e impiego della ricchezza, ma in uno stile di vita che porta gli
uomini a concentrarsi solo su quegli aspetti e a perdere quelle virtù, individuali,
civili e politiche, che il commercio stesso può aiutare a sviluppare. Vi sono infatti
vari passaggi nei quali Ferguson sostiene che, esclusi pochi casi, «le arti commerciali
e quelle politiche sono progredite insieme», e «lo spirito del commercio, mentre
era teso ad assicurarsi i suoi profitti, ha favorito la saggezza politica»23. A questo va
aggiunto che, grazie al progresso (inteso anche come benessere), il commerciante,
che nelle età primitive è «miope, fraudolento e mercenario», diventa «scrupoloso,
liberale, affidabile e intraprendente»24.
Per comprendere l’apparente contraddizione dell’alternarsi di passaggi di condanna e di elogio delle società commerciali nell’opera di Ferguson, è fondamentale
l’analisi delle ultime due parti del Saggio, intitolate rispettivamente Il declino delle
nazioni e La corruzione e la schiavitù politica. Qui appare chiaro come le virtù
(individuali) che portano (inintenzionalmente) alla grandezza delle nazioni siano
presenti anche nelle società commerciali e siano compatibili con quel tipo di società,
ma una volta che, proprio grazie a esse, “grandi avanzamenti” sono stati conseguiti,
quelle virtù non brillano più e il benessere può generare vizio e corruzione. Questa
è una dinamica generale che sarebbe sbagliato imputare solo all’economia, e ancor
più sbagliato vedere come una critica del commercio e del mercato. Le virtù che
Ferguson tanto ammira rischiano sempre di venire meno nel momento in cui si
sono raggiunti dei risultati, e questo vale anche nel percorso politico. Infatti, non
basta avere buone leggi e una buona costituzione (che come abbiamo visto sono
il risultato inintenzionale dell’azione umana), poiché se gli individui perdono la
passione per la libertà, se la danno per scontata e si preoccupano solo del benessere
materiale, diventando così «indegni della libertà» e inevitabilmente la perdono25.
23. Ivi, pp. 239-240.
24. Ivi, p. 134.
25. Ivi, pp. 205-206, dove si dice che la «negligenza del popolo» è il vero pericolo per la libertà.
208
antonio masala
La sua idea, sviluppata anche attraverso l’analisi della storia di Roma e dell’Inghilterra, è che «non è nelle semplici leggi che si devono cercare garanzie di giustizia» e libertà, ma «nelle forze che hanno conquistato quelle leggi», cosa che
lo porta anche a richiamare la necessità di una diffusa partecipazione attiva alla
vita politica26. Su questi temi Ferguson ritorna con forza nelle parti conclusive
del saggio, dove sostiene che se le leggi «cessano di essere rafforzate dallo spirito
vigoroso da cui avevano tratto la loro origine, serviranno solo a mascherare, non
a trattenere, le ingiustizie del potere», e che «l’autorità delle leggi, quando ha un
effetto reale sulla salvaguardia della libertà, non consiste in qualche potere magico
discendente da scaffali carichi di libri, bensì invece nella autorità reale di uomini
risoluti ad essere liberi»27.
Ferguson, dunque, essendo convinto che gli uomini non possano creare delle
buone istituzioni, poiché esse sono il frutto inintenzionale dell’agire umano, non
si preoccupa tanto della forma che le leggi e le costituzioni assumono, ma dello
“spirito” che le anima, ossia dei valori e della passione per la libertà dei cittadini.
Bisogna allora pensare non a come progettare buone istituzioni, ma a come agire
sul carattere degli uomini, poiché è da esso che verrà il benessere o la rovina della
società. E questo elemento spiega bene le sue forti preoccupazioni per l’impoverimento “morale” a cui possono portare le arti meccaniche e la divisione del lavoro.
Per alcuni aspetti la sua preoccupazione della possibile degenerazione “morale”,
legata al raggiunto benessere e ad alcuni aspetti alienanti del progresso economico,
è una preoccupazione costante della tradizione liberale, che ha spesso visto il pericolo del saldarsi delle grandi ricchezze (le “proporzioni gigantesche” della diseguale
distribuzione della proprietà che tanto preoccupavano Ferguson) con la politica, e
le ripercussioni che questo può avere nella degenerazione sia della borghesia (che
da intraprendente diventa parassitaria) sia del funzionamento del libero mercato.
E parimenti si ritrova in altri grandi autori liberali la preoccupazione espressa da
Ferguson che un governo capace di garantire il pacifico godimento dei frutti del
commercio possa portare a un ripiegamento nella sfera privata e a un pericoloso
disinteresse e assenza di vigilanza per la cosa pubblica, magari facendo dimenticare
che la libertà economica è condizione necessaria ma non sufficiente per un’autentica libertà degli individui. Secondo Ferguson, dunque, virtù pubblica e sviluppo
del commercio sono entrambi elementi essenziali nella vita dell’uomo, e bisogna
evitare che uno sottometta l’altro.
I toni foschi della critica nei confronti di aspetti della rivoluzione industriale,
della passione per la ricchezza, della perdita dei veri valori a cui quella passione
può portare, ma anche la sua convinzione che la politica debba in qualche modo
agire per contrastare l’eccessivo concentrarsi della ricchezza in poche mani (ad
26. Si vedano in particolare ivi, pp. 144-156.
27. Ivi, p. 241.
Commercio, istituzioni e potere politico nel pensiero di adam ferguson
209
esempio intervenendo contro la proprietà ereditaria inalienabile), possono far
apparire Ferguson in alcuni passaggi lontano dalla tradizione liberale, e forse
più vicino al conservatorismo o (per il suo insistere sull’importanza dello spirito civico) al communitarianism o al repubblicanesimo. Quando però si tiene
presente l’intero quadro della sua riflessione, e le sue convinte posizioni liberali
su questioni fondamentali, allora si comprende come la vera preoccupazione
di Ferguson sia quella di comprendere cosa può essere fatto per evitare che si
inceppino quei meccanismi virtuosi che hanno portato al progresso economico
e politico e dunque a una società libera. Meccanismi legati ai valori diffusi tra
gli individui, i quali sono generati anche da una struttura socio-economica (ad
esempio quella legata alla proprietà diffusa) che ha al centro la responsabilità e
libertà individuale e le relazioni sociali e umane. Ecco che allora il raffronto delle
sue idee pare interessante non soltanto rispetto alla tradizione della Scuola austriaca ma anche a quella dell’ordoliberalismo di Wilhelm Röpke, una tradizione
che per il suo insistere riguardo ai rischi in termini di degenerazione dei valori
a cui il sistema capitalistico può portare, e per il suo difendere l’importanza del
lavoro indipendente in opposizione alla proletarizzazione delle masse, sembra
avere interessanti affinità con il pensiero di Ferguson.
Vi è poi un altro punto interessante riguardo la collocazione di Ferguson nella
tradizione liberale. Si è accennato come lo scozzese presenti una lettura assai critica
delle diseguaglianze che nascono nella società commerciale e delle differenze tra gli
uomini, in termini di potere e posizione sociale, che si vengono a creare. Se questa
critica è indiscutibilmente presente, lo è anche l’idea, che si affaccia in Ferguson in
maniera assai originale, che il potere si formi spontaneamente nella società, a causa
di una naturale divisione di ruoli che porta alcuni ad avere maggiore autorità di
altri e a contare nelle decisioni da prendere. Il potere è destinato anch’esso, come
il legame economico, a suscitare un altalenarsi di effetti coesivi e dissociativi, ed
è caratterizzato per essere un qualcosa di diffuso e per spostarsi in maniera fluida
tra i vari membri della società. In questa visione del potere come fatto relazionale
e sociale (ossia pre-politico e pre-giuridico) che non ha necessariamente origine
nella coercizione28, sta uno dei maggiori motivi di interesse della riflessione di
Ferguson. È infatti a essa che si potrebbe forse guardare nel tentativo di colmare
quella che, come è stato opportunamente osservato da Lorenzo Infantino29, è una
delle principali lacune della tradizione liberale, ossia la mancanza di una compiuta
teoria del potere.
28. È interessante osservare come alcune delle intuizioni di Ferguson siano state sviluppate in maniera
piuttosto simile da Michel Foucault e Bruno Leoni. Sull’argomento rimando a A. Masala, op.cit.
29. Il riferimento è a L. Infantino (2013). Sul tema del potere nella tradizione liberale si veda anche
A. Panebianco (2004).
210
antonio masala
Bibliografia
Cubeddu Raimondo, Noterelle sul “vero individualismo” hayekiano, in «Eunomia. Rivista semestrale
di Storia e Politica Internazionali», n. 2, 2016, pp. 107-178.
Ferguson Adam, An Essay on the History of Civil Society, 1767; trad. it. Alessandra Attanasio, Saggio
sulla storia della società civile, Laterza, Roma-Bari 1999.
Id., Principles of Moral and Political Science. Being Chiefly a Retrospect of Lectures Delivered in the
Colledge of Edinburgh, Strahan and Caddel, London 1792.
Hamowy Ronald, The Political Sociology of Freedom. Adam Ferguson and F.A. Hayek, Edward Elgard,
Cheltenham 2005.
Hayek Fredrich A. von, Studies in Philosophy, Politics and Economics, Roudedge & Kegan Paul,
London 1967; trad. it. Studi di filosofia, politica ed economia, Rubbettino, Soveria Mannelli 1998.
Infantino Lorenzo, Ignoranza e libertà, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999.
Id., Individualismo, mercato e storia delle idee, Rubbettino, Soveria Mannelli 2008.
Id., L’ordine senza piano. Le ragioni dell’individualismo metodologico, Armando, Roma 2011.
Id., Potere. La dimensione politica dell’azione umana, Rubbettino, Soveria Mannelli 2013.
Id., Ignorance and Liberty Routledge, London-New York 2014, trad. ingl. Lorenzo Infantino, 1999.
Id., Individualism in Modern Thought: From Adam Smith to Hayek, Routledge, London-New York
2015, trad. ingl. Lorenzo Infantino, 2011.
Masala Antonio, Stato, società e libertà. Dal liberalismo al neoliberalismo, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017.
Id., Riflessioni sul potere. Un confronto tra Bruno Leoni e Michael Foucault, in. Modugno Roberta
A., Diana Thermes (a cura di), Bruno Leoni. Per un liberalismo integrale, Rubbettino, Soveria
Mannelli 2017.
Merolle Vincenzo, Saggio su Ferguson. Con un saggio su Millar, Cangemi, Roma 1994.
Panebianco Angelo, Il potere, lo stato, la libertà. La gracile costituzione della società libera, il Mulino,
Bologna 2004.
Petsoulas Christina, Hayek’s Liberalism and its Origins. His Ideas of spontaneous order and the
Scottish Enlightenment, Routledge, London-New York 2001.
Salvucci Pasquale, Adam Ferguson. Sociologia e filosofia politica, Argalia, Urbino 1977.