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università degli studi di lecce dipàrtimento di studi storici dal medioevo all'età contemporanea 66 saggi e ricerche collana diretta da Bruno pellegrino liX università degli studi di lecce pubblicazioni del dipartimento di studi storici dal medioevo all'età contemporanea Maria Elvira Consoli comitato scientifico: mario casella, ornella confessore, Bruno pellegrino Prassi e teoria della retorica in Roma congedo editore Volume pubblicato con il contributo del MUrSt (ex 60%) erogato dal dipartimento di Studi Storici dal Medioevo all’età contemporanea dell’Università degli Studi di Lecce ad patris memoriam iSbn 8880865633 Tutti i diritti riservati congedo editore Premessa Pregnante di significato al suo nascere il termine ‘retorica’ ha subito nel corso del tempo un processo di deterioramento, che lo ha allontanato dalla primigenia significazione concettuale intrinseca al sintagma rJhtorikh; tevcnh e ad ei[rw da cui trae origine. sottesa, infatti, al termine ‘retorica’, con il quale si indicava l’arte della parola, era l’idea di parlare riuscendo insieme a organizzare i pensieri ed esprimersi persuasivamente, ordinando in consequenzialità logica la successione dei concetti: dote di pochi, che, emergendo con il dono della parola, richiamavano l’attenzione della comunità, suscitando l’interesse generale e, con esso, il desiderio di emulazione. Le assemblee descritte nei poemi omerici attestano l’importanza che si attribuiva all’uso della parola e agli effetti persuasivi che con la sua potenza si potevano conseguire sulla collettività. Il primo, però, a dare il nome fin dal VI secolo a. C. ad una dottrina retorica, diffusasi poi nel corso del V secolo in sicilia e nella magna Grecia, è stato, com’è noto, Pitagora1, che costretto a spostarsi da samo per alcune vicissitudini politiche, fondò una scuola a Crotone. I suoi discorsi, tramandati da Giamblico di Càlcide, fra il III e IV secolo d. C., nel libro De vita Pythagorica, contenevano una dottrina che, essendo rivolta a persuadere l’uditorio mediante il fascino e il sapiente uso della parola, poteva già definirsi psicagogica. 1 Non a caso ricordato da Cicerone, Cato 38. 7 Intesa, quindi, come arte dell’espressione ‘oratoria’, la retorica divenne parte rilevante dell’insegnamento dei sofisti2 e trovò nelle condizioni sociali, politiche e culturali della polis del V secolo a.C. il clima propizio per svilupparsi e prosperare, mirando a costituire, al di sopra delle antiche distinzioni di gevno" e di censo, una nuova classe dirigente, rivolta ad un diverso impegno nell’azione educativa, politica e morale. Contrariamente però a quanto ci si sarebbe aspettato, lo sviluppo letterario della ‘retorica’ non ebbe la sua genesi in Grecia dal naturale evolversi della sofistica, che, più diffusa tra le minoranze aristocratiche, suscitava le reazioni democratiche, ma s’irradiò, come ricordato dallo stesso Cicerone3, dalla sicilia. a siracusa l’abbattimento della dinastia dei Dinomenidi (466 a.C.) aveva innescato tra gli antichi e i nuovi possessori delle proprietà fondiarie, a suo tempo confiscate dai tiranni, una lunga serie di processi, che impegnava le parti in causa a sostenere con eloquenza le proprie ragioni, avvalendosi di un repertorio di accorgimenti oratori e dialettici riuniti in un primo manuale di retorica, probabilmente rielaborato da tisia4. Questa tendenza a dare norma al discorso era in realtà contemporanea dei primi studi svolti da Protagora di abdera5 per indagare la struttura dei vocaboli, la morfologia e la loro coor2 L’appellativo, da Platone in poi, come, richiamando Popper, ricorda B. VICkers, Storia della retorica, trad. it. r. Coronato, Bologna 1994, 132 ss., assunse la sfumatura dispregiativa di sterile cavillatore e presuntuoso sapiente, rimanendo tale nella tradizione e nel linguaggio comune. 3 Brut. 46 ss. 4 Cfr. W. rhys roBerts, The new rhetorical fragment (Oxyrhynchus papyri, part. III., 27-30) in relation to the sicilian rhetoric of Corax and Tisias, “Cl. rev.” vol. XVIII, London 1904, 18-21. 5 ricordato da Platone nel Meno (91e) è ritenuto l’iniziatore e il massimo rappresentante dell’antica sofistica greca, che incominciò a professare trentenne, continuando per quarant’anni nel V secolo, in opposizione al contemporaneo socrate. ad esclusione di un brano d’interesse stilistico e retorico (fr. 9 Diels-kranz), citato da Plutarco, e di brevi frammenti (3,10,11,12 D-k) di carattere pedagogico e didattico, della sua produzione rimane soltanto una breve parte iniziale dello scritto Sugli dei e di quello sulla Verità (frr. 1 e 4 D-k). 8 dinazione sintattica, nonostante che fin dai primi tempi si delineassero nella retorica due tendenze: una, intesa a dare rilievo al contenuto, cioè agli argomenti e alla loro logica concatenazione, invenzione e disposizione; l’altra, a sottolineare l’importanza preponderante della forma e dell’elocuzione. apparentemente opposto, ma sostanzialmente analogo al relativismo protagoreo, era lo scetticismo assoluto6, che comportava a sua volta la svalutazione di ogni conoscenza oggettiva, proprio del siculo Gorgia da Leontini, primo ad attuare in Grecia il concreto insegnamento della retorica. Giunto ad atene nel 427 a.C. come ambasciatore della sua città per gli aiuti contro siracusa, e poi tornatovi da esule, Gorgia aprì una scuola esercitando vasta e profonda influenza sugli ateniesi e sui Greci. Considerando la persuasione effetto di ingannevoli suggestioni7 verbali e artifici dialettici, egli diede agli ateniesi l’esempio di un’eloquenza ridondante e di parata. Nel suo stile, ritenuto ‘sublime’, sovrabbondavano figure come l’antitesi e gli effetti di armonia e di ritmo; e poiché nella concezione gorgiana tutta quan- 6 Il cui rappresentante, Pirrone di elide (IV sec. a.C.), fondò nella città natale una scuola ed ebbe numerosi discepoli. Nucleo sostanziale del pirronismo (cfr. Lo scetticismo antico, atti del Convegno, organizzato dal Centro di studio del Pensiero antico, a cura di G. Giannantoni, Napoli 1981, 69 ss.) è l’affermazione che di due proposizioni contraddittorie è impossibile dire se l’una sia vera e conseguentemente l’altra falsa, e neppure che l’una sia più probabile dell’altra. Potendo, infatti, dimostrarsi entrambe vere o false con ragionamenti pro o contro, di uguale peso e della stessa forza probativa “isostenia delle ragioni”, è impossibile giungere a una vera conoscenza. molti nel corso dei tempi i discepoli di Pirrone: le sue teorie giunsero, pur senza ottenervi una posizione preminente, nell’ambiente romano, dove, com’è noto, agirono il filosofo Cassio, il retore Favorino, autore di un trattato di tropi pirroniani, e ancora alcuni filosofi del tardo impero, combattuti da agostino (Conf. 5,10,19 ss.; C. Acad. 3,17,37 ss.), la cui critica a fondo dello scetticismo e del probabilismo, basata sulla fiducia, sia nella testimonianza dei sensi, sia nelle capacità conoscitive della ragione, preservò tutto il medioevo dal dubbio scettico. 7 si veda a tale proposito a. maNzo, Su alcune implicazioni della ajpavth nella retorica antica, aa.VV. Studi di retorica oggi in Italia, Bologna 1987, 55-62. 9 ta la poesia era considerata come lógos in metro; retorica e poetica sostanzialmente s’identificavano. Dall’insegnamento di Gorgia dipende in gran parte Isocrate, che coltivò soprattutto l’eloquenza epidittica e ridusse a simmetrica uniformità la struttura architettonica del periodo. autorevole e sistematico enunciatore di precetti, Isocrate prese posizione tanto contro la tesi di Platone, che negava alla retorica la qualità di arte (tevcnh), concedendole solo quella di ‘pratica’ (pragmatei'a),quanto contro l’apatia morale di Gorgia e in genere dei sofisti e l’assenza di scrupoli propria dei logografi. I risultati cui era giunta la retorica verso la metà del IV secolo a.C. vennero riassunti e schematizzati nei molti manuali (tevvcnai) tra i quali si affermò la Rhetorica ad Alexandrum8, falsamente attribuita ad aristotele, il quale inizialmente nei Rhetorica e nel Grillo aveva dedicato la sua attenzione soprattutto alla prassi retorica sostenendo le tesi espresse da Platone. successivamente però, richiamandosi nella Politica (h 1328b, 1334 a) e nell’economico (a1344a) al principio socratico della conoscenza e dell’educazione delle attitudini profonde dell’individuo, approfondisce e rielabora nella Rhetorica tutta la ricerca teorica sulle norme che regolano l’arte del dire e potenziano le facoltà logico-espressive e persuasive dell’oratore (G 1403b)9. La Rhetorica aristotelica segna quindi il passaggio dall’oratoria spontanea e individuale a quella studiatamente pensata per l’esercizio dell’arte oratoria e la trasmissione del sapere attraverso un affinato e sapiente uso della parola. avendo fatto della retorica l’oggetto del suo insegnamento essoterico, aristotele era giunto a realizzare una sintesi fra il pensiero platonico e quello gorgianoisocrateo: è suo il principio, di cui si appropriò Cicerone, che somma eloquenza è somma sapienza, e la possibilità di elevare 8 Per i suoi contenuti e la discussa attribuzione ad aristotele, si veda s. GastaLDI, Il teatro delle passioni. Pathos nella retorica antica, “elenchos” 1, 1995, 70-79. 9 a. PLeBe, Breve storia della retorica antica, roma-Bari, 19902 , 53 ss. riconduce per questo ad aristotele l’origine ‘scientifica’ della tecnica retorica. 10 la retorica ad arte, in quanto parte della logica e ‘corrispondente’ (ajntivstrofo") della dialettica. senza dare eccessiva importanza alla distinzione degli stili e alle partizioni dei trattatisti, lo stagirita accolse il concetto del potere irrazionale, cioè psicagogico, della parola, evidenziandone il carattere mimetico10, e, riconducendo all’intelletto ogni altro elemento del discorso, ne fece oggetto di costruzione logica. accanto al concetto di forma, come cosa esterna al contenuto, aristotele affermò il valore razionale della parola, come espressione del verosimile e del probabile. È per questo che giustamente r. Barthes11, nel considerare aristotelica l’intera retorica, ritiene che tutti gli elementi didattici contenuti nei manuali classici provengano, come le successive teorie sulla retorica, da aristotele. Dopo aristotele le correnti filosofiche riconobbero generalmente il valore della retorica, che, praticata nelle scuole per l’insegnamento non solo dell’eloquenza ma anche dell’arte dello scrivere, divenne elemento costitutivo dell’educazione della gioventù. L’aridità della pratica scolastica e il prevalere in essa di indirizzi oratori intesi a un composito, ampolloso e vano formalismo, come l’asianesimo12, ritenuto quasi una corruzione dell’eloquenza attica sia da Cicerone (Brut. 51) che da Quintiliano (Inst. 12,10,16), suscitarono verso la metà del II secolo a.C. la reazione di ermagora di temno13, che pensò, con scarso suc- 10 Come ben rilevato da Ø. aNDerseN, Lingua suspecta. On concealing and displaying the arte of rhetoric, “symb. osl.” 71,1996, 68-86, che ricorda come aristotele indicasse, per esemplificare la sua teoria, proprio l’attore teodoro. 11 La retorica antica, trad. it., milano 19963 , 117. 12 suo più antico maestro (v. G. CaLBoLI, Asianesimo e Atticismo: retorica, letteratura e linguistica, aa.VV., Studi di retorica, 31-46) si tramanda che sia stato egesia di magnesia (III secolo a.C.), il quale ne fornì i primi modelli nei suoi scritti, come desumibile dai frammenti pervenuti. a roma ebbe, com’è noto, illustri cultori, tra cui Q. ortensio ortalo, amico ma avversario forense di Cicerone. 13 ricordato con giudizi diseguali da Cicerone e da Quintiliano, autore di un trattato, Tevcnai rJhtorikaiv in 6 libri, nei quali riscattava le teorie retoriche, oscurate dagli asiani e biasimate dai filosofi, rivendicando alla retorica 11 cesso, di ricondurre la retorica all’ideale di un’educazione eticologica. miglior successo spettò nel I secolo a.C. alla scuola di rodi, cui aderì com’è noto Cicerone, che riprese in parte le dottrine di ermagora. * * * L’insegnamento dei maestri rodiesi, apollonio malaco e apollonio figlio di molone, si riflettè sui massimi oratori dell’ultimo periodo di roma repubblicana, marco antonio, Cicerone e Cesare. a roma, infatti, vinte le tenaci avversioni che l’avevano ostacolata, la retorica permeò14 prima e più autorevolmente della filosofia e per oltre un secolo l’oratoria politica e giudiziaria, soprattutto con Catone e Cicerone, che le offrirono un vasto campo di esercizio. Catone, pur senza ammetterlo, adottò e rielaborò originalmente, come si vedrà, nella prassi dell’oratoria politica alcuni elementi desunti dalla tecnica retorica greca, mediati dai manuali e documentati nei trattati. * * * la trattazione di qualsiasi materia non tecnica, tanto nelle questioni particolari tanto in quelle generali. Con la definizione della teoria delle stavsei" rielaborata da un preesistente sistema dottrinale (come puntualizzato da L. CaLBoLI moNteFusCo, La dottrina degli “status” nella retorica greca e romana, hildesheim 1986, pp. 1 e 197 ss.), ermagora rese sistematico lo studio della retorica, che, pur mancando con lui della dovuta attenzione per la componente stilistica e filosofica, diede l’avvio, non disgiunto dalla pedanteria associata agli studi retorici, all’insegnamento scolastico. 14 Non è possibile valutare esattamente l’entità dell’influenza esercitata dalla retorica greca nel mondo romano; per un primo orientamento, si veda a. CaVarzere, Oratoria a Roma, storia di un genere pragmatico, roma 2000, soprattutto pp.39-56. 12 La Rhetorica ad Herennium15, che è il primo trattato di retorica a noi pervenuto, segue la divisione degli argomenti usata nelle scuole retoriche dell’ellenismo (inventio, dispositio, elocutio, pronuntiatio, memoria); ma piuttosto che desumere gli esempi dalla copiosa tradizione mitografica ellenica, li trae dalle vicende storiche contemporanee. Cicerone, giovane al tempo dell’accesa polemica tra i sostenitori dei due stili retorici che più si contendevano il favore dei cultori, l’asianesimo e l’atticismo, attese alla prima delle cinque parti della retorica con il De inventione. Divenuto grande oratore, con una più vasta esperienza culturale e forense, approfondì l’aspetto teorico, in realtà mai disgiunto dalla sua visione politica16 della pratica oratoria. sviluppando, pertanto, nel De oratore il pensiero di aristotele e i principi di Isocrate, prese a delineare, nell’intento di fondare la teoria sulla conoscenza della natura umana, il ritratto dell’oratore perfetto, capace cioè di soppesare la portata degli argomenti, che era la tesi propria degli atticisti; e l’effetto dell’elaborazione formale e del porgere, che permeava per converso quella degli asiani. In polemica con gli atticisti, Cicerone traccia la storia dell’oratoria romana17 e successivamente, soprattutto nell’O- 15 sulla sua tradizione e caratteristiche letterarie, si veda G. CaLBoLI, Zur Textüberlieferung der Rhetorica ad C. Herennium “Papers on rhetoric” I, Bologna 1993, 1-18, e ancora, soprattutto per alcuni elementi contenutistici rapportati alla Rhetorica ad Alexandrum, L. CaLBoLI moNteFusCo, Die progymnasmatische gnwvmh in der griechisch-römischen Rhetorik, ibidem, 19-33; per le figure dell’h\qo", F. ParoDI sCottI, Ethos e consenso nella teoria e nella pratica dell’oratoria greca e latina, Bologna 1996, 18-24. 16 Come dimostrato da a. GrILLI, L’educazione in Cicerone, “rend. Ist. Lomb.” Classe di Lettere, 130, 1996, pp. 353, 364. 17 sulle ragioni politiche della polemica (Brut. 67 ss.) e sulla preminenza che di conseguenza Cicerone attribuiva all’oratoria di Demostene, si veda a. DesmouLIez, Sur la polemique de Cicéron et des Atticistes, “reL”, 30, 1952, rispettivamente p. 171 e p. 181; sull’intransigenza nei confronti dell’atticismo si veda ancora Cicerone, Brutus, a cura di e. NarDuCCI, milano 1995, pp.7-12, dove, richiamandosi alla discussione suscitata tra gli interpreti moderni, lo studioso indica come ‘stimmung dominante dell’opera il totale scontento per la situazione politica determinata da Cesare’, e pp.44-56, dove si ri- 13 rator, riesamina la teoria dei vari stili e raccomanda di comporne le esigenze con le disposizioni soggettive dell’oratore e gli argomenti da trattare. Questa dottrina non ebbe il favore dei contemporanei, piuttosto indotti dal clima politico se non personalmente inclini a seguire l’atticismo; Cicerone, però, consapevole del processo in atto18, proponeva come antidoto per la formazione dei futuri oratori la lettura e lo studio di Catone. 1. oratorIa e PreCettIstICa retorICa IN CatoNe leva che ‘la voga dell’atticismo, e in particolare del modello lisiano non era priva di connessioni con le condizioni del tempo: …la dittatura di Cesare aveva praticamente soffocato la grande oratoria politico-giudiziaria’. Questa polemica espose comunque Cicerone alla contestazione, fino all’irridenza, degli atticisti e dei neoterici (cfr. CaVarzere, Oratoria, 167 ss.). 18 Brut. 63 e 65. 14 a voler ripercorrere le principali tappe delle metamorfosi della retorica si può quindi constatare che l’originaria normativa, ereditata dall’ellenismo1, è stata rielaborata e finalizzata, attraverso un profondo e graduale processo di assimilazione, all’attività sociale e politica dai romani, che erano riusciti ad imprimerle i caratteri di una vera e propria ars, dopo una prima e spontanea forma di oratoria, volta a trasmettere e perpetuare i valori del mos maiorum2 nelle laudationes funebres. esse, infatti, coniugavano all’intento onorifico, richiamato da Cicerone nel De orat. (1, 141: alios item in laudationibus, in quibus ad personarum dignitatem omnia referrentur) ed ancora nel Brutus3 uno scopo eminentemente educativo, fondato sull’esemplarità dei valori dei padri da tramandare alle nuove generazioni. Questo spiega la distanza che separa dal polivth" e dal rjhvtwr - entrambi liberi da condizionamenti morali - l’orator, il quale, intendendo 1 si veda m. P. NILLsoN, La scuola nell’età ellenistica, trad. it., Firenze 1973, p. 18 ss., 48-84, 103-107; e ancora l’attento esame di m. t. Luzzatto, L’oratoria, la retorica e la critica letteraria dalle origini ad Ermogene, aa.VV., Da Omero agli Alessandrini, a cura di F. montanari, roma 1988, 225 ss., dove si rileva ‘l’attrazione inversa’ esercitata dall’asia e dalle monarchie illuminate su atene, quando l’egemonia culturale di questa era ormai in declino. 2 Cfr. NarDuCCI, Oratoria e retorica, aa.VV., La prosa latina, a cura di F. montanari, roma 1991, p. 97. 3 61-2 et nonnullae mortuorum laudationes forte delectant. Et hercules eae quidem exstant: ipsae enim familiae sua quasi ornamenta ac monumenta servabant et ad usum, si quis eiusdem generis occidisset, et ad memoriam laudum domesticarum et ad illustrandam nobilitatem suam. 17 affermarsi a roma da homo novus, non può uscire dall’alveo della tradizione, né professare esplicita ammirazione per la cultura greca, né tantomeno dichiararsi filoellenico. Paradigmatica, a questo proposito, è la parabola di m. Porcio Catone, che con l’esercizio di un raro autocontrollo e di una notevole vis oratoria raggiunge, pur essendo di modesta origine, le più alte cariche, consegnando alla memoria collettiva un incredibile esempio di rigore morale, accresciuto dalla saggezza dell’età matura, che non a caso nel De senectute Cicerone vuole rappresentata e difesa proprio dalla sua auctoritas4 e gravitas. Catone, infatti, pur in età avanzata è ancora attivo e impegnato intellettualmente a curare fonti e documentazione del settimo libro delle Origines e a perfezionare le orazioni delle cause sostenute. opere, che, a giudizio di Cicerone5, malgrado il loro arcaismo linguistico6, i futuri oratori avrebbero dovuto studiare ancora. Ciò dimostra che nell’opinione degli antichi Catone era riuscito, nonostante i suoi limiti, ad elevare il genere oratorio, introducendo, in un’epoca in cui i retori greci erano espulsi da roma, la precettistica retorica. egli, infatti, prevedendo il rischio politico insito nella circolazione delle trattazioni della manualistica greca, aveva elaborato e stabilito, differenziandoli abilmente da essa, i principi essenziali dell’oratoria romana in una scarna sequenza di sententiae. malgrado poi che con questo termine s’indicassero7 fino al I sec. a.C. alcune massime di derivazione filosofica greca, connotate negativamente (come in Plauto, Curc. 288-91), le sententiae catoniane furono comunque ritenute fondamentali nello sviluppo della retorica latina per il valore implicito che le caratterizzava. a. traglia8, rifacendosi al giudizio di Cicerone (Brut. 65 ss.), ricorda che, nonostante i limiti linguistici arcaici ‘Catone era il più grande oratore (cioè il più grande pensatore) del suo tempo, imitato da sallustio e Varrone’. riesaminando lo stesso passo del Brutus, a proposito dei fondamenti della cultura greca in Catone (68 ss.), r. Giomini9 rileva che la positività del giudizio ciceroniano, confermato da Gellio (6,3,52), proverebbe l’influsso esercitato dalla retorica greca su Catone. Quest’elemento ha permesso a h. Jordan d’ipotizzare un De Rhetorica, ricordato però, soltanto per alcune sententiae, da considerarsi fondamenti etici e praecepta strutturali operativi. G. Calboli10 ritiene che la conoscenza della retorica greca fosse in Catone poco approfondita e sostiene, in contrasto con il pensiero di e. Norden e di m.t. sblendorio Cugusi11, che non fosse neppure impiegata nelle sue orazioni. resta tuttavia inconfutata la testimonianza di Quinti- 7 4 Per le implicazioni morali legate al concetto di auctoritas si veda CaLmoNteFusCo, l’auctoritas nella dottrina retorica, “Vichiana” 1-2/1990, pp. 41-57. 5 Brut. 298. 6 sulle problematiche sollevate dall’ambiguità del giudizio di Cicerone, si veda G. CaLBoLI, Cicerone, Catone e i Neoatticisti, “Ciceroniana” Leiden 1975, 75 ss.; e soprattutto DesmouLIez, A propos du jugement de Ciceron sur Caton l’ancien, “Philologus” 126, 1982, dove, fornendo una convincente spiegazione della positività del giudizio in esame, per l’efficace accostamento tra Lisia e Catone che Cicerone delinea (per ragioni in questo caso – direi - prevalentemente di tecnica oratoria che di ideologia politica) nel Brutus, lo studioso afferma: ‘L’éloquence de Caton rehaussée par l’art de Cicéron, tel est bien l’idéal qui s’offre à Brutus’ (p.87). BoLI 18 si veda P. sINCLaIr, The ‘Sententia’ in Rhetorica ad Herennium: A study in the sociology of Rhetoric, “am. Journ. Phil.” 114, 1993, 561-80. 8 Note su Catone scrittore, “Cult. e sc.” 90, 1984, 55-60. 9 Sintassi arcaica e sistemazione sintattica dell’età classica, “Cult. e Ling. Class.”, atti del Convegno a cura di B. amata, roma 1986, 19-34. 10 La retorica preciceroniana e la politica a Roma, aa.VV., Eloquence et Rhétorique chez Cicéron, atti del Colloquio sull’antichità classica, VandeCeuvres-Geneve, 1981, 41-66. 11 rispettivamente in La prosa d’arte antica, ed. it. a cura di B. heinemann Campana, I, roma 1986, 176-81, e in M. Porci Catonis Orationum Reliquiae, torino 1982, 550, e ancora in Etimologia, eziologia, definitio in Catone, “res Publ. Litt.” 3, 2000, dove (p.57 e n.114) la sblendorio rileva che le definitiones/differentiae diventano con Catone ‘accorgimento tipico del genere oratorio e che anche per questo aspetto Catone si è comportato non diversamente che in altri rami della sua attività: utilizzare la “lezione” greca per creare un corrispettivo romano da contrapporre a essa’. 19 liano12, secondo cui Catone pose le fondamenta della retorica a roma, e ancora indiscutibile il fatto che con lui ‘l’oratoria latina ha saputo assurgere al livello dell’ars’, come, attraverso l’accurato esame del giudizio espresso da Cicerone nel Brutus, ha sostenuto a. Cavarzere13. Non sarebbe quindi da escludere che egli, pur avvalendosi nelle sue orazioni della techne greca, e in particolare degli elementi strutturali dell’exordium, della narratio, dell’argumentatio, come sostenuto e dimostrato dalla sblendorio14, abbia accortamente pensato di elaborare per i romani una precettistica alquanto differente da quella ellenica. In tal modo, oltre che fornire ai giovani gli strumenti essenziali per un sapiente uso dell’eloquenza, finalizzata, come ritiene sinclair15, all’affermazione sociale e al successo politico, egli avrebbe comunque mostrato di voler salvaguardare dalle mode ellenizzanti la tradizione del mos maiorum e della paideia romana, fondata sulla ‘perfetta’ imitatio dei padri e su una retorica ad essa adeguata. L’insieme di tali elementi non solo spiega il significato etico e politico insito nella definizione data da Catone all’oratore: orator est, Marce fili, vir bonus dicendi peritus (fr. 14 Jordan) e chiarisce il contenuto del suggerimento fornito rem tene, verba sequentur (fr. 15 Jordan), ma consente anche di ravvisare nel censore una conoscenza piuttosto solida della retorica e della storia politica greca, che, se manifestata esplicitamente, avrebbe autorizzato i giovani a fare un uso indiscriminato dell’arte della parola e, nell’opinione contemporanea, certamente pericoloso per la stabilità delle istituzioni repubblicane16. L’attenzione che nelle sue orazioni Catone riservava alle componenti strutturali rivela, oltre che una conoscenza ap- 12 Inst. 3,1,19: Romanorum primus quantum ego quidem sciam, condidit aliqua in hanc materiam M. Cato. 13 richiamando peraltro (Oratoria, 43) quanto affermato da m. Barchiesi. 14 M. Porci, 31-44. 15 The sententia, 578. 16 si veda sBLeNDorIo m.t.-CuGusI P., Problematica catoniana. Rassegna di studi 1978-1993 e contributi critici, “BollstudLat” I 1996, 197-98. 20 profondita degli oratori greci, soprattutto l’esigenza di una ricerca stilistica, funzionale ad una prassi retorica differente da quella greca, nei motivi e nei modi e ancor più nelle finalità. resta, però, da risolvere il problema, individuato dagli antichi e richiamato dalla sblendorio17, connesso all’impossibilità di definire come ‘figure retoriche’ gli accorgimenti stilistici adottati da Catone, considerato, come si è visto, dagli antichi18 un precursore e creatore ex novo nel campo dell’eloquenza romana. una rilettura dei frammenti della Pro Rhodiensibus, orazione con la quale, imponendosi sui dissenzienti, Catone riuscì ad ottenere il perdono ai rodii, consente di ricostruire gli schemi ideativi e strutturali del suo pensiero, nel quale è insita la soluzione del problema sollevato dagli antichi. La naturale aderenza della forma al contenuto scaturisce infatti dalla cura, insospettabile per l’uditorio che non fosse esperto di retorica, esercitata dall’autore nell’uso degli entimemi, come l’inductio, la responsio, la complectio, la traductio, che, rilevato dagli antichi, è confermato dagli studiosi di oggi. G. kennedy19 ravvisa nell’orazione una tecnica di composizione vicina all’argumentatio di tipo grecizzante; la sblendorio20 un discorso senatoriale in forma di suasio, caratterizzante il genus deliberativum, con un exordium del tipo ab auditorum persona ed un’argumentatio, fondata soprattutto sull’utilitas honesta, peculiare dei romani, che la praticavano con la prudentia. In realtà la Pro Rhodiensibus, insieme con la pregnanza dei contenuti di etica politica e la generale attenzione rivolta allo stile, rivela la consapevole applicazione delle norme enucleate dallo stesso autore nel campo della retorica. L’apparente semplicità discorsiva scaturisce, infatti, dal chiaro possesso della logica politica e dalla 17 M. Porci, 32-3. Vedi n. 12. 19 The Art of Rhetoric in the Roman World 300 B. C.- A.D. 300, Princeton 1972, 50 ss. 20 M. Porci, 314 ss. 18 21 correttezza ad essa intrinseca, elemento che, non potendo essere dissimulato, conferisce autenticità all’intera orazione intenzionalmente pronunciata da Catone. Far comprendere che la punizione dei rodii, richiesta dal senato, piuttosto che esaltare l’inattaccabile superiorità dei romani, ne avrebbe tradito il pavido disagio nei confronti dei simpatizzanti del re macedone, imponeva all’oratore il dover ricorrere agli accorgimenti psicagogici e stilistici più efficaci. Il tono suasivo dell’avvio, di tipo moraleggiante, acquista ampiezza e solennità dall’uso del polisindeto, dalla sinonimia, dalla struttura tricolica, dalle rispondenze in rima degli elementi in concordanza e dei parallelismi di costrutto, evidenziati dall’omoteleuto: scio solere plerisque hominibus rebus secundis atque prolixis atque prosperis animum excellere atque superbiam atque ferociam augescere atque crescere21. Il passaggio da questo generico monito a non insuperbire al più deciso richiamo alla ponderazione in quella situazione contingente risulta all’apparenza semplice e naturale, ma è in realtà supportato da un complesso e accurato sistema retorico: quo mihi nunc magnae curae est, quod haec res tam secunde processit, ne quid in consulendo aduorsi eueniat, quod nostras secundas res confutet, neue haec laetitia nimis luxuriose eueniat. È qui evidente che l’argomentazione è resa efficace, oltre che dall’antitesi: secunde processit/advorsi eveniat, soprattutto dalla metafora conclusiva: laetitia nimis luxuriose. mutuata dal registro agricolo, essa rivela l’originalità di Catone per averla 21 Pro Rhodiensibus fr. 95 Peter, Lipsiae 1870-1906 = stuttgard 1967 = fr. 42 maLCoVatI, Aug. Taurinorum, 19552. 22 assunta, pregnante di significato, nell’ambito della politica. L’intenzionalità, volta a conseguire uno straordinario livello di efficacia comunicativa, richiedeva necessariamente degli speciali accorgimenti stilistici, tali cioè da galvanizzare, al momento della ricezione concreta, l’attenzione dell’uditorio, che doveva essere orientato al perdono dei rodii. ovvio, pertanto, che gli accorgimenti stilistici usati, proprio in quanto non riferibili ad un sistema di norme retoriche già acquisito dai romani, e per questa ragione meno perfezionato di quello dell’età classica, non siano riferibili a virtuosismo oratorio. al contrario, questa tecnica rivela in Catone, insieme con un’eloquenza indiscutibilmente innata, un maturato possesso della cultura greca, pur ritenendo egli che la si dovesse inspicere22, ma non perdiscere, nell’intento di deprecare certo fanatismo esterofilo, nocivo al nascente prestigio della romanità e al suo autonomo sviluppo dalla civiltà e dalla politica ellenica. era, infatti, proprio in campo politico che si doveva esprimere soprattutto la capacità di edificare il bene dello stato, prevedendo i contraccolpi della cattiva fortuna nell’intrecciarsi delle vicende militari sociali ed economiche. Questo motivo, che, di continuo ribadito, rende unitaria l’intera orazione, acquista particolare pregnanza di significato quando Catone ritorna sui rischi insiti nella prosperità: aduorsae res edomant et docent, quid opus siet facto. secundae res laetitia transuorsum trudere solent a recte consulendo atque intellegendo. Il contenuto si sostanzia dell’antitesi concettuale, che, collegando le tre sezioni del frammento, viene espressa dalla naturale contrapposizione, aduorsae res/secundae res, che induce per 22 Ad Marcum filium, fr. 1 JorDaN: dicam de istis Graecis suo loco, Marce fili, quid Athenis exquisitum habeam, et quod bonum sit illorum litteras inspicere, non perdiscere … quandoque ista gens suas litteras dabit, omnia conrumpet. 23 logica conseguenza a suggerire al senato una saggia riflessione per il recupero dell’autodominio: quo maiore opere dico suadeoque, uti haec res aliquot dies proferatur, dum ex tanto gaudio in potestatem nostram redeamus. L’invito è rafforzato con l’ammissione di quanto egli stesso fosse in realtà convinto che i rodii, non meno però di altri popoli, avessero deprecato la vittoria romana su Perseo, pur non avendo mai aiutato militarmente questo re23. sostanzialmente la verità prospettata al senato era che i rodii temevano di essere ridotti in schiavitù dai romani: atque ego quidem arbitror Rodienses noluisse nos ita depugnare, uti depugnatum est, neque regem Persen vinci. sed non Rodienses modo id noluere sed multos populos atque multas nationes idem noluisse arbitror. atque haut scio an partim eorum fuerint, qui non nostrae contumeliae causa id noluerint euenire. sed enim id metuere, <ne>, si nemo esset homo quem uereremur, quidquid luberet faceremus. ne sub solo imperio nostro in seruitute nostra essent, libertatis suae causa in ea sententia fuisse arbitror. atque Rodienses tamen Persen publice numquam adiuuere. ge la parte conclusiva a quella iniziale, creando una struttura di tipo anulare, all’interno della quale si possono distinguere una serie di accorgimenti funzionali alla suasio. Per quanto, infatti, possa sembrare esagerato ravvisare24 tra essi un caso ben definito di climax, è però evidente la presenza di alcuni richiami, giustapposti alla maniera di ‘figure’, certo consapevolmente creati dall’autore nell’intento di conseguire un maggiore effetto persuasivo. a rendere incisiva e quindi determinante la sua opinione contribuisce ancora la struttura chiastica, quidem arbitror noluisse/idem noluisse arbitror, che congiunge, non da ultimo per effetto dell’allitterazione, le prime due sequenze, nelle quali prende sviluppo la difesa, che l’oratore amplificherà ulteriormente, avvalendosi fino all’ultimo periodo, concluso a sua volta da arbitror, della paratassi con una particolare quanto originale, perché anticipa l’uso delle figurae per adiectionem25, successione chiastica di congiunzioni:atque../..sed..sed..atque../..sed../..atque. Non di minore effetto risulta inoltre, all’inizio del passo, l’iterazione dello stesso verbo in diverso aspetto temporale: ita depugnare, uti depugnatum est, e ancora l’efficace rispondenza tra fuerint e noluerint, uereremur e faceremus. accorgimenti, questi, che si ritrovano ancora, pur se in altra forma, nel passaggio conclusivo della seconda sezione di questo frammento: cogitate, quanto nos inter nos priuatim cautius facimus. nam unus quisque nostrum, si quis aduorsus rem suam quid fieri arbitrantur, summa ui contra nititur, ne aduorsus eam fiat: quod illi tamen perpessi, In questo passaggio, di centrale importanza nell’economia dell’orazione, perché sicuramente decisivo per ottenere il perdono in favore dei rodii, il discorso di Catone si sviluppa in un sistema di sequenze, mediante la congiunzione atque, sottolineate da arbitror e da noluisse, nella sezione iniziale e centrale, e ancora dalla ripresa, nella sezione finale, di arbitror, che congiun- dove, oltre all’evidente contatto con separatio nell’espressione nos inter nos e successiva reduplicatio per integrazione con unus quisque nostrum, risalta ancora la ripetizione di aduorsus. 23 si veda l’accurato esame della questione in M.PORCI CATONIS, Oratio pro Rhodiensibus, a cura di G. CaLBoLI, Bologna 1978, soprattutto pp. 150224. si veda sBLeNDorIo, M. Porci, 328. Classificazione di h. LausBerG, Elementi di retorica, trad. it L. ritter santini, Bologna 1969, 130. 24 24 25 25 Questo elemento, riproposto in collocazione parallela, richiama l’attenzione sul particolare significato che esso può assumere sia nella sfera della vita privata che in quella pubblica, come ribadito nell’ultima sezione del frammento: qui acerrime aduorsus eos dicit, ita dicit ‘hostes voluisse fieri’. ecquis est tandem, qui vestrorum, quod ad sese attineat, aequum censeat poenas dare ob eam rem, quod arguatur male facere uoluisse? nemo opinor. nam ego, quod ad me attinet, nolim. L’interrogativa è di notevole efficacia persuasiva per la risposta che l’autore dà in prima persona, consapevole dell’effetto che avrebbe ottenuto sulla psicologia dell’uditorio, il cui giudizio nei confronti dei rodii, ritenuti superbi, andava, secondo la sua visione politica, corretto e mutato. Nell’ultima sezione del frammento Catone tocca questo punto, per richiamare alla coscienza dei senatori quanto ciò non fosse etico e neppure proficuo e legittimo sotto il profilo politico: cagogia, a scopo eminentemente politico e quindi ancora lontana dalle mistificazioni della pratica forense, affermatasi decisamente con gli oratori posteriori. sarebbe quindi scaturita dal giustificato timore di un deteriore uso della retorica la necessità, sostenuta dai pensatori successivi a Catone, di selezionare adeguatamente gli autori da proporre allo studio dei futuri oratori attraverso l’esercizio della lettura e della scrittura. ma questo implicava ovviamente la ricerca di un metodo, il più efficace possibile, per agevolare il processo di assimilazione e interiorizzazione dei contenuti formativi, adatti a potenziare ed affinare le facoltà logiche, espressive e persuasive dell’oratore, evitando nel contempo che con l’affinamento e l’abuso degli strumenti retorici si giungesse a intaccare il patrimonio di valori morali ereditato dai padri, con il conseguente decadimento dei mores. Rodiensis superbos esse aiunt, id obiectantes, quod mihi et liberis meis minime dici uelim. sint sane superbi. quid id ad nos attinet? idne irascimini, si quis superbior est quam nos? si può constatare in conclusione che Catone fonda l’argumentatio di questa suasio sulla conoscenza di tre fattori insiti nella natura umana: il timore delle avversità nella prosperità; il rifiuto della schiavitù; il giusto concetto di sé, unito all’amor proprio. In corrispondenza ad essi interviene, sotto il profilo stilistico, l’uso dell’antitesi, l’amplificatio, accortamente sviluppata, e la sequenza delle interrogative psicagogiche. se quest’orazione fosse pervenuta integra, avrebbe reso possibile oltre che ricostruire con precisione gli schemi dianoetici dell’autore, individuarne anche il grado di consapevolezza. L’apparente semplicità degli accorgimenti cela lo studio profondo degli effetti dell’orazione sull’uditorio e la consapevole attuazione di una psi26 27 2. La teorIzzazIoNe IN CICeroNe una svolta in questa ricerca teorica sui processi di perfezionamento matetico per la formazione retorica dell’oratore è data da Cicerone, che, oltre a sottolineare, nel De oratore (1, 150), la necessità di esercitarsi nella scrittura e nella memoria26, pone in luce l’efficacia della lettura dei poeti e degli scrittori, che devono essere interpretati e pienamente posseduti dai maestri. Cicerone apre quindi un più ampio orizzonte alla paideia romana con l’indicare, nella centralità della lettura, il metodo idoneo a favorire le acquisizioni concettuali indispensabili all’oratore, per raggiungere sicurezza espressiva, ricchezza elocutiva e, soprattutto, capacità psicagogica27, alla cui acquisizione dovevano necessariamente concorrere la conoscenza del diritto civile e l’approfondimento della filosofia morale. entra quindi a completare il programma educativo attuato a roma in età repubblicana una disciplina che, per essere di matrice greca, era sempre stata tenuta in sospetto dalla classe dirigente e quindi esclusa dal progetto formativo dell’oratore, cui si richiedeva la rigorosa espres- 26 1, 158 legendi etiam poetae, cognoscendae historiae, omnium bonarum artium doctores atque scriptores eligendi et pervolutandi et exercitationis causa laudandi, interpretandi, corrigendi, vituperandi, refellendi. sui vari modi di lettura praticati a roma si veda l’attenta ricostruzione di G. CaVaLLo e r. ChartIer, Storia della lettura, roma-Bari 1995, XVIII-XXI, 45-52. 27 1, 53 quis enim nescit maximam vim exsistere oratoris, in hominum mentibus vel ad iram aut ad odium aut ad dolorem incitandis…? Quae nisi qui naturas hominum … penitus perspexerit, dicendo quod volet perficere non poterit. Per il rilievo dato dall’autore alla conoscenza della psicologia e degli effetti della parola sulla mente umana si veda NarDuCCI, Cicerone e l’eloquenza romana, roma-Bari 1997, 39. 31 sione di un codice di valori, informato a una cultura e a un’etica superiore, rivolta soprattutto a garantire le tradizioni istituzionali. Nell’ambito di questa concezione è indiscutibile che eloquenza e psicagogia pitagoricamente intesa avrebbero dovuto seguire, in particolare nell’espletamento delle pubbliche funzioni, i dettami della saggezza e della giustizia, doti considerate imprescindibili nei futuri esponenti dell’aristocrazia intellettuale28, che dovevano essere preparati a signoreggiare la parola, conoscendo oltre che le discipline ritenute tradizionali, soprattutto il sistema etico che, nella visione di Cicerone, avrebbe dovuto permeare tutta la sfera politica. Come rilevato da diversi studiosi29 è, infatti, innegabile che il De oratore, pur essendo incentrato sulla retorica, sia un’opera eminentemente politica, perché vi si evidenzia il ruolo fondamentale che svolge l’eloquenza ai fini della vita sociale e politica. Questa non solo costituisce lo sfondo del proemio del I libro, dove Cicerone si richiama alle sue complesse esperienze politiche, ma assume un posto di rilievo nel proemio del III libro, dove si rievoca l’ultimo episodio della vita di Crasso, cui fu fatale il discorso in difesa della libertà. Consapevole, quindi, di apportare al sistema formativo una corag- 28 NarDuCCI, Oratoria, 115, rileva che gli interlocutori del De oratore sono tutti esponenti della classe dirigente romana, e ancora nell’Introduzione a Cicerone, roma-Bari 19973, 123, ravvisa nella concezione ciceroniana dell’unità del sapere la volontà di rafforzare il potere dell’aristocrazia allo scopo di custodire le istituzioni e le tradizioni. Considerato però che al pari di Catone lo stesso Cicerone (non di nascita aristocratica, come il popularis Cesare) è homo novus, non è da escludere che, come Varrone, egli pensi, per fini piuttosto innovativi che reazionari all’unità del sapere per la formazione di una diversa e culturalmente più elevata aristocrazia intellettuale. essa doveva informare i suoi comportamenti al decorum e all’honestas oltre che alla saggezza e alla prudenza, come giustamente rilevato da L. CICu, Cicerone e il prepon, “Paideia” 55, 2000, soprattutto pp.145 e 161, dove lo studioso, richiamando (n.206) Narducci e Grilli, ritiene che ‘era forse ambizione di Cicerone fare del prepon/decorum il perno di un sistema culturale per le classi emergenti.’ 29 si veda tra l’altro M. TuLLIO CICERONE, Opere retoriche, a cura di G. Norcio, torino 1976, p.31 e n.39. 32 giosa innovazione, che né Catone, fortemente condizionato dal mos maiorum, né Varrone (pur ponendo questo gli ideali socratici30 a fondamento dei Disciplinarum libri, dove è anticipata la concezione agostiniana che allo studio delle discipline liberali ‘assegnava il compito di guidare lo spirito umano per corporalia ad incorporalia, all’acquisizione, cioè, del puro intellegibile’31) avrebbero potuto pensare di attuare, Cicerone riconosce per primo l’efficacia educativa dello studio, associato a quello del diritto, della filosofia morale, esplicitamente indicato nel De oratore32 al fine di ricomporre la cesura fra sostenitori della tradizione culturale e politica del mos maiorum e fautori d’innovazione negli studi di retorica. a questo problema Cicerone, in gioventù, aveva dato una soluzione parziale nella scia della Rhetorica ad Herennium, riferendosi nel De inventione ad un’equilibrata, per quanto difficile commixtio di eloquenza e sapientia. Nel De oratore, composto, com’è noto nel 55, primo di una trilogia, che comprenderà l’Orator e il Brutus, entrambi del 46, Cicerone giunge poi ad enucleare, distinguendo ma non disgiungendo la ratio espositiva da quella filosofica, i fondamenti dell’oratoria, come disciplina di studio, riscattata dal banale empirismo della pratica forense e dal rischio dell’estemporaneità. Nell’intento di creare inoltre un’equilibrata sintesi fra techne retorica e ratio filosofica, fondata soprattutto sull’etica, Cicerone sviluppa un sistema teorico più avanzato rispetto alle acquisizioni speculative del suo tempo e indica, nel De oratore, i fondamenti dell’arte oratoria. Pensando quindi in generale al problema educativo egli svolge una serie di riflessioni sul linguaggio dell’oratore e sulla vis persuasiva, 30 Come rilevato da F. DeLLa Corte, Varrone, il terzo gran lume romano, Firenze 19702, 39-49. 31 si veda u. PIzzaNI, Il Carmen Licentii ad Augustinum ed i Disciplinarum libri di Varrone Reatino, “helmantica” 44, 1993, 497-515. 32 1,68-9 quoniam philosophia in tris partis est tributa … in vitam atque mores … tertium vero, quod semper oratoris fuit, nisi tenebimus, nihil oratori, in quo magnus esse possit, relinquemus. Qua re hic locus de vita et moribus totus est oratori perdiscendus. 33 che nella sua visione era da potenziare con l’uso sapiente della retorica, e ancora sull’intrinseca rispondenza che intercorre fra concetti e parole. Consapevole della profonda differenza esistente tra il linguaggio informativo di più facile uso e fruizione e quello filosofico-persuasivo, di difficile acquisizione e rielaborazione da parte dei giovani, Cicerone riesce comunque a indicare quale fosse il metodo migliore nella preparazione dell’oratore ideale. molto vicino a questo si poneva nella sua concezione, l’apprezzato antagonista, Q. ortensio ortalo, la cui scomparsa gli fornisce il pretesto per sviluppare nel Brutus33 un dialogo sulla storia della difficile ars persuadendi che, a roma, risultando nella prassi forense non inferiore a quella greca, aveva raggiunto dignità autonoma. superato quindi nettamente nel De oratore l’arcaico modello precettistico-didascalico e privilegiato, nel solco di Platone e di aristotele, il metodo dialogico, Cicerone espone gli elementi di contrasto insiti nel suo pensiero speculativo, dando voce a due speciali interlocutori. Crasso, oratore per eccellenza ed esponente della tradizione retorica, legata al codice etico e politico del mos maiorum34, esprime, pertanto, le convinzioni acquisite da Cicerone in dialettico confronto con le idee innovative esposte dal brillante oratore marco antonio, la cui vis oratoria, rivolta a 33 Considerando, però, lo sfondo politico di quest’opera, come indicato da Narducci (cfr. Premessa, n.17), non è certo casuale il fatto che Cicerone, pur osservando che i discorsi di ortalo risultavano meno interessanti se letti, lo presenti nel Brutus come il rappresentante in roma dell’eloquenza asiana (contrapposta, com’è noto, a quella attica preferita e propugnata da Cesare), e dia il suo nome a quel dialogo, Hortensius, in gran parte perduto, che molto incise (cfr. ed. GrILLI, Varese-milano 1962, soprattutto pp. 139-51) sul giovane agostino. 34 Per frenare l’evoluzione culturale e di conseguenza lo sviluppo politico dei populares era stato infatti emanato un editto contro i retori latini nel 92 a.C., ricordato da tacito (dial. 35): quod a Crasso et Domitio censoribus claudere, ut ait Cicero, “ludum impudentiae” iussi sunt. Ciò spiega l’ambientazione nel 91 del De oratore, in cui è proprio Crasso il portavoce del pensiero di Cicerone, non certo vicino alle istanze dei populares, sostenute per contro dall’aristocratico Cesare. 34 mostrare quanto valgano le capacità innate, la pratica forense e l’immediatezza mnemonica, trova come moderatori (in realtà introdotti da Cicerone per esporre integralmente la sua teoria) Q. mucio scevola, l’augure, e C. Giulio Cesare strabone, oratore raffinato e dotato di senso dell’umorismo. a questo, menzionato peraltro nel Brutus (177), Cicerone affida l’excursus de ridiculis, per ricordare che la capacità umoristica, peculiare dell’oratoria latina, è efficace stimolo dell’attività intellettuale e utile mezzo persuasivo, come più tardi riconosciuto da orazio (Ars 343). Ciascuno dei protagonisti di questo dialogo rappresenta, ripresenta ed esprime, ovviamente, una diversa sfaccettatura della complessa problematica, indagata in materia di eloquenza e retorica. antonio, lasciando scorgere le finalità politiche insite nel progetto formativo dell’oratore, esprime l’esigenza sottesa di ricercare il giusto equilibrio fra studio teorico della retorica e pratica oratoria, affermando chiaramente la necessità di limitare il tempo da impiegare per l’acquisizione e l’assimilazione di una cultura enciclopedica, a vantaggio di quello da dedicare alla pratica dell’eloquenza politica e all’esercizio di quella forense35. ma Crasso, oltre a enucleare i fondamenti dell’arte della parola36, dando voce ad un’altra esigenza, precisa ancora che la loro conoscenza non è di per sé sufficiente, come non lo sono le doti naturali, poiché l’oratore ideale, per poter eccellere, deve possedere una cultura universale37. Questa ribadita esigenza di una cultura di tipo enciclopedico e varroniano, segnalando l’evoluzione dei tempi e la loro complessità politica, rivela la sua scaturigine dalla consapevolezza che occorrono tre imprescindibili qua- 35 1, 81 deinde illud etiam verendum est, ne abstrahamur ab hac exercitatione et consuetudine dicendi populari et forensi. 36 1, 142 reperire primum quid diceret, deinde inventa non solum ordine, sed etiam momento quodam atque iudicio dispensare atque componere, tum ea denique vestire atque ornare oratione; post memoria saepire; ad extremum agere cum dignitate et venustate. 37 2, 5 neminem eloquentia non modo sine dicendi doctrina, sed ne sine omni quidem sapientia florere umquam et praestare potuisse. 35 lità nel perfetto oratore, praestantia animi, doctrina e sapientia, ormai lontanissime dalla schietta semplicità richiesta da Catone al vir bonus dicendi peritus. Gli eventi sociali e politici che, con la perdita della libertà, segnarono la decadenza della grande oratoria, hanno dato ragione alla lungimiranza paideutica e politica di Cicerone, riconosciuta più tardi da Quintiliano; il quale, nel denunciare la generale incompetenza dei declamatori del suo tempo, occupati a esercitare i giovani piuttosto alla simulazione scenica o a grida insensate che ad affrontare adeguatamente i processi forensi38, evidenzia la crisi di libertà politica e culturale verificatasi nell’età dei Flavi, ormai depauperata di intelligenze creative, come denunciato da tacito nel Dialogus. Questi, infatti, richiamando il pensiero di Cicerone39, afferma l’importanza delle doti personali e della pratica forense, sviluppabili le une ed esercitabile l’altra in un clima di libertà politica e intellettuale, come quello repubblicano. a tacito non era quindi sfuggita la visione politica insita nel programma educativo di Cicerone, per il quale i requisiti culturali andavano curati ed affinati dalla prima formazione dell’oratore, da orientarsi giovanissimo verso gli ideali di democrazia politica, delineati nel De officiis, che, permeato dello stoicismo di Panezio, costituisce la prova estrema e la lectio magistralis del sapere retorico e del pensiero politico- filosofico del suo autore. Non è quindi casuale che il michel40, richiamandosi al saggio di Barthes sulla retorica antica, indichi quanto Cicerone abbia anticipato la riflessione moderna sul linguaggio, sollevando la 38 Inst. 2,10,8 nam si foro non praeparat, aut scaenicae ostentationi aut furiosae vociferationi simillimum est. 39 Come rilevato da a. mICheL, Le “Dialogue des orateurs” de Tacite et la philosophie de Cicéron, Paris 1962, che vede l’ideale pedagogico di tacito interamente ispirato a Cicerone, soprattutto riguardo all’educazione della prima infanzia (p. 113). 40 La théorie de la rhétorique chez Cicéron: éloquence et philosophie, “Entretiens sur l’antiquité classique” XXVIII, éloquence et Rhétorique chez Cicéron, Ginevra 1982, 109-39. 36 questione della relazione tra verità e persuasività oratoria, strettamente connesse al problema della conoscenza41, che non si può estrapolare da quella che era la sua concezione filosofica e politica. Per la prima volta, infatti, nella speculazione teorica sulla retorica il problema dell’uso consapevole del linguaggio è rapportato agli effetti da suscitare sull’uditorio forense e politico, e il binomio res/verba è ritenuto fondamentale quanto la cura dell’eloquio e la capacità di adeguare lo stile alla sensibilità e al gusto dell’uditorio42. In realtà, ad un’attenta analisi del pensiero espresso da Cicerone nel De oratore, sono due i binomi fondamentali e reciprocamente correlati, attinenti all’organizzazione retorica dell’orazione: res/verba e movere/persuadere. Il primo anticipa il secondo ed entrambi sono strettamente connessi al problema della conoscenza, sotteso a tutta la teorizzazione sull’educabilità dell’oratore ideale, soggetto e attore del binomio movere/persuadere rispetto all’uditorio, oggetto della sua mediazione psicagogica. L’oratore, quindi, per poter giungere a modificare con la sua parola le convinzioni del pubblico sui fatti e i problemi trattati, deve necessariamente potenziare e affinare - insieme con le competenze tecniche e retoriche, fondate su una cultura pressoché universale e ravvivata da un naturale talento per l’umorismo43 le 41 Come dimostrato da F. CuPaIuoLo, Cicerone e il problema della conoscenza, “Paideia” 45, 1990, 51-91, che ricostruendo tutte le tappe della formazione filosofica di Cicerone, sottolinea come nel suo pensiero ‘la retorica di grado superiore deve essere strettamente collegata con la filosofia’ (p. 53). 42 1, 54 hoc enim est proprium oratoris quod saepe iam dixi: oratio gravis et ornata et hominum sensibus ac mentibus accommodata. 43 si veda a questo proposito CICERONE, L’excursus de ridiculis, a cura di G. moNaCo, Palermo 1974, 9-36; e ancora dello stesso, un particolare tipo di facezia nel de oratore, “Pan” 11-12, 1992, 129-131, dove, distinguendo le facezie dovute piuttosto ad ‘una sostanza ridicola che a un gioco di parole’, lo studioso chiarisce la differenza tra collatio e imago. Per ulteriori approfondimenti si veda m. s. CeLeNtaNo, Comicità, umorismo e arte oratoria nella teoria retorica antica, “eikasmos” VI 1995, 161-74, che, nel precisare (p. 162) come non v’era ‘posto per la risata del tutto gratuita in un’ora- 37 abilità filosofiche e psicologiche. Dal coesistere di queste diverse capacità in una stessa persona, per natura eloquente, scaturisce inoltre, nella visione di Cicerone, la necessità della distinzione e specializzazione dei ruoli, prima indifferenziati e confusi, ora soltanto definiti convergenti, dell’oratore/attore e del politico 1, 215: neque vero, si quis utrumque potest, aut ille consili publici auctor ac senator bonus ob eam ipsam causam orator est aut hic disertus atque eloquens, si est idem in procuratione civitatis egregius, illam scientiam dicendi copia est consecutus: multum inter se distant istae facultates longeque sunt diversae atque seiunctae neque eadem ratione ac via M. Cato, P. Africanus, Q. Metellus, C. Laelius, qui omnes eloquentes fuerunt, orationem suam et rei publicae dignitatem exornabant. Ciò spiega l’importante funzione assegnata da Cicerone all’approfondimento della filosofia morale, che, rivolta allo studio della vita e dei comportamenti umani, entra ufficialmente tra le discipline finalizzate alla formazione dell’oratore, al quale, però, non è consentito di avvalersi delle definizioni dei filosofi né dei loro testi, su cui l’oratore dovrà soltanto studiare i comportamenti e gli affetti degli uomini, per modificarne la volontà e orientarne i sentimenti. Netta, infatti, risulta la distinzione fra i due ruoli, del filosofo e dell’oratore, dovuta, originariamente a socrate, come ricorderà Crasso, 3, 59-60: Socrates fuit …qui …hoc commune nomen eripuit sapienterque sentiendi et ornate dicendi scientiam, re cohaerentis, disputationibus suis, separavit 44. zione’, evidenzia, richiamandosi a Quintiliano (Inst. 6,3,7), che ‘il riso è un fenomeno complesso, e spesso, se si mettono in moto meccanismi errati, è un’arma che si rivolge contro chi la usa, che da soggetto di un’azione comica si trasforma in oggetto ridicolo’. 44 Ciò non consente però di ravvisare una caduta di prestigio dell’oratoria, come riterrebbe PLeBe, Breve, 94, bensì l’incipit di quella differenziazio- 38 muovendo dall’indicazione di questa diversità Cicerone distingue gli ambiti di competenza del filosofo da quelli dell’oratore, mediante la precisazione addotta da antonio, secondo cui è filosofo chi desidera conoscere le cause di tutte le cose divine ed umane e ricerca la via della saggezza; è, però, oratore colui che sa avvalersi di parole gradevoli per l’uditorio e argomenti adatti all’approvazione (1, 212-13). scaturisce da questa demarcazione che del filosofo è peculiare la vis cogitandi, dell’oratore l’ars dicendi. Per tale via, solo all’apparenza paradossale, si giunge a fondare l’oratoria sulla conoscenza della filosofia morale, liberando nel contempo la retorica dagli schemi riduttivi del mos maiorum. risulta, infine, naturale che in questa visione dell’oratoria, intesa come sintesi di molti studi e discipline, distinta ma non disgiunta dalla politica e dalla filosofia, assuma precisi contorni la fisionomia intellettuale dell’oratore per eccellenza, che non dovrà essere semplicemente disertus, tale cioè da soddisfare un pubblico mediocre, ma realmente eloquens, capace in realtà di elevare ed esaltare qualsiasi tema desideri sviluppare, possedendo mnemonicamente tutte le fonti relative all’argomento da trattare45. Nel processo educativo dell’oratore è pertanto imprescindibile l’exercitatio (1, 149-65), la mnemotecnica (2, 299) e la lettura (3, 39). La memoria, in particolare, riesce insostituibile per una graduale ed incisiva formazione del futuro oratore, che oltre a excogitare, ornare, disponere, dovrà principalmente meminisse e agere. Da queste capacità, che sono spontanee nei più dotati e che costituiscono per Cicerone i fondamenti della techne retori- ne, che, acquisita con aristotele, come si è visto all’inizio (cfr. pp. 10-11), le impresse carattere e dignità di scienza autonoma. 45 1, 94 eum statuebam disertum qui posset satis acute atque dilucide apud mediocris homines ex communi quadam opinione hominum dicere, eloquentem vero, qui mirabilius et magnificentius augere posset atque ornare quae vellet, omnisque omnium rerum, quae ad dicendum pertinerent, fontis animo ac memoria contineret. 39 ca, dipende la possibilità di organizzare e strutturare un’azione eloquente e persuasiva, idonea a modificare i sentimenti dell’uditorio, la volontà, le percezioni e, di conseguenza, la coscienza della verità e il giudizio sui fatti46. Questo traguardo però risulterà meno facile da conseguire per coloro che, non dotati di grandi capacità logiche, sono costretti a mutuare il metodo razionale e dialettico dalla filosofia. si chiarisce in tal modo il confine che, nell’applicazione pratica delle norme retoriche, separa e distingue dalla filosofia la grande eloquenza. Da questa, infatti, giustamente nella visione di Cicerone si è sviluppata la normativa retorica e l’arte oratoria e non all’opposto, come vorrebbe la communis opinio47. Diversamente dalle altre discipline, in cui per raggiungere i migliori traguardi occorreva semplicemente lo studio e l’approfondimento di un sistema dottrinale teorico, il possesso dell’arte oratoria è conseguibile frequentando costantemente gli autori esemplari e dimorando nel loro pensiero attraverso la lettura, l’ascolto, l’elaborazione scritta, per esercitare, rafforzare e affinare quelle doti che nel futuro oratore dovrebbero comunque essere innate. In base a questa teoria, oltre all’ingegno naturale, le prime qualità da richiedersi e da coltivare nel futuro oratore sono l’acume, la profondità, la proprietà linguistica, la capacità di ritenere e, importantissima e ripetutamente sottolineata nel De oratore48, l’espressività gestuale49, cui concorre notevolmente la sicurezza mnemonica. Cicerone ribadisce pertanto la necessità di ricordare alla lettera il maggior numero di scritti, ritenendoli mentalmente con la mnemotecnica50, mediante l’associazione dei luoghi e delle immagini51. speciale e profonda attenzione egli rivolge al problema della selezione e dell’orientamento. ritenendo, infatti, imprescindibile la praestantia animi, Cicerone distingue tre tipologie di allievi: quella dei più dotati e già in possesso di qualche conoscenza di letteratura e di retorica; l’altra di coloro che sarebbero divenuti sotto sforzo oratori mediocri; l’ultima degli inadatti e incapaci. La novità maggiore per il sistema educativo dell’età ciceroniana consiste nell’aver enucleato nell’ambito dello stesso orientamento un diverso metodo da applicare con ciascuna categoria: la prima fascia di allievi era da incoraggiare caldamente, soprattutto se alle doti innate si congiungeva l’onestà d’intenti; la seconda doveva essere resa consapevole dei suoi limiti e lasciata quindi libera di scegliere; la terza andava decisamente indirizzata verso altri studi (2, 85-6). L. Pernot ha giustamente affermato52 che la retorica ciceroniana ha esercitato un’influenza capitale sulla storia della cultura occidentale. Ciò spiega anche il fatto che l’attuale dibattito pedagogico insieme con la riflessione sulle modalità paideutiche del sapere ha la sua pur lontana matrice nella profondità speculativa degli antichi, che avviatasi con l’arcaica sentenziosità di Catone, perviene ad una più completa e matura teoria, per quanto non ancora sviluppata in un sicuro sistema dottrinale, con Cicerone. 46 sui problematici effetti di questa ‘malia’ intercorrenti tra oratore e pubblico si veda NarDuCCI, Gli arcani dell’oratore, “at. e rom.” 3-4, 1984, 12941. 47 1, 146 sic esse non eloquentiam ex artificio, sed artificium ex eloquentia natum. 48 Cfr. 3, 222 e l’attento esame sviluppato in proposito dalla ParoDI sCottI, Ethos, 119-25. 49 1, 128 in oratore autem acumen dialecticorum, sententiae philosophorum, verba prope poetarum, memoria iuris consultorum, vox tragoedorum, gestus paene summorum actorum est requirendus. 40 50 È in quest’epoca che nei curricula ufficiali degli studi si aggiunge all’actio la memoria, come rilevato da o. reBouL, Introduzione alla retorica, trad. it., Bologna 1996, 65 ss. 51 1, 157 atque in ea exercitatione non sane mihi displicet adhibere …istam locorum simulacrorumque rationem quae in arte traditur. 52 La Rhétorique dans l’Antiquité, Paris 2000, 161. 41 3. retorICa e PeDaGoGIa IN QuINtILIaNo Pur se complesso e di non facile trasposizione nel reale, il progetto paideutico di Cicerone non tardò a permeare profondamente la speculazione teorico-educativa di età successiva. I Flavi, impegnati nella riorganizzazione economica e militare dell’impero53, pensarono - non da ultimo sotto il profilo politico - di riappropriarsi del mos maiorum per il controllo della cultura e di statalizzare l’istruzione, con l’ovvio obiettivo di formare il vir bonus dicendi peritus della tradizione catoniana, avvalendosi, però, del programma educativo di Cicerone. L’insegnamento della retorica venne pertanto istituzionalizzato con l’evidente scopo di preparare la classe dirigente non tanto alla libera espressione dell’oratoria politica, giudiziaria e forense, quanto piuttosto al non facile compito di controllare politicamente, oltre che assimilarle alla civiltà romana, le popolazioni poste sotto l’egida dell’impero. Di questa politica educativa e dei programmi da essa perseguiti m. Fabio Quintiliano54 fornisce, com’è noto, da testimone e diretto protagonista, un’esauriente documentazione, delineando nell’Institutio oratoria obiettivi e metodi pedagogico-didattici, funzionali alla formazione dell’oratore ideale, che, oltre a 53 Per una documentazione su questo periodo si vedano a.GarzettI, L’impero da Tiberio agli Antonini, Bologna, 1960, 237-308; m.P.CharLesWorth, Re-Organisation: financial and provincial, “università di Cambridge”, milano 1972, XI, I, 13-19; m.a.LeVI, I Flavi, “aufstieg und Niedergang der romischen Welt”, Berlin-New york 1975, I, 2, 117-197; m. Cary-h.h.sCuLLarD, Storia di Roma, Bologna, 1981, III, 11-41. 54 Primo “docente” di retorica in una scuola di stato (cfr. GeLLIo, 15, 11; suetoNIo, Rhet. 1). 45 corrispondere al modello prospettato da Cicerone, doveva essere educato secondo i principi da questo enucleati nelle opere retoriche, ma rielaborati con un’evidente, quanto indiscutibile, sensibilità pedagogica. Nell’approfondire, infatti, il pensiero di Cicerone, secondo cui l’educazione dell’oratore ideale dipendeva molto dalle competenze dei docenti, maestri di vita e di eloquenza55, Quintiliano56 si pone totalmente dalla parte dell’allievo e considera imprescindibile per il processo formativo, oltre che la preparazione culturale, anche l’attitudine pedagogica dei formatori. un’altra non trascurabile innovazione è ancora la preferenza accordata da Quintiliano, per ragioni non esclusivamente politiche, quanto soprattutto di carattere socio-pedagogico, alla scuola pubblica57, dove per via dell’interazione didattica si riteneva certamente più efficace la mediazione delle competenze retoriche per il futuro oratore, che l’anfibologica espressione in media rei publicae luce (1,2,18-20) potrebbe, fuorviando, lasciar immaginare non represso dal regime dei Flavi, come per contro attestato in tacito58, ma piuttosto libero di esprimersi sotto i riflettori politici come nel periodo repubblicano, quando si preparava e si esercitava ad essere inattaccabile anche sotto il profilo etico59. Chiaramente innovativa, soprattutto perché impartita in una scuola pubblica, era l’educazione al bilinguismo60, che, pur in apparente contrasto con le misure adottate dai Flavi (lex de imperio Vespasiani)61 nei confronti dei filosofi greci, giustificava l’espressa e ribadita propensione ad iniziare dal greco62, per il fatto che questa lingua favoriva l’accesso al sapere di una civiltà esclusiva. Ciò spiega l’importanza che Quintiliano, richiamandosi a Cicerone (De orat. 1,150 ss.), assegna all’uso e all’esercizio della memoria63. metodo, esercizio, mnemotecnica, eloquentemente definita exercitatio et labor (11,2,40), costituiscono gli elementi basilari di questa visione formativa volta a trasmettere, consuetudine, qua difficultas omnis levatur (11,3,24), capacità e facilità d’improvvisazione. ma, come per Cicerone, anche nel pensiero di Quintiliano a poco potevano giovare gli studi e l’applicazione dei diversi metodi didattici, in assenza delle doti personali e dell’ animi praestantia (12,5,1), che tuttavia andava coltivata nell’allievo mediante quella paideia dettata dall’onestà intellettuale che sola nobilita l’ars docendi64. Il fatto però che Quintiliano si sia richiamato costantemente ed esplicitamente a Cicerone, esponente di rilievo della classe dirigente dell’età repubblicana, e lo abbia assunto a modello di 55 De orat. 3,15: neque diiuncti doctores sed idem erant vivendi praeceptores atque dicendi. 56 Cfr. G.G.BIaNCa, La pedagogia di Quintiliano, Padova, 1963, 69-70; e.BoLaFFI, La critica pedagogica e letteraria in Q. “Latomus” XXX, Bruxelles 1958, 9-16. 57 Problema ancora di attualità, cfr. D. BertoNI-JoVINe, La scuola italiana dal 1870 ai giorni nostri, roma, 1972; ed ancora in L. amBrosoLI, La scuola in Italia dal dopoguerra ad oggi, Bologna, 1982. 58 Cfr. r. syme, Tacito, trad. it., Brescia 1967, vol. I, soprattutto pp. 3048; e ancora, per la correlazione a Quintiliano, sulla decadenza della grande oratoria, r. GüNGerICh, Der Dialogus des Tacitus und Quintilians Institutio oratoria, “Classical Philology” 3, 1951, 159-64; a. aLBerte, Dialogus de oratoribus versus institutio oratoria, “minerva” 7, 1993, 255-67; per l’approfondimento critico delle questioni di stile, s.m. GoLDBerG, Appreciating Aper: the defence of modernity in Tacitus’ Dialogus de oratoribus, “the Classical Quarterly” 93, 1999, 224-37. 46 59 1, proem. 18-20 vir talis, qualis vere sapiens appellari possit, nec moribus modo perfectus… sed etiam scientia et omni facultate dicendi. 60 1,1,12 a sermone Graeco puerum incipere malo. esplicativo a questo proposito h.I.marrou, Storia dell’educazione nell’antichità, trad. it. roma, 19782, 333-51. 61 si veda B. LeVICk, Vespasian, Londres-Newyork, 1999, 269 ss. 62 1,4,1 nec refert de Graeco an de Latino loquar, quamquam Graecum esse priorem placet: utrique eadem via est. 63 Interessante l’analisi di G.meLzaNI, L’attenzione di Quintiliano per la psicologia, aa.VV., Aspetti della ‘paideia’ di Quintiliano, milano 1990, 212 ss., che rileva come Quintiliano insista, pur senza averne consapevolezza scientifica, su alcuni fondamentali elementi psicologici: ‘la memoria, l’attenzione e l’interesse, l’imitazione, gli affetti, le passioni e i sentimenti, il riso, i caratteri’. 64 12,11,6 quid porro est honestius quam docere quod optime scias? 47 riferimento, e per l’armonia retorica delle sue orazioni e per la teoria da lui elaborata65, in un’epoca di restaurazione e di repressione culturale (e conseguente decadenza dell’oratoria), ha permesso alla critica66 di rilevare nella sua opera un carattere requisitorio e d’implicita denuncia del regime dei Flavi, che, avendo instaurato un clima di oscurantismo culturale con l’allontanamento dei pensatori ritenuti pericolosi per la stabilità dell’impero, estraniava la scuola dai nuovi fermenti intellettuali, precludendole ogni forma di libera espressione. L’aspirazione ad un tipo di educazione retorica fondata su una cultura disposta a confrontarsi e permanentemente in fieri doveva ripudiare gli schematismi delle esercitazioni teoriche e ricercare per conseguenza diversi metodi educativi. si rendeva necessaria allora una paideia che, riappropriandosi, con un’accurata selezione di autori67, della eredità culturale del passato, ricomponesse, in una generale prospettiva educativa, la frattura venutasi a creare per la condicio temporum tra le grandi idealità politico-democratiche, espresse da Cicerone, e i dettami di restaurazione dei Flavi. 65 12,1,19 Saepe dixi dicamque perfectum oratorem esse Ciceronem… eum quaeram oratorem quem et ille quaerebat. 66 sull’atteggiamento assunto da Quintiliano nei confronti della filosofia, si veda G.e. maNzoNI, Il retore Quintiliano di fronte ai filosofi, aa.VV., Aspetti…, soprattutto p. 150. ss., dove, richiamando Florescu e le ragioni avanzate dai sostenitori tanto della tesi conciliativa quanto di quella oppositiva della retorica alla filosofia, si evidenzia come in Quintiliano, ammiratore di seneca, ‘l’opposizione ai maestri di filosofia fosse di natura più personale e professionale, che culturale in senso lato’(p.165). su questo problema e più in generale sui rapporti politici degli intellettuali con il potere si veda ancora h. BarDoN, Les empereus et les lettres latines d’Auguste à Hadrien, Paris 19682, 289-335; e, per quanto attiene all’organizzazione della paideia in relazione ai mutamenti politici, s. BoWeN, Storia dell’educazione occidentale, trad. it. milano 1979, I, 229-237. 67 P.V.CoVa, La critica letteraria nell’“Institutio”, in Aspetti, 20 ss., approfondendo il sistema curriculare tratteggiato da Quintiliano, le discipline e gli autori da questi ritenute utili alla formazione dell’oratore, ne individua i limiti e le incoerenze, tra cui soprattutto il fatto che ‘le materie scientifiche non fossero in alcun modo riducibili all’eloquenza’ e quello di affermare che ‘l’oratore non fosse specialista in nessuna’. 48 1. Cicerone, De inventione. Rhetorica ad Herennium, miniatura da un antico codice membranaceo. 2. Cicerone, ritratto di epoca romana. 3. Cicerone, Rethorica ad Herennium, miniatura del XIV secolo. L’unica soluzione praticabile nella progettazione dei curricula di quest’epoca per la formazione dell’oratore ideale, che tuttavia non avrebbe potuto esercitarsi nella pratica forense e politica con la stessa libertà del periodo repubblicano, era dunque quella della mediazione, fondata, come rilevato da I. Lana68, sui principi filosofici senecani. Funzionale a tale intento mediatico, in quanto inteso e presentato come fattore pedagogico innovativo, rispetto al precedente programma ciceroniano, era il ruolo di centralità attribuito al puer all’interno del progetto educativo, fondato soprattutto sull’apprendimento linguistico, che doveva essere attentamente curato fin dalla prima infanzia69 e concorreva, insieme alla qualità dell’insegnamento, ad elevare la scuola pubblica. Questa era preferibile alla “privata” per evidenti ragioni socio-pedagogiche, tra cui soprattutto la compresenza e l’interazione con il maestro di più allievi, il cui numero doveva comunque essere tale70, da permettere al docente di curarli proficuamente in tutte le discipline, senza eccessi, deleteri per la mente ed il corpo, d’indulgenza o di severità. Quintiliano affermava che la severità non doveva, in nessun caso, scadere nella violenza71, diseducativa e mortificatrice del puer72. Fondamentale per l’impostazione di un corretto metodo è ancora, nella concezione di Quintiliano, l’o- 4. Marco Fabio Quintiliano, acquaforte francese secentesca. 68 La teorizzazione della collaborazione degli intellettuali con il potere politico in Quintiliano, Institutio oratoria, libro XII, torino, 1973, 19-46. 69 1,1, 3-5 Ante omnia ne sit vitiosus sermo nutricibus… has primum audiet puer, harum verba effingere imitando conabitur. 70 Cfr. Inst. 1,2 e BoLaFFI, La critica… 14. Per il giusto numero degli allievi da seguire si veda ancora Inst. 1,2,15 e 10,5,20. 71 Interessante in proposito il giudizio di meLzaNI, L’attenzione..., in Aspetti…, che ritiene coerente con l’impostazione di questo progetto educativo, l’abolizione delle percosse (p. 176) cui, nella critica mossa da Quintiliano alla scuola del suo tempo, ricorrevano soprattutto i precettori ignoranti e autoritari (p.184). 72 1,3,15 denique cum parvulum verberibus coegeris, quid iuveni facias, cui nec adhiberi potest hic metus et maiora discenda sunt? … e 17: in aetatem infirmam et iniuriae obnoxiam nemini debet nimium licere. II 49 biettiva valutazione delle doti di ogni singolo allievo73. analizzare l’ingegno e la natura del fanciullo, senza lasciarsi abbagliare dalla precocità74, era da ritenersi fra i primi compiti dell’insegnante, che doveva riconoscere il tipo d’intelligenza sia dalla capacità mnemonica (facile percipere et fideliter continere), sia dall’abilità nell’imitatio utile a rielaborare criticamente quanto appreso ed assimilato75. esaminati i requisiti personali degli allievi, l’ottimo educatore avrebbe pensato al sistema da adottare per trarne il miglior profitto76. si riconosceva in tal modo, e per la prima volta, un ruolo imprescindibile alla competenza psico-pedagogica del docente. Questo avrebbe dovuto, in maniera direttamente proporzionale alla sua preparazione, aspirare a divenire efficace mediatore di sapere attraverso la patientia educandi, la gradualità didattica, la profondità e la sensibilità culturale77, e, non ultimo, la capacità esemplificativa78, valorizzata dalla forbitezza del linguaggio. si comprende da ciò che nella concezione di Quintiliano l’obiettivo primario al quale l’istituzione doveva tendere per ottenere i migliori risultati paideutici era la formazione dei docenti. a tal fine, nell’illustrare i principi dell’educazione morfologica 73 1,2,28 sic animi puerorum quantum excipere possint videndum est: nam maiora intellectu velut parum apertos ad percipiendum animos non subibunt. 74 Cfr. 1,3,4-5. 75 1,3,1-2 Proximum imitatio: nam id quoque est docilis naturae, sic tamen, ut ea, quae discit, effingat… Non dabit mihi spem bonae indolis, qui hoc imitandi studio petet, ut rideatur. 76 1,3,6 quonam modo tractandus sit discentis animus. 77 2,3,7 hunc disertum praeceptorem prudentem quoque et non ignarum docendi esse oportebit summittentem se ad mensuram discentis, ut velocissimus quoque, si forte iter cum parvulo faciat, det manum et gradum suum minuat, nec procedat ultra quam comes possit. 78 r. GazICh, Teoria e pratica dell’exemplum in Quintiliano, in Aspetti, 61 ss. nell’esaminare l’uso pratico e la teorizzazione delle forme e funzioni dell’exemplum nell’Institutio, ritiene che ,’come in altre appropriazioni latine di un’eredità greca, si tratta di una reinterpretazione, che comporta da un lato una riduzione, ma sotto altri aspetti un arricchimento’, in quanto il ricorso all’ exemplum è valorizzato nelle sue possibilità pratico-argomentative (pp.75-78). 50 e linguistica, si sottolineava che doveva essere l’insegnante a ricercare per primo e ad esaminare le norme grammaticali della corretta espressione79, chiarendo ogni fenomeno con un’esemplificazione che fosse più ricca dei compendi, ai quali doctiores multa adicient (1,5,7). Privilegiando la competenza dei docenti si evidenziava come fosse loro dovere non solo l’interpretazione degli autori, ma soprattutto la capacità di adattare all’età dei discenti i primi esercizi di eloquenza. un’equilibrata didassi avrebbe favorito il giusto grado di preparazione, che, unito alla cognizione acquisita dal maestro circa i requisiti di ciascuno degli allievi, avrebbe contribuito alla risoluzione del problema nodale, la valutazione cioè del quando il puer sit rhetori tradendus (2,1,7). Ciò avrebbe consentito ai maestri di retorica di intervenire su un seminato adeguatamente preparato nel rispetto dei tempi pedagogici e degli ambiti disciplinari, essendo ad essi riservato il compito psicologicamente più delicato di demonstrare virtutes vel vitia (2,5,5) e graduare le letture, curando la scelta degli autori, per la cui selezione era da osservare il principio dell’attenta valutazione dello stile e dei contenuti etici. si dovevano pertanto evitare non solo gli scrittori arcaici, per lo stile arido e aspro, ma anche i contemporanei che, pur se gradevoli, non sempre garantivano serietà e profondità. Quando però il grado di preparazione acquisito lo avesse consentito, si sarebbe passati alla lettura sia degli scrittori antichi, evidenziandone la forza del pensiero80, sia dei nuovi, quibus et ipsis multa virtus adest (2,5,23), a condizione che la loro valutazione precedesse l’imitazione. tra tutti si riteneva ideale da studiare e imitare Cicerone (10,1,112). trattando, però, nel solco tracciato da questo81, il problema dell’orientamento, Quintiliano più di Cicerone richiamava l’at79 1,5,1 emendate loquendi regulam, quae grammatices prior pars est, examinet. 80 Ciò basterebbe a modificare il giudizio di F.e.CraNz, Quintilian as ancient thinker, “rhetorica” vol. XIII, 3-1995, 219-30. 81 Cfr. sopra p. 41; e, per l’influsso esercitato da questo sulla sua formazione, si veda J.C. DaVIs, Quintilian on writing: process, pedagogy, and person formation, ann arbor, 1998, 77 sgg. 51 tenzione sulla necessità di osservare discrimina ingeniorum, et quo quemque natura maxime ferat, scire (2,8,1), pensando che si dovessero applicare metodi differenziati, per potenziare le inclinazioni individuali e orientare la formazione di ciascuno secondo le tendenze naturali, per conseguire non solo il massimo profitto educativo, ma anche la migliore riuscita nell’esercizio dell’attività. Da ciò la necessità di adeguare la scelta degli studi alle attitudini personali dei giovani82, avviando i più dotati (2,8,8: nam et omnino supervacua erat doctrina, si natura sufficeret) all’oratoria, che necessitava di spiccate doti intellettuali per lo studio non facile della retorica, con la quale si conquistava il pieno dominio della parola. rilevate quindi le doti personali e le motivazioni profonde di ciascuno, doveva essere cura del docente orientare gli interventi e le metodiche educative ut propria naturae bona doctrina foverent et in id potissimum ingenia, quo tenderent, adiuvarentur (2,8,3). Con le nature non spiccatamente dotate si sarebbe usata una particolare strategia didattica, mirata ad orientarle secondo le loro possibilità: ita enim, quod solum possunt, melius efficient (2,8,12). Quando però il discente avesse offerto la pur minima possibilità di ottenere un miglior profitto, nulla dicendi virtus omittenda est (2,8,12). al maestro di retorica era quindi affidato il compito di correggere gli ingegni boriosi, arricchire gli animi aridi, frenare le esuberanze, sollecitare le menti pigre, seguendo l’esempio Isocrateo, richiamato da Quintiliano83 nella scia di Cicerone84. Con uno scolastico esempio assunto dal campo della medicina , Quintiliano sostiene che non è però semplice, così come accade nella diagnostica, trasmettere agli allievi tutte le osservazioni e intuizioni quae sui cuiusque sunt ingenii (7,10,10); perché nella complessa dinamica docere/discere, l’apprendimento avvenga, si richiede ai discenti di rispondere adeguatamente alle sollecitazioni dei docenti, amandoli al pari di genitori mentali86. In questa corrispondenza intellettuale risiede la possibilità di un completo e proficuo processo matetico, certamente inattuabile in assenza delle dovute competenze nei docenti87, tenuti a curare esercitazioni88 didattiche non puramente teoriche, ma fondate su argomenti reali o attinti dal vero, senza cedere alla tentazione di esibirsi in fatue quanto inefficaci declamazioni, lesive della dignità degli studi retorici89. equilibrio, sensibilità, misura erano ancora le doti richieste per la scelta dei temi da proporre come esercitazione e per i criteri da seguire nelle spiegazioni: i chiarimenti sulla traccia non dovevano essere del tutto esaurienti o, per converso, inadeguati. In entrambi i casi non avrebbero favorito l’inventiva degli allievi, tenuti a riflettere e a comporre seguendo l’assunto del tema. Dall’insieme di questi elementi risulta evidente la diversità tra l’impostazione di carattere filosofico-politico che permeava il programma educativo ipotizzato da Cicerone e questa, prevalentemente pedagogica, che sostanzia il progetto di Quintiliano. Nella misura in cui il primo s’interroga sulla validità di una cultu85 85 * * * 82 2,8,7 namque erit alius historiae magis idoneus, alius compositus ad carmen, alius utilis studio iuris, ut nonnulli rus fortasse mittendi. 83 10,1,74 Ephorus, ut Isocrati visum, calcaribus eget. 84 De orat. 3,36 maxime insigne illud exemplum, ut ceteras artes omittamus, quod dicebat Isocrates doctor singularis se calcaribus in Ephoro, contra autem in Theopompo frenis uti solere: alterum enim exultantem verborum audacia reprimebat, alterum cunctantem et quasi verecundantem incitabat. 52 Per l’uso, la frequenza e la funzione retorica di questi esempi, si veda quanto rilevato da I. mastrorosa, Medicina e retorica nell’Institutio oratoria di Quintiliano, “sileno” 1-2, 1996, 229 sgg. 86 2,9,1 et parentes esse non quidem corporum, sed mentium credant. 87 8, prooem., 3 eligat itaque peritus ille praeceptor ex omnibus optima et tradat…sequentur enim discipuli quo duxeris. 88 si veda l’approfondita disamina di L. CaLBoLI moNteFusCo, Quintilian and the function of the oratorical exercitatio, “Latomus” 55, 3, 1996, soprattutto pp.617-18. 89 2,12,11 non actores modo aliquos invenias, sed, quod est turpius, praeceptores etiam, qui brevem dicendi exercitationem consecuti omissa ratione, ut tulit impetus, passim tumultuentur. 53 ra enciclopedica e, pur ritenendo imprescindibile lo studio della filosofia etica, si chiede inoltre se più della teoria fosse utile al futuro oratore la pratica forense, il secondo si preoccupa delle competenze dei maestri, pensando soprattutto all’efficacia del loro insegnamento. Queste teorie, pur nella loro diversità, giungono ad integrarsi in un sistema che, equidistante dagli estremi della problematicità dell’uno e del pragmatismo didattico dell’altro, concorrono (insieme alla documentazione storica e politica dei tempi) a fornirci una testimonianza completa circa i contenuti e l’evoluzione della trasmissione del sapere retorico nella civiltà romana. Quintiliano in particolare richiama, ma con una diversa profondità pedagogica rispetto a Cicerone90, l’attenzione sul fatto che non fosse del buon maestro di retorica deflettere dal correggere i difetti di pronunzia, dal controllare che il discorso degli allievi fosse armonioso in ogni sua parte; che la loro voce avesse la giusta impostazione, che la gestualità91 fosse rispondente all’espressione del volto; che si studiasse il tono con cui pronunziare l’oratio e come esprimere i sentimenti per galvanizzare l’attenzione degli ascoltatori (Inst. 11,3,9-70), evitando però in ciascuna di queste fasi di opprimere e, cosa più importante, di deprimere gli allievi92, tarpando il loro entusiasmo. sul problema di ciò che è utile fissare a memoria, nel sottolineare che ai principianti, oltre ad esercitarsi nello scritto, conviene soprattutto dimorare nel pensiero dei migliori, assimilandone profondamente i contenuti93, si compie un ulteriore passo nell’evoluzione del pensiero pedagogico, ammettendo la validità della lode per coloro che ben esercitati avessero dimostrato di aver saputo studiare e comporre94. 90 De orat. 3,216-17; Orat. 55-60 e 86. Cfr. CIC. De orat. 3,220-24. 92 Inst. 5,13,44 et bonus praeceptor non minus laudare discipulum debet, si quid pro diversa quam si quid pro sua parte acriter excogitavit. 93 2,7,2 ediscere electos ex orationibus vel historiis aliove quo genere dignorum ea cura voluminum locos multo magis suadeam. 94 2,7,5 permittendum quae ipsi scripserint dicere, ut laboris sui fructum etiam ex illa, quae maxime petitur, laude plurium capiant. 91 54 sotto il profilo psicologico, oltre che didattico, si compiva ancora un impensabile balzo con il richiamare l’attenzione sul fatto che si dovesse evitare il solo tentare ciò che non era possibile fare e soprattutto il creare iniqui scambi di competenze, lesivi della personalità95. al di là di questi elementi, presenti in modo diverso nel programma educativo di Cicerone, con il maestro spagnolo assume particolare rilievo psico-pedagogico lo studio della musica, non più finalizzato soltanto alla conoscenza dei metri e dei ritmi, ma funzionale piuttosto, per la sua intrinseca virtù terapeutica, all’affinamento dell’animo, come nel richiamato episodio di Pitagora riuscito a placare con la musica la violenza di alcuni giovani (Inst. 1,10,32). Dall’insieme di questi elementi appare evidente l’avvenuto passaggio da un sistema unidimensionale e passivo di trasmissione del sapere, fondata cioè sull’apprendimento mediato unicamente dal maestro e passivamente recepito dal discente, a quello interattivo e pluridimensionale, che, all’interno di un’istituzione statalizzata, richiedeva da una parte la competenza e la responsabilità dei docenti e dall’altra l’accertata predisposizione degli allievi all’apprendimento e, fattore innovativo quanto pedagogicamente rilevante, la loro partecipazione al dialogo con il maestro e allo scambio di esperienze culturali e di scuola con i coetanei. In questa complessa interazione consisteva la condizione per il migliore processo educativo possibile, che, nella critica mossa da Quintiliano alle modalità paideutiche della retorica allora attuate, era irrealizzabile quando gli insegnanti, pur non possedendo le adeguate competenze, presumevano di essere all’altezza dei loro compiti96, senza preoccuparsi di migliorare le loro 95 2,8,14 nam sunt haec duo vitanda prorsus: unum, ne temptes quod effici non possit, alterum ne ab eo, quod quis optime facit, in aliud, cui minus est idoneus, transferas. 96 2,11,1 iam hinc ergo nobis incohanda est ea pars artis, ex qua capere initium solent qui priora omiserunt ; quamquam video quosdam in ipso statim limine obstaturos mihi, qui nihil egere eius modi praeceptis eloquentiam putent, sed natura sua et vulgari modo scholarum exercitatione contenti rideant…. 55 conoscenze ed affinare la materia del loro insegnamento con un’assidua opera di aggiornamento. I giovani, a loro volta, che avessero studiato un solo manuale, non dovevano ritenere di aver conseguito piena capacità oratoria, in realtà irraggiungibile senza multo labore, adsiduo studio, varia exercitatione, plurimis experimentis, altissima prudentia, praesentissimo consilio (2,13,15). risulta evidente che la riflessione sui criteri d’insegnamento dell’arte retorica, per loro natura impliciti nella stessa paideia, sia stata in realtà sviluppata nell’ Institutio oratoria in maniera più organica e consapevole di quanto non fosse accaduto in precedenza, come rilevabile dalla conclusione della prima esade del trattato97. ma, nella rinnovata elaborazione dei programmi, degli strumenti, dei modi e dei tempi utili all’educazione non certo dell’ orator, come realmente testimoniato oltre che delineato da Catone e soprattutto da Cicerone, ma soltanto del vir bonus dicendi peritus, trova la sua più lontana matrice la riflessione sulla didattica, pur se esclusivamente attinente alla retorica, intesa implicitamente come disciplina severa e rigorosa, avendo essa tuttavia per oggetto e per fine l’arte del saper insegnare. Consistendo, però, l’ars docendi nel saper mostrare e dimostrare, trasferendo ad altri le proprie acquisizioni, richiede di per sé scioltezza d’eloquio e abilità persuasiva e, dovendo avvalersi continuamente di verba, di segni, di simboli e suoni, necessita anch’essa non solo di capacità ermeneutiche, ma soprattutto di profonde competenze retoriche, funzionali a trasmettere un adeguato grado di apprendimento negli allievi. L’arte del docente, sostanziata di tecnica retorica, è quindi da impegnarsi nella didassi; la sua scienza, permeata di riflessione e approfondimento teorico, è da impiegarsi per converso nella ricerca didattica: alla prima concorrono le doti personali, alla se97 6,5,11 illud dicere satis habeo, nihil esse non modo in orando, sed in omni vita prius consilio, frustraque sine eo tradi ceteras artis, plusque vel sine doctrina prudentiam quam sine prudentia facere doctrinam. aptare etiam orationem locis, temporibus, personis est eiusdem virtutis. 56 conda la dottrina; ma integrandosi vicendevolmente conseguono gli effetti migliori98. Concetto che, per essere stato sotto altra forma ribadito99, rivela le autentiche convinzioni dell’autore in fatto di didattica e retorica. * * * materia della didattica è quindi da considerare, sulla scorta della riflessione antica, tutto ciò che contribuisce all’arte del comunicare, ossia alla migliore espressione della didassi ed al conseguimento dell’obiettivo primario, che è il potenziamento della personalità umana. Pertanto al di là delle acquisizioni teoriche si richiede al docente la capacità di trasmettere la sapienza attraverso l’applicazione di un metodo di lavoro, di ricerca e di approfondimento, fondato su alcune norme100, tanto elementari quanto imprescindibili e tuttora applicabili, per favorire il processo matetico. era tra queste d’indiscutibile importanza la scelta di un luogo e un “orario” adatti allo studio, che favorissero cioè il pensiero creativo, impedendo che distrazione e negligenza101, distogliessero l’animo dalla concentrazione interiore e quindi dall’apprendimento. 98 Inst. 2,19,3 denique natura materia doctrinae est: haec fingit, illa fingitur. nihil ars sine materia, materiae etiam sine arte pretium est, ars summa materia optima melior. 99 Inst. 7,10,8 praeceptoris est in alio atque alio genere cotidie ostendere, quis ordo sit rerum et quae copulatio, ut paulatim fiat usus et ad similia transitus: tradi enim omnia, quae ars efficit, non possunt. 100 Inst. 10,3,22-23. 101 10,3,28 quam si tota mente in opus ipsum derexeris, nihil eorum quae oculis vel auribus incursant, ad animum perveniet. 57 4. PsICaGoGIa e retorICa NeL DE MAGISTRO DI saNt’aGostINo Dopo Quintiliano, soprattutto a partire dal secolo III e fino al VI, l’interesse per la retorica diviene prevalentemente erudito e scolastico, per il diffondersi delle istituzioni educative ecclesiastiche, dove non costituisce più tanto l’obiettivo paideutico primario, quanto una formale chiave di lettura per l’utilizzazione dei classici, la cui interpretazione avveniva necessariamente secondo la visione cristiana. Grande fortuna spettò ancora a quei maestri di retorica, che continuarono a praticare i precetti ciceroniani, piegandoli all’uso scolastico, come mario Vittorino, Fortunaziano, sulpizio e Caio Giulio Vittore, aquila romano, Giulio rufiniano, Giulio severiano e Grillio rufino, che trattò del ritmo nel discorso, oltre che l’anonimo autore del Carmen de figuris. Non meno trascurabile il fatto che la retorica costituisca ancora nel V secolo d.C. l’argomento del quarto libro dell’enciclopedico poema De Nuptiis di marziano Capella. I primi scrittori e oratori cristiani adottarono le norme della retorica classica per propagandare la nuova fede. Di essa, con maggiore ingegno e profondità ermeneutica102, si avvalse sant’a- 102 si veda, a questo proposito, L. aLFoNsI, S. Agostino e la cultura classica, aa.VV., Chiesa e Cultura, atti della settimana agostiniana pavese, N.6, Papiae 1977, 20 sgg.; ed inoltre il puntuale contributo di C. rIGGI, S. Agostino perenne maestro di ermeneutica, “salesianum” 44-1982, 71-101; ed ancora J.m. GarCía GoNzáLez, Et in principio verbum, “helmantica” 49,1998, 329-89, che, esaminando la relazione esistente tra retorica e linguaggio religioso attraverso l’uso e la funzione dei signa, degli argumenta e degli exempla ‘en Sancti Augustini In Joannis Euangelium Tractatus’, dimostra come le risorse retoriche siano funzionali alle peculiarità del discorso religioso; e si vedano infine a. BozzoLo, L’ermeneutica di Agostino: teoria e prassi inter- 61 gostino, per gettare le basi della precettistica finalizzata alla predicazione, come nel De doctrina Christiana, e per spiegare la scrittura. La retorica, quindi, piuttosto che suggerire una mera tecnica di forbitezze stilistiche e raffinatezza ritmica, costituisce per sant’agostino una chiave per l’interpretazione dei monumenti filosofico-letterari classici e cristiani ed indica un metodo per l’organizzazione interdisciplinare del sapere nel solco dell’enciclopedismo romano. rientrando inoltre nell’ambito formativo ed educativo della spiritualità, la retorica schiude la via alla filosofia e consente l’accesso alle verità rivelate. L’autore ritenuto più significativo per la sua vis speculativa nell’enucleare le problematiche filosofiche era Cicerone, in quanto maestro tra i classici di quella sapientia103, che per sant’agostino conduce alla fede, su cui scientia e doctrina si fondano. studioso appassionato dell’Hortensius104 e profondo conoscitore delle norme retoriche, agostino se ne avvale soprattutto nell’omiletica a scopo evidentemente psicagogico oltre che divulgativo della dottrina cristiana. La retorica pertanto diviene elemenpretativa, aa.VV., Dum docent discunt, a cura di G. Proverbio, Bologna 2000, 249-61 e F. VaN FLetereN, Algunos principios olvidados de hermenéutica agustiniana, “avgvstinvs” 46, 2001, 346-59. 103 esplicativo in proposito J. a. DouLL, ¿Que es la sapientia agustiniana?, “avgvstinvs” 36, 1991, 81-88; ed ancora per l’influsso dell’arpinate sul santo, lo studio di t. BaIer, Cicero und Augustinus, “Gymnasium” 109, 2, 2002, 123-140. 104 sul contributo di agostino alla conoscenza di quest’opera non pervenutaci fondamentale il riesame del GrILLI, ed. cit., 139-74; per l’influsso esercitato da Cicerone nella formazione retorica del santo, basilare m. testarD, Saint Augustin et Ciceron, Paris, 1958, soprattutto p.217 ss., ed ancora lo studio di G. Wehr, Aurelius Augustinus, trad. it., Palermo 1986, in particolare pp.9-12, dove il pensiero di agostino è considerato come un ‘ponte gettato tra l’antichità e il Cristianesimo’; sulla frequentazione della mistica pitagorica negli anni precedenti la conversione, si veda W. h. C. FreND, Pitagorismo y Hermetismo en los años ocultos de Agustín, “avgvstinvs” 36,1991, 107-18; sul pensiero del santo rispetto alla cultura antica, imprescindibile il saggio di P. LaNGa, San Agustin y la cultura, “revista agustiniana” 36-1995, 3-33; in rapporto alla retorica, quello di B. PIerI, Retorica, conversione, introversione: su alcuni aspetti dello stile di Agostino, “BollstudLat” 1999- 2, 523-40. 62 to di congiunzione non solo tra res e verba, ma soprattutto fra scientia dicendi e metodo interpretativo, mediante le ricerche sugli schemi non come forme seriali, ma come strumenti atti ad esprimere contenuto ed emozioni dell’auctor. Lo studio del lovgo", come rivelazione attraverso il linguaggio, pur nella sua convenzionalità, è quindi fondamentale nell’indagine speculativa che agostino introduce, delineando una storia della parola e delle scienze ad essa attinenti nel De ordine105, ma che sviluppa problematicamente nel De magistro (14,46), dove rileva che la parola, come tutta l’organizzazione del linguaggio, attraverso i fonemi veicolari dei significati, costituendo l’unico mezzo di comunicazione, riesce a trasmettere per la sua limitatezza solo una minima parte del pensiero. Questa limitazione, pur ridimensionando sostanzialmente l’importanza assegnata dai teorici precedenti all’antica oratoria, implica però la necessità di dover discernere il vero dal falso e di far uso della retorica (De ordine 2,13,38) per organizzare verba e sermones in modo da guidare le menti non alla verità delle res per ciò che sono, ma al loro dover essere, cioè alla loro idea. si comprende da ciò che agostino attribuiva al linguaggio minor valore di quanto ne avessero assegnato gli stoici: nella sua visione esso doveva superare l’antitesi platonica sensibilia/intelligibilia e ricomporre, nell’eco di s. Paolo, l’opposizione carnalia/spiritualia106, per condurre alla saggezza inalterabile che di105 Come rilevato da m. BettetINI nell’introduzione ad aGostINo, Ordine, musica, bellezza, (a cura), milano 1992; e ancora, a cura della stessa, nelle note di commento (pp.173-98) oltre che nell’introduzione a ID., Il maestro e la parola, milano 1993; richiamato inoltre da a. PIerettI, Il Maestro (a cura) milano, 1990, secondo cui occorre ‘riconoscere che vi è una continuità non solo tematica, ma anche d’impostazione tanto fra l’Ordine e il Maestro, quanto fra quest’ultimo e gli scritti successivi’ (p.31). Non da ultimo, sottolineato nei contributi di s. Fa± Ga± ra± saNu- mCDoNNeLL, San Agustín y la cuestión del origen de las palabras, e di C. D. Lasa, Interioridad y palabra en San Agustín de Hipona, entrambi in “avgvstinvs” 46, 2001, rispettivamente alle pp.45-53 e 55-83. 106 si veda l’approfondita trattazione di k.FLasCh, Agostino d’Ippona. Introduzione all’opera filosofica, trad. it. C. tugnoli, Bologna 1983, 104-06, ed ancora il basilare contributo di m. F. WaGNer, Augustine’s Neoplatonic Cri- 63 mora in ciascuno e che si esprime attraverso la voce del maestro interiore, evocata da quello esterno, la cui funzione è da considerarsi semplicemente propedeutica all’atto interiore del comprendere. muovendo da questo presupposto agostino rivoluziona il pensiero educativo precedente e sviluppa una pedagogia antiautoritaria, non più fondata sul lovgo" socratico, ma sul verbum divino, rispetto a cui ogni linguaggio e attività di mediazione è da ritenersi se non superflua certamente riduttiva. resta però il fatto che il verbum divino può essere evocato dalla capacità comunicativa e dialogica del maestro esterno mediante quell’atto d’amore intellettivo che solo può essere inteso da chi ama107. La parola, pertanto, diviene strumento e veicolo sapienziale quando scaturisce da ispirazione divina. Le scienze che la riguardano, grammatica, retorica, dialettica, non solo costituiscono le vie che conducono al divino, ma presuppongono soprattutto l’impegno e la presenza di colui che, nell’atto di leggere o ascoltare un testo, ne diviene ermeneuta e mediatore, guidando tique of language, “avgvstinvs” 39, 1994, 563-77; oltre che l’illuminante saggio di N. CIPrIaNI, Sulla fonte varroniana delle discipline liberali nel DE ORDINE di S.Agostino, “augustinianum” 1, 2000, 203-24, specialmente il paragrafo 1.2. Arti liberali e ascesa dal corporeo all’incorporeo (pp.210-15), dove lo studioso, confutando la tesi della hadot, secondo cui l’argomento decisivo per escludere l’ipotesi di una fonte varroniana del De ordine sarebbe il carattere neoplatonico del suo schema fondamentale, giunge, attraverso l’esame di testimoni come Filone di Larissa e sesto empirico, a ritenere che già prima del ‘Neoplatonismo lo schema filosofico a corporalibus ad incorporalia fosse praticato dai Neopitagorici e che Varrone potesse conoscerlo e descriverlo in una delle sue tante opere’. 107 Non a caso I. BoChet, Saint Augustin et le désir de dieu, coll. Études augustiniennes, Paris 1982, nel par. I “Nul ne saurait aimer ce qu’il ignore totalment”, richiamandosi al De magistro oltre che al De Trinitate e al De doctrina Christiana, afferma come l’utilizzazione del linguaggio, strumento anche dell’appetitus inveniendi, permetta in definitiva la comunicazione e la socializzazione; e ancora G. BesChIN, S. Agostino, il significato dell’amore, roma 1983, 127-31, pensando a quanto l’uomo oggi sia angosciato dalla minaccia dell’incomunicabilità e quanto incida l’amore nella comunicazione e comprensione interpersonale, si richiama al De magistro 11,38, per segnalare l’importanza pur criticamente assegnata da agostino al linguaggio e alla parola. 5. Cicerone, Opere varie, miniatura da un codice membranaceo del sec. XIV. 6. Cicerone, Orationes, miniatura da un codice membranaceo del sec. XV. 64 7. sant’agostino, De Civitate Dei, disputa tra angeli e demoni, miniatura. l’uditorio a passare dalla percezione sensibile dei segni e dei suoni alla conoscenza intellegibile dei significati ad essi sottesi e quindi all’intuizione del senso celato e alla comprensione per fidem delle verità trascendenti108. Nel periodo milanese (387) agostino aveva pensato, sull’esempio di Varrone109, ad un’enciclopedia delle arti liberali, componendo il De grammatica, che, pervenuto in frammenti, come i Principia dialecticae, i Principia rhetorices110 e le Categoriae decem ex Aristotele decerptae, non consentono di ricostruire pienamente il suo pensiero. esso, però, soprattutto per quanto attiene ai problemi di metodo e matetica, è arguibile dal dialogo dedicato al figlio adeodato, il De magistro, elaborato a tagaste (389) in un periodo di solitaria concentrazione monastica. In quest’opera agostino approfondisce in maniera finemente psicagogica la problematica connessa alla semiotica del linguaggio e intrinsecamente sottesa alla didattica, manifestando, con una consapevolezza diversa da chi lo aveva preceduto in questo tipo di riflessioni teoriche111, un pensiero straordinariamente innovativo non solo per la sua epoca. La teoresi agostiniana muove da quel sottile confine in cui la logica diviene necessariamente semiologia e richiama l’attenzione sul linguaggio. Il segno, che successivamente troverà la sua definizione più precisa nel De doctri- 108 N. CIPrIaNI, Rivelazione cristiana e verità in S.Agostino, “augustinianum” 2, 2001, 477-508, precisando che (p.493) ‘per il vescovo d’Ippona non c’è soltanto un’illuminatio per speciem (visione), ma anche una illuminatio per fidem, giacché “in fide et vidimus et cognovimus” ’, sottolinea la profonda differenza che separa sul piano gnoseologico il convertito cristiano dai filosofi platonici. 109 Come rilevato da P. D’aLessaNDro, Agostino, Claudiano Mamerto, Cassiodoro e i Disciplinarum libri di Varrone, “MoGsa” scritti in onore di Giuseppe morelli, Bologna 1997, p.359. 110 sulla cui autenticità, nel solco del Crecelius, del reuter, del riposati, del Barwick, si è favorevolmente espresso r. GIomINI, A. Augustini “De Rhetorica” in “stud. Lat. e Ital.” roma, IV 1990, pp. 8, 11-13. 111 soprattutto rispetto a Quintiliano, come puntualizzato da meLzaNI, L’attenzione…, Aspetti…, 222-23. 65 8. Cicerone, Orationes, miniatura membranacea quattrocentesca. na Christiana112, è identificato con ciò che può significare qualcosa e, nel contempo, rinvia ad altro da sé, per il fatto che colui che lo usa e/o lo trasmette induce chi lo riceve, e/o lo ascolta, a pensare. agostino afferma in tal modo la natura triadica del significare e del comunicare: gli interlocutori, la res indicata dal segno, il segno stesso. I segni nel De doctrina Christiana113 sono distinti in ‘naturali’, quelli cioè che fanno conoscere qualcosa di altro a partire da sé e ‘intenzionali’, quelli che ci si scambia tra gli umani, per manifestare emozioni, sentimenti e pensieri. I segni costitutivi dell’espressione verbale divengono pertanto strumento e mezzo di comunicazione. malgrado agostino non giunga a spiegare esplicitamente il meccanismo mentale per il quale in colui che percepisce il segno si costituisca il significato, riesce tuttavia a collegarlo ai processi mnemonici114, che comprendono le funzioni della conoscenza e consentono l’accesso alla verità115. Percezione e memoria sono quindi le condizioni essenziali e imprescindibili per rendere intellegibile la comunicazione, pur attraverso la convenzionalità di signa e verba, ed innescare le capacità sapienziali che conducono alla verità assoluta, impressa ab aeterno nell’interiorità di ciascuno, la cui anima nel cercare se stessa in realtà non cerca che Dio, evocandone la memoria. ma al santo d’Ippona, che aveva parlato molto della scuola criticandone i metodi e le scelte dei programmi116, interessava 112 2,1 de signis disserens hoc dico, ne quis in eis adtendat, quod sunt, sed potius, quod signa sunt, id est, quod significant. 113 2,1,2 Signorum igitur alia sunt naturalia, alia data. Naturalia sunt, quae sine voluntate atque ullo appetitu significandi praeter se aliquid aliud ex se cognosci faciunt, sicuti est fumus significans ignem. 114 Mag. 1,2 Recte intellegis; simul enim te credo animaduertere, etiamsi quisquam contendat, quamuis nullum edamus sonum, tamen quia ipsa uerba cogitamus, nos intus apud animum loqui, sic quoque locutione, nihil aliud agere quam commemorare, cum memoria cui uerba inhaerent, ea reuoluendo, facit uenire in mentem res ipsas quarum signa sunt uerba. 115 esplicativa a tal proposito l’articolata analisi di PIerettI, Linguaggio e verità interiore nel De magistro, “avgvstinvs” tomus alter, theologica, madrid 1994, 389-99. 116 Cfr. Confessiones, 1,14- …nulla enim verba illa noveram et saevis terroribus ac poenis, ut nossem, instabatur mihi vehementer. Nam et latina ali- 66 trasmettere una paideia pervasa di fede con l’applicazione di una diversa metodica educativa, che, fondata come si è visto sull’antiautoritarismo, inducesse, attraverso l’evocazione del verbo divino, alla ricerca della verità trascendente117, per sostituire con una doctrina Christiana la cultura pagana. Conscio però dell’arricchimento ricevuto da questa sia sotto il profilo letterario con Cicerone, Varrone, Virgilio, sallustio e terenzio, sia sotto il profilo filosofico con aristotele, Platone, Porfirio, Plotino, autori che considerava imprescindibili per la tradizione del sapere, agostino riteneva necessario soprattutto il sapere retorico distinto ma non disgiunto da quello filosofico, senza il quale non sarebbe stato praticabile l’accesso alla teologia. Indagando pertanto sulla metodica educativa e relativa matetica, il santo, nel solco della logica stoica118, precisa che il fine della comunicazione interpersonale attraverso il linguaggio non può che essere o l’insegnamento o l’apprendimento, reso possibile solo mediante il dialogo che si svolge tra colui che interroga e colui che risponde119. quando infans utique nulla noveram et tamen advertendo didici sine ullo metu atque cruciatu inter etiam blandimenta nutricum et ioca adridentium et laetitias alludentium. … hinc satis elucet maiorem habere vim ad discenda ista liberam curiositatem quam meticulosam necessitatem; 17 proponebatur enim mihi negotium animae meae satis inquietum praemio laudis et dedecoris vel plagarum metu, ut dicerem verba Iunonis irascentis et dolentis, quod non posset Italia Teucrorum avertere regem, quae numquam Iunonem dixisse audieram; 18 quid autem mirum, quod in vanitates ita ferebar et a te, deus meus, ibam foras, quando mihi imitandi proponebantur homines, qui aliqua facta sua non mala si cum barbarismo aut soloecismo enuntiarent, reprehensi confundebantur, si autem libidines suas integris et rite consequentibus verbis copiose ornateque narrarent, laudati gloriabantur? 117 si veda in proposito L. rey aLtuNa, La verdad trascendente y la didactica del Agustinismo, “avgvstinvs” tomus alter, theologica, madrid 1994, 431-50. 118 su cui in realtà si fonda il suo pensiero paideutico, come dimostrato da a. traPÉ, Sant’Agostino, Il maestro, Nuova Biblioteca agostiniana, roma 19922 , nell’introduzione, pp. 715-18. 119 Mag. 1,1-3 aug. Quid tibi uidemur efficere uelle cum loquimur? ad. Quantum quidem mihi nunc occurrit aut docere aut discere. aug. Vnum horum uideo et assentior: nam loquendo nos docere uelle manifestum est; di- 67 L’abilità linguistica e comunicativa del docente costituisce qui, e in maniera più netta e profonda che in Quintiliano, la condizione essenziale della paideia, intesa come capacità di educare, fornendo gli elementi per lo sviluppo mentale ed il potenziamento del pensiero degli interlocutori e/o discenti, dotati di un adeguato grado d’interesse e di curiosità. Il sistema primario di mediazione culturale è quindi il linguaggio120, grazie al quale, non solo si può trasmettere il sapere tradizionalmente inteso, ma s’insegna e soprattutto si stimola alla rievocazione, contribuendo all’arricchimento interiore e all’approfondimento intellettuale, entrambi fondamentali oltre che nel processo matetico anche per l’affinamento critico ed estetico. La comunicazione resa possibile dall’uso logico e consequenziale dei segni (semiotica121) e dei significati (semantica) consegue efficacia didattica se fondata sul metodo, inteso come funzione e disciplina mentale, tale cioè da produrre l’apprendimento mnemonico e matetico. Poiché la comunicazione paideutica, pur avvalendosi necessariamente della semiotica, è tuttavia soggetta al rischio che i segni ed il loro insieme non siano rettamente intesi, in quanto non prioritari ai fini della conoscenza nei confronti dei significati, per scere autem quomodo? ad. Quo tandem censes nisi cum interrogamus? L’attualità di questa concezione è dimostrata dal fatto che ad essa si sia richiamato P.k. FeyeraBeND, Dialogo sul metodo, trad. it., Bari 1989. 120 Mag. 1,1,4 At ego puto esse quoddam genus docendi per commemorationem, magnum sane, quod in bac nostra sermocinatione res ipsa indicabit. Sed si tu non arbitraris nos discere cum recordamur nec docere illum qui commemorat, non resisto tibi et duas iam loquendi causas constituo, aut ut doceamus, aut ut commemoremus uel alios uel nos ipsos. 121 Mag. 2,3,6-7 Nimis quidem urges, sed quando non habemus quid significemus, omnino stulte uerbum aliquod promimus; tu autem nunc mecum loquendo credo quod nullum sonum frustra emittis, sed omnibus, quae ore tuo erumpunt signum mihi das ut aliquid intellegam. Quapropter non te oportet istas duas syllabas enuntiare dum loqueris, si per eas non significas quicquam. Si autem uides necessariam per eas enuntiationem fieri nosque doceri uel commoneri, cum auribus insonant, uides etiam profecto quid uelim dicere, sed explicare non possum. 68 innescare la comunicazione occorre l’intelligenza dei concetti indicati dalle parole122. Consequenzialmente, per avviare i processi di apprendimento, i significati sono più importanti dei segni; l’uso, la conoscenza diretta di quanto s’intende designare o trasmettere più di quella dei segni123. Possiamo dire che semiotica e semantica restavano nel pensiero di agostino, ugualmente indispensabili nella comunicazione, come nella didassi, per il fatto che non si può trasmettere nulla senza usare segni e parole, malgrado i limiti della loro funzione124. sotto il profilo psicologico, perché l’apprendimento avvenga occorre, come avverte agostino125, sviluppando il pensiero di Isaia126, che il processo intellettivo e conoscitivo sia anche sostenuto dalla fides, ossia dalla predisposizione a credere in ciò che si desidera conoscere, per averne realmente scienza. si comprende da ciò che il metodo psicagogico, pitagoricamente inteso, consegue efficacia matetica127, solo con la capa- 122 Mag. 8,22,32…sermocinari nos omnino non posse, nisi auditis uerbis ad ea feratur animus quorum ista sunt signa. su quanto ciò sia stato determinante per l’evoluzione del pensiero contemporaneo si veda e. PIaCeNza, El De magistro de san Agustín y la semántica contemporánea, “avgvstinvs” 37, 1992, 45-103. 123 Mag. 9,26,37 …uides profecto, quanto uerba minoris habenda sint quam id propter quod utimur uerbis, cum ipse usus uerborum iam sit uerbis anteponendus: uerba enim sunt ut his utamur; utimur autem his ad docendum. Quanto est igitur melius docere quam loqui, tanto melior est quam uerba locutio. Multo ergo melior doctrina quam uerba. 124 Mag. 11,36,45 uerba… admonent tantum, ut quaeramus res, non exhibent, ut norimus. 125 Mag. 11,37,47 Quod ergo intellego, id etiam credo; at non omne, quod credo, etiam intellego. Omne autem quod intellego, scio: non omne, quod credo, scio. 126 7,9: nisi credideritis, non intellegetis. Questo problema viene però approfondito da agostino nel De utilitate credendi, dove è ripresa un’ argomentazione scettica già delineata da Cicerone, come richiamato da P.G. keNDeFFy, un argument sceptique chez Cicéron et chez Saint Augustin “acta.class.univ.Debr.” 31-1995, 115-24, anche in relazione al De magistro (p.119). 127 Mag. 11,38,47 De uniuersis autem, quae intellegimus, non loquentem, qui personat foris, sed intus ipsi menti praesidentem consulimus ueritatem, uerbis fortasse ut consulamus admoniti. 69 cità di rielaborazione interiore da parte dell’ascoltatore e discente. L’azione intellettiva presuppone però che il pensiero si volga alla “verità interiore”, intus-legere128, e alle immagini conservate dalla memoria129. Il linguaggio, infatti, pur consentendo la comunicazione sul piano verbale, non sarebbe da solo sufficiente ad insegnare, a trasmettere la conoscenza, per il fatto che dalle parole, limitate e condizionate da oggettive difficoltà, sia dell’emittente che del ricevente130, non si potrebbe in realtà apprendere nulla. Pertanto, nella comunicazione occorre ricordare che la comprensione attraverso il linguaggio è sempre soggettiva ed alterabile, anche per l’eventuale disattenzione dell’interlocutore o dell’uditore. Da ciò, secondo agostino, l’impossibilità che si verifichino i processi di apprendimento attraverso il semplice ascolto dell’eloquio131. Per apprendere occorre essenzialmente fides o, meglio ancora, l’intellectus fidei, che consente la penetrazione ermeneutica della verità divina e, mediante un processo anagogico, la contemplazione dell’intelligenza superiore. Gli interlocutori possono quindi soltanto essere stimolati, mediante il dialogo e l’educazione linguistica, all’apprendimento, alla ricerca, alla rievocazione della verità, alla scoperta, allo sviluppo e all’affinamento delle potenzialità interiori 128 simili sul piano etimologico, i termini intellettivo ed interiore, derivati da intus. Per intellego va ricordata l’esplicativa attestazione di Quintiliano, Inst., 10,1,13: Nam et “intellego” et “sentio” et “video” saepe id valent quod “scio”. sull’uso, la presenza e il collegamento a mens e ratio di questi termini in sant’agostino si veda ancora l’accurata indagine di r. FerrI, Mens, ratio e intellectus nei primi dialoghi di agostino, “augustinianum” 38, 1998, 121-156. 129 Mag. 12,39,48 …Ita illas imagines in memoriae penetralibus rerum ante sensarum quaedam documenta gestamus, quae animo contemplantes bona conscientia non mentimur, cum loquimur. 130 Mag. 13,42,51 …facile intellegas non modo non aperiri, uerum etiam occultari animum uerbis. 131 Mag. 13,45,53 sed ecce iam remitto atque concedo, cum uerba eius auditu, cui nota sunt, accepta fuerint, posse illi esse notum de his rebus quas significant loquentem cogitauisse; num ideo etiam, quod nunc quaeritur, utrum uera dixerit, discit? 70 impresse loro ab aeterno, dall’‘intelligenza’ che, nella concezione agostiniana, non solo regola l’universo, ma è condizione essenziale di ogni umano processo cognitivo ed evolutivo. L’ars dicendi atque docendi presuppone quindi nel maestro la capacità psicagogica di educare e di stimolare ai diversi saperi, nel tentativo d’instaurare un rapporto paideutico e matetico diretto e spontaneo, che, aldilà di ogni possibile esemplificazione mediata da un insieme di segni, nel riuscire ad evocare la memoria del sapere, susciti i reattivi mentali dell’apprendimento, come nella conclusione tratta da adeodato, Mag. 14,46,54-55: Ego uero didici admonitione uerborum tuorum, nihil aliud uerbis quam admoneri hominem ut discat, et perparum esse quod per locutionem aliquanta cogitatio loquentis apparet; utrum autem uera dicantur, eum docere solum, qui se intus habitare, cum foris loqueretur, admonuit, in cui è possibile cogliere l’avvenuta metamorfosi della retorica, che da obiettivo primario dell’insegnamento è divenuta mezzo di una paideia permeata della nuova fede. antitetico al relativismo e allo scetticismo del pensiero antico, come ben rilevato dal Wagner132, questo di agostino schiude alla retorica, alla linguistica e alla trasmissione del sapere l’esperienza dell’‘ulteriore’, che trascende la matetica sensibilmente intesa e presuppone un più alto tipo di conoscenza intellegibile, che conduce ad una profonda sapienza e quindi alla felicità mentale. Per comprendere però quale in realtà fosse la concezione maturata da sant’agostino intorno alla sapientia, occorre esaminare quanto successivamente attestato nel De Trinitate, composto come il De doctrina Christiana negli anni tra il 396 e il 400, in una fase cioè più avanzata di ricerca interiore e intellettuale. 132 San Agustín y el escepticismo, “avgvstinvs” 37, 1992, 105-43. 71 richiamandosi alla tradizione neotestamentaria di Paolo (1 Cor. 12,8), pur ritenuta inesaustiva e pertanto integrata da quella veterotestamentaria rinvenuta nel libro di Giobbe (28,28), il santo, nel De Trinitate133. non solo enuclea l’intrinseca differenza esistente tra scientia e sapientia, ma, e soprattutto, evidenzia che alla sfera della sapientia appartiene il presente, ed ancora che oltre alle intellegibiles incorporalesque rationes esistono etiam ipsae utique intellegibiles, non sensibiles, attingibili solo da quegli intelletti, i quali, educati dalle discipline che affinano l’anima, ne affidano il pensiero alla memoria. Per spiegare ciò agostino si avvale dell’ esempio di quel che accade quando si coglie il ritmo di un’armonia, che scorre, ma come immobile, al di fuori del tempo, in una specie di segreto e profondo silenzio, alla quale però riesce di pensare fin quando la si può udire, e nondimeno quanto di ciò ha trattenuto lo spirito, depositandolo nella memoria, lo si potrà evocare con il ricordo e, quand’anche la dimenticanza l’avesse completamente cancellato, farlo divenire conoscenza metodica134. Giunge così al vertice la speculazione paideutica agostiniana che, già anticipata e delineata nel De magistro, ha dischiuso al pensiero successivo una più completa visione delle discipline che attengono alla linguistica e alla retorica e che, se favorite dalla capacità mnemonica e dalla tecnica evocativa del maestro esterno, consentono di riascoltare il magister interiore, senza il quale è impossibile pervenire alla felicitas mentale. 133 12,14,22 Distat tamen ab aeternorum contemplatione actio qua bene utimur temporalibus rebus, et illa sapientiae, haec scientiae deputatur. …sicut et Apostolus loquitur … tamen ubi dicit: Alii quidem datur per Spiritum sermo sapientiae, alii sermo scientiae secundum eumdem Spiritum; haec utique duo sine dubitatione distinguit, licet non ibi explicet quid intersit, et unde possit utrumque dignosci. Verum Scripturarum sanctarum multiplicem copiam scrutatus, invenio scriptum esse in libro Iob, eodem sancto viro loquente: Ecce pietas est sapientia; abstinere autem a malis scientia est. In hac differentia intellegendum est ad contemplationem sapientiam, ad actionem scientiam pertinere. Il testo è della Nuova Biblioteca agostiniana, roma 19872, che lo riprende dall’edizione maurina confrontato con quello del Corpus Christianorum. 134 De trin. 12,14,23 rursus doctrina duce ad id venietur quod penitus exciderat, et sic invenietur ut erat. 72 5. Le metamorFosI DeLLa retorICa Da quest’indagine si può rilevare che nessun mutamento è mai avvenuto all’interno di un programma culturale in modo avulso dalle metamorfosi retorico-linguistiche e dalla speculazione filosofica e neppure in modo autonomo dalle finalità politiche del tempo, ed ancora e soprattutto senza tracciare un fertile solco per gli studi posteriori. In particolare la speculazione di agostino, astraendosi dall’antica normativa retorico-linguistica-grammaticale, riesce a focalizzare, soprattutto nel De magistro, la problematicità insita nel binomio pensiero/linguaggio -e nel corrispettivo semiotica/semantica-, schiudendo un profondo e complesso campo d’indagine agli studi posteriori di linguistica, di semiotica e di metodologia didattica. al centro del problema posto dal santo era la credibilità che, sotto il profilo comunicativo e matetico, si poteva riconoscere al sistema di riflessione linguistica e metalinguistica elaborato dall’antica speculazione filosofica. Ponendo in discussione le acquisizioni della linguistica tradizionale e della logica aristotelica, agostino non solo manifesta profonde perplessità sulla lingua intesa come sicura rappresentazione delle strutture del pensiero, ma sviluppa anche una critica serrata sul valore oggettivo dei significanti e dei significati, fornendo alcuni presupposti per le teorie linguistico-grammaticali di età moderna e contemporanea. Basti vedere che nella seconda metà del ‘600 C. Lancelot e a. arnauld hanno sviluppato un metodo glottodidattico, fondato sulla struttura logica della ragione135, dal quale è scaturita 135 esposto nella Grammaire generale et raisonnée, apparsa nel 1660. 75 l’omologia tra logica e linguaggio e quindi tra giudizio e proposizione. Va ancora ricordato che nei trattati del XVII e XVIII secolo, ispirati soprattutto alla pedagogia di Comenio, teoria e prassi dell’insegnamento linguistico si fondevano in un unico binomio, che solo in tempi a noi più vicini l’applicazione del metodo storico-comparativo136 ha scisso, generando una frattura tra la linguistica intesa come scienza pura e la pratica didattica. In breve, di seguito a ciò, le problematiche attinenti alla teoria della sintassi hanno ceduto il passo alla ricerca incentrata sulla forma delle parole, come suggerito da F. de saussure137, fino a quando L. tesnière138 -secondo cui elemento costitutivo della sintassi era la ‘connessione’ che anima dall’interno l’organizzazione del linguaggio pur senza coincidere necessariamente con la sua morfologia139-, non ha evidenziato quanto fosse prima riduttiva la concezione affatto morfologica della sintassi. La necessità della funzione dei complementi oltre che del soggetto per la comprensione dell’enunciato è stata in seguito dimostrata da h. happ140, che ha perfezionato la concezione e il modello di tesniére, finalizzandolo prevalentemente all’insegnamento e apprendimento della lingua latina. Dopo di lui C.J. Fillmore141, precisando che a generare l’organizzazione profonda della frase è proprio la semantica, ha permesso di cogliere non 136 Per un approfondito ed analitico esame dell’intera questione si veda G. GarBuGINo, Analisi logica, linguistica moderna e didattica del latino, “BollstudLat” 2,1995, soprattutto pp. 588-89. 137 Corso di linguistica generale, trad. it. t. De mauro, roma-Bari 19917, 149 ss. 138 Eléments de syntaxe structurale, Paris 1959, 18 ss. 139 Quanto ciò abbia inciso sulla comprensione delle lingue classiche è stato puntualizzato da CaLBoLI, La linguistica moderna e il latino. I casi, Bologna 19752; Problemi di grammatica latina, “auf. und Nied. Der röm. Welt” II 29,1, Berlin-New york 1983, 1-177. 140 Grundfragen einer Dependenz-Grammatik des Lateinischen,Göttingen 1976, 69 ss. 141 Il caso del caso in Gli universali della teoria linguistica a cura di e.Bach-r.t. harms, torino 1978, 30-130. 76 solo la differenza tra ruoli semantici e argomenti logici, ma anche la polivalenza semantica del soggetto. ovvio che fino a quando si esamina un enunciato o sotto il profilo meramente sintattico o sotto quello esclusivamente semantico non si potrà riuscire a cogliere e a delineare un modello esplicativo dell’organizzazione logica del pensiero. Condizione necessaria sia al funzionamento che alla comprensione di qualsiasi lingua è, come genialmente intuito e precorso da sant’agostino, l’esistenza di relazioni essenziali all’instaurarsi della comunicazione e di uno schema predicativo-argomentale dell’enunciato, rispondente e alla vis logica e alla concezione di un universale linguistico. Ciò permette di comprendere le ragioni per le quali negli attuali studi di linguistica142 la compresenza di emittente/ricevente/referente sia ritenuta contestualmente partecipe all’atto comunicativo e costitutiva, pur se in strutture formali diverse, degli enunciati di qualsiasi lingua, le cui funzioni sono in ogni caso regolate sempre dalla logica, che controlla la corrispondenza della semantica in relazione alla valenza del verbo. N. Chomsky, in particolare143, si è riappropriato del modello tradizionale, prospettando l’idea di un’interazione fra teoria semantica e schema logico, la cui applicabilità al latino, è stata, nel solco tracciato dal Dik, delineata da h. Pinkster144, che ha sviluppato la scala delle funzioni logiche, fornendo un sistema molto avanzato, pur se perfettibile145, di analisi interlinguistica, volta a spiegare e conciliare la polivalenza semantica con gli schemi sintattici. 142 si vedano N.Chomsky, Syntactic Structures, trad.it., Bari 1970, 77 ss; s.C. 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Questi, in grado di decifrare il messaggio paideutico sotteso alla scarna e linguisticamente essenziale precettistica di Catone e di cogliere le necessità didattiche per le quali è sorta l’enciclopedia di Varrone reatino, che considerava146 anche i problemi connessi all’insegnamento delle discipline scientifiche, ritenute allora di secondaria importanza, sapranno leggere nel travaglio speculativo di Cicerone, da cui, passando necessariamente attraverso l’uso linguistico147, è scaturita la prima e grande metamorfosi della retorica. essa ha segnato lo spartiacque tra la teorizzazione, mirata soprattutto a trasmettere un’istruzione tecnico-pragmatica, e quella ispirata dalla sensibilità di un vero maestro, di colui cioè che è capace di suscitare attraverso i reattivi interiori la memoria di un sapere impresso ab aeterno, pur se in continuo divenire. Quest’ultima e più importante metamorfosi di quell’originaria rJhtorikh; tevcnh, che era assurta con aristotele a dignità di scienza, divenendo nel tempo virtuosismo oratorio, funzionale soprattutto alla persuasività, comporta l’inquietante interrogativo circa le finalità politiche e culturali, per le quali l’arte del comunicare possa, specialmente attraverso gli attuali sistemi di diffusione multimediale, essere orientata a catturare l’immaginario collettivo e a sconvolgerne la coscienza del vero, oltreché ad an- nullare il senso critico dell’individuo, inducendolo a mutare le sue opinioni e a operare scelte mistificate, non più dettate cioè dalla sua coscienza o a questa rispondenti. Il pericolo quindi non è da ravvisarsi nell’ uso pur sempre perdurante148 della retorica tradizionalmente intesa, ma in tutto ciò che, sfuggendo alla manualistica, ne prescinde attraverso messaggi subliminali. 148 146 si veda y. LehmaNN, Varron théologien et philosophe romain, Bruxelles, 1997, 369-94; ed ancora ID., Pythagorisme et encyclopédisme chez Varron, actes du collóque, Luxembourg 1998, 81-88. 147 Come attestato nel De oratore (2,4,17; 3,10 e 210-12) e nell’Orator (21,71; 22,73-4) e ben rilevato da CICu, art. cit., soprattutto pp.142-56. 78 si veda G. DI ChIara, Ad faciendam fidem: i contributi narrativi nel processo penale tra ars rhetorica, esperienza forense ciceroniana e diritto probatorio vigente, “Iura” 48, 1997, 77-124; ed ancora P. CeramI, Honeste et libere defendere, “Iura” 49, 1998, 1-24. In entrambi questi studi aleggiano gli exempla di Cicerone e pongono in risalto il continuum che lega rispettivamente il diritto e la deontologia forense di oggi a quella dell’antichità. 79 BIBLIoGraFIa aa.VV., Aspetti della ‘paideia’ di Quintiliano, milano 1990. aa.VV., Dum docent discunt, a cura di G. 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Plebe a., 10, 38. reboul o., 41. rey altuna L., 67. rhys roberts W., 8. riggi C., 61. saussure (de) F., 76. sblendorio Cugusi m.t., 19, 20, 21, 25. sinclair P., 19, 20. syme r., 46. tesnière L., 76. testard m., 62. traglia a., 19 trapé a., 67 Van Fleteren F., 62. Vickers B., 8. Viparelli V., 77. Wagner m.F., 63, 71 Wehr G., 62. Weinrich h., 77. INDeX LoCorum* aristoteles, Economico a 1344a: 10 Politica h 1328b, 1334a: 10 Rhetorica Γ 1403b: 10 augustinus,Confessiones, 1,14-17-18: 66-67 5,10,19: 9 C. Academicos, 3,17,37: 9 De magistro, 1,1-3: 67-68 1,1,4: 68 1,2: 66 2,3,6-7: 68 8,22,32: 69 9,26,37: 69 11,36,45: 69 11,37,47: 69 11,38,47: 69 12,39,48: 70 13,42,51: 70 13,45,53: 70 14,46,54-55: 63, 71 De doctrina Christiana, 2,1: 66 2,1,2: 66 De ordine, 2,13,38: 63 De Trinitate, 12,14,22: 72 12,14,23: 72 * I numeri in corsivo indicano le pagine. 97 Cato, fr.1 Jordan: 23 frr. 14 e 15 Jordan: 20 fr. 95 Peter=42 Malcovati: 22-26 Cicero, Brutus 46: 8 51: 11 61-2: 17 63 e 65: 14, 19 67: 13 68: 19 177: 35 298: 18 Cato, 38: 7 De oratore, 1,53: 31 1,54: 37 1,68-9: 33 1,81: 35 1,94: 39 1,128: 40 1,141: 17 1,142: 35 1,146: 40 1,149-65: 39 1,150: 31, 47 1,157: 41 1,158: 31 1,212-13: 39 1,215: 38 2,4,17: 78 2,5: 35 2,85-6: 41 2,299: 39 3,10 e 210-12: 78 3,15: 46 3,36: 52 3,39: 39 3,59-60: 38 3,216-17: 54 98 3,222: 40 3,220-24: 54 Orator, 21,71: 78 22,73-4: 78 55-60: 54 86: 54 Gellius, 6,3,52: 19 15,11: 45 Giamblicus, De vita Pythagorica: 7 Job, 28,28: 72 horatius, Ars 343: 35 Isaias, 7,9: 69 Paulus, 1 Cor. 12,8: 72 Plato, Meno 91 e: 8 Plautus, Curculio 288-91: 19 Protagoras, frr. 1,3,4,9,10,11,12: 8 Quintilianus, Institutio oratoria, 1, proem. 18-20: 47 1,1,3-5: 49 1,1,12: 47 1,2,15: 49 1,2,18-20: 46 1,2,28: 50 1,3,1-2: 50 1,3,4-5: 50 1,3,6: 50 1,3,15: 49 1,3,17: 49 1,4,1: 47 1,5,1: 51 1,5,7: 51 1,10,32: 55 2,1,7: 51 2,3,7: 50 2,5,5: 51 2,5,23: 51 2,7,2: 54 2,7,5: 54 99 2,8,1: 52 2,8,3: 52 2,8,7: 52 2,8,8: 52 2,8,12: 52 2,8,14: 55 2,9,1: 53 2,10,8: 36 2,11,1: 55 2,12,11: 53 2,13,15: 56 2,19,3: 57 3,1,19: 20 5,13,44: 54 6,3,7: 38 6,5,11: 56 7,10,8: 57 7,10,10: 53 8 proem.,3: 53 10,1,13: 70 10,1,74: 52 10,1,112: 51 10,3,22-23: 57 10,3,28: 57 10,5,20: 49 11,2,40: 47 11,3,9-70: 54 11,3,24: 47 12,1,19: 48 12,5,1: 47 12,10,16: 11 12,11,6: 47 un profondo ringraziamento si esprime al prof. o. Bianco, che credendo nell’utilità di questo saggio ne ha voluto e seguito lo sviluppo con eccellente perizia. * * * si ringraziano inoltre per aver consentito l’accesso ad un esclusivo patrimonio bibliografico, imprescindibile per una seria e approfondita ricerca, la biblioteca Innocenziana di Lecce, la biblioteca del Dipartimento di studi Classici e Cristiani dell’università di Bari, la biblioteca dell’accademia americana di roma. suetonius, Rhet., 1: 45 tacitus, Dialogus, 35: 34 100 101 INDICe Premessa .................................................................................... pag. 7 1. Oratoria e precettistica retorica in Catone............................ ” 15 2. La teorizzazione in Cicerone................................................... ” 29 3. Retorica e pedagogia in Quintiliano ...................................... ” 43 4. Psicagogia e retorica nel De magistro di Sant’Agostino ..... ” 59 5. Le metamorfosi della retorica ....................................... ” 73 Bibliografia ....................................................................... ” 81 Indice degli autori moderni ............................................... ” 95 Index locorum ................................................................... ” 97 103 università di lecce Pubblicazioni del diPartimento di studi storici dal medioevo all'età contemPoranea direttore: bruno Pellegrino 1-34 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 - 22 23 - Saggi e RiceRche: b. Pellegrino-F. gaudioso (a cura di), Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno moderno, 3 voll. (Saggi e Ricerche, I-III). F. ladiana (a cura di), Puglia e Basilicata tra Medioevo ed Età Moderna. (Saggi e Ricerche, IV). c. Perrotta, Produzione e lavoro produttivo nel mercantilismo e nell'illuminismo. (Saggi e Ricerche, V). c. g. centonze - a. de lorenzis - n. caPuto, Visite Pastorali in diocesi di Nardò (1452-1501), a cura di b. vetere. 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