Casi e Questioni
L’immigrazione e le corti
Mr. President and Dr. Trump: La Corte Suprema americana tra
“facial neutrality” e “reasonable observer” standard. Ultima
puntata della saga Travel Ban?
by Simone Penasa
Title: Mr. President and Dr. Trump: US Supreme Court between “facial neutrality” and
“reasonable observer” standard. The last step of Trump’s Travel Ban Saga
Keywords: Travel Ban; US Supreme Court; Migrants.
1. – Nell’ambito del diritto dell’immigrazione, spesso associato a obiettivi di sicurezza
nazionale, l’epoca attuale può essere idealmente rappresentata attraverso l’immagine
dei “muri”, materiali e giuridici, intesi quali strumenti essenziali al fine di governare
il – o reagire al –crescente impatto che i fenomeni migratori stanno esercitando sugli
Stati della Western legal tradition. Gli esempi di tale fenomeno possono essere
molteplici, ciascuno con la propria specificità, dovuta al tipo di flussi migratori ai
quali si tenta di reagire e ai motivi e agli obiettivi che le misure politiche e normative
adottate dagli Stati mirano a raggiungere1 . Tali politiche, tanto nel contesto europeo
quanto in quello statunitense, hanno avuto come effetto indiretto l’acuirsi del
confronto tra potere legislativo ed esecutivo, da un lato, e giudiziario, dall’altro,
conflitto che pare svilupparsi – con reciproci arresti – lungo una duplice direttrice:
una “di contesto”, relativa alla compatibilità con i principi costituzionali delle misure
adottate; l’altra “di sistema”, riguardante la definizione del concreto assetto e delle
reciproche interrelazioni tra poteri.
La sentenza Trump v. Hawaii della Corte Suprema statunitense, adottata il 26
giugno 2018, esprime paradigmaticamente la tendenza appena descritta2. Dopo una
breve descrizione dei principali passaggi argomentativi utilizzati dalla Corte, l’analisi
di tale decisione, che è destinata a orientare – quando non a condizionare – la futura
giurisprudenza della Corte Suprema, si svilupperà alla luce delle direttrici alle quali
ci si è appena riferiti. Sfruttando la divaricazione di prospettive prodottasi all’interno
della Corte Suprema – la sentenza come noto è stata approvata a stretta maggioranza
(5-4) – si opererà un confronto tra due catene argomentative che possono essere
1
Recentemente, M. Fullerton, Borders, Bans, and Courts in the European Union, in Roger Williams
University Law Review, 23, 2, 2018, 393-418.
2 Trump v. Hawaii, 585 U.S. __ (2018).
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ricondotte, rispettivamente, al parametro della “facial neutrality” e a quello del
“reasonable observer”. Sulla prima – la “facial neutrality” dell’atto – si è fondata
l’opinion di maggioranza, redatta da J Roberts, che ha accolto il ricorso presentato
dall’amministrazione Trump e ha di conseguenza eliminato la sospensione su tutto il
territorio nazionale della Proclamation3 adottata dalla Court of Appeals del IX
distretto 4; il secondo parametro, al contrario, ha orientato la dissenting opinion di J
Sotomayor (alla quale ha aderito J Ginsburg), che si discosta dall’opinione di
maggioranza sia rispetto alla legalità dell’atto presidenziale in termini di delegation
clause, sia alla sua legittimità rispetto all’Establishment Clause5. Pertanto, le
opinions alle quali ci si è appena riferiti rispondono a “catene” argomentative
alternative, che trovano fondamento in una diversa ricostruzione tanto della ratio
quanto del contesto politico, giuridico e mediatico nel quale il Travel Ban 3.0 è stato
adottato6.
In una prospettiva “di contesto”, sono due le questioni affrontate dalla Corte
Suprema: sul piano della legalità dell’atto, la violazione dell’Immigration and
Nationality Act (INA), nella parte in cui autorizza il Presidente a sospendere
l’ingresso di cittadini stranieri nel caso in cui ciò sia «detrimental to the interests of
the United States» (U.S.C. §1182(f)), sancendo al contempo che la concessione di un
visto di ingresso non possa essere motivo di discriminazione fondata sulla
cittadinanza della persona richiedente (§ 1152(a)(1)(A)); sul piano della legittimità
costituzionale del medesimo, la violazione dell’Establishment Clause, sulla base di
un’interpretazione della Proclamation quale espressione di un “anti-Muslims
animus”, alla luce del quale i motivi di sicurezza nazionale formalmente dichiarati
non sarebbero altro che pretesti (cfr. la dissenting opinion di J Sotomayor, su cui
diffusamente infra) per giustificare una discriminazione nei confronti dei cittadini
stranieri di religione islamica. Su entrambe le questioni, la linea di frattura delle
opinions di maggioranza e di minoranza (in particolare, Sotomayor) si presenta come
non risolvibile: in una prospettiva “di sistema”, i due percorsi argomentativi
rispondono a concezioni diverse del rapporto tra poteri e, di conseguenza, della
natura della funzione di controllo della quale la Corte Suprema è titolare. Dopo
averle succintamente descritte, si opererà un’analisi critica delle medesime, anche alla
luce della veemente reazione che la sentenza ha provocato all’interno della dottrina
costituzionalistica statunitense.
2. Relativamente al potere di deroga attribuito dall’INA, l’opinione di
maggioranza, sulla base dell’analisi testuale della norma (§ 1182(f)) e della relativa
prassi applicativa, ritiene che al Presidente sia attribuita un’ampia discrezionalità
nell’introdurre restrizioni all’ingresso ulteriori rispetto a quelle previste dallo schema
legislativo, incontrando nel soddisfacimento dell’unica condizione prevista dall’Act –
3
Denominata in dottrina Travel Ban 3.0, cfr. ad esempio M. C. Dorf, What’s Different—And What
Isn’t—About Travel Ban 3.0, in VERDICT. Legal Analysis and Commentary from Justia, 4
ottobre 2017, verdict.justia.com/2017/10/04/whats-different-isnt-travel-ban-3-0.
4 Su cui nella dottrina italiana C. De Santis, La Corte Suprema dà il via libera al Travel Ban versione
3.0, in Diritti Comparati, 1 febbraio 2018.
5 M. C. Locchi, Il “Muslim Ban” del Presidente Trump alla prova dell’Establishment Clause: alcuni
aggiornamenti, in Diritti Comparati, 29 maggio 2017.
6 Per un’analisi aggiornata delle varie versioni del Travel Ban e dei relativi sviluppi
giurisprudenziali: www.lawfareblog.com/topic/travel-ban.
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il fatto che l’ingresso sia lesivo degli interessi nazionali – l’unico limite
espressamente previsto7. Si tratterebbe pertanto di un’ipotesi di delegation of power8,
che deve trovare, anche alla luce dei precedenti della Corte, un’applicazione ampia
quando si trovi ad operare nell’ambito dell’immigrazione e della sicurezza nazionale.
Da tale premessa deriva un atteggiamento di deferenza da parte della Corte
Suprema, la quale si limita a verificare la sussistenza di motivi di sicurezza nazionale
che possano giustificare l’esercizio di potere presidenziale. Relativamente a tale
ultimo aspetto, i giudici di maggioranza chiariscono come la valutazione debba
limitarsi alla legittimità formale dell’atto, nel senso della verifica delle caratteristiche
del processo decisionale concretamente adottato: il fatto che la Proclamation sia il
risultato di una ex ante «comprehensive evaluation», finalizzata a verificare il livello
di conformità degli Stati oggetto di indagine ai parametri definiti nella «information
and risk assessment baseline» (opinion of the Court, 11), è considerata sufficiente, a
fronte di un testo legislativo che chiaramente attribuisce un ampio potere
discrezionale al Presidente. La legalità dell’atto è ulteriormente rafforzata
dall’evoluzione che il Travel Ban ha avuto nel corso del tempo, in quanto la
Proclamation, rispetto alle precedenti versioni, risulta chiarire in modo più
dettagliato gli elementi di fatto che ne hanno giustificato l’adozione (Ivi, 12).
L’attenzione esclusiva riservata alla legalità procedurale dell’atto, che rappresenta
una conseguenza necessaria della prospettiva deferente assunta, consente di
valorizzare la presenza di elementi che richiedono alle competenti agenzie un
monitoraggio avente ad oggetto il livello di compliance raggiunto dagli Stati oggetto
di osservazione, prevedendo in tal senso la trasmissione al Presidente di un report
periodico (180 giorni). Il Presidente non ha pertanto esercitato in modo illegittimo il
potere attribuito dal §1182(f) dell’INA, in quanto quest’ultimo – se «fairly read» –
attribuisce l’autorità di imporre limiti di ingresso ulteriori a quelli previsti a livello
legislativo, in particolare quando – sulla base di una esaustiva valutazione preventiva
– ciò sia reso necessario al fine di tutelare interessi nazionali (Ivi, 18).
L’approccio della maggioranza della Corte Suprema rispetto al fondamento
giuridico del potere presidenziale sembra richiamare il modello «two-principals»9,
alternativo al modello del «faithful agent» del Congresso all’interno della dottrina
della «de facto delegation», che contribuisce a razionalizzare i rapporti reciproci tra
Congresso e Presidente nell’ambito della disciplina dell’immigrazione. Secondo il
modello «two-principals», il Presidente sarebbe titolare di un ambito proprio di
intervento discrezionale, in un rapporto non di sostituto ma di «policymaking
counterpart» del Congresso10. Non si tratterebbe meramente di un mero
trasferimento di potere verso l’esecutivo, quanto di uno schema di produzione e
attuazione normativa finalizzato a ridurre la distanza rinvenibile tra la «law on the
7 Secondo la Corte, «It [§1182(f)] entrusts to the President the decision whethwer and when
suspend entry (…); whose entry to suspend (…); for how long (…); and on what consitions (…)»,
pp. 10-11.
8 Sull’applicabilità della distinzione tra congressional and de facto delegation, P. Margulies,
Trump’s Travel Ban at the Supreme Court: Deference Joined by Nudges Toward Civility, in
Lawfareblog.com, 26 giugno 2018.
9 A. B. Cox, C. M. Rodríguez, The President and Immigration Law Redux, in The Yale Law Journal,
125, 1, 2015, 110.
10 Ivi, 159-160.
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books» e la «reality on the ground»11, all’interno del quale i diversi poteri reagiscono
alle reciproche scelte normative12. Tale modello è destinato inevitabilmente a
produrre uno spostamento della «policymaking gravity» verso l’esecutivo13.
Tuttavia, secondo la richiamata teoria, il riconoscimento di una necessaria
inte(g)razione tra produzione legislativa e attuazione amministrativa non
comporterebbe una assoluta assenza di scrutinio relativamente alle scelte operate dal
Presidente14: tale chiarimento appare ancor più opportuno, se si considera che gli
Autori della teoria descritta si sono espressi in modo fortemente critico rispetto alle
scelte operate dalla maggioranza della Corte Suprema nel caso Hawaii, sia con
riguardo alla scelta di riferirsi alla «plenary power doctrine»15 sia in ordine alla scelta
di applicare uno standard di giudizio particolarmente debole, il «rational basis
review».
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2.1. L’atteggiamento deferente assunto dalla Corte Suprema ha suscitato forti
reazioni critiche all’interno della dottrina costituzionalistica statunitense, la quale ha
evidenziato la presenza a più livelli di debolezze argomentative all’interno del
reasoning della opinione di maggioranza.
A differenza di quanto sostenuto dalla Corte Suprema, la Declaration sarebbe
viziata da eccesso di potere rispetto all’ampiezza della delega prevista a livello
legislativo. La Corte Suprema avrebbe interpretato in modo eccessivamente ampio
l’attribuzione di potere derogatorio previsto dal già richiamato §1182(f): quest’ultimo
sarebbe destinato a svolgere una funzione più circoscritta, se interpretato in modo
sistematico alla luce dell’impianto complessivo dell’INA16. A sostegno di questa tesi,
viene richiamata la funzione attuativa attribuita dall’INA direttamente agli agenti
consolari all’interno del procedimento di emanazione dei visti di ingresso, dovendosi
pertanto garantire loro un margine di discrezionalità adeguato. Se il potere
presidenziale in materia dovesse essere interpretato, come avvenuto nell’opinione di
maggioranza, in senso assoluto, inevitabilmente si priverebbe di effettività la
funzione, riconosciuta agli agenti consolari dall’INA se intrepretato in modo
sistematico, di gestire l’incertezza che è intrinsecamente connessa alla valutazione
delle singole richieste di visto e di adottare le decisioni più adeguate al caso17.
Un siffatto approccio ha condotto la Corte, secondo tale filone dottrinale, ad
assumere un atteggiamento di «uncritical deference»18, ulteriormente rafforzato (o
indebolito, in termini di coerenza dell’argomentazione, secondo i commentatori più
critici) dalla scelta di intrepretare “in isolation” la norma che autorizza il Presidente
ad esercitare il proprio potere derogatorio (Ivi, 40), rinunciando a una sua
interpretazione sistematica, capace di valorizzare ad esempio quelle disposizioni che
11
Ivi, 131.
Ivi, 162.
13 Ibidem.
14 Ivi, 224.
15 A. Cox, R. Goodman, C. Rodríguez, The Radical Supreme Court Travel Ban Opinion–But why it
might not apply to other immigrants’ rights cases, in www.justsecurity.org, 27 giugno 2018.
16 P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory Context
Seriously, in Roger Williams Univ. Legal Studies Paper No. 183, 24 agosto 2018,
ssrn.com/abstract=323808740.
17 Ivi, 39.
18 Ivi, 25.
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vietano di discriminare le persone che fanno domanda di visto di ingresso per motivi
fondati sulla loro nazionalità (su cui subito infra). Se interpretato alla luce della legge
“as a whole”, il potere attribuito al Presidente dal §1182(f) andrebbe inteso in senso
limitato, assumendo una natura “interstiziale”, in quanto andrebbe concepito – a
differenza della accezione “broad” e sostanzialmente illimitata attribuitagli dalla
opinione di maggioranza – in funzione integratrice e non usurpatrice («supplanting»)
della procedura di visto ordinaria19.
La posizione richiamata coincide sostanzialmente con quanto affermato dalla
District Court del IX Circuit, secondo la quale l’attribuzione di un potere derogatorio
assoluto al Presidente avrebbe posto rilevanti questioni in termini di separazione di
poteri20. Tuttavia, in dottrina, si è rilevato come la posizione richiamata avrebbe
potuto difficilmente trovare accoglimento davanti alla Corte Suprema, dal momento
che – come peraltro riconosciuto esplicitamente nell’opinion di maggioranza – il
testo della disposizione in oggetto non contiene alcun riferimento a limiti specifici al
potere presidenziale, salvo il fatto che l’ingresso risulti «detrimental to the interests
of the United States»21; inoltre, in materia di immigrazione e di sicurezza nazionale,
le scelte discrezionali operate dall’esecutivo non risultano scrutinabili nel merito, alla
luce della plenary power doctrine22.
Il filo conduttore di tali critiche è rappresentato da una competizione tra
concezioni del rapporto tra poteri e in ultima analisi della funzione della Corte
Suprema quale equalizzatore di tale rapporto: tanto il dato legislativo
(interpretazione letterale o sistematica) quanto i precedenti giurisprudenziali
sembrano offrire elementi utili a giustificare letture molto diverse, addirittura
opposte, come del resto certificato significativamente dalla spaccatura interna alla
Corte. La scelta tra esercizio legittimo o illegittimo di un potere derogatorio sembra
correre, come anticipato in apertura, lungo la direttrice che tiene assieme la decisione
del caso concreto, con le sue potenzialmente drammatiche ripercussioni in termini di
tutela dei diritti delle persone coinvolte dall’applicazione della Declaration, e i suoi
effetti in termini di equilibrio tra poteri. Tale ultima dimensione è stata identificata
con l’immagine del potenziale duplice «structural spillover» provocato dalla
sentenza: da un lato, quello che la opinion di maggioranza ha voluto scongiurare,
rappresentato da «the danger that a judicial decision against the Executive or
Congress could impair the effective performance of the political branches in the roles
that the Framers envisioned»; dall’altro lato, ciò che la medesima opinion, se
intrepretata quale esempio di «undue deference», potrebbe indirettamente provocare,
indebolendo «the court’s distinctive virtues of “judgment”, “moderation” and
independence”»23. Nel far prevalere l’esigenza di evitare la prima deriva, l’opinion di
maggioranza si è fondata su un’applicazione ampia della plenary power doctrine,
19
Ivi, 40.
J. Weinberg, The Travel Ban – What You Need to Know, in Michigan International Lawyer #1, 2
marzo 2018, ssrn.com/abstract=3206309, 5.
21 Ibidem.
22 E. M. Maltz, The Constitution and the Trump Travel Ban, in Lewis & Clark Law Review, in corso
di pubblicazione, 23 marzo 2018, ssrn.com/abstract=3148137, 4; cfr. anche A. Cox, R. Goodman,
C. Rodríguez, The Radical Supreme Court Travel Ban Opinion–But why it might not apply to other
immigrants’ rights cases, cit., che rilevano una discontinuità applicativa di tale dottrina rispetto alla
giurisprudenza precedente.
23 P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory Context
Seriously, cit., 1.
20
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mediante la scelta di un’interpretazione letterale della base legislativa (§1182(f)) che
autorizza il potere presidenziale.
Tale approccio, basato sulla valorizzazione estrema del dato testuale, consente
ai giudici di maggioranza di superare il teorico scoglio rappresentato dal divieto di
discriminare sulla base della nazionalità i richiedenti un visto di ingresso, previsto
dal §1152. Le garanzie previste da quest’ultimo, infatti, non si applicherebbero alle
condizioni generali di ammissibilità (la fase di eligibility), la quale opererebbe in una
sfera diversa rispetto alla successiva fase di valutazione delle condizioni di effettiva
ammissibilità (admissibility/visa issuance): esclusivamente durante quest’ultima,
pertanto, trova applicazione la tutela antidiscriminatoria prevista dal §1152 (p. 22).
In dottrina, tale distinzione è stata criticata in quanto eccessivamente
“formalistica”24, comportando uno svuotamento sostanziale delle finalità di
protezione nei confronti di discriminazioni fondate sulla cittadinanza del richiedente,
senza peraltro considerare che la prassi applicativa dimostra come le due fasi –
eligibility e admissibility – generalmente sono svolte contestualmente dalle
medesime autorità consolari25. I due momenti dovrebbero pertanto essere considerati
fasi necessariamente correlate, provocando qualsiasi altra interpretazione la “nullità”
sostanziale («nullity») della garanzia prevista dal §115226.
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3. Se rispetto ai rilievi fondati sulla carenza di fondamento legislativo dell’atto
presidenziale la Corte Suprema ha fatto prevalere un approccio deferente, ciò sembra
essere avvenuto anche relativamente alla legittimità costituzionale rispetto alla
Establishment Clause: la mancata attribuzione di rilevanza giuridica alle
dichiarazioni del Presidente Trump, caratterizzate da un evidente spirito “antiMuslim”27 ma non richiamate tra le motivazioni enunciate nell’atto, rappresenta
l’elemento che ha orientato in modo decisivo l’opinion di maggioranza sul punto. Al
contrario, la dissenting opinion di J Sotomayor propende per una lettura delle finalità
dell’atto alla luce delle dichiarazioni del Presidente Trump, le quali renderebbero
evidente ad un «reasonable observer» che i motivi reali di ostilità (animus) nei
confronti della religione islamica e dei suoi appartenenti vengono camuffati dietro la
facciata di motivi connessi alla sicurezza pubblica formalmente enunciati (J
Sotomayor, dissenting, 1).
Pertanto, se per la maggioranza il testo della Proclamation rispetterebbe il
parametro della facial neutrality e della bona fide, legittimando uno scrutinio debole
fondato sullo standard del rational basis test (opinion of the court, 32), nella
dissenting opinion di J Sotomayor le finalità formalmente enunciate dall’atto
presidenziale andrebbero in realtà valutate alla luce del contesto dal quale hanno
avuto origine28: assumendo tale seconda prospettiva, l’atto risulterebbe illegittimo, in
24
«worst sort of formalism», J. Weinberg, The Travel Ban – What You Need to Know, cit., 6.
Ancora P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory
Context Seriously, cit., 47, che critica il fatto che la «majority’s mechanistic distinction ignores this
ground truth of immigration practice».
26 J. Weinberg, The Travel Ban – What You Need to Know, cit., 6.
27 Spirito che gli stessi giudici di maggioranza sembrano riconoscere: R. Primus, No, the Supreme
Court Won’t Stop a Runaway President, in www.politico.com, 26 giugno 2018.
28 Sembra suggerire tale approccio anche E. Abdelkader, The Muslim Ban and Separation of Powers
Doctrine
in
Trump’s
America,
1
agosto
2018,
8,
://www.ohchr.org/Documents/Issues/Racism/SR/NationalityImmigration/EngyAbdelkader_J
D_LLM.pdf, la quale ritiene particolarmente rilevante in relazione proprio al contesto del Travel
25
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violazione dell’Establishment Clause, in quanto a fronte delle reiterate dichiarazioni
di Trump un «reasonable observer would readily conclude that the Proclamation was
motivated by hostility and animus toward the Muslim faith» (J Sotomayor,
dissenting, 4).
La dottrina che ha commentato la sentenza non appare concorde sul punto,
anche se prevale una tendenza a riconoscere la rilevanza del contenuto delle
dichiarazioni all’interno del giudizio di costituzionalità, quanto meno quale prova
funzionale a ricostruire l’effettivo intento del Presidente29, pur riconoscendo che
storicamente i giudici della Corte sono stati riluttanti a rinvenire una «invidious
motivation» da parte del Governo federale in casi in cui la legittimità costituzionale
era in gioco30. Se, pertanto, i precedenti giurisprudenziali non paiono precludere il
riconoscimento del rilievo giuridico delle dichiarazioni del Presidente, in quanto
finalizzate a chiarire le effettive motivazioni dell’atto ed eventualmente a escludere la
bona fide delle medesime (Ibidem), non appare al contempo ricavabile da essi un
obbligo di tenerne conto, considerando in particolare l’ambito di azione dell’atto
(sicurezza nazionale e immigrazione31.
Al fine di comprendere in modo pieno la centralità di tale valutazione, non solo
ai fini della decisione del caso ma anche dell’atteggiamento futuro della Corte
rispetto alle scelte discrezionali compiute dall’amministrazione Trump, appare
opportuno soffermarsi sulle linee argomentative seguite dalla maggioranza e nella
dissenting opinion di J Sotomayor.
3.1. Come anticipato, il ricorso avverso la Proclamation sulla base della
violazione dell’Establishment Clause si fonda sulla identificazione di un religious
animus quale ragione giustificativa effettiva dell’atto presidenziale; di conseguenza, le
finalità formalmente enunciate – una maggiore efficienza delle procedure di ingresso
e motivi di sicurezza nazionale – non sarebbero altro che “pretesti” per discriminare
gli appartenenti alla religione islamica (p. 27).
L’opinion di maggioranza riconosce espressamente che il rilievo attribuito alle
dichiarazioni del Presidente risulta decisivo, specificando però la natura “facially
neutral” dell’atto e il tradizionale atteggiamento deferente adottato dalla Corte nel
valutare le decisioni assunte dal Governo in materia di immigrazione. J Roberts
ritiene pertanto che, considerato che alla materia dell’immigrazione si affianca la
rilevanza in termini di sicurezza nazionale, sia necessario applicare in modo
“convenzionale” lo standard individuato in Mandel (3032).
Ban il “Lemon test”, Lemon v. Kurtzman, 403 U.S. 602 (1971), secondo cui la Corte deve valutare
«both direct and circumstantial evidence», incluse eventuali dichiarazioni rilasciate dai
responsabili dell’atto.
29 K. Shaw, Speech, Intent, and the President, in Cornell Law Review, 104, 20 giugno 2018, in corso di
pubblicazione, ssrn.com/abstract=3200695, 50.
30 J. Weinberg, The Travel Ban – What You Need to Know, cit., 4.
31 E. M. Maltz, The Constitution and the Trump Travel Ban, cit., 7, ritiene che «the claim that the
travel ban should be found unconstitutional based on evidence of the subjective intentions of
President Trump is inconsistent with the basic premises that are embodied in the plenary power
doctrine itself».
32 Ivi, 6, in cui si ricorda come «In the cases where class-based distinctions on immigration have
been challenged, the Supreme Court has uniformly refused to impose any constitutional
restrictions on the authority of the other branches of the federal government to adopt such
measures».
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Da ciò la Corte Suprema deriva la necessità di applicare un «deferential
standard of review», che individua nel rational basis test. Al fine di soddisfare tale
parametro, è sufficiente che l’atto individui formalmente una giustificazione
indipendente dai presunti motivi di incostituzionalità: a giudizio della maggioranza
dei giudici, sussiste una “persuasive evidence” che i limiti all’ingresso introdotti
dall’atto presidenziale abbiano un legittimo fondamento in motivi di sicurezza
nazionale, che costituiscono una giustificazione indipendente da eventuali motivi di
ostilità religiosa, dei quali il testo dell’atto non fa riferimento alcuno (34). Le
caratteristiche del processo decisionale adottato confermerebbero questa valutazione:
discostandosi in modo significativo dalle precedenti versioni del Travel Ban, la
Proclamation è infatti il risultato di un’inchiesta svolta a livello mondiale, condotta
da una pluralità di agenzie governative, che ha avuto ad oggetto diversi Stati
“sospetti” alla luce dei parametri precedentemente individuati dall’amministrazione
Trump e che ha dimostrato come le determinazioni prese riguardo ai diversi Stati
fossero giustificate dal livello di compliance di ciascuno di essi rispetto agli standard di
trasparenza, collaborazione e sicurezza previsti.
Inoltre, la Corte, coerentemente con la natura e la (limitata) pervasività dello
scrutinio richiesto dal rational basis test33, ritiene di non essere legittimata a svolgere
un controllo di adeguatezza e proporzionalità delle misure previste, come proposto
da J Sotomayor e da parte della dottrina che ha commentato la decisione34. In questo
passaggio argomentativo si esprime con chiarezza la scelta di adeguarsi alla political
question doctrine: l’opinion afferma espressamente che «we [i giudici della Corte
Suprema] cannot substitute our own assessment for the Executive’s predictive
judgments on such matters, all of which “are delicate, complex, and involve large
elements of prophecy”» (35). Questo sembra essere un ulteriore punto di frattura
rispetto alla ricostruzione delle finalità della Proclamation proposto da J Sotomayor,
che esprime una netta difformità nell’intendere la funzione della Corte Suprema quale
garante della constitutional supremacy anche nei confronti di atti altamente
discrezionali dell’esecutivo35.
Su tale presupposto, J Sotomayor propone una interpretazione alternativa di
tutti gli snodi argomentativi della opinion di maggioranza. In particolare, se
quest’ultima opta per una rigida distinzione tra dichiarazioni effettuate da uno
specifico Presidente e autorità rappresentata dalla Presidenza in quanto istituzione,
relegando il primo ad una sfera meramente “morale” priva di rilievo all’interno del
controllo di costituzionalità, la dissenting opinion ritiene tale distinzione non
percorribile. Rilevata l’insussistenza di adeguati elementi di fatto che possano
supportare le esigenze di sicurezza nazionale formalmente richiamate36, l’atto non
troverebbe altra spiegazione che in un «anti-Muslim animus», quale emerge in modo
33
Critici sull’utilizzo di questo parametro nell’ambito dell’antidiscriminazione A. Cox, R.
Goodman, C. Rodríguez, The Radical Supreme Court Travel Ban Opinion–But why it might not apply
to other immigrants’ rights cases, cit.
34 P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory Context
Seriously, cit., 19, secondo cui il Travel ban sarebbe «unfit» in base al Cleburne means-end test.
35 «Our Constitution demands, and our country deserves, a Judiciary willing to hold the
coordinate branches to account when they defy our most sacred legal commitments», J Stomayor,
28; di contro, J Kennedy nella sua concurring opinion ha affermato che «no every
unconstitutional action has a judicial remedy».
36 Secondo J Sotomayor «(…) Proclamation is divorced from any factual context from which we
could discern a relationship to legitimate state interests», 16.
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inequivocabile dalle reiterate dichiarazioni del Presidente Trump. A differenza di
quanto concluso dalla maggioranza, non sarebbe pertanto possibile individuare
alcuna motivazione alternativa in grado di giustificare in modo plausibile (J
Sotomayor, dissenting, 17) i limiti all’ingresso introdotti dalla Proclamation e di
superare di conseguenza la «clear connection» tra quest’ultima e le dichiarazioni del
Presidente (18). In riferimento alla scelta di optare per lo standard della mera
plausibilità della motivazione, è stato rilevato come ciò costituisca un distacco
rispetto alla giurisprudenza precedente, secondo la quale la Corte Suprema non
avrebbe mai giustificato una politica in materia di immigrazione manifestamente
discriminatoria su base religiosa, nel caso in cui ciò risultasse palesemente
incostituzionale nel periodo storico di riferimento37.
A sancire in modo simbolico la assoluta inconciliabilità tra le due traiettorie
argomentative descritte, occorre sottolineare che gli elementi richiamati dalla
maggioranza al fine di rafforzare la propria decisione – in particolare la previsione di
significative eccezioni alla sospensione dell’ingresso in favore di numerose categorie
di cittadini stranieri (ad esempio i rifugiati) e di un sistema di eccezioni individuali da
valutare caso per caso alla luce di una serie di parametri predeterminati38 – vengono
da J Sotomayor qualificati come meri pretesti («sham», J Sotomayor, dissenting, 22).
L’applicazione del meccanismo di eccezione sarebbe infatti sostanzialmente impedito,
da un lato, dalla natura «ad hoc, discretionary, and seemingly arbitrary» della
procedura alla frontiera; e, dall’altro, dalle caratteristiche della prassi applicativa, che
si dimostra essere molto diversa da quella prevista dalla Proclamation e che viene
condotta secondo modalità non ordinarie39.
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4. La contrapposizione tra i parametri della «facial neutrality» e del
«reasonable observer» sembra spostarsi inevitabilmente da un livello “di contesto”,
corrispondente al giudizio relativo alla legittimità dell’atto, a un livello “di sistema”,
che coinvolge le dinamiche tra i poteri nonché la natura della funzione e l’ambito dei
poteri della Corte Suprema. L’approccio rigidamente deferente della maggioranza
potrebbe contribuire a orientare, considerata anche la rilevanza giuridica, politica e
mediatica della “saga” Travel Ban, le future linee di sviluppo della giurisprudenza
della Corte Suprema: a fronte di un progressivo consolidamento del modello «twoprincipals» quale criterio di modulazione dei rapporti tra esecutivo e legislativo40, e a
un corrispondente spostamento della «policymaking gravity» verso il primo,
un’applicazione debole dei poteri della Corte potrebbe correre il rischio di alterare il
seppur dinamico equilibrio tra poteri fondato sul principio dei checks and balances
(cfr. J Sotomayor). Tale rischio viene percepito anche all’interno della dottrina
statunitense, all’interno della quale si è sottolineato il rischio – richiamato in
37 A. Cox, Why a Muslim Ban is Likely to be Held Unconstitutional: The Myth of Unconstrained
Immigration Power, in Justsecurity.org, 30 gennaio 2017, il quale riconosce come la plenary power
doctrine non trovi un’applicazione sempre coerente e prevedibile.
38 Ciò è previsto nel caso in cui il diniego provochi disagi sproporzionati; l’ingresso non
costituisca una minaccia per la sicurezza pubblica; l’ingresso sia nell’interesse degli Stati Uniti,
37.
39 Cfr. la dissenting opinion di J Breyer.
40 D. S. Rubenstein, Taking Care of the Rule of Law, in George Washington Law Review, 86, 1, 146,
ssrn.com/abstract=3067131.
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precedenza – di uno «structural spillover»41 derivante da un atteggiamento
giurisprudenziale eccessivamente deferente, il quale verrebbe a privare il sistema dei
poteri di un necessario fattore di bilanciamento.
Lette attraverso i precedenti, le due impostazioni sembrano attribuire
accezioni diverse al principio enunciato (significativamente, proprio da J Kennedy) in
Boumedine v. Bush, secondo cui la Corte Suprema – pur essendo chiamata ad
astenersi da questioni riguardanti la sovranità nazionale, in quanto spetta agli organi
politici effettuare le necessarie scelte discrezionali – non può in ogni caso «To hold
the political branches have the power to switch the Constitution on or off at will»:
quest’ultima eventualità provocherebbe infatti un’anomalia all’interno di un sistema
di governo basato sulla tripartizione dei poteri, «leading to a regime in which
Congress and the President, not this Court, say “what the law is”»42.
Dalla sentenza in esame sembra emergere una interpretazione debole del
precedente richiamato, venendosi a identificare uno spazio di esercizio di
discrezionalità politica, potenzialmente in grado di incidere in modo indebito su
principi costituzionali fondamentali, rispetto al quale non è possibile attivare la
funzione di controllo tipicamente attribuita alla Corte Suprema (cfr. la concurring
opinion di J Kennedy): parafrasando quanto affermato dalla Corte costituzionale
italiana nella sentenza n. 1 del 2014, la sentenza in commento sembra avere creato
«una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito
strettamente connesso con l’assetto democratico», dilatando in modo significativo il
tradizionale ambito di applicazione della political question doctrine e rischiando di
conseguenza di determinare «un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale
complessivamente considerato» (è rinvenibile un’analogia nelle considerazioni
conclusive di J Sotomayor).
Anche l’attenzione con la quale l’opinion di maggioranza distingue tra
condanna morale – secondo alcuni rinvenibile sottotraccia nelle parole di J Roberts –
delle dichiarazioni di Trump e illegittimità di un atto emanato dal Presidente, inteso
quale potere43, finalizzata in una prospettiva “di contesto” a rafforzare la
discrezionalità del secondo in ambiti politicamente centrali (immigrazione, sicurezza
nazionale), può, se calata in una prospettiva “di sistema”, contribuire a rafforzare
quanto meno l’apparenza di un arretramento dell’ambito di controllo della Corte
Suprema44. Ciò potrebbe attivare un processo graduale di riduzione della legittimità
costituzionale nella alla legalità formale, quando l’autorità dell’esecutivo venga
esercitata in materie che riguardano il nucleo forte dell’indirizzo politico di
41 P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory Context
Seriously, cit., 1.
42 Boumedine v. Bush, 553 U.S. 723, 765 (2008), 35-36 («Abstaining from questions involving
formal sovereignty and territorial governance is one thing. To hold the political branches have
the power to switch the Constitution on or off at will is quite another. The former position
reflects this Court’s recognition that certain matters requiring political judgments are best left to
the political branches. The latter would permit a striking anomaly in our tripartite system of
government, leading to a regime in which Congress and the President, not this Court, say “what
the law is.” Marbury v. Madison, 1 Cranch 137, 177 (1803)»).
43 Critici sul punto A. Cox, R. Goodman, C. Rodríguez, The Radical Supreme Court Travel Ban
Opinion–But why it might not apply to other immigrants’ rights cases, cit.
44 Secondo R. Primus, No, the Supreme Court Won’t Stop a Runaway President, cit., «the larger
lesson of today’s decision may be about the limited role that the judiciary will play in checking
the power of a dangerous president».
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un’amministrazione e dell’esercizio delle funzioni fondamentali di un ordinamento
statale.
Al fine di scongiurare tale deriva, la Corte avrebbe potuto dichiarare illegittimo
l’atto per incompatibilità con il quadro legislativo considerato nel suo complesso,
senza attivare lo strumento del controllo di costituzionalità, in modo da lasciare agli
organi politici un adeguato spazio «to tailor their approaches without the rigidity of
a constitutional rule»45. È stata inoltre proposta una lettura “riduttiva” della portata
dei principi enunciati nella sentenza, secondo la quale la eccezionale deferenza
dimostrata dalla Corte sarebbe riservata esclusivamente ad un determinato tipo di
casi – relativi alla politica di immigrazione connessi alla sicurezza nazionale –
risultando di conseguenza irrilevante in altri ambiti, anche quando aventi ad oggetti i
diritti dei cittadini stranieri46. Una soluzione intermedia, nell’ottica della
salvaguardia dell’equilibrio tra poteri senza al contempo sacrificare eccessivamente
gli effetti prodotti dall’applicazione della separation of power doctrine, si sarebbe
potuta trovare nella dichiarazione di illegittimità della Proclamation per violazione
dell’ambito della delega attribuita dal Congresso attraverso il §1182(f) dell’INA,
intrepretata non «in isolation», senza pertanto attivare il canale della illegittimità
costituzionale sulla base dell’Establishment Clause47.
5. In conclusione, una valutazione prospettica degli effetti prodotti dalla
sentenza e dagli snodi argomentativi analizzati sembra confermare la duplice natura
di questi ultimi.
In termini di “contesto”, in dottrina è stato evidenziato l’impatto negativo che
l’entrata in vigore del Travel Ban ha prodotto non solo sulle categorie di individui
oggetto della sospensione, ma anche di quelle potenzialmente beneficiarie di
meccanismi di deroga rispetto al blocco introdotto. Occorre sottolineare a tal
riguardo che J Breyer (dissenting opinion) individua quale condizione di legittimità
dell’atto l’effettiva applicazione “as written” del sistema di esenzioni ed eccezioni
previste dal medesimo (2), concludendo come alla luce della prassi applicativa e delle
statistiche a disposizione essa non possa dirsi soddisfatta (3). Le statistiche relative ai
richiedenti asilo e rifugiati provenienti dai Paesi interessati dal Travel Ban rilevano
in tal senso che il numero delle richieste di ingresso negli Stati Uniti è diminuito in
modo significativo48 – effetti di analoga natura anche rispetto alla categoria,
formalmente esentata dalla Proclamation, delle persone che fanno richiesta di
ingresso per motivi di ricongiungimento familiare. Questa tendenza, se confermata,
potrebbe certamente indebolire alcuni degli elementi che hanno contribuito in modo
decisivo a orientare la maggioranza della Corte: la presenza di un meccanismo di
esenzioni o eccezioni, da valutare caso per caso (36-37), viene infatti richiamato quale
45 P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory Context
Seriously, cit., 2.
46 A. Cox, R. Goodman, C. Rodríguez, The Radical Supreme Court Travel Ban Opinion–But why it
might not apply to other immigrants’ rights cases, cit.
47 P. Margulies, The Travel Ban Decision and the Twilight of Judicial Craft: Taking Statutory Context
Seriously, cit., 24.
48 R. Aldana, The travel ban in numbers: Why families and refugees lose big, in The Conversation, 11
luglio 2018, theconversation.com/the-travel-ban-in-numbers-why-families-and-refugees-losebig-99064) e che si potranno avere – alla luce del rapporto rispetto al numero totale di ingressi
(23.000 su un totale di 38.000 nel 2016.
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aspetto ulteriore che sostiene la rivendicazione dell’esecutivo di legittimi motivi di
sicurezza nazionale. La prassi attuativa adottata dalle autorità consolari, anche alla
luce della guidance emanata dall’amministrazione Trump49, risulta pertanto decisiva
anche al fine di valutare gli effetti futuri della sentenza.
Se, come paventato in dottrina, la Proclamation ha avuto l’effetto di ridurre lo
spazio di valutazione discrezionale attribuito dall’INA alle autorità consolari,
trasferendolo nella piena disponibilità del Presidente, un eventuale svuotamento delle
garanzie previste durante la procedura di ingresso dalla Proclamation potrebbe
riaprire la questione della compatibilità dell’atto con il quadro tanto legislativo
quanto costituzionale (Establishment Clause).
In tal senso, ulteriori episodi della “saga” Travel Ban non sembrano costituire
un’ipotesi remota. La Corte Suprema, decidendo nel merito della questione, potrebbe
avere implicitamente lasciato uno spazio aperto a futuri ricorsi aventi ad oggetto la
legittimità delle politiche adottate dalle autorità di frontiera. L’asse si trasferirebbe in
tal caso dalla legittimità ex se dell’atto a quella della sua attuazione, potendosi
ipotizzare – pur tenendo conto che anche in tal caso alle autorità competenti è
generalmente attribuita un’ampia discrezionalità («doctrine of consular
nonreviewability»50) – l’attivazione di rilievi di natura procedurale o l’assenza di
rimedi adeguati a fronte del mancato rispetto nel caso concreto delle garanzie
procedurali previste a livello normativo, come ad esempio la garanzia del diritto di
presentare elementi rilevanti per l’adozione del provvedimento.
La soluzione alternativa proposta da J Breyer (dissenting opinion, 8) di rinviare
il caso alla District Court competente, mantenendo gli effetti della ordinanza
restrittiva (injunction) nei confronti della Proclamation nelle more della decisione,
avrebbe consentito lo svolgimento di ulteriori indagini finalizzate alla valutazione
della effettiva attuazione del sistema predisposto dall’atto presidenziale.
Analogamente, è stato evidenziato come l’opinion di maggioranza si chiuda con un
rinvio alla District Court «for further proceedings consistent with this opinion»,
all’interno dei quali non è precluso che possa essere verificato che il sistema di
esenzioni ed eccezioni sia effettivamente eseguito e se concretamente queste ultime
siano state concesse conformemente a quanto previsto dalla Proclamation51.
A prescindere dalla valutazione – alla luce di un’analisi “di contesto” o “di
sistema” – attribuibile alla sentenza Trump v Hawaii, un dato sembra insuperabile:
l’opinion di maggioranza non ha messo fine a quella che è stata definita la “saga”
Travel Ban. Al Contrario, il confronto tra giudiziario ed esecutivo, rinvigorito dalla
pressione esercitata dai ricorsi presentati dalle persone direttamente interessate
dall’applicazione della Proclamation, si è trasferito dalla valutazione di legittimità
relativa all’an dei presupposti dell’atto a quella del quomodo della sua attuazione.
Dopo la sentenza Trump v. Hawaii è stata proposta una class action in nome di un
gruppo di cittadini statunitensi e stranieri, la cui domanda di ingresso è stata respinta
o sospesa a causa della mancata attivazione da parte delle autorità competenti di una
49
Come nota J Breyer, la guidance prevista dalla Proclamation, la cui previsione viene richiamata
dall’opinion di maggioranza, non risulta ancora emanata.
50 M. C. Dorf, Silver Linings in an Otherwise Disappointing Travel Ban Ruling, in Verdict, 27 giugno
2018, verdict.justia.com/2018/06/27/silver-linings-in-an-otherwise-disappointing-travel-banruling.
51 J. Blackman, Five Unanswered Questions From Trump v. Hawaii, in Lawfare, 3 luglio 2018,
www.lawfareblog.com/five-unanswered-questions-trump-v-hawaii).
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procedura di accesso imparziale ed equa al programma di esenzione dal visto (visa
waiver) introdotto dalla Proclamation, in violazione della Due Process Clause anche
nella sua dimensione procedurale52.
I casi appena citati, l’esito dei quali non è ancora prevedibile, dimostrano come
la funzione di controllo che le corti sono state chiamate ad esercitare nei confronti del
Travel Ban, nonostante abbia subito una indubbia (per alcuni eccessiva ed indebita)
contrazione in Trump v. Hawaii, è destinata a riespandersi in futuro, confermando il
giudizio di chi – pur critico rispetto alle argomentazioni della opinion di
maggioranza – ha riconosciuto che «even in the entry-ban saga, the judiciary did not
give the President free rein»53. La reazione giudiziaria alle precedenti versioni del
Travel Ban ha indubbiamente contribuito in modo decisivo a orientare l’esercizio di
discrezionalità da parte del Presidente in occasione della Proclamation, che
significativamente è stata definita una «watered-down version» rispetto ai suoi
precedenti e che esprime – quanto meno «facially» – contenuti e motivazioni non
illegittime.
La “saga” Travel Ban non può dirsi pertanto esaurita dopo Trump v. Hawaii: la
futura legittimità delle misure contenute nella Proclamation, affermata dalla Corte
attraverso la scelta di far prevalere la “ragion di stato” perseguita da Dr. President
sull’animus manifestato da Mr. Trump, dipenderà dal modo in cui le corti
valuteranno le concrete modalità attuative della medesima.
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52 «procedural due process rights», Emami v. Nielsen, Case No. 18-1587, U.S. District Court for
the Northern Distrcit of California, 29 luglio 2018; cfr. anche il precedente caso, ancora pendente,
Alharbi v. Miller, caso 1:18-cv 02435, 25 aprile 2018, New York Eastern District Court, citato da
J Breyer, in cui un ufficiale consolare ha depositato un affidavit, nel quale afferma la assenza di
discrezionalità nel corso della procedura di assegnazione dei visti di ingresso e che il “waiver
process” è meramente apparente («window dressing», 7, analogamente al concetto di «sham»
utilizzato da J Sotomayor).
53 R. Primus, No, the Supreme Court Won’t Stop a Runaway President, cit.