Studi e testi
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BIBLIOTECA DELL’ARCADIA
Studi e testi
Direttore
Rosanna Pettinelli
Comitato scientifico
Savio Collegio dell’Arcadia: Rosanna Pettinelli, custode generale, Rino Avesani, procustode, Maurizio Dardano, Nicola Longo, Francesco Sabatini, Luca Serianni, consiglieri,
Riccardo Gualdo, segretario, Eugenio Ragni, tesoriere, Fiammetta Terlizzi, direttrice
della Biblioteca Angelica
Albert Russell Ascoli, Maurizio Campanelli, Claudio Ciociola, Maria Luisa Doglio, Julia
Hairston, Harald Hendrix, María de las Nieves Muñiz Muñiz, Manlio Pastore Stocchi,
Franco Piperno, Paolo Procaccioli, Emilio Russo, Corrado Viola, Alessandro Zuccari
Redattore editoriale
Pietro Petteruti Pellegrino
«Studi e testi» è una collana con revisione paritaria
«Studi e testi» is a Peer-Reviewed Series
BIBLIOTECA DELL’ARCADIA
Studi e testi
4
La filologia in Italia
nel Rinascimento
a cura di
Carlo Caruso ed Emilio Russo
ROMA 2018
EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
Prima edizione: febbraio 2018
ISBN 978-88-9359-157-7
eISBN 978-88-9359-158-4
Il volume è stato pubblicato con il contributo di
“Sapienza” Università degli studi di Roma,
Dipartimento di Studi greco-latini, italiani, scenico-musicali
© Accademia dell’Arcadia, 2018
È vietata la copia, anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata
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INDICE
Introduzione ............................................................................................
VII
CARLO VECCE
Leonardo filologo? In margine al Codice Trivulziano.............................
1
ALESSIO DECARIA
Poeti, copisti e filologi tra Quattro e Cinquecento ..................................
19
ANNALISA CIPOLLONE
Parole tra parentesi ..................................................................................
37
LINO LEONARDI
Guittone nella Giuntina del 1527 ...........................................................
61
CLAUDIO VELA
Poesia del Duecento nel primo Cinquecento: istruzioni per l’uso ...........
83
MARTIN MCLAUGHLIN
Un petrarchista legge la Commedia:
il Dante postillato di Giovanni Brevio ....................................................
101
OSCAR SCHIAVONE
Luca Martini filologo dantesco:
collazioni, annotazioni e committenze (1543-1551) .................................
117
TOMMASO SALVATORE – PAOLA VECCHI GALLI
Ex originali libro. Schede sul Canzoniere Casanatense ..........................
133
MATTEO MOTOLESE
Lingua d’autore nel Cinquecento.
Storicizzazione, codificazione, idealizzazione ..........................................
167
VI
INDICE
CARLO CARUSO
Boccaccio anni Venti: Andrea Calvo,
Hieronimo Claricio, Tizzone Gaetano da Pofi ........................................
177
MARCO DORIGATTI
Momenti della filologia ariostesca nel Cinquecento ................................
193
CLAUDIA BERRA
Giovanni Della Casa umanista e filologo................................................
217
PAOLA MORENO
Filologia d’autore, filologia della copia e per il testo a stampa.
La battaglia della Ghiaradadda e i suoi effetti nella Storia d’Italia
di Francesco Guicciardini ........................................................................
239
DARIO BRANCATO
Filologia di (e per) Cosimo I: la revisione della Storia fiorentina
di Benedetto Varchi .................................................................................
257
PAOLO PROCACCIOLI
Filologia epistolare del medio Cinquecento. La lettera tra
pratica individuale e teorizzazione ..........................................................
275
EMILIO RUSSO
La prima filologia tassiana, tra recupero e arbitrio .................................
293
LUCA D’ONGHIA
Primordi della filologia dialettale ...........................................................
311
R ICCARDO DRUSI
La filologia di Vincenzio Borghini...........................................................
327
VERONICA R ICOTTA – GIULIO VACCARO
«Riveduti con più testi a penna». La filologia di Bastiano de’ Rossi ......
343
PAOLO TROVATO
Qualche appunto sulla filologia della prima Crusca................................
361
PAOLA ITALIA
Alle origini della filologia d’autore. L’edizione del “Codice degli abbozzi”
di Federico Ubaldini................................................................................
379
Indice dei manoscritti e degli esemplari a stampa ...................................
Indice dei nomi .......................................................................................
399
405
INTRODUZIONE
La filologia in Italia nel Rinascimento riunisce lavori su aspetti e episodi
concernenti la cura dei testi tra il Quattrocento inoltrato e il pieno Seicento:
periodo di importanza decisiva per lo sviluppo di una tradizione di studi filologici che può dirsi ininterrotta sino ai giorni nostri. Il punto di avvio per le
indagini qui raccolte è collocato in ragione dell’affermarsi del libro a stampa.
Accolta immediatamente e con immenso successo in Italia, l’invenzione della
stampa a caratteri mobili contribuì infatti potentemente alla diffusione e al
raffinamento dei principi ecdotici via via divisati e alla loro applicazione nella
prassi editoriale. Tali innovazioni, peraltro ben note, non finiscono tuttavia di
stupire per numero e qualità ogniqualvolta se ne tenti l’elenco: l’introduzione
e progressivo imporsi dei tipi romano e corsivo, insieme con nuovi formati
di libri e con un nuovo sistema di interpunzione; l’invenzione degli istituti
dell’indice e dell’appendice; la pratica di pubblicare testi letterari in collane;
la pubblicazione di opere complete di autori moderni; l’esame critico delle
varianti d’autore; i primi apparati critici; le prime edizioni diplomatiche; l’elaborazione di criteri per l’edizione di testi dialettali; la compilazione del primo
dizionario storico; le prime edizioni di manoscritti d’autore illustranti l’elaborazione di un testo nelle sue fasi intermedie. Attraverso ricerche puntuali,
i diversi saggi che compongono il volume toccano di questi e altri fenomeni,
che presi insieme segnano un nuovo cominciamento nella storia della cultura
letteraria e filologica lato sensu, in Italia e successivamente in Europa.
La nascita della filologia moderna, pur sorprendente nelle sue molteplici
novità, non può essere tuttavia staccata da quanto era stato fatto nel periodo che
precede quello posto sotto esame in questa sede. Il breve inquadramento storico
offerto in queste pagine introduttive prende pertanto avvio da un richiamo alla
stagione precedente, con attenzione mirata alla filologia esercitata sui testi in volgare – in vista del consolidarsi di una tradizione appunto in volgare – e lasciando
quindi sullo sfondo l’imponente ed epocale riflessione sui classici latini e greci,
pur nella consapevolezza di come essa continui a esercitare un influsso decisivo
per lo sviluppo e l’affinamento della teoria e prassi filologica generalmente intesa, fino ai vertici raggiunti da un Poliziano o un Ermolao Barbaro.
INTRODUZIONE
VIII
Filologia come cura dei testi è del resto attività, e forse meglio disposizione, intrinseca a ogni tradizione letteraria. Le più antiche raccolte di versi
della letteratura italiana, cioè le tre grandi sillogi di poesia allestite in Toscana
a cavallo tra Due e Trecento, mostrano operazioni riconoscibili come filologiche secondo criteri in parte ereditati da modelli mediolatini, occitanici
e oitanici: selezione e ordinamento dei testi rispetto a gerarchie di ordine
metrico-stilistico e attributivo; identificazione – fin dove possibile – della
paternità dei componimenti; interventi correttori vòlti ad assicurare lezioni
preferibili a quelle trasmesse1. In quei tre testimoni, la consapevolezza critica che sollecita tali operazioni, ancorché difficile a negarsi, solo di rado è
esplicitamente dichiarata; ma coevi, o immediatamente successivi, sono l’alto
elogio del volgare del Convivio e la vigorosa e filologicamente agguerrita
disamina del De vulgari eloquentia, dove per la prima volta è fissata una ratio
per l’intelligenza della variazione linguistica nel mondo romanzo. Certo si
vorrebbe sapere di più circa la natura e il contenuto degli antigrafi sui quali
si formarono le tre grandi antologie toscane e Dante elaborò la propria teoria
del volgare. Per tutto il Trecento e oltre, lo studio dei manoscritti offre di
fatto un panorama di unica, per i quali – come si usava dire dei testi omerici –
il testo è di fatto «primo interprete di sé», oggetto e insieme strumento primo
della ricerca filologica che lo riguarda. Ma proprio di recente, e per la zona
cronologicamente più alta e più ardua a determinarsi, è stata formulata una
brillante ipotesi sulla possibile veste linguistica del testo di Guittone utilizzato da Dante, che tanta parte deve avere avuto nello stimolare la rivoluzionaria
e provocatoria ricerca di un’«illustris Ytalie … loquela» (De vulg. el. I, xi, 1)2.
Dall’ampia bibliografia disponibile si ricorda in particolare d’A. S. AVALLE, I canzonieri: definizione di genere e problemi di edizione, in La critica del testo. Problemi di metodo ed
esperienze di lavoro, Roma, Salerno Editrice, 1985, pp. 362-82 (ora anche in ID., La doppia
verità. Fenomenologia ecdotica e lingua letteraria del Medioevo romanzo, Firenze, Sismel, 2002,
pp. 155-73); R. ANTONELLI, Canzoniere Vaticano latino 3793, in Letteratura italiana. Le opere.
I. Dalle Origini al Cinquecento, a cura di A. Asor Rosa, Torino, Einaudi, 1992, pp. 27-44;
C. BOLOGNA, Tradizione e fortuna dei classici italiani (1986), Torino, Einaudi, 1993, 2 voll.,
I, capitoli I-III; I Canzonieri della lirica italiana delle origini, Tavarnuzze (Firenze), Sismel,
2000-2001, 4 voll. (i contributi raccolti nel vol. IV. Studi critici, a cura di Lino Leonardi); L.
LEONARDI, La poesia delle Origini e del Ducecento, in Storia della letteratura italiana, diretta
da E. Malato, vol. X, La tradizione dei testi, a cura di C. CIOCIOLA, Roma, Salerno Editrice,
2001, pp. 5-89; i contributi su argomenti medievali in «Liber» «fragmenta», «libellus» prima e
dopo Petrarca, a cura di F. Lo Monaco, L. C. Rossi e N. Scaffai, Firenze, Sismel-Edizioni del
Galluzzo, 2006; e l’edizione dei Poeti della Scuola siciliana, a cura di R. Antonelli (vol. I), C.
Di Girolamo (vol. II) e R. Coluccia (vol. III), Milano, Mondadori, 2008, 3 voll.
2
G. FROSINI, Antologie guittoniane, in Antologie d’autore. La tradizione dei florilegi nella
letteratura italiana. Atti del Convegno di Roma, 27-29 ottobre 2014, a cura di E. Malato e A.
1
INTRODUZIONE
IX
Fenomeno decisivo per il successivo corso degli eventi è la meravigliosa
fortuna della Commedia lungo il Trecento e il Quattrocento. Nel Trecento
in particolare si assiste all’aumento vertiginoso degli esemplari circolanti e
dunque del numero dei lettori, o quantomeno dei possessori, di tali esemplari3. Produzione e diffusione del testo dantesco abbracciano l’intera penisola;
ma dalla Romagna degli ultimi anni di Dante il principale centro d’irradiazione passa rapidamente a Firenze: per cui quella che è stata descritta
come rifiorentinizzazione del testo di Dante è anche un riallineamento del
testo a una nuova sensibilità linguistica, che la Commedia stessa alimenta e
legittima. Tale processo in parte offusca e rende difficile la risalita alla fase
che precede il dilagare della vulgata trecentesca, come l’edizione Sanguineti
della Commedia e studi più recenti hanno mostrato4. Per la storia della
filologia, d’altro canto, alcuni tra i principali testimoni della vulgata ci
appaiono esemplari dell’acribìa con la quale il testo dantesco venne letto e
variamente edito già a partire dagli anni Trenta del Trecento. Basti ricordare il ms. Landiano (1336), la cui lezione appare attentamente rivista e
ricorretta a più riprese5; il ms. Trivulziano (1337) e i suoi più o meno stretti
consanguinei usciti dalla bottega di Francesco di Ser Nardo da Barberino in
Val di Pesa o da altre analoghe, la cui omogeneità codicologica e testuale è
anche specchio di un’utenza allargata e al contempo esigente6; infine il testo,
indubbiamente eclettico ma – mutatis mutandis – quasi testo critico ante
litteram, del ms. Laurenziano di S. Croce (Laur. XXVI sin. 1), uscito a fine
secolo dalla cerchia di Coluccio Salutati: all’autorevole testimonianza del
quale, proclamata sin dai tempi di Gian Jacopo Dionisi e del «parrocchian
di Soave» Bartolomeo Perazzini, è stato tradizionalmente assegnato il posto
Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2016, pp. 55-80. Si vedano anche le edizioni del De
vulgari curate da P. V. Mengaldo, S. Cecchin, M. Tavoni e, recentissimamente, da E. Fenzi.
3
Per un primo orientamento sull’identità di possessori di codici trecenteschi della
Commedia cfr. l’elenco stilato da M. RODDEWIG, Dante Alighieri. Die Göttliche Komödie. Vergleichende Bestandsaufnahme der Commedia-Handschriften, Stuttgart, Hiersemann, 1984, pp.
LXVII-XCII.
4
DANTIS ALAGHERII Comedia, edizione critica per cura di F. Sanguineti, Firenze, Sismel,
2001; Nuove prospettive sulla tradizione della ‘Commedia’, a cura di P. Trovato, Firenze,
Cesati, 2007; Nuove prospettive sulla tradizione della ‘Commedia’. Seconda serie (2008-2013),
a cura di E. Tonello e P. Trovato, Padova, Libreria Universitaria, 2013.
5
Facsimile del Codice Landiano, con prefazione e introduzione di A. Balsamo e G.
Bertoni, Firenze, Olschki, 1921; DANTE ALIGHIERI, La Commedia secondo l’antica vulgata.
I. Introduzione, a cura di G. Petrocchi, 4 voll., Milano, Mondadori, 1966, vol. I, pp. 69-72.
6
Il Codice Trivulziano 1080 della Divina Commedia, cenni storici e descrittivi di L.
Rocca, Milano, Hoepli, 1921; DANTE ALIGHIERI, Commedia, ed. Petrocchi, vol. I, pp. 85-86.
X
INTRODUZIONE
di primus vel cum primis7. Le questioni filologiche affiorano del resto già
nei primi commenti trecenteschi al poema8, e il maggior filologo dantesco
del Trecento, non solo della Commedia, ha il volto e la voce di Giovanni
Boccaccio9.
Sul fronte della poesia lirica, alla tradizione toscana si affianca nel primo
Trecento la tradizione veneta: per importanza così delle testimonianze
come della riflessione critica sui testi, con particolare riguardo alle forme
metriche10. All’area veneta approda nel secondo Trecento Petrarca, dal cui
scrittoio si staccano progressivamente le copie del Canzoniere in esemplari
che attestano le fasi d’elaborazione del gran libro della nuova lirica italiana
ed europea. Con l’allestimento del Vat. Lat. 3195, rielaborato in limine vitae e
generatore di apografi anche dopo la morte del poeta, si è, quanto alla miseen-page del testo, al limite estremo di una tradizione che risale ai modelli
del libro di poesia provenzale e del tardo Duecento italiano. Per via di sollecitazioni provenienti da generi differenti (la poesia narrativa volgare e la
tradizione dei classici latini in prima istanza), l’uso petrarchesco di disporre
più di un verso sulla medesima linea viene progressivamente sopravanzato
7
Cfr. G. TANTURLI, L’interpunzione nell’autografo del ‘De origine civitatis Florentie et
eiusdem famosis civibus’ di Filippo Villani rivisto da Coluccio Salutati, in Storia e teoria dell’interpunzione, pp. 65-88: 66-69; ID., Filologia del volgare intorno al Salutati, in Coluccio Salutati
e l’invenzione dell’Umanesimo, a cura di C. Bianca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,
2010, pp. 83-144. Scelto dal Dionisi come testo-base dell’ed. bodoniana del 1795 (ristampata
nel 1796) e compreso dal Witte tra i quattro su cui è fondata la sua edizione critica del 1862, il
Laurenziano di Santa Croce è relegato tra i descripti dal Petrocchi (DANTE ALIGHIERI, Commedia, ed. Petrocchi, I, pp. 47-55), quindi ammesso allo stemma assai selettivo di Sanguineti (pp.
LXI-LXV), nuovamente espulso da quello di Trovato (Nuove prospettive, p. 702), ma difeso in F.
SANGUINETI, “Novissime prospettive” dantesche, «L’Alighieri», n.s., XLIII, 2014, pp. 107-112.
8
A. MAZZUCCHI, La discussione della varia lectio nel ‘Comentum’ di Benvenuto da Imola
e nell’antica esegesi dantesca, in «Per correr miglior acque…». Bilanci e prospettive degli studi
danteschi alle soglie del nuovo millennio, Roma, Salerno Editrice, 2001, pp. 955-982.
9
D. DE ROBERTIS, Il “Dante e Petrarca” di Giovanni Boccaccio, in Il codice chigiano L. V.
176 autografo di Giovanni Boccaccio, Roma-Firenze, Archivi Edizioni – Fratelli Alinari, 1974,
pp. 7-72; Boccaccio autore e copista, a cura di T. De Robertis et alii, Firenze, Mandragora,
2013; M. CURSI, La scrittura e i libri di Giovanni Boccaccio, Roma, Viella, 2013; Boccaccio editore e interprete di Dante, a cura di L. Azzetta e A. Mazzucchi, Roma, Salerno Editrice, 2014.
10
Basti qui il rinvio a D. DE ROBERTIS, Il Canzoniere escorialense e la tradizione “veneziana” delle rime dello stil novo, Torino, Loescher, 1954; F. BRUGNOLO, I Toscani in Veneto e le
cerchie toscaneggianti, in Storia della cultura veneta, 10 voll., Vicenza, Neri Pozza, 1976-1986,
vol. II, pp. 369-439 (con la premessa di G. FOLENA, Tradizioni e cultura trobadorica nelle corti
e nelle città venete, in Storia della cultura veneta, vol. I, pp. 453-562, sull’importanza per il
Veneto della diaspora trobadorica); Il canzoniere Escorialense e il frammento Marciano dello
Stilnovo. Real Biblioteca de El Escorial, e.III.23 – Biblioteca Nazionale Marciana, it. IX. 529,
a cura di S. Carrai e G. Marrani, Firenze, Sismel, 2009.
INTRODUZIONE
XI
dalla tendenza all’ordinamento verticale: rivoluzione che interessa non solo
l’Italia ma l’intero mondo romanzo, e che è sintomo eloquente del modo in
cui la poesia lirica tende ora a presentarsi al nuovo pubblico11. Il mutamento
non è tuttavia traumatico, bensì graduale. Sino a che la tradizione manoscritta resta il mezzo principe di diffusione dei testi, il modo in cui questi
vengono disposti sulla pagina può rispondere a criteri di ordinamento, e
conseguentemente di fruizione, che non sono necessariamente ed esclusivamente quelli di un ordine meramente sequenziale. I rapporti intratestuali tra
i componimenti visibili ad apertura di pagina del codice, studiati così attentamente sull’autografo petrarchesco12, si ripropongono per esempio in un
manoscritto del secondo Quattrocento quale quello dell’Anonimo Costabili:
i testi conservano dunque significato anche in virtù delle reciproche relazioni “spaziali” sulla pagina, relazioni che si sommano, e talora addirittura
prevalgono, sull’ordinamento in sequenza13.
L’opera filologica, diversa e complementare, di Petrarca e di Boccaccio
conserva a lungo valore paradigmatico. Assidui rimaneggiatori, postillatori e
editori dei propri testi latini e volgari, assicurano a essi la sopravvivenza con
l’autorità dei loro nomi illustri, certamente, ma anche tramite un’ampia rete di
rapporti con mecenati, pari grado, allievi, seguaci, eredi, e anche grazie, più in
generale, a quel radicale mutamento della cultura europea lungo tutto il corso
del Trecento, in virtù del quale l’interesse fino allora prevalente per la coltivazione e lo sviluppo di «abiti dialettici e metafisici» subisce un progressivo
riorientamento verso la grammatica e la retorica14. Opere come i Rerum vulgarium fragmenta, il Decameron, il Teseida, e fra quelle latine le Epistolae famiM. B. PARKES, Pause and Effect: An Introduction to the History of Punctuation in the
West, Aldershot, Scolar Press, 1992, pp. 97-101; L. LEONARDI, Le origini della poesia verticale,
in Translatar i transferir. La transmissió dels textos i el saber (1200-1500), a cura di A. Alberni
et alii, Santa Coloma de Queralt, Obrador Edendum, 2009, pp. 267-315. Sull’ultima fase
dell’elaborazione dei Rerum vulgarium fragmenta e la loro diffusione prima e dopo la morte
di Petrarca, cfr. A. PANCHERI, Ramificazioni “malatestiane”. 1. Due discendenti del Laurenziano XLI 17, «Studi di filologia italiana», LXVI, 2008, pp. 35-73; C. PULSONI – M. CURSI,
Sulla tradizione antica dei ‘Rerum vulgarium fragmenta’: un gemello del Laurenziano XLI 10
(Paris, Bibliothèque nationale, It. 551), «Studi di filologia italiana», LXVII, 2009, pp. 91-114.
12
H. W. STOREY, Transcription and Visual Poetics in the Early Italian Lyric, New York,
Garland Press, 1993; ID., All’interno della poetica grafico-visiva di Petrarca, in F. PETRARCA,
Rerum vulgarium fragmenta: Facsimile del codice autografo Vaticano Latino 3195, a cura di G.
Belloni et alii, 2 voll., Roma-Padova, Antenore, 2003-2004, vol. II, pp. 131-171.
13
“AMICO DEL BOIARDO”, Canzoniere Costabili, edizione critica a cura di G. Baldassarri,
Novara, Interlinea, 2012, p. 85.
14
G. BILLANOVICH, Petrarca letterato. I. Lo scrittoio del Petrarca, Roma, Edizioni di Storia
e Letteratura, 1947, p. VIII.
11
XII
INTRODUZIONE
liares, le Seniles, le Genealogie deorum Gentilium e altre ancora non avrebbero
potuto godere della fortuna loro toccata se non fossero state frutto di un’inesausta e soprattutto documentata progettualità, sia pure interrotta, ripresa e
rivista più volte, e anche lasciata talora irrisolta. È poi superfluo chiedersi cosa
sarebbe stato di opere come la Vita nuova, la Commedia, le Rime, le Epistole
ed Egloghe dantesche, o ancora di Tacito e Apuleio e Varrone, senza l’opera
mediatrice di Boccaccio; e cosa di Livio, di Cicerone, di Virgilio, di Seneca, di
Floro, di Agostino senza Petrarca: non solo per la sopravvivenza materiale dei
testi. L’impulso filologico moltiplica la propria azione traducendosi via via in
consapevolezza linguistica e stilistica, in esegesi, in interpretazione, insomma
in rivitalizzazione dei testi stessi e delle idee da essi trasmesse.
Sul principio del memorabile Della varia fortuna di Dante, Giosue Carducci
ammoniva: «Chi si faccia a discorrere le vicende della gloria di Dante, come
anche in generale quelle della nostra letteratura, non dee, né potrebbe senza
danno, staccare dal secolo decimoquarto il decimoquinto»; invitava pertanto
a riconoscere, in quei due secoli, «un’epoca sola» sino «al ritrovamento e alla
diffusione della stampa»15. Si è soliti dire che lo sviluppo del Quattrocento
volgare è come arginato dal prepotente imporsi della letteratura umanistica in
latino. Ciò non significa che l’opera di copisti, correttori, editori di testi volgari
cessi: i caratteri distintivi ne risultano forse meno evidenti, e il lavoro attorno ai
testi si potrà cogliere in episodi meno vistosi, ma non perciò meno rilevanti. Ne
dà ragione in questo volume Alessio Decaria, il cui contributo riprende e prosegue i classici studi di Domenico De Robertis e Giuliano Tanturli16. Né si dovrà
sottovalutare l’attività generale di trasmissione dei testi anche quando questa
risulti apparentemente anodina, cioè meccanica o quasi; che però tale non sarà
stata mai veramente, quantomeno in obbedienza ai consueti meccanismi della
renovatio, anche solo fisica, del materiale librario in circolazione e insieme dei
testi in esso contenuti17. Forse non sempre si tiene nel giusto conto il fatto che,
15
G. CARDUCCI, Della varia fortuna di Dante (1866-67), in ID., Opere, 20 voll., Bologna,
Zanichelli, 1919, VIII, pp. 131-298: 141.
16
Cfr. D. DE ROBERTIS, Un monumento della civiltà aretina, «Atti e memorie dell’Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze d’Arezzo», n.s., XLII, 1976-1978, pp. 109-128 (su
R ESTORO D’A REZZO, La composizione del mondo colle sue cascioni, edizione critica a cura di
A. Morino, Firenze, Accademia della Crusca, 1976); ID., Antonio Manetti copista, in Editi e
rari. Studi sulla tradizione letteraria tra Tre e Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 183215; G. TANTURLI, I Benci copisti. Vicende della cultura fiorentina volgare fra Antonio Pucci e
il Ficino, «Studi di filologia italiana», XXXVI, 1978, pp. 197-313.
17
A questo proposito, anche in rapporto allo stretto connubio esistente tra filologia e
ricerca lessicografica, rimangono più che mai valide le osservazioni di G. NENCIONI, Filologia
e lessicografia a proposito della «variante», in Studi e problemi di critica testuale, Bologna,
INTRODUZIONE
XIII
per un periodo di circa tre secoli, dal Cinquecento sino al primo Ottocento,
chi abbia voluto accedere alle attestazioni manoscritte di testi due e trecenteschi si sarà perlopiù imbattuto nella vulgata quattrocentesca e di quella si sarà,
in linea di massima, appagato. Anche chi volle e poté reperire testimonianze
più antiche – basti fare i nomi di Bembo, Equicola, Colocci, Gualteruzzi,
Mezzabarba, Bartolini, Brevio, Beccadelli – finì spesso per incrociarle e, se si
vuole, “contaminarle” con altre più tarde, per confermarne e, dove opportuno,
arricchirne la messe, pur sempre guidati dall’intento di apprezzare nella fonte
l’antichità (benché forse più dell’esemplare che del testo)18. Del resto, diversi
di quei testi s’intrecciano – quando direttamente non ne derivino – con quelli
della Raccolta Aragonese, sia quella “primogenita” sia quella propriamente
detta: cioè dall’esempio forse più influente di filologia dei testi volgari trasmessi
ancora per tradizione manoscritta appena entro la nuova età della stampa. Il
canone proposto dalla Raccolta, per via sia diretta sia indiretta, sarà tra i più
longevi e influenti nel definire la percezione generalizzata della poesia dei
primi secoli19. E per l’influsso delle vulgate quattrocentesche viene a mente
un caso esemplare quanto alla ricchezza della documentazione (ma di molti
altri si vorrebbe avere così ampia e certa notizia), cioè la biblioteca manoscritta
di Celso Cittadini; di uno cioè che, nel tardo Cinquecento, si interessava non
solamente ai testi dei primi secoli, ma anche alla nascita e allo sviluppo della
lingua volgare: la stragrande maggioranza dei codici di testi due e trecenteschi
da lui raccolti risale al quindicesimo secolo20.
Sul discrimine fra l’età del manoscritto e l’età della stampa c’è spazio per
un “irregolare” come Leonardo da Vinci, al quale Carlo Vecce dubitativamente assegna il nome di “filologo” in un senso che può solo essere leonardesco.
L’orgogliosa auto-presentazione come «omo sanza lettere» viene mutando col
tempo in quella di «altore», cioè ‘autore’, maturata attraverso anni di studi da
Commissione dei testi di lingua, 1961, pp. 183-192, poi in ID., Di scritto e di parlato. Discorsi
linguistici, Bologna, Zanichelli, 1983, pp. 57-66.
18
M. BARBI, Studi sul Canzoniere di Dante, Firenze, Sansoni, 1915; C. BOLOGNA, Sull’utilità di alcuni descripti umanistici di lirica volgare antica, in La filologia romanza e i codici, a
cura di S. Guida e F. Latella, 2 voll., Messina, Sicania, 1994, II, pp. 531-587.
19
Giancarlo Breschi ne ha riesaminato di recente la vicenda: G. BRESCHI, La Raccolta
Aragonese, in Antologie d’autore, pp. 119-156, riprendendo i classici studi di M. BARBI, «La
Raccolta Aragonese», in ID., Studi sul Canzoniere di Dante, pp. 215-338, e di D. DE ROBERTIS,
La Raccolta Aragonese primogenita, in ID., Editi e rari, pp. 50-65.
20
M. C. DI FRANCO LILLI, La biblioteca manoscritta di Celso Cittadini, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 1970; un elenco aggiornato in V. GROHOVAZ, Celso Cittadini,
in Autografi dei letterati italiani, dir. da M. Motolese ed E. Russo, Il Cinquecento, a cura di
M. Motolese, P. Procaccioli, E. Russo, con la consulenza paleografica di A. Ciaralli, vol. III,
Roma, Salerno Editrice, 2009, pp. 163-168.
INTRODUZIONE
XIV
autodidatta, irregolari e desultori ma assidui, sui libri, appunto, degli «altori»:
riconosciuti tali anche quando fieramente avversati o criticati. Leonardo, il cui
legato di scrittore è interamente in forma manoscritta e debitore – come Vecce
ha dimostrato – al modello degli zibaldoni quattrocenteschi, nutre tuttavia la
propria sete di sapere attraverso principalmente opere a stampa21.
Gli esordi della stampa in Italia confermano il primato di Dante e
Petrarca22. Di Petrarca in particolare si arriva a dare, nel 1472 a Padova, un’edizione pressoché diplomatica dell’autografo-idiografo rimasto nel Veneto
dopo la morte del poeta: merito, forse, di quel Giovanni Aurelio Augurello
che sarà poi maestro del giovanissimo Pietro Bembo, a sua volta futuro utilizzatore e per finire possessore del codice illustre23. Di Bembo molto è stato
detto e scritto di recente, in contributi anche di grande rilievo24. Ma qualcosa
di più si vorrebbe ancora sapere – per usare le vulgate espressioni goethiane
– sui suoi Lehrjahre, come anche sull’insorgere di una philologische Sendung
che darà frutti incomparabili per l’intelligenza e la fruizione dei testi dei
grandi Trecentisti; si vorrebbe, cioè, qualche altro documento da affiancare
alla celebre testimonianza del filologo principe, il Poliziano, il quale senza
esitazioni riconobbe la maestria filologica in campo latino di quell’adulescens
in occasione della sua visita a casa Bembo nel 1491 per collazionarvi il celebre manoscritto di Terenzio25. Vicinissima a Bembo è l’edizione degli Opera
Oltre al contributo per questo volume, si veda di C. VECCE La biblioteca perduta. I
libri di Leonardo, Roma, Salerno Editrice, 2016, pp. 17-18, 26-27 e passim; pp. 127-132 sui
libri-zibaldoni.
22
P. TROVATO, Con ogni diligenza corretto. La stampa e le revisioni editoriali dei testi letterari italiani (1470-1570), Bologna, il Mulino, 1991 (ora anche Ferrara, Unife Press, 20092);
B. R ICHARDSON, Print Culture in Renaissance Italy. The Editor and the Vernacular Text, 14701600, Cambridge, Cambridge University Press, 1994.
23
G. FOLENA, Filologia testuale e storia linguistica, in Studi e problemi di critica testuale,
Bologna, Commissione per i testi di lingua, 1961, pp. 17-34; sui rapporti tra Augurello e
Bembo si veda M. DANZI, Novità sul Marullo e Pietro Bembo, «Rinascimento», 30, 1990, pp.
205-233; si veda anche l’introduzione di Gino Belloni a Rerum vulgarium fragmenta: anastatica dell’edizione Valdezoco, Padova 1472, Venezia, Regione del Veneto – Marsilio, 2001.
24
Pietro Bembo e l’invenzione del Rinascimento, a cura di G. Beltramini, D. Gasparotto e
A. Tura, Venezia, Marsilio, 2013; M. FAINI, L’alloro e la porpora. Vita di Pietro Bembo, Roma,
Edizioni di Storia e Letteratura, 2016; L. MARCOZZI, Bembo, Firenze, Cesati, 2017; G. PATOTA,
La Quarta Corona. Pietro Bembo e la codificazione dell’italiano scritto, Bologna, il Mulino, 2017.
25
«[U]na degna iniziazione» la definisce Carlo Dionisotti in P. BEMBO, Prose e rime,
Torino, Utet, 1960, p. 10. Cfr. anche C. VECCE, Bembo e Poliziano, in Agnolo Poliziano poeta
scrittore filologo. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Montepulciano, 3-6 novembre
1994, a cura di V. Fera e M. Martelli, Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 477-503; S. CARRAI,
Poliziano e il giovane Bembo collazionano Terenzio in una malnota testimonianza epistolare,
21
INTRODUZIONE
XV
omnia latina di Petrarca procurata nel marzo del 1501 da Andrea Torresano
di Asola, socio e futuro suocero di Aldo Manuzio, con la quale è riconosciuta
l’eccellenza del primo grande autore “moderno”26. Pochi mesi dopo, Bembo
e Manuzio confermeranno il primato dei due grandi Trecentisti accogliendone le principali opere volgari – Le cose volgari (Canzoniere e Trionfi) del
Petrarca (luglio 1501) e Le terze rime (cioè la Commedia) di Dante (agosto
1502) – nella celebre collana in-ottavo esclusivamente riservata, con le due
eccezioni appena ricordate, ai classici latini e greci. Che tale impresa intendesse appoggiarsi all’autorità, vera o solo dichiarata, delle fonti manoscritte
utilizzate per le due edizioni (autorità subito ridimensionata tramite silenzi
e reticenze variamente sfumate), non è in dubbio27. Ma anche sull’autorità,
quella sì indiscussa, del Vat. Lat. 3195, pervenuto a Bembo in tempo utile
per la revisione finale del testo da pubblicare, finì per prevalere – come ha
osservato Gino Belloni – la «“grammatica” … petrarchesca», estrapolata
ed elaborata dall’editore anche in contraddizione con l’uso dello «stesso
Petrarca». Le ragioni del testo edito prevalgono su quelle del testo trasmesso,
ancorché autorevolissimo28.
È una svolta decisiva: è l’atto di nascita – come è stato spesso detto e
ripetuto – della filologia moderna. Le due aldine e il loro antigrafo, il Vat.
Lat. 3197 di mano di Bembo, mostrano bene come l’idea di una codificazione grammaticale del volgare sia già pienamente operativa a ogni livello. La
continuità tra quell’exploit, che non sembra avere né precedente paragonabile né seguito immediato, e il maturo frutto delle Prose della volgar lingua
in Il mondo e la storia. Studi in onore di Claudia Villa, a cura di F. Lo Monaco e L. C. Rossi,
Firenze, Sismel, 2014, pp. 123-128.
26
Nel colophon: «Impressi Venetiis, impe(n)sis d(omi)ni Andree Torresani de Asula,
per Simonem de Luere: Anno Incarnationis Christi. M.cccccj. die. xxvij. Marcij. Feliciter».
27
Della richiesta, presentata da Carlo Bembo al Senato Veneto il 26 giugno 1501,
di un privilegio per stampare «un Petrarca e un Dante scripti de mano propria de ipsi
Petrarca e Dante» (cfr. R. FULIN, Documenti per servire alla storia della tipografia veneziana,
«Archivio veneto», XXIII, 1882, pp. 84-212: 146), la dichiarazione concernente Dante non
venne comprensibilmente più replicata. Quanto al Petrarca, e alle proteste che l’edizione
aldina del luglio 1501 suscitò fra i lettori, cfr. G. FRASSO, Appunti sul «Petrarca» aldino del
1501, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. Avesani et alii, 2 voll.,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1984, vol. I, pp. 315-335; G. BELLONI, Antonio da
Canal e polemiche aldine, in ID., Laura tra Petrarca e Bembo. Studi sul commento umanisticorinascimentale al ‘Canzoniere’, Padova, Antenore, 1992, pp. 96-119; C. PULSONI, Pietro Bembo
filologo volgare, «AnticoModerno», III, 1997, pp. 89-102.
28
BELLONI, Nota sulla storia del Vaticano latino 3195, in Rerum vulgarium fragmenta.
Codice Vat. Lat. 3195, p. 93.
INTRODUZIONE
XVI
(1525), situato a oltre vent’anni di distanza, è stata ribadita di recente29. Ma
l’acume e la sottigliezza di quel modo di intendere e pubblicare i testi, a una
data così precoce come il 1501-1502, sembra avere ragioni e implicazioni in
parte ancora insondate: Annalisa Cipollone ne illustra qui un aspetto, apparentemente minuto ma eloquentissimo, individuato nell’uso della parentesi. Al versante del Bembo maturo, all’autore cioè delle Prose della volgar
lingua, pertengono innovazioni non meno importanti. Le sottili indagini
delle varianti d’autore, reali e ipotetiche, nei testi di Petrarca e di Boccaccio
(Prose, II, vi e xv) trasferiscono al volgare un modello interpretativo già degli
antichi grammatici e genialmente rivisitato dal Pontano negli ultimi anni del
Quattrocento30. Tali indagini diverranno stimolo a inserire copiosa notizia
di varianti nel commento di Bernardino Daniello al Canzoniere del 1541,
quindi a scorporarle e riunirle in un apparato critico – il primo storicamente
attestato – nella riedizione del 154931. Appena occorre aggiungere come tale
interesse riceva impeto da una vivace attività postillatoria sui margini di
esemplari, manoscritti e a stampa, vòlta via via a registrare varianti (autentiche e non), rilievi di ordine grammaticale, dubbi, mende, risarcimenti,
correzioni. Tommaso Salvatore e Paola Vecchi Galli riesaminano qui il caso
del ms. Casanatense 924, fra gli apografi petrarcheschi il più ricco collettore
di varianti, circolato a lungo negli ambienti dominati dalla figura di Bembo;
così come pare far capo ai medesimi ambienti l’aldina dantesca postillata
da Giovanni Brevio, ritrovata e qui illustrata da Martin McLaughlin, in
parallelo ad altri importanti esercizi di annotazione erudita, tra cui conviene
ricordare almeno quelli, vicini al Bembo, di Giulio Camillo32. Infine, nuove
indagini condotte da Carlo Pulsoni e Marco Cursi e presentate al Convegno,
ma destinate a pubblicazione indipendente in volume, hanno consentito di
individuare in un postillato autografo della princeps delle Prose l’esemplare
di trasmissione delle varianti che caratterizzeranno la seconda (1538) e la
terza e postuma (1549) edizione del trattato33. Tra varianti recuperate e
varianti introdotte, i margini del libro a stampa diventano sede prima di
PATOTA, La Quarta Corona.
G. BELLONI, Origine della critica degli scartafacci, in ID., Laura tra Petrarca e Bembo,
pp. 284-320.
31
G. BELLONI, Bernardino Daniello e le varianti d’autore petrarchesche, in ID., Laura tra
Petrarca e Bembo, pp. 226-283, e il citato Origine della critica degli scartafacci.
32
Cfr. G. CAMILLO, Chiose al Petrarca, a cura di P. Zaja, Roma, Antenore, 2009, cui si
rinvia anche per i precedenti lavori di Zaja sull’argomento.
33
Un’anticipazione in F. M. BERTOLO – M. CURSI – C. PULSONI, Il postillato autografo delle
‘Prose della volgar lingua’: primi appunti, «Critica del testo», XVII, 2014, fasc. 2, pp. 9-33.
29
30
INTRODUZIONE
XVII
pratiche filologiche, come era stato per generazioni precedenti di umanisti
alle prese con manoscritti antichi o contemporanei.
L’esigenza di omogeneità sopra ricordata non era del solo Bembo: era
anche, come bene mostra Matteo Motolese, di editori operanti o no nella sua
scia e di grammatici, come Giovan Francesco Fortunio e Nicolò Liburnio,
che prima di lui avevano pubblicato ragionamenti sulla lingua. Quelli e
questi proponevano criteri di giudizio, canoni autoriali, soluzioni editoriali – divergenti da quelle di Bembo – che in parte ancora si appoggiavano
alla dottrina, tutt’altro che obsoleta, della lingua cortegiana; e quei diversi
contesti ispirarono talora pratiche editoriali che ci appaiono oggi al limite – e
forse anche oltre il limite – di ciò che a una filologia dei testi volgari, sia pure
ancora in culla, fosse lecito fare. I propositi (qui esaminati da Carlo Caruso)
che poterono muovere Andrea Calvo, Hieronimo Claricio e Tizzone Gaetano
da Pofi a pubblicare testi di Boccaccio in modi apparentemente così remoti
dalla nostra sensibilità risultano tali proprio perché la linea bembiana, alla
fine prevalente, li ha relegati tra le stravaganze non passibili di redenzione.
Al polo dell’Italia settentrionale (con propaggini in quella mediana),
raccolto idealmente intorno al Bembo, si contrappone il polo di Firenze.
Dopo i primi due decenni del secolo, durante i quali l’incidenza dei suoi
editori e tipografi di testi volgari appare sostanzialmente circoscritta, pur con
qualche eccezione, a una politica di rilancio di proposte veneziane, Firenze
riprende l’iniziativa: contrapponendosi alle stravaganze degli editori padani,
vociferando contro le novità ortografiche ellenizzanti del Trissino (tramite la
colonia romana del secondo pontificato mediceo), e resistendo al rigorismo
trecentista del Bembo e più in generale alla baldanza di “stranieri” fàttisi editori di testi toscani. Di qui la pronta reazione all’Ameto boccacciano edito dal
Calvo e dal Claricio nel 1520, contrastato nella premessa all’Ameto dei Giunti
dell’anno successivo; di qui anche l’edizione giuntina del Decameron (1527),
frutto di un’équipe filologica coordinata da Bardo Segni che annoverava, tra
gli altri, Pier Vettori; di qui, infine, la “Giuntina di rime antiche” (1527),
principale responsabile ancora Segni, che per tutto il Cinquecento e oltre
funge da canone di base per la lirica antica, qui indagata da Lino Leonardi in
rapporto a una delle presenze sue più cospicue, cioè Guittone34. La Giuntina,
S. DEBENEDETTI, Nuovi studi sulla Giuntina di rime antiche, Città di Castello, Lapi,
1912; ristampa Savignano (CN), Aragno, 2010 (con prefazione di Cesare Segre); D. DE
ROBERTIS, Introduzione a Sonetti e canzoni di diversi autori toscani, 2 voll., Firenze, Le Lettere, 1977 (ristampa anastatica dell’ed. Firenze, Giunti, 1527); R. CASTAGNOLA, Introduzione
a B. SEGNI, Rime, Firenze, Accademia della Crusca, 1991, pp. 9-19; P. VECCHI GALLI, Dalla
Raccolta Aragonese alla ‘Giuntina di Rime antiche’: riflessioni sul canone lirico italiano fra
34
XVIII
INTRODUZIONE
insieme con altre edizioni di testi antichi, pone su un orizzonte più ampio la
questione di come un lettore del Cinquecento (anche al di là di lettori d’eccezione come Castelvetro e Tasso) potesse “percepire” un testo duecentesco:
questione trattata nel suo contributo da Claudio Vela.
Sarebbe agevole immaginarsi un intero volume dedicato alla filologia fiorentina dei testi volgari lungo tutto il secolo decimosesto e l’inizio del decimosettimo. Con la fine della repubblica e l’instaurazione del principato mediceo,
al volgare toscano è ufficialmente assegnato il compito di garantire e promuovere il prestigio culturale dello stato riformato; intervengono altresì questioni
che interessano in primo luogo le opere storiografiche su eventi recenti o contemporanei, dove lo scrupolo di verità viene a urtare con l’imposizione di una
più stretta ortodossia politica35. Non vi è testo di storico fiorentino, o di storico
residente a Firenze in quegli anni (come insegna il caso di Paolo Giovio e delle
Historiae sui temporis), che non sia in qualche modo affetto da tali limitazioni36. Due casi diversamente esemplari sono qui esaminati: lo scrupolo di informazione e di precisione che si manifesta in continui travasi da una trascrizione
all’altra, e dunque in strati redazionali plurimi orchestrati fra l’autore e i suoi
copisti, nella composizione della Storia d’Italia di Francesco Guicciardini, di
cui rivela aspetti inediti Paola Moreno; e l’assai tormentata tradizione del testo
della Storia fiorentina di Benedetto Varchi, le cui peripezie sono ricostruite
da Dario Brancato. Ma accanto alle questioni storiografiche riprende vigore
anche lo studio dei primi secoli: con linee di sviluppo che conducono in
direzioni e verso esiti diversi. In virtù di quella tendenza che è stata descritta
come «dall’erudizione alla filologia», fondata cioè sulla consapevolezza della
distanza che separa i viventi dai modelli trecenteschi pure ammirati e imitati,
si ambisce a recuperare la genuina lezione dei testi di coloro che sono ora,
senza più, «gli antichi»37. Vincenzio Borghini ne è il più insigne rappresentante: Riccardo Drusi illustra qui il suo metodo filologico. Gli sta accanto, su
un piano differente ma con personalità analogamente versatile, Luca Martini:
le cui collazioni del testo della Commedia, fondamentali per il recupero della
Quattro e Cinquecento, in Il canone e la biblioteca: costruzioni e decostruzioni della tradizione
letteraria italiana, a cura di A. Quondam, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 193-207; P. STOPPELLI,
La ‘Giuntina di rime antiche’, in Antologie d’autore, pp. 157-171.
35
G. NENCIONI, Il volgare nell’avvio del principato mediceo, in ID., Di scritto e di parlato,
pp. 208-229: 216-217.
36
Si veda l’esemplare Nota ai testi redatta da Simone Albonico per il volume Storici e
politici fiorentini del Cinquecento, a cura di A. Baiocchi, Milano-Napoli, Ricciardi, 1994, pp.
1043-1090.
37
Vincenzio Borghini dall’erudizione alla filologia: una raccolta di testi, a cura di G. Belloni, Pescara, Libreria dell’Università editrice, 1998.
INTRODUZIONE
XIX
lezione di testimoni antichi perduti, esamina qui Oscar Schiavone. Sono interessi che trovano riscontro in quelli di Varchi, di Baccio Valori, di Vettori, in
parte anche di Giovanni Della Casa, le cui carte, acquisite or non è molto dalla
Biblioteca Vaticana e qui illustrate da Claudia Berra, rivelano un assiduo esercizio filologico su testi greci e latini il cui effetto riverbera sulle opere volgari;
né è un caso che un’amicizia solida leghi Della Casa all’alfiere della filologia
classica italiana del Cinquecento, a quel Vettori che, sin dai volumi della sua
biblioteca, si poneva nel solco del magistero di Poliziano, e che poi si troverà
a curare l’edizione postuma dei Latina monimenta dellacasiani38. C’è poi l’anima grammaticale della filologia fiorentina, cioè Lionardo Salviati, al quale
sono in larga parte dovuti l’avvio e l’impulso dati all’Accademia della Crusca:
oggetto dei contributi di Paolo Trovato e, per l’opera specifica del sodale
Bastiano de’ Rossi, di Veronica Ricotta e Giulio Vaccaro. Né si può, entro i
confini della Toscana ma in tutt’altra prospettiva, passare sotto silenzio una
personalità rilevata quale quella di Claudio Tolomei: ispiratore di una scuola
grammaticale senese che a lui costantemente si richiama, e che ha in Celso
Cittadini il suo rappresentante più significativo (e più discusso)39. Fuori di
Toscana si incontra la filologia di un fuoruscito come Jacopo Corbinelli, primo
editore dei Ricordi guicciardiniani (1576) e del De vulgari eloquentia dantesco
(1577), nonché propugnatore di edizioni di natura diplomatica avant-la-lettre:
Dell’Ethica di Aristotile ridotta in compendio da ser Brunetto Latini, et altre
traduttioni, & scritti di quei tempi (1568), il Corbaccio (1569), quindi La Bella
mano di Giusto de’ Conti, insieme con il Raccolto di rime antiche di diversi
Toscani (1589, 15902, 15953), dichiaratamente concepito come complementare
alla Giuntina del 1527. E del ruolo di Corbinelli, indagato in un importante
convegno fiorentino del 200840, si discute in questo volume nelle pagine di
materia ariostesca di Marco Dorigatti, e in quelle di Paola Italia con riguardo
alle sue edizioni “diplomatiche”.
38
L’edizione 1564 dei Monimenta è riprodotta in G. DELLA CASA, Rime e prose – Latina
monimenta, a cura di S. Carrai, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006, pp. [185-416].
39
F. SENSI, Per la storia della filologia neolatina in Italia. I. Claudio Tolomei e Celso Cittadini, «Archivio glottologico italiano», XII, 1892, pp. 441-60; R. WEISS, The Sienese Philologists of the Cinquecento: A Bibliographical Introduction, «Italian Studies», III, 1946-1948, pp.
34-49; A. CAPPAGLI, Gli scritti ortofonici di Claudio Tolomei, «Studi di grammatica italiana»,
XIV, 1990, pp. 341-394; Lingua e letteratura a Siena dal ’500 al ’700, a cura di L. Giannelli,
N. Maraschio e T. Poggi Salani, Firenze, La Nuova Italia, 1994.
40
«Un fuoruscito fiorentino alla corte di Francia – Jacopo Corbinelli», Firenze, Istituto
Nazionale di Studi sul Rinascimento – Gruppo di Studio sul Cinquecento Francese, Firenze, Palazzo Strozzi, 17-18 dicembre 2008. Cfr. anche M. G. BIANCHI, Jacopo Corbinelli, in
Autografi dei letterati italiani, Il Cinquecento, vol. III, pp. 177-195.
XX
INTRODUZIONE
Nell’Italia padana si delinea, affatto indipendente, la tradizione medievistica modenese: che dal Castelvetro passa per Gian Maria Barbieri, Carlo
Sigonio e Alessandro Tassoni – con tangenze importanti sia con il sunnominato Corbinelli, sia con quella vera e propria “stazione di smistamento” che fu
nel secondo Cinquecento la biblioteca padovana di Gian Vincenzo Pinelli – e
approda all’opera magnanima di Ludovico Antonio Muratori41. E tra Venezia
e Ferrara, in un aspro contrasto fra metodi più e meno legittimi, prende avvio
la filologia sulle varianti d’autore ariostesche – seconda solo a quella petrarchesca per importanza – di cui narra qui la storia Marco Dorigatti.
A fare da sfondo alla catena di edizioni ariostesche, decine nel giro di
pochi anni, c’è l’esplosione della produzione tipografica, quell’onda montante anche solo sul piano quantitativo di cui Dionisotti per primo ha colto
l’incidenza in termini culturali. Sulle edizioni del Furioso si esercita la pratica più o meno accurata o disinvolta di letterati professionisti, in stretta collaborazione con l’attività degli stampatori, da Dolce a Ruscelli, da Atanagi
a Sansovino42. In un circuito che ha perso ogni aspetto elitario e che mira a
un pubblico allargato, la pratica filologica e il ricorso agli originali diventano bandiere da esibire, anche quando i proclami velano sistemazioni svelte
o revisioni indebite dei testi. Di qui, inevitabili, le coloriture polemiche di
indirizzi ai lettori e della presentazione dei testi, lo scambio di accuse e critiche come era stato – ed è un segnale interessante di ritorno, di riavvio su
altro piano – nella stagione pionieristica degli incunaboli43. Accanto all’Ariosto, il Boccaccio: che all’inizio degli anni ’50 vede confrontarsi aspramente
Dolce e Ruscelli, con riflessi anche sulla coloritura dialettale di alcune
novelle, in un primo debole segnale di quella filologia dialettale qui studiata
da D’Onghia, e che offrirà prove più decise, seppure sempre virate nel senso
della revisione, nei decenni successivi, alle prese con i testi di Ruzante.
All’altezza di metà secolo, dunque, il rapido transito sul mercato tipografico ha più spesso il senso di una legittimazione che non quello di un’accu41
Per un rapido orientamento cfr. G. FOLENA, Barbieri, Giovanni Maria, in Dizionario
biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, vol. VI, 1964, pp. 226-230;
A. CIPOLLONE, Appunti per una rilettura delle Carte Barbieri, «Medioevo romanzo», XXVII,
2003, pp. 200-220.
42
Per un’indagine sulla pratica editoriale a Venezia negli anni centrali del secolo
esemplare il caso di Girolamo Ruscelli, analizzato sotto diversi profili nel volume Girolamo
Ruscelli: dall’Accademia alla corte alla tipografia. Atti del convegno internazionale di studi
(Viterbo, 6-8 ottobre 2011), a cura di P. Marini e P. Procaccioli, Manziana, Vecchiarelli, 2012.
43
Vd. al riguardo il quadro ricavabile dagli studi di Maurizio Campanelli, a partire dal
volume Polemiche e filologia ai primordi della stampa: le ‘Observationes’ di Domizio Calderini,
Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001.
INTRODUZIONE
XXI
rata definizione tipografica: è il caso delle lettere di Pietro Aretino, punto
d’avvio di quel fenomeno delle stampe di raccolte epistolari che ha lunga
durata44 e che viene qui indagato nelle pagine di Paolo Procaccioli; è il caso
delle tante operazioni antologiche condotte ancora sulle lettere e sulle rime,
operazioni che allargano in modo definitivo la platea degli attori del sistema
culturale, sia pure affiancando ai protagonisti comprimari semioscuri45.
A quest’altezza, forse, e proprio su questo crinale che muove dall’industria veneziana della stampa, si fa nitida una frattura, di ordine culturale e
di pratiche filologiche. Da un lato gli operatori interni al mondo editoriale,
portatori di una filologia di servizio, le cui operazioni si colorano di mediazione al ribasso; dall’altro alcuni grandi protagonisti, da Vettori, maestro
della filologia classica a Firenze, a Castelvetro, individuato dallo sguardo
acuto di Dionisotti come filologo principe del suo tempo, portatore di una
sua estetica che lo portava a indagare con strumenti affilati tanto Aristotele
quanto Petrarca e Bembo46. Appena a margine, protagonisti di un collezionismo raffinato che si mantiene su un piano di riserbo, sul filo di comunicazioni erudite, si delineano figure come quelle di Fulvio Orsini o di Giovan
Vincenzo Pinelli, nelle cui biblioteche transitano o si fermano codici decisivi,
dagli autografi petrarcheschi a quelli tassiani: collezioni private ora custodite
nei fondi dell’Ambrosiana e della Biblioteca Apostolica Vaticana che meritano un’indagine e un raffronto sistematico, e la proiezione sulla trasmissione
di carte e manoscritti restituiti dalle reti epistolari di quegli anni47.
44
Vd. il censimento delle edizioni che si legge in J. BASSO, Le genre epistolaire en langue
italienne (1538-1662): répertoire chronologique et analytique, Roma-Nancy, Bulzoni-Presses
universitaires de Nancy, 1990.
45
E sul senso di militanza culturale di queste antologie, organizzate in chiave di definizione di schieramenti e sull’offerta di modelli, si ricordi il volume di L. BRAIDA, Libri di
lettere: le raccolte epistolari del Cinquecento tra inquietudini religiose e buon volgare, RomaBari, Laterza, 2009.
46
A coprire parzialmente una zona rimasta non indagata dai contributi presenti nel volume conviene ricordare alcune delle più recenti acquisizioni filologiche e critiche su Castelvetro, a partire dall’edizione della Giunta fatta al ragionamento degli articoli et de’ verbi di
messer Pietro Bembo, a cura di M. Motolese, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2004; inoltre
Omaggio a Lodovico Castelvetro (1505-1571), Atti del seminario di Helsinki, 14 ottobre 2005,
a cura di E. Garavelli, con una presentazione di G. Frasso, Helsinki, Université de Helsinki,
2006; Ludovico Castelvetro: filologia e ascesi, a cura di R. Gigliucci, Roma, Bulzoni, 2007.
Infine il bilancio di autografi e postillati in M. MOTOLESE, Ludovico Castelvetro, in Autografi
dei letterati italiani, Il Cinquecento, vol. I, pp. 121-134.
47
Lo storico libro di de Nolhac sulla biblioteca di Orsini (1887) è stato ripubblicato in
anastatica alcuni decenni fa (La bibliothèque de Fulvio Orsini, Genève-Paris, Slatkine-Champion, 1976), e manca ancora una ricognizione aggiornata di quei fondi; per Pinelli, invece,
XXII
INTRODUZIONE
Proprio intorno a Pinelli, ma anche alla figura singolare di editore e
filologo di Aldo Manuzio il giovane, si avvicinano alla stampa, fuori dal
controllo dell’autore, i capolavori tassiani, l’Aminta e la prima Gerusalemme.
Quello del poema tassiano è ancora un caso aperto, uno dei più problematici della tradizione letteraria italiana, ma le ultime ricerche (in questo volume
riepilogate da Russo) dimostrano che, dietro le stampe ferraresi del 1581, ci
fu una lunga recensio condotta con attenzione entro la confusa circolazione
manoscritta dei canti del poema. Anche se poi la constitutio textus prese una
piega di eclettismo e di contaminazione, a conferma di una pratica ancora
malferma ai piani bassi delle gerarchie filologiche dell’epoca.
Quel nodo irrisolto di una filologia condotta sulle carte d’autore e insieme
di edizioni non autorizzate, un nodo appunto rappresentato dalla Liberata
e dalle altre opere maggiori del Tasso (dalle Rime al Mondo creato), chiude
simbolicamente il percorso cinquecentesco e annuncia, su diversi piani, la
stagione di primo Seicento. Nella parabola tassiana si avvertono bene i segnali della censura post-tridentina: per la lettura di zone della Liberata richiesta
da Tasso stesso all’Inquisitore ferrarese, per l’autodenuncia e la supplica
all’Inquisizione di Roma, pochi mesi dopo, ma anche per la richiesta del
poeta rinchiuso a Sant’Anna di licenze di lettura per opere capitali come il
Decameron, finite nel frattempo nel cono d’ombra dell’Indice dei libri proibiti.
Si tratta di un’ombra sempre presente nel percorso di Galileo, con la composita “filologia corale” offerta dai Lincei, dispostasi ad attenuare i rischi per
le opere galileiane al cospetto del Maestro del Sacro Palazzo (quello stesso
Niccolò Riccardi protagonista della condanna di ogni tentativo di stampa, sia
pure censurata, dell’Adone mariniano)48. Una filologia intesa a smussare gli
angoli e le punte d’azzardo, ridotta a intuizione del pericolo.
A dispetto di questa filologia difensiva, ha il senso di un rilancio l’operazione condotta da Federigo Ubaldini sugli autografi petrarcheschi, nel 1642, quasi
sul finire della stagione barberiniana, operazione ripercorsa da Paola Italia
nell’ultimo saggio del volume. Un rilancio in avanti, a segnare (malgrado incertezze e oscillazioni) un precedente lucidissimo per quella filologia d’autore che
conoscerà una piena legittimazione con Santorre Debenedetti e Gianfranco
importanti contributi si leggono in Tra i fondi dell’Ambrosiana: manoscritti italiani antichi e
moderni. Atti del Convegno di Milano, 15-18 maggio 2007, a cura di M. Ballarini et alii, Milano,
Cisalpino, 2008.
48
Fondamentale il quadro offerto da E. BELLINI, Umanisti e lincei. Letteratura e scienza
a Roma nell’età di Galileo, Padova, Antenore, 1997. Per il caso mariniano vd. C. CARMINATI,
Giovan Battista Marino tra Inquisizione e censura, Roma-Padova, Editrice Antenore, 2008.
INTRODUZIONE
XXIII
Contini, sulle carte ariostesche, in pieno Novecento49. Ma anche un rilancio nel
passato, se è vero che Ubaldini sceglieva di assumere come modello la pratica
di Colocci50, cultore di antichi manoscritti di lirica italiana e provenziale, e se
è vero che la storia delle carte petrarchesche risaliva indietro a Fulvio Orsini,
prima ancora a Mezzabarba e al Bembo, e cioè al principio della filologia italiana del Rinascimento. Quasi con l’eleganza di una struttura ad anello, Ubaldini
chiude così, con copia di intuizioni e anticipazioni feconde, una stagione che,
ancora nel segno del Petrarca, si era aperta con la splendida aldina del 1501, e
che nell’insieme consegnava ai secoli successivi una serie ricchissima di esperienze filologiche, in anticipo sulla moderna definizione della disciplina.
Raccolti i contributi e preparato il volume per la stampa, ai curatori resta il grato
compito di esprimere la propria riconoscenza agli Autori e a tutti coloro che hanno
approvato e appoggiato l’idea di una riflessione sul tema della filologia italiana nel
Rinascimento, rendendone così possibile la concreta realizzazione. Le giornate di
studio intitolate a «L’attività filologica in Italia tra Quattro e Seicento», svoltesi a
Roma tra il 30 maggio e il 1º giugno del 2016 presso la “Sapienza” Università di
Roma e la British School at Rome, hanno goduto del generoso sostegno di entrambe le istituzioni ospitanti, del Leverhulme Trust, dell’Università di Durham (Regno
Unito) e dei Progetti “Autografi dei letterati italiani”, “The Birth of Italian Literature” e “Progetto d’Ateneo 2013-2014” (“Sapienza” Università di Roma), insieme con
il patrocinio della Società dei Filologi della Letteratura Italiana e della Society for
Italian Studies (Regno Unito). Alle citate istituzioni, e ai colleghi e amici che hanno
presieduto le sessioni del convegno, vanno i più cordiali ringraziamenti.
I curatori tengono inoltre a ringraziare l’Accademia dell’Arcadia nella persona
del Custode generale, Rosanna Pettinelli, per avere accolto il volume nella collana
dell’Accademia presso le Edizioni di Storia e Letteratura. Un ringraziamento particolare è rivolto a Pietro Petteruti Pellegrino per aver seguito con attenzione partecipe l’allestimento del volume, ai revisori anonimi per l’attenta lettura dei contributi,
e alla Redazione della Casa editrice per la consueta, vigile cura editoriale.
C. C. e E. R.
49
Per quello snodo decisivo del 1937 si rileggano alcune considerazioni di C. Segre
che accompagnano la ristampa anastatica dei Frammenti autografi, apparsa nel 2010 per le
Edizioni di Storia e Letteratura. Sulle questioni implicite nelle pagine di Segre anche alcune
delle osservazioni svolte da Paola Italia nel saggio in questo volume.
50
Al riguardo si ricordino gli studi raccolti nella miscellanea Angelo Colocci e gli studi
romanzi, a cura di C. Bologna e M. Bernardi, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana,
2008.