Parte II
STORIA DEI RAPPORTI
ROMA – COSTANTINOPOLI
Dal 1453 al 1958
di
P. Gerardo Cioffari o.p.
Bari 2018
1
Sommario
Introduzione
1. Il patriarcato ecumenico dopo la caduta di Costantinopoli (1453)
2. Cattolici e ortodossi disattendono i decreti del Concilio di Firenze
3. 3. θapi umanisti ed ΟecumeniciΠ: da δeone X (1521) a Giulio III (1555)
4. La comunità greca di Venezia: tensioni fra uniti e dissidenti
5. δa svolta ΟantiecumenicaΠ dei papi dopo il concilio di Trento
6. Il metropolita di Filadelfia a Venezia:
α
α
7. Gregorio XIII e il Collegio greco di S. Atanasio a Roma (1583)
8. Geremia II: i Protestanti e il Calendario
9. Lo scontro fra papi e patriarchi si sposta in Rutenia: lUniatismo (1596)
10. La nascita della Propaganda Fide.
11. Successi protestanti nel patriarcato ecumenico. Cirillo Lukaris
12. La reazione ortodossa antiprotestante: P. Moghila e M. Syrigos (1642)
13. δηrtodossia panellenica di Dositeo di Gerusalemme (1672)
14. δattivismo missionario cattolico e le bolle di Benedetto XIV (1755)
15. Il Patriarcato e i fermenti nella teologia greca
16. Dalla Communicatio in sacris al Ribattesimo dei latini (1755).
17. Enciclica di Pio IX: In suprema Petri Apostoli sede (6 gennaio 1848)
18. Enciclica dei Patriarchi orientali in risposta a Pio IX (maggio 1848)
19. La Praeclara Gratulationis di Leone XIII (20 giugno 1894).
20. δa risposta: lEnciclica di Antimo VII (agosto 1895)
21. La svolta del patriarca Gioacchino III (1902). δenciclica del 1920. I Delegati
patriarcali a Losanna (1927).
22. I papi da Pio X e Pio XII. .
Appendici
I.- La bolla di Leone X (1521) nel commento del Rodotà
II.- Il patriarca Geremia II nel carteggio di Antonio Possevino (1581-1584)
III.- Lettera di Cirillo Lukaris al papa Paolo V (1608)
IV.- Il Patriarca Cirillo Kontaris al Papa Urbano VIII (1637)
V.- Relazione sulla tragica morte del patriarca Cirillo Kontaris (1641)
VI.- Risposta dei Patriarchi orientali al papa Pio IX (1848)
VII.- Lettera del patriarca ecumenico Gioacchino III alle chiese ortodosse (1902)
VIII.- Enciclica del patriarcato ecumenico (1920)
IX.- Pio XI. Enciclica Mortalium animos (1928)
2
Introduzione
La conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi il 29 maggio del 1453 fu un
fatto epocale. La città non era una città qualsiasi, bensì il centro e crocevia di
commerci verso l'oriente e l'occidente, il punto di riferimento dell'antica cultura
greca, nonché della grande era patristica e quindi cuore della spiritualità
ortodossa.
La grande impresa di Maometto II il Conquistatore, che poneva fine ad una
civiltà millenaria (qualche studioso fa finire il Medioevo proprio con la
conquista di Costantinopoli), ebbe tutta una serie di conseguenze storiche che
interessarono i campi più diversi. Fu una tragedia per la cristianità, che con
l'Asia Minore perdeva la terra teologicamente più feconda (da lì provenivano la
maggior parte dei Santi Padri e lì si erano tenuti tutti e sette i concili ecumenici
comuni alle due chiese) 1.
Le principali fonti sulla situazione dei cristiani nelle terre conquistate dai turchi sono le
seguenti:
- Allatius L., Greciae Orthodoxae, I-II, Roma 1652, 1659.
- Chalcocondyles Laonicus, Historiarum demonstrationes, ed. E. Darkò, I-III, Budapest 19221927; ed. I. Bekker, Bonn 1843.
- Critoboulus Ermodorus Michael, De rebus gestis Mechemetis II , in ΟFragmenta Historicorum
GraecorumΠ, ed. C. εüller, V, θaris 1883, pp. 40-161.
- Crusius Martin, Turco-Graeciae libri octo, Basilea 1584 (contiene la ΟStoria politica ed
ecclesiasticaΠ di Nik. Malaksa)
- Filippo di Cipro, Cronaca dei Patriarchi di Costantinopoli, ed. Henr. Hilarii, Lipsiae Francf.
1687.
- Dorotheos di Monemvasia, Σ ο
Χ ο ο
ο ,
- Gemistus, Georgius (Pletho), PG 160, 805-1020.
- Georgius Trapezuntius, PG 161, 769-908.
- Ipsilanti Ath. Komi, Ἐ
α
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ῶ
ῶ ἐ
ώ
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η I’, Ἐ
Κ
α
ο πό 1870.
- Leonardus Chiensis, Historia Constantinopolitanae Urbis a Mahumete II captae, PG 159,
923-944.
- Melezio di Atene, Ἐ
α
ὴ ἱ ο α, 1784
- Miklosich F., Müller J., Acta et diplomata graeca medii Aevi, Vindobonae 1862.
- Nettario di Gerusalemme, Ἱ ὰ ἱ ο α, 1669.
- Phrantses Georgios, Χ ο ό . Annales Georgii Phrantzae Protovestiarii, ed. I. Bekker, Bonn
1838; anche ed. I. B. Papadopoulos (Teubner ed.), Lipsiae 1935
- Plousiadenos Iohannes (Giuseppe di Methone), PG, 159, 959-1394
α α α
α
α
π
(Historia politica et patriarchica
Constantinopoleos), ed. I. Bekker, Bonn 1849.
- Raynaldus O., Annales Ecclesiastici, t. VIII-IX, Lucca 1752.
- Scholarios G., Oeuvres Complètes de Gennade Scholarios, I-VIII, ed. L. Petit, X. A. Siderides,
M. Jugie, Paris 1828-36, PG 160-161.
- Syropoulos Sylvester, Vera Historia Unionis non verae, Hagae-Comitis 1660.
- Sinossi dei Patriarchi di Costantinopoli dal 1594, ed. in Bandurio, Imperii Orientali, t. XI
(1711) [fonte εalyševskij]
- Theiner A., Monumenta spectantia ad unionem ecclesiarum graecae et romanae, Vindobonae
1872.
- Zoras G., Chronicle of Greco-Turkish History from 1373 -1513 of Cod. Barb. 111, edita a
puntate in varie riviste (1. π
α
α
α
π
2. π
π
α π
3.
α) tra gli anni
1949-1956.
1
3
Sotto laspetto dei rapporti fra la Chiesa di Roma e la Chiesa ortodossa la
conseguenza più appariscente fu lo spostamento dellasse gravitazionale da
Costantinopoli (con Alessandria, Antiochia e Gerusalemme ugualmente sotto il
dominio musulmano) a Mosca. Tuttavia, per svariati motivi che vengono
evidenziati nella mia ΟStoria della Teologia russaΠ, persino εosca doveva
idealmente fare riferimento a Costantinopoli.
Maometto II, tutto preso dalle sue conquiste, non aveva però alcun interesse a
convertire i cristiani all'Islam. Voleva solo assoggettarli e integrarli nel suo
impero. Ecco perché mantenne l'istituzione del patriarcato. Ad esso anzi conferì,
oltre l'autorità spirituale, anche il potere governativo e amministrativo sui
cristiani che durante il periodo bizantino non aveva mai avuto, essendo
appannaggio dell'imperatore.
Naturalmente, il fatto che il patriarca di Costantinopoli dipendeva (e doveva
essere previamente riconosciuto) dal sultano in più duna occasione complicava
i rapporti con gli altri rappresentanti delle chiese cristiane. Il sultano, infatti,
non interferiva direttamente negli affari interni o dottrinali del patriarcato ma,
quando questo entrava in contatto con le potenze straniere (ad esempio, con la
Polonia), si faceva particolarmente vigile a che, se non proprio vantaggiosi alla
Turchia, tali contatti non risultassero di nocumento. E dato che i rapporti del
patriarcato ecumenico sotto i turchi con la Chiesa romana, quasi sempre solo
indiretti, coinvolgevano interessi più vasti, furono immancabilmente
condizionati dalla situazione politica.
In ogni caso, se Maometto II fu di larghe vedute nel permettere una certa libertà
di culto, non altrettanto lo fu relativamente alle scuole teologiche. Furono tutte
chiuse, ad eccezione di quella patriarcale, che in questi primi anni di dominio
turco rimase sotto la direzione di Matteo Kamariotas.
I greci furono così costretti a studiare in occidente, in città come Bologna,
Firenze, Padova, dove nel 1508 giunse Marco Musuros (e che sarebbe stata
scelta per i loro studi da Massimo Margounios, Gabriel Severos e Melezio Pigas).
Ma centro principale era destinata ad essere Venezia. Qui da Creta giunsero con
la loro tipografia Laonikos e Alexandros, e soprattutto Zaccaria Kalliergis. La
mancanza di unattiva tipografia ortodossa in territorio turco fu determinante
nel quadro di quella crisi della teologia greca che avrebbe portato alla ribalta
quella slava, e soprattutto russa. Fondamentale, ma purtroppo isolata e
temporanea, fu liniziativa del patriarca di Gerusalemme Dositeo alla fine del
XVII secolo di impiantare una tipografia greca in Romania.
Quanto ai rapporti con i latini, in questa lotta per la sopravvivenza, i greci non
poterono fare altro che arroccarsi sulle loro antiche posizioni e combattere il
cattolicesimo con gli stessi argomenti del tempo di Fozio, e il protestantesimo
con gli argomenti dei cattolici.
A loro volta i papi, ad un periodo di apertura (fino al concilio di Trento) fecero
seguire un periodo di intransigenza fino a tutta la prima metà del XX secolo.
Una intransigenza ed una autosufficienza spesso coperte da un linguaggio dolce
e paterno che irritava ancor più gli ortodossi. I protagonisti della svolta, come si
sa, furono il papa Giovanni XXIII e il patriarca ecumenico Atenagora. Furono
4
essi ad abbandonare da una parte il tono di autosufficienza caratteristico dei
papi del passato e dallaltro il tono assurdamente accusatorio dei patriarchi
ecumenici anteriori al XX secolo, che vedevano in ogni differenza ΟlatinaΠ
uneresia.
1. Il patriarcato ecumenico dopo la caduta di Costantinopoli
(1453)
Più volte nella sua storia Costantinopoli era stata in pericolo. Si era tuttavia
salvata, superando un millennio di vita, ora per labilità dei suoi sovrani ora per
le discordie dei suoi nemici. Persino la politica unionista che portò ai concili di
Lione (1274) e di Firenze 2 aveva come scopo principale lintento di salvare la
città dagli Angioini di Carlo I e dalla capitolazione dinanzi ai musulmani. In
questultimo caso, però, anche il sacrificio ecclesiale si rivelò inutile. Era troppo
tardi. Nel XV secolo i papi di Roma non avevano più la forza trainante di un
Urbano II o un Innocenzo III. E solo Genova e Venezia rimasero a difendere la
città (e i loro interessi commerciali).
La mattina del 29 maggio 1453 Maometto II il Conquistatore (Mehmet II Fatih)
irrompeva nella più splendida delle capitali e la metteva letteralmente a ferro e a
fuoco3.
La vigilia, mentre il sultano preparava le sue truppe alla battaglia, i Cristiani,
greci e latini assieme, celebravano in Santa Sofia la loro ultima funzione
religiosa 4. ζel corso della battaglia trovarono la morte limperatore Costantino
XI Paleologo (1449-1453), il comandante genovese Giovanni Giustiniani ed il
patriarca Atanasio II (1450-1453).
Diverse chiese, e soprattutto Santa Sofia, furono saccheggiate e poi trasformate
in moschee. Altre furono lasciate alla popolazione cristiana sopravvissuta.
Maometto il Conquistatore non volle infatti abbandonare la città nella
confusione. Benché sullonda della vittoria continuasse a mietere spettacolari
successi, era chiaro che anche per lui Costantinopoli era destinata ad essere la
capitale naturale del nuovo impero. Egli era abbastanza tollerante in religione
(secondo la dottrina coranica: tolleranza in cambio di tributi), ma non poteva
lasciare Santa Sofia ai Cristiani. Lo storico turco coevo Tursun Bey, trascurando
tutte le altre chiese, vedeva il Padre della Conquista soffermarsi ad ammirare lo
splendore non offuscato dalla rovina. Egli vedeva che era rimasta intatta solo la
cupola: Ma che cupola! Essa rivendica uguaglianza con le Nove Volte celesti 5.
Il miglior lavoro sul concilio di Firenze e il seguito dei rapporti Roma-Costantinopoli fino alla
caduta della capitale è quello di Joseph Gill, Il concilio di Firenze, Sansoni ed., Firenze 1967.
3 Per la prospettiva turca, vedi Tursun Bey, La Conquista di Costantinopoli, Mondadori, Milano
2007; per quella occidentale vedi Steven Runciman, La caduta di Costantinopoli, Piemme
Pocket, Casale Monferrato 2001; Agostino Pertusi, La caduta di Costantinopoli, 2 vol., Milano
1976; Id., Testi inediti e poco noti sulla caduta di Costantinopoli, ed. postuma a cura di A.
Carile, Bologna 1983.
4 Georg Ostrogorsky, Storia dell’Impero Bizantino, Einaudi Tascabili, Torino 1993, p. 508.
5 Tursun Bey, La Conquista, cit., p. 81. Costruita sotto Giustiniano da Antemio di Tralle e
Isidoro di Mileto, e consacrata nel 537, Santa Sofia divenne moschea per volere di Maometto II
il Conquistatore (1453), finendo come Museo nel 1934 per disposizione di Mustafà Kemal
Atatürk.
2
5
Maometto II il Conquistatore
Gennadios II Scholarios, primo patriarca dopo la conquista ottomana
6
Al fine di riportare ordine religioso in città il sultano scelse la figura del
monaco Gennadios Scholarios, capo indiscusso degli antiunionisti (dopo la
morte di Marco di Efeso, avvenuta nel 1445)6, fatto prigioniero nel monastero
annesso alla chiesa del Pantokrator e ben presto condotto ad Adrianopoli
(Edirne). Egli in parte era già informato sulle tensioni cittadine fra unionisti e
antiunionisti, per cui gli parve opportuno affidare allo Scholarios la guida dei
cristiani ortodossi di Costantinopoli. A tale scopo lo fece tornare da Adrianopoli
e gli offrì la chiesa dei Santi Apostoli, seconda per grandezza soltanto a Santa
Sofia. Accolta, dopo qualche reticenza e soltanto per un anno, la proposta del
sultano, Scholarios alcuni mesi dopo si trasferiva nella chiesa del
Pammakaristos, allocando le monache e le reliquie nel convento di S. Giovanni
in Trullo.
Adempite tutte le cerimonie sinodali che lo avrebbero portato allelezione
patriarcale, Scholarios si presentò al sultano, il quale gli offrì un bastone
dargento con tante pietre preziose e soprattutto il titolo di etnarca, vale a dire
governatore della nazione greca allinterno del sultanato turco (la nazione greca
era designata dai turchi come ΟmilletΠ e il capo di essa come Οmillet bazΠ). Da
allora gli ortodossi avrebbero goduto di una relativa libertà confessionale e il
patriarca sarebbe stato il responsabile presso la Sublime Porta. Secondo lo
storico coevo Phrantzes (1401-1478) il primo documento concesso dal sultano fu
proprio questo ΟberatΠ di Maometto il Conquistatore allo Scholarios7. Sul suo
esempio anche i sultani successivi avrebbero espresso la loro conferma
delleletto con un berat, contenente i privilegi e le competenze del patriarca.
Tali privilegi e competenze erano molto vasti, e comprendevano la giurisdizione
su tutto il clero e popolo ortodosso (spesso anche sugli altri cristiani), il libero
possesso di chiese e monasteri (compreso il diritto di ereditare),
lamministrazione delle istituzioni educative e di beneficenza, nonché il diritto
familiare (essenziale al riconoscimento delle garanzie sociali). Naturalmente,
non tutti i sultani rispettavano le concessioni previste nel berat, e se erano
animati da spirito islamico cercavano di ostacolare in tutti i modi la libertà
religiosa dei cristiani. Altri, poi, avidi di denaro, non si sarebbero fermati
dinanzi allo scempio della dignità patriarcale con frequenti e umilianti
deposizioni.
Il Protonotario della Grande Chiesa, Filippo di Cipro, riferendosi a Gennadio
scriveva: Primus a Deo vocatus sapientissimus Georgius Scholarius, cui
sultanus Mechmet sceptrum judiciale et pileum sua manu donavit, aliaque
beneficia, quae romani imperatores Patriarchis praestare solebant, huic etiam
Gennadio Scholarios, luomo più colto in quel momento a Bisanzio, era stato uno dei più
convinti assertori dellunione con la Chiesa di Roma, appoggiando in tal senso la politica
dellimperatore Giovanni θaleologo, che laveva portato con sé a Firenze. Al ritorno dal concilio,
a contatto con Marco di Efeso, si fece monaco mutando il nome (da Giorgio in Gennadio) e
cambiò atteggiamento, divenendo il leader del partito antiunionista. Per la sua produzione
letteraria vedi Oeuvres complètes de Gennade Scholarios, 8 voll., ed. L. Petit, X. A. Siderides, M.
Jugie, Paris 1928-1936. Anche in PG 160 e 161.
7 Phrantses Georgios,
, ed. I. B. Papadopoulos (Teubner ed.), Lipsiae 1935, p. 456. Il
patriarca veniva eletto da unassemblea di vescovi della città o dei borghi vicini, nonché da
igumeni o laici rappresentativi. Appena ci si accordava sul nome lassemblea acclamava con la
parola ΟE degnoΠ( Ἄ
). Il nome veniva comunicato alla Sublime θorta e, se non cerano
ostacoli, dopo due o tre giorni un funzionario veniva a prendere e ad accompagnare dinanzi al
sultano il patriarca eletto.
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libens concessit. Quum vero ecclesiam Christi gubernasset annos V, menses VI,
post abdicatus est 8.
Eletto il 6 gennaio 1454 restò in carica fino al 6 gennaio 1456, cioè un anno in
più di quanto si fosse riproposto. Un suo breve ritorno alla stessa dignità si
ebbe tra la fine di aprile e la fine di maggio 1463, ma fu interrotto bruscamente
da una sua fuga per evitare di essere costretto ad approvare il matrimonio
adulterino del cugino del sultano (cosa alla quale non si piegò neppure il suo
successore Ioasaf I Koclas, che fu deposto nel novembre del 1463). Fu patriarca
una terza volta per un anno intero tra lagosto 1464 e la fine dellestate 1465.
Quindi tornò sul Monte Athos al raccoglimento e agli studi, chiudendo gli occhi
nel Signore in un anno vicino al 1472.
Il sultano Maometto II e il patriarca Gennadios II Scholarios
Chronicon Ecclesiae Graecae, Franequerae 1679, p. 13 (cito da Varnalidis, La vita del
Patriarcato ecumenico, dattiloscritto, p. 13).
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8
δo Scholarios, che tra laltro era un gran conoscitore di S. Tommaso dAquino,
si dimostrò particolarmente deciso contro ogni comunione con i latini, senza
però giungere a chiamarli eretici. Anzi egli auspicava un futuro concilio che
risolvesse la questione. Nel frattempo la cosa più prudente era di attenersi alla
tradizione e di non apportare innovazioni. .
In un suo articolo (δ’Unionisme de George Scholarios), Martin Jugie, faceva
riferimento ad una lettera dello Scholarios alligumeno della grande δavra
athonita di S. Atanasio, che gli chiedeva come comportarsi con gli ortodossi che
avevano accettato lunione ed ora rientravano nellηrtodossia. Lo Scholarios gli
suggeriva di non seguire lintransigenza dei Novaziani e di accoglierli con
comprensione.
Quanto ai rapporti col sultano, sembra che questi incontrasse almeno tre volte
lo Scholarios, chiedendogli di scrivere qualcosa che riassumesse in modo chiaro
la fede cristiana. Il primo scritto, intitolato δ’unica via che porta gli uomini alla
salvezza, apparve al sultano alquanto complicato. Il patriarca ne compose allora
un altro con lo stesso titolo, che risultò al sultano più comprensibile ed è noto
come Confessione di fede di Gennadio, da alcuni annoverata fra i libri simbolici
della Chiesa ortodossa9. In realtà si tratta di uno scritto molto semplice, che
evita le dispute teologiche in corso, e presenta la dottrina cristiana partendo
dalla Trinità, per passare allincarnazione e quindi alla redenzione, senza
dimenticare gli aspetti morali del dogma 10.
Secondo lo storico turco Ismail Hakki Uzunçarsili, latteggiamento di
Maometto II Conquistatore verso lo Scholarios era un chiaro avvertimento a
non continuare la politica unionista con i cattolici romani. In cambio egli
avrebbe garantito agli ortodossi di poter continuare nella loro tradizione, liberi
cioè dalle pressioni latine. Gli imperatori bizantini si erano trovati spesso nella
necessità di ricorrere al papa, ma lo avevano fatto forzando la loro coscienza al
fine di salvare Bisanzio dal pericolo turco. Invece, alla prova dei fatti, il governo
turco liberò la Chiesa ortodossa da questa involontaria sottomissione a Roma 11.
In realtà, come nota anche il Varnalidis, la divisione delle chiese coincideva con
gli interessi politici turchi, in quanto lopposizione a Roma indeboliva ogni
tentativo di organizzazione di una nuova crociata per la riconquista cristiana
della capitale.
ζonostante lasprezza dello scontro fra unionisti ed antiunionisti, non
mancava anche il partito di chi, come il poeta del Compianto sulla Santa Sofia,
sperava in un ritorno della città alla cristianità, sia pure alla cristianità latina:
Iddio suona e suona la terra, suonano i firmamenti e suona Santa Sofia, il
grande monastero con quattrocento simandré e sessantadue campane, ogni
campana un prete, ogni prete un diacono. Canta a sinistra il re, a destra il
patriarca e dal gran salmodiare tremavano le colonne. Com’erano al
cherubico e all’uscita del re, una voce scese dal cielo dalla bocca
dell’arcangelo: ”Il cherubico cessi e si cali il Santissimo, e voi preti prendete i
sacri arredi, e voi ceri spegnetevi: è stata volontà di Dio che la città sia ora
Testo in Karmiris 1960, I, pp. 429-436.
Sullo Scholarios vedi la voce molto erudita di M. Jugie Scholarios Georges, in DTC XIV, col.
1521-1570.
11 Il Varnalidis, da cui prendo questa informazione, rinvia al volume di questo autore Osmanli
tarichi, vol. II, Ankara 1964, p. 6.
9
10
9
turca. Ma in Francia vada un messo, che vengano tre navi: una prenda la
croce e l’altra il Vangelo, la terza, la più bella, il nostro santo altare per elevare
lodi, e non sia preda dei cani”. Si turbò la Madonna e piansero le icone:
“εadonna, sta’ tranquilla, icone non piangete”, con gli anni e con il tempo,
tutto qui sarà di nuovo vostro12.
Sulla stessa scia si muoveva il poemetto (1045 versi) intitolato Lamento di
Costantinopoli (Θ
α
π
). Al pianto lautore faceva seguire
un appello ai grandi delloccidente affinché stringessero una lega antiturca. Egli
non parlava solo per sé, ma esprimeva il desiderio di coloro che lo avevano
incaricato di scrivere.. Omettendo prudentemente le polemiche pro e contro
lunione, egli ricordava che si trattava di una causa che coinvolgeva tutta la
cristianità. Per questo era opportuno che il papa di Roma, Οcapo della ChiesaΠ,
Οcolonna della fedeΠ, Οluce e luminare dei cristianiΠ si facesse carico di convocare
i principi cristiani che, vincendo tutte le loro discordie, partissero per la santa
guerra di liberazione di Costantinopoli13.
Chiesa dei Santi Apostoli, concessa dal sultano come sede patriarcale
Cfr. Varnalidis ΟRelazioni tra Cattolici ed Ortodossi dopo il Concilio di FirenzeΠ, dattiloscritto,
p. 7.
13 Cfr. Ellissen Adolf, Analekten der mittel- und neugriechischen Literatur, Leipzig 1860. Cfr.
Vacalopoulos 1970, p. 366. θer uno studio complessivo su questi ΟδamentiΠ vedi Zoras G.,
α
π
, Atene 1959, pp. 157/283.
12
10
Nei primi anni di dominio turco fra i cristiani di Costantinopoli regnava lo
smarrimento. Alcuni ritenevano che la caduta della capitale era stata una
conseguenza del tradimento della fede ortodossa nellaccettare lunione di
Firenze, altri, al contrario, che la causa era proprio lesser venuti meno alla
parola data a Firenze e di non aver proclamato l’unione nella capitale bizantina.
Tra i fautori dellunione degni di menzione sono Giuseppe di Metone, autore tra
laltro di una Apologia del concilio di Firenze, e Giorgio di Trebisonda (13951484).
Questultimo, spirito di umanista turbolento, fidando nella protezione del papa
Paolo II di cui era stato maestro, assunse un atteggiamento che scandalizzò
molti e lo fece finire agli arresti in Castel SantAngelo. θartendo infatti dal
concetto mistico della città di Costantinopoli, vedeva come un fatto voluto da
Dio la conquista di Maometto II, da lui considerato superiore a d Alessandro
εagno e a Giulio Cesare. ηra, se limperatore di Costantinopoli per volere di Dio
ha rivestito la sacralità riconosciutagli da tutti i cristiani, anche Maometto II ha
occupato quel trono per volere di Dio e per compiere una missione: Quoniam
nemo dubitare potest, quin haec omnia in melius omnipotens Deus
reformaturus sit, tum ipse rerum variae immutationes et corporum Europae
inaudita confusio his nostris temporibus cuncta in melius reformanda
significant, tum etiam tua virtus et foelicitas et res magnificentissime gestae id
ipsum portendunt tum maxime atque maxime Constantini sedes tibi data
demonstrat, ab omnipotenti Deo tuam ad hoc maiestatem electam esse, ut
sicuti Constantinus in una fide, in una ecclesia in unoque diutino imperio
terrarum orbem ad id flexum foelicitate magis quam virtute firmavit. E
difficile dire però se questa ΟutopiaΠ fosse parte integrante della sua mentalità,
oppure fosse stata ispirata da quel tentativo di dialogo religioso che si era
stabilito fra il Conquistatore e Gennadio Scholario (che egli menziona sul finire
della seconda lettera a Maometto II)14.
14 Cfr. A. Mercati, Le due lettere di Giorgio di Trebisonda a Maometto II, OCP IX, 1943, pp. 6599. La citazione è a p. 96.
11
Più frequente però era la sensazione di confusione e smarrimento, non
sapendosi spiegare come Dio avesse permesso una simile tragedia. δautore del
Chronicon, attribuito a Phrantses (forse Macario Melisseno), non riusciva a
credere in una punizione divina, non avendo commesso i greci, dal punto di
vista della fede, alcunché di male dinanzi a Dio: Noi sappiamo di essere
peccatori e che nessuno è senza peccato eccetto Dio. Quanto al pensare
rettamente sapete, padri e fratelli, che noi nessuna innovazione abbiamo fatto
nelle sentenze del Vangelo, ma crediamo e professiamo tutto ciò che i testimoni
oculari, i ministri, ci hanno insegnato, e tutto ciò che i santi ed ecumenici
sinodi e quelli locali, convocati nei diversi tempi, ci hanno realmente
consegnato fedelmente e con fermezza manteniamo15.
2. Cattolici e ortodossi disattendono i decreti del Concilio di Firenze
Nonostante la relativa tolleranza religiosa dei turchi, la situazione sin dagli
inizi era tuttaltro che rosea, come dimostrano le continue interruzioni di
governo patriarcale. Ecco infatti approssimativamente lavvicendamento molto
irregolare dei patriarchi della seconda metà del XV secolo:
Gennadio II Scholarios ....................................... 1454-1457
Isidoro II Xanthopoulos ..................................... 1457
Ioasaf I Koklas ................................................... 1463
Sofronios Syropoulos ........................................... 1463-1464
Marco Xylokarabes ............................................ 1465-1466
Simeone I di Trebizonda .................................... 1466, 1471-1474, 1481-1486
Dionisio I ............................................................ 1466-1471, 1489-1491
Raffaele I ............................................................. 1474-1477
Massimo III ......................................................... 1477-1481
Nifon II ................................................................ 1486-1489, 1497-1498, 1502
Massimo IV Manasses ......................................... 1491-1497
Gioacchino I ......................................................... 1498-1502, 1504-1505
Di volta in volta i patriarchi erano costretti ad affrontare problemi con i turchi
o risolvere quesiti delle altre chiese ortodosse non sempre facili. Alla prima
categoria di problemi appartengono ad esempio gli interventi a protezione delle
chiese, delle quali i turchi ogni tanto cercavano di appropriarsi. Basti citare il
caso del patriarca Dionisio I che nel 1490 dovette fronteggiare il tentativo di
Baiazet II di fare sloggiare il patriarca dalla chiesa del Pammakaristos. Dionisio
riuscì a non perdere la sede patriarcale richiamando la concessione di Maometto
II. Non gli riuscì invece di difendere altre chiese, molte delle quali facevano gola
ai funzionari turchi16.
δaltro problema irrisolto era quello dellunione con Roma: era ancora valida
quellunione o era venuta meno ? δa confusione nasceva da un fatto ben preciso:
il concilio di Firenze aveva proclamato lunione della chiesa ortodossa alla
Romana, una unione che prevedeva il primato del papa e il rispetto dei
privilegi dei patriarchi. Le successive vicende provocarono degli equivoci non
indifferenti. Non solo qua e là i latini si comportavano con una certa aria di
15
16
Cfr. Varnalidis, ΟRelazioniΠ, cit., p. 9.
Runciman, La Caduta, cit., p. 253.
12
superiorità, ma violavano apertamente laccordo fiorentino. Già nel maggio del
1463 il papa Pio II era dovuto intervenire con la bolla Regiminis universalis
ecclesiae, richiamando larcivescovo latino che in Creta creava tutta una serie di
difficoltà ai greci uniti a Roma per il loro rito 17. Poco a poco però furono gli
stessi papi a dimenticare gli accordi del concilio di Firenze, non accontentandosi
più di avere il primato tra i patriarchi, ma di mettere del tutto da parte la loro
giurisdizione sulle chiese tradizionalmente a loro soggette, aspirando alla
monarchia assoluta, giungendo cioè a nominare propri patriarchi di
Costantinopoli e pretendendo che le chiese già sotto la giurisdizione di
Costantinopoli facessero ora riferimento a Roma 18. Tale il caso ad esempio di
Paolo II (1464-1471), il quale scrisse ai Maroniti esortandoli a conformare il più
possibile i loro riti al rito romano 19. Quanto alla nomina romana dei patriarchi
di Costantinopoli è il documentatissimo Ludwig von Pastor a parlarne: Roma
seguitò sempre a nominare patriarchi di Costantinopoli, i quali non furono
tuttavia puri patriarchi in partibus infidelium 20.
Probabilmente, però, i papi non nominavano sistematicamente i patriarchi,
ma lo facevano solo quando latteggiamento del patriarca in carica era
apertamente contro lunione. Le loro nomine del resto non avevano alcun valore,
a meno che non avessero lavallo turco. Per cui, è ben immaginabile quanto sia
difficile interpretare il vero meccanismo nelle continue deposizioni e
riassunzioni dei patriarchi.
Come esempio di patriarca decisamente avverso allunione si può portare il caso
di Massimo III, al quale alcuni cataloghi cattolici attribuiscono il periodo 14771481. In realtà egli continuò imperterrito anche nel periodo di Simeone I di
Trebisonda, tanto è vero che presiedette un concilio antiunionista nel 1484, e fu
un concilio di grande importanza se veniva ricordato espressamente ancora alla
fine del XVII secolo da Dositeo di Gerusalemme. Già in precedenza Massimo III
aveva scritto una lettera al doge di Venezia Giovanni Mocenigo, lamentandosi di
come i greci fossero continuamente sotto pressione da parte del clero latino nei
territori veneziani. Ora con il concilio costantinopolitano del 1484 procedeva ad
una condanna solenne del concilio di Firenze e dei suoi aderenti21. .
Hofmann G., Papst Pius II und die Kircheneinheit des Ostens, OCP XII (1946), p. 220.
Su questo punto centrale della controversia, sul quale quasi tutti gli scrittori cattolici
sorvolano, torna a più riprese il De Vries (di gran lunga il più imparziale). Egli scrive tra laltro: I
papi del resto hanno continuamente prospettato alle chiese orientali l’unione con le condizioni
di Firenze. Qui c’era l’assicurazione della salvaguardia dei riti liturgici e dei “diritti e privilegi
dei patriarchi orientali”. Questa seconda parte della promessa era però appesantita
dall’ambiguità del tutto non intenzionale delle clausole di Firenze, di cui abbiamo parlato più
sopra. A Roma, con il centralismo dominante nel secondo millennio, era andata perduta la
sensibilità per la possibilità di una vera autonomia dei patriarchi. Cfr. De Vries 1983, p. 119.
19 Raynaldi O., Annales ecclesiastici, accedunt notae chronologicae, criticae, etc., auctore I. D.
Mansi, Lucae 1753-1754, alla. 1469. Cfr. Quaresmius Fr., Historica Terrae Sanctae elucidatio, I,
Venetiis 1880, p. 324 ss. Pastor, II, p. 367.
20 Purtroppo il Pastor (II, p. 453, n. 2), che sembra conoscere tutto sui papi, dopo una simile
impegnativa affermazione, si limita ad aggiungere: Un notevole scritto su questo argomento
dell’anno 1476 ha pubblicato il Rattinger nella Zeitschrift für Katolische Theologie, XIV, 527.
21 εalyševskij 1872, p. 44 . δautore ricorda come questo concilio è menzionato ben due volte nel
α
di Dositeo di Gerusalemme. Quindi assegna a Massimo III il periodo 1481-88, e
rinvia su questo concilio ad un articolo dellarchim. Arsenij sul Pravoslavnoe Obozrenie (1868,
maggio).
17
18
13
A questo concilio del 1484, da alcuni definito ecumenico, parteciparono tutti e
quattro i patriarchi. In esso fu redatto un ufficio relativo alla riconciliazione dei
latini che tornavano allηrtodossia. Costoro furono classificati come eretici della
seconda categoria, nel senso che non era previsto il ribattesimo (come per
quelli della prima), ma solo la reiterazione della confermazione e una specie di
professione di fede con abiura degli errori. Il concilio di Firenze doveva essere
espressamente ripudiato, come si evince da una delle domande poste al
neoconvertito: Rigetti tu e consideri nullo il concilio tenuto a Firenze, in Italia,
come pure tutte le decisioni erronee e illegittime prese in esso contro la Chiesa
cattolica ? E il convertito risponde: Santo Padre, rigetto questo concilio, e
considero nulla sia la sua convocazione che le sue deliberazioni 22. Nelle abiure
erano previste ovviamente la negazione sia del primato romano che della
infallibilità del successore di Pietro.
Verso la fine del XV secolo dunque le posizioni si stavano irrigidendo nel
senso che entrambe le parti avevano messo alle spalle il concilio di Firenze,
Roma negando la giurisdizione costantinopolitana sulle chiese orientali
tradizionalmente ad essa soggette, Costantinopoli annullando esplicitamente il
concilio di Firenze e quindi lunione. Ma nonostante questo atteggiamento sia di
Roma che di Costantinopoli, è innegabile una certa nostalgia dellunione anche
oltre la fine del XV secolo.
δa cosa risulta evidente in una lettera del patriarca ζifon II, animato tra laltro
da sentimenti unionistici, in risposta al metropolita di Kiev Giuseppe
Bolgarinovič:
Così voi chiedete il nostro aiuto ed una lettera di raccomandazione per il
vostro potente re. Inoltre, desiderate sapere come sono andate le cose nel
sinodo di Firenze per utilizzarne gli accordi nei confronti di coloro che vi
perseguitano e vi opprimono. Sappiate che questo sinodo fiu convocato e
approvato con gioia universale in presenza del nostro illustre imperatore
Giovanni Paleologo, di sua beatitudine il patriarca di Costantinopoli Giuseppe,
nostro predecessore di felice memoria, in presenza dei vicari, dei nostri fratelli
i patriarchi, di altri arcivescovi e duchi che costituiscono le fondamenta della
Chiesa orientale. C’era anche il vescovo di Roma con il suo partito. ζonostante
questo, alcuni partigiani del nostro rito che non avevano partecipato al sinodo,
rifiutarono di accettare l’unione, a causa, si dice, del loro odio contro i latini;
costoro suscitarono dei moti, dei disordini fra di noi e cercarono di governare
noi ed il gregge che ci è stato affidato, senza che ci fosse possibile spuntarla.
Chissà che non sia a causa della nostra opposizione alla santa unità che Dio ci
ha puniti, e ci ha puniti così severamente e ci punisce ancora! Nessuno si dà da
fare per darci sostegno e, fino a questo momento, non solo i latini ci lasciano
senza alcun aiuto, ma si mostrano mal disposti nei nostri confronti. Non vi
meravigliate quindi che vi trattano poco benevolmente. Tuttavia, la vostra
carità può facilmente difendersi e scusarsi, dicendo che non gli è possibile
intraprendere checchessia senza l’assenso del patriarca di Costantinopoli.
(...) La vostra carità non deve fare alcuna opposizione, ma vivere in amicizia
con gli occidentali, poiché anche noi abbiamo permesso ai nostri preti che
Rhalli e Potli 1855, pp. 143-147. Anche L. Petit, δ’entrée des catholiques dans l’Eglise
orthodoxe, Echos dηrient, 1898, II, pp. 129-131 ; M. Jugie, Schisme Byzantin, DTC XIV, col.
1388.
22
14
abitano le isole e dipendono dal senato di Venezia di prendere parte alle
preghiere e alle riunioni dei latini e di conservare la religione dei loro padri
come tutte le usanze della chiesa orientale. I nostri avi non si sarebbero riuniti
con i latini durante il concilio di Firenze, se non avessero ricevuto ogni
assicurazione che tutti i nostri privilegi non avrebbero subìto alcuna modifica
23. .
Da quanto detto si può concludere che i rapporti diretti fra i papi ed i
patriarchi di Costantinopoli dopo la caduta della capitale furono sporadici.
Prima di qualsiasi relazione diretta i papi richiedevano lobbedienza alla Santa
Sede, ma i patriarchi, con poche eccezioni (tra laltro ambigue) erano lungi da
una simile prospettiva. Allo stesso tempo, tutti i papi indistintamente si
impegnarono a creare le condizioni per una guerra di riconquista di
Costantinopoli, anche se i tentativi andavano immancabilmente a vuoto a causa
delle guerre intestine dei sovrani occidentali. La stessa Venezia andava molto
cauta per non compromettere i suoi commerci.
La preoccupazione principale era dunque la guerra contro i turchi. I patriarchi
di Costantinopoli, almeno a giudicare dalla documentazione pervenutaci, è
come se non esistessero affatto. θrobabilmente, essendo confermati dallautorità
turca, per i papi essi non erano che degli emissari del governo turco. E mentre
questi comunque si attendevano un qualche aiuto dalloccidente cristiano, i papi
si atteggiarono verso il mondo greco cristiano con sentimenti di conquista
religiosa, dimentichi dei termini dellaccordo di Firenze. Come giustamente fa
osservare il De Vries, grande studioso del Pontificio Istituto Orientale, i papi di
questa seconda metà del XV secolo si discostarono dal riconoscimento
fondamentale dei riti e delle usanze greche stabilito nel concilio di Firenze,
tornando allassolutismo caratteristico dell’atteggiamento mentale medioevale
24.
3. Papi umanisti ed “ecumenici”: da Leone X (1521) a Giulio III (1555)
La prima metà del XVI secolo rappresenta un momento particolarmente
positivo dei rapporti fra cristianità greca e cristianità latina. Ormai le speranze
della riconquista di Costantinopoli erano definitivamente tramontate, e il
papato sperava solo di arginare la sete e la straordinaria capacità di conquista
che i sultani dimostravano. Nel 1458 era caduta Atene (e il Partenone, con la sua
chiesa dedicata alla Vergine, divenne moschea); nel 1460 era occupata la Morea,
nel 1461 Trebisonda, nel 1462 molte isole dellEgeo, nel 1463 i turchi erano
entrati in Bosnia, Erzegovina e Serbia (praticamente a ridosso di Venezia e
dellimpero); nel 1468, nonostante le eroiche gesta di Skanderbeg, era la volta
dellAlbania; nel 1472 i turchi erano in Valacchia (Romania), penetrando in
Ungheria e minacciando la stessa Vienna. I successori di Maometto II non si
erano neppure accontentati delle conquiste ai danni dei cristiani. Nel 1517
simpadronivano dellEgitto, e tre anni dopo della Palestina e della Siria. Nel
1523 era sottomessa lArmenia ed entro il 1538 erano conquistate anche la
θersia e lArabia con tutta la costa del Mar Rosso. Così dalle conquiste di
Maometto II a quelle di Solimano il Magnifico molti paesi cristiani e le
23
24
Monumenta Ucrainae Historica, I, Roma 1964, pp. 6-7.
De Vries 1983, pp. 110-111.
15
principali nazioni musulmane erano cadute sotto il dominio dei turchi. Il che
significa, dal punto di vista della storia dei rapporti Roma Costantinopoli, che
politicamente, economicamente e religiosamente, i conti bisognava farli con i
turchi. Il che vale ovviamente per gli altri tre antichi patriarcati dηriente:
Alessandria (con sede al Cairo), Antiochia e Gerusalemme.
Sul versante cristiano, con Rodi conquistata nel 1522, quindi Belgrado,
conquistata da Solimano il Magnifico, Vienna in pericolo, Otranto e il Veneto
saccheggiati dai musulmani, i papi lanciavano un appello dopo laltro, ma tutti o
quasi cadevano nel vuoto di fronte allo strapotere dei turchi.
Di fronte a questa situazione drammatica, che vide una emigrazione dei greci
senza precedenti, si registrò in Europa un fenomeno culturale particolarmente
interessante. Il medioevo latino, grazie allapporto di tanti intellettuali greci,
cominciava ad entrare in crisi mentre cresceva lumanesimo con la riscoperta di
Platone e dei classici greci. Il che fu favorito anche dal fatto che molti
intellettuali greci erano riusciti a fuggire portando con sé preziosi manoscritti.
Vivo era perciò il desiderio di ricreare in Italia (e in Francia) un movimento
intellettuale greco, che facesse rivivere gli studi ellenistici e la Roma dei papi
divenisse una seconda Atene.
Il papa che meglio interpretò questa esigenza fu Leone X, il quale sin dal primo
anno del suo pontificato (1513-1521) chiamò a Roma il noto Giovanni Laskaris,
già stretto collaboratore di Lorenzo il Magnifico. Il Laskaris divenne la mente
delle iniziative pontificie, mentre il braccio era il suo disepolo Marco Musuro. A
questi il papa fece sapere di voler creare a Roma una scuola di lingua e cultura
greca. Gli dava quindi lincarico di scegliere una decina di studiosi greci e di
portarli a Roma, ove nella casa del Colocci sul Quirinale sarebbe sorto il nuovo
Collegio greco (denominato Accademia Medicea), fornito tra laltro di una sua
tipografia. Partito con grandi speranze (il Musuro soleva dire che nel Lazio
sarebbe rivissuta Atene) il Collegio greco ebbe un duro colpo con la morte
improvvisa dello stesso Musuro (1517), cui il papa un anno prima aveva dato
larcivescovado di εonemvasia. Fu sostituito dallellenista εanilio Rallo, ma
con la morte del papa il collegio greco entrò in crisi25.
Spinto anche da questa passione per la cultura greca, Leone X non si lasciò
trascinare in controversie teologiche ispirate al massimalismo confessionale
come molti papi prima e dopo di lui. In lui era totalmente assente quella assurda
convinzione di molti suoi successori sulla ΟpraestantiaΠ del rito latino su quello
greco. Ecco perché egli fu il papa che con più energia lottò contro ogni
latinizzazione.
Il documento che meglio esprime questo ecumenismo ante litteram è il breve
Accepimus nuper del 18 maggio 1521:
[Tamen] ordinarii locorum Latini ipsam nationem super dictis ritibus et
observantiis, in locis ubi prefati Greci morantur, quottidie molestant,
perturbant et inquietant, cogentes pueros ipsorum et alios, eorum more
baptizatos, iterum more Romanae ecclesiae rebaptizari dictumque
sacramentum sub utraque spetie omnibus etiam pueris predictis minime
ministrari debere, neque barbam nutrire, neque in fermentato sed azimo
celebrare, ac ordinatos in dictis sacris ordinibus matrimonio non uti. Propter
25
Pastor IV, pp. 419-453.
16
quae ac nonnulla alia quottidie in populo diversa scandala exoriuntur ac in
dies nisi de opportuno remedio per nos aut sedem predictam provideretur
exoriri contingeret; considerantes autem nosque opere pretium piumque fore
ac necessarium ut unio predicta multo labore quesita ac per Romanos
pontifices sollicitata conservetur, et dictorum Grecorum molestiis ac
impedimentis huiusmodi obvietur atque ipsorum quiet et animarum
consolationi in premissis opportune consulatur, necnon ritus et observantiae
in eorum ecclesiis et alibi iuxta antiquam ipsorum consuetudinem preservetur;
motu proprio non ad alicuius nobis super hoc oblate petitionis instantiam, sed
de nostra mera liberalitate et ex certa scientia ac de apostolicae potestatis
plenitudine dictis Grecis, tam prelatis quam aliis personis nationis Greciae et
eorum cuilibet, ut eorum ritibus et observantiis sive consuetudinibus, ut
premittitur, uti ac illos et illas observare missasque et alia divina officia
secundum eorum antiquam consuetudinem celebrare; necnon archiepiscopis,
episcopis et aliis prelatis Grecis, ut inter eosdem Grecos ubi archiepiscopi,
episcopi ac alii prelati Latini iurisditionem habent, pontificalia libere exercere,
officia ac a suis ordinariis officiis, ecclesiis ac piis locis et oratoriis super
huiusmodi rituum observantia per Latinos antistites et prelatos etiam locorum
ordinarios etiam divinos temporales et magistratus seculares in iudicium vel
alias inviti minime trahi".
(…)
"Et insuper cum in parochialibus ecclesiis ipsorum Graecorum ex
antiquissimo et hactenus observato ritu non nisi semel in die per unum
sacerdotem celebrari liceat et tamen nonnulli sacerdotes Latinorum, dimissis
ipsorum propriis parochialibus ecclesiis, ut praefatos Graecos iniuria afficiant
et ad disturbandum eorum ritus et consuetudinem huiusmodi, nescitur quo
spiritu ducti, interdum altaria dictarum parochialium ecclesiarum
preoccupant et inibi, contra voluntatem eorundem Grecorum, missas et forsan
alia divina officia celebrant, adeoque dicti Greci saepe numero sine auditione
missarum cum magna animorum molestia festivis et aliis diebus quibus
missam audire consueverunt remanent. Nos autem ad obviandum scandalis et
providendum ne in futurum molestiae huiusmodi Grecis ipsis inferantur.
sacerdotibus Latinis praedictis, ne de caetero missas et alia divina in dictis et
aliis ecclesiis eorundem Grecorum celebrare, Magistratibus vero, si qui sunt,
ne dictis sacerdotibus auxilium et favorem praestent.26
Il Capizzi, che come molti scrittori cattolici vuole ad ogni costo cercare la
continuità della politica pontificia, parla di ambiguità (come se il papa si
lasciasse ingannare sullappartenenza dei greci, agli uniti oppure agli
scismatici)27. Anche il Pastor parla di ΟGreci unitiΠ, ma quel che scrive fa capire
che anche lui è convinto della grande apertura mentale di quel papa:
Leone X trattò con benevolenza e grandissima lealtà i Greci Uniti soggetti alla
signoria veneta. Fin dal 1513 il papa si dié premura di togliere controversie tra
Latini e Greci a Rodi. Ripetutamente Leone intervenne di fronte al clero
Cfr. S. Varnalidis, Nicolaus 1981/2
Cfr. C. Capizzi, Spiridione Milia (1700?-1770), collaboratore greco all’Amplissima del εansi,
OCP XXXVII (1971), pp. 441-490 (in particolare p. 455, riferendosi comunque a tutta la
situazione veneziana, e non soltanto a Leone X).
26
27
17
cattolico di Corfù, che voleva costringere i greci ad abbandonare il loro rito,
come prese sotto la sua speciale protezione i Greci di Venezia. E poiché nei
possedimenti veneti del Levante particolarmente a Corfù, continuava da parte
del clero latino la vessazione dei Greci, il Mediceo addì 18 maggio 1521 emanò
una bolla concepita in termini energici, la quale riconosceva nuovamente tutti
i diritti e privilegi concessi ai Greci e condannava severamente le ostilità del
clero latino. Vi si stabiliva che i vescovi greci non ordinassero chierici latini e
viceversa neanche i vescovi latini chierici greci. Con tutto il rigore si vieta ai
Latini di dir messa in chiese greche. Nessuno ardisca condannare o dileggiare i
riti approvati nel concilio fiorentino. Ove risiedono due vescovi, un latino e un
greco, nessuno s’immischi negli affari dell’altro. ζonostante le gravi pene
stabilite contro i trasgressori, Clemente VII e Paolo III dovettero più tardi fare
dei passi a tutela dei Greci 28.
Papa Leone X (dipinto di Raffaello, 1519, Firenze) il maggiore difensore dei
diritti degli ortodossi.
Pastor IV, 568-569. δautore cita al riguardo Regest. Leonis X, nn. 3045, 5049, 9124. Nonché
Hefele-Hergenröther, Konziliengeschichte, Freiburg 1887, vol. VIII, p. 691. .
28
18
Il caso che meglio dimostra come Leone X intendesse instaurare rapporti
sereni con lηrtodossia è laffare di Arsenio. Intorno allanno 1500 fungeva da
diacono presso la chiesa greca di Venezia tale Arsenio Apostolos, uomo di buona
preparazione intellettuale. Allepoca di papa Giulio II (1503-1513) fece un
viaggio a Roma ove raccolse delle elemosine per i suoi parrocchiani e si dichiarò
apertamente per lunione con Roma. Il papa lo nominò suo legato presso il
senato veneziano, con preghiera di affidargli la metropolia di Monemvasia. Il
desiderio del papa fu soddisfatto e il suddetto Arsenio, con una lettera del
senato, si presentò a Monemvasia, dove fu accolto onorevolmente, ma non si
mancò di rilevare che era soltanto diacono. Allora, senza scomporsi, invitò il
vescovo di Elous, suo suffraganeo, e si fece ordinare sacerdote. Quindi
convocati altri due sacerdoti uno di δacedemona e laltro di Christianopolis fu
consacrato vescovo. La cosa non era avvenuta secondo i canoni, anche perché il
metropolita di Monemvasia era ancora in vita ed era stato espulso dai Veneziani,
finendo a Corona sotto il dominio turco. Gli ortodossi non reagirono perché,
secondo linterpretazione del εalyševskij, la lettera del senato veneziano era
perentoria e minacciosa. In ogni caso, Arsenio cominciò a girare nei territori
veneziani ordinando diaconi, consacrando sacerdoti e sostituendo i vescovi non
uniti a Roma, comportandosi cioè come se fosse il primate di tutti i greci nei
territori veneziani.
Papa Paolo III (dipinto di Tiziano, 1543), come tutti i papi anteriori al concilio di
Trento richiama i Latini a rispettare le usanze bizantine.
19
A questo punto che il patriarca di Costantinopoli, Pacomio, si sentì in dovere di
intervenire, scrivendo una lettera ad Arsenio, in cui gli chiedeva di essere più
rispettoso delle tradizioni greche. Arsenio gli rispose con una certa alterigia.
Allora Pacomio riunì un sinodo a Costantinopoli (giugno 1509) in cui fu
discusso il caso di Arsenio, concludendo con una condanna e una scomunica. Il
Patriarca comunicò a tutti i greci dei territori veneziani la decisione conciliare
ordinando di ritenere Arsenio per scomunicato. Ciò che fece un certo effetto fu
la precisazione che il patriarcato riteneva invalide tutte le ordinazioni di Arsenio,
e che chi intendesse continuare nel ministero avrebbe dovuto essere
nuovamente consacrato da un vescovo ortodosso 29.
Vedendogli venir meno il terreno sotto i piedi, Arsenio lasciò Monemvasia e
tornò a Roma a patrocinare la sua causa, specificando, per maggiormente
suscitare interventi a suo favore, che i greci chiamavano eretici i cattolici. La
cosa colpì il papa Giulio II, che inviò Arsenio a Venezia con una lunga lettera in
cui si chiedeva di imporre ai greci dei territori veneziani di obbedire ad Arsenio.
Il senato era incline ad accontentare il papa, ma era trattenuto dalla dura
reazione dei greci (e specialmente dalla confraternita di S. Giorgio) nei confronti
di Arsenio. Il nuovo papa Leone X si comportò invece come il senato veneziano,
privando Arsenio di ogni appoggio (il che lo costrinse a tornare a dedicarsi agli
studi classici). Così il primo braccio di ferro (sul campo di Venezia) tra un papa
(Giulio II) ed un patriarca (Pacomio I), grazie alla decisione di papa Leone X, si
chiudeva con la ΟvittoriaΠ del patriarca ecumenico, che così riaffermava la sua
giurisdizione sui territori greci soggetti a Venezia. Secondo εalyševskij, nostra
fonte principale su questa vicenda, il papa aveva agito così perché impressionato
(come il senato veneziano) dalla reazione dei greci 30. In realtà, il popolo non
centra per nulla e δeone X agì secondo le sue profonde convinzioni di rispetto
del mondo greco, sia classico che moderno. Il che è riconosciuto poco dopo
(commentando la bolla del 18 maggio 1521) dallo stesso εalyševskij che
definisce Leone X ellenofilo.
δazione energica di δeone X a difesa del rito greco contro ogni ingerenza dei
latini ebbe un certo effetto per almeno altri quattro decenni. Sulla sua scia si
mossero, infatti, altri tre pontefici: Clemente VII, Paolo III e Giulio III.
Il primo lo fece rimproverando il vescovo latino di Cefalonia in data 15 luglio
1525 31. Paolo III, con sua bolla del 23 dicembre 1534, ribadì in tutto e per tutto
la bolla di Leone X del 18 maggio 1521, menzionandola esplicitamente. Non solo,
ma cè un documento del 20 novembre del 1542 che attesta inequivocabilmente
lortodossia dei greci, senza neppure specificare se divisi o uniti con Roma. In
questo documento (Istruzione per Dionigi, guardiano del convento Sion in
Gerusalemme, come visitatore dei Maroniti del Libano), dato che linteresse del
papa è per tutta la cristianità orientale, si parla spesso dei libri biblici, teologici e
liturgici di questi cristiani. Per determinare la loro ortodossia, il testo indica
come criterio la loro concordanza con i libri che hanno li Greci et li Latini, che le
loro siano interpretazioni come hanno li Greci et li Latini, e così via. Allargando
Il decreto di deposizione di Arsenio da parte di Pacomio è edito in greco ed in francese da
Oudot Ioannes, Patriarchatus Constantinopolitani acta Selecta, II Grottaferrata 1967, doc.
XLIII
30 εalyševskij 1872, p. 47. Tutto lepisodio è narrato diffusamente nella Cronaca del Malaksa
(Turco-Graecia, pp. 146-151).
31 De Vries 1963, p. 194.
29
20
il discorso, verso la conclusione si ha questa disposizione: Item pigliate una
informatione di tutte le cose della fede loro et anchora dimandate delle cose
della fede come passano in li paesi loro vicini et lontani anchora verso la
Arabia et India et verso la Armenia et come vi sono Christiani et se vi sono
chiese et vescovi, et se tengono la fede accordo il rito o nostro o Greco o pure
sono heretici32.
Che tale distinzione fra Greci uniti e divisi fosse verso la metà del secolo molto
labile è dimostrato da un episodio particolarmente significativo concernente il
papa Giulio III (1550-1555) che, vale la pena notarlo, cade in pieno concilio di
Trento.
Questo papa confermò con sua bolla il vescovo greco di Agrigento nominato
dallarcivescovo di ηchrid. E vero che egli pensava (erroneamente) che fosse
unito a Roma, ma è anche vero che non fece nulla per appurare la sua
appartenenza ecclesiale 33. Segno questo dellapertura mentale dei papi verso i
greci nel XVI secolo fino al concilio di Trento.
Naturalmente, il filoellenismo che caratterizzò Leone X, Clemente VII, Paolo III
e Giulio III non portò tutti gli effetti sperati, ma lo stesso εalyševskij (che non
brilla certo per simpatie verso il cattolicesimo) riconosce che la causa non fu
nellindecisione dei papi, bensì nel fatto che molti prelati latini appartenevano a
potenti famiglie veneziane34, ed agivano con una elevata autonomia, per cui la
latinizzazione non fu troncata come la bolla di Leone X imponeva.
4. La comunità greca di Venezia: tensioni fra uniti e dissidenti
δatmosfera ΟecumenicaΠ della prima metà del XVI secolo ebbe benefici risvolti
sulla più importante e attiva comunità greca della diaspora, quella di Venezia. A
motivo dei rapporti commerciali della Serenissima con la città di Costantinopoli,
nonché per il suo dominio su tanti territori greci, era stato abbastanza naturale,
dopo la caduta di Costantinopoli, vedere in essa il miglior punto dincontro dei
greci fuori della patria. Qui avevano potuto celebrare in case private o ascoltare
la messa di ortodossi uniti a Roma nella chiesa di S. Biagio. Poi, il senato, con
decreto del 18 giugno 1456 (dietro richiesta in tal senso del metropolita greco di
Kiev, ed ora cardinale Isidoro), aveva concesso loro una chiesa. Sarebbe stato il
patriarca latino di Venezia Matteo Contarini (1456-1460) a individuarla. Ma
appena ci si rese conto che una forte componente era contraria allunione, il
decreto non fu attuato. Una data importante della sua storia fu il 1498, allorché
la comunità ottenne dalle autorità di fondare una Confraternita (S. Nicola della
nazione Greca) con un proprio statuto e diritto di eleggersi propri sacerdoti. Nel
1514 (30 aprile) ottennero il permesso dal doge Leonardo Loredan di comprare
un terreno per edificare la chiesa. Ma fu solo grazie alle bolle di Leone X (18
maggio e 3 giugno 1514) e Clemente VII (26 marzo 1526) che le autorità
sottrassero i Greci alla giurisdizione del patriarca latino, il che ovviamente
provocò aspre contese. Dopo una piccola chiesa provvisoria, nel 1539 iniziò la
Pastor V, 815-816 (per lIstruzione per Dionigi). De Vries, Rom, cit., p. 194 (per la bolla del
1534)
33 A. Mercati, Una bolla di Giulio III su un vescovo pei greci in Italia, Οδηriente cristiano e
lunità della chiesaΠ, II (1937), pp. 73-74. Anche De Vries 1963, p. 194.
34 εalyševskij 1872, p. 49.
32
21
costruzione della chiesa di S. Giorgio, che fu terminata solo nel 1573. Nel 1534
aspre furono le contese per lerudito Arsenio Apostolis, del quale si è parlato in
precedenza. Passato al cattolicesimo, questi aveva ottenuto il permesso di
predicare in S. Giorgio. La vicenda, che stava per prendere una brutta piega, si
risolse lanno dopo con la morte di Arsenio35.
Tra gli episodi più interessanti di questo periodo va annoverata la visita nel 1546
del metropolita di Cesarea εetrofane a Roma. Egli era lesarca inviato dal
patriarca Dionisio II (1546-1555) a Venezia per risolvere le discordie nate nella
comunità greca di Venezia tra filo- e anti-unionisti.
Metrofane (che più tardi fu patriarca di Costantinopoli, 1565-1572, 1579-1580)
era giunto a Venezia mentre infuriava la controversia intorno al sacerdote
Nicola Trizentos, che era stato allontanato per essersi schierato per lunione con
Roma (anche se laccusa ufficiale fu di essere colpevole per non aver saputo
impedire il furto di unicona della Vergine). La comunità riuscì a deporlo e a
farlo scomunicare dal patriarca Geremia I nel 1541. Egli allora si era recato a
Roma denunciando i sentimenti antilatini dei Greci di Venezia. Il papa Paolo III
reagì rimettendo in vigore (6 marzo 1542) il decreto del 1534, che prevedeva che
i cappellani greci fossero approvati dal patriarca di Venezia.
Metrofane, insieme a Giovanni Zygomalas, non riuscì a sedare le discordie
perché si schierò con gli unionisti, riconfermando il sacerdote Nicola Trizentos.
Quando il caso sembrava rientrato, lo stesso Paolo III tornò sui suoi passi e il 22
giugno 1549 ridiede vigore alle bolle di Leone X che davano ai Greci libertà di
culto.
Intanto, unionista convinto, Metrofane rimase a Venezia fino al maggio del 1547,
dopo di che in compagnia di Dionisio Zanetti (+1566) prese la via di Roma, dove
rese omaggio al pontefice, affermando che anche il patriarca aveva sentimenti
unionistici. La notizia si diffuse rapidamente e la cosa creò serie difficoltà al
patriarca, che per poco non fu deposto. Ciò nonostante, in una lettera a
Metrofane (che era tornato a Venezia nel dicembre del 1547), il patriarca
approvava tutte le sue azioni. Unica eccezione, laffare Trizentos, al quale il
patriarca concesse solo la facoltà delle confessioni, ma non di celebrare messa.
La lettera si concludeva con linvito a εetrofane di tornare a Costantinopoli.
Egli effettivamente raggiunse Costantinopoli nellottobre 1549, quando un
sinodo in quella città lo aveva appena deposto. Con laiuto di εichele
Cantacuzeno fu riabilitato, ma poi preferì dedicarsi agli studi nellisola di Halki,
da dove scrisse una lettera al pontefice.
In una lettera al barone dArgenson lambasciatore tedesco nel 1562 scriveva:
εentre dimoravo nell’isola di θringhipo ho conosciuto il metropolita
Metrofane, igumeno di un cenobio della vicina isola di Halki, uomo liberale e
dotto, che desiderava moltissimo l’unione della chiesa latina e greca. Questo
suo desiderio è però completamente estraneo al resto della nazione, che rifiuta
Geanakoplos, D. J., Bisanzio e il Rinascimento. Umanisti greci a Venezia e la diffusione del
greco in occidente (1400-1453, Roma 1967, pp. 151-177. Anche Manussacas 1973, p. 51. Lo
studio del Manussacas è fondamentale dal punto di vista documentario, in quanto come
direttore dellIstituto greco di Venezia, ha avuto accesso a tutta la ricca documentazione
archivistica.
35
22
gli uomini del nostro culto come empii e mancanti di rispetto. Ognuno ama le
sue usanze 36.
La comunità greca di Venezia, nonostante le pretese del patriarca veneziano di
esercitare la sua giurisdizione su di essa, grazie alle leggi della Serenissima e alle
bolle papali su menzionate, continuò a rivendicare la sua autonomia e il
riconoscimento della giurisdizione costantinopolitana 37.
5. δa svolta “antiecumenica” dei papi dopo il concilio di Trento
Col concilio di Trento e la controriforma le cose cambiarono radicalmente. Il
bisogno di uniformità liturgica allo scopo di evitare errori e imprecisioni, che
colpì un gran numero di liturgie locali, difficilmente avrebbe potuto lasciare
indenne quella greca, che presentava tutta una serie di peculiarità non sempre
armonizzabili con la teologia latina. Un problema che diventava acuto in quelle
terre ove preti greci e preti latini vivevano fianco a fianco. I papi, convinti che il
rito non si riducesse solo ad una questione di lingua o di cerimonie, pensarono
che queste differenze non fossero tollerabili.
Un certo sentore del cambiamento si era avvertito già durante alcune sessioni
del concilio, in particolare allorché un vescovo latino, tale Cavensi (di Cava ?)
afferrò per la barba (strappandogliela) il vescovo greco unito Dionisio Zanetti.
δa ΟcolpaΠ di questultimo era stata quella di ritenere i vescovi greci allo steso
livello dei latini, e che quindi era opportuno non fare pressioni per latinizzare i
greci 38. Un episodio questo, che avrebbe potuto essere soltanto un brutto caso.
Invece era la spia del cambiamento che stava per verificarsi nella curia romana.
Un colpo durissimo alla vitalità del rito greco nel mezzogiorno dItalia venne
col breve di Pio IV del 16 febbraio 1564 (pochi mesi dopo la conclusione del
concilio di Trento) col quale tutti i Greci residenti in Italia venivano sottoposti
alla giurisdizione dei vescovi latini: reliquis ipsorum Graecorum in divinis
celebrandis aliisque ritibus a sede Apostolica approbatis ... intactis
remanentibus 39. Ancora una volta era laccordo di Firenze a venire violato. Per i
papi, una volta ammesso il primato, i privilegi dei patriarchi garantiti dalle
conclusioni conciliari, non avevano più valore. Di conseguenza, la ΟpretesaΠ dei
greci dItalia di avere una loro gerarchia greca diveniva inaccettabile. Queste
Ecclesiae Graecorum sparse per lItalia: osservano i costumi e i riti della Chiesa
greca e pretendono di avere dei prelati propri della stessa nazione e di essere
sottomessi a questi e non agli Ordinari del luogo.Nel corso di tutto il breve è
evidente la preoccupazione papale che il rito possa nascondere gravi errori che
possano divenire di scandalo per i cattolici latini. Ecco perché il breve non si
limita a dare disposizioni, ma diffida i praesbyteri Graeci, praecipue uxorati
dal contestarle adducendo a motivo precedenti privilegi.
Manussacas 1968, pp. 6-7.
Fedalto 1967. Anche il εanussacas è molto sensibile al tema dellindipendenza giuridica della
comunità greca di Venezia, specialmente nel già menzionato
α πα α
.
38 Le Quien, 1740, III, 918.
39 Archivio Segreto Vaticano,
Editti, V, 10. Bullarium Diplomatum et Privilegiorum SS.
Romanorum Pontificum editio Taurinensis, VII, Torino 1862, 271-273. δopera è comunemente
indicata come Bullarium Romanum, cfr. Peri 1973, p. 275.
36
37
23
Pio IV (sopra) e Pio V. I papi del Concilio di Trento sottomettono i greci alla
giurisdizione dei vescovi latini
24
Tale preoccupazione per lortodossia liturgica e sacramentale pervade tutte le
sue lettere ai patriarchi orientali da lui invitati ad adeguarsi ai decreti del
concilio di Trento. Egli mandò anche un suo nunzio, Giovanni Battista, a
recapitare le sue lettere in Etiopia (al re Minas), come pure al patriarca caldeo
Abdišo, al patriarca armeno εichele, allo zar di Russia Ivan il Terribile, al
patriarca maronita Pietro 40 . Il fatto che il De Vries, nel commentare tutte
queste lettere, non menzioni alcuna ai quattro patriarchi ΟortodossiΠ
(Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme) fa supporre o che Pio IV
non abbia loro indirizzato alcuna lettera o che non contenesse alcunché di
peculiare.
δa principale conseguenza dellatteggiamento papale postridentino fu, come
nota Vittorio Peri, lo sradicamento gerarchico. Per Roma non esisteva una
gerarchia greca, ma solo quella latina. I Greci avevano solo riti e cerimonie che
potevano ancora celebrare, ma con prudenza.
La stessa preoccupazione di possibili errori e confusioni nutriva due anni dopo
Pio V, che ancor più di Pio IV si impegnò allapplicazione nel mondo dei decreti
del concilio di Trento. Nel breve del 20 agosto 1566 metteva in guardia : ne
deinceps presbyteri graeci, praecipue uxorati, latino more, vel latini graeco
ritu... missas et alia divina officia celebrare vel celebrari facere praesumant. A
suo avviso il pericolo era reale: Hoc ab antiquo catholicae ecclesiae instituto et
SS. Patrum decretis deviare considerantes 41. Nelle Istruzioni emanate da Pio V
si prevedeva addirittura la carcerazione di qualsiasi vescovo greco che fosse
trovato sul suolo italiano 42 . Data la situazione delle terre greche sempre
infestate dai turchi tali vescovi greci si vedevano qua e là, e per fortuna non
sempre le istruzioni di Pio V vennero applicate.
La nuova linea di condotta dei papi fu comunicata poi a tutti i vescovi latini
interessati grazie alle circolari inviate dalla Congregazione dei Greci creata da
Gregorio XIII. Valga come esempio quella del 1596 dal titolo: Perbrevis
instructio super aliquibus ritibus Graecorum ad RR. PP. DD. Episcopos
Latinos, in quorum civitatibus vel dioecesibus Graeci vel Albanenses Graeco
ritu viventes degunt, Romae apud Impressores Camerales.
6. Il metropolita di Filadelfia a Venezia: Χ
Ἐ
η α
ὰ ῆ ἀ α
ῆ
Naturalmente il nuovo atteggiamento dei papi di Roma, che preferivano il
proselitismo e la latinizzazione, non poteva non provocare una risposta da parte
degli ortodossi, i quali sfruttavano al massimo il senso di indipendenza che la
Repubblica di Venezia mostrava nei confronti di Roma.
Del resto la polemica antiromana non si era del tutto sopita neppure nella prima
metà del XVI secolo, come dimostra la figura di Manuele di Corinto (+ 1551),
discepolo del Kamariotas, il quale pose a sistema le precedenti controversie sulle
De Vries 1963, pp. 195-197; De Vries, Einladung nicht-Römisch-katholischer Orientalen zum
Konzil von Trient, in γCatholicaΟ 15 (1961), 134-150; P. Dib, Une mission en Orient sous le
pontificat de Pie IV, in ROC 19 (1914), 24 ss., e 266 ss.
41 Bullarium Romanum, VII, 473; Pastor VIII, 511.
42 John Krajcar, Cardinal Gliulio Antonio Santoro and the Christian East. Santoro’s Audiences
and Concistorial Acts, OCA 177, Roma 1966
40
25
differenze fra latini e greci affrontando, tra gli altri, il domenicano fra Francesco
e rilevando sei errori dei latini: Filioque, azzimi, purgatorio, primato, aspersioni
(invece della triplice immersione), opposizione senza eccezioni al divorzio.
Se però i polemisti vedevano il negativo nella Chiesa romana, non mancavano
gli scrittori che più onestamente individuavano la crisi allinterno del mondo
ortodosso, come ad esempio Pacomio di Rhus (+ Zante 1553). Egli invitava gli
ortodossi a insistere nella lettura della Sacra Scrittura che è la parola di Dio.
Notevole anche la sua lotta al monachesimo idiorritmico (individualistico),
auspicando un ritorno al cenobitismo. Per lui un monachesimo troppo
personalizzato fa andare il monaco incontro a tanti pericoli. La stessa tendenza
particolaristica egli la criticava a proposito della corrente che propugnava il
risveglio dei dialetti greci. A suo avviso i dialetti spezzano quella matrice
comune che linguisticamente è la koiné, portando a serie deviazioni. Il caso più
eclatante era allora rappresentato da Joannes Kartanos, che aveva composto in
dialetto greco un'opera di tendenza alquanto panteistica, nel senso cioè di
proporre un Dio natura più che un Dio persona.
Tra i pochi che si occuparono di evidenziare la conciliabilità della dottrina
cattolica e di quella ortodossa fu Massimo Margounios, teologo ed umanista (+
1602), il quale tentò di accordare il punto di vista ortodosso e quello cattolico
nelle questioni del Filioque e del primato. Collaborò col patriarca Geremia II, il
che gli giovò molto quando fu accusato presso il patriarca dall'arcivescovo di
Filadelfia, Gabriel Severos, come poco ortodosso. Ed è proprio la figura di
Gabriel Severos ad impersonificare la reazione ortodossa alla svolta
ΟintransigenteΠ dei papi postridentini.
Dopo gli studi svolti a Padova, Gabriel Severos (+ 1616 Dalmazia) si era
trasferito a Venezia nel 1572, divenendo cappellano della comunità ortodossa di
S. Giorgio. Geremia II, accogliendo listanza del ricco commerciante cretese
Leoninus, lo consacrò il 18 luglio 1577 metropolita di Filadelfia in Lidia.
Naturalmente quel titolo senza territorio non lo soddisfaceva, per cui tentò, ma
invano, di ottenere da Venezia il permesso di risiedere come metropolita
ortodosso nellisola di Creta. Venezia gli concesse tuttavia di tenere quel titolo
risiedendo nella città lagunare, con la dignità di esarca del patriarca.
Dato il suo carattere indipendente, il Severos non intrattenne sempre buoni
rapporti col patriarca Geremia II, il quale voleva essere sempre avvertito prima
di ogni decisione. Motivo di irritazione fu ad esempio il fatto che il metropolita
di Filadelfia, appena il papa propose la riforma del calendario, senza consultare
il patriarca, espresse il suo consenso in un suo rapporto al doge 43. Cosa che il
patriarca gli rimproverava ancora il 6 luglio 159044.
A Venezia egli rappresentò la risposta ortodossa alla svolta intransigente e
latinizzatrice dei papi postridentini. Gabriel Severos non mancò occasione di
entrare in polemica con chiunque criticasse l'ortodossia o facesse tentativi, come
Massimo Margounios, di dimostrare che in fondo il cattolicesimo e lortodossia
Fedalto 1967, p. 139-141, doc. XXX.
G. Veludo,
α α
Φ α
α
π
α
π
43
44
π
α α
α
α
20-24 (
πα α
πα α
, Venezia
α
α
π
1873 (2da ed. 1893), pp.
. ). εanussacas 1973, p. 82.
26
erano conciliabili dottrinalmente. Il suo compito non era troppo difficile perché
i pensatori ΟecumeniciΠ erano in minoranza nelluno come nellaltro
schieramento. Se il Margounios, infatti, era per la conciliabilità, gli influenti
gesuiti θossevino e Bellarmino continuavano a chiamare ΟereticiΠ gli ortodossi.
Nel suo Trattato contro i Latini, il Severos ribaltò le accuse di eresia lanciate
all'ortodossia, qualificando come eretiche le tradizionali differenze: Filioque,
primato, azzimi, purgatorio, e momento della beatitudine perfetta dei santi (a
suo avviso solo dopo il giudizio finale). Una certa notorietà godette un suo
trattato sui sacramenti, con un linguaggio (rivelante la formazione scolastica)
che ora sembrava filocattolico ora filoprotestante. Cercava sempre di riportare
all'ortodossia gli indecisi, come quel Nathanael Chichas che a Roma si era
convertito al cattolicesimo ed egli lo riaccolse nella comunità otodossa.
δasprezza di linguaggio contro il εargounios, però, non piacque a Geremia II
sia nel primo che nel secondo (1580-1584) e terzo (1587-1595) periodo di
patriarcato. Geremia impose ai due contendenti di andare a Costantinopoli, ove
dinanzi ad un sinodo avrebbero esposto le loro ragioni. Inoltre il patriarca
ingiungeva al Severos di tornare a Filadelfia, overa richiesto dai fedeli, oppure
di dimettersi. In caso contrario lo avrebbe deposto. Il temperamento del Severos
si rivelò in occasione della risposta (12 gennaio 1591). Egli non sarebbe andato a
Filadelfia e se fosse stato deposto sarebbe rimasto a Venezia a guida del popolo
cristiano che la provvidenza divina e la serenissima signoria di Venezia gli
avevano affidato. Simultaneamente a questo atteggiamento di sfida il Severos
seguì anche la linea diplomatica, chiedendo al doge di Venezia di domandare a
mezzo del bailo a Costantinopoli di farlo restare a Venezia. Geremia cedette, ma
ad una condizione: aveva deciso di lasciare entrambi (Severos e Margounios) al
loro posto a condizione che si riconciliassero, e che in caso contrario venissero
a Costantinopoli.
A questo punto prevalse lelemento umano. θur di restare a vivere a Venezia i
due si rappacificarono e vissero in pace fino alla morte. La soluzione pacifica di
tutta la vicenda ebbe limportante risvolto che la Repubblica di Venezia continuò
a permettere alla comunità greca di essere guidata dagli arcivescovi di Filadelfia
45.
Il Manussacas dà questo elenco cronologico degli arcivescovi di Filadelfia che
risiedettero a Venezia:
Gabriel Seviros (+1616)
Theofanis Xenakis (1617-1632)
Nicodemo Metaxàs (1632-1635)
Attanasio Velleriano (1635-1656)
Meletios Chortatsis (1657-1677)
Metodios Moronis (1677-1679)
Gerasimos Vlachos (1679-1685)
Meletios Tipaldos (1685-1713)
Sofronios Cutuvalis (1780-1790)46.
Tutti costoro venivano consacrati dopo che il patriarca ecumenico aveva
concesso la sua licenza (
). δa richiesta non era avanzata dallinteressato,
45
46
Manussacas 1973, pp. 82-85.
Ivi, p. 58.
27
bensì dalla comunità greca di Venezia per il tramite di lettere o di procuratori,
mentre da parte sua il senato veneziano faceva analoga richiesta a mezzo del suo
bailo a Costantinopoli. Era il patriarca dunque a esercitare la giurisdizione
attraverso il suo esarca, che era appunto il metropolita di Filadelfia. δunico di
questi metropoliti a riconoscere la giurisdizione papale sarebbe stato poi
Meletios Tipaldos, il quale per questo fu deposto dal patriarca (sigillo del
giugno 1712). Altro caso fu quello di Gregorio Fatseas, il quale godeva
dellappoggio della Repubblica veneta, ma era stato consacrato senza licenza e
non aveva inviato la necessaria confessione ortodossa. Benché consacrato da
arcivescovi ortodossi, il patriarca nel 1762 non lo riconobbe e lo depose47.
La presenza di Severos a Venezia, con il titolo di metropolita di Filadelfia, aveva
avuto quindi il significato di restituire la dignità agli ortodossi non uniti a Roma,
e di combattere ogni tentativo di unione. Con lui era iniziata la lista dei
metropoliti dipendenti giuridicamente dal patriarca e non dal papa. Il successo,
come si è detto, si fondava sul senso di indipendenza politica di Venezia da
Roma, che sarebbe divenuto ancor più evidente nel primo ventennio del secolo
successivo.
7. Gregorio XIII e il Collegio greco di S. Atanasio a Roma (1583)
ζel corso del XVI secolo tutti i papi si interessarono alloriente, nessuno però
quanto Gregorio XIII. Dotato di un forte senso delluniversalità della chiesa
cattolica, questo papa, con laiuto dei gesuiti, fondò a Roma vari collegi che
rispondessero alle esigenze di questa missione universale. Tuttavia, pur essendo
il papa più filogreco fra quelli postridentini del XVI secolo, sin dagli inizi non
volle alcun contatto diretto con la gerarchia ortodossa. Per lui esistevano i greci
uniti. Per gli altri non poteva esserci che una relazione politica senza alcun
risvolto religioso. Era stato da poco elevato alla cattedra pontificia, quando il 3
dicembre 1572 gli fu detto che avrebbe dovuto incontrare un vescovo greco. Il
card. Santoro riferì successivamente la sua reazione: Disse che il papa “non
respondet de Graecis”, et che questo l’imparò la prima volta che in minoribus
andò in segnatura 48 . La reticenza a qualsiasi contatto diretto anche col
patriarca di Costantinopoli è rivelata in una relazione dellambasciatore veneto
relativa allanno 1583:
Perché nel dare indricio alla lettera vi era gran difficoltà per causa delle
pretension del θatriarca de’ Greci... . Finalmente s’è rissoluto, per non dir cosa
che offenda né questa né quella parte, di far la soprascritta che dica:
“Venerabili fratri θatriarchae Constantinopolitano”, et non altro, giudicandosi
che questo titolo dalla bocca del papa sia per essergli di soddisfatione 49.
Come si è detto però, Gregorio XIII era interessato alloriente. Il che è
dimostrato sia dal suo impegno nel creare a Roma un Collegio Greco sia nei vari
tentativi per capire la situazione socio politica.
Ivi, p. 62.
Krajcar, Cardinal Gliulio Antonio Santoro, cit., p. 20. Peri 1973, p. 372.
49 Peri 1973, p. 398
47
48
28
Fu in questo contesto che nel marzo del 1580 inviò a Costantinopoli il nunzio
Pietro Cedolini, vescovo di Nona, ufficialmente come delegato e visitatore per le
comunità della Chiesa latina in Turchia 50. Temendo complicazioni coi turchi,
Venezia rifiutò di fare viaggiare il Cedolini col bailo Paolo Contarini, il quale
però, grazie alla mediazione di mercanti ragusei, ottenne per il nunzio il
salvacondotto del sultano. A Costantinopoli gli occidentali lo evitavano, ad
eccezione dellinviato francese Giacomo Germigny, che gli procurò il permesso
di soggiorno. Dopo aver interrogato un gran numero di chierici e laici il Cedolini
stese una preziosa relazione dalla quale si evinceva lo stato pietoso della chiesa
latina che aveva perduto molte chiese, occupate da greci e armeni, e qualche
volta divenute moschee. Una certa presenza latina si registrava ancora a Chios,
Paros, Tinos, e Naxos, i cui vescovi erano in unione con Roma. A Santorini,
nonostante le pressioni ortodosse, la popolazione era rimasta quasi interamente
cattolica. Ad Andros i cattolici avevano dovuto rifugiarsi nelle montagne a causa
della persecuzione scatenata dallebreo portoghese José εiquez. εolti i cattolici
ad Adrianopoli, ma neppure un prete. A Sofia i cattolici erano di origine
ragusina. Notevole la comunità cattolica di Novibazar, più piccole quelle di
Varna, Nisch, e Rustschuk. A Costantinopoli e nei suburbi di Pera e Galata i
latini avevano 12 chiese povere e pericolanti.
Approfittando dei sentimenti antiprotestanti del patriarca ortodosso Geremia II,
il Cedolini entrò in contatto con lui discutendo sul come arginare la propaganda
protestante. Le conversazioni furono amichevoli, ma i risultati non furono molto
incoraggianti dal punto di vista romano. Geremia, infatti rispose negativamente
un anno dopo sulla questione del calendario. Poco prima del suo ritorno, il 16
aprile 1581, il nunzio inviò un francescano come visitatore in Bulgaria e un
domenicano in Crimea. δeffetto più rimarchevole dellazione del Cedolini fu la
creazione a Costantinopoli di un Collegio di Gesuiti nel 1583, ottenendo il
permesso del sultano grazie sempre allintervento dellinviato francese. δa
chiesa di riferimento fu quella di S. Benedetto in Galata51.
E vero che la peste del 1586 svuotò il collegio, ma ormai listituzione era avviata.
δincontro del Cedolini con Geremia II fu uno dei rari contatti diretti dopo la
caduta di Costantinopoli fra un inviato del papa ed un patriarca ortodosso. Un
patriarca fra laltro che proprio in quegli anni era diventato noto per le sue
risposte ai teologi protestanti. Ma, nonostante le aperture di Geremia II (come si
è constatato a proposito della sua protezione allunionista εassimo
εargounios), lintesa era per quei tempi impossibile, in quanto Gregorio XIII
amava sì i greci, ma aveva fatto propria la mentalità del concilio di Trento e
quindi non aveva altro metro di riunificazione se non il ritorno degli ΟscismaticiΠ
alla santa madre chiesa.
Anche la creazione del collegio greco va vista nel quadro della missione
universale. Il suo sogno di un ritorno dei greci alla romanità era già espresso
nella bolla In Apostolicae Sedis specula, datata 13 gennaio 1576, con la quale
annunciava la fondazione di un collegio greco a Roma 52 , facendo suo un
Theiner Aug., Annales Ecclesiastici, quos post... Baronium, Od. Raynaldum ac Iacobum
Laderchium ab anno MDLXXII ad nostra usque tempora continuat A. Th., I-III, Romae 1856
(III, 228).
51 Sulla missione del Cedolini, vedi Pastor, IX, 745-748.
52 Bullarium Romanum, VIII, 159. Peri 1973, p. 404. Una storia manoscritta (Historia Collegii
Graecorum de Urbe), conservata nellArchivio del Collegio, non esisteva più già ai tempi del
50
29
progetto che i gesuiti carezzavano da oltre due anni. Lo scopo era quello di
formare i giovani greci che, tornando nella loro patria, avrebbero fatto opera di
riunificazione dellortodossia alla Chiesa di Roma:
Ut postquam in Catholicae fidei firmitate solidati fuerint et in... studiis
profecerint, ad eorum patriam et loca redeuntes, alii, qui monasticam vitam
maluerint profiteri, ceteros monachos et religiosos catholice instruere ...
studeant; alii autem qui in clerum adscribentur nationis suae populis prodesse
et praeesse animarum curam exercere verbum Dei sincere praedicare populos
ab erroribus et schismate removere et ad salutarem orthodoxae fidei veritatem
reducere possint; reliqui vero qui in laicali vita permanserint, publice per
civitates aliorum Graecorum filios eiusdem fidei rudimenta et veritatem
litterasque et artes liberales edocere, ac similiter in orthodoxae religionis cultu
continere valeant; atque ita, divina favente gratia, sperari possit ut sana et
integra fidei praedicatio et doctrina in ipsa Graecia et totius praeterea
Orientis partibus aliquando restituatur.53
Il papa lo dotò immediatamente di 1200 scudi, aggiungendovi poi i proventi
dellepiscopato vacante di Chissano (Creta) e il pieno possesso dellabbazia
benedettina della santa Trinità di Mileto. Cardinali protettori furono nominati
Savelli, Sirleto, Santoro e Carafa. Dopo un breve periodo a fitto in via Ripetta, il
collegio fu dal papa trasferito in via del Babuino, con annessa chiesa di S.
Atanasio, voluta con bolla del 20 ottobre 1580 (e terminata nel 1583, architetto
Giacomo della Porta; iconostasi di Francesco Trabaldese). Una iscrizione al
secondo piano della facciata completava il messaggio già rivelato dallo stemma:
Gregorio P. O. M. Fundator et Parens.
I cardinali Sirleto e Santoro redassero il regolamento e ben presto molti alunni
vennero dai territori veneziani del Levante. La liturgia era ovviamente in greco,
e la stampa e diffusione di 12000 copie di catechismi aveva lintento di riportare
i greci ΟscismaticiΠ allunione con Roma. Già pochi mesi dopo la bolla di
fondazione il papa aveva fatto tradurre in greco moderno e pubblicare dal
cardinal Sirleto i decreti unionistici del concilio di Firenze, ai quali il Sirleto
aggiunse una Exhortatio ad Graecos 54. Non ci furono sensibili risultati, ma
almeno si cominciava ad avere sempre più chiara coscienza del fallimento del
concilio di Firenze e che gran parte del mondo greco restava ancora diviso da
Roma.
Nel 1593, quando la prima generazione di studenti aveva completato i corsi,
nacque un problema pratico. Essi, infatti, sapevano che se fossero stati ordinati
da un vescovo unito a Roma, non sarebbero neppure stati accolti dagli ortodossi,
vanificando così tutto il senso dellesistenza del collegio greco. Il quesito
presentato alla Congregazione dei greci era quello sulla possibilità di farsi
ordinare da sacerdoti ΟscismaticiΠ. ζel 1595 la Congregazione diede una risposta
negativa: non posse schismaticos episcopos nullum sacramentum ac
praesertim sacri ordinis canonice administrare. Dato però che appariva
Pastor, ma ne avevano scritto Pietro Arcudi (cfr. Legrand, Bibliographie Hellénique, Paris 1895,
482 ss), Rodotà (Dell’ηrigine, III, 153), P. de Meester, Le college pontifical grec de Rome, Roma
1910; Netzhammer, Das griechische Kolleg in Rom, Salzburg 1905. Cfr. Pastor, IX, 178-179.
53 Bullarium Romanum, VIII, pp. 159-160.
54 Cod. Vat. 6792.
30
eccessivo che ad ordinare i greci fosse un vescovo latino, nel 1596, dopo lunghe
consultazioni, il papa decise di fare venire a Roma un vescovo greco proprio col
compito di ordinare i greci. La persona scelta fu Germanos Kouskonari, monaco
basiliano di Cipro il quale, quattro anni dopo la caduta di Famagosta in mano ai
turchi, continuò a fare il vescovo di Leucara, Amatunte e Kouraii. Era stato in
comunione col patriarca ecumenico, fino a che in fuga si rifugiò a Roma. Qui
riconobbe la sua elezione come non canonica, sia perché eletto dal popolo sia
perché a Cipro non aveva riconosciuto la giurisdizione del vescovo latino di
Limassol, Filippo Mocenigo. Sin dal 1581 Gregorio XIII in una udienza
riconobbe valida la sua consacrazione: Della risolutione per quel D. Germano
vescovo di Limisò da Cipro, che sia riconciliato, abiurando il schisma e
professando la fede catholica, e così restarà vescovo, supplendo a i difetti nella
sua ordinatione e consecratione. 55 Al momento dunque di scegliere il vescovo
ordinante per i greci dItalia e delle isole, le autorità romane pensarono a lui,
che in origine aveva avuto il riconoscimento patriarcale ed ora aveva lavallo del
pontefice.
Il collegio greco di S. Atanasio fu una fucina di intelletti di notevole spessore.
Basti ricordare solo alcuni. Giovanni Matteo Karyophyllios insegnò nel Collegio,
lavorò nella Biblioteca Vaticana e confutò la Confessione del Lucaris. Pietro
Arcudi si impegnò per l'unione di Brest e pubblicò opere di G Bekkos e
Bessarione sullo Spirito Santo. Leone Allacci (+1669) lavorò nella Biblioteca
Vaticana e scrisse opere per la riconciliaione fra le chiese. Fondamentale la sua
De Ecclesae orientalis atque occidentalis perpetua consensione, Colonia 1648.
δimportanza del collegio calò notevolmente dopo il 1622, quando, con la
nascita della Congregazione De Propaganda Fide, poco a poco fu ridotto al
rango di seminario. Ma, anche dopo questa data, molti dei protagonisti dei
rapporti fra Roma e Costantinopoli si formarono in questo collegio. Alcuni si
dedicarono decisamente e con sincerità alla causa dellunione, anche se i frutti
della loro opera furono poco rilevanti a causa del fatto che lessere notoriamente
uniti a Roma impediva persino linizio del dialogo. Altri preferirono la via
intermedia, quella dellambiguità della loro posizione (esempio classico Paisios
Ligarides), che permise loro non solo un buon dialogo ma anche una certa
attività tra gli ortodossi. Altri, infine, come quelli del primo gruppo, ma
allinverso, preferirono appena tornati in patria schierarsi apertamente contro
lunione.
.
8. Geremia II: i Protestanti e il Calendario
Altre circostanze, oltre a quelle su riferite, favorirono contatti, sia pure indiretti,
fra il papa Gregorio XIII (1572-1585) e il patriarca Geremia II Tranos (1572-1579,
1580-1584, 1586-1595). La prima fu occasionata dal tentativo dei protestanti di
ΟconvertireΠ il patriarca ecumenico. δa seconda fu la riforma del calendario da
parte del papa e che da lui ha preso il nome di ΟgregorianoΠ.
Geremia era nato verso il 1530 ad Anchialos, sulla costa del Mar Nero. Dopo una
buona preparazione culturale era divenuto vescovo di Larissa intorno al 1565. Il
5 maggio 1572, a seguito delle dimissioni forzate del patriarca Metrofane II, fu
55
Krajcar, Santoro’s Audiences, cit., p. 45.
31
eletto patriarca. La situazione non era però delle migliori, poiché Geremia
dovette far fronte ai tentativi di Metrofane presso la autorità turche al fine di
riottenere la sede patriarcale. Il suo rivale riuscì così a farlo deporre e a tornare
lui sul trono patriarcale (29 novembre 1579). εa già nellagosto dellanno dopo
Metrofane moriva e Geremia non aveva difficoltà a tornare in carica (13 agosto
1580). Anche questa volta però il suo governo fu tuttaltro che tranquillo. Il 22
febbraio del 1584 il suo rivale Pacomio II, metropolita di Cesarea, la spuntò e
Geremia dovette andare in esilio a Rodi. Pacomio conservava la cattedra
esattamente un anno, poiché il 20 febbraio 1585, veniva scacciato da Teolepto II,
metropolita di Filippopoli. Vita difficile ebbe comunque anche Teolepto, poiché
presero il sopravvento nellamministrazione i diaconi Neofito e Niceforo, che
riuscirono il 4 luglio 1589 a riportare Geremia sul trono. La competizione era
costata molto denaro e quindi, già prima della felice conclusione della vicenda
(15 giugno 1588), Geremia aveva ritenuto opportuno prendere la via della
Polonia e della Russia per rimettersi in sesto finanziariamente. Il 15 giugno 1588
era a Smolensk, lanno dopo era a εosca (dove istituì il patriarcato), rientrando
in sede ai primi del 1590. Morì alla fine di settembre del 1595. .
Intanto, nel corso del concilio di Trento, incuriosito dagli avvenimenti che
stavano sconvolgendo la chiesa dellηccidente, il patriarca Ioasaf II (1555-1565)
aveva mandato nel 1559 a Wittenberg il diacono Demetrio Mysos. Uno dei capi
più autorevoli del protestantesimo, Filippo Melantone, gli consegnò una lettera
per il patriarca Ioasaph, invitandolo ad unirsi alla chiesa protestante 56 .
δiniziativa non ebbe seguito. Tornando dalloriente esattamente dieci anni dopo,
il teologo protestante Davide Chytraeus (Kochhafe) in un sermone a Wittenberg
affermò che, a parte alcune superstizioni, gli ortodossi greci la pensavano come i
protestanti 57 . Il terzo tentativo fu proprio con Geremia II, in occasione di
unambasciata inviata a Costantinopoli dallimperatore Massimiliano II.
δambaciatore David von Ungnad volle essere accompagnato dal predicatore
protestante Stefano Gerlach. Questi, giunto a Costantinopoli il 6 agosto 1573,
era latore di una lettera di Martin Crusius (datata 7 aprile del 1573) per il
patriarca. I termini erano rispettosi e alquanto generici, ed avevano lunico
scopo di avviare dei contatti. Più specifica era la seconda lettera (datata 15
settembre 1574) firmata anche da Giacomo Andreae, cancelliere di Tubinga. La
lettera era tra laltro accompagnata dalla confessione di Augusta tradotta in
greco da Paolo Dolscius e stampata a Basilea nel 1559. Ma le cose andarono per
le lunghe e Gerlach poté consegnare il tutto a Geremia soltanto il 24 maggio
1575. Un anno dopo (15 maggio 1576) Geremia faceva consegnare
allambasciatore la sua risposta, con la quale non solo rigettava lesortazione a
togliere gli abusi nella chiesa ortodossa (icone, reliquie, ecc.), ma in 21 articoli
sottolineava le differenze dottrinali fra ortodossia e protestantesimo.
Innanzitutto rimproverava i protestanti di riferirsi solo alla Sacra Scrittura,
mentre altrettanto impotanti erano i Padri e i concili ecumenici. Contraria sia
alla Scrittura che ai θadri è poi laggiunta del Filioque. ζei sacramenti i latini
commettono diverse violazioni della tradizione, come ad esempio il battesimo
Epistolae Melanchtonis, lib. III, ep. 36; Emmanuel Schelstrate, Acta orientalis Ecclesiae,
Roma 1739, pp. 73-74. Crusius 1584 , 484; Renaudin P., Les Eglises orientales orthodoxeset le
protestantisme, Revue de lηrient Chrétien, 5 (1900), 566-568.
57 Davidis Chytraei oratio de statu Ecclesiarum hoc tempore in Graecia, Asia, Africa, Ungaria,
Boemia, etc., Wittenberg 1582.
56
32
senza la triplice immersione. Errore più specificamente protestante è invece la
negazione della presenza reale nelleucarestia, e lefficacia della confessione
sacramentale. I sacramenti e la liturgia sono gli strumenti privilegiati verso la
salvezza, e questa non si raggiunge solo con la fede, ma anche con le buone
opere. Infine (articoli 20 e 21) il protestantesimo è in errore perché rigetta le
feste dei santi, i digiuni e il monachesimo 58.
Questa risposta giunse a Tubinga il 18 giugno 1576, e i professori luterani,
alquanto delusi, redassero una risposta che porta la data del 18 giugno 1577, e fu
consegnata al Gerlach insieme alla traduzione greca del Compendium
Theologiae di Giacomo Heerbrand e ad alcuni doni (tra cui un pendolo) per il
patriarca. Questi, che era fuori sede, ebbe la lettera solo nel marzo 1578, e diede
la sua risposta soltanto nel maggio 1579. .
Mettendo da parte il Compendium, Geremia ridusse la questione a sei articoli,
rigettando punto per punto la posizione luterana. Gli argomenti trattati erano i
seguenti:
1. Processione dello Spirito Santo
2. Libero arbitrio
3. Giustificazione e buone opere
4. Sette sacramenti
5. Invocazione dei Santi
6. Vita monastica
La lunga risposta dei professori protestanti datata 24 giugno 1580 confutava
tutti questi punti, rivendicando soprattutto il diritto allinterpretazione
personale della Bibbia e privando di autorevolezza la voce dei Padri.. La lettera
giunse a Costantinopoli mentre Geremia non occupava più il trono patriarcale.
Appena lo riottenne rispose in termini molto simili alla precedente lettera,
concludendo che non era proprio il caso di insistere su questi temi viste le
distanze che separavano le due confessioni:
Vi esortiamo a non infastidirci più con i vostri sforzi e con ulteriori lettere. Voi
trattate i teologi che furono la luce della chiesa in un modo che sembra
onorarli e riverirli, ma che poi nella realtà non date loro il giusto valore. Voi
dite che gli strumenti da noi usati, vale a dire le azioni sacre di cui vi abbiamo
parlato, sono del tutto inutili. Bene, allora lasciateci in pace e non disturbateci
più. Andate per la vostra strada e non scriveteci più intorno ai dogmi, ma
soltanto, se volete, per motivi di amicizia 59.
Coerentemente a quanto scritto in questa lettera, quando i professori
protestanti replicarono, egli fece cadere la cosa senza alcuna risposta60.
Vedendo forse il deciso atteggiamento del patriarca nei confronti dei protestanti,
il nunzio Pietro Cedolini sperò di poter intavolare un dialogo costruttivo. Ed
effettivamente, Geremia lo accolse con tante parole di elogio verso il papa,
scusandosi di non poter dire pubblicamente le stesse cose per timore delle
autorità turche.
Maloney 1976, pp. 102-103.
Maloney 1976, p. 104. Tutte e tre le risposte, in Karmiris 1960, I, pp. 437-504; II, 435-489.
60 Questa corrispondenza ha avuto un gran numero di edizioni sia in greco che in latino. Cfr.
Palmieri 1911, pp. 453-463. Da notare che le tre lettere di Geremia sono comunemente
considerate fra i libri simbolici della Chiesa ortodossa. Cfr. Mesoloras 1883, t. I, pp. 124-264.
58
59
33
Tomba di papa Gregorio XIII. Sotto: il riquadro scultoreo della riforma del
Calendario (che da lui prende il nome di ΟGregorianoΠ).
34
Stesso incontro positivo ebbe il nunzio Livio Cellini, inviato dal papa al seguito
dellambasciatore veneziano Jacopo Soranzo allo scopo di trattare
dellintroduzione del nuovo calendario. ζel primo incontro il patriarca ringraziò
il nunzio per aver accolto nel collegio greco di Roma due suoi nipoti, Costantino
e Alessandro Laskaris. Purtroppo, durante uno degli incontri giunse la notizia
che il papa, quale che fosse stata la risposta del patriarca, avrebbe comunque
pubblicato la bolla per la riforma del Calendario. La cosa irritò il patriarca a tal
punto che interruppe la conversazione, licenziando linterlocutore. Il seguito
portò al fallimento della trattativa, secondo i cattolici per linsincerità del
patriarca (il 20 maggio 1583 Cellini scriveva: sendomi alla fine chiarito che la
penna di detto mons. patriarca è stata diversa dalla lingua), secondo gli
ortodossi perché apportava ingiustificate innovazioni.
θressato dalleterno problema finanziario (sia per i tributi al sultano che per
spuntarla contro il rivale Teolepto, che occupava la cattedra patriarcale),
Geremia, come si è detto, intraprese nel giugno 1588 un viaggio a Mosca, ove
ben sapeva che lo zar Fedor intendeva istituire il patriarcato. Giunto nella
capitale fu accolto con tutti gli onori e, considerando che in quel momento non
era patriarca, il potente boiaro Boris Godunov gli propose di divenire patriarca
di Mosca. Egli fu quasi sul punto di accettare, ma ne fu dissuaso da Hieroteo di
Monemvasia e altri del suo seguito. Così le trattative si protrassero per mesi.
Finalmente fu proposto come patriarca Giobbe, il quale fu eletto ufficialmente il
23 gennaio 1589 e intronizzato solennemente tre giorni dopo. Coperto di doni
Geremia si fermò parecchi altri mesi in Russia. Alla fine dellestate cominciò il
viaggio di ritorno durante il quale apprese che il governo turco in data 4 luglio
1589 gli aveva restituito il titolo di patriarca.
In un sinodo tenuto a Costantinopoli nel maggio 1590 fu approvata listituzione
del nuovo patriarcato di Mosca, ma bocciata la sua collocazione al terzo posto
(dopo Costantinopoli e Alessandria). Si stabilì invece che stesse al quinto posto
(dopo i quattro patriarchi tradizionali). Le proteste violente dello zar non
cambiarono le cose, e il sinodo di Costantinopoli del 12 febbraio 1593 confermò
il quinto posto del nuovo patriarca della regione del Nord. 61 .
Così, sia pure fra considerevoli perplessità, sospetti e delusioni, Roma aveva
ripreso il dialogo con Costantinopoli. Era pur sempre un dialogo difficile, visto
che gli ortodossi accusavano Roma di volere non lunità ma la sottomissione,
mentre Roma li accusava di volere lo scisma invece dellunità.
9. δo scontro fra papi e patriarchi si sposta in Rutenia: l’Uniatismo
δultimo decennio del XVI secolo fu un decennio caratterizzato da avvenimenti
straordinari nei rapporti fra cattolici ed ortodossi. Fra questi il più importante,
con riflessi importanti ancora oggi, fu il concilio di Brest del 1596, che sancì
lunine di parte dellηrtodossia russa occidentale alla chiesa di Roma. Il fatto di
per sé, e soprattutto come narrato da parte cattolica, sembrerebbe escludere il
ruolo di Costantinopoli e tale era anche lintento della chiesa di Roma. In realtà,
Costantinopoli era ben presente, sia pure spesso dietro le quinte, e quindi
61 Su tutti e tre questi aspetti (disputa coi protestanti, riforma del calendario, istituzione del
patriarcato di Mosca) vedi L. Petit, Jerémie II Tranos, in DTC vol. 8, col. 886-894.
35
questo capitolo della storia della chiesa rientra pienamente nella storia dei
rapporti Roma Ν Costantinopoli.
Tutta la vicenda va inquadrata nel contesto storico, che vedeva lortodossia
russa occidentale (Ukraina e Bjelorussia) allinterno del Regno cattolico polacco,
nonché il patriarcato di Costantinopoli (come quelli di Alessandria, Antiochia e
Gerusalemme) allinterno del sultanato turco musulmano. In mancanza di un
governo ecclesiastico forte e libero non poteva mancare un qualche successo alle
iniziative dei gesuiti di riportare gli ortodossi allunione con Roma in osservanza
delle conclusioni del concilio di Firenze. δimpresa non era facile perché, come
si è detto, la chiesa di Roma (ad eccezione del periodo che va da Leone X a
Giulio III, 1513-1555) si era completamente allontanata dalle decisioni fiorentine,
che prevedevano la dignità della tradizione orientale (e non il tentativo di
latinizzazione) e il rispetto dei privilegi dei patriarchi (con la loro giurisdizione),
mentre i papi tendevano a trattare direttamente con tutti i vescovi locali come se
non esistesse alcuna giurisdizione territoriale. Per meglio raggiungere lo scopo, i
gesuiti Pietro Skatga e Benedetto Herbest, cambiarono registro. Dalla polemica
tendente a mettere in rilievo gli errori dei ruteni, intorno al 1590 cominciarono a
scrivere in tono conciliante, come se fosse soltanto una questione di rito, senza
implicanze dottrinali. Naturalmente furono scoperti e pubblicati vari scritti
(autentici, fra laltro) a suo tempo scritti a favore del concilio fiorentino.
La cosa non poteva ovviamente fare piacere ai patriarchi di Costantinopoli, i
quali, nonostante il loro stato di soggezione al potere turco, avevano ormai netta
coscienza di essere nuovamente contrapposti a Roma. Fu per difendere la
fedeltà dei Ruteni al patriarcato di Costantinopoli (oltre naturalmente ad
esigenze economiche, sulle quali non è il caso di fare dellironia, vista la
necessità dei tributi ai turchi) che personalità ecclesiastiche vicine al patriarcato
di Costantinopoli si avventurarono in Polonia e Russia.
Nel 1586 era giunto in Ukraina il patriarca di Antiochia Gioacchino, il quale
fermandosi a Lvov incontrò la locale confraternita, esortandola a mantenersi
fedele allantica tradizione. Anzi, sembra che le desse il compito di sorvegliare
lazione del clero, affinché non se ne allontanasse. Quando, poco più di due anni
dopo, giunse il patriarca Geremia (sebbene non in carica), le confraternite si
videro confermata questa missione di fedeltà. .
Inoltre, su richiesta del potente principe Konstantin ηstrožskij, protettore degli
ortodossi, Geremia sostituì il metropolita Onesiforo Devočko, due volte sposato,
con Michele Ragoza. Nel ripartire, però, nominò come suo esarca il vescovo di
Luck, Kirill Terleckij. Questi due elementi, il ruolo dato alle confraternite e la
nomina di un esarca patriarcale, si dimostrarono decisivi ai fini degli sviluppi
della vicenda. Gli storici ortodossi infatti riconducono tutto alla propaganda
cattolica, ma questa non avrebbe avuto alcun successo se non avesse avuto man
forte da queste scelte ΟcostantinopolitaneΠ. I vescovi ruteni, vedendosi ridotti
drasticamente i privilegi (irrisori a confronto con lautorità dei vescovi cattolici)
covarono tanto risentimento che cominciarono a guardare a Roma 62.
Ironia della sorte, contro Costantinopoli si rivolse anche lesarca nominato da
Geremia. Infatti quando, dietro le insistenze di Geremia, che stava rientrando
da Mosca, il metropolita di Kiev era sul punto di inviare i 14.000 pezzi doro
dovuti a Costantinopoli per la sua ordinazione, fu proprio il Terleckij a dirgli di
N. Vasilenko, Unija, in Enciklopedičeskij Slovar di Brokgaus Efron
δautore è un ortodosso.
62
XXXIV/A, p. 823.
36
soprassedere. ζellassemblea di Belza (24 giugno 1590) tutti i vescovi ruteni
cominciarono a prendere in considerazione di rivolgersi a Roma invece che a
Costantinopoli in caso di contenziosi tra di loro.
Rispondendo al Terleckij, il re Sigismondo III promise (18 marzo 1592) che in
caso di unione con Roma lepiscopato ruteno avrebbe goduto gli stessi diritti
dellepiscopato latino.In tutta la vicenda cercò di inserirsi anche il protettore
dellortodossia, Konstantin ηstrožskij, scrivendo al neoeletto vescovo di Brest
(Ipatyj Poty) e sottoponendogli un progetto di unione con la chiesa romana, da
comunicare però anche ai patriarchi orientali affinché fossero coinvolti
positivamente. Fu proprio il coinvolgimento dei patriarchi orientali, che Roma
non vedeva di buonocchio, a fare cadere il progetto dellηstrožskij, mentre la
macchina dellunione, guidata dal Terleckij, faceva progressi. Il 12 giugno 1595 i
vescovi ruteni ponevano per iscritto la loro adesione a Roma nei termini del
concilio di Firenze. Fu questa lettera che Kirill Terleckij e Ipatyj Poty, giunti a
Roma il 25 novembre di quellanno, lessero dinanzi al papa il 23 dicembre. Il
papa volle che il tutto fosse sancito da un concilio. Questo si aprì il 6 ottobre
1596 a Brest, e proclamò solennemente lunione della Chiesa rutena a Roma.
Costantinopoli, però, nonostante fosse ormai morto Geremia, non era rimasta
con le mani in mano. θrotetti dalle armi di Costantino ηstrožskij giunsero a
Brest anche gli inviati costantinopolitani Cirillo Lukaris e Niceforo, con
questultimo che, in veste di esarca del patriarca, scomunicò i vescovi che
avevano aderito a Roma 63. Dispose quindi di non commemorare Michele, il
deposto metropolita di Kiev, ma soltanto Gabriele, patriarca di Costantinopoli 64.
ζaturalmente i cattolici, temendo una marcia indietro dellepiscopato ortodosso
che si era unito a Roma, non trovarono di meglio che cominciare a diffondere
dubbi e sospetti sulla personalità e la carica di Niceforo. In una sua Relatio al
superiore generale dei Gesuiti, Pietro Arcudi così scriveva in data 10 novembre
1596: :
Per il che il Palatino mutò partito, et menò seco una massa di heretici nobili et
audacii quali dovessero turbare tutto questo atto, et non so dove trovò un certo
Niceforo Greco, che un tempo fà studiò in Padova et credo sia stato anche
diacono del Patriarca Hieremia, et forse Exarcho, questo tale menò, acciò
havesse a disputare in greco del dogma della processione dello Spirito Santo
perché credo haveva inteso che erano venuti dui del Collegio greco, et anco me
prima il Palatino conosceva, et non so chi di più della famiglia del Palatino
salutò messer Georgio Moschetti per nome et cognome, quando una volta ci
videro a celebrare. Di più se diceva che questo tal Nicephoro, oltra la disputa,
nella quale tengo certo che saria stato simile alli altri greci, et io me ne rideva,
havesse ordine dal patriarcha (non so chi si sia perche sin hora sono stati dui
doppo da morte di Hieremia, l’uno costituito da Sinan Bassa, et doppo la morte
di detto Bassa deposto, et costituito un altro more solito, nimirum oblata a
63 δopera del protosincello ζiceforo è esaltata in una coeva Relatio amplissima cuiusdam
graeci presentis in Synodo Berestensi.(ottobre 1596). Cfr. Halecki 1956, I, pp. 115-126 (testo
greco), 126-136 (polacco).
64 Weliky, p. 371, n. 238. Da notare che le vicende del patriarcato di Costantinopoli alla morte di
Geremia (tra il 1595 ed il 1596) sono alquanto confuse. Morto Geremia nel 1595, gli successe
εatteo II, cui nel 1596 succede Gabriele, e dopo poco tempo Teofane I. E più che probabile che
quando Niceforo diceva di commemorare Gabriele, il trono patriarcale fosse già occupato da
Teofane.
37
Graecis pecunia) Basta da qualunque si sia haveva questo Nicephoro ordine, o
almeno così si fingeva, di scommunicare il Metropolita et deponerlo, et non è
dubio che se havesse letto simil lettere in chiesa presente populo, haveria
causato molto disturbo, et i populi, massime agiutati dalli malevoli, si sariano
alterati da i propri pastori; ma lodato sia Dio, non gli vene fatta 65.
Un brano, questo dellArcudi, estremamente significativo dei rapporti Roma Ν
Costantinopoli. δa prima guardava alla seconda decisamente dallalto in basso,
anzi nellaffare del concilio di Brest non laveva neppure calcolata. θersino un
uomo colto come lArcudi, che avrebbe dovuto conoscere la situazione a
Costantinopoli (e sapere che Niceforo era stato il protagonista assoluto della vita
ecclesiale nella capitale turca, facendo cadere Teolepto II e rimettendo sul trono
patriarcale Geremia) parlava di Niceforo, ripetendo tre volte in poche righe Οun
tal ζiceforoΠ. Una certa insincerità nellArcudi è rivelata dal fatto che da altri
documenti 66 mostra di conoscere benissimo chi sia Niceforo e che abbia
addirittura letto il privilegio a lui concesso da Geremia dove gli dà potestà che
sieda sopra gli altri patriarchi et che sia il primo dottor della chiesa orientale,
α
α
ο , idest primo inquisitore, gli concede più facultà... radunar
synodi provinciali, deponere vescovi, arcivescovi, metropoliti, et sustituir altri
in loco loro, et circa li dogmi determinar quello che gli piace. Secondo Arcudi
però tutti questi privilegi non gli davano alcuna competenza nellaffare dei
ruteni, a motivo del fatto che quando questo si era verificato Niceforo era in
prigione in Valacchia, e che doppo che fugì, Hieremia morse, et non gli diede
commissione veruna. Arcudi sapeva dunque vita, morte e miracoli di questo
Niceforo, e tuttavia ne parlava come di Οun certoΠ, Οun taleΠ67. .
Altri, come Germanico, vescovo di S. Severo, scrivendo al card. Aldobrandini,
gettava ombra sullo stesso patriarca: Il che (l’Unione) se seguirà, sarà di gran
giovamento alla christianità; perché oltre all’acquisto delle anime, l’asserto
θatriarca costantinopolitano essercita più l’offitio di esploratore del Turco, che
di Pastore 68 . Ancora più esplicito era il palatino di Novogrod, che aveva
accettato lunione, e negava qualsiasi legittimità al patriarca di Costantinopoli,
dicendo che in Constantinopoli non era Patriarca, perché non è eletto ne
confirmato da chi ha potestà canonica di farlo, ma ch’era eletto da duonzole
(sic) confirmato dalla Porta, posto et deposto ad ogni suo capriscio. Ch’era
esplorator del Turco, e più turco che christiano, ch’era simoniaco et notato
d’infiniti vizzi, ch’era indignità non solo riconoscerlo per capo, ma nominarlo
per tale 69.
Weliky, p. 384, n. 246.
Ad esempio Weliky, p. 425-26, n. 270.
67 Il disprezzo dei cattolici verso la pietà ortodossa si rileva anche da un altro episodio. Il card.
Legato Gaetano, durante un pranzo in onore dei ruteni uniti (Varsavia, 30.X.1596) ebbe ad
ascoltare da questi vescovi la situazione religiosa dei Moscoviti: Dissero ancora che quei
Moscoviti hanno molti riti et abusi reppugnabili alla fede cattolica, et che tengono quasi in
maggior veneratione S. Nicolò che Christo nostro Signore, vero Dio e Salvatore del mondo; di
poi dissero che dubitavano assai di havere molte persecutioni dalli popoli delle loro città, che
aderendo al Palatino di Chiovia havevano avuto per male cha havevano ratificata l’unione con
la sede apostolica. Cfr. Documenta Unionis Berestensis, n. 244, p. 382.
68 Weliky, p. 423, n. 268.
69 Ivi, p. 424, n. 269.
65
66
38
Le cose in realtà stavano ben diversamente. Benché in situazione drammatica e
per tanti versi controversa, il patriarcato era ben vivo, come dimostra lentrata
in campo di due altri protagonisti della storia del tempo, Melezio Pigas e Cirillo
Lukaris.
Benché patriarca alessandrino, Melezio Pigas prese le redini anche del
patriarcato di Costantinopoli. In una sua lettera al re di Polonia per protestare
contro loppressione della chiesa ortodossa in θolonia si intitolava: Meletius,
misericordia Dei, Papa ac Patriarcha Alexandrinus et Constantinopoleos
Praeses (17 luglio 1597) 70. Il tono è davvero quello di un papa: Sigismundo
Tertio, Serenissimo Poloniae Regi invictissimo, filio in Domino dilectissimo,
salutem et apostolicam benedictionem. Dopo averlo esortato a non permettere
che gli ortodossi fossero perseguitati, gli ricordava che meritevoli agli occhi di
Dio sono i principi che difendono la vera Chiesa: Qui ea quae Apostoli docuere,
quae Patres tradidere, quae Ecclesia universalis observavit per saeculorum
innumeram seriem: ea credunt, ea praedicant, ea observant, nullis Romani
Pontificis adiectionibus, immutationibus, ac omnino innovationibus, qua de re
Paulus severissime censuit, non esse admittendos hos novarum rerum sonitus.
Di come il θigas lasciasse un ricordo di lottatore per lorgoglio e la dignità del
patriarcato di Costantinopoli è indizio anche il lungo titolo della raccolta greca
che conserva le sue lettere:
π πα α πα
π
α
α ,
,
απ
,
πα α π
π
,
πα
πα
,π
π
,
α
π
α
,
ᾶ.
π
α 71
Così, in mancanza di un dialogo diretto fra Roma e Costantinopoli, loccasione al
dialogo (ma sempre in tono polemico) la davano le situazioni storiche. Il Pigas,
però, lungi dallaccontentarsi dellesortazione al re, cominciò a scrivere una serie
di lettere alle confraternite che dipendevano direttamente dal patriarcato
costantinopolitano, esortandole a non lasciarsi attirare dalla chiesa di Roma, ma
di mantenersi nella fedeltà allortodossia72.
Per potersi muovere più liberamente a favore delle popolazioni ortodosse, il
patriarca alessandrino (facente funzione di patriarca di Costantinopoli) cercò di
essere utile diplomaticamente al regime turco nei contatti con le potenze
straniere. Nel maggio 1597 si recò in Valacchia proprio in veste di inviato dei
turchi. Una attività che in occidente era spesso interpretata come spionaggio a
favore dei turchi, cosa di cui fu accusato ad esempio lo stesso Niceforo, che finì
in carcere, da dove fuggì rifugiandosi presso Costantino ηstrožskij.
In altri termini, Melezio Pigas dedicò gli ultimi anni della sua vita a fare fallire i
tentativi di unione e a rafforzare lidentità della chiesa ortodossa. .
In Rutenia giunse anche Cirillo δucaris, Οvicario del patriarca di AlessandriaΠ, a
seguito di una lettera di εelezio θigas al campione dellηrtodossia. Il
luogotenente del patriarcato di Costantinopoli lo raccomandava in questa lunga
lettera. Il giovane Lucaris comunque preferì cedere la scena a Niceforo mentre
Ivi, p. 436, n. 283.
Questa raccolta di scritti del Pigas apparteneva a Teofilo, metropolita di Libia, poi patriarca
dAlessandria, che morì a θatmos nel 1832. Secondo Teofilo, la raccolta avrebbe dovuto
contenere 320 lettere del θigas. In realtà ce ne sono pervenute 94. Cfr. εalyševski 1872, pp. XIXII.
72 Lettera alla confraternita di Leopoli, Weliky, p. 444, n. 286.
70
71
39
egli col principe manteneva i contatti con gli ambienti protestanti della Polonia,
utili alla comune guerra religiosa contro Roma.
10. La nascita della Propaganda Fide.
Il grande successo di Roma con lunione di Brest incrementò le speranze della
curia romana in altre terre. Ma non tutto andava secondo i desideri del papa.
Tra i meno soddisfacenti agli inizi del XVII secolo erano i rapporti con Venezia.
Questi presero una piega talmente critica da sfociare nellinterdetto pontificio
contro la Serenissima in data 17 aprile 1609. Tali tensioni ovviamente non
favorirono soltanto i progressi del protestantesimo nei domini veneziani, ma
anche la reazione ortodossa, sempre meno timorosa di fronte al clero latino.
θer quanto riguarda però la città di Costantinopoli, grazie allappoggio della
Francia, il papa riuscì a fare tornare i gesuiti proprio in quello stesso anno
dellinterdetto contro Venezia. Come si è detto, essi erano già stati a
Costantinopoli oltre venti anni prima, ma sotto il pontificato di Sisto V la loro
presenza era stata interrotta da una micidiale epidemia che li aveva portati tutti
alla morte. Il loro ritorno fu molto importante sia per la cura che essi presero del
clero cattolico sia per arginare i progressi del calvinismo73.
ζon cè dubbio comunque che liniziativa maggiore della Santa Sede, e
propriamente del papa Gregorio XV (1621-1623) fu listituzione della
Congregatio de propaganda Fide, che nei suoi Annali così riporta:
In nome di Cristo. Amen. ζell’anno 1622 dalla sua nascita, il 6 gennaio, il
nostro santo Padre in Cristo Gregorio XV, per la Divina Provvidenza papa,
nella convinzione che il compito più alto del suo ufficio pastorale è la
propagazione della fede cristiana, per la quale gli uomini vengono condotti a
conoscere e adorare il vero Dio, fondò una Congregazione di tredici cardinali,
due prelati e un segretario, ai quali affidò e raccomandò l’opera della
diffusione della fede 74.
I poteri di questa congregazione sulle missioni furono amplissimi. Per meglio
agire e in modo puntuale, nella seduta dell8 marzo 1622 si procedette alla
ripartizione secondo le province di tutta la terra. Il nunzio di Parigi si sarebbe
occupato di Belgio, Olanda, Inghilterra, Scozia, Irlanda, Danimarca e Norvegia.
Il nunzio di Lucerna avrebbe provveduto alla Svizzera, Alsazia e Germania sudovest. Il nunzio di Colonia si occupava della Germania nord-ovest. Al nunzio di
Vienna competeva la Germania sud-est, Austria-Ungheria, Transilvania,
Moldavia e Valacchia. Al nunzio della Polonia, oltre la sua nazione, la Russia, la
Pomerania, la Svezia e la Prussia. Il nunzio a Venezia aveva competenza sui
paesi jugoslavi. Quello spagnolo aveva autorità sui territori soggetti alla corona
di Spagna, mentre il collettore portoghese a quelli della corona del Portogallo.
Diverse furono le disposizioni per i Balcani, lAsia εinore e lAfrica
Cfr. Pastor, XII, p. 275. Quanto alla missione dei gesuiti nelle isole greche (1613 e 1615) vedi
Iuvencius Ios., Historiae Societatis Jesu, Pars Quinta, tomus posterior (1591-1616), Roma 1710,
p. 437.
74 Castellucci, Il risveglio dell’attività missionaria e le prime origini della S. Congregazione de
Propaganda Fide, Roma 1924, p. 123
73
40
settentrionale, per i quali paesi erano previsti altrettanti vicari patriarcali (a
Costantinopoli, Gerusalemme e Alessandria).
La Congregazione contattò anche i maestri generali degli Ordini religiosi,
ingiungendo di fornire i dati di tutti i missionari e che da ogni provincia di
missione annualmente fornissero una relazione. Il che ha fatto sì che larchivio
di Propaganda Fide risulti oggi tra i più importanti del mondo.
Per quanto riguarda Costantinopoli particolarmente prezioso è il fondo Visite.
Ecco una sintesi che ne fa il θastor per lanno 1622:
Visitatio Constantinopolitana Episcop. Santorin [Pietro de Marchis]. Relazione
da Costantinopoli 12 novembre 1622, specie sull’opera dei Domenicani e
Conventuali in Pera e Costantinopoli. – Relazione 26 novembre 1922: in Pera 9,
in Costantinopoli 2 chiese, 4 conventi (Predicatori, Minori Conventuali, Minori
osservanti, Gesuiti). “Quelle chiese sono tenute tutte pulite e onorate come a
Roma stessa”. Il servizio divino viene tenuto regolarmente a porte aperte senza
molestie [dunque più libertà che nei paesi protestanti] “et ben spesso alle
prediche sono Greci heretici et anco Turchi, forse per curiosità, ma con gran
silentio, et facendosi la cerca danno essi ancora l’elemosina”. In θera circa 580
anime. Il patriarca greco nega la confessione. La plebe del rito greco è
ignorante assai et li sacerdoti poco sanno et la gente vile odia la gente nostra
latina et sol dire queste parole: più tosto turco che franco. Li Turchi naturali
moralmente sono di buona natura et cortesi”, gli attacchi vengono in genere
da rinnegati. Seguono decreti del visitatore. – Relazione del P. De Marchis
(Smirne 1623, luglio 27): In Gallipoli nessun latino tranne un Francescano, c’è
ancora una chiesa latina. In Smirne 60 anime di rito latino, chiesa edificata
recentemente dai Veneziani. - Relazione da Chio, 9 agosto: visita. Necessità di
un vicario generale in Smirne. – Relazione da Chio, 18 settembre 1623: visita
accurata in Chio ove ancora 12 chiese (prima 14, due trasformate in moschee).
Nei dintorni 100 chiese vecchie, abbandonate. 7000 anime 75.
Come si denota da questa preziosa relazione, da un lato vi sono tanti greci
non uniti che frequentano le chiese cattoliche, dallaltra tanti greci ortodossi che
mantengono lantica esclamazione, meglio i Turchi dei Franchi. E più che
probabile che questa espressione anticattolica sia stata fatta rinverdire dal
nuovo patriarca Cirillo Lukaris, di cui si è già parlato come giovane assistente di
Niceforo, il vicario patriarcale inviato a dare man forte a Costantino ηstrožskij
contro gli uniati.
11. Successi protestanti nel patriarcato ecumenico. Cirillo Lukaris
A Cirillo Lukaris sono legati i successi del protestantesimo nel patriarcato
ecumenico. Ovviamente non era il protestantesimo come vissuto in Germania o
in ηlanda, essendoci nellηrtodossia delle manifestazioni devozionali (icone,
reliquie, ecc.) diametralmente opposte ai principi del protestantesimo. Per
ingraziarsi i rappresentanti degli stati generali e dellInghilterra che lo
finanziavano nella lotta per la conquista del trono patriarcale, egli accoglieva i
75
Cfr. θastor, XIII, p. 109. δautore rinvia allArchivio di θropaganda Fide, Visite, I, 99 ss.
41
punti fondamentali della dottrina protestante, senza giungere a ferire i
sentimenti popolari sulle icone, sulle reliquie e sui santi in genere. Il suo
temperamento, incline allopportunismo, rendeva questa operazione più agevole,
anche se non passava inosservata negli ambienti teologici.
Il Lucaris, nato a Creta nel 1572, era stato un brillante intelletto, molto
apprezzato dal luogotenente patriarcale a Costantinopoli, Melezio Pigas. Prima
della missione anti-uniata (partecipando allanti-concilio di Brest nel 1596) era
stato a Padova e Venezia, ove aveva compiuto gli studi e aveva conosciuto gli
uomini più in vista del mondo greco in diaspora. Alla morte del Pigas ne prese il
posto come patriarca di Alessandria (1602-1620). Come il suo maestro però, più
che ad Alessandria, era interessato a Costantinopoli. Quando nel gennaio del
1612 fu deposto Neofito II (per nepotismo), Cirillo si proclamò reggente, ma
durò soltanto un mese, perché fu deposto e rimpiazzato dal metropolita di
θatras, Timoteo II, che gli rimase sempre ostile. Un mandato darresto del
governo turco lo raggiunse mentre si recava sullAthos, per cui preferì rientrare
ad Alessandria. Cominciò allora ad allacciare una serie di contatti con i
protestanti. Nel 1616 inviò ad Oxford Metrofane Kritopoulos. Scrisse poi a
εarco Antonio de Dominis, larcivescovo di Spalato passato al protestantesimo,
quindi a diversi altri vicini agli ambienti protestanti. .
Il 4 novembre 1620, a seguito di complicati intrighi tra le diplomazie, divenne
patriarca di Costantinopoli, ma per gli stessi intrighi, dei quali questa volta fu
protagonista lambasciatore francese, il gran vizir lo sostituì con larcivescovo di
Amasea sul Ponto. Ma i metropoliti e vescovi ortodossi, non vedendo di buon
occhio un patriarca ΟnominatoΠ dal gran vizir, posero fine al suo patriarcato (30
aprile- 25 giugno 1623), eleggendo il metropolita di Adrianopoli, Antimo II, che
dai documenti dellepoca sembra simpatizzasse con la chiesa di Roma. Benché
in catene a Rodi, il Lukaris, grazie allappoggio dellambasciatore olandese,
riuscì a tornare a Costantinopoli e il 2 ottobre 1623 per la terza volta riprendeva
il trono patriarcale, che mantenne sino al maggio del 1630, un periodo
abbastanza lungo da permettergli una più organica formulazione del suo
pensiero e una parziale pubblicazione.
Tra il maggio e il 18 giugno 1630 fu spodestato dal metropolita di Calcedonia,
Isacco. Ma ormai era una lotta senza quartiere, con un elemento decisivo in
queste conferme turche, il pagamento del tributo, che nel frattempo si era
accumulato. Dopo cinque mesi di patriarcato, il 4 ottobre 1633 era nuovamente
spodestato, anche se il nuovo patriarca Cirillo di Berea, vecchio allievo del
Collegio dei Gesuiti di Galata, tenne il trono per pochi giorni (4 Ν 11 ottobre).
Soltanto nel marzo dellanno dopo Atanasio θatellaro riusciva a pagare lenorme
debito e ad essere riconosciuto patriarca. Il mancato pagamento di una rata
provocava però anche la sua caduta e il ritorno del Lukaris per la sesta volta
(aprile 1634). Dopo un anno, sempre per questioni finanziarie, fu deposto e
prese nuovamente il patriarcato Cirillo di Berea (marzo 1635). Questi fece
esiliare il Lukaris a Rodi, ma non seppe trattare con i membri del sinodo, nel
quale cerano alcuni partigiani del δukaris. Onde il sinodo lo depose eleggendo
uno di questi, Neofito di Eraclea, il quale fece deportare lui a Rodi, e al
contempo fece tornare Cirillo con la stessa nave. Finalmente nel marzo del 1637
Lucaris occupava per la settima volta il trono, ma proprio mentre i protestanti
esultavano ecco tornare a Costantinopoli Cirillo di Berea. Questi nel frattempo
era riuscito a convincere il gran vizir che il Lukaris stava complottando sia
42
presso i greci (incitandoli alla rivolta) sia presso i cosacchi. δautorità turca
condannò allora il Lukaris come traditore, gettandolo in prigione (20 giugno
1638). Ma a Cirillo di Berea non bastò aver ripreso il trono. Temendo la
pericolosità del Lukaris fece in modo che venisse ucciso, e lo fece con laiuto del
pascià Bayram e del sacerdote ortodosso Lamerno. Il 27 giugno il Lukaris fu
prelevato col pretesto che doveva essere trasferito in unaltra isola, in realtà col
segreto proposito di ucciderlo. Erano appena salpati, infatti, che i marinai turchi
lo strangolarono e lo gettarono in mare.
Il Lucaris fu dunque patriarca sette volte:
1. gennaio-febbraio 1612 (locumtenens).
2. 4 novembre 1620 Ν aprile 1623
3. 2 ottobre 1623 Ν maggio 1630
4. maggio 1630- 4 ottobre 1633
5. 11 ottobre 1633 Ν marzo 1634
6. aprile 1634 Ν marzo 1635
7. marzo 1637 Ν 20 giugno 1638
La vita di Cirillo Lukaris, con tutta questa serie di interruzioni e ritorni sul
trono patriarcale, rende bene lidea di quanto difficili fossero le condizioni di
vita dei patriarchi di Costantinopoli, costretti non solo a fare i conti
(umanamente e finanziariamente) col governo turco, ma anche a sapersi
districare fra le varie ambasciate dei paesi stranieri che volevano influenzare la
politica religiosa.
Come si è detto, il periodo in cui il Lukaris poté esprimersi meglio furono gli
anni 1623-1630. Fu in quellarco di tempo che pubblicò la famosa Confessione di
sapore calvinista, sulla quale tanto si è scritto, a favore e contro la sua paternità.
ηggi tale attribuzione a lui è quasi generalmente accettata, anche se lApologia76
del 1634, pubblicata ai primi del Novecento, ha smorzato alquanto i toni
dellaccusa.
In realtà, il Lukaris era un uomo del suo tempo, sensibile a tutti i richiami, da
quello cattolico, a motivo dei suoi primi studi, a quello protestante, in ragione
dellattivismo che i protestanti dimostravano nelle diplomazie europee, fino a
quello ortodosso, che egli amava, ma di cui sentiva la crisi. Egli non percepiva
che fra le diverse confessioni ci fossero grandi differenze. Ad esempio,
rigettando le accuse di filoprotestantesimo che gli erano piovute addosso
allindomani del concilio di Brest, aveva scritto allarcivescovo latino di δvov,
Demetrio Sulikovskij, in questi termini: In Grecia come a Roma tutti coloro che
sono dotati di scienza professano dottrine assolutamente simili o almeno molto
vicine. Lungi dal detestare la cattedra di S. Pietro, noi la circondiamo di
rispetto e della venerazione che le è dovuta, e noi riconosciamo ad essa il
primato e il titolo di madre. Quasi che questa affermazione risuonasse come
cattolica la lettera fu inserita dallo Skarga nella raccolta Miscellanea de Synodo
Berestensi, e nello stesso senso recentemente citata da Emerau77. Ora, queste
sono parole che qualsiasi ortodosso firmerebbe tranquillamente, convinto come
Chrysostomos Papadopoulos, archim. Di Gerusalemme,
π
α
, in
α
ώ , gennaio febbraio 1905, pp. 17-35. δApologia era una lettera
(probabilmente in risposta ad una richiesta di chiarimenti) alla parrocchia della Vergine di Lvov,
in cui Lucaris si dichiara ortodosso.
77 Emerau C., Lucar Cyrille, DTC IX, col. 1003-1019 (in particolare 1014).
76
43
è che i termini ΟvenerazioneΠ e ΟprimatoΠ sono ben lontani da qualsiasi
implicanza giurisdizionale, come vorrebbero i cattolici.
ζon cè dubbio comunque che le sue simpatie andavano al protestantesimo ed
in particolare al calvinismo. La Confessione, scritta a Costantinopoli in latino e
nel gennaio 1631 tradotta in greco, ebbe vasta risonanza, facendo un certo
scalpore per il linguaggio vicino alle posizioni calviniste 78 . Questa prima
edizione divenne ben presto una rarità, mentre una qualche diffusione ebbe
quella riveduta e corretta (cui adiuncta est gemina eiusdem Confessionis
censura synodalis una a Cyrillo Berrhoeensi altera a Parthenio Patriarchis
itidem Constantinopolitanis promulgata) del 1645.
In una lettera del 1632 al professore ginevrino Jean Diodati, il Lukaris
affermava che il papa in persona si era interessato alla Confessione, incaricando
il conte di Marcheville, ambasciatore di Luigi XIII a Costantinopoli. Il
Marcheville, accompagnato dal superiore dei Cappuccini (Arcangelo delle
Fosse), si fece ricevere dal patriarca, portando con sé una copia della
Confessione. Giunto alla sua presenza, il conte mostrò il documento e gli chiese
se fosse opera sua. Al che il Lukaris avrebbe risposto: Io, riconosciutola, risposi
esser mia Confessione e professione (si noti che il Lukaris conosceva bene
litaliano). Il conte aggiunse che il papa desiderava sapere se Cirillo intendeva
perseverare in quelle dottrine: Io all’hora con intrepidità risposi esser mia e che
l’ho scritta io perché così tengo, credo, confesso, et se qualcheduno in quella
trova errore e che mostrare me lo volesse, gli risponderei christianamente et
con buona conscientia.79.
La Confessione è divisa in 18 capitoli, ciascuno dei quali corredato da una serie
di citazioni scitturistiche. Ecco alcuni punti: :
- Il criterio della fede è la Sacra Scrittura, che è divinamente ispirata
(
α
), mentre tutti gli altri scritti dei Padri e della chiesa sono di origine
umana.
- Allinterno della Trinità vi sono delle relazioni. Una di queste concerne lo
Spirito Santo, che procede dal Padre tramite il Figlio (
α
π
).
- Già prima che il mondo fosse creato, Dio ha predestinato (π
α ) alcuni
alla salvezza altri alla condanna, senza considerare le loro opere, ma soltanto
secondo misericordia e giustizia.
- Gesù Cristo, è detto nel cap. VIII, intercede per noi presso il Padre. Lui solo
assolve l’ufficio di vero e legittimo pontefice e mediatore. Per cui Egli soltanto
si prende cura dei suoi ed è capo della Chiesa che decora e feconda di
benedizioni diverse.
- Dato che in nessun modo, dice al cap. X, un uomo mortale può essere capo
della Chiesa, è nostro Signore Gesù Cristo stesso e soltanto lui ad essere il capo
e solo lui ha il potere di governarla. Tuttavia quaggiù vi sono delle chiese
particolari che sono visibili; ciascuna ha qualcuno che è il primo nell’ordine,
ma questo non deve essere chiamato strettamente parlando capo di questa
Il titolo originale è: Confessio fidei Reverendissimi Domini Cyrilli Patriarchae
Constantinopolitani nomine et consensu Patriarcharum Alexandrini et Hierosolimitani
aliorumque Ecclesiarum orientalium Antistitum scripta, Constantinopoli, Mense martio, Anni
MDCXXIX. Il titolo greco è più breve:
α
α
π
α
α
π
. Cfr. Pichler 1862.
79 Cfr. E. Legrand 1885, t. IV, p. 403 ss. Anche Emerau, cit., col. 1010.
78
44
chiesa particolare; lo si chiama così in modo improprio, poiché in questa
chiesa è tuttavia il membro principale.
- La giustificazione viene dalla fede, cioè dalla giustizia di Cristo (
α
), e non dalle buone opere. Queste però non sono inutili,
anzi sono necessarie (
α α αῖα), non alla giustificazione perché non danno
meriti, ma alla manifestazione della nostra vocazione.
- Il libero arbitrio (cap. XIV) è reale solo nei rigenerati. Nei non rigenerati è
morto ed essi non possono fare il bene. Tutto ciò che fanno è peccato.
- Sacramenti sono da considerarsi solo i due trasmessi dal Salvatore, il
battesimo e la cresima. Nella Scrittura non vi sono altri sacramenti.
- ζel sacramento delleucarestia Cristo è presente realmente, non nella sua
materialità (come indica il termine transustanziazione,
.), bensì nel
suo comunicarsi tramite la fede allanima.
- Appena si separa dal corpo lanima è trasportata o presso Gesù o allinferno. E
da rigettare cioè la favola del Purgatorio (
π
α α
). Cap.
XVIII.
- Le immagini si possono conservare e onorare, ma lo Spirito Santo non vuole
che vengano venerate.
Certe espressioni sono così evidenti da rendere quanto meno strane alcune
difese che lo stesso Cirillo faceva di sé, come ingiustamente accusato di
Calvinismo. In ogni caso la corrente protestantizzante da lui creata a
Costantinopoli non si arrestò con la sua morte. Diversi teologi ne svilupparono e
continuarono il pensiero. Tra di essi è sufficiente menzionare Metrofane
Kritopoulos, Zaccaria Gerganos, Massimo Callipolita e Giovanni Karyophyllos.
Metrofane Kritopoulos, benché discepolo del Lukaris, scrisse una Confessione di
fede della Chiesa orientale cattolica e apostolica (
α
α
α
α
α π
Helmstaedt 1661, alquanto più
sfumata nelle affermazioni e quindi più in sintonia colla tradizione ortodossa80.
La maggiore prudenza nelle espressioni ha fatto sì che non pochi ortodossi la
considerino uno dei libri simbolici.
Unaltra Confessione ortodossa di sapore protestantico, anteriore solo di
qualche anno a quella del Lukaris, fu quella di Zaccaria Gerganos. Questi aveva
studiato a Wittenberg, dove nel 1622 compose la suddetta Confessione.
Consapevole che la stella della cultura greca era tramontata, ritenne opportuno
scrivere la Confessione in greco volgare, al fine di renderla comprensibile ad un
più vasto pubblico. Per lui la Sacra Scrittura è sufficiente a conoscere la verità.
Tra le altre cose affermava che non cè alcuno stato intermedio dopo la morte e
che l'eucarestia del prete in peccato è invalida. La sua Confessione fu
aspramente criticata da Joannes Mattaios Karyophillos. Ciò che invece
Testo in Karmiris 1960, II, pp. 489-641. Metrofane Kritopoulos , n. a Berea in Macedonia nel
1589 incontrò il Lukaris sul Monte Athos e lo seguì in Egitto ove da lui fu fatto protosincello.
Inviato dal Lukaris a Oxford, vi restò sette anni, dopo di che passò in Germania e in Svizzera. Su
richiesta di alcuni professori protestanti compose una Confessione, dal Mesolora considerata
uno dei libri simbolici della Chiesa ortodossa, dall'Androutsos soltanto uno scritto personale,
per di più con qualche venatura protestante (tre i sacramenti necessari: eucarestia, battesimo,
penitenza; i libri deuterocanonici non sono ispirati). Un concilio athonita nel 1925 ne dichiarava
l'ortodossia, mentre altri continuano a dubitare. Nel 1638 firmò anche lui al concilio di
Costantinopoli che condannò il Lukaris. Morì come patriarca di Alessandria (1633-1639) ,
sembra ucciso durante un viaggio in Valacchia.
80
45
maggiormente apprezzavano i protestanti era il suo attacco contro l'eresia
dell'adorazione del papa (α
α παπα
α) 81.
Massimo Callipolita, seguace anch'egli del Lukaris, fu il primo a tradurre in
greco volgare il Nuovo Testamento, sostenuto nell'iniziativa dall'ambasciatore
olandese Cornelio Van Haga, dal cappellano calvinista Antonio Leger nonché
dallo stesso Lukaris. Ma la sua pubblicazione seguì un iter particolarmente
complesso a causa dello spirito protestantizzante che emerge qua e là. Infatti,
già nell'introduzione affermava che solo la Scrittura è fonte della vera fede,
l'esegesi patristica non fa che aumentare la confusione. L'autore non ne vide la
pubblicazione, che avvenne nel 1645, mentre egli era morto già nel 1633. Ma,
anche una volta stampata, la distribuzione fu bloccata dalla critica di Melezio
Syrigos. Partenio II lo riabilitò, mandando il Syrigos in esilio a Chios. Ma,
nonostante la riabilitazione, le autorità ortodosse guardarono sempre con
sospetto a questa traduzione. Nel 1714 Alessandro Helladios auspicava che
chiunque avesse una copia la desse alle fiamme.
Giovanni Karyophyllos, nato presso Costantinopoli nei primi decenni del XVII
secolo, frequentò la scuola patriarcale mentre insegnava Teofilo Korydalleus, dal
quale assimilò alcuni spunti protestanti (specie sul sacramento dell'eucarestia).
Fattigli ritrattare i suddetti punti, Partenio II lo designò professore nella scuola
patriarcale (1644-65). Dositeo di Gerusalemme però lo criticò aspramente, ed
egli fu costretto a scrivere per difendersi, dicendo che egli rigettava soltanto il
termine ΟtransustanziazioneΠ, perché dorigine latina. In realtà c'erano anche
altri punti non del tutto in linea con la tradizione ortodossa. Ad esempio, egli
riteneva che riceveva Gesù solo il fedele in stato di grazia, mentre quello in stato
di peccato riceveva solo del pane. Nel 1691 il patriarca Callinico II convocò un
concilio per definire la questione. Il Karyophyllos, specie a motivo delle
pressioni di Dositeo, fu condannato. Nel 1693 si trasferì in Bulgaria a fare il
parroco in una cittadina, ed ivi morì.
12. La reazione ortodossa antiprotestante: Pietro Moghila e Melezio
Syrigos
δa stesura delle Confessioni attiravano dunque lattenzione di papi e patriarchi,
anche se neppure questo fenomeno spinse i protagonisti a mettersi in contatto
diretto. Anzi, il fenomeno non faceva che consolidare nei papi la convinzione di
avere a che fare con gente non solo in errore, ma anche poco affidabile. .
Del resto, la Confessione del Lucaris provocò vivaci reazioni anche a
Costantinopoli, e non soltanto da parte di Cirillo di Berea (il che sarebbe stato
comprensibile in un nemico dichiarato del Lukaris educato presso i Gesuiti), ma
anche da parte di Partenio. Il sinodo del 1638, presenti tre patriarchi e 21 fra
metropoliti e vescovi, emanò il 15 dicembre un anatema contro Cirillo che aveva
affermato che la chiesa ortodossa professava le stesse dottrine di Calvino
( α
α ). A firmare la condanna del Lukaris cerano sia εetrofane
Kritopoulos, patriarca di Alessandria, che Melezio Syrigos, noto controversista
di Costantinopoli82. Dopo la deposizione e lo strangolamento di Cirillo di Berea,
prese il trono Partenio I. Alla cerimonia dintronizzazione intervenne il teologo
81
82
Maloney 1976, p. 158.
Testo in Karmiris 1960, II, pp. 562-575.
46
Teofilo Korydalleos, il quale riabilitò la memoria del Lucaris, difendendo
lortodossia della Confessione 83. Fu uno scandalo, per cui il patriarca sentì il
dovere di riequilibrare la situazione. Invitò perciò Melezio Syrigos a tenere un
sermone il 27 ottobre, cosa che il Syrigos fece accusando apertamente il defunto
patriarca per la diffusione delle idee calviniste.
δintervento del Syrigos, dal punto di vista umano, è abbastanza sorprendente,
in quanto molta della sua fortuna la doveva proprio al Lukaris. Melezio Syrigos
era nato a Creta verso il 1585 e aveva studiato a Padova. Tornato a Creta si era
fatto monaco, iniziando una veemente predicazione anticattolica che irritò le
autorità veneziane. Fuggito, fu accolto dal patriarca Cirillo Lukaris che lo
nominò pastore della chiesa di Chrysopeghe, proprio di fronte alla chiesa dei
Gesuiti. Il Syrigos combatté il cattolicesimo, ma già nel concilio
costantinopolitqno del 1638 era tra coloro che condannavano il Lukaris per la
Confessione protestantizzante.
Alla morte del Lukaris il patriarca Partenio I gli commissionò uno scritto sul
Lukaris, che egli terminò nel 1640 col titolo:
α
α α
α
.
Partecipò quindi al concilio di Jassy che rivide la Confessione del Moghila e la
tradusse in greco. Al ritorno dovette stare in ombra, perché il nuovo Patriarca
Partenio II era un seguace del Lukaris. Poi riprese la sua attività. Morì nel 1664.
Come si è detto, tra il 1638 ed il 1640 le idee di Lukaris avevano già raggiunto la
Rutenia, dove si era rimasti sorpresi e scossi, tanto che sia il metropolita Giobbe
che la Confraternita di Lvov chiesero dei chiarimenti. Il patriarca di
Gerusalemme Teofane III (1608-1644), che era di passaggio a Jassi, li rassicurò
che il patriarca di Costantinopoli, protagonista della lotta contro luniatismo,
non si era reso colpevole di nessuna eresia.
Se però questa deriva del patriarcato di Costantinopoli era presa alla leggera
negli ambienti anticattolici, non così nella nascente scuola di Kiev. Fu quindi
abbastanza naturale che il nuovo metropolita, Pietro Moghila, fondatore della
scuola, progettasse una Confessione ortodossa tendente a rimettere le cose al
giusto posto. Stese o fece stendere (forse da Isaia Trofimovič Kozlovskij,
igumeno del monastero ζikolskij) un Catechismo, quindi convocò i vescovi
della sua metropolia in Santa Sofia a Kiev e l8 settembre 1640 esaminarono ed
approvarono lo scritto.
Volendo però dare una dignità panortodossa al suddetto Catechismo, furono
presi dei contatti con Costantinopoli. Il patriarca Partenio incaricò i migliori
teologi, Porfirio di Nicea e il più volte ricordato Melezio Syrigos, di seguire la
vicenda. Questi raggiunsero Jassi nel dicembre del 1641, ma varie cause
provocarono dei rinvii, tanto che gli incontri con i rappresentanti russi (Isaia
Trofimovič Kozlovskij, Josef Kanonovič e Joseph ηksenovič) si protrassero
addirittura sino al mese di ottobre del 1642. Partenio approvò il loro lavoro e nel
Teofilo Corydalleus, nato ad Atene nel 1563, dopo gli studi al collegio greco di Roma, passò a
Padova ove ebbe come professore di filosofia Tommaso Cremoni, che insegnava nello spirito del
liberalismo filosofico. Tornato ad Atene aprì una rinomata scuola di filosofia. Il Lucaris lo invitò
a Costantinopoli ad insegnare filosofia aristotelica nella Scuola patriarcale. Del suo protettore
condivideva la teologia calvinistica che negava la presenza reale nell'eucarestia. In un discorso a
Costantinopoli, menzionando il Lukaris, ne prese le difese. La risposta affidata a Melezio Syrigos,
fu molto dura. Il Syrigos accusò il Corydalleus di calvinismo e di ateismo filosofico,
chiamandolo ΟεisòtheosΠ (odiatore di Dio) invece che ΟTheòfilosΠ (amante di Dio). ζominato
vescovo di Artos e Naupactos, fu ben presto deposto per la sua eterodossia. Morì nel 1645.
83
47
marzo del 1643 il Catechismo del Moghila vedeva la luce con le correzioni del
Syrigos, che aveva provveduto anche alla traduzione in greco84. .
Gli interventi del Syrigos non piacquero molto al Moghila, ma per quanto
riguarda il tema che interessa in questa sede, non vi sono differenze fra il
teologo kieviano ed il teologo greco. ζel campo dellecclesiologia, in particolare
nella Confessione estesa, va segnalata la circostanza che limpostazione
metodologica è la stessa che si ritrova nella teologia cattolica, partendo cioè
dalle quattro note della chiesa: una, santa, cattolica, apostolica 85. Tuttavia si
precisa subito che proprio tali note escludono che qualsiasi chiesa locale possa
avanzare la pretesa delluniversalità. Anche se la madre di tutte le chiese è quella
gerosolimitana:
Ecclesia igitur hierosolymitana est Mater omnium Ecclesiarum et prima
(quamvis reges postea dederint primitias Veteri et Novae Romae propter
imperii sedem, iuxta canonem tertium concilii secundi oecumenici
Constantinopolitani), quia evangelii propagatio ab illa exordium sumpsit in
omnes fines terrae; et propterea facta est catholica, cum sit ab omnibus
gentibus quoad doctrinam fidei recepta 86. Quanto al fondamento è Cristo e
soltanto lui: Non enim Christus Dominus Ecclesiam suam fundavit supra
homines, sed supra seipsum, tamquam verum Deum, et supra doctrinam suam.
Gli altri, cioè gli Apostoli e i Profeti sono fondamento soltanto secundum quid et
secundario 87.
13. δ’Ortodossia panellenica di Dositeo di Gerusalemme
La morte violenta di Cirillo Lukaris aveva dato la possibilità ai suoi discepoli e
seguaci di difenderne la memoria, per cui a Costantinopoli, come si è detto, nel
corso della seconda metà del XVII secolo, si crearono due correnti, quella a lui
favorevole che negava lautenticità della famosa Confessione e quella contraria
(capeggiata da Melezio Syrigos), che lo accusava apertamente di eresia.
Ciò nonostante, il partito filocattolico non prese mai il sopravvento, come era
avvenuto invece al tempo del Lukaris con i patriarchi Atanasio Patellaros e con
Cirillo di Berea. A dominare la scena furono sempre polemisti anticattolici,
come Sevastos Kymenites o come Nikolaos Kerameus (+1672), che pure aveva
studiato al collegio greco di Roma. Unopera polemico-apologetica di
questultimo fu introdotta dal Dositeo in una delle sue raccolte 88.
Non mancavano ovviamente scrittori più irenistici, come Nikolaos Bulgaris
(nato nel 1634, autore di un Catechismo), Gregorio di Chios (discepolo del
Per gli atti greci dei sinodi di Costantinopoli e Jassy del 1642, vedi Karmiris 1960, II, pp. 575582. Per il testo della Confessione del Moghila tradotta in greco dal Syrigos, ivi, pp. 582-686.
85 Confessione ortodossa, in Malvy, Viller 1927, Q. 83.
86 Ivi, Q. 84, pp. 47-49.
87 Ivi, Q. 85, p. 49.
88 Il Kymenites, originario di Trebisonda (+1702), era professore alla scuola patriarcale fra il
1671 e il 1682, anno in cui fu estromesso a seguito di una rivolta degli studenti. Rettore della
scuola del monastero di S. Saba a Bucharest nel 1690, lasciò molte opere, il più delle quali
inedite. Una riguarda la teologia del Palamas, esposta e difesa, un'altra affronta le tematiche vive
anche nella scuola di Kiev (Transustanziazione, l'Immacolata Concezione, valore sacro delle
particelle minori del pane consacrato sula patena nel rito bizantino).
84
48
Coressio, ma più simpatizzante per il cattolicesimo) o Nikolaos Kursulas (che
dopo gli studi al collegio greco di Roma divenne un predicatore affermato e
compose uno dei pochi manuali organici di teologia ortodossa).
Le cose si stavano dunque trascinando fra influssi cattolici ed influssi
protestanti, con lincognita fra laltro dellautenticità o meno della Confessione
del Lukaris, quando il marchese Olier de Nointel non suggerì al patriarca di
Gerusalemme Dositeo di risolvere la questione con un concilio.
Il fatto di rivolgersi al patriarca di Gerusalemme non deve sorprendere, poiché
con Dositeo si verificò qualcosa di analogo a quanto accaduto con Melezio Pigas
nellultimo decennio del XVI secolo. Dositeo, infatti, per vari motivi, non ultimo
la concorrenza dei Francescani nella Chiesa del Santo Sepolcro, viveva più
spesso a Costantinopoli, dove gli veniva riconosciuta una grande autorità morale.
Per cui si potrebbe dire che le sue iniziative nei confronti di Roma e di tutta la
Chiesa latina avevano lo stesso valore come se fossero partite direttamente dal
patriarca di Costantinopoli.
Egli colse al volo loccasione sottoponendo nel gennaio 1672 il progetto del
concilio al patriarca di Costantinopoli, Dionisio εouslim. Avuta lapprovazione,
con grande energia e celerità organizzò la convocazione e nel marzo di
quellanno si tenevano le prime sessioni a Gerusalemme 89 . I sei decreti che
furono promulgati furono introdotti da una breve quanto esplicita accusa a
Cirillo Lukaris. Tuttavia per attutire unombra così grave i θadri espressero
comunque i loro dubbi sulla paternità della Confessione. La condanna avvenne
perciò sub conditione, vale a dire: Se la Confessione è stata davvero opera sua,
allora che sia anatema.
Leggendo la Confessione di Dositeo90, si sarebbe tentati di definirlo filocattolico.
In realtà egli fu uno dei patriarchi più violenti contro il papato. I Francescani di
Terra Santa lo definivano: infensissimus latinae Ecclesiae hostis. Chi era
dunque Dositeo ?
Nato il 31 marzo 1641 nel villaggio di Arakhovo presso Kalavrita (Peloponneso),
divenne ben presto orfano ad otto anni e a prendersi cura di lui fu Gregorio
Galanos, metropolita di Corinto. Questi gli fece fare i primi studi nel monastero
dei Santi Apostoli. Nel 1653 era ad Atene, il che fa pensare che entrasse in
contatto con Nicola Kerameus, ai cui scritti fa spesso riferimento. Nel 1657 era a
Costantinopoli, nel metochion del Santo Sepolcro, ove il patriarca di
Gerusalemme Paisios (1645-1660) lo prese sotto la sua protezione. Per
accompagnare Paisios in Romania, Asia Minore e a Gerusalemme, Dositeo
cominciò ad allargare le conoscenze sulla situazione dellortodossia nel mondo.
Il sinodo di Costantinopoli del 1661 elesse Nettario Pelopides patriarca di
Gerusalemme, il quale nominò Dositeo arcidiacono e poi metropolita di Cesarea,
quindi suo esarca in Romania. Essendosi dimesso Nettario per ragioni di salute,
un sinodo a Costantinopoli nel 1669 elesse patriarca Dositeo, che aveva solo 28
anni. .
Per pagare i debiti della conferma elettorale dovette intraprendere numerosi
viaggi e fare la questua in Romania, Bulgaria, Transilvania, Georgia, Russia e
Asia Minore. In un sinodo a Costantinopoli nel 1670 attaccò e fece deporre
89 Gli atti dei sinodi di Costantinopoli e Gerusalemme del 1672 sono editi in Karmiris 1960, II,
pp. 687-733.
90 Il testo della Confessione di Dositeo si trova in Karmiris 1960, II, pp. 734-773. Anche Kimmel,
Monumenta Fidei Ecclesiae Orientalis, parte I, Jenae 1850, pp. 425-488.
49
Anania, arcivescovo del Sinai, che aveva fatto dei passi per ottenere
lindipendenza dal patriarca di Gerusalemme. Nel 1671 fece invece deporre e
scomunicare il metropolita di Gaza, Paisios Ligarides, accusato di apostasia,
avendo difeso il primato del papa 91. Quello stesso anno, col denaro raccolto fece
restaurare il santuario di Betlehem, e lanno dopo (1672) tenne a Gerusalemme
il suddetto concilio di fondamentale importanza per lηrtodossia, e dal quale
uscì la famosa Confessione ortodossa92.
In essa il concetto del primato è espresso in modo discorsivo. La polemica è
appena percepibile. Dopo aver rigettato la distinzione fra Ecclesia militans ed
Ecclesia triumphans così continua:
Huius autem Catholicae Ecclesiae quum universim ac perenniter caput esse
mortalis homo non possit, caput est ipse Dominus noster Jesus Christus, et in
eius gubernatione clavum ipse tenens hanc sanctorum patrum ministerio
gubernat; ac singulis propterea ecclesiis, quae proprie ecclesiae sunt, atque
eius inter membra vere locum obtinent, praepositos ac pastores, qui
nequaquam abusive, sed verissime capitum instar illis praesint, episcopos
Spiritus Sanctus posuit, qui quidem in auctorem et consummatorem nostrae
salutis adspiciant, et ad eum hanc, quam pro ratione capitum impendunt,
operam referant.93
Secondo Michalcescu, la Confessione, che nel 1723 fu inviata al Santo Sinodo a
Pietroburgo, è troppo impregnata di teologia latina, come a proposito dell'uso
del termine transustanziazione (
) e l'affermazione di uno stato
intermedio dopo la morte (entrambe queste opinioni sarebbero state ritrattate
dopo il 1690 da Dositeo). Tuttavia la Confessione, firmata dai quattro patriarchi,
fu inviata al santo Sinodo di Pietroburo nel 1723.
Secondo Mesoloras e Androutsos si tratta di un libro simbolico, mentre i russi
(Makarij, Sil'vestr e Malinovski) la considerano una confessione personale.
Pochi anni dopo, su richiesta del patriarca di Mosca Gioacchino (1674-1690),
Dositeo inviò in Russia i fratelli Gioannikio e Sofronio Likhudes, col compito di
Paisios Ligarides era nato a Chios nel 1610. Dopo aver studiato nel collegio greco di S.
Atanasio a Roma, fu ordinato sacerdote, ed inviato in medio oriente nel 1641 per lavorare per
l'unione dei cristiani orientali a Roma. Il patriarca di Costantinopoli Partenio I lo fece predicare
nelle chiese della capitale, e stessa accoglienza favorevole ebbe in Moldavia, ove incontrò il
patriarca di Gerusalemme Paisios. Questi lo portò con sé a Gerusalemme trattandolo con molta
amicizia. Il Ligarides si fece allora monaco lasciando il sio nome Panteleimon e prendendo
quallo di Paisios in omaggio al patriarca. Questi lo consacrò metropolita di Gaza, e in tale veste
Ligarides scrisse a Roma come se fosse ancora cattolico. Invitato a Mosca da Nikon per essere
aiutato nel varare le riforme, il Ligarides ne approvò la deposizione assumendo spesso un ruolo
di arbitro, e fu lui il principale organizzatore del concilio del 1666 al quale invitò i quattro
patriarchi. Le cose cambiarono col nuovo patriarca di Gerusalemme Nettario, che lo prese in
antipatia, e ancor più con Dositheos, che gli rimproverava le sue simpatie per il cattolicesimo.
Dositheos comunicò anche ai russi di aver privato il Ligarides degli ordini sacri. Vistosi in
pericolo, cercò di lasciare la Russia. Morì a Kiev nel 1678.
92 Su questo concilio vedi Aleksandr Gorskij, O sobore Ierusalimskom, Pribavlenija k tvorenijam
Sv. Otcev, XXIV (M 1871).
93 Seguo il testo latino edito in Dosithei Confessio, sive Decreta XVIII Synodi Hierosolymitanae,
in Philip Schaff, The Creeds of Christendom with a History and critical notes, vol. II, New York
1919, ΟDecretum X, pp. 410.411.
91
50
avviare lAccademia slavo-greca (che contro le sue disposizioni divenne Slavogreco-latina) e combattere senza tregua gli influssi cattolici della scuola di Kiev.
Intanto ingaggiava un decisa lotta con i Francescani per lamministrazione dei
Luoghi Santi. Per diverso tempo i suoi tentativi fallirono a causa dellintervento
del marchese di Nointel, ambasciatore francese. Ma nel 1675 ottenne dal sultano
Maometto IV un iradé che gli dava un certo primato di governo su Bethleem e
Gerusalemme. A quel punto riscattò i monasteri georgiani di Gerusalemme e
restaurò la famosa lavra di S. Saba. Nel 1690 però le cose cambiarono
nuovamente e, per linteressamento del marchese di Castagnères de
Chateauneuf, i Francescani ottennero un iradé che ridava loro il predominio sui
Luoghi Santi. Dositeo espresse tutta la sua irritazione e delusione in una lettera
al popolo.
Il patriarca di Gerusalemme Dositeo, che si impegò molto contro il calvinismo
del Lukaris e per la creazione in Romania di tipografie ortodosse.
51
Per dispetto lasciò per sempre la città di cui era patriarca trasferendosi a
Costantinopoli, da dove continuò la guerra ai Francescani. Ma tutto invano,
perché lunico che avrebbe potuto aiutarlo, Pietro il Grande di Russia, tutto
preso da guerre a nord e sud, non rispondeva neppure alle sue lettere pressanti.
Dositeo credeva di avere grande influenza sulle scelte della politica russa sia per
laffare dei fratelli δikhudes sia per il ruolo avuto nel risolvere laffare del
patriarca Nikon (era stato lui infatti a rispondere alla lettera dello zar Fedor nel
1676 al patriarca di Costantinopoli Giacomo, 1679-1673) nel senso di riabilitarne
la memoria, pur dichiarando al contempo valide le riforme uscite dal concilio di
Mosca del 1666. Ma Dositeo si illudeva. Pietro il Grande non aveva alcun
interesse a fare rifiorire lηrtodossia. ζon solo non lo coadiuvò nellaffare dei
Francescani, ma neppure prese in considerazione le sue insistenti esortazioni
affinché deponesse il luogotenente del patriarcato russo, Stefano Javorskij,
accusato anche lui di simpatie per il cattolicesimo 94.
Negli ultimi anni della sua vita Dositeo fece frequenti viaggi tra Adrianopoli, la
Romania e Costantinopoli, dove morì il 7 febbraio 1707.
Egli fu certamente uno dei più grandi gerarchi di tutta la storia dellηrtodossia.
Dotato di un fortissimo senso della missione universale della Chiesa dηriente,
cercò di creare le condizioni, soprattutto culturali, di una unità che fosse anche
visibile attraverso la predominanza dellelemento ellenistico. Tutta la sua
cultura era greca, ma il suo occhio puntava alla Russia (specie nella lotta
alluniatismo e al latinismo kieviano) e alla Romania. Questultima nazione fu
fondamentale per la realizzazione del suo sogno di unηrtodossia libera dagli
influssi protestanti e soprattutto in guerra dichiarata contro il papato. In
Romania trasferì una attivissima tipografia che nellultimo suo ventennio di vita
sfornò un gran numero di opere, per la maggior parte contro il papato e il
cattolicesimo. Se si scorrono tutte queste opere si ha limpressione della prima
grande enciclopedia ortodossa. Uno dopo laltro, ma sempre con una sua
prefazione, vennero pubblicati tutti i trattati anticattolici (e qualcuno
antiprotestante). La loro pubblicazione diede un ulteriore strumento alla
polemica anticattolica, che nel giro di mezzo secolo avrebbe assunto toni di
straordinaria violenza. Ecco lelenco come presentato dal θalmieri 95:
1.
π
α
Θ
πα
ὡ
ῖ
α , ἤ π
α α
α
α α
ὗ
α
π
π
ῖ
α
ῖ π
ῖ ,
π
α
α
α
Θ
ῖ α
α
Scudo dell’Ortodossia. Ovvero Apologia e confutazione dei denigratori della
Chiesa Orientale che ragionano ereticamente intorno a Dio e alle cose divine,
quali sono i calvinisti, ed esposti in modo chiaro dal sinodo locale di
Gerusalemme al tempo di Dositeo, patriarca di Gerusalemme. Trattasi degli
Atti del sinodo di Gerusalemme del 1672, da alcuni però considerati falsi, nel
senso che sarebbe unopera di Dositeo e non gli Atti veri e propri del concilio. Vi
94 Sullattività di Dositeo in rapporto alla Russia, vedi: Kapterev, Snošenija ierusalimskago
patriarcha Dositheja s russkim pravitel’stvom, M 1891.
95 Palmieri Aurelio, Dosithée, in DTC IV, 1788-1800.
52
si difende la realtà eucaristica contro i teologi protestanti che si appellavano alla
Confessione del Lukaris che, comunque, Dositeo non ritiene del Lukaris.
2.
α
Γ α
ῖ
π
, ἤ
α π
α
ῖ.
α
π
α
π
π
α
π
α
Confessione ... per coloro che si pongono domande e vogliono sapere intorno
alla fede e alla religione dei Greci, vale a dire della Chiesa orientale, e quale sia
il suo vero pensiero sulla fede ortodossa. E la famosa Confessione del Dositeo.
Il tono è più scorrevole e meno anticattolico. A parte infatti il Filioque (la cui
negazione è diretta contro i cattolici), sono prese di mira prevalentemente le tesi
protestanti sulla Sacra Scrittura, il valore delle opere e il culto dei Santi. .
3.
α α α
Tomus reconciliationis. Jassy 1692. E direttamente preso di mira lAllacci e la
sua opera De perpetua consensione. Dositeo ripubblica il trattatello α
α
(attribuito a Macario, metropolita di Ancira, che accompagnò
limperatore Manuele II, 1391-1425, in Italia e in Francia); quindi il
di Giovanni Eugenico (fratello di Marco di Efeso) contro il concilio
fiorentino; seguito all
π
π
.
α
di
Giorgio Coressio di Chio96, e dal Pro\j Lati/nouj di Macario Macres sempre
contro il Filioque. Il quinto trattato è l π
α dei vescovi e preti di
Costantinopoli allimperatore Giovanni VIII (1425-1448) in cui giustificano il
loro rifiuto del concilio di Firenze. Al trattato di Massimo il Confessore
segue la
α
α
di
Teodoro Agallieno (XV secolo). Senza nome dellautore è il
α
α
π
π
.
α . Di Matteo Blastares,
scrittore del XIV secolo, è invece lo scritto
α
α
. Quindi
vengono gli Atti del sinodo costantinopolitano del 1450:
α
π
π
ῖ α
ᾳ
ᾳ (contro lAllacci che ne
aveva negato lautenticità nella sua De Ecclesiae Occidentalis atque Orientalis
perpetua consensione, Colonia 1648, col. 1379-1395, Dositeo ne sostiene
lautenticità). Ritenuto autentico da Demetrakopoulos, Adam Zernikaw e
Costantino Economo, è rigettato criticamente da Papaioannes su Vizantijskij
Vremennik 1895, II, pp. 394-415. .
4.
π
.
Tomus Amoris. Jassy 1698. Vorrebbe essere secondo Dositeo uno scritto che
tratta i Latini con dolcezza. In realtà, appena può, attacca sempre duramente la
chiesa cattolica. E diretto specialmente contro uno scritto cattolico in greco
volgare pubblicato da P. Francesco Richard a Parigi nel 1658. Come il primo
96
Giorgio Coressios, nato a Chios nel 1554, studiò a Pisa e a Padova, quindi esercitò medicina a
Livorno prima di rientrare a Chios, ove cominciò a scrivere opere antilatine. Nel 1635 fu
chiamato dal sinodo di Costantinopoli a difendere l'ortodossia dalle critiche di Antoine Leger,
cappellano calvinista presso l'ambasciata olandese alla Sublime Porta.
53
tomo, anche questo raccoglie un gran numero di scritti la maggior parte dei
quali è edita anche nel Migne. Dopo una prefazione seguita da alcuni scritti,
comincia con la
α
α
α α
α
, dopo di che si ha
il trattato α
α
Γ
ᾶ, di Filoteo di Costantinopoli,
seguito da quattro scritti di di Giorgio/Gennadio Scholarios: 3.
α
α α π
α α
Θ
ώ
Γ απ
, 4.
Ἔ
π
.
α
π
, 5. α
π
,
6. α
α
α
. Vengono poi: 7. α
α
α
ῳ
α , 8.
π
α
α
, di Giorgio
Gemistio Pletone. Il nono scritto proviene da un prete cattolico, tale Costantino,
che nel 1452 si era convertito allηrtodossia ed aveva abiurato dinanzi a Giorgio
Scholarios: π
π
. Di Teodoro Agallieno è l
α
π
α
π
. Segue 11. Ἔ
α
π
presentata dai legati di papa Gregorio IX (1222-1240) al
patriarca Germano II. Sconosciuto è invece lautore del 12.
π α α απ
.
α
π
. Di Giorgio di Cipro è il
π
π
.
α . Ancora di autore ignoto è il 14.
α
α
. A Michele Psello risale il trattato 15:
αα
α, mentre di Niceforo Blemmide è il 16.
α
. δo stesso Dositeo è lautore del 17:
α π
π
πα
α
α α
. Del patriarca
Giovanni VIII è il 18:
π
. Vari documenti della polemica greca
contro la riforma del calendario sono compresi nel n. 19:
α
α
α
πα
α
. Seguono due lettere di Cirillo
δucaris, quindi lanonimo 21: α α α
. Al n. 22 cè la cerimonia liturgica
α prevista dal concilio del 1484 sul modo di ricevere un latino
convertitosi allortodossia. Una lettera del metropolita di θetra Doroteo contro i
matrimoni misti precede la lettera di Marco di Efeso: Γ
α ῖ ...
α ῖ . Chiude al n. 25:
α
π
di Marco di Efeso con
la confutazione di Gregorio Mammas.
5.
α ᾶ
Tomus jubilationis. Rimnic 1705. La gioia è quella che ogni buon ortodosso
prova nel constatare che basta un briciolo di dottrina per mettere a nudo le
assurdità delle novità latine. Il testo apre con alcune lettere di Fozio seguite da
α
π Φ
α
. Dalla penna di Dositeo esce lo scritto
n. 3:
ώ
πα
α
, mentre di Nicola Kerameus di Janina
(+1672) è il 4:
α
α
α
ᾶ ...
α . Di Melezio Pigas è il n. 5:
π
α
α... α α
ππα
ώ
, mentre di
Teodoro Agallieno è il 6:
α
α
. Chiude una lettera a tutti i
cristiani ortodossi, 7: Γ
α ῖ πα α
α ῖ .
6.
απ
πα
α
, Bucarest 1715.
Meglio nota come
. Ivi si condanna tra laltro lo scritto sui
patriarchi di Gerusalemme di Paisios Ligarides contenente la difesa del primato
del papa. Il Ligarides fu condannato dal patriarca di Costantinopoli Metodio III
54
(1668-1671) e da Nettario di Gerusalemme. Questa raccolta è considerata lopera
capitale di Dositeo. Secondo larchimandrita θapadopoulos eccede nella rabbia
contro i latini, ma rimane la base apologetica esprimente lavversione secolare
dellηriente nei confronti dei papi.
πα,
7.
1676). Cetatuia 1682.
α
8.
α
α
γ
di Simeone di Tessalonica, e l
α di Marco di Efeso. Jassy 1683.
α
Peloponneso. Bucarest 1690.
9.
, di Nettario di Gerusalemme (+
α
απ
di Massimo del
Nella prefazione Dositeo racconta tutti gli episodi negativi e satirici sul
papato, come la leggenda della papessa Giovanna e il patto del papa Silvestro
II (999-1003) col diavolo.
10. α
α
α α
α
.
E il trattato di εelezio Syrigos con alcune aggiunte del Dositeo sul
protestantesimo inteso come una miscellanea di tutte le eresie precedenti, ove
difende la transustanziazione, ma cambia parere rispetto alla Confessione
rinunciando del tutto al Purgatorio. Egli inserisce pure lo
del concilio di
Costantinopoli del 1633 e i
α
del Concilio di Jassy del 1642.
α
Γ
11.
α
12.
α
α
α
,
α
απ
π
α
π
α
α
π
α α
α , α
, Bucarest 1692.
α
π
, Snagov 1699.
α
π
Contiene la Confessione ortodossa di Pietro Moghila (+ 1646) e il trattato sulle
tre virtù teologali di Bessarione Makres di Janina (+1699). Nella prefazione
Dositeo si dà alle solite invettive contro i protestanti e i gesuiti.
13.
Φ
π
α
ῂ Θ
ᾳ
ῳ
π
α
α
ῳ
π
α
α
,
α
α
,
αα
α
α
ὅ
α
α
,
α
α α, πα
,
α
πα
, Jassy 1694.
Con ledizione di tutte queste opere Dositeo intendeva ergersi a custode
dellortodossia, dando al clero ortodosso gli strumenti per conoscere meglio la
propria tradizione e di difenderla meglio. Egli aveva una grande stima di sé ed
era convinto di essere riuscito ad imporsi nel mondo ortodosso al punto da
55
influire sui destini anche delle altre nazioni. Ma le cose non andarono sempre
secondo i suoi desideri. Aveva sperato, ad esempio, che la Russia avrebbe
realizzato il suo sogno di un'ortodossia panellenica, sull'onda delle riforme di
Nikon, quindi con i fratelli Likhoudes ed infine con Pietro il Grande. Ma Nikon
fu condannato nel concilio del 1666, i Likhoudes lo delusero, mentre Pietro il
Grande non sfruttò religiosamente, come egli avrebbe voluto, le sue vittorie sui
turchi. Benché fosse ugualmente ostile al protestantesimo, i suoi atti principali
portano unimpronta anticattolica. Quando impiantò la tipografia a Jassy,
affidandone la conduzione al monaco Metrofane, la prima opera che fece
stampare fu il Trattato contro il primato del papa scritto dal suo predecessore
patriarca di Gerusalemme Nettario (+ 1676).
Naturalmente tutte queste opere polemiche fecero una certa impressione anche
a Roma, e non è da escludere che fosse la Propaganda Fide, se non proprio il
papa in persona, a commissionare la confutazione. Questa fu affidata ad un
alunno del Collegio greco della capitale, che compose due opere:
1.
α α
α
π
α
π
α
α
α,
π
δ’antica Grecia che aveva una grande stima della sede romana, ovvero
risposta a Dositeo, patriarca di Gerusalemme, Venezia 1713 (in greco e latino).
2.
α Γ α
α
α
α
α
, α
α
π
α
π
.
.
Consenso dei Padri greci e latini sulla processione dello Spirito Santo anche
dal Figlio, contro Dositeo, patriarca di Gerusalemme.Roma 1716 (greco e
latino).
δautore, Luigi Androutsis, era nato a Famagosta ed era entrato nel Collegio
greco di Roma nel 1697. Nonostante fosse gravemente malato riuscì a scrivere
diverse opere. Sullonda del contrattacco accentuò ulteriormente il ruolo del
primato, tanto che sembra che le sue tesi anticipino di un secolo e mezzo il
concilio Vaticano I. Valga come esempio il titolo di questopera: Perpetua
Ecclesiae doctrina de infallibilitate papae in decidendis ex cathedra fidei
quaestionibus extra concilium oecumenicum et ante fidelium acceptionem,
Bologna 1720. .
14. δ’attivismo missionario cattolico e le bolle di Benedetto XIV
La prima metà del XVIII secolo sembrava confermare i progressi del
cattolicesimo. In Medio Oriente una parte del patriarcato antiocheno aveva fatto
la stessa scelta dando origine ai melchiti cattolici (1724) 97 . Anche
lindebolimento della potenza turca era seguita con molta attenzione da Roma.
97 A Damasco fu eletto patriarca il cattolico Seraphim Tanas (che prese il nome di Cirillo VI).
δoperazione di cattolicizzazione di tutto il patriarcato però non riuscì, in quanto si creò subito
unopposizione che elesse patriarca Silvestro. Questi fu riconosciuto dal sultano e Cirillo VI
56
Clemente XI era molto interessato alloriente e al ritorno degli orientali alla
Chiesa romana. Ogni anno, scrive il Pastor, nella festa di S. Atanasio egli
celebrava la messa nel Collegio greco e aumentò notevolmente le sue entrate.
Spesso egli discuteva col celebre orientalista Eusebio Renaudot e lo invitò a
compilare dei memoriali intorno alle missioni in oriente 98. La situazione era
già abbastanza buona dal punto di vista cattolico. Basti dire, ad esempio, che i
gesuiti avevano sedi in Costantinopoli, Smirne, Tessalonica, Chios, Naxos,
Eubea, Santorini, Trebisonda, Saida, Damasco, Sifanto, Serfo, Terasia e Paro 99.
Nel 1713 si convertiva il patriarca greco di Alessandria, Samuele Capassulis.
Altre conversioni furono quelle degli arcivescovi Macario di Tripoli e Partenio di
Amida, dei vescovi Partenio di Eliopoli, Silvestro di Beirut, Anastasio di Nicosia.
Ma tutto questo al papa non bastava e sognava addirittura un rovesciamento del
potere in Turchia.
Unaltra area in cui il cattolicesimo segnò un successo che infastidì molto il
patriarcato di Costantinopoli fu Venezia. Come si è visto, nel corso del XVII
secolo ivi si succedettero con grande regolarità i metropoliti di Filadelfia,
direttamente nominati dal patriarca, fino alla nomina di Melezio Tipaldos
(1685-1713). Dopo di questi trascorreranno decenni prima di unaltra nomina,
con Sofronios Cutuvalis(1780).
Il Manussakas, riferendosi al Tipaldos e alla sua sottomissione al papa verso il
1700 col successivo ristabilimento in data 18 gennaio 1709 degli antichi decreti
del 1534 e 1542 (che prevedevano il riconoscimento dellunione con Roma),
parlava di una Οgrave crisiΠ scoppiata per loccasione 100 . Il Capizzi, pur
condividendo il termine ΟcrisiΠ, lattribuiva al fatto che col Tipaldos finalmente
venivano Οsmascherati gli equivoci su cui ci sera adagiati in passatoΠ. Certo è
che gli eventi presero una piega diversa, in quanto il senato veneziano, pur non
accogliendo la richiesta di Clemente XI di fare nominare un altro cattolico come
successore del Tipaldos, sottomise la comunità di S. Giorgio al patriarca di
Venezia. E le conseguenze furono ben presto evidenti. Nel 1716 il patriarca
Pietro Barbarigo richiamò energicamente la comunità al rispetto dei suoi decreti.
Un intervento che ebbe lapprovazione del papa Clemente XI espressa nel breve
Nihil profecto est del 15 luglio 1718. Anche quando Venezia si decise a concedere
al Venerando Capitolo della Scuola di S. Nicola di eleggersi un Vicario (9 agosto
1751) inserì ugualmente la clausola dellaccettazione del concilio di Firenze da
parte delleletto. θer loccasione fu eletto don θietro εuazzo, e alla sua morte
(1758) Spiridione Milia. εa lambiguità di cui tanto parla il Capizzi non
scomparve del tutto. Infatti, non era quasi mai chiaro se leletto fosse cattolico o
ortodosso. Tutti facevano giuramento di riconoscere il concilio di Firenze,
essendo questa una clausola su cui Venezia non intendeva transigere. Ma il fatto
stesso che Venezia volesse mantenere il diritto di riconoscimento delle persone,
liberandole in qualche modo dal controllo diretto sia del papa di Roma sia del
patriarca di Costantinopoli, faceva sì che entrambi questi ultimi fossero sempre
dovette lasciare Damasco e rifugiarsi nelle montagne del Libano. Silvestro, giunto a
Costantinopoli nel 1728, fece riunire un sinodo, presenti i patriarchi di Costantinopoli e di
Gerusalemme, che si concluse con la scomunica del patriarca cattolico e dei suoi seguaci.
98 Pastor XV, p. 281.
99 Ivi, p. 283.
100 Manussacas 1973, p. 67.
57
sospettosi dellortodossia delleletto, premendo per lelezione di qualche persona
di loro fiducia101.
Il papa, comunque, non poteva alzare troppo la voce con Venezia, essendo
questa decisiva in ogni strategia politica si volesse adottare. Approfittando,
infatti, del momento di debolezza della Turchia in seguito alla pace di Carlovitz
(26 gennaio 1699), che diede a Venezia il pieno dominio da Corinto alla
Dalmazia, il papa Clemente XI nel 1701 aveva cercato di promuovere unalleanza
fra limperatore (Carlo VI) e la θolonia. εa linattività di Venezia e la neutralità
della Francia (da sempre in buoni rapporti con la Porta) fece fallire le trattative,
tanto che nel dicembre del 1714 la Turchia riapriva le ostilità proprio contro
Venezia. Il sultano Ahmed III abilmente fece sapere a tutta lEuropa che
intendeva combattere solo Venezia e nessun altro. La Francia non entrò in
guerra, ma assicurò il pontefice che avrebbe comunque protetto i cristiani
dηriente. Nel corso del 1715 caddero così Tinos, quindi Corinto, Nauplia e
Modon e finalmente tutto il Peloponneso. Ma nemmeno il papa restò inoperoso,
riuscendo finalmente a fare entrare in guerra limperatore. Il 5 agosto 1716
lesercito imperiale comandato dal principe Eugenio ottenne una splendida
vittoria contro i turchi a Petrovaradin (Ungheria). La successiva vittoria a
Temesvar consegnava allimperatore lintera Ungheria. Eclatante fu anche la
riconquista di Belgrado (18 agosto 1717). Era linizio della crisi della potenza
turca. Una crisi dalla quale non sarebbe più uscita.
A raccogliere i frutti di tanti eventi favorevoli fu il papa Benedetto XIV (17401758), il quale si avvalse dellopera preziosa di valenti orientalisti, come ad
esempio Giuseppe Simone Assemani (1687-1768), prefetto della Biblioteca
Vaticana ed autore di un Menologium Graecorum (Urbino 1727) e dei famosi
Kalendaria Ecclesiae Universae in 6 volumi (1750-1755), nonché Pietro
Pompilio Rodotà (1707-1770), alunno del Collegio greco di S. Atanasio ed autore
di unopera valida ancora oggi: Dell’origine, progresso e stato presente del rito
greco in Italia, osservato dai greci, monaci basiliani e albanesi, in tre volumi
(Roma 1758-1763).
Eletto dopo vari mesi di conclave, Benedetto XIV mise ordine in tante situazioni
orientali e sfruttò il ruolo della Francia come protettrice dei cristiani presso la
θorta. ζaturalmente anche il suo fu uno sforzo tutto proteso a riportare loriente
al cattolicesimo102, onde qua e là gli ortodossi reagivano con qualche violenza.
Tale fu ad esempio il caso degli ortodossi greci in Palestina. Durante la
settimana santa erano entrati nella chiesa del sepolcro abbattendo candelabri e
tagliuzzando tappeti parietali. Convinsero le autorità turche che quegli atti
vandalici erano stati compiuti dai cattolici, per cui un firmano dellagosto 1757
tolse ai cattolici il possesso del luogo della nascita di Gesù e la Basilica in
Betlemme. Il papa riuscì però a rimettere ordine incaricando il ministro
generale francescano di Terra Santa, Raffaele da Lucagnano, di stendere un
nuovo statuto.
Quanto a Costantinopoli, il papa inviò più volte il suo visitatore apostolico, come
nel 1745 larcivescovo Francesco Girolamo Bona. εa i suoi delegati non avevano
C. Capizzi, Spiridione Milia (1700?-1770), collaboratore greco all’Amplissima del εansi,
OCP XXXVII (1971), pp. 441-490.
102 Sul pensiero di Benedetto XIV sui cristiani orientali vedi tra laltro θellegrini 1914, pp. 203213, 263-273; King 1940; Hoffmann Henricus, De Benedicti XIV Latinisationibus, Città del
Vaticano 1955.
101
58
quasi alcun rapporto con la gerarchia ΟscismaticaΠ. I loro contatti erano
prevalentemente con gli ambasciatori francesi.
A parte i tanti brevi relativi alla situazione dei cattolici in oriente, di lui ci sono
pervenute due encicliche sui greci uniti a Roma. La prima, Allatae sunt, del 26
luglio 1755 103, la seconda, Ex quo primum, del 1 marzo 1756.
Prendendo spunto dai quesiti proposti da un missionario a Bassora sugli
orientali (armeni e siriani) che frequentavano le chiese dei latini,
sullopportunità che ivi osservassero i loro riti e così via, il papa indirizzava la
sua enciclica a tutti i missionari che operavano in oriente. Fermo restando che
nulla andava innovato, rimaneva valido il decreto della Congregazione di
Propaganda Fide del 31 gennaio 1702, secondo il quale i missionari non erano
autorizzati a rilasciare dispense agli orientali che volevano cambiare rito. Se il
rito era stato approvato dalla Santa Sede doveva continuare ad essere osservato.
Consapevole che i missionari, per convertire gli Orientali dallo scisma e
dall’errore all’unità e alla santa cattolica religione, tolgono di mezzo il rito
orientale o almeno lo indeboliscono e attirano i cattolici orientali ad
abbracciare il rito latino, non per altra ragione, se non col desiderio di
amplificare la religione e di fare opera buona e gradita a Dio, il papa con
questa enciclica richiamava alcuni criteri da osservare in caso di conversione di
orientali.
Papa Benedetto XIV
103
Bellocchi 1993, I, pp. 323-356.
59
Il papa procedeva quindi ad una rassegna storica degli eventi e dei tentativi dei
Romani Pontefici per ridurre ad unità gli Orientali dopo il funesto scisma di
Fozio. Tutti questi tentativi, da Leone IX (con Cerulario), Urbano II (al concilio
di Bari), Gregorio X (al concilio di Lione), Eugenio IV (al concilio di Firenze),
furono vanificati appena Marco Arcivescovo di Efeso, come un nuovo Fozio,
cercò di distruggere l’Unione e cominciò ad alzare la voce contro di essa, subito
il frutto desiderato andò perduto completamente.
In questi concili si corressero gli errori, facendo accettare il Filioque, gli azzimi,
il purgatorio, la visione beatifica e il primato del Romano Pontefice. In una sola
parola fu messa ogni cura per eliminare gli errori contrari alla fede cattolica,
ma mai si fece sì che venisse alcun danno al venerabile rito orientale. Questa
era stata la linea di condotta di Innocenzo III, Onorio III, Innocenzo IV,
Alessandro IV. Anche quando Gregorio XIII fondò a Roma i collegi greco,
maronita e armeno, insistette sullosservanza del loro rito. Bisogna però
sottolineare, aggiungeva il papa, che le disposizioni che la Santa Sede emanava
per i greco cattolici in Italia soggetti ad un vescovo latino, non valevano per i
greco cattolici che nelle loro terre erano soggetti ad un vescovo del loro rito.
Dopo aver ricordato che la Congregazione di Propaganda Fide aveva stampato
nel 1623 la professione di fede richiesta da Gregorio XIII per i greci che si
convertivano, e nel 1642 quella richiesta da Urbano VIII, lEnciclica proseguiva
menzionando gli studi fatti per correggere i libri liturgici e soprattutto
leucologio dei Greci.
Per dirla in una parola, curando il ritorno dei Greci e degli scismatici
orientali alla Religione cattolica, massima preoccupazione dei Romani
pontefici fu di estirpare radicalmente dalle coscienze gli errori di Ario,
Macedonio, Nestorio, Eutiche e Dioscoro, dei Monoteliti e di altri, nei quali
erano sciaguratamente incappati, salvi tuttavia ed intatti i riti e la disciplina
che osservavano e professavano prima dello scisma, e ciò che si fonda nelle
loro venerande, antiche liturgie e nei rituali. I Romani Pontefici non richiesero
mai che tornando alla fede cattolica dovessero abbandonare il loro rito e
abbracciare quello latino: ciò avrebbe portato con sé tale devastazione della
chiesa orientale e dei riti greci che non solo non fu mai tentato, ma fu, ed è,
totalmente alieno dai propositi di questa Santa Sede 104.
Quanto alla maniera di ricondurre i greci allunione la principale è quella di
richiamarsi ai testi degli antichi padri greci che, come ha dimostrato Leone
Allacci, concordano con i padri latini in tutto ciò che riguarda il dogma e nella
confutazione degli errori nei quali gli Orientali e i Greci sono ora miseramente
caduti.
δapprezzamento del rito greco non legittima però il passaggio dal rito latino a
quello greco: Dal momento che il rito latino è quello che usa la santa Romana
Chiesa, che è madre e maestra delle altre chiese, deve preferirsi a tutti gli altri
riti 105 . Tuttavia è proibito anche linverso. Ecco perché la Santa Sede non
permette ai melchiti cattolici che osservano il rito greco di passare, come molti
vorrebbero, al rito latino. δimportante, comunque, è che quando ritornano alla
Ivi, p. 332.
Ivi, p. 333. Questo principio era stato sottolineato già nella bolla Etsi pastoralis del 26
maggio 1742.
104
105
60
chiesa cattolica riconoscano espressamente la validità delleucarestia col pane
azzimo, della comunione sotto una sola specie, non attacchino il celibato e non
si permettano di dubitare del valore del battesimo latino solo perché non è
seguito dalla cresima.
In particolare sul Filioque va ricordato che per la chiesa cattolica è un dogma, e
che nonostante che il concilio di Efeso proibisca qualsiasi aggiunta va
riconosciuto alla Chiesa il diritto di fare le aggiunte non contrarie alla fede.
Riconoscendo poi che i papi si sono comportati diversamente a proposito
dellobbligo di recitare il credo con laggiunta del Filioque, il criterio devessere
che si lascino liberi di recitarlo, a meno che lomissione ingeneri il dubbio che
essi non credano che lo Spirito proceda dal Padre e dal Figlio 106.
Infine il papa si soffermava su altri temi come la frequenza della celebrazione
delle messe nella stessa chiesa, le concelebrazioni, il nuovo calendario, il digiuno.
E concludeva che il suo atteggiamento voleva essere di comprensione. Egli
abbraccia gli orientali, mentre ordina che si conservino i loro antichi riti che
non si oppongono né alla religione cattolica né all’onestà; né chiede agli
scismatici, che tornano all’unità cattolica, di abbandonare i loro riti, ma solo
che abiurino le eresie, desiderando fortemente che i loro differenti popoli siano
conservati, non distrutti e che tutti (per dire molte cose con poche parole) siano
Cattolici, non Latini 107.
La seconda enciclica108, Ex quo primum, del 1 marzo 1756, come indicano le
prime parole, era una rivendicazione del suo amore per gli orientali uniti e il suo
impegno per il ritorno degli scismatici. Iniziava con informare gli orientali della
nuova edizione molto accurata dellEucologio (tipografia di Propaganda Fide,
Roma 1754).
Come si sa lEucologio era stato pubblicato nel 1647 dal domenicano Jacques
Goar, e la sua opera fu ristampata a Venezia nel 1730. La nuova edizione di
θropaganda Fide, seguita attentamente dal papa, teneva conto dellantico
Euchologium Berberinum S. Marci, nonché dellEuchologio Patriarcale del
Bessarione. Naturalmente, il pontefice si soffermava sulla necessità di
menzionare il papa durante la messa (nonché il proprio vescovo, se unito a
Roma). Un secondo lungo monito si occupava dellintroito maggiore e del non
rapportarsi alle sacre specie come se fossero già consacrate. Anche in altri casi si
preferì lasciare il testo come era e di accompagnare il tutto con una esortazione
ai sacerdoti laddove lusanza contrastava troppo con quella latina. Ad esempio, i
sacerdoti erano esosrtati a non conferire lestrema unzione ai sani, ma solo ai
malati. Altra differenza era nel fatto che dato che i sacramenti imprimevano il
carattere, come la Cresima, per i Latini non poteva essere ripetuta in caso di
ritorno alla chiesa, mentre gli scismatici la reiteravano. Per evitare questo
ΟerroreΠ (contenuto anche in un articolo di Balsamon sullaccoglienza dei latini
con la Cresima) si preferì utilizzare la versione dellEuchologio patriarcale di
Bessarione, che non conteneva tale clausola. δenciclica si chiude con la
soluzione di alcuni casi particolari (cibi immondi, leggi giudaiche, le puerpere, .
Nel delineare il bilancio della politica di Benedetto XIV verso gli orientali il De
Vries vi scorge una certa contraddittorietà. Mentre in oriente era deciso a che
non si alterassero i riti e i costumi (con la costituzione Demandatam coelitus del
Ivi, p. 345
Ivi, p. 356.
108 Bellocchi 1993, I, pp. 361-408.
106
107
61
24 dicembre 1743 proibiva ai missionari di far passare gli orientali al rito latino),
nellItalia εeridionale favorì, con la costituzione Etsi Pastoralis (26 maggio
1742), laffermazione di tale rito, mettendo ovviamente in crisi quello greco. Da
un lato impediva al patriarca melkita di procedere alla mitigazione dei digiuni,
dallaltra difendeva lintroduzione ad Aleppo della processione del Corpus
Domini; cosa chiaramente contraria alla spiritualità orientale che avvolgeva
leucarestia in un velo di mistero ed era aliena dallesporla per le strade.
15. Il Patriarcato e i fermenti nella teologia greca
I rapporti fra Roma e Costantinopoli hanno anche un altro versante, quello della
teologia. Ovviamente, non della teologia in quanto tale, che fa parte di un altro
ambito. Bensì della teologia che, attirando lattenzione del patriarcato
ecumenico oppure del sinodo, ne riceveva lapprovazione o la disapprovazione
da parte di questi. In questo campo si può ben notare limportanza
dellatteggiamento personale, più irenistico o più polemico. Lo scontro
violentissimo tra il patriarca e il sinodo verso la metà del XVIII secolo va
considerato dunque come il punto darrivo o il termometro di queste sensibili
oscillazioni nellatteggiamento da tenere verso i cattolici, se considerarli eretici
ed abbandonarli al loro destino oppure considerare i loro errori non tali da
precludere qualsiasi avvicinamento.
I teologi greci del XVIII secolo furono generalmente molto sensibili agli influssi
occidentali, sia per quanto riguarda il metodo della scolastica sia per i contenuti
derivanti dal nascente illuminismo. Tuttavia bisogna evitare assolutamente
lequazione: influsso scolastico = filo-latinismo. Gli influssi scolastici sono
comprensibili e diffusi a causa del fatto che tutti i teologi greci si formarono in
scuole ubicate in occidente e soprattutto sotto il dominio veneziano. Di
conseguenza, il metodo scolastico si rivela in minor o maggior misura in Elias
Meniates come in Vincenzo Damodos (+ 1752), in Antonio Moschopoulos
(+1788) come in Giovanni Kontones (+ 1761), nonché nel più noto Eugenio
Bulgaris (+1806).
Elias Meniates (1662-1714) di Cefalonia, aveva studiato a Venezia, scegliendo
poi una vita itinerante come predicatore. Lasciò una raccolta di sermoni
(Didaxai\) molto apprezzata. θiù nota è però la sua opera polemica ΟPe/tra
Skanda/louΠ 109 , in cui dopo aver parlato dell'origine dello scisma partendo
dall'epoca di Fozio (ignora quasi del tutto Michele Cerulario) e dei tentativi di
riunione, si sofferma sulle differenze tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa,
insistendo particolarmente sul primato. Per lui questo è il vero ed unico
ostacolo allunione, in quanto le altre differenze possono essere declassate a
Οordinazioni ecclesiasticheΠ e Οse tutti i cristiani si accordassero su questa
importantissima questione ... sarebbe facile trovare un accordo anche sugli altri
Titolo intero:
α α
ἤ
α
α α α
α
α
α
π
α
α
(Pietra di
scandalo ossia delucidazione dellinizio e della causa dello scisma tra le due chiese orientale e
occidentale con le cinque differenze che le dividono), Leipzig 1717 (anche 1743 e Atene 1969).
Per le citazioni ho seguito Spiteris 1992 (pp. 49-55), che si basa sul testo greco edito da Antimios
Mazarakis (Venezia 1849).
109
62
problemiΠ. εolto espressiva (come si è detto era il predicatore più vivace del suo
tempo) è la sua analisi della vicenda del primato papale:
Molte cose sono state scritte intorno a questo problema, però sono state scritte
con animosità o ispirate da adulazione o da odio e passione, lungi dalla via di
mezzo che è la verità. δ’adorazione dei papolatri ha innalzato il papa là dove
voleva elevarsi lucifero ed ha messo il suo trono al di sopra delle nubi e lo ha
fatto uguale all’Altissimo. D’altra parte l’odio dei luterani e dei calvinisti lo ha
abbassato veramente là dove è precipitato lucifero... facendolo uguale
all’Anticristo. Io invece lascio quelle cose che si dicono pro e contro il papa,
perché sono fuori del mio scopo, e mi occupo solo delle ragioni che portano gli
adoratori del papa.
Quindi il Meniatis passava a criticare il primato inteso come superiorità del
papa sul concilio e i patriarchi, la sua infallibilità e la sua pretesa di dominio
temporale. Non contestava però il primato in sé: Contro i luterani noi diciamo
che il papa non è l’anticristo. Egli è genuino successore degli apostoli e dei
discepoli di Cristo,detiene la prima cattedra nella gerarchia della chiesa
universale così come è stato onorato dai sacri concili. Importante è poi la
conclusione che esprime la speranza della riunificazione delle due chiese: Così lo
scisma rimane fino ad oggi tra le due chiese. Che la grazia dello Spirito Santo
le faccia finalmente riunificare con una unione indissolubile.
Si può supporre che questa posizione ΟapertaΠ del εeniates esprimesse
latteggiamento del patriarcato in quel periodo, almeno a giudicare dal fatto che
nel gennaio del 1704 il Meniates fu nominato dal patriarca ecumenico Gabriele
III e dal sinodo Οdottore e predicatore della grande Chiesa di CristoΠ, e la
motivazione era la seguente: per la purezza di vita, per il suo comportamento
modesto e decente, e per aver fin dalla sua prima giovinezza approfondito la
teologia attingendo alle fonti dei santi padri della chiesa orientale e apostolica
e nutrendosi del loro puro e ortodosso dogma.
Poco a poco però, anche in concomitanza ai successi del cattolicesimo che
riusciva a convertire locali gerarchie ortodosse, latteggiamento del patriarcato
diveniva sempre più intransigente. Un indizio di questo processo di
deteriorizzazione dei rapporti Roma Costantinopoli nel corso della prima metà
del XVIII secolo è dato dallapprovazione da parte del patriarcato ecumenico
della ponderosa (3000 pagine) Teologia dogmatica ortodossa in 5 tomi (Dio,
Trinità, Incrnazione, Grazia, Sacramenti) di Vikentios Damodòs. Essendo
rimasta inedita, lopera è conosciuta da una sintesi scritta dallo stesso autore.
Egli non si limitò ad esporre la teologia ortodossa, ma tutte le volte che questa
presentava una certa differenza dalla cattolica, non solo la faceva rilevare ma
criticava aspramente la posizione cattolica. Cosa del resto necessaria, a suo
avviso, dato che molti ortodossi vivevano nelle isole greche gomito a gomito coi
latini.
Il suo è tra laltro un caso esemplare di come si potesse fare teologia seguendo il
metodo della scolastica e al contempo essere estremamente avverso alla chiesa
latina. Le differenze teologiche sono per lui una dimostrazione di quanto la
teologia latina si sia allontanata dai Padri e di come sia caduta in tante
innovazioni. Per lui tutte queste novità sono niente altro che eresie, tali da
impedire che nella chiesa latina possa sussistere la grazia e quindi la possibilità
63
dei miracoli. Oltre che sul Filioque egli si soffermava su una questione che di lì a
poco sarebbe divenuta di grande attualità e drammaticità: il rigetto del
battesimo per aspersione. Nonostante che si trattasse di un manuale di teologia,
lautore si abbandonava ad un linguaggio che purtroppo diverrà abbastanza
generalizzato fra gli ortodossi nei confronti dei cattolici. I teologi scolastici
erano ΟbugiardiΠ. Questi ΟpseudoteologiΠ, che hanno immaginato teorie che i
santi Padri non hanno neppure sognato, ricorrono a Οspiegazioni pazzesche e
blasfemeΠ 110.
Personalità di respiro europeo fu Eugenio Bulgaris, nato a Corfu nel 1716. Dopo
gli studi nella sua città natale e Jannina, continuò a Padova ove assimilò sia
materie linguistiche che filosofiche. Fondò scuole a Jannina e Kozani
(Macedonia), ma il patriarca Cirillo V nel 1753 lo volle a dirigere la nuova scuola
da lui fondata nel 1743 sul Monte Athos. Qui però si trovò nel pieno di una
controversia che diede al suo predecessore loccasione per attaccarlo
aspramente.
Nel 1754, infatti, i monaci delleremo di SantAnna, che vivevano dei loro
prodotti venduti al mercato di Karies, città principale del Monte Athos, decisero
(per poter vendere i loro prodotti al mercato di sabato) di spostare la
commemorazione dei defunti dal sabato alla domenica. La cosa suscitò un
movimento tradizionalista di protesta, i cui membri erano detti ΟkollyvàdesΠ a
motivo del fatto che la commemorazione dei defunti comportava luso di un
frumento bollito e zuccherato detto ΟkòllivaΠ. A capo dei kollyvàdes si mise
Neòfitos Kafsokalibitis, che accusò il Bulgaris di appoggiare gli innovatori.
Intanto, nel 1757 al Monte Athos giungeva anche Cirillo V, il patriarca deposto,
il quale si schierò con i kollyvàdes e costrinse il Bulgaris alle dimissioni. I
kollyvàdes non si accontentarono di quel provvedimento, ma provocarono un
incendio alla scuola di teologia presso Vatopedi, dove egli insegnava.
Andato poi a dirigere la scuola patriarcale, fu allontanato dal patriarca Samuele
per analoghi motivi (accusa di razionalismo francese). Giunto a Leipzig,
incontrò il maresciallo russo Fëdor Orlov, che lo portò al riordino della
biblioteca di Caterina II a Pietroburgo (1771). Ordinato sacerdote nel 1775, fu
nominato arcivescovo di Cherson l'anno dopo. Non trovandosi a suo agio in
quella diocesi, preferì tornare a Pietroburgo andando a risiedere nel monastero
S. Alessandro ζevskij (ove cera anche la principale scuola teologica della
capitale, che diverrà poi lAccademia di θietroburgo). Ivi, continuando a scrivere
opere polemiche, morì nel 1806.
Più enciclopedico che creativo, scrisse in un greco classicheggiante e avvicinò il
mondo greco alle nuove filosofie occidentali. Il suo grande compendio
ΟΘ
Π fu pubblicato nel 1872 a Venezia dall'archimandrita Agatangelo
Lontopoulos. Tradusse molte opere relative allo Spirito Santo e al Filioque,
come ad esempio l'Historia controversiae de processione Spiritus Sancti del
θrokopovič, il De processione Spiritus Sancti di Adam Zernikaw, e ripubblicò
con suoi commenti i trattati su questo argomento di Niceforo Blemmyde, Marco
di Efeso nonché la lettera dogmatica di Teofilo Korydalleus al rettore
dell'accademia di Kiev Sofronij Pokzanskij. Compose anche una Confessione
diretta al gesuita Pierre Leclerc, con spunti sia contro cattolici che contro i
protestanti. Per il suo conservatorismo in materia di Sacra Scrittura il patriarca
Spiteris 1992, pp. 55-63. δautore si basa sul testo di D. G. εetallinos,
α
α
(Tradizione e alienazione), Atene 1987.
110
α
in
64
Gregorio VI (1835-1840, 1867-1871) fece pubblicare in turco i suoi commenti al
Pentateuco. Suoi discepoli furono Atanasio di Paros (+1813) e Teofilo
θapaphilos, autori di compendi (il primo dal titolo Ο π
, il secondo
Ο α ῖ
α Π, il Tesoro dellηrtodossia).
Nella controversia sui kollyva fu coinvolto anche il più celebre scrittore
spirituale ortodosso del XVIII secolo, ζicodemo lAgiorita. Benché autore di
numerosissime opere, Nicodemo è famoso per aver composto insieme a Macario
di Corinto la Filocalia. ζato nel 1749 nellisola di ζaxos, era dunque ancora
giovinetto quando la controversia scoppiò, ma non mancò di prendere posizione
a favore dei tradizionalisti allorché il patriarca Teodoro II emise un decreto
secondo il quale la commemorazione dei defunti poteva essere celebrata sia di
sabato che di domenica. δanno dopo però i tradizionalisti venivano condannati
(sarebbero stati riabilitati da un sinodo soltanto nel 1807).
Benché schierato con i tradizionalisti, Nicodemo era talmente preso dalla
spiritualità monastica da non fermarsi neppure di fronte al fatto che certe opere
capitate fra le sue mani fossero di autori cattolici. Ad esempio stese un
rifacimento del Combattimento spirituale del teatino Lorenzo Scupoli (+1610).
Ancor più aderente al testo cattolico sono i suoi Γ
α απ
α
vale a
dire gli Esercizi spirituali di Ignazio di δoyola. δaspetto devozionale cattolico
che maggiormente penetrò nella spiritualità dei tradizionalisti fu la comunione
frequente, che suscitò dure proteste da parte degli ambienti ortodossi. In ogni
caso, benché fosse il perfetto rappresentante della spiritualità ortodossa,
Nicodemo mantenne nei confronti della chiesa cattolica un atteggiamento di
apertura. Contro la presa di posizione del Damodòs, egli riteneva che la chiesa
cattolica, nonostante gli errori, fosse ancora fonte di grazia. Era convinto ad
esempio che il corpo di S. Nicola, anche dopo la sua traslazione in terra cattolica
(Bari), emanasse la santa manna e compisse miracoli.
Stimatore della filosofia occidentale fu anche Adamantios Koraes, nato a Smirne
nel 1748. Avendo appreso il latino a Smirne dal calvinita olandese Bernhard
Keun, si recò in Olanda, quindi studiò medicina a Montpellier. Assimilata la
mentalità occidentale sul ruolo del popolo, criticò aspramente il modo in cui la
gerarchia ortodossa governava la chiesa. La soluzione, a suo avviso, era di creare
una chiesa greca autocefala, indipendente cioè da una gerarchia condizionata
dal governo turco. Convinto poi che la liberazione della Grecia dal giogo turco
non poteva che passare da una consapevolezza culturale, si impegnò con tutte le
forze nella traduzione della Sacra Scrittura in vernacolo, per cui nel 1808 entrò
in contatto con l'English Bible Society, cominciando col tradurre l'epistola di
Paolo a Tito. Ben presto fu affiancato dal monaco Ilarion del Monte Sinai che
tradusse il Nuovo Testamento. Il patriarca Gregorio V sostenne l'iniziativa, ma
quando vide che l'influente predicatore Costantino Ekonomos l'avversava,
anch'egli fece sospendere il tutto con una decisione del sinodo del 1824
favorevole al mantenimento della koiné. Nel 1828, tuttavia, Koraes pubblicò la
lettera a Tito e le due a Timoteo (nel suo Ο
α
Π. Anche il testo
di Ilarion fu pubblicato con la koiné a fronte. Al Koraes e Ilarion si aggiunse poi
Neophitos Vamvas e, nonostante l'opposizione del sinodo, nel 1845 la Bibbia in
greco vernacolare fu pubblicata.
Stessa mentalità occidentale si riscontra in Teofilo Kairis (1784-1853), il quale
studiò sei anni a Pisa, quindi si trasferì a Parigi, ove incontrò Auguste Comte,
del quale condivise il positivismo. Cominciò così a sostenere una religione del
65
Οculto di DioΠ, in cui il cristianesimo era ridotto a suggerimenti morali (mentre
la dogmatica veniva negata). Tornato in Grecia per la lotta di liberazione, fu
condannato dalla chiesa greca. Fuggito in Francia e Inghilterra, tornò nel 1844,
ma finì ugualmente in prigione, ove morì.
Come si può vedere, dunque, latteggiamento dei patriarchi di fronte alle opere
teologiche può essere considerato una ΟspiaΠ indicatrice delle tendenze, ispirate
talvolta allapertura talaltra alla chiusura verso la chiesa cattolica. Ma, se questo
oscillare si riscontra per tutto il XVIII secolo, è innegabile che verso la metà di
quel secolo il dibattito sul battesimo dei latini per aspersione divenne di una
durezza senza precedenti, condizionando anche il secolo successivo.
15. Dalla Communicatio in sacris al Ribattesimo dei latini (1755).
Tra il XVII ed il XVIII secolo si verificò un mutamento radicale nelle relazioni
fra cattolici e ortodossi. Con tutte le difficoltà e asprezze isolate, tale rapporto
nel corso del XVII secolo era stato tutto sommato abbastanza buono, al punto
che i vescovi ortodossi erano talvolta contenti per l'arrivo di sacerdoti cattolici e
li utilizzavano nel ministero pastorale, permettendo la communicatio in sacris.
Verso la fine del XVII secolo e soprattutto agli inizi del XVIII le cose cambiarono,
e in peggio.
I fattori che determinarono il peggioramento sono molteplici. Già il patriarca di
Gerusalemme Dositeo aveva avviato un processo di netta contrapposizione,
pubblicando preferibilmente trattati polemici. Alla sua opera si aggiunse poi
l'occupazione veneziana del Peloponneso (1685-1718), che presentò il volto
ΟinaffidabileΠ del cattolicesimo. Le antiche chiese ortodosse, divenute moschee
tornavano cristiane, ma latine. I vescovati latini si moltiplicavano. Un processo
di latinizzazione che inasprì i rapporti perfino a Chios, quando fu conquistata
dai veneziani nel 1695.
Timothy Kallistos Ware attribuisce la causa del peggioramento alle direttive di
Propaganda Fide che suggeriva come metodo di convertire al cattolicesimo
personalità ortodosse influenti. Del resto la speranza di una conversione di
qualche patriarca non era venuta mai meno, considerando ad esempio le
simpatie per il cattolicesimo di alcuni di essi Né si può negare che questo
metodo delluniatismo, come nelle vicende che portarono alle elezioni
patriarcali melkite del 1724, di tanto in tanto aveva un certo successo. Il
patriarcato di Costantinopoli avvertiva quindi una sensazione di accerchiamento
con un sempre incombente pericolo di erosione del corpo ecclesiale ortodosso.
La reazione non poteva dunque essere, non avendo altri mezzi per difendersi,
che moltiplicare agli occhi degli ortodossi gli errori dei latini e considerarli
suggerimenti satanici contro la fede (invece che contro il rito o la disciplina).
Abbastanza articolato è il testo dottrinale uscito dal concilio di Costantinopoli
del 1722, in cui vengono confutate le principali tesi cattoliche considerate contro
lantica fede ortodossa secondo questo ordine: Primato, Filioque, Azzimi,
Purgatorio, Beatitudine dei Santi 111.
ζello stesso contesto ΟdifensivoΠ va considerata la Confessione ortodossa edita a
termine del Concilio di Costantinopoli del 1727, che contiene espliciti riferimenti
111
Testo in Karmiris 1960, II, pp. 820-859.
66
a queste differenze112. Nel suo poema in versi giambici Diamantes Rhysios (laico
sposato) giunse ad elencarne ben 33, inserendo tra gli errori, la venerazione
delle statue, il radersi della barba da parte dei preti, il nuovo calendario,
l'immacolata concezione, la negazione della luce taborica increata, e così via 113.
Nel corso della prima metà del XVIII secolo i rapporti fra Latini e Greci si erano
fissati in modo abbastanza chiaro, su linee rigoristiche, ma rispettose delle
antiche tradizioni, secondo le quali i latini erano scismatici ed in errore, ma con
la possibilità di una riconciliazione attraverso l'unzione, come stabilito sia dalla
tradizione antica sia nel concilio costantinopolitano del 1484.
Aussenzio rompe la tregua. Un Sinodo lo condanna (1752)
La chiarezza della posizione ortodossa, dura ma allo stesso tempo rispettosa
della disciplina canonica al riguardo (per la quale i Latini e gli Armeni erano
accolti nella Chiesa ortodossa solo mediante lunzione e non con la reiterazione
del battesimo, come invece i cristiani considerati eretici), aveva garantito lunghi
periodi di pace, sia pure guardinga. Sembrava che questa pace dovesse durare a
lungo. Ma non fu così, poiché nel 1752 ci fu un monaco ortodosso che, con la sua
infiammata predicazione, rimise tutto in discussione.
I fatti si conoscono grazie ad un decreto di condanna da parte di un concilio
ortodosso del 1752, pubblicato da Manuel Gedeon nel 1889 114.
Il decreto di questo concilio (presumibilmente tenuto a Costantinopoli) prende
le mosse dalla constatazione che la dottrina ortodossa ha il suo principio in Dio,
il cui Figlio si è incarnato per redimere l'uomo che aveva perduto la sua dignità a
causa della caduta originale. Gli apostoli e i loro successori ne hanno continuato
l'opera e l'insegnamento, il cui strumento privilegiato è costituito dai sacrosanti
concili. Con il settimo concilio ecumenico la rivelazione si è chiusa, con la
disposizione che in materia di fede nulla va aggiunto e nulla tolto o cambiato.
La Chiesa, continua il decreto, da tempo stava vivendo in pace, quando il
diavolo ha fatto di tutto per turbarla, e lo ha fatto suscitando la predicazione
dello ierodiacono Aussenzio nel villaggio di Catirli. Questo Aussenzio, che negli
anni precedenti aveva tenuto un comportamento lodevole, improvvisamente nel
1752 cominciò a proclamare la necessità di ribattezzare tutti gli eretici e
specialmente Armeni e Latini. Naturalmente la reazione di questi cristiani è
stata molto vivace ed hanno cominciato nei territori in cui si trovano in gran
numero a mettere in gravi difficoltà gli ortodossi. Non contento di aver turbato
la pace, Aussenzio ha addirittura lanciato l'anatema contro chiunque non
condivida questa posizione, siano essi semplici sacerdoti, o anche vescovi o
patriarchi.
Per questo motivo è stato richiamato a più riprese dalla gerarchia, ma egli si è
sempre difeso dicendo che ciò che egli affermava non veniva da lui ma dall'alto,
vale a dire che egli non poteva resistere ad una forza interiore che gli imponeva
di parlare.
Testo in Karmiris 1960, II, pp. 860-870.
Maloney 1976, pp. 173-176.
114 Manuel Gedeon, Textum e codice
, in
α
α, t. IX (1889), pp.
261-262, 270-272, 279-280. A questa edizione si rifà J. D. Mansi 38, che lo pubblica con questo
titolo: Auxentius hierodiaconus a sacra synodo damnatur, quod Latinos denuo baptizandos
esse clamitaret. 1752, pp. 587-606.
112
113
67
Ora, a parte il fatto che, sul battesimo e la sua ripetibilità, la Chiesa si è espressa
attraverso i concili e chiunque abbia letto i libri ortodossi dovrebbe conoscere
l'antica dottrina, ma non è neppure ammissibile che chiunque senta di dover
dire una cosa ne abbia poi il diritto di proclamarla, altrimenti l'ordine
ecclesiastico ne verrebbe stravolto.
Vengono quindi riportate antiche testimonianze a favore della non reiterabilità
del battesimo, e in particolare il canone 47 degli apostoli col commento di
Balsamon e Zonaras. Dopo aver ricordato la posizione di S. Cipriano, non fatta
propria dalla Chiesa, si passa al canone 14 del concilio di Calcedonia, anche qui
con i commenti di Balsamon e Zonaras115.
In tempi recenti, insiste il decreto, questa usanza è ribadita dal
α α α
(Tomus Reconciliationis). Ivi, parlando di Nestoriani, Giacobiti e
Armeni, è detto che devono riceversi col sacro crisma, sempre dopo che hanno
ripudiato le loro false dottrine. E in un altro punto si fa specifico riferimento ai
Latini:
Secondo quale modalità sono da accogliersi coloro che dall'eresia tornano alla
chiesa cattolica è prescritto specificamente nel canone 7 del sacro secondo
concilio ecumenico. Tutti i casi sono ridotti a due, chi è accolto mediante
l'unzione e chi mediante il rinnovo del battesimo. Coloro che sono battezzati
con una sola immersione, dopo che hanno rinnegato tutti gli errori, devono
essere ribattezzati. Chi invece con tre immersioni, dopo aver rigettato per
iscritto tutti gli errori, non si ritiene doversi ribattezzare, ma soltanto ungere
col sacro unguento la fronte, gli occhi, le narici, la bocca e le orecchie, e nel
segnarli pronunciare queste parole: Signaculum doni Spiritus Sancti, amen.
Oltre a tali prescrizioni, per antica consuetudine dall'inizio dello scisma sino
ad oggi, stesso atteggiamento teniamo nei confronti dei Latini che tornano alla
nostra santa e cattolica chiesa di Cristo. Rigettate le loro dottrine, dai nostri
sacerdoti vengono unti col sacro crisma secondo il rito appena descritto.
Dalla questione a carattere rituale sacramentale il sinodo passa ad una di
carattere ecclesiologico. Prescindendo cioè dal caso specifico del battesimo,
viene ribadito un concetto fondamentale che nella Chiesa ortodossa non deve
essere dimenticato: tutto ciò che riguarda la chiesa tutta (ecclesiastica negotia
quotquot ad totam christianorum universitatem pertinent) non può essere
risolto da una singola persona o da un concilio locale, ma da un concilio
generale. E questo è in fondo il senso della convocazione, con l'aiuto dello
Spirito Santo, di tanti padri in concili locali e universali. (Ὅ
ἶ α
, di conseguenza non è affare di un sol uomo.
Un altro importante principio ecclesiastico viene illuminato dallEcclesiastica
Hierarchia di Dionigi Areopagita, secondo la quale vi sono vari gradi e i relativi
uffici vanno rispettati. Il che, interpretato da Massimo il Confessore, significa
che mentre il vescovo ha la facoltà di compiere ciò che fa il sacerdote, il
sacerdote e tanto meno il diacono non può fare ciò che è di competenza del
vescovo.
115 Si noti però che il decreto sinodale omette il particolare che in tutti questi casi si parla di tre
immersioni, e che è proprio questo il punto cruciale contestato da Aussenzio, oltre al fatto
dell'eresia dottrinale.
68
Un terzo punto da considerare è pure quello che, quando si affrontano questioni
dottrinali o canoniche, lo facciano persone teologicamente preparate o esperte
nei sacri canoni. E non, come in questo caso, una persona del tutto inesperta e
senza alcuna erudizione come Aussenzio. Tanto più che in questi tempi non c'è
alcuna necessità di sollevare questo polverone sulla ripetizione del battesimo.
Quindi tanto clamore e turbamento è del tutto fuori luogo.
Omettiamo poi, aggiungono i padri conciliari, tutto il chiasso che Aussenzio fa
con i suoi pretesi miracoli e le voci di commento che si avvicinano piuttosto alla
comicità e all'oscenità che non all religiosità. Tutte cose che danneggiano il buon
nome dell'ortodossia in bocca ai Latini e agli Armeni che o deridono o
reagiscono con insulti, obbrobrii e contumelie contro gli ortodossi, quando non
con odi e persecuzioni.
Tutto ciò considerato, questo sinodo con l'assenso del santissimo e beatissimo
papa di Alessandria e nostro fratello Matteo, ammoniamo ed esortiamo tutti
gli ortodossi cristiani della nostra gente, chierici e laici, principi e sudditi,
uomini e donne, giovani e vecchi, che si astengano dalla dottrina tanto
dannosa e perniciosa foriera di tanti mali, ascoltando il divino
precetto:”Guardatevi da chi viene per sedurvi. Molti infatti vengono a mio
nome, dicendo: io sono il Cristo, e seducono molti e offendono, se possibile,
anche gli eletti”.
Il patriarca Cirillo V con asprezza: i Latini vanno ribattezzati !
(gennaio 1755)
Tutto sembrava scorre tranquillamente secondo il desiderio dei padri conciliari
del 1752, quando il nuovo patriarca Cirillo V rimise tutto in discussione. Nel
gennaio del 1755 infatti emise un decreto particolarmente duro nei confronti dei
latini 116.
Egli apriva la sua lettera ricordando il concilio tenuto a Costantinopoli in cui i
padri nobis non admonitis avevano preso posizione a favore della validità del
battesimo dei latini. Già dalle prime parole si nota il contrasto con i vescovi
presenti a Costantinopoli nel 1752, i quali avevano agito chiaramente in
contrasto con le sue vedute, tanto è vero che avevano fatto riferimento soltanto
al consenso del patriarca alessandrino. Non è tuttavia chiaro se il contrasto fosse
riferito unicamente al tema in questione oppure comprendesse tutta un'altra
serie relativa ad esempio alle elezioni e deposizioni dei patriarchi per altri
motivi più o meno personali. Né è da escludere che i progressi dei cattolici nel
corso della prima metà del secolo (dei quali si è parlato sopra) lo preoccupassero
sopra ogni cosa.
Sembra comunque che egli personalmente fosse un antilatino convinto perché
parla delle innovazioni dei latini come di Οdiaboliche novitàΠ ( α α
α α). Dopo aver ricordato di essere stato eletto Οcanonicamente ed
apostolicamenteΠ, e che questa dignità ha lo scopo di conservare integri ( α α
α
α) i dogmi, dice di aver esaminato attentamente la loro lettera e di
dichiararla assolutamente contraria alla tradizione apostolica del divino e
santo battesimo come è stato trasmesso dal tempo di Gesù Cristo fino ad oggi e
che non si è mai udito che i sacramenti degli eretici siano stati sanciti o
116
Mansi, 38, pp. 605-609.
69
approvati da un concilio ecumenico o locale o dai Padri della nostra chiesa
come invece hanno fatto costoro nella loro nefasta ed eretica lettera
(πα
α
α α
α), nella quale accettano e approvano
quella nefanda, putrida, verminosa e insulsa aspersione, quasi che conferisse,
non invenzioni umane, o meglio diaboliche, ma la vera dottrina sul sacro
battesimo divinamente trasmesso. Noi dichiariamo invece che chi, seguendo
quello scritto eretico, ritiene che qualsiasi cristiano che riceve quel rito
puzzolente sia da equiparare a chi ha ricevuto il divino battesimo, sia
allontanato dalla comunità cristiana.
Deciso dunque a preservare la purezza della fede e Οindossata l'armatura dello
Spirito SantoΠ ( α α
πα π α
πα α
α ), Cirillo
lancia l'anatema contro tutti coloro che condivideranno la tesi della lettera dei
vescovi, che afferma la validità del battesimo dei latini.
Avviandosi alla conclusione Cirillo, non potendo emettere il suo decreto col
sinodo endemousa (che era proprio il sinodo da lui condannato), lo fa Οcol suo
clero e il popolo cristianoΠ (
π
ᾶ
α
α
π
ώ α ), quindi, ribadendo l'anatema, si abbandona a tutta
una serie di invettive che rivelano la foga con cui affrontava la questione. Gli
scomunicati, egli si augurava, siano esecrati, siano tremebondi e terrorizzati
sulla terra come Caino, con la lebbra di Giezi, l'ira di Dio si scateni sulle loro
teste, abbiano la stessa sorte del traditore Giuda nonché dei Giudei nemici di
Dio, la terra si apra e li ingoi come fece con Dathan e Abiron, l'angelo della
vendetta li ferisca tutti i giorni con la sua spada e, finalmente, siano dannati
eternamente nel fuoco dell'inferno.
Il sinodo tenuto contro la volontà del patriarca e l'estrema violenza verbale di
quest'ultimo farebbe pensare che il tema del battesimo non fosse l'unico punto
di contrasto. Certo è che l'intervento di Cirillo V ebbe l'effetto di riaccendere la
lotta.
Il sinodo endemousa condanna Cristoforo di Etolia (e il patriarca)
(aprile 1755)
Nonostante la violenta presa di posizione del patriarca che dichiarava il
precedente decreto eretico e scomunicato, il sinodo endemousa si riuniva
nuovamente nel mese di aprile finendo con lo stilare un altro decreto117 che,
sebbene indirettamente, rispondeva con forza al decreto patriarcale.
Il pretesto partiva da uno scritto di un certo Cristoforo che dichiarava nullo il
battesimo dei latini. I padri si riunirono e stilarono un Ὥ
che
apriva anchesso con le macchinazioni del diavolo, tese ad impedire la salvezza
agli ortodossi, e sopratutto agli ortodossi impreparati. Il compito pertanto di di
illuminare le menti ed impedire che nella chiesa di Cristo sorgano scandali e
dissensi era di coloro che sono preposti all'insegnamento. Purtroppo,
osservavano i padri, sono più di due anni che la chiesa ortodossa si trova non
solo in stato di servitù ma anche attraversata da tante molestie e discordie.
Proprio per superare questo stato di cose che si trascina da anni, essi vogliono
dire una parola di rasserenamento, soprattutto perché è stato appena edito un
117
Mansi, 38, pp. 609-617
70
inetto libello (
α
) che, considerando il battesimo dei latini
alla stregua di un rito pagano, insiste nella necessità del ribattesimo.
Discordando da simili novità, dichiariamo che le tre aspersioni sono da loro
considerate alla stregua delle nostre tre immersioni e quindi non c'è stato
alcun mutamento, in quanto, benché non secondo i canoni, essi le considerano
come immersioni. Per questa loro diversità sono considerati scismatici e quindi
separati dal corpo degli ortodossi. Ma lo sono non solo per questa, bensì per
parecchie altre novità che hanno escogitato, e prima di tutte l'aggiunta che
hanno apportato al simbolo. Tuttavia, non solo da alcun sinodo ma neppure
da alcuno dei nostri santi Padri sono mai stati dichiarati non battezzati e
bisognosi di essere battezzati allorché tornano alla fede della nostra Chiesa,
ma per consuetudine ed antica tradizione osservata fino ad oggi, vengono
accolti con la sola unzione del crisma, professando e facendo penitenza in
questo ritorno, e con un libello di esecrazione rigettano tutti gli errori degli
scismatici latini.
Che la chiesa ortodossa abbia considerato l'aspersione dei Latini come una lecita
variante dell'immersione è dimostrato sia per il periodo anteriore alla caduta di
Costantinopoli sia per quello posteriore. E ciò vale sia per Gennadio Scholarios
sia, più recentemente, per Dositeo e Crisanto, che pure furono Οpolemici e
avversari acerrimi dei latiniΠ (π
α
πα
α
α
α
).
Pertanto, dopo essersi consultati con i nobili e i primati della città, i padri del
Sinodo intendono denunciare quest'opera sobillatrice, con personaggi che
vanno porta per porta a creare discordia, e dichiarare apertamente che trattasi
di una iniziativa che va contro tutta la tradizione ed è foriera di grandi
turbamenti e vessazioni nella Chiesa.
Né soltanto questo falso libro (
), ma anche coloro che hanno
aderito a queste false convinzioni sul ribattesimo, convinti che sia contro i
sacri canoni, e hanno accolto le sciocchezze che sono state scritte e le hanno
difese, costoro dunque ed il falso libello condanniamo, a meno che da questo
esizioso errore non rinuncino e recedano.
La condanna del sinodo, come si vede, è molto più pacata di quella del patriarca,
ma fa impressione nel finale il lungo elenco dei vescovi partecipanti al sinodo ed
in chiaro e netto contrasto col patriarca.
Tutte queste cose sono state fatte nella grande chiesa orientale di Cristo,
essendo patriarca il signore Cirillo, presenti i metropoliti che hanno
sottoscritto questo decreto sinodale legittimamente composto, nell'anno della
salvezza 1755, il giorno 28 aprile:
α α
Ἡ α
α
α α
α α α
α Γ
α α
α Γα
α
71
α
α απ
Γ
Φ ππ π
α π
α
α
α
α
Ἄ
π
α
α
αῖ
α
πα
Il patriarca Cirillo è menzionato soltanto per la precisazione del tempo. I Padri
ΟribelliΠ mantengono però un atteggiamento decoroso nonostante il linguaggio
del patriarca alcuni mesi prima. Benché lo scontro fosse particolarmente ben
definito negli schieramenti, nei confronti del patriarca si omette qualsiasi
polemica, se non indiretta.
Cirillo V e due patriarchi insistono: i Latini vanno ribattezzati
(luglio 1755)
La netta presa di posizione del sinodo endemousa al completo non fermò il
terribile patriarca, il quale riuscì a tirare dalla sua parte il patriarca di
Alessandria (lo stesso che nel 1752 si era espresso contro il ribattesimo ?) e di
Gerusalemme. Non c'è menzione di quello di Antiochia, se fosse impedito
oppure non condivideva il nuovo decreto. Questo si intitola:
Oros della santa Chiesa di Cristo, che definisce quale sia il battesimo
divinamente dato, e rigetta i battesimi diversi degli eretici118.
Cirillo inizia ricordando i modi scelti dal Salvatore per guidarci sulla via della
salvezza, precisando che un posto particolare spetta proprio al sacramento del
battesimo: A meno che non si è rinati dall'acqua e dallo Spirito non si può
entrare nel regno dei Cieli. Infatti l'acqua, come quella della piscina evangelica
(ove l'uomo si immerse tutto vestito), è segno di purificazione. Ma per
purificarsi è necessario immergersi dentro tre volte e così l'acqua agisce a
contatto col corpo.
Intorno alla validità del battesimo degli eretici, continua il patriarca, sono ormai
tre anni che nella nostra chiesa divampa una controversia, se accettare o meno il
battesimo conferito contro i sacri canoni e la tradizione dei padri. Noi, per la
dignità conferitaci, dichiariamo che il battesimo è valido quando segue la
volontà del Salvatore, che sia fatto cioè nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo, nonché la disposizione dei Santi Padri, che venga fatto mediante
le tre immersioni.
Noi, che per la miseridordia di Dio siamo stati nutriti dalla chiesa ortodossa,
sulla base dei canoni dei santi apostoli e dei santi Padri, riconosciamo la
nostra come l'unica santa chiesa cattolica e apostolica ( α
ώ
118
Mansi, 38, pp. 617-621.
72
α
α α
α π
α ), accettando come
validi i suoi sacramenti e quindi il divino battesimo.I sacramenti invece degli
eretici conferiti diversamente da come lo Spirito Santo ordinò agli apostoli e
da cme li conferisce la Chiesa di Cristo, essendo invenzione di uomini perduti,
essendo contrari atutta la tradizione apostolica, unanimemente rigettiamo.
Di conseguenza il batesimo degli eretici, come affermano i santi Ambrogio e
Atanasio, non ha alcuna validità e l'acqua utilizzata è solo acqua senza alcun
significato. Quanto i latini si convertono vanno quindi accolti come se non sono
mai stati battezzati e devono essere ribattezzati secondo i canoni apostolici e
sinodali.
Il decreto è firmato da Cirillo di Costantinopoli, Matteo di Alessandria e
Partenio di Gerusalemme:
K
ῳ Θ
π
π
α
π
α Ῥώ
α
πα
α αῖ
ῳΘ
π πα α πα
π
α
α
α
α
ῳ Θ
πα
α π
α
α π
α α
.
E' da notare qui come la precedente lettera (del sinodo endemousa) insista sul
fatto che su simili argomenti di valore universale la Chiesa debba decidere
sinodalmente e universalmente. L'oros dei tre patriarchi insiste invece sulla
fedeltà ai canoni, affermando implicitamente che il Patriarca di Costantinopoli
da solo (come nell'oros del gennaio 1755) o con altri due patriarchi (come in
questo di luglio), può definire una questione dogmatica. Sembra quasi che
Cirillo avesse una concezione ΟpapaleΠ del ruolo del patriarca costantinopolitano,
analogamente a quella di un secolo prima di Nikon a Mosca.
Da notare anche l'espressione netta che la chiesa ortodossa è l'unica chiesa
cattolica ed apostolica, il che è come dire che tutti i cristiani non ortodossi sono
fuori di essa.
Nonostante che altre voci si levassero a contestare questo decreto, va detto che
esso aprì la via al periodo più negativo nei rapporti fra chiesa cattolica e chiesa
ortodossa. Infatti per tutto il XIX secolo prevalse la linea dura di Cirillo che ha
condizionato i rapporti fra le due chiese fino alla prima metà del XX secolo.
Dal punto di vista teologico il sostegno più autorevole alla linea dura di Cirillo V
venne da Eustrazio Argenti, al quale spetta il primato fra i polemisti anticattolici
del tempo.
Nato a Chios verso il 1687, studiò medicina ad Halle, esercitando la professione
in Germania, Italia ed Egitto. Laico sposato, presentava l'ortodossia come
l'unica vera chiesa, in linea in questo col massimalismo di Cirillo V. Fondava
tale convinzione su una considerazione che successivamente divenne il punto di
partenza di quasi tutti i documenti costantinopolitani: solo la chiesa ortodossa si
è tenuta fedele alla tradizione della Scrittura e dei Padri, mentre la Chiesa
romana ha proceduto a dei cambiamenti che ne hanno tradito lo spirito.
Contro la teologia cattolica scrisse tre trattati specifici (uno sugli azzimi, uno sul
Filioque ed uno sul primato). Importante, specialmente per il dibattito allora in
corso, fu il suo Manuale sul Battesimo. Chiamato, infatti, dal patriarca Cirillo V
per la controversia sul ribattesimo dei latini, egli si pronunciò sulla sua necessità
73
che i cattolici venissero ribattezzati. Gli ambienti cattolici di Costantinopoli
naturalmente presero la cosa come un insulto e reagirono cercando di fare
deporre il pariarca, che comunque aveva già contro tutto il suo sinodo. Cirillo fu
deposto dai turchi e al suo posto fu eletto Paisio II. Successivamente i turchi
rimisero Cirillo sul trono.
Quanto alla posizione dellArgenti nella questione del ribattesimo dei latini, essa
derivava coerentemente dalla sua ecclesiologia: se l'unica vera chiesa di Cristo è
quella ortodossa, i sacramenti delle altre chiese non hanno alcun valore.
Eustrazio aggiungeva che ai latini non può essere applicata neppure l'economia,
in quanto, mancando dell'immersione, il loro battesimo è totalmente invalido:
Da tutto ciò che è stato detto nel corso di questo breve trattato, la nostra giusta
conclusione è che gli occidentali che vengono all'ortodossia necessitano di
essere battezzati. Questa pratica non è chiamata “ribattesimo”, poiché noi non
li battezziamo perché pensiamo che essi siano stati battezzati male, ma perché
essi non sono battezzati affatto. Infatti, ciò che essi chiamano battesimo è
chiamato così erroneamente, ed è un falso battesimo 119.
16. Enciclica di Pio IX: In suprema Petri Apostoli sede (6 gennaio
1848)
Le vicende di fine XVIII inizi XIX secolo, con la rivoluzione francese da una
parte e i primi tentativi di liberarsi dal dominio turco dallaltra, distrassero
alquanto lattenzione sia di Roma che di Costantinopoli. θiù che dai contrasti
con Roma lattenzione del patriarcato ecumenico fu rivolta con molta
preoccupazione ai protestanti, i cui missionari ormai mietevano sensibili
successi, e agli ortodossi greci, che premevano sempre più per ottenere
lautocefalia. δattenzione al cattolicesimo fu risvegliata verso la metà del secolo.
Il 6 gennaio del 1848 il papa Pio IX inviò un'enciclica a tutti i cristiani orientali
sia uniti che dissidenti. La lettera fece un grande scalpore in oriente, passando
quasi inosservata in occidente a motivo del momento storico che lEuropa (e
lItalia in particolare) stava attraversando. δenciclica In suprema Petri Apostoli
sede 120 fu commentata ovunque come un documento di origine ecclesiastica. In
realtà la sua nascita è legata ad un fatto squisitamente politico.
In tutti i secoli precedenti i papi non avevano neppure pensato a relazioni
diplomatiche con il sultano. Tutti, con maggior o minor successo, avevano
tentato di creare alleanze per la guerra contro i turchi. E questo era stato anche
uno dei motivi (forse il principale) per non allacciare relazioni col patriarcato
ecumenico, una istituzione ritenuta intimamente legata al governo turco e
quindi politicamente inaffidabile. Poi era venuta la rivoluzione francese, e non
Ware 1964, p. 97.
Sia l'Enciclica che la Risposta ottennero una rapida diffusione in tutto il mondo cristiano.
Naturalmente la maggior parte delle edizioni fu in greco, ma ben presto ci furono numerose
traduzioni. A Parigi, ad esempio, nel 1850 venivano pubblicate sia congiuntamente (Lettre
Encyclique di S. S. le Pape Pie IX aux chrétiens d'Orient, et Encyclique responsive des
Patriarches et des Synodes de l'Eglise d'Orient. Traduites du grec par le docteur Demétrius
Dallas) che la Risposta degli orientali da sola (Réponse de l'Eglise orthodoxe d'Orient à
l'Encyclique du Pape Pie IX, adressée par S. S. aux chrétiens orthodoxes Grecs en janvier 1848.
Traduit du grec par M. A. P.).
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solo il papato non era riuscito più a promuovere alleanze antiturche, ma aveva
dovuto pensare a difendere la sua esistenza come stato pontificio.
Curiosamente però, proprio nel momento di maggior debolezza, ecco che i
rivoluzionari italiani cominciarono a vedere nel papa, e propriamente in Pio IX,
luomo che avrebbe potuto far convergere i vari movimenti verso la formazione
della nazione italiana, promuovendo eventualmente la guerra contro lAustria.
Tra il 1847 ed i primi mesi del 1848 Pio IX stava vivendo dunque un momento
magico sia nella situazione politica italiana che in quella internazionale. Quando
nellaprile del 1848 egli dichiarò che non avrebbe promosso una guerra contro
lAustria, si attirò linimicizia e le acerbe critiche dei liberali e dei rivoluzionari.
In politica internazionale grande scalpore fece nel 1847 lallacciamento di
normali rapporti diplomatici con limpero turco. Nel corso di quellanno, infatti,
il Sultano Abdul Medjid inviò in Vaticano un suo ambasciatore, Chebib-Effendi,
intendendo non solo riprendere le normali relazioni diplomatiche (interrotte sin
dal XV secolo), ma addirittura affidare al Vaticano la protezione dei cristiani
orientali sotto il dominio turco121. Il passo del sultano si spiega forse con la
speranza che il papa, per portare avanti la politica di unificazione italiana,
diventasse inirettamente il principale alleato della Turchia, in quanto il successo
dellItalia era legato alla guerra contro lAustria. Daltra parte, la Turchia trovava
troppo ingombrante dover reggere le varie diplomazie europee che
proteggevano ciascuna i suoi connazionali. Prospettò quindi al papa la
possibilità, da tener segreta, di assumersi il compito di protezione dei cristiani
sotto il dominio turco. εa lambasciatore francese, rappresentante cioè la
nazione che da secoli aveva il monopolio di quel compito, venne a saperlo e con
altri mise alle strette il governo turco vanificando tali progetti.
I contatti li prese il gran vizir Reschid Pascià attraverso il Demauri, che ne
scrisse al P. Ventura, che assicurò il gran vizir sullinteresse alla cosa da parte
del papa. I tentativi dellambasciata francese di fare recedere il giovane sultano
riuscirono solo parzialmente, nel senso che il sultano, invece che personalmente,
fece seguire la vicenda dal gran vizir. δambasciatore Chebib Effendi giunse ad
Ancona l11 febbraio del 1847 e il sabato 20 fu accolto con tutti gli onori dal papa
al Quirinale122.
Cfr. Tesi Passerini Carlo, Pio Nono e il suo tempo, vol. I, Firenze 1877, pp. 247-255.
Breve ma incisivo fu il discorso dellambasciatore turco allindirizzo del papa: Sua Maestà
Imperiale, il Sultano Abdul-Medjid, mio augusto padrone e sovrano, ha saputo con la più
grande soddisfazione il felice avvenimento di vostra Santità al potere del mondo cattolico,
tuttoché fino ad ora non sieno mai state relazioni tra la Sublime Porta ed il governo della
Santa Sede. Talché, nello inviarmi a vostra Santità per esprimerle le sue felicitazioni vive e
sincere, il mio Sovrano non ha fatto che cedere al suo ardente desiderio di provare quanto di
cuore egli si associa all’universale soddisfazione, colla quale è stato accolto tanto felice
avvenimento. E’ la prima volta che egli coglie l’onorevole occasione di entrare in relazione
diretta col governo della Santa Sede: è uno dei benefìci del nostro secolo, quello della civiltà e
dell’umanità, che a vicenda stringe, il quale sarà anche più forte mediante l’attestato delle
virtù e delle benevoli intenzioni, che il mio Sovrano e vostra Santità caratterizzano. Ella
valuterà certamente i benevoli sentimenti del mio augusto Sovrano, il quale ricolma di
attenzioni e di cure tutte le classi dei suoi sudditi, eguali ai suoi occhi, come sono quelli di un
padre tutti i suoi figli che ama indistintamente. Loché essendo vero, va certo, anzitutto, avere
acquistato per avventura la stima e l’amicizia di vostra Santità, ch’egli tiene in gran conto.
ζulla potrà mai uguagliare l’alto onore di essere stato incaricato dal mio Sovrano di questa
nobilissima missione, inquantoché lo avere acquistate le simpatie e la bontà del santo Padre, è
per me la più grande felicità della mia vita. Cfr. Tesi Passerini, Pio Nono, cit., pp. 252-253.
121
122
75
Tra la fine del 1847 e i primi del 1848, dunque, tutto andava a gonfie vele, per
cui il papa non resistette alla tentazione di rivolgersi ai cristiani orientali, e di
invitarli allunione ecclesiale, quasi presupposto teologico a quello che avrebbe
dovuto essere il suo impegno nel proteggerli.
Agli uniti egli dava le disposizioni per un sempre più ordinato governo
ecclesiastico nonché per una conferma delle liturgie aventi una lunga tradizione.
Ai dissidenti rivolgeva un invito a riconciliarsi con la Chiesa cattolica.
Non vi imponiamo alcun peso, scriveva il papa nel suo appello, oltre a quello
che è necessario, vale a dire che voi ritorniate all’unità, che concordiate con noi
nella confessione della vera fede, che la chiesa cattolica conserva e insegna, e
inoltre che manteniate la comunione con la chiesa stessa e con questa suprema
cattedra di Pietro.
Il De Vries fa notare gli elementi che irritarono gli orientali:
1. Il papa menziona la possibilità che durante lo scisma possano essersi
infiltrati nelle chiese orientali elementi erronei sul piano dottrinale.
2. Durante lo scisma esse (nella loro molteplicità) avevano perduto lunità
di dottrina e di governo.
3. Il primato romano è confermato da numerosi testi patristici, anche
orientali.123
θapa θio IX nel 1848 indirizza unenciclica ai cristiani orientali (invece che ai
Patriarchi).
123
De Vries, 1983, pp. 130-131.
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Come si può vedere, il papa non apportava elementi nuovi rispetto alle bolle di
Benedetto XIV. La chiesa romana era convinta che dopo lo scisma si fossero
introdotti nella chiesa doriente vari errori, che poi sono gli stessi che gli
ortodossi rimproveravano ai cattolici come novità. Solo che per i cattolici,
almeno a giudicare dal testo di Benedetto XIV, andavano ormai considerati
dogmi, per gli ortodossi erano eresie.
Spesso il testo di Pio IX viene indicato come Enciclica ai patriarchi orientali. In
realtà è proprio questo che irritò al massimo i patriarchi, il fatto che, invece di
rivolgersi a loro, dando così un segno di stima, si era rivolto a tutti i cristiani
dellηriente (il che fu interpretato come un subdolo tentativo di rubare fedeli
alla chiesa ortodossa).
Diplomaticamente il testo fu affidato al nunzio apostolico in Turchia, Innocenzo
Ferreri, arcivescovo di Side, legato papale presso il sultano. Consegnata anche
alla gerarchia ortodossa, la lettera ebbe, come si è detto, una pessima
accoglienza ed una durissima risposta.
ζaturalmente questa enciclica del 1848 non fu lunico documento di Pio IX
sulloriente cristiano. A parte i tanti interventi relativi agli slavi, agli armeni o ai
caldei, egli tornò anche in altre occasioni ai cristiani ortodossi. Ad esempio nel
1868 promulgò la lettera apostolica Arcano Divinae Providentiae diretta ad
omnes episcopos ecclesiarum ritus orientalis communionem cum Apostolica
sede non habentes, invitando così tutti i vescovi ortodossi al concilio. Ma
nessuno accettò linvito. Alcuni anni prima, con la costituzione apostolica
Romani pontifices (6 gennaio 1862) creava in seno alla Propaganda Fide un
ramo specifico, la Sacra Congregatio de Propaganda Fide pro negotiis Rituum
Orientalium (non mancarono membri illustri di questa, come il benedettino G.
B. Pitra).
In generale, si può dire che Pio IX fu zelante nella salvaguardia dei riti orientali,
anche se per nulla rispettoso della tradizione canonica, che egli si sforzò al
massimo di adeguare a quella latina (anche nel corso del Concilio Vaticano I).
Questa sua mancanza di rispetto verso il diritto orientale fu allorigine della sua
ostilità nei confronti del patriarca caldeo Giuseppe Audo e del patriarca melkita
Gregorio Jusof. Essi infatti non accettarono simpliciter la definizione conciliare
sul primato e linfallibilità, bensì sub conditione. E questa condizione era che il
papa era tenuto a rispettare i privilegi dei patriarchi. Anche la definizione
fiorentina era conciliare. Non si vedeva perché, essi dicevano, quella vaticana
dovesse avere più valore 124.
17. Enciclica dei Patriarchi orientali in risposta a Pio IX (maggio
1848)
δenciclica di θio IX giungeva a Costantinopoli in un momento delicato, con la
Chiesa Greca che aveva proclamato da anni la sua autocefalia ed il patriarcato di
Costantinopoli che considerava la cosa come una ingiustificabile violazione
dellantico ordinamento ecclesiastico.
Il vento dell'occidente, prima con l'illuminismo poi con la Rivoluzione francese,
come si è visto, era penetrato anche in Grecia. Il razionalismo da una parte e il
124
Ivi, p. 128.
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sogno di libertà dall'altro non potevano lasciare indifferente il mondo greco, e in
nessuna chiesa cristiana tali concetti erano così sconvolgenti come nella chiesa
greca, che fondava la sua identità proprio sulla fedeltà alla tradizione.
Due correnti si contrapponevano con forza, quella innovatrice di Teoklitos
Pharmakidis, e quella conservatrice Kostantino Ekonomos.
Il Pharmakidis era nato presso Larissa nel 1785. Aveva studiato a Bucharest,
quindi a Göttingen, ove acquisì una mentalità più europea. La sua riflessione
riguardava il rapporto fra chiesa e stato, e lo risolse ispirandosi alla visione del
θrokopovič, con una chiesa cioè retta sinodalmente e in stretto rapporto con lo
stato, sottolineando allo stesso tempo l'importanza centrale della Sacra Scrittura
e l'uso della ragione anche in materia di fede.
Allorché il re Ottone il 6 febbraio 1833 a Nàuplion proclamò il regno
indipendente di Grecia, egli parlò apertamente della necessità di creare un
sinodo della chiesa autocefala di Grecia, essendo del tutto naturale che ogni
stato indipendente avesse una chiesa autocefala. Nel luglio dello stesso anno,
sempre a Nàuplion, il parlamento greco proclamò l'autocefalia della chiesa greca,
rompendo i legami canonici con Costantinopoli (che tuttavia non riconobbe la
nuova istituzione, considerata un prodotto di quellerrore ecclesiale che va sotto
il nome di filetismo). Nel 1844 l'istituzione dell'autocefalia fu sancita anche dalla
Costituzione. Si istituì quindi un Sinodo sul modello della chiesa russa, che il
patriarca riconoscerà solo nel 1850 (quindi dopo la vicenda di Pio IX e dei
patriarchi orientali).
Costantino Ekonomos fu il maggiore oppositore di questi progetti e di queste
realizzazioni. Dopo aver viaggiato in occidente, era rientrato in Grecia nel 1834,
quando ormai le idee del Pharmakidis erano già in una fase avanzata di
realizzazione. Ingaggiò allora un'accesa controversia sia col Pharmakidis che col
Maurer, il reggente della Baviera che offriva il sostegno politico a quei
programmi. Per l'Ekonomos, rompere i legami con la chiesa madre era un po'
come perdere la fede. Egli era convinto che questo modello, che richiamava
quanto verificatosi in Russia, affondava le sue radici nel protestantesimo.
Similmente di origine razionalista e contro il magistero ecclesiastico era per lui
la traduzione della Bibbia in volgare (da parte di Vamvas). Era invece necessario,
secondo l'Ekonomos, mantenere la tradizione dei padri greci, che aveva fatto sì
che l'ellenismo diventasse parte essenziale del cristianesimo, e quindi il
patriarca era l'unico interprete autentico della tradizione.
Intanto nel 1837 era stata fondata l'università di Atene, e la riforma
dell'insegnamento teologico ebbe come criterio, sulla scia delle riforme di
Protasov in Russia, la liberazione della teologia greca dall'invadente
protestantesimo. Su questo Costantino Ekonomos fu d'accordo. Anzi, nel 1836
aveva già consigliato al patriarca Gregorio VII di promulgare un'enciclica in cui
venivano condannati gli errori di Lutero, Calvino, Zwingli e altri. Quanto alla
polemica antiromana, alcuni anni prima il patriarca Costanzo I (+ 1834) aveva
composto un testo che, secondo il Popescu, costituirà la parte principale della
risposta dei Patriarchi orientali al papa Pio IX nel 1848.
δenciclica di θio IX giungeva dunque a Costantinopoli in uno di quei momenti
di rivolgimenti sia civili (formazione della nazione greca dopo secoli di dominio
musulmano) che dellautorità patriarcale, come sta a dimostrare questa
successione:
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Gregorio VI (1835-1840)
Antimo IV (1840-1841)
Antimo V (1841-1842)
Germano IV (1842-1845)
Antimo VI (1845-1848)
Antimo IV (1848-1852) seconda volta
Germano IV (1852-1853) seconda volta
Antimo VI (1853-1855) seconda volta
Cirillo VII (1855-1860)
Gioacchino II (1860-1863)
Sofronio III (1863-1866)
Se il papa inseriva lesortazione ai patriarchi in un quadro di ampio intervento
politico ecclesiale, i patriarchi gli rispondevano avendo una sola preoccupazione:
evitare che il papa allettasse qualche ortodosso e lo attirasse a passare alla
chiesa cattolica. Per cui, come il papa si era rivolto ai patriarchi non
direttamente, ma allinterno di un indirizzo più universale, anche i patriarchi
orientali risposero rivolgendosi ai fedeli ortodossi, esortandoli a non lasciarsi
ingannare dal papa, ed allinterno di questo appello venivano elencati gli errori
della Chiesa romana e del papa..
A Tutti i nostri cari e amati fratelli nello Spirito Santo, i venerabili vescovi, al
loro pio clero e a tutti gli ortodossi, veri figli della Chiesa santa, una cattolica e
apostolica, un saluto fraterno nello Spirito Santo e la benedizione divina125.
δesortazione di cui si è detto è argomentata punto per punto, e il fondamento
da cui partono i patriarchi è l’immutabilità della dottrina evangelica. Tale
dottrina, fonte della nostra salvezza, è stata trasmessa immutabile dai santi
padri, dicono i patriarchi nella risposta a Pio IX, ma il principio di ogni male,
mescolando la verità col veleno dell'eresia, continua a far cadere nella trappola
tanti fedeli innocenti. E questo lo fa dando a credere che la verità evangelica
fissata dai sacrosanti concili è insufficiente e che è necessario apportare delle
innovazioni. Proprio in questa tendenza alle novità è l'origine di “tante e
mostruose eresie che la Chiesa cattolica sin dall'inizio, rivestendosi
dell'armatura di Dio e afferrando la spada spirituale, cioè la parola di Dio,è
stata costretta a combattere (n. 2). Οtra le eresie che, per decreti che solo Dio
conosce, si sono stese su una gran parte dell'universo, dominava una volta
l'arianesimo, oggi il PapismoΠ (n. 4).
La novità da cui hanno origine tutti gli altri errori del Papismo è il Filioque. “δa
nuova dottrina secondo cui lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio è in
contrasto con l'affermazione esplicita e positiva di nostro Signore (Gv XV, 26),
che lo Spirito Santo procede dal Padre; contraria all'universale professione di
fede della chiesa cattolica, secondo la testimonianza dei 7 concili ecumenici che
hanno stabilito che lo Spirito Santo procede dal θadre”. Da questa eresia sgorga
tutta un'altra serie di gravi errori che manifestano disprezzo per le parole
delVangelo. Infatti, mentre il Vangelo parla per il battesimo di tre immersioni, i
125 Testo greco in Karmiris 1960, II, pp. 902-925. Utilizzo qui tuttavia il testo greco con
traduzione francese in Mansi 40, col. 377-418. Per maggiore aderenza al testo si è mantenuto, in
corrispondenza delle citazioni, il numero del paragrafo come riportato nel Mansi.
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papisti hanno introdotto l'aspersione. Il Vangelo dice prendete e mangiate,
prendete e bevete, e invece i papisti danno ai laici solo il pane e non il vino.
Invece del pane fermentato si dà quello azzimo e per di più sotto forma di sottile
ostia. Nella messa hanno soppresso l'invocazione dello Spirito Santo. Nel
battesimo omettono l'unzione crismale che segue e non danno la comunione ai
bambini battezzati. Impediscono agli uomini sposati di accedere al sacerdozio, e
l'infallibilità di Gesù Cristo l'hanno trasferita sulla persona del papa (n. 5).
Purtroppo, non solo questi errori li sta vivendo l'antica chiesa di Roma, a suo
tempo un pilastro della Chiesa universale, ma di essi ha contaminato altre
chiese precedentemente ortodosse, come la Spagna, la Francia e l'Italia. La
nuova dottrina sullo Spirito Santo è una bestemmia che non sarà mai
perdonata né nel presente né nei secoli a venire (Mt 12).
Il papato si è tenuto ortodosso fino a Leone III (che incise su tavole d'argento il
simbolo senza il Filioque) e Giovanni VIII (per la nobile lettera a Fozio in
occasione dell'VIII concilio ecumenico, nonché la lettera a Sfendopulcro a favore
di Metodio, vescovo della Moravia) (n. 6).
Riferendosi all'ostinazione degli occidentali e del papa, già S. Basilio scriveva:
Essi non conoscono la verità e non sopportano che gliela insegnino. Essi si
mettono a litigare proprio con coloro che vogliono loro mostrare la verità, e
con i loro esempi essi affermano l'eresia (Lett. A Eusebio di Samosata). I nostri
predecessori hanno tentato più volte di riportarli sulla retta via, ma senza
alcun risultato. Di conseguenza allontanandosi li hanno lasciati nei loro errori.
θoiché la “guerra è preferibile alla pace, laddove la pace ci separa da Dio,
come ebbe a dire il nostro santo padre Gregorio parlando degli Ariani. Da
allora non c'è stata più alcuna comunione spirituale tra loro e noi, poiché il
solco che essi hanno scavato con le proprie mani tra di essi e l'ortodossia è
molto profondo”. (n.7).
Nei tempi recenti i papi se ne sono stati quieti, e gli attacchi sono venuti
piuttosto da alcuni missionari, o meglio Οtrafficanti d'animeΠ. Ora è accaduto
che colui che nel 1846 è stato eletto ad occupare la sede episcopale di Roma ha
inviato una lettera enciclica Οai Cristiani d'orienteΠ, comprendendo sotto questo
nome sia gli uniti che gli ortodossi, accusandoci presso il gregge a noi affidato
da Dio, di esserci separati violentemente dai nostri padri e di non considerare i
nostri sacri doveri e la salvezza dei nostri figli spirituali, affermando
espressamente: Voi non avete nemmeno una ragione o un pretesto per non
tornare nel seno della vera Chiesa e nella comunione con questa Santa Sede, (n.
9).
Senza dubbio, tutti i fedeli ortodossi capiranno che le parole dell'attuale
vescovo di Roma, come quelle di tutti i suoi predecessori dopo lo scisma, non
sono, come egli dice, parole di pace e di amore paterno, bensì parole d'inganno
e di conquista, non avendo altro scopo che l'interesse particolare, secondo
l'abitudine dei suoi predecessori, costanti avversari dei concili. Siamo convinti
però che gli ortodossi non si lasceranno trarre in inganno e secondo le parole del
Signore non seguiranno lo straniero, ma da lui rifuggiranno, poiché essi non
conoscono la voce dei forestieri (Gv XV).n. 10.
Volendo comunque dare una risposta, facciamo notare che egli non dalla
confessione apostolica trae la gloria della sua sede, ma è dalla sua sede
apostolica che egli fa derivare il primato, e da questo primato egli deduce
l'autorità della sua confessione. Se è per questo Antiochia dovrebbe avere il
80
primato, come fa notare s. Basilio nella lettera a S. Atanasio. In ogni caso qui si
rovesciano i valori. Noi non dobbiamo giudicare l'ortodossia secondo le
insinuazioni della Santa Sede, ma dobbiamo giudicare la Santa Sede e colui
che la occupa a partire dalle sacre Scritture, dalle decisioni e limiti posti dai
concili, e secondo la fede confermata, cioè secondo l'ortodossia
dell'insegnamento eterno. Il Santo Padre vorrebbe l'unione, ma per lui questa
unione non è altro che un mezzo per consolidare e aumentare il potere e la
preminenza di coloro che occupano la Santa Sede. Da parte nostra invece, ci
limitiamo ad augurarci che verrà un giorno in cui colui che occupa la supposta
sede di Pietro si renda conto dei tanti errori e si penta, dopo di che con molta
prudenza e riflessione si ponga il problema dell'unione (nn. 11-12).
Noi non neghiamo affatto le antiche prerogative di cui godeva la chiesa di Roma,
anzi non le negheremmo neppure ora, se come allora la Santa Sede si attenesse
ai dogmi trasmessi dai santi Padri, dalla Sacra Scrittura e dai Concili. Invece la
realtà è ben diversa, in quanto non è salvaguardato il dogma della Trinità, né il
tipo apostolico del battesimo, né l'epiclesi. Il primato di Roma, come afferma il
XXVIII canone di Calcedonia deriva dal fatto di essere capitale dell'impero, e
non dalla promessa di Cristo a Pietro. Ed in ogni caso era una preeminenza di
autorità fraterna, e non, come l'hanno trasformata i papi in sovranità temporale
(n. 13).
Il concorso fraterno e la sollecitudine non si esercitano
al prezzo
dell'asservimento delle Chiese di Dio. n. 14.
E' vero che a Calcedonia dopo la lettura della lettera di Papa Leone I si gridò:
Tramite la bocca di Leone è Pietro stesso che ha parlato. Ma fu il concilio a
rilevare l'ortodossia del papa. Il che si deduce dalle dichiarazioni dei padri al
momento di firmare, come ad esempio di Teodoreto che dichiarò: La lettera del
venerabile arcivescovo Leone si accorda con la fede esposta a Nicea dai
venerabili padri e con il simbolo di fede dettato a Costantinopoli dai 150 padri
e con le lettere del venerabile Cirillo. Di conseguenza, assentendo alla suddetta
lettera, firmò (n. 15).
La nostra speranza è che proprio sua Santità, rigettando gli errori dei suoi
predecessori, ritorni alla fede autentica della Chiesa universale, di modo che le
sedi vescovili ora occupate abusivamente dai vescovi occidentali siano loro rese
dalla Chiesa universale e le occupino legittimamente. Seguendo egli le orme di S.
Pietro, Leone I e Leone III rifaccia incidere su tavole d'argento il simbolo
incorrotto, ci mandi dei pensieri che esaminati saranno trovati in accordo con i
sette concili, ed allora non solo diremo che Pietro ha parlato per bocca di sua
Santità, ma aggiungeremo: Abbracciamo la mano venerabile che ha asciugato
le lacrime della Chiesa universale. Lacrime derivate dal fatto che con la sua
tendenza alle innovazioni il papismo ha gettato anche i più saggi e i più pii
vescovi della Chiesa romana in un inestricabile labirinto di errori.
Il papa ha avuto lardire di affermare:
Voi non avete potuto conservare tra di voi l'unità della dottrina e del governo
ecclesiastico. Sua santità attribuisce a noi la sua propria malattia. Siamo
convinti che se sua Santità richiamasse alla memoria l'archeologia
ecclesiastica e la storia, l'insegnamento dei santi padri e le antiche liturgie
della Gallia e della Spagna e il breviario dell'antica chiesa di Roma, rimarrà
sorpreso di scoprire a quante altre mostruosità ancora in atto ha dato adito il
81
papismo in occidente mentre l'ortodossia ha conservato in mezzo a noi la
chiesa universale come una fidanzata senza macchia per il suo celeste sposo,
benché noi non siamo sostenuti da alcun potere secolare, che sua santità
qualifica come governo ecclesiastico, non avendo altro legame tra di noi se non
quello di una vicendevole carità né altra garanzia di unità se non la nostra
pietà filiale verso la comune madre. E questa pietà filiale è la sorgente della
nostra obbedienza alla verità e alla dottrina segnata dai sette sigilli dello
Spirito, vale a dire i sette concili ecumenici (n. 16).
Il male delle innovazioni è proprio della Chiesa Romana. Da noi le innovazioni
non hanno potuto introdurle né i patriarchi né i concili: poiché da noi la
salvaguardia della religione risiede nel corpo intero della Chiesa, vale a dire
nel popolo stesso che vuole che il dogma religioso resti eternamente
immutabile e conforme a quello dei Padri. Sarebbe quindi opportuno che il
papa, rinunciando alla pretesa dell'infallibilità, torni al rispetto del Vangelo, dei
Padri e dei concili. La Chiesa universale è costretta a condannare tutti quegli
scritti e dottrine che sono un pericolo per la salvezza dell'anima. A questa
categoria appartiene in prima linea la suddetta “δettera enciclica ai Cristiani
d'ηriente” del vescovo dell'antica Roma, papa θio IX: e noi la proclamiamo
tale nella Chiesa universale (n. 17).
Esercitando il servizio patriarcale i vescovi ortodossi sono esortati a vegliare sul
loro gregge perché ci sono i lupi rapaci che vogliono corromperlo e portarlo via
(n. 18).
Quindi ci si rivolge indistintamente a tutti gli ortodossi, clero e laici, ricchi e
poveri, colti e ignoranti, monaci, preti diaconi, offrendo incoraggiamenti e
consigli, tutti possiamo resistere alle macchinazioni del demonio (n. 19). In
conclusione:
Conserviamo la nostra professione di fede che abbiamo ricevuto intatta da sì
grandi uomini, fuggendo qualsiasi innovazione come suggerita dal demonio:
colui che accetta un'innovazione accusa d'insufficienza la fede proclamata
ortodossa. Ma questa fede è segnata col sigillo della perfezione, e non è perciò
suscettibile né di aggiunte né d'alterazione alcuna. E chi osasse fare una cosa
simile o consigliare o premeditare un atto simile, ha già di per sé rinnegato la
fede di Gesù Cristo e si è procurato volontariamente l'anatema come
bestemmiatore dello Spirito Santo, tacciato di aver dogmatizzato in modo
incompleto nelle Sacre Scritture e nel ministero dei sette concili ecumenici (n.
20).
La lunga successione dei nostri santi padri e predecessori, cominciando dagli
apostoli e da coloro che gli apostoli hanno designato loro successori fino ad
oggi, formando una catena indissolubile e tenendosi tutti per mano costituisce
una sacra muraglia di cui Gesù Cristo è la porta e all'interno della quale tutto
il gregge ortodosso trova gli alimenti della vita nelle fertili praterie del mistico
Eden, e non nei sentieri scoscesi e senza uscita, come crede invece sua Santità.
Nell'antichità anche le Chiese d'Occidente si nutrivano a questa fede comune,
poi vennero uomini astuti e rapaci che hanno osato, mediante argomenti
miserabili e dogmi eretici, sporcare l'ortodossia di questi popoli, come insegna
la storia vera e come è stato predetto da S. Paolo (n. 21).
82
Restiamo dunque fedeli a questa madre, la santa chiesa ortodossa, che ci ha
nutriti nella vera fede e manteniamoci saldi allorché degli uomini dai cuori di
lupi e dei trafficanti d'anime si sforzano di trascinarla in schiavitù o a rapirli,
come pecorelle strappate alla madre (n. 22).
Costantinopoli, maggio 1848, indizione VI.
Seguono le sottoscrizioni:
Antimo, per la grazia di Dio, arcivescovo di Costantinopoli, nuova Roma e
patriarca ecumenico, fratello in Gesù Cristo.
Ieròtheos, per la grazia di Dio, patriarca di Alessandria e di tutto l'Egitto, fratello
in Gesù Cristo.
Methòdios, per la grazia di Dio patriarca della grande città di Dio Antiochia e di
tutto l'Oriente, fratello in Gesù Cristo.
Kìrillos, per la grazia di Dio, patriarca di Gerusalemme e di tutta la Palestina,
fratello in Gesù Cristo.
Il santo Sinodo di Costantinopoli:
Paisio, vescovo di Cesarea,
Antimo, vescovo di Efeso,
Dionigi, vescovo di Eraclea,
Gioacchino, vescovo di Cizico,
Dionigi, vescovo di Nicomedia
Ieròtheos, vescovo di Calcedonia,
Neòfito, vescovo di Derkos,
Geràsimos, vescovo di Adrianopoli
Kirillos, vescovo di Neocesarea,
Theòklitos, vescovo di Berrea,
Melètios, vescovo di Pisidia,
Atanasio, vescovodi Smirne,
Dionigi, vescovo di Melenico,
Paisio, vescovo di Sofia,
Daniele, vescovo di Lemnos,
Panteleìmon, vescovo di Dryinopoli,
Giuseppe, vescovo di Erseca,
Antimo, vescovo di Bodenes,
Il santo sinodo di Antiochia:
Zaccaria, vescovo di Arcadia,
Methòdios, vescovo di Emesa,
Gioannichio, vescovo di Tripoli,
Artémios, vescovo di Laodicea.
Il santo sinodo di Gerusalemme:
Melétios, vescovo di Petra in Arabia,
Dionigi, vescovo di Betlemme,
Filemone, vescovo di Gaza,
Samuele, vescovo di Naplous,
Taddeo, vescovo di Sebaste,
83
Gioannichio, vescovo di Filadelfia,
Ieròtheos, vescovo del monte Tabor.
Come si può vedere, la lettera di Pio IX fu accolta malissimo dai patriarchi
orientali, feriti personalmente nell'orgoglio (non essendo i destinatari
dellenciclica), nonché per il fatto che lηrtodossia è accusata di errori (causati
dalla mancata comunione con la Chiesa di Roma) e di carenza di unità nel
governo ecclesiastico. Il fatto che il papa si fosse rivolto a tutti i cristiani
dell'Oriente fu visto come un tentativo subdolo di strappare fedeli all'altra
chiesa. Questa impressione estremamente negativa dell'enciclica del papa
provocò pertanto una reazione durissima tesa a salvaguardare la fedeltà degli
ortodossi alla propria Chiesa, la cui garanzia di verità sta nel fatto che accoglie le
Sacre Scritture, i Santi Padri e i sette concili ecumenici, senza alcuna aggiunta o
alterazione, come invece ha fatto la chiesa di Roma, col Filioque, il battesimo
per aspersione, la comunione sotto una sola specie, il rifiuto del sacerdozio agli
uomini sposati, e così via. E in questa luce va letta anche la risposta negativa del
patriarca Gregorio VI allinvito di θio IX a partecipare al concilio Vaticano I
(1868)126.
δenciclica dei Patriarchi orientali a Pio IX (1848) suscitò reazioni contrastanti.
Irritata quella del metropolita di Mosca Filarete (perché violando il principio
della conciliarità la Chiesa russa non era stata consultata), entusiastica quella di
Aleksej Chomjakov (per laffermazione che guardiano della fede è il ΟpopoloΠ).
126
Testo in Karmiris 1960, II, pp. 926-930.
84
Reazioni contrapposte ebbe la ΟRispostaΠ dei θatriarchi da parte della chiesa
russa. Il metropolita di Mosca, Filarete Drozdov, avrebbe voluto una risposta
meno negativa e aspra, e soprattutto era furioso perché, pur essendo a capo
della più grande chiesa ortodossa (quella russa), non era stato neppure
consultato. Entusiastica fu invece laccoglienza di essa da parte del noto teologo
laico Aleksej Chomjakov il quale, estrapolando una frase dal contesto (da noi la
salvaguardia della religione risiede nel corpo intero della Chiesa, vale a dire
nel popolo stesso) vi leggeva una conferma della sua teoria ecclesiologica della
Sobornost.
18. La Praeclara Gratulationis di Leone XIII (20 giugno 1894).
La mancanza di dialogo fra Roma e Costantinopoli si poté osservare anche
dallandamento del concilio Vaticano I. Infatti, i pontefici avevano messo in
alcuni posti chiave degli orientali che non amavano le loro tradizioni. Ad
esempio la Commissione per le Missioni e le Chiese orientali, preparatoria al
Concilio Vaticano I era dominata dal patriarca latino di Gerusalemme, Giuseppe
Valerga, il quale, come osserva il P. Salvatore Manna, non comprese le
particolarità liturgiche e disciplinari dell’ηriente, che considerò scorie di una
situazione di scisma, e s’impegnò a sacrificarle nella promozione di una
latinizzazione che meglio facesse risplendere l’unità della Chiesa nella
uniformità anche esteriore127. La suddetta Commissione, il cui presidente era
Alessandro Barnabò, cardinale prefetto di Propaganda Fide, era composta sia da
membri latini che da orientali latinizzati. Una delle tesi principali del Valerga
era che i canoni e i decreti del Concilio dovessero valere anche per gli orientali,
eccetto i riti e le usanze approvate dalla Santa Sede. Del resto, secondo lui, la
distinzione disciplinare non cera nella Chiesa antica, ma era nata e cresciuta
con lo scisma. Condividendo questo punto di vista, il segretario della
Commissione riteneva che questa linea latinizzatrice era la stessa che la chiesa
romana aveva approvato nei sinodi del Libano (1736), di Odiamper (1599) e
Zamosc (1720), ove frequenti erano i riferimenti al concilio Tridentino.
Il programma era disastroso, commenta il P. Manna, e ci fa meraviglia che il
Valerga non l’abbia voluto comprendere; stranamente non si è reso conto che
il cattolicesimo orientale usciva da questa riforma profondamente latinizzato e
perciò snaturato e squalificato 128.
Se a tutto ciò si aggiunge il dogma dellinfallibilità del papa (proclamato nel
Concilio Vaticano I), preceduto da quello dellImmacolata Concezione
promulgato sempre da Pio IX nel 1854, si può ben comprendere che la
situazione tra Roma e Costantinopoli allavvento del nuovo papa δeone XIII
(1878-1903) non era certo delle migliori.
127 Chiesa latina e Chiese orientali allepoca del θatriarca Giuseppe Valerga (1813-1872),
Excerpta e dissertatione ad lauream, Napoli 1972, p. XXV.
128 Manna Salvatore, Chiesa Latina, cit., p. 51.
85
Purtroppo, anche il papa Leone XIII, invece di rivolgersi alla gerarchia
ortodossa, si rivolse Ai sovrani ed ai popoli di tutto il mondo. Daltra parte,
come nel caso di Pio IX, il suo indirizzo alloriente non aveva una valenza
interecclesiale, ma un interesse ed afflato universale, che tagliava fuori il ruolo
della gerarchia ortodossa. δa circostanza dellepistola era descritta nelle prime
parole: Le luminose testimonianze di pubblica riconoscenza che per tutto lo
scorso anno ricevemmo da ogni dove a ricordo dell’inizio del nostro episcopato
ci recarono anzitutto motivo di gioia in quanto in quella affinità e concordia di
sentimenti rifulse l’unità della chiesa e la sua mirabile unione col sommo
Pontefice 129.
La gioia del papa non era però piena, poiché il suo pensiero andava ai popoli che
non conoscono Dio e suo Figlio Gesù Cristo. Il suo ricordo andava poi con
nostalgia ai popoli che erano uniti a Roma e se ne erano allontanati.
Anzitutto rivolgiamo un amoroso sguardo ad Oriente, da dove inizialmente
partì la salvezza del mondo. In verità l’ansia del nostro desiderio comanda di
aprirci a lieta speranza che le chiese orientali, insigni per avita fede e per
antica gloria, ritornino presto là donde partirono.
Egli era convinto che ciò che ci unisce è immensamente superiore a ciò che ci
divide:
Se si eccettuano poche cose, per il resto concordiamo a tal punto che nella
difesa della cattolicità non raramente noi desumiamo testimonianze e prove
dalla dottrina, dal costume, dai riti praticati dagli orientali. Punto principale
del dissidio è il primato del Pontefice romano. Ma risalgano ai primordi,
considerino il sentimento dei loro precursori, l’eredità dell’epoca più prossima
alle origini. In verità quella divina affermazione di Cristo “Tu sei Pietro e
sopra questa pietra edificherò la mia chiesa” conferma magnificamente il
riconoscimento relativo ai Pontefici romani.
Dopo aver ricordato che vari papi erano dorigine greca, il papa affermava che
prima dello scisma il nome della Sede Apostolica era venerando presso tutte le
genti del mondo cristiano, e al Pontefice Romano, come legittimo successore
del beato Pietro e perciò vicario di Gesù Cristo in terra, ubbidivano sia
l’ηriente che l’ηccidente con uniformità di princìpi e senza alcuna riserva.
Anche lepisodio relativo allo scisma foziano (contenzioso sul patriarca Ignazio)
confermava secondo il papa il ruolo del Pontefice romano cui lo stesso Fozio
ricorse. Lo stesso vale per i concili di Lione II e fiorentino, ove con spontaneo
consenso e a una sola voce, tutti, latini e greci insieme, sancirono come dogma
la suprema potestà dei Pontefici romani. Proseguendo in questa ottimistica
interpretazione il papa, partendo dalla buona accoglienza riservata ai pellegrini
cattolici, credeva ora di scorgere una disposizione d’animo assai più mite verso
i cattolici, anzi un certo benevolo atteggiamento. Quindi, citando il Bessarione,
rivolgeva questo invito al ritorno alla concordia e unità ecclesiale:
Ponderate saggiamente al cospetto di Dio i nostri desideri. Non certo indotti
da motivi umani, ma dalla divina carità e dall’ansia per la comune salvezza,
sollecitiamo alla riconciliazione e all’unione con la Chiesa romana: intendiamo
129
Bellocchi 1993, pp. 126-136. In particolare p. 126.
86
una unione piena e perfetta. Tale non sarebbe infatti in alcun modo se non
recasse nulla di più che una certa concordia circa i dogmi in cui credere e uno
scambio di amore fraterno. Unione vera tra cristiani è quella che il fondatore
della Chiesa, Gesù Cristo, istituì e volle, riponendola nell’unità della fede e
della disciplina. Né avete motivo di temere che noi o i successori nostri
vorremo in alcun modo menomare il vostro diritto, le prerogative patriarcali,
le consuetudini rituali di ciascuna Chiesa. Infatti negli intendimenti e nella
pratica della Sede Apostolica è stabilito (e lo sarà sempre in futuro) di
rispettare largamente e con equità le origini e i costumi di ciascun popolo.
Dopo questo pressante invito, Leone XIII prospetta i grandi vantaggi per la
Cristianità, ma ricorrendo ad un argomento implicitamente irritante per gli
orientali, quello di essere stati loro ad essersi allontanati dalla tradizione:
Così ritornate a quella fede una e santa che la più remota antichità trasmise
inalterata a noi come a voi; a quella fede che i padri e i vostri antenati
serbarono inviolata; a quella stessa fede che con lo splendore delle virtù, con
l’altezza dell’ingegno, con l’eccellenza della dottrina fu illuminata a gara da
Atanasio, Basilio, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, dai due Cirilli e
da molti altri grandi, la cui gloria, come retaggio comune, appartiene
ugualmente all’ηriente e all’ηccidente.
Anche rivolgendosi alle genti Slave il papa presupponeva un tempo dunione: Se
poi maligna avversità di tempi distolse in gran parte i vostri maggiori dalla
fede di Roma, considerate quanto sarebbe meritevole il vostro ritorno all’unità.
Con un ottimismo che rasenta lingenuità il papa vedeva buone prospettive con i
protestanti, i quali facilmente ammetteranno di aver dimenticato le loro origini
e di essere giunti, da un errore all’altro, a fallaci novità in molte questioni di
somma importanza; né vorranno negare che di quel patrimonio di verità (che i
fautori di novità avevano recato con sé nel separarsi) quasi nessuna formula
di fede sicura e autorevole rimane presso di loro.
Il ritorno allunità, come il papa precisava in seguito, era un ritorno alla Chiesa
di Cristo e al suo magistero affidato a Pietro e ai suoi successori. δobbedienza
alla Sede Apostolica si ripresentava sotto la penna del papa anche
nellesortazione ai cattolici ad ubbidire in ogni caso al magistero e all’autorità
della chiesa, non già con riserva o diffidenza ma con tutto l’animo e con lieta
volontà.
Poi il papa entrava in alcune tematiche molto sentite al suo tempo, come i
rapporti fra Chiesa e Stato, la Massoneria, la questione sociale. La sua speranza
era che, avendo preso coscienza della sua missione, lEuropa divenisse faro di
cristianesimo per i popoli di tutto il mondo. Che però, linvito ai cristiani
orientali fosse centrale, è dimostrato anche dalle parole conclusive: Vi sarà un
solo ovile e un solo pastore.
Il grande desiderio del ritorno dei cristiani orientali alla chiesa cattolica ricorre
in altri scritti del papa, che sono numerosissimi 130 . δenciclica Orientalium
dignitas Ecclesiarum (30 novembre 1894) può essere considerata un
complemento della Praeclara gratulationis. In essa cè un alto apprezzamento
130
Si veda al riguardo Esposito 1960.
87
dei tesori spirituali delloriente, un chiaro riconoscimento di ecclesialità
facendole giustamente risalire agli apostoli e, soprattutto, un grande rispetto del
diritto canonico orientale. E proprio su questultimo punto che si registra un
passo avanti rispetto a Pio IX. Se da un lato mostra una certa ignoranza storica
(affermava che gli orientali avevano accolto lunione al concilio di Lione e di
Firenze spontaneamente e con lieto animo, quando tutti sanno che Michele VIII
θaleologo aveva il coltello di Carlo I dAngiò alla gola, e i turchi erano sotto le
mura di Costantinopoli), dallaltra aveva un grande desiderio di conoscere il
punto di vista orientale e di andare incontro ai loro desideri. Invitò tutti a Roma,
uniti e dissidenti, ed anche se quasi nessuno si presentò, venne tuttavia il
patriarca melkita Gregorio Jusof che invitò il papa al rispetto del concilio di
Firenze. Il disprezzo dellautorità dei patriarchi era, a suo avviso, il vero ostacolo
sulla via dellunione. Un pò tutti riconobbero le buone intenzioni del papa, che
nella Orientalium Dignitas aveva previsto punizioni per i missionari che
tentavano di latinizzare gli orientali. Ma, nonostante ciò, la Congregazione
orientale nel 1920 ancora lamentava questi tentativi, senza conseguenze per i
missionari. Onde sembrava profetico il commento del celebre oberprokuror
russo Konstantin Pobedonoscev: Le Pape passe, la Curie reste. Il che era come
dire: ΟQuel che decide il papa vale fino ad un certo punto, poiché lui passa,
mentre la curia romana restaΠ. E la curia tende a non perdere il controllo
disciplinare e quindi cerca di vanificare gli sforzi di apertura dei papi.
19. La risposta: l’Enciclica di Antimo VII (agosto 1895)
La Praeclara Gratulationis (come lOrientalium Dignitas) conteneva, come si è
visto, un invito al ritorno degli ortodossi alla Chiesa di Roma. Anche in questo
caso però, la situazione a Costantinopoli era in movimento. Si era appena
dimesso Neofito VIII e ai primi del 1895 era stato eletto Antimo VII. Ecco la
successione patriarcale per quel periodo:
Gregorio VI (1867-1871) seconda volta
Antimo VI (1871-1873) terza volta
Gioacchino II (1873-1878) seconda volta
Gioacchino III (1878-1884)
Gioacchino IV (1884-1886)
Dionisio V (1887-1891)
Neofito VIII (1891-1894)
Antimo VII (1895-1896)
Costantino V (1897-1901)
Gioacchino III (1901-1912) seconda volta
Gli scrittori greci commentarono linvito in senso generalmente critico e
negativo. Ma ci fu anche una risposta ufficiale, redatta probabilmente dal
giovane prelato Germano Karavanghelis, esaminata e approvata da un sinodo
convocato dal patriarca di Costantinopoli Antimo VII, da poco eletto.
Il titolo è:
α Θ
πα
α
α
π
π
α
π
α
π
π
α
88
π
π
α
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α α
Θ
α
π
(Epistola Enciclica patriarcale e sinodale ai santissimi e carissimi fratelli in
Cristo, metropoliti e vescovi, e al loro santo e sacro clero ed a tutto il pio ed
ortodosso gregge del santissimo e patriarcale Trono di Costantinopoli) 131.
Come il papa si era messo sulla stessa lunghezza donda dei suoi predecessori
anche lenciclica patriarcale riprende il tono delle precedenti risposte orientali.
La dottrina di Cristo è fonte di salvezza ed è immutabile. Bisogna dunque
guardarsi da coloro che vogliono tentare il gregge ortodosso trascinando i fedeli
adducendo dottrine diverse e straniere. In altri termini lenciclica di δeone XIII
veniva vista come un ulteriore tentativo di strappare subdolamente i fedeli al
patriarcato di Costantinopoli: Il diavolo ha ispirato ai Vescovi di Roma
sentimenti di orgoglio insopportabili. Parla della dignità delle Chiese orientali
(riferimento alla seconda enciclica del papa) ma in fondo la sua è solo sete di
dominio, tanto è vero che si rivolge in occasione del suo giubileo episcopale
(lenciclica Praeclara) ai principi e ai popoli di tutto il mondo.
δerrore della chiesa di Roma consiste nel non attenersi alle verità evangeliche,
ma di apportare innovazioni. Tali novità riguardano importanti punti dottrinali,
in particolare:
1. Il Filioque
2. Gli Azzimi
3. Battesimo per aspersione, invece che per immersione.
4. Consacrazione con le parole di Gesù, omettendo lepiclesi
5. Comunione sotto una sola specie
6. Purgatorio
7. Perfetta remunerazione dei defunti prima del giudizio finale
8. Indulgenze
9. Dogma dellImmacolata Concezione
10. Dogma del primato e dellinfallibilità pontificia.
Per gli ortodossi lunione non è più possibile, poiché la chiesa romana ha
apportato tutte queste novità, mentre la chiesa ortodossa, come ben sottolinea
Fozio, è rimasta fedele ai θadri. Daltra parte, il papa sembra cadere in
contraddizione, quando afferma da un lato che la vera unione consiste nell’unità
della fede, dallaltro che ogni chiesa, anche dopo l’unione, può mantenere le sue
massime dogmatiche e canoniche, sebbene queste siano differenti da quelle
della chiesa papale 132.
La confutazione punto per punto di queste innovazioni latine segue molto da
vicino le precedenti encicliche di Cirillo V e soprattutto dei Patriarchi orientali
del 1848. La ΟnovitàΠ di questa enciclica riguarda invece il dogma
Edita nell
α
α, a. 15, n. 31 (29 settembre 1895), pp. 241-249; anche
Karmiris 1960, II, pp. 930-946; da parte cattolica fu pubblicata in Duchesne 1905, cap. III (pp.
59-112), e in S. Brandi, Dell’unione delle chiese. Risposta al patriarca Greco di Costantinopèoli,
in ΟCiviltà CattolicaΠ, S. 16, vol. 4 e 5 (settembre 1895-gennaio 1896), pp. 509-522, 655-672, 1631, e 166-190 (in estratto, Roma 1896).
132 Già il Brandi nel suo lavoro sulla Civiltà Cattolica avanzava lipotesi di un errore di traduzione
in greco. Infatti non cè possibilità di equivoco che il papa si riferisse a riti e usanze, non ai
dogmi.
131
89
dellImmacolata Concezione: Da ormai 40 anni la Chiesa papistica ha accettato
un’innovazione, imponendo un nuovo dogma sull’Immacolata Concezione della
Madre di Dio e sempre Vergine Maria; dogma ignoto all’antica chiesa ed
acremente discusso un tempo presso i nobilissimi teologi papistici. δuniversale
bisogno della redenzione del Cristo non poteva esentare la Vergine. Il nuovo
dogma è quindi un errore dottrinale.
Ma più che le questioni dottrinali al patriarca interessavano i risvolti pratici,
onde il documento si avvia alla conclusione riprendendo il tradizionale attacco
al proselitismo cattolico:
Da un anno a questa parte la Chiesa del Papa, disertando la via della
persuasione e della discussione, tra lo stupore e la inquietitudine generale, ha
cominciato a scandalizzare i sentimenti dei semplici cristiani ortodossi
mediante l’intrufolamento di astuti operai che si travestono da apostoli di
Cristo, ed ha inviato in oriente degli ecclesiastici che indossano il costume e
l’acconciatura dei sacerdoti ortodossi e si permettono parecchie altre astuzie
per fare dei proseliti.
Come si vede, riecheggiano qui i toni dellenciclica dei θatriarchi in risposta a
Pio IX (1848), che parlava dei missionari cattolici come di Οtrafficanti danimeΠ.
δenciclica di Antimo VII è firmata, oltre che dal patriarca, dai seguenti vescovi:
Nikodimos di Cizico
Filòtheos Bryennios di Nicomedia
Ierònimos di Nicea
Nathànael di Proussos
Basileios di Smirne
Stéphanos di Filadelfia
Athanasios di Lemnos
Bessarion di Durazzo
Doròtheos di Belgrado
Nikodimos di Elassos
Sophronios di Karpatos e Casos
Dionysios di Eleuteròpolis
Secondo il Fortescue, colpisce il fatto che, mentre il papa aveva usato un tono
paterno, il patriarca di Costantinopoli aveva risposto con asprezza: Nulla
sorprende maggiormente del tono differente delle due lettere, né del tono
offensivo della risposta di Antimo. Il papa evita accuratamente di rivolgere
qualsiasi accusa agli ηrtodossi; Antimo non fa che ripetere l’antica lista delle
accuse 133. Indubbiamente, se ci si riferisce al tono, il Fortescue aveva ragione.
Quanto al contenuto le cose sono un pò diverse, specie se ci si mette nei panni
degli ortodossi. Questi, infatti, essendo attaccati oltre ogni misura alla
tradizione (talvolta sino alla lettera) non possono in alcun modo tollerare di
sentirsi dire che dopo lo scisma hanno apportato delle innovazioni. Che le
innovazioni apportate dai cattolici siano giustificabili col magistero o con altre
argomentazioni è un discorso. Ma, dire che le innovazioni le hanno apportato gli
ortodossi, anche se detto in tono paterno, è né più mé meno che un insulto.
133
Fortescue 1916, pp. 434-435.
90
ζellopinione dellEsposito e di altri commentatori dellenciclica patriarcale,
Antimo VII firmò quellenciclica non molto spontaneamente, essendo nota la
sua pietà e e la sua simpatia per il cattolicesimo.
Nato a Jannina verso il 1835, aveva studiato ad Halki e poi nella scuola
superiore greca di Costantinopoli. Dopo un certo periodo di insegnamento,
divenne vescovo di Paramythia (1869), quindi metropolita di Ainos (1878), per
passare alle sedi di Kaystra, Leros e Kalymnos. Fu eletto patriarca nel gennaio
del 1895 (quindi pochi mesi dopo le encicliche di Leone XIII), a seguito delle
dimissioni di Neophytos VIII. Sembra che volesse dare una risposta più
conciliante, ma lambiente patriarcale lo costrinse allo stesso linguaggio dei suoi
precursori. I contrasti fra le chiese ortodosse lo misero in difficoltà, come nel
caso del tentativo dei Valacchi di ottenere lautocefalia. Antimo diede le
dimissioni e si ritirò ad Halki, ove morì nel dicembre del 1913.
20. La svolta ecumenica del patriarca Gioacchino III (1902/4)
Con linizio del nuovo secolo il patriarcato ecumenico cambiò completamente
registro (un pò come era accaduto fra i papi pretridentini e i papi posttridentini). Il linguaggio e il tono dei documenti assunsero quel tono conciliante
ed universalistico dei papi, e per di più senza alcuna precondizione (come nei
documenti pontifici il riconoscimento del primato romano). In altre parole, il
patriarcato divenne veramente ecumenico, anche nel senso moderno del
termine.
In particolare, con Gioacchino III veniva inaugurata unepoca nuova, che
lasciava dietro di sé quel linguaggio irruento e aspro dei patriarchi Cirillo V
(1755), Antimo VI (1848) e Antimo VII (1895). Non si tiravano più in ballo
Satana e le forze del male, e si finiva con ladottare un linguaggio propositivo,
sereno e pieno di speranze, nonostante che non si nascondesse le difficoltà.
Nel 1902 e nel 1904 Gioacchino III inviava unenciclica a tutte le chiese
autocefale in cui chiedeva consigli sul come rafforzare i rapporti di fratellanza
cristiana, fra di esse e col patriarcato, sul come comportarsi a proposito del
calendario e sul come rapportarsi alle altre confessioni cristiane, in particolare
ai vecchiocattolici 134.
E’ gradito a Dio e in sintonia col Vangelo, egli diceva (quasi inaugurando una
sobornost-conciliarità greca), chiedere l’opinione delle sante chiese autocefale
relativamente ai rapporti attuali e futuri con i due grandi rami della
cristianità, la chiesa d’ηccidente e la θrotestante. Come è noto, nella nostra
chiesa si osserva la regola di una preghiera costante e di orazioni per loro, e
ogni vero cristiano avverte un pio amore e una unione di cuori con essi e con
tutti coloro che credono in Cristo. Ma al contempo si sa che questo amore
gradito a Dio si scontra con la persistenza di queste chiese nella discordanza
dottrinale, e stando in essa e consolidandosi nel tempo, appare del tutto
improprio scendere sulla via dell’unione alla quale rinviano la verità storica ed
Testo greco in Karmiris 1960, II, pp. 946 α-946 . Il testo da me seguito (e tradotto) è quello
russo pubblicato in Cerkovnye Vedomosti, 7 luglio 1903, n. 23, pp. 242-243. Riedito in
Pravoslavie i Ekumenizm. Dokumenty i materialy 1902-1997, M 1998, pp. 55-57.
134
91
evangelica, nei limiti e confini nei quali l’auspicabile accordo dogmatico e la
comunione appaiono per noi inaccettabili.
Ed è anche chiaro, continua il patriarca, che la chiesa è una, con un unico capo
che è Cristo, colonna e fondamento della verità, sulla base della tradizione
fissata nei Concili Ecumenici. εa ciò che è impossibile all’uomo, è possibile a
Dio. In vista di questa speranza il nostro compito è quello dellamore evangelico,
cioè dellimpegno nel preparare la strada, liberandola dai detriti e dagli ostacoli
e valorizzando il patrimonio comune. Convinto che questi sono anche i
sentimenti dei suoi fratelli nellepiscopato, il θatriarca coraggiosamente pone
questa domanda:
Non bisognerebbe riconoscere come opportuna una certa riflessione su questo
tema al fine di preparare una via piana e larga per un fraterno reciproco
avvicinamento e definire, col comune consenso dei membri di tutta la nostra
Chiesa ortodossa, le basi, le misure e gli strumenti, considerati migliori a
questo scopo ?
Passando poi oltre, Gioacchino poneva la questione dei vecchiocattolici,
separatisi dalla Chiesa romana dopo il Concilio Vaticano I, i quali erano entrati
in corrispondenza con varie chiese ortodosse affermando di credere a tutto ciò
che era stato definito fino al IX secolo e soprattutto dai sette concili ecumenici.
Sentendosi già parte della chiesa ΟcattolicaΠ, chiedevano ora di formalizzare
questa unione con la chiesa orientale.
Dato che le varie chiese ortodosse stavano prendendo atteggiamenti diversi,
alcune molto possibiliste, nel senso che non vedevano ostacoli di questi a far
parte della chiesa cattolica ortodossa, altri che vedevano ancora distanze troppo
grandi nei dogmi, Gioacchino chiedeva ora la loro opinione al riguardo per
definire meglio come comportarsi.
Voluta fortemente dal patriarca, lenciclica, che apriva unepoca nuova anche dal
punto di vista ortodosso (con questa richiesta di opinioni e consigli alle varie
chiese locali), fu firmata anche da:
Gioacchino di Efeso,
Nathanaìl di Proussos
Alessandro di Neocesarea
Atanasio di Iconio,
Basilio di Smirne
Costantino di Chios
Policarpo di Varna
Gioacchino di Xanthos
Nicodemo di Bodeno
Niceforo di Lititoe
Tarasio di Eliopoli
Girolamo di Gallipoli
Le chiese risposero in modo diverso. Quella russa, che era da tempo
intensamente impegnata nel dialogo coi vecchiocattolici, rispose che non solo
pregava e desiderava tanto lunione, ma apprezzava molto liniziativa del
92
patriarcato ecumenico. Tuttavia, al momento era più preoccupata a non perdere
i suoi fedeli a causa del proselitismo. Cattolici e protestanti, infatti, facevano a
gara per strappare figli alla madre chiesa ortodossa. Del resto anche i contatti
erano difficili visto il disprezzo con cui i protestanti, ancor più dei cattolici,
guardavano agli ortodossi. La Russia era invece più pronta allunione con gli
anglicani (della High Church), i quali si comportavano con rispetto ed erano
alieni da proselitismo. E lo stesso vale per i vecchiocattolici. Per questi ultimi
però cè lostacolo della loro indecisione. Il tempo passa, e coloro che vengono
dopo non continuano lopera dei defunti. θiù opportuna sembra invece lunione
con le antiche chiese che sono molto più vicine alla tradizione ortodossa, come i
nestoriani, gli armeni, i copti e altri 135.
Dopo aver raccolto il punto di vista delle chiese locali Gioacchino tornava a
scrivere unenciclica, firmata questa volta da un gruppo di vescovi totalmente
diverso dal primo (lunico presente nel 1902 ed anche ora nel 1904 è Gioacchino
di Efeso). Gli altri firmatari sono:
Filoteo di Nicomedia
Gioacchino di Rodi
Gregorio di Serre
Cirillo di Mitilene
Filarete di Didimotichos
Costantino di Ganos e Chora
Procopio di Durazzo
Basilio di Belgrado
Costanzo di Serbia e Kozani
Panareto di Eleuteropoli
Theoklito di Krine 136.
Con la nuova enciclica il il patriarca prendeva atto che le difficoltà erano reali, in
particolare il proselitismo cattolico e protestante. Ed era anche più che
daccordo che le aperture da lui proposte non dovevano fare abbassare la
guardia ai pastori che dovevano difendere il proprio gregge.
Ma impegnandoci nel custodire i propri, dobbiamo preoccuparci anche degli
altri e con tutta l’anima pregare per l’unione di tutti, non scoraggiarci dinanzi
alle difficoltà e non considerare la cosa come non meritevole di riflessione o
irraggiungibile; ma, al contrario, dobbiamo prendere le misure necessarie per
spianare la strada verso l’unione di tutti, rapportandoci verso coloro che sono
divisi da noi con benevolenza e con mitezza, ricordando che anch’essi,
credendo nella santissima Trinità e invocando il nome di nostro signore Gesù
Cristo, hanno la speranza di conseguire la salvezza con la grazia di Dio.
Secondo Gioacchino III, particolare attenzione bisognava rivolgere agli
anglicani e ai vecchiocattolici che, tra gli occidentali, erano i più vicini alle
Cfr. Cerkovnye Vedomosti, 14 giugno 1903, n. 24, pp. 252-256. In Pravoslavie i Ekumenizm,
cit., pp. 57-61.
136 Testo greco in Karmiris 1960, II, pp. 946
-964. δautore pubblica questo testo,
considerandolo in continuità col precedente, come se fosse un solo documento.
135
93
posizioni ortodosse. Con essi non bisognava giudicare per sentito dire, ma era
necessario studiare le loro dichiarazioni ufficiali in materia di dottrina.
Dato poi che fra gli stessi ortodossi vi sono opinioni diverse anche su tematiche
importanti, come il battesimo e il sacerdozio di coloro che sono separati
dallortodossia, sarebbe auspicabile che ogni tre anni si tenessero dei convegni
al fine di trovare una linea ortodossa comune che potrebbe poi essere dichiarata
solennemente a tutte le chiese dallarcivescovo di Costantinopoli, che ha il ruolo
di ΟprimusΠ (
π ώ
π
π
α
π
α
α αῖ
α
α π
α ώ
).137.
Qui il patriarca di Costantinopoli rivelava una straordinaria comprensione della
debolezza insita nella chiesa ortodossa, nonché una lungimiranza che solo dopo
Atenagora I avrebbe portato i suoi frutti. Fino al patriarca Gioacchino
lortodossia aveva continuato a parlare della sua unità ecclesiale e della sua
cattolicità, nonché della sua conciliarità. Concretamente però non si vedeva
nulla. Ognuno camminava per proprio conto, senza preoccuparsi granché di
come si poneva unaltra chiesa di fronte allo stesso problema. In altre parole,
lunità ecclesiale era fondata sullignoranza reciproca, non preoccupandosi
molto di fronte a situazioni quanto meno contraddittorie. Insistere sulla
conciliarità e poi, come aveva protestato Filarete di Mosca, non si comunicava
neppure una questione della massima importanza, come una risposta al papa,
era davvero incomprensibile. Parlare di unità ecclesiale e differire su un
problema fondamentale come il valore del battesimo dei latini (come fra chiesa
greca e russa nel caso di William Palmer) era a dir poco inaccettabile. A
differenza della maggior parte degli ortodossi che, timorosi di essere sottoposti a
critica da parte dei cattolici, difendono lindifendibile, il patriarca Gioacchino
prendeva qui posizione su una questione tanto semplice quanto fondamentale:
il coordinamento ecclesiale nellηrtodossia.
δidea da lui lanciata non ebbe leffetto che avrebbe meritato. Le chiese
ortodosse continuarono ad andare per proprio conto. La chiesa russa, non
consultata nellaffare di θio IX, non sentì affatto il bisogno di chiedere alcun
consenso o approvazione da parte del patriarcato di Costantinopoli in occasione
del concilio del 1917-1918. E soltanto la diaspora del 1922 costrinse greci e russi
a venire in contatto e in dialogo.
Tuttavia, la grande iniziativa di Gioacchino III non finì nel nulla. Era un germe
che prima o poi doveva rinascere. In questa luce può essere visto un altro testo
prodotto dal patriarcato di Costantinopoli, vale a dire lenciclica del 1920 138, che
miracolosamente fu promulgata in un periodo drammatico per il patriarcato. Da
due anni non si era potuto eleggere il patriarca, perché erano scoppiati dei moti
giovanili tendenti fra laltro ad incrementare lelemento ΟturcoΠ allinterno del
patriarcato. In quella situazione confusa il clero ortodosso visse un momento di
Karmiris 1960, II, p. 946 . ζella risposta del 18 marzo 1905 (Cfr. Cerkovnye Vedomosti, 14
gennaio 1906, n. 2, pp. 33-34, anche in Pravoslavie i ekumenizm, pp. 63-65) il Santo Sinodo
russo delinea la sua corrente attività di dialogo teologico con le altre chiesa, plaudendo allo
scambio di esperienze fra le chiese ortodosse che permetterebbe di rivivificare Οil principio di
governo universale conciliare, sul quale si basava il secolo doro dellηrtodossiaΠ (načalo
vselenskogo sobornogo upravlenija, kotoroe sostavljalo zolotoj vek Pravoslavija). In realtà
liniziativa di Gioacchino III era pienamente in linea con la teologia russa della sobornost
(anche se più nella concezione di Filarete Drozdov, di una sobornost gerarchica interecclesiale,
che non in quella di Chomjakov, di un ruolo predominante del popolo di Dio).
138 Karmiris 1960, II, pp. 957-960.
137
94
sollievo grazie alle visite di rappresentanti dei luterani svedesi e degli
episcopaliani dAmerica.
A dispetto della situazione tuttaltro che rosea il luogotenente patriarcale ed il
santo sinodo assunsero un linguaggio universalistico, indirizzando lenciclica
non soltanto alle chiese ortodosse, ma A tutte le chiese di Cristo ovunque si
trovino (
πα α
α
).
θrendendo lo spunto dalliniziativa mondiale della δega delle ζazioni, il
luogotenente del patriarcato Doròtheos esortava tutte le chiese di Cristo a
tentare un avvicinamento reciproco. Superando interessi particolari, era
opportuno rifarsi allamore evangelico e promuovere una più autentica
conoscenza reciproca che avrebbe portato frutti evangelici a tutte le chiese. Tale
amicizia ecclesiale si poteva realizzare 1. unificando il calendario, 2. scambio di
lettere, 3. incontri fra rappresentanti delle varie chiese, 4. scambio di contatti
accademici, 5. scambio di studenti di teologia, 6. conferenze interecclesiali su
temi di interesse comune, 7. approfondimento imparziale delle differenze
dogmatiche, 8. maggior rispetto e conoscenze delle tradizioni dellaltra chiesa, 9.
ospitalità nelle proprie chiese e cimiteri, 10. regolarizzazione dei matrimoni
misti, 11. supporto amichevole nelle attività.
Il testo con tutte queste proposte era sottoscritto da Doroteos, metropolita di
Prus e luogotenente del patriarcato (
π
α α
Θ
α
π
,
π
) e da tutto il suo sinodo 139.
δafflato ecumenico che veniva dal patriarcato di Costantinopoli fu però messo a
dura prova proprio quando si trattò di concretizzare gli scambi e gli incontri. E
rimasta in tal senso famosa la dichiarazione dei rappresentanti del patriarcato a
conclusione della conferenza di Losanna del 1927140.
Dopo aver dichiarato che il patriarcato ecumenico aveva molto auspicato questo
tipo di conferenza, Germano di Tiatira, a nome del patriarcato e di tutta la
delegazione ortodossa, dichiarò che a parte il primo documento (sugli intenti e
Οatteggiamento della Chiesa verso il mondoΠ) non poteva firmare gli altri sulla
Οnatura della ChiesaΠ e Οsulla fede comune della chiesaΠ, essendoci differenze
importanti rispetto al modo di concepire queste realtà da parte della chiesa
ortodossa. δecclesialità di questa non concepisce come sufficienti i riferimenti
alla Sacra Scrittura, ma ritiene ugualmente necessari la Tradizione, la voce dei
Padri e dei Concili ecumenici. Pur apprezzandone gli intenti, la delegazione
ortodossa non condivideva neppure il metodo ermeneutico, vale a dire indagare
e ricercare una terminologia che può fare accettare a dutti le affermazioni. Gli
ortodossi non possono credere che l’unità, fondata su simili equivoche
formulazioni, sarà duratura.
Dopo Germano di Tiatira, firmarono i rappresentanti dei patriarcati di
Alessandria e Gerusalemme, quelli delle chiese di Cipro e di Grecia, i
rappresentanti dei patriarcati di Serbia e Romania, i rappresentanti delle chiese
bulgara, polacca, russa (della diaspora) e georgiana.
Firmarono poi i metropoliti Nikolaos di Cesarea, Costantino di Cizico, Germano di Amasea,
Gerasimo di Pisidia, Gervasio di Ancira, Gioacchino di Ainos, Antimo di Vizue, Eugenio di
Selivria, Agatangelo di Saranta, Crisostomo di Tiroloe e Serentio, Ireneo dei Dardanelli e
Lampsaco. Cfr. Karmiris 1960, II, p. 960.
140 Karmiris 1960, II, pp. 963-966.
139
95
Cominciava così lavventura della chiesa ortodossa nel movimento ecumenico,
inteso per lo più come missione e testimonianza. Resta però il fatto della
inattesa apertura del patriarcato ecumenico che, rompendo il suo isolamento, si
apriva a tutte le chiese locali ortodosse e persino a tutte le chiese di Cristo.
21. I papi da Pio X e Pio XII
La prima metà del XX secolo non portò nulla di nuovo nei rapporti fra Chiesa
cattolica e Chiesa ortodossa. I papi che vanno da Leone XIII a Pio XII incluso,
osserva il De Vries, si attennero saldamente alla tesi tradizionale: l’unica vera
Chiesa di Cristo è di fatto identica alla chiesa cattolica concreta 141.
Il successore di δeone XIII, θio X, provenendo da unesperienza pastorale
italiana, non poteva avvertire come importante il problema della riunificazione
delle chiese doriente. In occasione del 1500° anniversario della morte di S.
Giovanni Crisostomo, nella liturgia celebrata in S. Pietro nel 1908 non mancò
tuttavia di richiamare gli splendori cristiani delloriente. Pochi mesi dopo (1°
gennaio 1909) stabiliva che le iniziative prese in Russia dopo lavvento della
libertà religiosa (1905) seguissero le disposizioni dellenciclica di δeone XIII
Orientalium Dignitas. Con la costituzione Tradita ab Antiquis concedeva che
qualsiasi cattolico (latino o greco) potesse comunicarsi sia nel rito orientale che
nelloccidentale.
Più che documenti, Benedetto XV (1914-1922) produsse fatti. Sotto di lui infatti
fu fondata la Congregazione per le Chiese orientali (1° maggio 1917) , nonché,
nello stesso anno (15 ottobre) il Pontificio Istituto per gli Studi Orientali. Se
queste sue creazioni si riveleranno di grande fruttuosità per il futuro, non così la
mentalità del papa che rimase ancorata alla vecchia concezione del ritorno.
Infatti, accolse cordialmente nel 1919 i delegati del congresso ecumenico che si
sarebbe dovuto tenere a Ginevra lanno dopo e che lo invitavano a fare entrare
anche la chiesa cattolica in questo consesso, ma reclinò linvito. δunica via per
lunità ecclesiale, egli rispose, era quella del ritorno degli altri cristiani nella
Chiesa cattolica romana.
Più interessato alla riunificazione delle chiese doriente alla Romana fu θio XI
(1922-1939), come si evince già dallallocuzione nel concistoro del 24 marzo
1924. δanno dopo (1925) fondava il monastero orientale di Benedettini ad
Amay sur Meuse (dal 1939 a Chevetogne) che dal 1926 pubblicò la rivista
Irénikon. Fondò pure il centro domenicano di Parigi che col P. Dumont
pubblicò la rivista Istina (rivolta soprattutto agli ortodossi russi). Nel 1929
fondava il Russicum, e nello stesso anno istituiva una Commissione per la
revisione del diritto canonico orientale.
Nonostante questo straordinario attivismo filorientale, Pio XI mantenne un
deciso atteggiamento negativo nei confronti dellecumenismo, come si evince
chiaramente dallenciclica Mortalium animos del 6 gennaio 1928, che porta
questa intestazione:
Ad RR. PP. DD. Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque
locorum ordinarios pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes de
vera religione unitate fovenda. Il papa apre con la constatazone che gli Οanimi
141
De Vries 1983, p. 144.
96
dei mortaliΠ non sono mai stati attratti come oggi dal desiderio di una maggiore
comunione. Se questo vale per il mondo civile, non minore è il senso dellunità
ecclesiale, per cui si promuovono incontri interreligiosi. Il che ha portato alla
falsa convinzione che le religioni più o meno si equivalgano:
Eiusmodi sane molimenta probari nullo pacto catholicis possunt,
quandoquidem falsa eorum opinione nituntur, qui censent, religiones quaslibet
plus minus bonas ac laudabiles esse, utpote quae etsi non uno modo, aeque
tamen aperiant ac significent nativum illum ingenitumque nobis sensum, quo
erga Deum ferimur eiusque imperium obsequenter agnoscimus. Quam quidem
opinionem qui habent, non modo ii errant ac falluntur, sed etiam, cum veram
religionem, eius notionem depravando, repudient, tum ad naturalismum et
atheismum, ut aiunt, gradatim deflectunt 142.
ηggi cè un errore gravissimo (sub horum illecebris blandimentisque verborum
error latet sane gravissimus, quo catholicae fidei fundamenta penitus
disiiciuntur) che serpeggia anche tra molti fedeli cattolici. Questo errore, che
rischia di sradicare le fondamenta della vera chiesa cattolica, è quello di un
pancristianesimo, vale a dire un amore per lunità dei cristiani in vista di un
miglior confronto col mondo non credente, che porta però alla confusione
religiosa.
Papa Pio XI è noto per aver felicemente concluso la lunga vertenza con lo stato
italiano (θatti δateranensi del 1929). Con lenciclica Mortalium animos
manteneva però latteggiamento di totale chiusura verso gli Ortodossi.
142
Acta Apostolicae Sedis, a. XX, vol. XX, Roma 1928, p. 6.
97
In verità, Dio ha parlato alluomo attraverso la rivelazione biblica, ed
attraverso il Figlio ha creato la Chiesa per la salvezza degli uomini. Questa
chiesa è una società perfetta, con un solo capo di governo affinché i fedeli la
possano ben individuare. E certamente quando Cristo parlava di un solo ovile e
un solo pastore non intendeva un Foedus ex variis christianorum
communitatibus compositum, ma una sola vera chiesa contro la quale le porte
degli inferi non prevarranno. Ora, gli altri cristiani separati dalla Chiesa romana
si sono privati di alcune verità fondamentali alla natura della Chiesa. I
Protestanti ad esempio hanno rinunciato al primato romano, e altri che lo
accettano gli danno un valore umano, verrebbe cioè dal consenso degli uomini e
non da diritto divino (non a iure divino, sed a fidelium consensu). I cattolici
non possono quindi partecipare a questi congressi intercristiani, perché così
facendo dovrebbero patteggiare sulle verità divine: Num Nos patiemur – quod
prorsus iniquum foret – veritatem, eamque divinitus revelatam, in pactiones
deduci ? Né si può derogare da questi principi in nome della carità propugnata
da questi pancristiani. In quanto la Scrittura è chiara: Se qualcuno viene a voi e
non professa questa dottrina, non accoglietelo in casa, né dategli il saluto (II
Gv, 10). La distinzione fra verità fondamentali e verità relative porta
direttamente allindifferentismo. δe verità di fede sono rivelate da Dio. ζon si
può quindi distinguere le verità sulla Trinità o lIncarnazione da altre come
lImmacolata Concezione o linfallibile magistero del Romano Pontefice.
Qualsiasi contatto con gli acattolici deve avere dunque lo scopo di promuovere il
ritorno dei dissidenti all’unica vera chiesa di Cristo, dalla quale un tempo
infelicemente si staccarono (fovendo dissidentium ad unam veram Christi
Ecclesiam reditu, quandoquidem olim ab ea infeliciter descivere). La Chiesa
dunque non deve accettare in sé la macchia dellerrore. Adulterari non potest
sponsa Christi, diceva Cipriano. I cristiani che vogliono tornare saranno ben
accetti come da una madre. Il Pontefice romano, una volta che viene
riconosciuta la sua autorità come legittimo successore di Pietro, li accoglierà
dimenticando benevolmente le ingiurie di cui la Sede Apostolica è stata oggetto.
εa lunica via allunione ecclesiale resta il ritorno dei dissidenti.
Come si può vedere, la Mortalium animos ha in vista il movimento ecumenico.
εa anche lunico riferimento allortodossia (Photii novatorumque erroribus)
rivela che il papa in questo contesto la considera alla stregua del
protestantesimo.
Il successore Pio XII già nella sua prima enciclica (Summi Pontificatus) ha un
riferimento agli ortodossi, usando la celebre espressione Οfratelli separatiΠ. Nella
Orientalis Ecclesiae (1944) riprende il tema della legittimità dei riti orientali.
Uguale apprezzamento si respira in altre encicliche (Orientales omnes Ecclesias
del 1945, Sempiternus Rex del 1951), tuttavia il suo atteggiamento è in linea con
i precedenti. La Chiesa cattolica si identifica con la Chiesa che è governata dal
pontefice romano. η, secondo lespressione della Mystici Corporis: Coloro che
sono tra loro separati per la fede o per il governo non possono vivere nell’unico
corpo del Signore e mediante il suo unico Spirito divino.
Coerentemente con questi principi Pio XII il 5 giugno 1948, con un monito del
Santo Uffizio, deliberava che qualsiasi partecipazione di cattolici a congressi
interconfessionali doveva avere una previa licenza della Santa Sede. Alla
Conferenza di Amsterdam del 1948 i cattolici erano dunque assenti (a parte
98
qualche giornalista). Nel 1954 venne proibita la partecipazione dei cattolici alla
Conferenza di Evanston.
In conclusione, per tutta la prima metà del XX secolo latteggiamento della
Chiesa cattolica verso gli ortodossi e il movimento ecumenico fu decisamente
negativo dal punto di vista dottrinale. Tuttavia, come giustamente fa osservare il
De Vries, le istituzioni create soprattutto da Benedetto XV e Pio XI portarono
dei frutti che andarono molto al di là di ciò che questi papi pensavano, e
prepararono il terreno alla grande svolta di Giovanni XXIII e del Concilio
Vaticano II.
99
APPENDICI
I
La bolla di Leone X nel commento del Rodotà
(1521, maggio 18).
Circa il principio del secolo XVI143 si accese un gran fuoco contro de riti greci fra le
due nazioni soggette al Veneto dominio, il quale fu estinto dalla cura e provvidenza
di δeone X lanno 1521. Alcuni vescovi latini, ignorando lorigine, la santità ed i
misteri del rito greco, labominavano come velenoso serpente. Di loro, come
perturbatori, scrive il lodato Pontefice: Ordinarii locorum latini ipsam nationem
super dictis ritibus et observantiis in locis, ubi praedicti Graeci morantur, quotidie
molestant, perturbant et inquietant.
Giunti alla debolezza di credere che il battesimo conferito dai Greci fosse privo di
virtù di santificare i battezzati, commettevano sacrileghe abbominazioni con
ribattezzare nel rito romano quei cherano stati battezzati secondo le cerimonie
orientali. Contrastavano ai laici luso della communione sotto ammendue le specie, e
ai Sacerdoti la consecrazione nel pane fermentato; e con disprezzo unito ad insulto,
anche la validità del matrimonio contratto innanzi agli ordini sacri. Con questi
mezzi cagionavano scissure, scandali e sconcerti nei popoli, e movevano a rissa gli
scismatici, come continua a dire il lodato papa.
Qui ci si presenta un luttuoso confronto. Una volta i Greci aveano in tale
aborrimento il battesimo de latini, che ribattezzavano nel loro rito quei che
lavevano ricevuto dalle mani di essi. ηra per contrario i δatini mostrano sì strana
avversione al battesimo de Greci, che non lasciano di ribattezzare i battezzati da
questi. I primi meritarono le alte reprensioni del Concilio Lateranense IV, ed i
secondi del Sommo θontefice δeone X. I Sacerdoti latini calcando le orme de loro
vescovi, ne seguivano lesempio. Stendevano la malignità fin dove poteva aver luogo
la loro possanza, ed impedivano ai Greci la celebrazione della δiturgia duna
maniera strana e violenta. ζon sacrificando essi nellaltare, dove altro sacrificio
preceda nel medesimo giorno, i Latini per disarmarli della libertà di recitar la messa,
li prevenivano di buon mattino.
Riuscì insoffribile questacerba persecuzione al paterno amore di δeone X, il quale
volendo frenare linsolente ardire de contraddittori, molte cose stabilì a favore de
Greci e loro conferì prerogative e privilegi nella medesima Bolla segnata li 18 maggio
del 1521.
Cfr. Pompilio Rodotà, Dell’origine, progresso, e stato presente del rito greco in Italia, III,
Roma 1763, pp. 135-137.
143
100
Dispone in primo luogo, che i Greci fra i Latini possono liberamente professare il
loro rito, ed andare anche questuando nelle loro terre. Che i Prelati Greci non sieno
sturbati dallesercizio delle funzioni pontificali nelle diocesi latine. Che nessun
vescovo latino anche ordinario imponga le mani a chierici greci per sollevarli al
sacerdozio: né il greco ai Latini. Che gli stessi Vescovi latini stabilischino nelle
proprie diocesi a piacere de Greci, ed a loro spese, un vicario generale, il quale
esamini le loro cause, ammetta i ricorsi, e dia gli opportuni provvedimenti. In
conseguenza di ciò, che il εetropolitano latino nelle cause dappellazione costituisca
loro un giudice similmente greco. Che i Sacerdoti latini sastengano dal conferire i
sagramenti, dal celebrare messe, e da qualunque altra funzione nelle chiese greche,
nisi ad haec specialiter per ipsos vocati fuerint. Che ciaschedun Vescovo greco o
latino eserciti la giurisdizione privatamente sopra i propri nazionali. Che le vedove
de chierici e preti greci, durante lo stato vedovile, godano limmunità che godevano
i loro mariti. Che i Sacerdoti greci secolari e regolari vengano a parte delle grazie e
privilegi conceduti a sacerdoti e regolari latini. Finalmente sogetta alle pene di
sospensione a divinis i Vescovi, e di scommunica latae sententiae i ministri inferiori,
che ricusassero di conformarsi a queste provvide leggi, le quali fecero tornare il
cuore ai Greci, rinascere laffetto, e riaccendere la volontà ossequiosa al supremo
pastore.
Fu questa Bolla di sostegno al loro rito nellIsole soggette al dominio Veneto. δa
traduzione in lingua greca, che ne fece la nazione fin da quel tempo, palesa il
gradimento, onde laccolse. δeone Allazio lha data alla luce nel medesimo idioma,
trascritta da un codice a penna e successivamente replicate volte è stata riprodotta
colle stampe in Venezia.
Di essa pure come di scudo si valsero poco dopo i Greci di Corfù nelle nuove e più
furibonde tempeste eccitate contro al rito greco dai Latini loro conterranei. Appena
lo videro ferito daglintollerabili insulti, mordaci censure, e ree azioni onde ne
impedivano luso; che tutti uniti in una sola volontà corsero a sovvenirlo; in quella
guisa che, percosso il piede, tutte le membra si affrettano a risarcir la ferita: gli occhi
a compiangerlo, la testa ad iscoprir la piaga, la lingua a cercar rimedio, e la mano a
stendere il balsamo. Non altrimenti i diversi ordini di quella rispettabile adunanza
entrando a parte della comune afflizione sinteressarono chi duna maniera e chi
nellaltra, per procacciare a tanto male lopportuno rimedio. Interposero lappello
alla S. Sede, e con un medesimo intendimento, ed uno stesso volere spedirono Luigi
Rarturo Protopapa a Paolo III, dalla cui autorità potevano unicamente sperare la
calma. Vennero ad un giudice, e trovarono un padre. Esposte le violenze recate alla
nazione da Veniero Arcivescovo latino e suo clero, discussa la causa e udite più volte
le parti, ottennero un Breve segnato li 8 marzo 1540 con cui, frenato lorgoglio e
linsolenza de contradittori a tenore della Bolla di δeone X, fu restituito al rito il
natìo splendore e a Greci il libero esercizio di esso.
101
II
Il patriarca Geremia II
nel carteggio di Antonio Possevino
1581-1584144.
1583, maggio 14. Il card. di Como al Possevino:
Da Costantinopoli è stato scritto a questi giorni che il Gran Turco per sospetto che
Vostra Reverenza sia andata non con altro fine che di lega, n'ha fatto risentimento
col Bailo Veneto. Il che, se è vero, dovrà esser a Vostra Reverenza per
avvertimento d'andar più cauta et con manco apparenza et timore che potrà verso
quei paesi di Moldavia et Vallachia ove il Turco è tanto obedito145.
1583, dicembre 17.. Il card. Galli al Possevino:
Ritornorno di Costantinopoli quelli che furono mandati a quel patriarca per
conto del calendario, et hanno riportato risposta piena d'ossequio et di
riverenza verso 1a Sede Apostolica et risolutione d'accettar et far accettare da
tutti del rito greco esso calendario, ma però con qualche commodità del
tempo per la distanza dei Paesi 146 .
1584. Possevino al nunzio in Polonia Bolognetti:
Il patriarca di Costantinopoli, con fremito di tutta la Grecia, è stato rilegato in
Rodi; scrivo a Roma perchè, come amico delle Sede Apostolica, si vegga o di cavarlo
di là, o di socorrergli con denaro, accioché questo beneficio in ogni evento di sua
libertà affettioni gli animi de Greci alla S(an)ta Sede Ap(ostolica).
1584. Possevino al card. di Como:
Il S(igno)r Dietristano mi ha mostrato le lettere dí Costantinopoli delli 25 del
passato, portate per un corriere con molta diligenza, dove fra l'altre cose ha che il
Patriarca Gieremia è stato dal Turco relegato in Rodi con sommo dispiacere dei
Greci, í quali non volevano dar alcuna limosina a chi è stato surrogato ín luogo di
Gieremia; laonde pensavano che colui pel donativo che haveva fatto al Turco,
sarebbe stato costretto per i debiti contratti a vender gli argenti delle chiese etc. et
che un Giudeo offeriva al Turco 12000 scudi l'anno, se voleva dargli il carico di
sforzare i greci a pagare al patriarca qualche danaro, già di voluntaria limosina.
Or io pensava, sotto 'l giuditio di Vostra Signoria Illustrissima che forse sarebbe
144
I brani sono tratti da Vittorio Peri, Roma e l’idea del patriarcato di εosca all’epoca di
Gregorio XIII, in ΟIV Centenario dellIstituzione del θatriarcato in RussiaΠ, Herder Editrice e
Libreria, Roma 1989. In un altro studio (Due date in un’unica θasqua. δe origini della moderna
disparità liturgica in una trattativa ecumenica tra Roma e Costantinopoli (1582-1584), Milano
1967, pp. 240-242 e 251-253), lautore riferisce di ΟBreviΠ di Gregorio XIII al Venerabilis Frater
Geremia II Tranos.
145
ASV Nunziatura Venezia, 24 f. 162 r
146
Da Alberti Bolognetti nuntii apostolici in Polonia Epistolae et acta 1581 -1585, pars II,
1583, a cura di E Kuntze [Monumenta Poloniae Vaticana, 6] Cracoviae 1938, p. 720].
102
bene usar un paterno sforzo se non di liberare (il che sarebbe forse et riuscibile et
bene) almeno di soccorrere il detto Gieremia, perciò che non essendo più tenace
colla detta carità non è dubbio che questo atto fattosi con pura intentione di aiutar la
salute dei Greci, quando bene non ne seguisse l'edificatione de Greci, come senza
dubio farebbe, giustificherebbe inanti Dio la sollecitudine di Sua Beatitudine. Vanno
in Rodi diversi mercanti, Francesi parimenti vanno assai sicuri. Da Greci stessi avrà
anco qualche luce; però Dio Signor Nostro inspiri a Vostra Signoria Illustrissima
tutto quel che possa essere in questo et in altro a gloria Sua147 .
1584, aprile. Dalla Santa Sede al Possevino:
Della calamità di quel patriarca Sua Santità ha sentito dispiacer grande, sapendo
ch'è di gran qualità et non alieno dalla Sede Apostolica et perciò desidera giovargli
come può. Ma tra l'altre cose venute in pensiero a Sua Santità, una è che questa
occasione potrebbe esser al proposito per separar i Moschi et i Rutheni da
l'obedienza dei nuovo patriarca di Costantinopoli, per farli adherire al primo ch'è
stato deposto, et operare che esso patriarca, quando sarà libero come pur speramo
che sarà presto, si riducesse ad habitare in qualche terra di Russia o in altra parte
commode di quelle regioni, dal che risulterebbe al Moscovita et ai suoi popoli, et a
tutti gli altri del medesimo rito nel regno di Polonia grandissimo honore et
commodo, per non haver più d'andar a Costantinopoli; et alla Chiesa latina
sarebbe poi forse più facile di ridurli all'unione col buon mezo di esso patriarca.
1584, aprile 27. Il card. Galli al Possevino:
Credo che Vostra Reverenza haverà inteso il caso acerbo et duro dei patriarca Greco
di Costantinopoli il quale, per l'opera d'un monaco, arcivescovo di Cesarea suo
inimico, è stato calumniato presso il Gran Turco così di mala maniera ch'è stato
privo del patriarchato et messo prigione, et che v'è stato mescolato l'aver tenuto
prattica con Sua Santità. Il che è falsissimo, se non quanto tocca a l'introduttione del
novo calendario che è cosa mera spirituale et di nissuna consideratione, quanto al
temporale che è quello che preme ai Turchi; ma, per quanto si intende, la maggiore
oppugnatione è stata una grossa somma di ducati148.
1584, aprile 27. Lettera del card. Bolognetti:
Intenderà Vostra Signoria Illustrissima per lettere del Reverendo Padre Possevino,
oltre a gl'altri particolari del duca d'Ostrow il vecchio, com'egli si mostra talmente
affettionato al patriarca greco di Costantinopoli hora deposto, che si può havere
bonissima speranza che quando esso patriarca si trovi qui, egli sia per seguitarlo et
spiccarsi dall'obbedienza dell'intruso, anzi dubita il duca che l'aver esso mandato a
ricercarlo dell'unione sia stato in gran parte causa di questa disgratia149 .
1584, agosto 2. Possevino al nunzio di Varsavia Bolognetti:
Circa í1 patriarca di Costantinopoli che è in Rodi (...) credo che la più
sicura et utile risolutione sarebbe che venisse a Roma (...). Quanto al
mandarlo poi in Moscovia, la cosa è di molta consideratione. Però,
presupposto quel che nel secondo Commentario mio di Moscovia, mandato a
Nostro Signore si comprende (il che è necessario che molto bene si sappia), io
credo che la cosa haverebbe pochissimo esito et moltissima difficoltà. Si
147
Cfr. Alberti Bolognetti, cit., pp. 318-319.
Ivi, p. 206
149
Ivi, p. 405.
148
103
perché non facilmente il Moscovite nuovo l'ammetterebbe, atteso che suo
Padre et Avolo non più domandavano la confirmatione del loro Metropolita da
Patriarchi di Costantinopoli, poiché uno mandato di Costantinopoli in
Moscovia per riformar quelle Chiese secondo il rito greco fu dall'Avolo di
questo Principe, posto prigione, dove morì, et ritrovò scisma et heresie
intolerabili in quei Ruteni; si anche perchè, come Moscoviti sono
sospettosissimi (et hora in tempo dí nuovo governo tanto più lo saranno), non è
dubbio che pensarebbono che fosse stratagemma del Turco per porre piede
in Moscovia per la via di Asof et d'Astracano, et anche per via de' Ta rtari
Precopensi, i quali ultimamente hanno dato una rotta a Moscoviti verso il
Boristene.
Et in somma, o non farebbe niente quel Patriarca in Moscovia, o,
tenendolo in captività non se ne potrebbe promettere la Sede Apostolica
alcuna cosa, overo, quanto bene egli potesse haver alcun credito et volesse
promuover l'unione de' Latini coi Ruteni, è molto probabile cha lui
avverrebbe ciò che già avvenne ad Isidoro Patriarca o Metropolita di Russia,
quando tentò il medesimo doppo il Concilio Fiorentino. Aggiungesi che è
molto verisimile che Moscoviti, per non danneggiar le cose loro, lo
renderebbono a Turchi se lo dimandassero.
Però quando del Patriarca fussimo sicuri davero che più tosto non rivocasse i
Ruteni della Russia del Re di Polonia, che li promovesse in sincera unione co'
Latini, nissuno luogo parebbe più idoneo di Chiovia che anticamente i Metropoliti
di Moscovia facevano ivi la sua residenza et i Moscoviti portano anco rispetto
hoggi di quella città. Et molto moverebbe i loro cuori quando cí fosse persona tale
che attendesse (come è desiderabile) a far davero150 .
1587: Factum est autem (...) paterna Summi Pontificis charitate et sedula
diligentia, ut idem Patriarcha Constantinopolitanus veritate victus, non solum ei
assenserit, verum etiam legationem ad urbem miserit, qua se idipsum inter suos
curaturum polliceretur, ingenui animi signum praebens et christiano deinde
pectore Patriarchatus quam veritatis iacturam perpeti malens. Nam paulo post in
custodiam coniectus est calumniis oppressus a quodam Caesareae episcopo, qui
pecunia Turcis data in eius loco suffectus est: neque sane absque suspicione, quod
haeretici quidam, qui alio praetextu Constantinopoli degunt, aegerrime ferentes a
Ieremia primum quidem (...) haereses pluribus censuris fuisse confossas, deinde
etiamnum Kalendarium Romanum emendatum recipi. Turcarum imperatorem
ad eum relegandum accenderint151 .
150
Ivi, pp. 385-386.
Possevino A., Moscovia et alia opera de statu huius saeculi adversus Catholicae Ecclesiae
hostes, in officina Birkmannica 1587. Cfr. sect. IV, De anni et Paschae emendatione, cap. VI,
pp. 216-217
151
104
III
Lettera di Cirillo Lukaris al papa Paolo V.
1608, 28 ottobre.
Beatissime Pontifex Romane [Ecclesiae] Paule V, Pater ac Domine
Clementissime, post subiectionis meae humillimam commendationem152.
Benigne quas Tuae Sanctitati quam breves mittimus litteras, annuat legere, prout
exigit christiana charitas et officium paternum, quo totum orbem terrarum
prosequeris; universalis enim es pastor ac in terris caput ecclesiae, ad quod
recurrere debent omnia membra, quoties eguerint consilio, nec secus nos, qui ab
exemplo maiorum nostrorum didicimus ecclesiam istam alexandrinam, cui nos per
Dei gratiam praesumus, Pontificum Romanorum authoritate multoties adiutam
atque in statu catholico restitutam, et quod maioris est momenti, Petro
apostolorum principe exponente atque docente Marcus audiebat et audita exarabat,
adeo ut nemo sit, cui non pateat evangelium Marci Petro dictante, scriptum fuisse.
Quare igitur nos ad Tuam Beatitudinem, non recurremus vel quare a Beatitudine
Tua legitimo Petri successore et in fide et in sede, cuius doctrina totam irrigat
ecclesiam, dissentiemus amplius? Ac non potius, id quod nobis est salutare, unio
quaeremus? Quam et si ad hoc tempus vel culpa nostra vel alias ob causas, quae
plures sunt, quaerere pretermiseramus, posthac tamen, si neglexerimus,
detrimentum maximum absque dubio reportabimus. Stimulus enim: examinatae
conscientiae est ille, qui pungit, ac ideo sine mora pulsamus, et confidimus, quod
aperietur pulsantibus, et tam plus, ubi successu temporis candor animi nostri
magis magisque exploratus fuerit erga officia submissionis et obedientiae, quae
sanctae romanae ecclesiae servari debent. A qua etsi hoc elapso temporis curriculo
egregie dissentiebamus, in iis omnibus articulis, quibus et ecclesia orientis, at non
innixis aliqua praesumptione vel passione humana, magna cum diligentia scriptis
sanctorum patrum tam latinorum quam graecorum volutis ac revolutis per Spiritus
S. inspirationem et illuminationem veritas nobis constat, ita ut nemo sit, qui
firmitatem et columnam fidei nostrae in posterum vel a proprio deponere loco vel
concutere valeat.
Hinc fit, quod ab illo mutati ecclesiae catholicae tibique capiti adhaeremus et sub
authoritate tua obedientissime vivere ac mori volumus, illam spiritus unitatem
servantes in pacis vinculo, quam a scriptis apostolicis admonemur. In hoc enim
certum est, si quis offenderit, omnium reus erit. Et si verum est non manentem in
charitate salvari non posse et qui scandalizaverit unum de pusillis, expedit ei, ut
suspendatur, non periclitantur summopere qui scandalum per dissensionem
ecclesiae catholicae romanae praebent ac cum ea illam charitatem, quae deberetur,
152
Archivio Segreto Vaticano, Fondo Borghese, IV, 11, ff. 215-216v. Edita in OCP XV, 1, n. 52
(1929), pp. 44-46.
105
non servant? Ita sane, imo partem eorum cum schismaticis, de quibus fore, ut
condemnentur, S. Augustinus affirmat, ponendam sine dubio credendum, nisi
praeveniat poenitentia.
Quam D. Optimus Maximus per suam misericordiam Tuae Beatitudinis
intercessionibus, ut amplectatur, dignum faciat orientem, qui tenebris ignorantiae
obfusus tantum patitur in schismate detrimentum, quantum vix dici possit; non
animadvertens, id quod pro certo habeo, iugum servitutis propria cervice
excussurum, quando toto corde ad Dominum Deum suum converteretur,
sanctaeque Romanae Ecclesiae Tuaeque Beatitudini illam redderet obedientiam,
quam oporteret christianos homines unico pastori et Christi nostri salvatoris
vicario, cui ego subditus memetipsum per praesentes quas temporis angustia
dederit scribere, per Reverendum Patrem Caesarium, qui Hierosolymitanam
ecclesiam cum hoc triennio gubernasset, iterum Romam suam patriam redit,
omniaque mea offero atque dedico. Et cum his pedes Tuae Beatitudinis humillime
amplectens atque deosculans annos quam longos et incolumes Tuae Beatitudini
desidero.
Datae Alexandriae, anno Domini MDCVIII, XXVIII octobris.
Tuae Beatitudinis in Christo servus ac filius
Cyrillus patriarcha Alexandriae.
106
IV
Il Patriarca Cirillo Kontaris al Papa Urbano VIII.
1637, aprile153.
Beatissimo atque sapientissimo Patri Maximo Summo Pontifici Domino D.
nostro Urbano octavo Cyrillus Berreensis, de exilio reversus miseratione divina
Patriarcha Constantinopolitanus debitam reverentiam debitumque honorem reddo
atque praesto.
Se ben con proprie lettere in quel tempo che per la misericordia divina son stato
Patriarca di Costantinopoli, non ho baciato le vostre mani, divinissimo Patre,
temendo la comminatione di quelli che signoreggiano, et il commandamento loro;
con tutto ciò lhonore e la riverenza chio ho verso di δei, lho sempre servato, e
sempre mi sonaffatigato di trovare modo, di pagar il debito della riverenza e
questo così per leminenza della dignità, e per linfinite celeberrime Sue virtù, come
per la compassione e carità chha verso linfelice nostra natione. Di ciò mi possono
far testimonio e lIll.mo Signor Gio. Rodolfo Schmid Residente del Ser.mo e
piissimo Cesare Imperatore di Romani (il quale ancora adesso, in questa somma
miseria trovandomi, si degnò venire a consolarmi, accertandomi dellinfinita
benignità, misericordia e fervente volontà di V. Santità in aiutare gli bisognosi) et il
R.mo Padre Vicario. Gli quali ancora in quel tempo ogni giorno pregavo, che
dovessero da parte nostra riverire et adorare V. Santità.
Hora per la somma longanimità di Dio, e per le Sue orationi essaudite da Dio,
essendo ritornato dallessilio, con aiuto e gran spesa di pii christiani, et havendo
ritrovato la Sedia precipitata di nuovo con certi modi, chIddio sà, dal calvinista
Cyrillo, e vedon(do le pecorelle di Christo, per le quali listesso sparse il suo sangue,
alcune disperse, altre ammazzate; havendo lasciato da parte ogni timore, avanti
limmaculati piedi (di) V. Santità adesso mi butto, e con la debita riverenza
glabbraccio, pregando Iddio di servare V. S. in longissima vecchiezza, per
stabilimento della catholica et apostolica chies(a) e per mia sollevatione, e
consolatione spirituale. A quali dunque e quante (ca)lamità e disgratie il calvinista
e luterano Cyrillo Candioto già quindici anni sono, ha sottoposto la Chiesa
Costantinopolitana, divinissimo Signore, lo sà la Vostra sapientissima Beatitudine
e con quanti tradimenti mhanno fatto guerra glinglesi e fiamenghi, suoi amici per
limpietà dellheresia; tanto che per la potentia di danari mhanno mandato in
essilio; e poco mancò che mi privassero di vita, per linstabilità di quelli che
signoreggiano.
εa hora quante cose ha fatto, doppo che glè stato permesso di salire nella Sedia
Patriarcale (e questo per li miei peccati, o vero per esser manifestati gli buoni) chi
153
Archivio di Propaganda Fide, Scritture riferite, voI. 180: 190r-190v. Trad. it. coeva. Ed. in
Orientalia Christiana n. 64 (t. XX, 1-1930), pp. 20-23.
107
le potrà scrivere? Vedendo gli pii prelati perseguitati e scacciati et intromessi gli
suoi seguaci per la mercede della malitia dambedue; gli clerici virtuosi e celebri
per lopere e per la dottrina, dishonorati; gli scelerati honorati; gli più divoti
sacerdoti deposti; li religiosi di buona vita mandati in essilio; e gli pii signori
scommunicati et anatematizati. Tali e tante cose va facendo sfacciatamente
essendo appoggiato alla potestà di tiranni; e per esser aiutato dalli seguaci, non vè
nessuno che a lui si possa opporre per adesso. E S. D. M. usa longanimità seco, nè
manda sopra di lui gli debiti fulmini. Ma per questa longanimità di Dio indurito
più il suo crudel cuore, pretende, comuna volta quel Giuliano, quelli, che non sono
della sua opinione, ruinarli affatto, (se può) e primo di tutti me, il quale con la
potentia divina gli son stato contrario, et ho guerreggiato e vinto il secondo Goliat.
Et ho anatematizato lui, e li suoi capitoli fatti da lui contro la fede ortodoxa, con
compito et incorrottibile sinodo di prelati e chierici, la cui depositione et
anathematismo fatto in scriptis, havendolo dato al sopradetto lll.mo S. Presidente,
credo havrà significato a V. Beatitudine. Adesso per linfermità della carne temo, e
mi son nascosto; ma con tutto ciò con ferma speranza aspetto laiuto di Dio. E non
solamente queste cose; ma la presente longanimità di Dio, pensando che sia dono
dimpietà, gli più semplici per mezzo della breve mondana vittoria chiama alle sue
heresie, quasi pubblicamente seminando li dogmi dellimpietà; e nessuno ardisce
di dire la verità. θerchè a questi fedeli di qui non glè restata forza dopporsi a
questempio, aiutato dalli suoi confederati calvini e luteri. Sta dunque in pericolo la
gregge di Christo. E noi non habbiamo nessunaltra speranza salvo che
primieramente quella di Dio, e secondariamente la cura e protettione di V.
Beatitudine. Vi preghiamo però e supplichiamo, Beat.mo θadre, che con lòcchio di
misericordia V. B. guardi la nostra Chiesa, ripigli le viscere di compassione, e la sua
liberatione dalle mani di questo heretico diligente consideri. Offitio vostro è, B.mo
Padre, il pascere le pecorelle di Christo, et haver cura di quelle. Perchè a Voi è stata
data da Chrìsto la suprema potestà, come primo, e capo delli prelati e della fede
ortodossa, essendo suo Vicario. Possanza non vi manca, per discacciare il lupo dal
gregge di Christo Dio. Bisogna che la Tua divina volontà si muova solamente e così
con il divino aiuto liquefiet tamquam cera a facie ignis. E certamente che V. B.ne
per tutte le sue infinite virtù havrà da Dio 1immarcescibili corone, ma non meno
ancora per tale aiuto (il quale sarà causa di salvare molte anime e di tirare molti
allaffettionet alla servitù di V. B.ne, essendo δei potentissimo mezzo) havrà le
mercedi centuplicate; e dalla chiesa che sarà liberata infinite lodi e perpetua
commemoratione havrà da dovero in Gesù Cristo. E finalmente di nuovo io
indegno e perseguitato per la religione servo di Christo e della sua apostolica e
catholica Chiesa con riverenza abbraccio li suoi piedi e come membro della
catholica orthodossa Chiesa alla benignità di V. B.ne humilmente mi raccomando,
pregando Iddio, che conceda a V. S. longissima vita. Di Constantinopoli nel 1637
nel mese daprile. Di V. Santità minimo in Christo servo, Cyrillo di Berrea.
108
V
Relazione sulla tragica morte del Kontaris
Narrazione154 di Michele Velasto di Chios. 11 ottobre 1641
Die XI mensis octobris 1641.
Informationes captae per Ill.mum et Rev.mum Iohannem Baptistam Gorium
Pannelinum inquisitorem generalem Melitensem et apostolicum delegatum, ad
futuram rei memoriam et ad alium meliorem finem.
Dominus capitaneus Michael Velasto Chius de ritu latino filius quondam Antonii
aetatis annorum 28 circiter, cui delato iuramento de veritate dicenda tactis S.
Scripturis, interrogatus, an cognoverit quondam Ill.mum D. Cirillum de Veria
patriarcam Constantinopolitanum, et cuius opinionis et famae, respondit:
Tre anni sono incirca essendo io andato in Costantinopoli ivi rimasi per spatio di
tre mesi incirca, nel qual tempo ho inteso communemente da christiani del rito
latino, e particolarmente da... Castelli Scioto mercante et habitante in detta città
che Monsignor Cirillo Contarini il (?) Veria patriarca allora di Costantinopoli
haveva intelligenza con la Santità di N. Signore, e con altri pr(i)ncipi christiani, e
che voleva sottomettere il rito greco al rito latino e che questo negotiava per mezzo
di Musu Sezin ambasciatore allora in detta città per il Rè Christianissimo. E duoi
anni sono incirca mentre stavo in Scio, ivi capitò Carà Choggia col suo vassello, il
quale se n andava in Barbaria e perche io volevo andar in Barbaria a comprare un
vassello caglì sopra il detto vassello di Carà Choggia, dove vi trovai il detto
patriarca Cirillo in catena in guardia di papa Georgio caloyro e di Costandino
secolare da Metelino mandati da Costantinopoli per condurre carcerato detto
patriarca in Tunesi, nel qual tempo nessuno della città di Scio di rito greco ardiva
di suvvenire detto patriarca nè dun pane per timore, e finalmente havendo io
imbarcata mia mercanzia sopra detto vassello, partissemo da Scio nella vigilia di S.
Andrea per Tunesi, e nel viaggio che fu di quattro mesi incirca io ho fatto sicurtà
della persona di detto patriarca Cirillo a Apttrauman Ba(sci)a da Natulia, quale
andava per autorità dellimperio ottimano per Bascià di Tunesi, e questo lo fè
levare da catena sotto detta mia sicurtà, et io gli somministravo quel che haveva di
bisogno per il suo vivere per quanto potevo. E perche in malvagia certi papassi
diedero non so che camiscia et un può di pane e certi libri al detto patriarca che si
trovava quasi igniudo per i maltrattamenti che glusavano i sudetti suoi guardiani,
et il sudetto papa Georgi in mia presenza minacciò i detti papassi per la su detta
opera che lui haverebbe scritto in Costantinopoli e fattoli rovinare, del che i turchi
di detto vassello si maravigliorno grandemente vedendo i maltrattamenti usati al
detto patriarca, la sua pacienza e che venivano minacciate persone che glusavano
154
Archivio di Propaganda Fide, Scritture riferite, vol. 167, ff. 191-197v. Edita in OCP 1930, t.
XX, pp. 53-58.
109
carità e si risolsero di voler ammazzar detto papa Georgio, il quale pregò me che
lhavessi protetto, et io ho la consulta del detto patriarca, il quale me disse chio
havessi aiutato detto papa Georgio, perche non voleva che niuno havesse patito per
suo rispetto, si come ho fatto, e cosi io in compagnia del detto patriarca siamo
andati dal sudetto Bascia, e pregatolo per la sicurtà della persona di detto papa
Georgio si come a detta nostra instantia fu assicurata sua persona. E nel sudetto
viaggio molte volte me dissero li detti papa Georgio e Costandino che i seguaci del
gia patriarca di Costantinopoli, il vecchio heretico predecessore del detto
Monsignor Cirillo haveano mandato certi metropoliti in Persia al Gran Turco con
supplica che il popolo non voleva detto Monsignor Cirillo per patriarca
reputandolo per malhuomo e che andava prendendo denari da questo e quello,
spendendoli a suoi gusti senza volerne dar conto e che per farlo levare havevano
offerto a favoriti del Gran Turco cento mila pia(s)tri incirca e perche detti
ragionamenti molte volte mi si facevano innanti il medesimo patriarca, questo in
loro presenza mi diceva che lessationi di denari che lui cercava non era altra se no
che havendo lui trovata la chiesa molto indebitata dal suo predecessore al turco, la
cercava sollevare e liberare e che percio lui succedendo loccasione di metropoliti
dalcun delitto per il quale il suo predecessore lhaverebbe subito privati e mes(s)i
altri in loro luogo, lui non parendogli il delitto degno di privatione li tassava a certa
somma di denari per la sudetta liberatione della chiesa. E che lui con assai meno di
cento mila piastre quando lhavesse voluto dare shaverebbe fatto confirmare nella
sua sedia patriarcale dal Gran Turco, conforme glera stato offerto, ma che lui non
havea voluto pagare cosa alcuna per non indebitare la chiesa quale cercava liberare
e così il primo capo come questo li sudetti papa Georgio e Costandino in presenza
mia confessavano, ancorche havessero mala volontà col detto patriarca Cirillo.
E neI medesimo viaggio il medesimo patriarca Cirillo me disse che da
Costantinopoli havea mandato in Roma a N. Signore un tal suo huomo caloyro
chiamato quando era secolare Giovanni Albano e che lui voleva sottomettere la
chiesa e rito greco alla chiesa e rito latino e che i seguaci del suo predecessore per
loro interesse e per fare un patriarca a loro gusto havevano cercato di levarlo dalla
sedia.
Et arrivati in Susa il secondo giorno di Pasqua di Resurrezione del 1640 detto
patriarca scrisse al E.mo Signor Cardinale Antonio in Roma et a Musu Sezin in
Francia con i quali diceva dhaver intelligenza per il sudetto suo desiderio così con
N. Signore come con il Rè di Francia e per dette lettere dava conto alli sudetti
SSignori Cardinali e Musu Sezin della sua persecutione e stato, et io ne presi il
detto plico da mano di detto patriarca e di suo ordine lo inviai per mezzo
dellIll.mo Signor Gran Croce Bubudran allora schiavo in Barbaria che veniva in
Malta.
Et da Susa io ne presi una carrozza nella quale io vi mes(s)i il detto patriarca e lo
condussi nel palazzo del sudetto Bascia in Tunesi il quale sotto nuova mia sicurtà
lo lasciò senza ferri astretto in una camera, et io ogni domenica e festa andavo a
prenderlo dalla detta camera e laccompagnava, quando nella chiesa di S. Antonio
e quando nel bagno a dire alcune volte messa, altre a sentirla, e ragionare con i
christiani sacerdoti e particolarmente col cappellano di S. Antonio Fra Vincenti
εarchi dellordine della S.ma Trinità e Vincenzo Tassone θanormitano e con Fra
Giuseppe di Messina, Fra Andrea Matamanno Alemano con Fra Giovanni della
Rocca dellordine di S. Agostino, Fra Santo Ruggiero carmelitano e con moltaltri.
110
Et io più volte ho portato lettere del detto patriarca dirette allE.mo S. cardinale
Antonio e altri Signori per Roma e per N. Signore istesso ancora, alli sudetti
cappellano di S. Antonio e Don Vincenzo Tassone e particolarmente...
Et alli tanti di maggio 1640 egli scrisse una lettera a N. Signore delli benefici
chhavea da me ricevuti, raccomandogli la mia persona e finalmente apunto la
vigilia di S. Giovanni Battista del sudetto anno con una galera chera arrivata a
Susa arrivorno duoi schiavi in Tunesi al detto Bascia e lindimane a buonissima
hora mi sentì picar la porta e mi fu detto che quella notte per ordine del Gran
Turco venuto al sudetto Bascia era stato strangolato il detto patriarca, e che il suo
corpo era stato buttato in strada alla porta del palazzo, per lo che io subito me
nandai al sudetto luogo, dove trovai il sudetto cadavero, per lo che me nandai dal
Bascia, e gli lo dimandai per dargli sepoltura, e dopo dhaverme fatti ostacoli,
finalmente havendo regalati alcuni delli suoi con cinquanta scudi incirca, hebbi il
sudetto cadavero, quale con quella maggior pompa che sè possuto fare in quella
parte lhabbiamo sepelito dentro una cassa nella chiesa sudetta di S. Antonio et da
Calfaul turco però bonissimo intendente della lengua greca che fù uno di quelli che
strangolorno detto patriarca, dal luogotenente del Bascia Mehmet Celebi e da
Britio Giustiniano Sciotto scrivanello di detto Bascia, quali si trovorno presenti alla
morte del detto patriarca, me fu detto come verso le due hore di notte della detta
vigilia di S. Giovanni Battista mentre il detto Calfaul haveva posta la corda
duplicata grossa quanto la grossezza dun dito piccolo humano della mano
ordinario al collo per afforarlo che detta corda (dicendo il patriarca in lingua greca
che i sudetti lintendevano in manus tuas commendo spiritum meum) sera rotta
con molta faciltà senza offendere niente detto patriarca il che poi successe nel
medesimo tempo per altre due volte che del medesimo modo con la corda
duplicata lhaveano voluto strozzare del che essi astanti restorno grandemente
maravigliati, parendogli che naturalmente non poteva spezzarsi quella corda
dicendo che quello patriarca non haveva peccato e tenendolo per miracolo. E
publicamente poi in Tunisi si disse che la detta corda sera rotta per miracolo,
essendo restato finalmente alla quarta volta strangolato, dicendo sempre quelle
parole in manus tuas, Domine commendo spiritum meum. E così il detto Bascia
come il suo luogotenente me dissero che Bechir Bascia in Costantinopoli quale
haveva havuti quattro mila piastre dalli seguaci del predecessore patriarca heretico
haveva trovato vania e detto al Gran Vezir come il patriarca Cirillo di Veria haveva
machinato con i christiani di fare una rebellione nella Barbaria contro i turchi e
che per tal occasione il detto gran vezir diede ordine che fosse detto patriarca
strangolato dove si trovasse, si come fu eseguito in Tunesi.
E per le sudette cose e per quel che publicamente ho inteso parlare del sudetto
patriarca così in Levante come in Barbaria e per la stretta prattica che ho havuto
con lui in detto tempo, havendo viste le sue attioni e pacienza, tengo che sia stato
un gran huomo da bene e servo dIddio et hoggi santo martire, come anche è
tenuto da tutti suoi conoscienti comunemente e più volte in presenza mia il sudetto
Apttrauman Bascia glha detto che se lui si facesse turco glhaverebbe dato tutto il
suo governo in potere e fattolo in suo luogo, del che detto patriarca se ne burlava e
glha fatta sempre repulsa. Et io che trattai col detto Bascia più volte la liberatione
del detto patriarca per condurlo in christianità e dalla Santità di N. Signore
havendone havuta buona intentione promes(s)i al detto Bascia tre mila piastre del
mio, però egli ne volse più, del che il detto patriarca me sconsiglio dicendomi che
111
Iddio haverebbe provveduto e che forse da Costantinopoli haverebbe venuto
lordine di sua liberatione e qualche somma di denaro, e potersi liberare con meno
somma di quel che voleva detto Bascia.
E puo esser informato delle genti che son in εalta dalcune cose delle
sopradette Leone Berdesci Sciotto del rito greco, o forse altri.
Quibus habitis etc. Io Michele Velasto affermo ut supra.
112
VI
Risposta dei Patriarchi orientali al papa Pio IX
1848
A tutti i nostri cari ed amati fratelli nello Spirito Santo155, i venerabili vescovi, al
loro pio clero e a tutti gli ortodossi, veri figli della Chiesa santa, una, cattolica ed
apostolica, un fraterno saluto nello Spirito Santo e la benedizione di Dio.
§ 1. Sembrava che la dottrina santa e divina del Vangelo della nostra
redenzione fosse destinata ad essere preservata nella fede di tutti intatta e pura
come il Signore laveva rivelata ai suoi santi discepoli, allorché egli si è immolato
per fondarla prendendo laspetto di un uomo, schiavo del peccato, scendendo dal
divino grembo del Padre. Tale (dottrina) i suoi discepoli, avendola ascoltata con i
propri orecchi, avendo visto con i propri occhi, lhanno proclamata per tutta la
terra, come delle trombe sonanti (di modo che tutta la terra ha sentito la loro voce
e le loro parole sono arrivate sino ai confini delluniverso). E come loro lhanno
trasmessa a tutti i popoli senza alcuna alterazione, così i grandi ed ispirati Padri
della chiesa cattolica, eco degli apostoli per tutta la terra, ripetendola insieme nei
concili e singolarmente nelle loro opere hanno trasmesso fino ai nostri giorni i loro
divini insegnamenti.
Eppure, il principe di ogni male, il nemico spirituale della salvezza degli uomini,
allo stesso modo in cui una volta nellEden aveva assunto limmagine ingannevole
del buon consigliere per fare trasgredire alluomo il comandamento espresso di Dio,
così, in questo Eden intellettuale, cioè la Chiesa di Dio, egli inganna un gran
numero di uomini portandoli a pensieri cattivi ed empi. Poi servendosi di essi
come di suoi strumenti, mescolando il veleno delleresia alle limpide acque della
dottrina ortodossa in coppe che sembrano indorare la dottrina evangelica, dà da
bere a parecchi innocenti, che non sanno nella vita guardarsi dal male, che non
prestano la dovuta attenzione a ciò che hanno ascoltato (Ebrei XI, 1) , a ciò che è
stato proclamato dai loro padri (Deuter. XXXII, 7) nello spirito del vangelo, in
sintonia con coloro che devono essere i nostri eterni maestri; che non credono
sufficiente alla salute delle loro anime la parola detta e scritta dal Signore, e
lautorità perenne della Chiesa, ma che corrono dietro i cambiamenti e le
innovazioni del culto, come dietro la moda dei vestiti, e preferiscono abbracciare
linsegnamento evangelico macchiato di gravi alterazioni.
§ 2. Ecco l’origine delle molteplici mostruose eresie che la chiesa cattolica, dalla
sua culla, rivestendosi dellarmatura di Dio e brandendo la spada spirituale, cioè la
parola di Dio (Ef. V, 17) è stata costretta a combattere. Fino ad oggi essa ha
155
Edita in Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. 40, col. 377-418
113
trionfato contro tutte, e certamente trionferà per tutti i secoli, riapparendo
eternamente più radiosa e più forte dopo ogni nuovo combattimento.
§ 3. Di tutte queste eresie, alcune sono completamente scomparse, altre stanno
scomparendo, altre vivacchiano, altre conservano ancora un certo vigore fino a che
non abbiano fatto il loro tempo; qualcuna si sta perfino sviluppando, al fine di
percorrere il suo arco di tempo che va dalla nascita alla sua dissoluzione. Poiché
essendo niente altro che miserabili concezioni e invenzioni di uomini miserabili
sono destinate, anche se vivessero mille anni, a svanire nel nulla, colpite dai
fulmini dellanatema dei sette concili ecumenici. Solo lortodossia della Chiesa
cattolica ed apostolica, animata dalla vivifica parola di Dio, è destinata a vivere e
durare eternamente, secondo linfallibile promessa del Signore: Le porte degli
inferi non prevarranno contro di essa (Mt XVI, 18); il che significa, secondo la
spiegazione dei santi padri, che le bocche degli empi e degli eretici, quantunque
eloquenti, abili e persuasive, non resisteranno di fronte al suo sereno e santo
insegnamento. Del resto, che cosa importa che la via dei peccatori abbia successo!
Che cosa importa che gli empi si glorifichino e che si elevino come i cedri del
Libano (Salmo XXXVI, 45), sforzandosi di attentare al culto immutabile di Dio! La
parola di Dio è irrevocabile; e la Chiesa, benché preghi ogni giorno che questo
angelo del male Satana sia da essa allontanato, sente la voce del Signore che le dice:
La mia grazia ti basta, poiché è nell’infermità che si rivela la mia forza (II Cor.
XII); ecco perché, essa si compiace con orgoglio delle sue sofferenze, affinché la
virtù di Gesù Cristo venga a riposare su di essa, e affinché gli eletti possano
manifestarsi nel gran giorno (I Cor. XI, 19).
§ 4. Tra le eresie che, per decreti che solo Dio conosce, si sono sparse su una
gran parte delluniverso, un tempo dominava larianesimo, oggi il papismo; ma
questultimo, come laltro che è interamente scomparso, non avrà vita lunga, a
dispetto della sua forza apparente. Esso passerà e andrà a fondo e allora si sentirà
una voce celeste dallalto: Si è inabissato (Ap. XII, 10).
§ 5. La dottrina nuova dello Spirito Santo che procederebbe dal Padre e dal
Figlio è contraria alla formale dichiarazione di nostro Signore (Gv XV, 26): che lo
Spirito Santo procede dal θadre; è contraria alluniversale professione della Chiesa
cattolica, secondo la testimonianza dei sette concili ecumenici che hanno stabilito
che lo Spirito Santo procede dal Padre (Simbolo della fede). 1°. Questa dottrina
rinnega la testimonianza del Vangelo che fa emanare da un principio unico, ma in
modo diverso, le divine persone della Santa Trinità. 2°. Essa indica lidea di
rapporti ineguali e dissimili tra queste persone ugualmente potenti e degne
dadorazione, e la confusione dei loro attributi. 3° Essa accusa come imperfetta, o
almeno come oscura e difficile da comprendere, la confessione della Chiesa santa,
una, cattolica ed apostolica. 4° essa attenta alla dottrina dei santi padri del primo
concilio ecumenico di Nicea, e dei padri del secondo concilio ecumenico di
Costantinopoli, accusandoli di avere esposto in maniera imperfetta gli attributi del
Figlio e dello Spirito Santo, di aver passato sotto silenzio una così importante
proprietà della natura divina di ciascuna persona, quando invece era necessario
che tutti i loro divini attributi fossero ben definiti contro gli ariani e i Macedoniani.
5°. Essa insulta i padri del 3°, 4°, 5°, 6° e 7° concilio ecumenico che hanno
dichiarato a tutto luniverso che il simbolo della fede era completo e perfetto, al
punto da proibire a sé stessi e a tutti gli altri, sotto pena dirrevocabili scomuniche,
qualsiasi aggiunta o menomazione, qualsiasi alterazione, qualsiasi spostamento
persino di accenti. E invece, secondo la dottrina di Roma era necessario fare questa
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correzione e aggiunta. E stato necessario cioè modificare tutto linsegnamento
teologico dei padri cattolici, pretendendo di aver scoperto un nuovo attributo in
ciascuna delle tre persone della Santa Trinità. 6° Questaggiunta si è inizialmente
furtivamente intrufolata nelle chiese dηccidente, come il lupo in veste di agnello,
col pretesto che esprime non la processione, secondo laccezione greca del vangelo
e del simbolo, ma la missione nel tempo; poiché è così che cercava di giustificarsi il
papa Martino con Massimo il Confessore, ed è così che spiegava la cosa Anastasio
Bibliotecario sotto Giovanni VIII. 7°. Essa ha particolarmente violato con una
inconcepibile audacia e alterato il simbolo stesso che è il comune deposito del
cristianesimo. 8° Essa ha introdotto discordie immense nella pacifica chiesa di Dio,
e diviso le nazioni. 9° Essa è stata condannata pubblicamente sin dalla sua prima
apparizione da due papi immortali, Leone III e Giovanni VIII. Questultimo ha
perfino accomunato a Giuda , nella sua lettera al venerabile Fozio, coloro che
lhanno per primi inserita nel simbolo. 10° Essa è stata condannata da vari nobili
sinodi dei quattro patriarchi dellηriente, 11°. Essa è stata colpita danatema in
quanto innovazione e addizione al simbolo dallVIII concilio ecumenico tenuto a
Costantinopoli per pacificare le chiese doriente e doccidente, 12° Appena essa si è
insinuata nelle chiese doccidente ha cominciato a generare altre dottrine
riprovevoli, oppure essa stessa ha introdotto poco a poco altre novità, in gran parte
contrarie ai precetti di nostro Signore formalmente scritti nel Vangelo, precetti
religiosamente conservati fino a che essa non fosse introdotta nelle chiese, le quali
da allora hanno cominciato ad ammettere: laspersione invece dellimmersione nel
battesimo, la privazione del santo alimento per i laici, la soppressione del pane
unico spezzato e distribuito ai fedeli e conseguente uso dellostia, il pane azzimo
invece del lievitato, lomissione nel rito della messa dellinvocazione dello Spirito
Santo, labolizione delle antiche cerimonie apostoliche della chiesa cattolica; si è da
allora cessato di ungere i bambini dopo il battesimo e di dare loro la santa
comunione; si è proibito agli uomini sposati di accedere agli ordini sacri; si è
trasferita sulla persona del papa linfallibilità e il vicariato di Gesù Cristo, ecc.
Così questa dottrina ha rinnegato tutto lantico rituale degli apostoli, andando ad
intaccare tutti i sacramenti e tutto linsegnamento conservato dallantica, santa e
ortodossa chiesa di Roma, che allora era uno dei membri più nobili della santa
chiesa cattolica ed apostolica, 13° Essa ha spinto i teologi occidentali, che sono
divenuti suoi difensori, non solo a false interpretazioni della Scrittura che non si
possono trovare in alcuno dei padri della chiesa cattolica, ma anche ad una
alterazione dei testi puri e santi dei divini padri doriente e doccidente, non
potendosi questa dottrina appoggiarsi ad alcun brano della Bibbia o dei santi padri,
e bisognava quindi adattarli artificiosamente a queste innovazioni sopradette in
materia di dogma, 14° Essa è apparsa estranea, inaudita e blasfema persino alle
altre società cristiane che, prima della sua apparizione, erano state escluse per
alcune giuste ragioni dal vero gregge del Signore, 15° Nessuna difesa che abbia un
minimo di credibilità a che sia appena plausibile, tirata dalle scritture o dai padri,
ha potuto essere addotta a suo favore, a dispetto di tutto limpegno e di tutti gli
sforzi dei suoi difensori che non sono riusciti a collocarla in una delle categorie
suddette. Una tale dottrina presenta naturalmente tutte le caratteristiche di una
dottrina nuova, e come ogni dottrina nuova relativa al dogma cattolico sulla santa
Trinità e sui suoi attributi divini, e specialmente al modo di esistenza dello Spirito
Santo, è e deve essere dichiarata eresia, e coloro che adottano una tale dottrina
sono degli eretici, come giustamente disse il papa Damaso, papa di Roma: Colui
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che penserà rettamente del Padre e del Figlio, ma avesse opinioni erroneesullo
Spirito Santo, è un eretico (Confessione della Fede cattolica, inviata dal papa
Damaso a Paolino, vescovo di Tessalonica). Per tutte queste ragioni la santa chiesa,
una, cattolica e apostolica, sulla scia dei santi padri doriente e doccidente, ha
dichiarato al tempo dei nostri avi e dichiara apertamente anche oggi in pieno
sinodo che questa nuova dottrina di cui abbiamo parlato e che fa procedere lo
Spirito Santo dal θadre e dal Figlio, è essenzialmente uneresia, secondo la
decisione conciliare del papa Damaso, e i seguaci di questa dottrina, chiunque essi
siano, sono eretici, come eretiche sono le assemblee di cui fanno parte, ed ogni
comunicazione spirituale e religiosa con essi da parte dei figli ortodossi della chiesa
cattolica, è illecita. E ciò in virtù del 7° canone del 3° concilio ecumenico.
§ 6. Questa eresia che ha comportato, come abbiamo detto, una massa daltre
innovazioni (accolte verso la metà del VII secolo senza precisi lineamenti e senza
che ne fosse chiarita la portata dottrinale), insinuandosi poco a poco secondo
diversi significati nelle province occidentali dellEuropa nel corso di quattro o
cinque secoli, lha avuta vinta, grazie allincuria dei pastori del tempo e alla
protezione sei sovrani, sullantica ortodossia di questi paesi. Essa non solo indusse
in errore le chiese sino ad allora ortodosse della Spagna, ma anche quelle della
Germania, della Gallia e dellItalia stessa, la cui ortodossia era fino ad allora
rinomata in tutto il mondo; chiese con le quali spesso comunicavano i nostri santi
padri, come il grande Atanasio e il divino Basilio, e grazie allunione di esse con noi
nella volontà e nellazione fino al 7° concilio ecumenico si conservò intatto
linsegnamento della chiesa cattolica ed apostolica. Successivamente, purtroppo, il
nemico di ogni bene provò invidia di questa nostra unione, e così la nuova dottrina
che toccava la teologia sana e ortodossa dello Spirito Santo (bestemmia che non
sarà giammai rimessa agli uomini né al presente né nei secoli a venire) secondo
la decisione di nostro Signore (Mt XII), andò ad inficiare poi i santi sacramenti,
specialmente i sacramenti salvifici del battesimo e della santa comunione, con
innovazioni sul clero. Tutte queste mostruose innovazioni, una dopo laltra, hanno
invaso persino lantica Roma, che rivestiva una grande importanza nella chiesa, e
da allora questa dottrina fu designata con la speciale denominazione di papismo.
Infatti, i vescovi di Roma, chiamati papi, benché agli inizi qualcuno di essi si sia
pronunciato solennemente contro linnovazione, in particolare δeone III e
Giovanni VIII come abbiamo detto, e labbiano condannata dinanzi a tutti, luno
con le famose tavole dargento, laltro mediante la sua lettera al venerabile Fozio
nellVIII concilio ecumenico e mediante la sua lettera a Sfendopulcro a favore di
Metodio, vescovo della Moravia, tuttavia la maggior parte dei loro successori,
sedotti dalle prerogative che forniva loro leresia contro i concili, al fine di
dominare le altre chiese di Dio, trovando in questi privilegi enormi vantaggi
mondani e una grande utilità, sognando un potere assoluto sulla chiesa cattolica e
il monopolio delle grazie dello Spirito Santo, non soltanto hanno alterato lantica
pietà, separandosi con le innovazioni dal resto della società cristiana stabilita
dallantichità, ma hanno persino tentato, con macchinazioni illecite, come dice la
storia verace, di trascinare nella loro separazione violenta, nella loro rivolta contro
lortodossia, gli altri quattro patriarcati, assoggettando così la chiesa universale alle
decisioni e agli ordini di un solo uomo.
§ 7. I nostri predecessori, di felice memoria, e i nostri padri, vedendo lantico
insegnamento evangelico messo sotto i piedi, e la celeste tunica di nostro Signore
lacerata da mani empie, mossi da un amore paterno e fraterno, piansero in un
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primo momento la perdita di tanti cristiani per i quali Gesù Cristo è morto,
successivamente con uno sforzo comune ed una comune volontà misero ogni cura
e tutto il loro onore, sia conciliarmente che singolarmente, nel conservare
linsegnamento ortodosso della santa chiesa cattolica, a ricucire per quanto
potevano ciò che era stato strappato, e come medici esperti si consultarono suk
come salvare il membro malato, sopportando ogni sorta di amarezza, di disprezzi e
di persecuzioni, allunico scopo di impedire che il Corpo di Cristo non fosse
smembrato, che le norme decise nei santi concili non fossero calpestate. Ma la
storia vera ci ha trasmesso linflessibile ostinazione delloccidente nellerrore.
Questi uomini illustri dovettero convincersi della verità che contenevano le parole
del nostro santo padre Basilio che, fatto edotto dallesperienza, già allora diceva
dei vescovi delloccidente e del papa: Essi non conoscono la verità né tollerano che
qualcuno la insegni loro; essi litigano con coloro che vogliono mostrare loro la
verità, e con i loro esempi essi rafforzano l’eresia (Lett. A Eusebio di Samosata).
Così i nostri pii predecessori, dopo una prima ed una seconda ammonizione
fraterna, prendendo atto che gli occidentali non hanno alcuna intenzione di
pentirsi, si allontanarono e rinunciarono ad ogni speranza, abbandonandoli ai
loro pensieri malvagi poiché la guerra è preferibile alla pace che ci separa da Dio,
come ha detto il nostro santo padre Gregorio parlando degli Ariani. Da allora non
cè stata più alcuna comunione spirituale tra loro e noi, poiché il solco che essi
hanno scavato con le proprie mani tra di essi e lortodossia è molto profondo.
§ 8. Tuttavia il papismo non ha smesso di turbare la tranquilla chiesa di Dio.
Inviando ovunque dei missionari, dei trafficanti danime, esso vaga per terra e per
mare per fare proseliti, per sedurre un ortodosso, per alterare linsegnamento di
nostro Signore, per falsificare con unaggiunta il divino simbolo della nostra fede,
per dimostrare che il battesimo nella forma che Dio ci ha trasmesso è superfluo,
per dimostrare che che la comunione col calice del testamento è inutile, e
diffondere le altre mille cose che il demone delle novità suscitò nei dottori del
medioevo, la cui audacia ha toccato ogni cosa, e nei vescovi dellantica Roma che
la brama del potere ha spinto a tutto osare. I nostri pii predecessori e padri,
benché perseguitati in tutti i modi dal papismo, sia nei propri paesi che allestero,
sia direttamente che indirettamente, ponendo la loro fiducia nel Signore, poterono
conservare e trasmetterci intatto questo inestimabile retaggio dei loro padri. Noi, a
nostra volta, lo trasmetteremo con laiuto di Dio, come un tesoro prezioso alle
future generazioni fino alla fine dei secoli. Ma i papisti non cessano e non la
smetteranno, secondo il loro costume, di accanirsi contro lortodossia che si erge
dinanzi ai loro occhi come una vivente accusa quotidiana della loro rivolta contro
la fede dei loro avi. Ah, se avessero diretto i loro attacchi contro leresia che ha
invaso ed ha dominato loccidente ! θoiché chi potrebbe dubitare che tutto il loro
zelo impiegato per distruggere lortodossia, se fosse stato diretto alla distruzione
delleresia e delle novità, secondo i pii consigli di δeone III e Giovanni VIII,
immortali ed ultimi papi ortodossi, da tempo non ne sarebbe rimasta traccia
nelluniverso e noi ora terremmo uno stesso linguaggio, secondo il comando
dellapostolo. εa lo zelo dei successori di questi due pontefici non fu diretto alla
difesa della fede ortodossa, come era lo zelo memorabile del beato Leone III.
§ 9. Gli attacchi degli antichi papi, fino ai tempi recenti, provenendo dalle
loro persone, erano cessati, e restavano solo quelli di qualche missionario. Ma
recentemente colui che nel 1846 è salito sulla cattedra episcopale di Roma ed è
stato proclamato papa col nome di Pio IX, ha pubblicato il 6 gennaio di questanno
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una lettera enciclica diretta ai Cristiani d’ηriente, composta di 12 fogli nella
traduzione greca che il suo legato ha diffuso come un miasma importato da fuori in
mezzo al nostro ovile ortodosso.
In questa enciclica egli parla a coloro che in diverse epoche si sono staccati dalle
diverse comunioni cristiane per gettarsi fra le braccia del papismo, e che egli
conseguentemente considera suoi. Inoltre, egli si rivolge ugualmente agli ortodossi,
senza specificarne il nome, ma citando per nome (p. 3, l. 14-18; p. 4, l. 19, e p. 9, l.
17-23) i nostri divini padri, dipinge sotto falsa luce essi e i nostri successori coi loro
discendenti. I primi, considerandoli sottomessi senza alcun esame agli ordini e alle
decisioni dei papi, per il fatto stesso che le decisioni provenissero dai papi, come
arbitri della chiesa universale. Noialtri, considerandoci come trasgressori dei loro
esempi, e quindi accusandoci presso i fedeli che Dio ci ha confidati, di esserci
violentemente separati dai nostri padri, e di non tener conto dei nostri sacri doveri
e della salvezza dei nostri figli spirituali. Poi, appropriandosi come di un suo bene
personale della chiesa universale di Gesù Cristo, col pretesto che egli occupa, come
si vanta, la cattedra episcopale di S. Pietro, vuole ingannare i semplici e strapparli
allortodossia, ripetendo queste parole che suonano così strane allorecchio di
chiunque abbia un po di infarinatura di teologia (p. 10, l. 29): Voi non avete
neppure una ragione o un pretesto per non tornare nel seno della vera chiesa e
nella comunione con questa Santa Sede.
10. Chiunque dei nostri fratelli e dei nostri figli in Gesù Cristo che abbia avuto
uneducazione ed unistruzione religiosa, guidato dalla saggezza che viene dallalto,
senza dubbio capirà leggendo attentamente le parole dellattuale vescovo di Roma,
come del resto quelle dei suoi predecessori dopo lo scisma, che non si tratta, come
egli dice, di parole di pace e di amore paterno (p. 7, l. 18), ma di parole dinganno e
di conquista, non avendo altro scopo che linteresse particolare, secondo
labitudine dei suoi predecessori, tenaci avversari dei concili. ζoi siamo perciò
sicuri che gli ortodossi non si lasceranno trarre in inganno, come hanno fatto fino
ad oggi, poiché abbiamo fiducia nella parola del Signore (Gv XV): Essi non
seguiranno lo straniero, ma lo fuggiranno, poiché essi non riconoscono la voce
degli stranieri.
§ 11. Tuttavia riteniamo nostro dovere paterno e fraterno, nostro sacro
dovere, di confermarvi mediante questa lettera pastorale nellortodossia che avete
avuto dai vostri avi e allo stesso tempo di segnalare brevemente la debolezza dei
ragionamenti del vescovo di Roma, che del resto la sente lui stesso. Infatti, non è
dalla confessione apostolica che egli deduce la gloria della sua sede, ma è dalla sua
sede apostolica che egli fa derivare il primato e da questo primato fa derivare
lautorità della sua confessione. εa le cose non vanno così. θoiché, non soltanto la
sede romana, che per una semplice tradizione si crede sia stata onorata da S.
Pietro, non ha mai avuto alcun diritto di mettersi al di sopra del giudizio delle
sacre Scritture e delle decisioni dei concili, ma questo stesso diritto non è stato mai
attribuito neppure alla sede che, secondo la testimonianza delle Sacre Scritture, è
veramente appartenuta a S. Pietro, vale a dire la sede di Antiochia la cui chiesa è
ricordata in tal senso da S. Basilio (Lettera ad Atanasio il Grande): la chiesa più
importante fra tutte le chiese del mondo; inoltre, il secondo concilio ecumenico
scrivendo al concilio degli occidentali (ai onoratissimi e religiosissimi fratelli e
colleghi Damaso, Ambrogio, Britton, Valeriano ecc.) porta questa testimonianza:
La molto venerabile e veramente apostolica chiesa di Antiochia in Siria, la quale
per prima vide nascere il glorioso nome di cristiano. εa non cè ragione di dire di
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più, quando la persona stessa di S. Pietro è stata giudicata dinanzi a tutti in base
alla verità del Vangelo (Gal. II), e secondo sta scritto, lo stesso S. Pietro è stato
trovato degno di biasimo, e in cammino non secondo la retta via. Che cosa
dobbiamo allora pensare di coloro che si vantano e si inorgogliscono unicamente
perché posseggono la sede a lui attribuita ? In effetti, S. Basilio il Grande, questo
maestro universale dellortodossia nella chiesa cattolica, al quale gli stessi vescovi
di Roma sono obbligati a rinviarci (p. 8, l. 31), ci ha chiaramente e nettamente
spiegato sopra (§ 7), quale stima noi dobbiamo avere dei giudizi del Vaticano. Egli
dice: Questi uomini non conoscono la verità e non tollerano che qualcuno gliela
insegni. Essi litigano con coloro che annunciano loro la verità, e con i loro esempi
incrementano l’eresia. Così dunque, gli stessi santi padri che sua santità cita
ammirandoli a ragione per aver illuminato anche loccidente, e dei quali ci
consiglia di seguire linsegnamento (stessa pagina) ci insegnano che noi non
dobbiamo giudicare lortodossia dalle insinuazioni della Santa Sede, ma che
dobbiamo giudicare la Santa Sede e colui che loccupa, in base alle Sacre Scritture,
le decisioni e i limiti imposti dai concili e sulla base della fede confermata, cioè
secondo lortodossia dellinsegnamento eterno. E secondo questi princìpi che i
nostri padri hanno giudicato e censurato conciliarmente Onorio, papa di Roma,
Dioscoro, papa di Alessandria, Macedonio e Nestorio patriarchi di Costantinopoli,
Pietro, patriarca di Antiochia, ecc. Poiché, se l’abominazione della desolazione può
risiedere ion un luogo sacro, secondo la testimonianza della Scrittura (Dan., IX, 27,
e εt XXIV, 15), perché linnovazione e leresia non potrebbero trovarsi sulla Santa
Sede ? Quanto detto può servire a provare in poche parole linsufficienza e la
debolezza degli altri argomenti (p. 8, l. 9, 11, 14) che vorrebbero affermare il
primato del vescovo di Roma. Poiché, se la chiesa di Gesù Cristo non fosse stata
fondata sulla pietra incrollabile della confessione di Pietro (e questa confessione è
stata la risposta comune di tutti gli Apostoli alla domanda del loro maestro: E voi,
chi credete che io sia? (Mt XVI, 15), confessione consistente nelle parole: Tu sei il
Cristo, il Figlio del Dio vivente (ivi, 16), secondo la spiegazione di tutti i santi padri
delloriente e delloccidente), essa non avrebbe che delle fondamenta vacillanti
anche se poggiasse sulla persona di Pietro, figuriamoci su quella dei papi i quali,
dopo essersi impadroniti in modo esclusivo delle chiavi del regno dei cieli, ne
hanno fatto in seguito un uso che la storia denuncia fin troppo chiaramente.
Quanto al senso della triplice ingiunzione: Pasci le mie pecore, i nostri comuni
maestri, i santi padri, sono concordi nello spiegarle non come una prerogativa data
a S. Pietro rispetto agli altri apostoli e ancor meno ai suoi successori, ma soltanto
come la sua riabilitazione nellapostolato dal quale era decaduto per avere tre volte
rinnegato il suo maestro. S. Pietro stesso sembra che abbia così inteso il senso della
triplice domanda del Signore: Mi ami tu ? e di queste parole: più di costoro ? (Gv
XXI, 16); poiché, ricordandosi ciò che aveva detto al Signore: Anche se tu dovessi
diventare oggetto di scandalo per tutti, non lo sarai mai per me (§ 12), egli si
rattristò sentendosi chiedere per tre volte: Mi ami tu? Ora, i suoi successori non
hanno voluto vedere in queste parole del Salvatore che la straordinaria
benevolenza verso S. Pietro, perché questo conveniva ai loro scopi.
§ 12. Sua Santità dice ancora (p. 8, l. 12) che nostro Signore disse a Pietro (Lc
XXII, 25): Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno. Quando
dunque tu sarai convertito, abbi cura di confermare i tuoi fratelli. La preghiera di
nostro Signore fu proferita a motivo del fatto che Satana cercava di tentare (ivi, 31)
la fede di tutti i discepoli, e il Signore laveva permesso solo nei confronti di Pietro,
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e ciò perché Pietro aveva pronunciato quelle parole presuntuose, stimandosi al di
sopra degli altri discepoli (Mt XXVI, 33), dicendo: Anche se tu diventassi oggetto
di scandalo per tutti gli altri, non lo sarai mai per me. Ma questo permesso del
Signore non fu per un tempo molto lungo: Pietro si mise ad affermare con
giuramento che egli non conosceva affatto quell’uomo. Tanto la natura umana è
debole allorché è abbandonata a sé stessa ! Lo spirito è pieno di zelo, ma la carne è
debole (Mt XXVI, 41). Questo permesso, abbiamo detto, fu temporaneo affinché,
rientrato in sé stesso e tornato al Signore, egli potesse, con la sua conversione con
lacrime di pentimento, confermare maggiormente i suoi fratelli nella loro fede in
colui che essi non avevano rinnegato né ripudiato con un giuramento. I decreti del
Signore sono davvero pieni di saggezza ! E quanto divina e grande fu essa
quellultima notte passata dal Salvatore sulla terra ! Questa stessa cena mistica noi
crediamo che la realizziamo ogni volta sino ad oggi in virtù del comandamento:
Fate questo in memoria di me (Lc XXII, 19), ed altrove: Tutte le volte che voi
mangerete questo pane e berrete questo calice, voi annuncerete la morte del
Signore fino al giorno che ritornerà (Paolo, I Cor. XI, 26). Questo amore fraterno
che a noi tutti è stato raccomandato con tanta insistenza dal maestro: E’ da questo
che tutti vi riconosceranno come miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri (Gv
XIII, 35), questamore di cui i papi hanno per primi lacerato il patto e il pegno,
proteggendo e permettendo delle innovazioni eretiche in contrasto con quanto era
stato insegnato e stabilito dai nostri comuni maestri e padri, è lo stesso amore, noi
diciamo, che agisce sino ad oggi sulle anime dei popoli rimasti fedeli
allinsegnamento di Cristo, e in modo particolare sulle anime dei loro pastori.
Poiché noi dichiariamo pubblicamente dinanzi a Dio e agli uomini, che la
preghiera di nostro Signore a Dio suo Padre che la carità reciproca regni tra i
cristiani tenendoli uniti nel grembo della stessa chiesa, santa, cattolica ed
apostolica, alla quale noi crediamo, che essi siano uno, come noi siamo uno (Gv
XVII, 22), operi in noi come su sua Santità. Qui il nostro affetto e il nostro zelo
fraterno si confondono con quelli di sua santità, con questa sola differenza che noi
ci mettiamo la condizione di conservare intatto e puro il divino, irreprensibile e
perfetto simbolo di fede dei cristiani, secondo la parola del Vangelo e i canoni dei
sette concili ecumenici, e in conformità alla dottrina della chiesa universale,
invariabile nella sua perpetuità, mentre invece sua Santità non vede in questa
unione che dei mezzi per rafforzare e aumentare il potere e la preminenza di coloro
che occupano la sede pontificia, e di estendere lautorità dei loro moderni
insegnamenti. Questo è in fondo il punto centrale della discussione, tale il muro di
separazione che si erge fra loro e noi. Noi speriamo che la divina predizione (ivi, X,
16) : Io ho ancora altre pecore che non sono di questo ovile. Bisogna ugualmente
che io le conduca, ed esse ascolteranno la mia voce (che lo Spirito procede dal
Padre), assecondata dalla saggezza tanto vantata di sua santità, eliminerà nel corso
del suo pontificato, le differenze che ancora ci dividono.
Ed ora, terza considerazione. Supponendo, secondo le parole di sua Santità, che la
preghiera di nostro Signore a favore di Pietro, che doveva poi rinnegarlo mancando
al giuramento, sia relativa ed inerente alla sede di Pietro, e che la sua influenza si
trasmetta a coloro che nel corso del tempo occupino quella cattedra, benché come
abbiamo già detto (§ 11) una simile supposizione non conferma in alcun modo
questa dottrina (come siamo convinti seguendo le Scritture proprio dallesempio di
S. Pietro, persino dopo la discesa dello Spirito Santo), risulta comunque
positivamente dalle parole del Signore, che deve venire un tempo in cui questa
120
preghiera, fatta in previsione del rinnegamento di Pietro, affinché la fede non gli
venisse poi meno, agirà su qualcuno dei suoi successori che, come lui, piangerà
amaramente e, tornando su sé stesso, ci confermerà con altrettanta autorità, noi
suoi fratelli, nella confessione ortodossa che noi abbiamo ricevuto dagli antichi. E
piacesse al cielo che questo vero successore di S. Pietro fosse proprio sua Santità!
Ma a questo umile auspicio da parte nostra è lecito aggiungere un sincero e
cordiale consiglio nel nome della santa chiesa universale ? Senza dubbio noi non
osiamo esprimerci come sua Santità, noi non pretendiamo che si prenda una
decisione così importante senza alcuna preparazione. Noi diciamo al contrario, che
si proceda con cautela, dopo matura riflessione e, se necessario, dopo essersi
consultati con i teologi più sapienti, con i più pii, i maggiori amici della verità e i
più esenti da pregiudizi tra i vescovi i quali, per la grazia di Dio, abbondano
oggigiorno presso tutte le nazioni delloccidente.
§ 13. Sua Santità dice che Ireneo, vescovo di Lione, scrive a lode della chiesa
romana: E’ necessario che ogni chiesa si allinei (ad essa), vale a dire, tutti i fedeli
ovunque si trovino, a causa della preminenza di questa chiesa che ha conservato
fedelmente l’insegnamento trasmesso dagli apostoli su tutto ciò che credono i
fedeli nel mondo. Benché questo padre abbia detto tuttaltro rispetto a ciò che
pensano i partigiani del Vaticano, noi lasceremo che da questo passo si intenda ciò
che loro conviene, e domanderemo loro: Chi nega che lantica chiesa di Roma non
sia stata apostolica ed ortodossa ? Anzi noi rinvieremo, a sua grande lode, a quanto
dice lo storico Sozomeno (Hist. Eccl. L. III, cap. 12) sul modo in cui essa è riuscita
fino ad una certa epoca a consevare lortodossia che noi lodiamo in essa, e che sua
Santità ha omesso : In generale, la chiesa di tutto l’occidente, attenendosi
rigorosamente ai dogmi trasmessi dai nostri santi padri, si è tenuta esente da
ogni divisione e da ogni aberrazione in materia religiosa. Del resto, chi tra i
nostri padri, chi di noi stessi ha giammai negato le sue prerogative canoniche
nellordine della gerarchia, fintato che essa si governava attenendosi al tenore dei
dogmi trasmessi dai nostri padri, aderendo così alla regola infallibile della
Scrittura e dei santi Concili ? εa al giorno doggi noi non troviamo più in essa
conservato né il dogma della santa Trinità, secondo il simbolo dei santi padri
riuniti nel primo concilio di Nicea e nel secondo di Costantinopoli; simbolo che
essi hanno professato, che hanno sanzionato, e di cui la minima deviazione è stata
colpita danatema dai cinque concili successivi. Noi non riscontriamo più in essa il
tipo apostolico del santo battesimo, né linvocazione dello Spirito sui Sacramenti.
Noi vediamo al contrario con dolore che essa considera il calice stesso come
superfluo, e un gran numero di altre cose sconosciute non soltanto ai nostri santi
padri, che sono sempre stati la regola universale e guide infallibili dellortodossia,
come sua Santità stessa insegna in rispetto della verità (p. 2), ma sconosciute agli
stessi padri delloccidente. Una di queste cose è precisamente questa supremazia
per la quale sua Santità combatte con tutte le forze, come hanno combattuto i suoi
successori; supremazia trasformata in sovranità temporale, mentre allinizio era
unautorità fraterna e una prerogativa gerarchica. Che cosa bisogna dunque
pensare di queste tradizioni orali, se le tradizioni scritte hanno subìto un così
drastico cambiamento e una tanto forte alterazione verso il male ? E chi è luomo
che tanto confida nel diritto della Santa Sede da osare dire che, se S. Ireneo
tornasse in vita, vedendo questa chiesa violentemente separata dallantico e primo
insegnamento apostolico su articoli così importanti ed essenziali del cristianesimo,
non si sarebbe opposto, lui per primo, alle innovazioni ai decreti arbitrari di questa
121
stessa chiesa romana, così giustamente allora da lui lodata, in quanto si governava
attenendosi strettamente ai dogmi dei nostri padri ? Vedemdo, ad esempio, la
chiesa romana che non si accontenta di rigettare dalla sua liturgia, istigata da
qualche falso dottore, la tanto antica ed apostolica invocazione dello Spirito Santo,
mutilando così pietosamente la liturgia proprio nella sua parte più essenziale, va
oltre sforzandosi continuamente di farla rigettare anche dalle altre liturgie delle
altre comunioni cristiane, pretendendo falsamente, in maniera indegna della sede
apostolica della quale tanto si vanta, che questo uso si è introdotto dopo la
separazione (p. 11, l. 11). Che direbbe di questa innovazione il nostro santo padre,
egli che assicura (Iren. Lib. IV, cap. 34, ed. Massuet, 18) che: il pane terreno, preso
sotto l’invocazione di Dio, non è più un pane ordinario, ecc. Francesco Feu
Ardentius, dellordine dei monaci latini chiamati frati εinori, che pubblicònel 1639,
con dei commenti le opere di questo santo, segnalò nel cap. 18 del primo libro, p.
114, che santIreneo credeva che il sacramento della divina liturgia non era
compleyo senza questa invocazione: Panem et calicem commixtum per
invocationis verba corpus et sanguinem Christi vere fieri. Il pane delleucarestia
ed il vino mescolato con lacqua nel calice si trasformano davvero con le parole
dellinvocazione in corpo e sangue di Gesù Cristo (santIreneo). Che direbbe poi
riguardo al vicariato terreno e allarbitraggio universale che i papi si arrogano, lui
che, in occasione della controversia di non grande importanza come la data della
Pasqua (Eusebio, Storia Ecclesiastica, V, 26), riuscì con le sue energiche e
vittoriose rimostranze a mettere a tacere le pretese del papa Vittore che rivelavano
disprezzo per la libertà cristiana nella chiesa di Gesù Cristo. Così, proprio colui che
sua Santità porta a testimone della supremazia della Chiesa romana, dichiara che il
suo diritto non è quello di un sovrano e neppure arbitrale, cosa che S. Pietro stesso
non ha mai preteso, ma una semplice presidenza tra fratelli allinterno della Chiesa
universale, un onore concesso ai papi per lantichità e la gloria della città. E così
che il quarto concilio ecumenico, occupandosi dellindipendenza delle chiese,
regolata dal terzo concilio ecumenico (can. 8) e seguendo i principi del secondo
concilio (can. 3), appoggiandosi sul primo concilio ecumenico (can. 6), che
definisce il potere arbitrale del papa sulloccidente un costume, proclama che i
padri hanno dato a giusta ragione la preminenza al vescovo di Roma, perché
questa città era la capitale dell’Impero (can. 28), senza quindi dire una sola parola
sulla pretesa origine apostolica risalente a S. Pietro, e ancor meno del vicariato dei
suoi vescovi e del diritto di essere pastore universale. Un così profondo silenzio
intorno a prerogative tanto importanti, e ancor più sulle cause a cui si fanno
risalire, vale a dire alle parole: Pasci le mie pecore, oppure Su questa pietra
edificherò la mia chiesa. Il riferimento è invece unicamente al ΟcostumeΠ e alla
circostanza che questa città era capitale dell’impero, e queste stesse prerogative
così spiegate, concesse non dal Signore, ma dai padri, appariranno, ne siamo sicuri,
tanto più straordinarie a sua Santità avendo egli tuttaltra idea della loro origine (p.
8, l. 16), rispetto a come la vediamo noi (§ 15), che invece troviamo la corretta
interpretazione nel quarto concilio ecumenico. S. Gregorio Dialogo,
soprannominato ΟεagnoΠ, era solito dire che questi quattro concili ecumenici
erano come i quattro vangeli e pietra angolare sulla quale è edificata la chiesa
universale.
§ 14. Sua Santità dice che i Corinti (p. 10, l. 12), avendo opinioni discordanti,
si rivolsero a Clemente, papa di Roma, che comunicò loro per iscritto il suo
giudizio sulla questione. I Corinti tennero la sua opinione in grande stima, al punto
122
da leggerla nelle chiese. Ma questa circostanza è un argomento abbastanza debole
a favore dellautorità dei papi nella casa di Dio, poiché allora Roma era sede del
governo, la capitale ove risiedevano gli imperatori. Era abbastanza ovvio quindi
che ogni affare di una qualche importanza, come appare questa differenza di
opinioni tra i Corinti, fosse giudicato lì, soprattutto se una delle parti volesse
sottomettere la soluzione delle differenze ad un intervento esterno. Ciò accade
anche oggi. I patriarchi di Alessandria, di Antiochia, di Gerusalemme nei casi
straordinari e difficili scrivono al patriarca di Costantinopoli, poiché questa città è
la sede dellImpero e a motivo della presidenza di questa sede nei sinodi. E se il
concorso fraterno aiuta a risolvere le perplessità, tutto finisce lì. Altrimenti ci si
rivolge al potere temporale a norma di legge. Ma questo concorso fraterno negli
affari della fede cristiana non si esercita a spese dellasservimento delle chiese di
Dio. Noi possiamo dirlo apportando esempi da S. Atanasio il Grande e da S.
Giovanni Crisostomo (p. 9, l. 5, 17). Sua Santità vuole dedurre la prova dellautorità
fraterna dovuta alle prerogative dei vescovi di Roma riferendosi ai papi Giulio e
Innocenzo. I successori di questi papi vogliono costringerci a riconoscere ancora
oggi questa autorità anche nellalterazione del simbolo divino. Tuttavia noi
vediamo che questo stesso Giulio si irritava contro alcuni uomini del suo tempo
che turbavano la chiesa non attenendosi ai dogmi di Nicea (Socrate, Storia
Ecclesiastica, l. III, cap. 7) minacciandoli di non aver più pazienza nei loro
confronti a meno che non la smettessero di introdurre novità. Bisogna inoltre
notare nellaffare dei Corinti, di cui si è parlato prima, che, non essendoci allora
che tre sedi patriarcali, qualla di Roma era la più vicina ai Corinti e la più
conveniente dopo la divisione dellImpero in province. Era dunque a questa sede
che dovevano rivolgersi secondo i canoni. Da tutto ciò che precede non si può
dedurre alcunché di fuori della norma, nulla che dimostri lautorità assoluta del
papa nella libera chiesa di Dio.
§ 15. Sua Santità dice che nel 4° Concilio ecumenico (stessa pagina, l. 20),
che per errore dice di Carchedon, dopo la lettura della lettera di Leone Magno, i
padri gridarono: Pietro stesso ha parlato per bocca di Leone! Questo è
perfettamente vero. Ma sua Santità non avrebbe dovuto passare sotto silenzio
come e dopo quale approfondito esame i nostri padri elevarono le loro lodi a Leone.
Ma poiché sua Santità, forse per non essere troppo lungo, lascia incompleto il
racconto di questo avvenimento così importante e che prova in una maniera che
più evidente non si può la superiorità del concilio non solo sul papa, ma anche al
suo collegio, noi vogliamo far conoscere ai fedeli tutto ciò che è veramente
avvenuto in quel consesso. Su più di 600 padri riuniti al concilio di Calcedonia,
200, i più istruiti, furono incaricati di esaminare la lettera e lo spirito della lettera
di Leone, e quindi esprimere per iscritto e con tanto di loro firma un giudizio su di
essa, se era o meno ortodossa. Le opinioni motivate di ogni vescovo, 200 di
numero, sono riportate letteralmente, soprattutto nei verbali della quarta sessione
del detto concilio. Eccone qualche esempio:
Massimo, vescovo di Antiochia in Siria, dice: La lettera del venerabile
arcivescovo della città capitale di Roma, Leone, è consona a tutto ciò che è stato
esposto dai 318 venerabili padri di Nicea, dai 150 di Costantinopoli, nuova Roma,
e con la fede esposta ad Efeso dal santo vescovo Cirillo. Io la firmo. E ancora:
Teodoreto, vescovo di Ciro: La lettera del venerabile arcivescovo Leone si
accorda con la fede esposta a Nicea dai venerabili padri e con il simbolo di fede
123
dettato a Costantinopoli dai 150 padri e con le lettere del venerabile Cirillo. Di
conseguenza, assentendo alla suddetta lettera,ho firmato.
E così di seguito si esprimono anche gli altri padri: La lettera si accorda, la lettera
è consona al senso, ecc. E dopo un così grande e minuzioso esame, dopo averla
confrontata coi dogmi dei santi concili precedenti, dopo essersi pienamente
convinti della correttezza dei pensieri, e non semplicemente perché era una lettera
del papa, che essi proferirono senza alcuna esitazione la famosa esclamazione di
cui si vanta e si orna sua Santità. Ma se sua Santità ci avesse mandato lui stesso dei
pensieri in accordo con i sette primi concili ecumenici, invece di vantarsi della
religiosità dei suoi predecessori alla quale i nostri predecessori e i nostri padri
hanno reso omaggio in pieno concilio ecumenico, allora avrebbe avuto motivo di
vantarsi della sua propria ortodossia. Invece di proclamare le belle azioni dei suoi
padri, avrebbe mostrato le sue proprie. Dipende perciò da sua Santità, ancora oggi,
linviarci dei pensieri che 200 padri, dopo averli esaminati e confrontati, li
troveranno in perfetto accordo coi primi sette concili ecumenici. Dipende,
ripetiamo, da Lei sentirsi dire ancora oggi da noi umili peccatori non soltanto le
parole: Pietro stesso ha parlato per la sua bocca, ma anche queste: Stringiamo la
mano venerabile che ha asciugato le lacrime della chiesa universale.
§ 16. Ci si può attendere da sua Santità, dallalto della sua intelligenza,
unopera così grande, degna di un vero successore di San θietro, di δeone I e δeone
III, il quale per conservare intatta la fede ortodossa fece incidere il divino simbolo
su delle tavole affinché resistesse a qualsiasi attentato. Questopera riunirebbe le
chiese dellηccidente alla santa chiesa universale nella quale la presidenza
canonica di sua Santità e le sedi di tutti i vescovi delloccidente restano vacanti, ma
pronte ad essere loro rese. Poiché la chiesa universale, sempre disposta ad
accogliere il ritorno dei pastori che hanno disertato con i loro greggi, non ordina
sotto un altro nome degli intrusi per le sedi che di fatto sono già occupate da altri,
facendo commercio del ministero sacerdotale. Noi aspettiamo questo appello e su
di esso fondiamo le nostre speranze al fine, come scriveva S. Basilio a S. Ambrogio,
vescovo di Milano (Lettera 55), di ricostituire le antiche orme dei nostri padri,
quando, leggendo, non senza grande sorpresa, la lettera enciclica ai cristiani
doriente, abbiamo visto con indicibile dolore, sua Santità tanto elogiata per la sua
saggezza, seguire lesempio dei suoi predecessori dopo lo scisma e parlare un
linguaggio innovativo: cioè falsare il nostro divino irreprensibile simbolo già
irrevocabilmente fissato dai concili ecumenici, violare le sante liturgie la cui celeste
organizzazione, i nomi della sua sistemazione, lo stile dellaugusta antichità e la
consacrazione data nel settimo concilio ecumenico (sessione VI), avrebbero da soli
fatto inaridire e ritirare la mano sacrilega e pronta a tutto osare, che colpì il
Signore sul volto. Da tutto ciò abbiamo potuto giudicare in quale labirinto di errori,
in quale circolo vizioso il papismo ha gettato anche i più saggi e i più pii vescovi
della chiesa romana, affinché essi non conservassero altro che il dogma
dellinfallibilità e di conseguenza la pretesa al vicariato e al primato assoluto con
tutto ciò che ne consegue, calpestando tutto ciò che cè di più sacro, attaccando
tutto con estrema audacia, il tutto affettando a parole il rispetto per la venerabile
antichità (p. 11, l. 16), ma conservando di fatto nel fondo del cuore tutto
limplacabile furore degli innovatori contro le cose sante, come si nota da queste
parole: Bisogna rigettare dalle liturgie tutto ciò che è stato introdotto dopo lo
scisma !! ecc. (p. 11), allargando così il veleno delle novità fin sulla celebrazione
della santa Cena. Sembra, da queste parole di sua Santità, che è accaduto alla
124
chiesa cattolica ortodossa ciò che egli sa benissimo che è accaduto nella chiesa
romana dopo il papismo, cioè i gravi cambiamenti in tutti i sacramenti e la loro
alterazione mediante le sottigliezze scolastiche, sulle quali si basa per affermare
che le nostre sante liturgie, i nostri sacramenti, i nostri dogmi hanno ugualmente
patito. Tuttavia, sua Santità rispetta comunque la loro venerabile antichità, e
usando unindulgenza interamente apostolica, non vuole affatto, come dice,
affliggerci con una rigorosa prescrizione. E da una simile ignoranza delle usanze
apostoliche e cattoliche conservate presso di noi che proviene certamente questa
altra asserzione (p. 7, l. 22):
Voi non avete potuto conservare tra di voi l'unità della dottrina e del governo
ecclesiastico. Sua santità attribuisce a noi la sua propria malattia. E proprio così
che Leone IX scrisse una volta al beato Michele Cerulario, accusando i greci, senza
alcun rispetto per la sua dignità né per la verità storica, di avere alterato il simbolo
della chiesa universale. Siamo convinti che se sua Santità richiamasse alla
memoria l'archeologia ecclesiastica e la storia, l'insegnamento dei santi padri e le
antiche liturgie della Gallia e della Spagna e il breviario dell'antica chiesa di
Roma, rimarrà sorpreso di scoprire a quante altre mostruosità ancora in atto ha
dato adito il papismo in occidente mentre l'ortodossia ha conservato in mezzo a
noi la chiesa universale come una fidanzata senza macchia per il suo celeste
sposo, benché noi non siamo sostenuti da alcun potere secolare, che sua santità
qualifica come governo ecclesiastico (p. 7, l. 23), non avendo altro legame tra di
noi se non quello di una vicendevole carità né altra garanzia di unità se non la
nostra pietà filiale verso la comune madre. E questa pietà filiale è la sorgente
della nostra obbedienza alla verità e alla dottrina segnata dai sette sigilli dello
Spirito (Apoc. V, 1), vale a dire i sette concili ecumenici. Sua Santità riconoscerà
allora quanto sia necessario rigettare gli insegnamenti e i riti del papato in quanto
non sono che comandamenti umani, affinché la chiesa delloccidente, che ha
apportato innovazioni in tutti i campi, possa riavvicinarsi alla inalterabile fede
cattolica ortodossa dei nostri comuni padri, per la quale ella stessa dice (p. 8. l. 30)
di conoscere il nostro zelo nel vegliare sulla dottrina trasmessa dai nostri avi. Ella
fa bene a raccomandarci (ivi, l. 31) di seguire gli antichi vescovi e i fedeli delle
province d’oriente. Questi vescovi ci hanno prescritto conciliarmente (§ 15) ed il
divino Basilio ci ha chiaramente spiegato (§ 17) come essi intendevano lautorità
magisteriale dei vescovi dellantica Roma, e quale idea dobbiamo farcene nella
chiesa ortodossa, e in che modo dobbiamo accogliere le loro dottrine. Questo
stesso Basilio il Grande, per non incamminarci qui in una inopportuna
dissertazione, ci farà capire con poche parole ciò che egli pensava della
supremazia dei pontefici romani. Egli dice: Io volevo scrivere al loro capo (ivi).
§ 17. Da quanto detto, chiunque abbia un po di dimestichezza con la sana
dottrina cattolica, a maggior ragione sua Santità, può dedurne quanto sia empio e
contrario ai decreti dei concili osare attentare ai nostri dogmi, alle nostre liturgie e
alle altre nostre sante pratiche, che sono stati riconosciuti contemporanei alla
predicazione cristiana primitiva, e sono stati considerati sempre e rispettati come
inviolabili, anche dagli stessi antichi papi ortodossi, che li avevano in comune con
noi. Al contrario, è davvero molto salutare e conforme alla pietà correggere le
innovazioni la cui data di nascita negli annali della chiesa romana ci è ben nota, e
contro le quali i nostri padri hanno da tempo protestato. Vi sono poi altre ragioni
che militano a favore delle riforme indicate e che le presentano a sua Santità come
molto opportune: innanzitutto, il fatto che i nostri dogmi erano un tempo molto
125
venerati anche dagli occidentali, i quali avevano le stesse pratiche religiose e
confessavano lo stesso simbolo, mentre i nuovi dogmi non erano neppure
conosciuti dai nostri padri e non si possono neppure appoggiare sugli scritti dei
padri ortodossi delloccidente, e non potrebbero essere raccomandabili né per
lantichità né per la loro cattolicità. In seguito, da noi le innovazioni non hanno
potuto introdurle né i patriarchi né i concili: poiché da noi la salvaguardia della
religione risiede nel corpo intero della Chiesa, vale a dire nel popolo stesso che
vuole che il dogma religioso resti eternamente immutabile e conforme a quello dei
θadri, come lhanno provato nei fatti vari papi dopo lo scisma e alcuni patriarchi
fautori del papato, che non hanno potuto raggiungere alcun risultato. Nella chiesa
occidentale al contrario, benché a diverse riprese i papi, con o senza difficoltà,
abbiano legittimato le innovazioni per opportunità, come dicevano per giustificarsi
con i nostri padri, benché smembrando così il corpo di Gesù Cristo, allo stesso
modo oggi un papa, questa volta per una veramente giusta opportunità divina, ,
può, non rattoppando pezzi di stoffa sfilacciati, ma ricucendo ricucendo la tunica
lacerata del Salvatore riedificare la venerabile antichità che sola è in grado di
conservare la vera devozione, come dice sua Santità (p. 11, l. 16). Se è vero che egli
onora come dice (ivi, l. 14) e come fecero un tempo i suoi predecessori (Celestino,
al tempo del 3° concilio ecumenico). Desinat novitas incessere vetustatem: Che le
novità cessino dal deturpare lantichità. Che la chiesa cattolica rinunci almeno a
questo vantaggio della presunta infallibilità dei decreti del papa! In verità, in una
simile impresa, Pio IX, per quanto grande sia la sua saggezza, e per la pietà e lo
zelo che egli testimonia per lunità cristiana nella chiesa universale, vedrà tuttavia
sorgere da ogni parte ostacoli ed innumerevoli sofferenze. E qui siamo però
obbligati, ed egli non ce ne voglia, a ricordare a sua Santità il passaggio della sua
lettera (p. 18, l. 32): In tutto ciò che riguarda la santa religione non c’è male che
non si debba sopportare per la gloria di Gesù Cristo e per la rimunerazione nella
vita futura. Dipende da sua Santità manifestare davanti a Dio e agli uomini che se
egli prende liniziativa dei pii consigli, egli è ugualmente pronto, anche a danno dei
propri interessi, a vendicare lautorità disconosciuta dei Vangeli e dei Concili, al
fine di ergersi così, secondo lespressione del profeta: Sovrano nella pace e
pontefice nella giustizia. E così sia. Ma, in attesa di questo ritorno tanto desiderato
delle chiese separate dal corpo della santa Chiesa una, cattolica ed apostolica di cui
Gesù Cristo è il capo (Paolo, Efesini, IV, 15), e ciascuno di noi sue membra, ogni
consiglio che viene dalla sua parte e ogni esortazione che attenti allirreprensibile
fede che abbiamo ricevuto dai nostri padri, sono giustamente condannati
conciliarmente, non soltanto come sospetti e degni di essere rigettati, ma anche
come erronei e in grado di mettere in pericolo la salvezza dellanima. A questa
categoria devessere annoverata in prima linea la suddetta ΟLettera enciclica ai
Cristiani d'OrienteΠ del vescovo dell'antica Roma, papa Pio IX: e noi la
proclamiamo tale nella Chiesa universale.
§ 18. Ecco perché cari fratelli e coadiutori della nostra mediocrità, abbiamo
sempre creduto e a maggior ragione ora, in occasione della promulgazione delle
suddetta enciclica, riteniamo nostro grave dovere, sotto pena di responsabilità
patriarcale e collettiva, ad evitare che nessuno si perda del sacro ovile della chiesa
cattolica ortodossa, nostra santa madre, di ricordare a tutti ogni giorno e di
esortarvi a riflettere, allo scopo di rammentarci costantemente e di ripeterci gli uni
agli altri le parole e le esortazioni di S. Paolo ai nostri predecessori convocati ad
Efeso: State in guardia voi stessi ed il gregge sul quale lo Spirito Santo vi ha
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costituiti vescovi per governare la chiesa di Dio che egli ha riscattato col suo
sangue. Poiché so che dopo la mia partenza tra voi entreranno dei lupi rapaci che
non risparmieranno il gregge, e che tra voi stessi sorgeranno persone che
proporranno dottrine corrotte, allo scopo di conquistarsi dei discepoli. Perciò,
state vigili (Atti XX). Un giorno, i nostri predecessori e i nostri padri, avendo
compreso questi celesti ammonimenti, versarono lacrime abbondanti, e gettandosi
al collo (di Gesù) più volte le abbracciavano. Allo stesso modo noi, o fratelli, docili
ai consigli dellapostolo e santificati dalle lacrime, andiamo tutti insieme a gettarci
al suo collo, e cerchiamo di consolarlo con le nostre strette filiali e con la nostra
formale promessa che mai nessuno ci separerà dallamore di Gesù Cristo, mai
nessuno ci allontanerà dallinsegnamento evangelico, mai nessuno ci stornerà
lontano dalla via tracciata dai nostri padri, allo stesso modo in cui nessuno poté
portarli fuori strada, malgrado tutti gli sforzi messi in atto a diverse epoche da
coloro che il tentatore suscita a tale scopo. In tal modo meriteremo di sentire dal
nostro maestro queste parole: Bene, servo buono e fedele, ricevendo il salario della
fede, cioè la salvezza della nostra anima e quella del gregge spirituale di cui lo
Spirito Santo ci ha costituiti pastori.
§ 19. Questo comandamento apostolico e questa esortazione li trasmettiamo
per il vostro tramite a tutta la comunità ortodossa su tutta la faccia della terra, ai
sacerdoti regolari e secolari, ai diaconi e ai monaci, in una parola a tutto il clero e a
tutto il popolo dei fedeli, ai governanti e ai governati, ai ricchi e ai poveri, ai padri e
ai figli, ai maestri e agli allievi, agli istruiti e agli ignoranti, ai padroni e ai servi, al
fine che tutti, prestandoci mutuamente forze e consigli, possiamo resistere alle
macchinazioni del demonio. θoiché così ci esorta tutti ugualmente lapostolo
Pietro (Ep. II): Astenetevi e state vigili, perché il vostro nemico spirito delle
tenebre, come un leone che ruggisce, vaga alla ricerca della preda da divorare.
Voi gli resisterete consolidandovi nella fede.
§ 20. La nostra fede non viene dagli uomini, o fratelli, ma dalla rivelazione
di Gesù Cristo. Essa è stata proclamata dai santi Apostoli, confermata dai santi
concili ecumenici, trasmessa poi dai dottori e grandi maestri universali, e sigillata
dal sangue dei martiri. Conserviamo perciò la nostra professione di fede che
abbiamo ricevuto intatta da sì grandi uomini, fuggendo qualsiasi innovazione come
suggerita dal demonio. Colui che accetta un'innovazione accusa d'insufficienza la
fede proclamata ortodossa. Ma questa fede è segnata col sigillo della perfezione, e
non è perciò suscettibile né di aggiunte né d'alterazione alcuna. E chi osasse fare
una cosa simile o consigliare o meditare un atto simile, ha già di per sé rinnegato la
fede di Gesù Cristo e si è procurato volontariamente l'anatema come
bestemmiatore dello Spirito Santo, che verrebbe così accusato di aver
dogmatizzato in modo incompleto nelle Sacre Scritture e nel ministero dei sette
concili ecumenici. Questo terribile anatema, cari fratelli e figli in Gesù Cristo, non
siamo noi a pronunciarlo oggi, ma è stato nostro Signore in persona a pronunciarlo
per primo (Mt XII, 32): Se qualcuno vi viene a parlare contro lo Spirito Santo,
non gli sarà perdonato né in questo secolo né nel secolo a venire. Lo ha dichiarato
S. Paolo (Gal. I, 6): Mi sorprende che abbandonando colui che vi aveva chiamati
alla grazia di Gesù Cristo siate passati così rapidamente ad un altro vangelo.
Non che esista un altro vangelo, ma vi sono persone che vi turbano e che vogliono
stravolgere il Vangelo di Gesù Cristo. Ma se qualcuno vi annuncia un altro
Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato noi, anche se fossimo noi
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stessi o un angelo del cielo, che sia anatema. Esso è stato pronunciato dai sette
concili ecumenici e dallintera schiera dei santi padri. Quindi tutti gli innovatori
per eresia o per scisma hanno indossato, come dice il salmista (Ps. CVIII, 17) la
maledizione come un indumento, siano essi stati papi, patriarchi, chierici o laici.
Se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato
noi, anche se fosse un angelo del cielo, che sia anatema. Con questi pensieri, e in
obbedienza alle salutari parole di Paolo, i nostri padri sono rimasti fermi e
incrollabili nella fede che è stata loro trasmessa per successione, ed essi lanno
conservata immutata e senza macchia in mezzo a tante eresie, e ce lhanno
trasmessa pura e senza alterazioni come è uscita dalla bocca dei primi servitori del
Verbo. Compenetrati della stessa convinzione, noi la trasmetteremo pura a nostra
volta alle generazioni future, al modo in cui labbiamo ricevuta, senza cambiarla in
nulla, affinché anchessi possano, come noi, parlare a fronte alta e senza vergogna
della fede degli antenati.
§ 21. Così, cari fratelli e figli in Gesù Cristo, avendo purificato le nostre
anime nellobbedienza alla verità, seguendo lapostolo (I θietro I, 22), dobbiamo
prestare grande attenzione alle cose che abbiamo ascoltato, nel timore che non le
lasciamo disperdere (Ebr. II, 1). La fede e la professione che noi abbiamo è
irreprensibile, poiché essa è insegnata nel Vangelo dalla bocca stessa del nostro
Salvatore, confermata dai santi apostoli e dai sette concili ecumenici, proclamata
su tutta la terra, confermata dagli stessi suoi nemici prima che si separassero
dallortodossia per gettarsi nelle eresie, quando essi stessi e i loro padri avevano
questa medesima fede. Questa è attestata dalla storia di tutti i tempi, come
trionfatrice di tutte le eresie che lhanno perseguitata e ancora la perseguitano,
come potete vedere, fino ai nostri giorni. La lunga successione dei nostri santi
padri e predecessori, cominciando dagli apostoli e da coloro che gli apostoli hanno
designato come loro successori fino ad oggi, formando una catena indissolubile e
tenendosi tutti per mano costituisce una sacra muraglia di cui Gesù Cristo è la
porta e all'interno della quale tutto il gregge ortodosso trova gli alimenti della vita
nelle fertili praterie del mistico Eden, e non nei sentieri scoscesi e senza uscita,
come crede invece sua Santità (p. 7, l. 12). La nostra chiesa conserva intatti gli
oracoli delle Sacre Scritture, la vera e completa traduzione dellAntico Testamento,
e il sacro testo originale del Nuovo. I riti della celebrazione dei santi sacramenti, in
particolare quelli della sacra liturgia, riflettono le stesse solenni e commoventi
cerimonie trasmesse dagli apostoli. Nessuna nazione, nessuna comunione cristiana
può vantarsi di avere per maestri Giacomo, Basilio, Crisostomo. I venerabili concili
ecumenici, sette vere colonne della casa della sapienza, sono sorti nella nostra fede
e nei nostri paesi. La nostra chiesa possiede gli originali dei loro sacri canoni. I suoi
pastori, il suo venerabile corpo sacerdotale, il suo ordine monastico, conservano
questa antica e pura rigorosità dei primi secoli del cristianesimo sia in rapporto
alla dignità sacerdotale di cui sono insigniti sia nella loro esistenza collettiva, sino
alla semplicità delle loro vesti. Sì, è proprio contro questo ovile che si sono
continuamente riversati e si riversano, come vediamo anche ai nostri giorni, i lupi
rapaci secondo la predizione dellapostolo; il che prova che le vere pecorelle del
supremo pastore si trovano proprio in questo ovile. Ma sempre è risuonato e
continua a risuonare fino alla fine dei secoli il cantico glorioso: Essi mi hanno
circondato e mi hanno accerchiato, ma io li ho respinti nel nome del Signore
(Salmo 117, 11). Aggiungiamo un ricordo, benché alquanto penoso, ma utile per la
dimostrazione e la conferma delle verità delle nostre parole: Tutte le nazioni
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cristiane, che noi oggi vediamo vantarsi del nome di Gesù Cristo, senza eccettuare
loccidente, e la stessa città di Roma, come si può constatare dal catalogo dei primi
papi, tutti sono stati istruiti nella vera fede di Gesù Cristo dai nostri santi padri e
predecessori, benché in seguito a causa di uomini astuti, di cui parecchi erano
pastori e pastori supremi di queste nazioni, abbiano osato con argomenti
miserabili e con dogmi eretici insudiciare, ohimé, lortodossia di questi popoli,
come insegna la vera storia e come era stato predetto da S. Paolo.
§ 22. Riconosciamo dunque fratelli e figli nello Spirito la grandezza della
grazia accordata da Dio alla nostra fede ortodossa e alla sua santa Chiesa, una,
cattolica e apostolica che, come una madre, irreprensibile agli occhi dello sposo, ci
rende capaci di rispondere senza arrossire e la nobile certezza della speranza che è
in noi. Ma come potremo ricambiare al Signore, noi peccatori, per tutto ciò che egli
ci ha donato ? Nostro Signore, che non ha bisogno di nulla, il nostro Dio che ci ha
redenti con il suo sangue, non ci chiede altro che la nostra fedeltà con tutto il
nostro cuore e tutta la nostra anima verso la fede irreprensibile dei nostri padri, il
nostro amore e il nostro affetto nei confronti della Chiesa ortodossa che ci ha
purificati, non con una aspersione inventata recentemente, ma con la divina
immersione del battesimo apostolico, a questa chiesa che ci ha nutriti secondo
limmortale testamento del nostro Salvatore, con il proprio corpo e che, come una
vera madre, ci disseta abbondantemente col prezioso sangue che egli ha versato
per la nostra salvezza e per la salvezza del mondo. Mettiamoci dunque attorno ad
essa come fanno gli uccellini con la loro madre, in qualunque parte della terra ci
troviamo, al Nord o al mezzogiorno, in oriente come in occidente. Rivolgiamo i
nostri occhi del corpo e dello spirito sulla sua vista divina, sulla sua splendente
bellezza. Restiamo attaccati con le nostre mani alla sua tunica luminosa che, con le
proprie mani, gli ha cucito la bellissima sposa che egli ha liberato dalla schiavitù
dellerrore e che egli ha adornato come sua eterna sposa. Risentiamo nelle nostre
anime il mutuo doloroso sentimento di una tenera madre e di dolci figli, nel
momento in cui uomini dal cuore di lupi e dei trafficanti di anime si protendono a
trascinarla nuovamente in schiavitù, o a rapirla come pecorella strappata alla
madre. Fortifichiamo soprattutto questo sentimento, chierici e laici, ora che il
nemico spirituale della nostra salvezza, offrendo delle ingannevoli agevolazioni (p.
11, l. 2, 25), utilizza strumenti tanto potenti e vaga in ogni luogo, secondo le parole
di S. Pietro, cercando la preda da divorare; oggi che nella via in cui camminiamo
pacificamente e senza malizia, egli sistma le sue trappole.
§ 23. Che il Dio della pace, che ha fatto risorgere dai morti il grande pastore
delle sue pecore, il pastore che non dorme e che nella guardia d’Israele non
s’addormenterà, custodisca i vostri cuori e i vostri pensieri, e diriga le vostre vie
verso azioni virtuose! State bene e gioite nel Signore!
Costantinopoli, maggio 1848, indizione VI.
Seguono le sottoscrizioni:
Antimo, per la grazia di Dio, arcivescovo di Costantinopoli, nuova Roma e
patriarca ecumenico, fratello in Gesù Cristo. Ieròtheos, per la grazia di Dio,
patriarca di Alessandria e di tutto l'Egitto, fratello in Gesù Cristo. Methòdios, per la
grazia di Dio patriarca della grande città di Dio Antiochia e di tutto l'Oriente,
fratello in Gesù Cristo. Kìrillos, per la grazia di Dio, patriarca di Gerusalemme e di
tutta la Palestina, fratello in Gesù Cristo.
Il santo Sinodo di Costantinopoli:
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Paisio, vescovo di Cesarea, Antimo, vescovo di Efeso, Dionigi, vescovo di Eraclea,
Gioacchino, vescovo di Cizico, Dionigi, vescovo di Nicomedia Ieròtheos, vescovo di
Calcedonia, Neòfito, vescovo di Derkos, Geràsimos, vescovo di Adrianopoli Kirillos,
vescovo di Neocesarea, Theòklitos, vescovo di Berrea, Melètios, vescovo di Pisidia,
Atanasio, vescovodi Smirne, Dionigi, vescovo di Melenico, Paisio, vescovo di Sofia,
Daniele, vescovo di Lemnos, Panteleìmon, vescovo di Dryinopoli, Giuseppe,
vescovo di Erseca, Antimo, vescovo di Bodenes,
Il santo sinodo di Antiochia:
Zaccaria, vescovo di Arcadia, Methòdios, vescovo di Emesa, Gioannichio, vescovo
di Tripoli, Artémios, vescovo di Laodicea.
Il santo sinodo di Gerusalemme:
Melétios, vescovo di Petra in Arabia, Dionigi, vescovo di Betlemme, Filemone,
vescovo di Gaza, Samuele, vescovo di Naplous, Taddeo, vescovo di Sebaste,
Gioannichio, vescovo di Filadelfia, Ieròtheos, vescovo del monte Tabor.
130
VII
Lettera del patriarca ecumenico Gioacchino III
alle chiese ortodosse
1902, giugno 12.
Ai beatissimi e santissimi patriarchi di Alessandria e di Gerusalemme ed alle
santissime sorelle in Cristo Chiese autocefale in Cipro, Russia, Grecia, Romania,
Serbia e Montenegro156.
Nelle lettere di pace che ci hanno inviato i santissimi capi delle venerate Chiese
ortodosse autocefale, in risposta al nostro annunzio della nostra, per benevolenza
di Dio, elezione ed elevazione al santissimo apostolico e patriarcale Trono
Ecumenico, lieti abbiamo osservato il vetustissimo e saldo legame spirituale, con
tutta prontezza e potente ardore manifestato, e parole di carità evangelica con
grande zelo pronunciate e voti ardenti elevati a Dio per questa anziana per nascita,
santa e grande Chiesa di Cristo, loro sorella zelantissima nella fede e nella speranza
e nella carità.
Questa armoniosa presentazione, come in sacro coro, dei fratelli in Cristo insieme
preganti, che ha commosso la nostra anima, ci ha maggiormente infiammati per
una piú frequente e giovevole comunione ed ha ispirato in noi piú fertili speranze
di coltivazione dei rapporti tra loro delle Chiese omodosse, per una piú fulgida ed
abbondante fruttificazione religiosa.
Abbiamo accolto le piene di saldi propositi e di zelo divino e decisamente raccolto
nel seno le schiette assicurazioni fraterne delle santissime Chiese, tra cui la
santissima sorella che possiede la dignità di anzianità tra le Chiese degli stati
ortodossi, cioè la Chiesa ortodossa di tutte le Russie, la quale ci è stata portatrice di
grande consolazione, dicendo ed assicurando quanto segue: «Il vostro appello a
noi indirizzato ed alle altre Chiese autocefale per la pace e carità fraterna e
reciproca comunione incontrerà viva risonanza e simpatia nei cuori di tutti i
cristiani ortodossi, sinceramente affezionati alla loro Chiesa madre. Separati per la
storia e per la differenza delle lingue e delle nazionalità, le sante Chiese locali di
Dio trovano la loro unità nel reciproco amore e nella stretta comunione tra loro,
coraggio e forza attingono per progredire nella fede e nella conoscenza di Dio e
respingere le insidie dell'avversario e per la predicazione universale del Vangelo».
E lo stesso spirito di fratellanza e di unità, che scorre dalla divina fluente fonte del
156
Il testo greco si può trovare in Giovanni Karmiris,
α
α
ῖα
α
α , vol. II, Graz (Austria) 1968, pp. [1034-1044]. La traduzione
italiana qui riportata è tratta dal testo di Gennadios Zervos, Il contributo del Patriarcato
ecumenico per l’unità dei cristiani, Città Nuova, Roma 1974, pp. 229-236. δho mantenuta
intatta anche laddove litaliano non è particolarmente scorrevole.
131
Vangelo, vivamente spira, con simili parole e significati nelle preziose lettere di
tutte le altre Chiese sorelle, che ci dà veramente coraggio e forza, offrendo giuste
occasioni per chiedere, secondo lantico ben posto costume dei saluti di fratellanza
e di carità, di chiedere ogni volta le loro sagge opinioni su questioni, il cui studio in
comune ed il giudizio su di esse potrebbe considerarsi dalle Chiese opportuno ed
allo stesso tempo portare a termine "opere buone per il bene comune sia delle
singole sia di tutta la Chiesa, della quale è capo Cristo.
Rinvigoriti, dunque, giustamente da un cosí realmente fraterno rinforzo ed avendo
in mente l'esortazione dell'apostolo Paolo ai Corinti ed a tutti in tutti i secoli
credenti in Cristo. «E vi prego, fratelli, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo,
affinché tutti diciate la stessa cosa e non vi siano tra voi degli scismi, e siate formati
nello stesso pensiero e nella stessa opinione», abbiamo deciso di proporre al Santo
Sinodo presso di noi, per consulto, lo studio che noi abbiamo ritenuto necessario e
santo e degno di considerazione profonda, e cioè se la nostra santa grande Chiesa
di Cristo ritenga opportuno cercare lo scambio di pensieri coi santissimi patriarchi
e gli eminentissimi capi delle Chiese autocefale su alcuni argomenti di sostanza e
carattere generali, per dire, religioso, ma di molto significato ed importanza, uno
schema dei quali, per una più chiara formulazione e più facile studio, abbiamo
comunicato ai venerabili ed insigni sinodici, fratelli in Cristo.
Dopo aver compiuto, dunque, il profondo studio ed esame, avendo noi la concorde
opinione sinodica degli amatissimi nello Spirito Santo ed insigni fratelli santi
gerarchi, ed allo stesso tempo osservando luso vigente nell'antica Chiesa, secondo
il quale i vescovi che con amore di Dio presiedono le Chiese i loro dubbi e le
soluzioni di essi con lettere comunicano tra loro, con accorgimento e
fraternamente con attenzione cercando la concordia di parole e fatti, procediamo
nella formulazione dei quesiti approvati sinodicamente, non sollevando alcune
questioni nuove, ma sottoponendo allo studio quelle da tempo esistenti, per
reciproca illuminazione delle sante Chiese ortodosse di Dio, le quali, ispirate da
uguali proponimenti di utilità a tutti comune, siamo persuasi con piacere,
accoglieranno favorevolmente e riterranno opportuno allargare la cerchia della
comunicazione spirituale per l'esame, non solo di quello indicato dallandamento
delle cose, ma anche quello imposto dall'appello, col quale siamo stati tutti
chiamati in Cristo, quanti, per benevolenza e grazia di Dio,siamo stati comandati
per la protezione delle sue sante Chiese, badando a noi stessi e per dovere
curandoci della salvezza di tutti. Dunque è infatti doveroso per quelli che sono stati
preposti dall'alto per il governo spirituale dei fedeli ed è anche utile aver cura del
gregge cristiano, affinché il preziosissimo fine della carità possa produrre maggior
numero di frutti secondo il santo volere.
Pertanto, abbiamo pensato che principalmente è da ricercare che cosa mai i
venerandi presidi delle santissime Chiese autocefale ritengono utile che venga fatto,
ma non è stato fatto, e che cosa è opportuno e possibile fare d'ora in avanti, per
l'incontro dei popoli cristiani nellunità della fede e nella reciproca carità e
concordia; e che cosa fare in seguito per il maggior consolidamento della nostra
santa ed ortodossa fede e per la migliore difesa delle sante Chiese di Dio contro il
sovrastante spirito avverso di questo secolo.
Grato a Dio ed evangelico è il ricercare gli avvisi delle santissime Chiese autocefale
sui nostri rapporti presenti e futuri colle due grandi viti del cristianesimo, la Chiesa
occidentale cioè e quella dei protestanti. Ed è noto che è pio e profondo desiderio
ed oggetto di continuo voto e preghiera nella nostra Chiesa e di ogni genuino
132
cristiano, conformemente alla dottrina evangelica sull'unità, per la loro unione e di
tutti i credenti in Cristo nella fede ortodossa, ma non ignoriamo che tale desiderio
grato a Dio urta contro l'irremovibile insistenza di queste Chiese le quali
reggendosi, su credenze, come su piedistallo reso compatto col tempo, si mostrano
del tutto restie a incamminarsi sulla via dell'unione, come è indicata dalla verità
storica ed evangelica, oppure mostrano bensí una volontà, ma a condizioni e su
delle basi, per le quali la vagheggiata concordia dogmatica e comunione sono per
noi inaccettabili.
E' superfluo dire agli intenditori, che la santa cattolica ed apostolica Chiesa, creata
sul fondamento degli Apostoli e rafforzata da sacri ed ispirati da Dio padri dei
Concili Ecumenici, avente come capo l'arcipastore Cristo, che col proprio sangue
l'ha preservata, ed essendo, secondo l'ispirato e celestiale Apostolo, colonna e
fondamento della verità e corpo di Cristo, la santa, diciamo, Chiesa, è in realtà una
per identità di fede e rassomiglianza d'usi e costumi, giusta le decisioni dei sette
concili ecumenici; ed una dev'essere, e non già molte e diverse tra loro sia per i
dogmi che per le leggi fondamentali del governo ecclesiastico. E come ogni cosa
impossibile agli uomini, è possibile a Dio, cosí c'è speranza anche per l'unione di
tutti, che un giorno sarà possibile; e coll'intervento e l'assistenza della divina grazia
e l'incamminarsi degli uomini sulla strada di amore evangelico e di pace, è
necessario, di conseguenza, pensare e provvedere, per quanto possibile, come si
possa avanzare sulla non facile strada che conduce verso questa meta, scoprendo i
punti d'incontro e di contatto o trascurando reciprocamente quanto, entro i limiti
del lecito, fino al giorno del completamento di tutta l'opera, colla quale sarà
adempita, per la comune gioia ed utilità, la parola del Signore Iddio e nostro
Redentore Gesú Cristo per un gregge ed un Pastore. Cosí, ben gradito sarà ai nostri
fratelli accogliere la proposta per tale idea, con fiducia proponiamo questa
domanda fraterna, se si ritiene opportuna cioè, una preconferenza per la
preparazione di un terreno propizio per l'accostamento amichevole e per
determinare in comune concordia dei membri di tutta la nostra Chiesa ortodossa le
basi, le misure ed i mezzi che saranno ritenuti i migliori.
Connesso coll'unità cristiana è eminente anche il fatto dei cristiani occidentali i
quali, non molto tempo fa, si sono distaccati dalla Chiesa Romana, assumendo la
denominazione di vecchi cattolici e dichiarando di accettare quanto è stato
dogmatizzato dalla Chiesa indivisibile fino a circa il IX secolo e le ordinanze dei
sette santi veneratissimi Concili Ecumenici, proclamando che essendo già in seno a
tutta la Chiesa ortodossa, cercano la loro unione e comunione con essa come un
atto di semplice formalità. Del tutto lodevole è l'ardente zelo di questi cristiani,
dediti a Dio, per la verità cristiana e l'amore evangelico, dal quale sembrano
ispirati per la loro buona lotta, e sono note al mondo cristiano le opinioni e gli atti
dei loro consigli e l'insegnamento dogmatico e rituale nei loro libri di catechismo e
simbolica. E poiché sulla loro dichiarazione di confessione di fede non regna tra di
noi un'opinione chiara e comune ma in diversi modi è giudicata dai nostri uomini
ecclesiastici, sia che li conoscano da vicino, sia che li abbiano studiati da lontano,
dei quali alcuni si pronunziano nel senso che tale confessione essenzialmente dista
ancora da alcuni punti dogmatici dalla perfetta ortodossia, mentre altri giudicano
che essa non contiene differenze essenziali che ostacolino l'unità della fede e la
comunione ecclesiale, ma soltanto completa il loro distacco da tutta la dottrina
ortodossa sana e dalla tradizione, abbiamo ritenuto utile chiedere la pia e fraterna
opinione, anche su questo importante argomento, delle santissime «omodosse »
133
Chiese: che cosa esse credono opportuno ed in quale modo consigliano qualche
cosa di buono ed accettabile per facilitare l'attuazione della desiderata completa
unione con noi dei cristiani in questione, quale inizio della sperata e desiderata
universale unità dei cristiani.
Non crediamo che sia degno di minore attenzione quanto scritto e detto già da
lungo tempo per un comune calendario, specialmente circa i proposti sistemi di
riforma del calendario giuliano, da secoli in vigore nella nostra Chiesa ortodossa, o
l'adozione del gregoriano. Il primo, scientificamente incompleto, il secondo piú
preciso, mentre si considera necessaria conseguenza lo spostamento del nostro
tempo Pasquale ecclesiastico. Anche per questo argomento osserviamo divergenza
di opinioni tra i nostri che si sono specialmente occupati di esso. Alcuni di essi
considerano quale unico adatto alla Chiesa quello da antico tempo in uso, perché
trasmessoci dai nostri padri e da sempre ecclesiasticamente sancito e per nulla
bisognoso di riforma, ché anzi é da evitare per i motivi che espongono altri per
precisione cronometrica il piú possibile completa, o portando come argomento
l'utilità di una nuova uniformità, si fanno difensori del calendario occidentale e si
esprimono per la sua introduzione da noi, essendo a loro favore, naturalmente, la
speranza forse di eventuali utilità religiose, dalla chiesa occidentale, sempre
secondo il loro parere. Prolungandosi la discussione fino ai nostri giorni, nella
quale da ciascuna delle parti con insistenza vengono proposte argomentazioni,
varie e degne di studio, che si riferiscono sia alla religione che alla scienza
contemporaneamente, mentre allo stesso tempo in alcuni paesi ortodossi si
manifesta una certa tendenza ad adottare il cambiamento del nostro calendario o
una sua riforma, riteniamo giovevole la questione avente insieme con l'aspetto
scientifico una manifesta importanza ecclesiastica, che le Chiese ortodosse
scambino tra loro le relative comunicazioni affinché si possa formare un comune
concetto ed un giudizio e decisione di tutta la Chiesa alla quale sola spetta il
relativo giudizio e la ricerca, in caso di necessità, in maniera che combini, per
quanto possibile, la ricercata precisione scientifica con la desiderata conservazione
dei consacrati limiti ecclesiastici.
δa nostra Grande Chiesa di Cristo, considerando molto utile allortodossia lo
scambio di opinioni sui predetti punti, quale dimostrazione tangibile di comunione
spirituale ed effettiva, e come comprensiva dellunità da osservare in tutti i
problemi comuni, nutre buone speranze che questa sua preoccupazione fraterna e
preghiera, tendente verso sacri ed evangelici fini, avrà favorevole risonanza nel
cuore dei venerati fratelli in Cristo e troverà consenziente la loro fratellanza per la
comunicazione dellopinione di coloro che presiedono piamente alle Chiese. E
pensiamo inoltre che, con gli sperati comuni utili, sarà evidenziata al mondo,
ancora una volta, la potente forza morale che esiste nella santa Chiesa ortodossa di
Cristo, la cui fonte è l'immutabilmente contenuta verità e leva potente l'infrangibile
unità delle singole Chiese tra loro. Con tali speranze e confidenze, che fondiamo sul
caloroso zelo per la gloria e saldezza delle sante Chiese di Dio dei loro venerati
presidenti e dei santissimi Concili, dall'intimo del cuore preghiamo il Signore
perché salvi e protegga sotto la sua invincibile egida tutto il gregge dei fedeli
ortodossi, e prodighi alla vostra a noi carissima ed insigne Beatitudine ed
Eminenza vita felicissima, sana e lunga.
1902, 12 giugno.
134
VIII
Enciclica del patriarcato ecumenico
1920.
A tutte ovunque le Chiese di Cristo «Con cuore puro amatevi fortemente a
vicenda» (1 Pietro 1, 22).157
La nostra Chiesa, opinando che il riavvicinamento delle diverse chiese cristiane tra
loro e la comunione non sono esclusi dalle differrenze dogmatiche tra loro esistenti,
e che tale riavvicinamento è tanto augurabile, necessario e assai utile sia per il bene
inteso interesse di ciascuna delle locali Chiese e di tutto il corpo cristiano, sia per la
preparazione e la facilitazione, coll'aiuto di Dio, di una completa e benedetta
unione, ha ritenuto il presente tempo molto conveniente per sollevare e studiare
insieme questa importante, questione. E se anche ora potrebbero risultar ed
inserirsi difficoltà da vecchi pregiudizi ed usanze o da pretese, che hanno tante
volte reso vana l'opera d'unione, tuttavia, secondo il nostro pensiero, trattandosi al
principio di semplice contatto e riavvicinamento, tali difficoltà avranno minore
importanza, ed esistendo buona volontà e disposizione, non possono né devono
essere di ostacolo invincibile ed insuperabile.
Pertanto noi, considerando la cosa effettuabile e più che mai opportuna colla
istituzione felice della Società delle Nazioni, coraggiosamente veniamo a proporre
qui in breve i nostri pensieri e l'opinione sul modo in cui riteniamo possibile
questo riavvicinamento e contatto, chiedendo con ardore ed accettando il giudizio
e l'opinione sia degli altri nostri fratelli in Oriente, che delle veneràbili Chiese
cristiane in Occidente in ogni altra parte.
Noi, dunque, crediamo che due cose possono contribuire moltissimo ad ottenere
questo desidérabile ed utile riavvicinamento, ed elaborarlo ed, esprimerlo.
In primo luogo, è necessaria ed indispensabile, a nostro avviso leliminazione e
l'allontanamento di ogni reciproca diffidenza tra le varie chiese, dovuta alla
tendenza tra alcune di esse ad irretire e far proseliti tra i fedeli di altre confessioni.
Nessuno ignora ciò che anche oggi avviene sfortunatamente in molti posti,
disturbando la pace interna delle Chiese, specialmente delle Orientali, alle quali
vengono causati nuovi dolori e prove da correligionari stessi; ciò che provoca,
contro un trascurabile risultato astio grande ed acuta avversione, questa tendenza
di alcuni ad irretire e far proseliti tra i seguaci di altre confessioni cristiane.
Così, ristabilita la franchezza e la fiducia specialmente tra le Chiese, crediamo che
la seconda cosa che si impone è il ravvivare e rinvigorire la carità tra le Chiese, che
non devono considerarsi estranee ed aliene tra loro, ma come parenti e familiari in
Cristo «membri dello stesso corpo e compartecipi delle promesse di Dio in Cristo»
157
Cfr. Gennadios Zervos, Il contributo del θatriarcato ecumenico per l’unità dei cristiani,
Città Nuova, Roma 1974, pp. 236-238. ζon ho apportato correzioni allitaliano poco scorrevole.
135
(Ef. 3, 6). Ispirate dunque dall'amore, le varie Chiese, e questo tenendo in prima
linea nei loro giudizi e rapporti tra loro, e anziché allargare ed approfondire il
divario, diminuirlo, invece, per quanto potranno, e col nascere di normale
interesse fraterno sullo stato, la saldezza e la vigoria delle altre Chiese, colla
prontezza di seguire quanto in esse avviene e conoscere loro con maggior
precisione e collo stendere con buona volontà reciprocamente la mano di aiuto e
comprensione, molti beni per la gloria ed utilità sia loro che di tutto il corpo
cristiano compiranno ed otterranno.
E questa reciproca amicizia e benevola disposizione si manifesta e si evidenzia
specialmente, secondo noi, come segue: a) coll'adozione di un unico calendario per
il contemporaneo festeggiamento delle grandi festività cristiane da parte di tutte le
Chiese; b) collo scambio di fraterne lettere in occasione delle grandi festività
dell'anno ecclesiastico, come si usa ed in altre speciali occasioni; c) con una piú
familiare relazione tra i rappresentanti delle varie Chiese ovunque; d) con la
comunicazione del le scuole Teologiche e degli esponenti della Scienza Teologica e
con lo scambio di riviste e di opere e riviste teologiche, ed ecclesiastiche pubblicate
in ciascuna Chiesa; e) con l'invio di giovani per studio da una ad altra scuola di
altra Chiesa; f) con l'istituzione di congressi intercristiani per lesame di questioni
di interesse comune a tutte le Chiese; g) con la spassionante e piú storicamente
fondata disamina delle differenze dogmatiche dalla cattedra e negli scritti; h) col
reciproco rispetto degli usi e costumi in vigore nelle varie Chiese; i) con la
reciproca concessione di luoghi di preghiera e di cimiteri per i funerali e la
sepoltura di morti in terra straniera. di seguaci di altre confessioni; 1) con la
regolarizzazione tre le varie confessioni della questione dei matrimoni misti; m) ed
infine colla
benevola reciproca assistenza delle Chiese nelle opere di
rafforzamento religioso, di filantropia ed affini.
E questo contatto tra le Chiese, senza diffidenza e piú vivo sia vantaggioso ed utile
a tutto il corpo della Chiesa, poiché pericoli di ogni specie minacciano non già
questa o quella singola Chiesa, ma la loro totalità, ed essendo contrari alle basi
stesse della fede cristiana ed allistituzíone della vita e della società secondo Cristo.
Ed infatti, la testè terminata terribile guerra mondiale, come ha messo in evidenza
moltissime cose malsane nella vita dei popoli cristiani ed ha messo a nudo la
grande mancanza di rispetto, anche verso gli elementi stessi del diritto e della
filantropia, cosí ha peggiorato le ferite già esistenti e ne ha aperto altre nuove, di
natura, per cosí dire, piú essenziale, contro le quali, è ovvio, necessita attenzione e
sollecitudine da parte di tutte le Chiese. E l'alcoolisrno che ogni giorno acquista
maggiori dimensioni, sotto la bandiera dell'abbellimento della vita e del godimento;
il lusso superfluo che trionfa; la lussuria e la lascivia sotto la protezione della
libertà e dell'emancipazione; la impensabile bruttura nella letteratura, nella pittura,
nel teatro o nella musica, protetta dal decoroso nome di sviluppo dell'amore del
bello e della coltivazione delle belle arti, la divinizzazione della ricchezza e il
disprezzo di piú alti ideali, tanti e tali, che creano temibili pericoli alla struttura
delle società cristiane, costituiscono problemi atti e bisognosi dello studio comune
e della cooperazione delle Chiese Cristiane.
Né le sue Chiese, che si adornano del santo nome di Cristo, dimentichino e
trascurino ancora il suo grande e nuovo precetto sull'amore, e che oggi sono da
meno delle autorità civili, le quali applicando esattamente lo spirito del Vangelo e
della dottrina di Cristo, hanno fondato già con buoni auspici, la cosí detta Società
136
delle Nazioni per la difesa del diritto e la coltivazione della carità e della concordia
tra le nazioni.
Per tutto ciò, noi pure, riconoscendo e credendo che anche 1e altre Chiese
condividono il nostro pensiero e la nostra opinione sulla necessità di una tale
unione, — in principio almeno un contatto e comunione tra le Chiese, — preghiamo
che con sollecitudine sia a noi dichiarato, in risposta di ciascuna, il suo giudizio e la
sua opinione, affinché cosí precisata la cosa in comune assenso e decisione,
avanziamo verso l'esecuzione insieme e in tal modo «ma professando la verità, noi
cresceremo per mezzo della carità sotto ogni aspetto in colui che è il capo, Cristo.
E in virtù sua, che il corpo tutto intiero, grazie ai veri legami che gli danno
coesione e unità, cresce mediante l'attività propria di ciascuno dei suoi organi, e si
ricostruisce nella carità» (Ef. 4, 15-16).
Nel patriarcato di Costantinopoli, nel mese di Gennaio dell'anno della salvezza
1920.
Il Locum tenens del Trono Ecumenico Patriarcale di Costantinopoli Metropolita di
Brussa Doroteo.
Il Metropolita di Cesarea Nicola, il M. di Cizico Costantino, il M. di Amasea
Germano, il M. di Pisidia Gerasimo, il M. di Ancira Gervasio, il M. di Eno
Gioacchino, il M. di Vizia Antimo, il M. di Silivra Eugenio, il M. di Saranta
Ecclesiae Agatangelo, il M. di Tirolac e Sarentio Crisostomo, il M. di Dardanelli e
Lamsaco Ireneo.
137
IX
Pio XI. Enciclica Mortalium animos.
1928
Ad RR. PP. DD. Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos, aliosque
locorum Ordinarios Pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes: de
vera religionis unitate fovenda158.
Pius PP. XI. Venerabiles Fratres, salutem et apostolicam benedictionem.
Mortalium animos nunquam fortasse alias tanta incessit cupiditas fraternae illius,
qua — ob unam eandemque originem ac naturam — inter nos obstringimur
copulamurque, necessitudinis cum confirmandae tum ad commune humanae
societatis bonum transferendae, quantam per nostra haec tempora incessisse
videmus. Cum enim nationes pacis muneribus nondum plene fruantur, quin immo
vetera alicubi et nova discidia in seditiones inque civiles conflictiones erumpant;
controversias autem sane plurimas, quae ad tranquillitatem prosperitatemque
populorum pertinent, dirimi nequaquam liceat, nisi concors eorum actio atque
opera intercedat, qui Civitatibus praesunt earumque negotia gerunt ac provehunt;
facile intelligitur — eo magis quod de generis humani unitate iam nulli dissentiunt.
— quare cupiant plerique, ut, universa eiusmodidi germanitate instinctae, cotidie
arctius variae inter se gentes cohaereant.
Rem haud dissimilem in iis, quae invectam a Christo Domino Novae Legis
ordinationem respiciunt, efficere quidam contendunt. Quod enim pro comperto
habeant, homines quovis religionis sensu destitutos perraro inveniri, idcirco eam
in spem ingressi videntur, haud difficulter eventurum, ut populi, etsi de rebus
divinis alii aliud tenent, in nonnullarum tamen professione doctrinarum quasi in
communi quodam spiritualis vitae fundamento, fraterne consentiant. Qua de causa
ab iis ipsis conventus, coetus, contiones, haud mediocri cum auditorum frequentia,
haberi solent, et advocari illuc ad disceptandum promiscue omnes, cum ethnici
omne genus, tum christifideles, tum etiam qui ab Christo infeliciter descivere vel
qui divinae eius naturae ac legationi praefracte pertinaciterque repugnant.
Eiusmodi sane molimenta probari nullo pacto catholicis possunt, quandoquidem
falsa eorum opinione nituntur, qui censent, religiones quaslibet plus minus bonas
ac laudabiles esse, utpote quae etsi non uno modo, aeque tamen aperiant ac
significent nativum illum ingenitumque nobis sensum, quo erga Deum ferimur
eiusque imperium obsequenter agnoscimus. Quam quidem opinionem qui habent,
non modo ii errant ac falluntur, sed etiam, cum veram religionem, eius notionem
depravando, repudient, tum ad naturalismum et atheismum, ut aiunt, gradatim
deflectunt: unde manifesto consequitur, ut ab revelata divinitus religione omnino
recedat quisquis talia sentientibus molientibusque adstipulatur.
158
Edita in Acta Apostolicae Sedis, a. XX, vol. XX. Roma 1928, pp. 5-16.
138
At fucata quadam recti specie nonnulli facilius decipiuntur cum de unitate agitur
christianos inter omnes fovenda. Nonne —dictitari solet — aequum est, immo
etiam cum officio consentaneum, quotquot Christi nomen invocant, eos et a
mutuis criminationibus abstinere sese et mutua tandem aliquando caritate
coniungi? Ecquis enim dicere audeat, ab se Christum amari, nisi pro viribus optata
ipsius perficienda curet, Patrem rogantis ut discipuli sui «unum» essent? Atque
idem Christus discipulos suos nonne hac veluti nota insigniri ab ceterisque
distingui voluit, ut scilicet inter se diligerent: «In hoc cognoscent omnes quia
discipuli mei estis, si dilectionem habueritis ad invicem»? Christiani quidem
universi - addunt - utinam «unum» essent: etenim ad propulsandam impietatis
luem multo plus possent, quae, cum latius in dies serpat ac pervagetur, enervare
Evangelium parat. Haec aliaque id genus iactant atque inflant qui panchristiani
vocantur; iidemque tantum abest ut pauci admodum rarique sint, ut, contra, in
integros veluti ordines creverint, et in societates coiverint late diffusas, quas
plerumque, etsi alii alia imbuti de rebus fidei doctrina, acatholici homines
moderantur. Inceptum interea istud tam actuose provehitur, ut multifariam sibi
civium assensum conciliet, et ipsos complurium catholicorum animos spe capiat
alliciatque talis efficiendae unionis quae cum Sanctae Matris Ecclesiae votis
congruere videatur, cui profecto nihil antiquius quam, ut devios ad gremium suum
filios revocet ac reducat. Verum sub horum illecebris blandimentisque verborum
error latet sane gravissimus, quo catholicae fidei fundamenta penitus disiiciuntur.
Conscientia igitur apostolici officii cum moneamur, ut dominicum gregem
perniciosis ne sinamus circumveniri fallaciis, vestram, Venerabiles Fratres, in
cavendum eiusmodi malum diligentiam advocamus; confidimus enim, per scripta
et verba cuiusque vestrum posse facilius et ad populum pertingere et a populo
intellegi quae mox principia et rationes proposituri sumus, unde catholici accipiant
quid sibi sentiendum agendumve cum res est de inceptis quae eo spectant, ut,
quotquot christiani nuncupantur, ii omnes in unum corpus quoquo pacto
coalescant.
A Deo, universarum rerum Conditore, idcirco creati sumus ut eum cognosceremus
eique serviremus; plenum igitur Auctor noster ius habet, ut sibi a nobis serviatur.
Potuit quidem Deus regundo homini unam tantummodo praestituere naturae
legem, quam scilicet, creando, in eius animo insculpsit, eiusque ipsius legis
ordinaria deinceps providentia temperare incrementa; at vero praecepta ferre
maluit, quibus pareremus, et decursu aetatum, scilicet ab humani generis
primordiis ad Christi Iesu adventum et praedicationem, hominem ipsemet officia
docuit, quae a natura rationis participe sibi Creatori deberentur: «Multifariam
multisque modis olim Deus loquens patribus in prophetis, novissime diebus istis
locutus est nobis in Filio». Liquet inde, veram religionem esse posse nullam
praeter eam quae verbo Dei revelato nititur: quam quidem revelationem, fieri ab
initio coeptam et sub Veteri Lege continuatam, Christus ipse Iesus sub Nova
perfecit. Iamvero, si locutus est Deus - quem reapse locutum, historiae fide
comprobatur Ν, nemo non videt, hominis esse, Deo et revelanti absolute credere et
omnino obedire imperanti: utrumque autem ut nos, ad Dei gloriam nostramque
salutem, recto ageremus, Unigenitus Dei Filius suam in terris Ecclesiam constituit.
Porro qui se christianos profitentur, putamus eos tacere non posse quin credant,
Ecclesiam quandam, eandemque unam, ab Christo conditam esse; verum si
quaeritur praeterea, qualem, Auctoris sui voluntate, eam esse oporteat, iam non
omnes consentiunt. Ex iis enim bene multi, exempli causa, negant, Ecclesiam
139
Christi adspectabilem atque conspicuam esse oportere, eatenus saltem, quatenus
unum apparere debeat fidelium corpus, in una eademque doctrina sub uno
magisterio ac regimine concordium; at, contra, Ecclesiam adspectabilem seu
visibilem intellegunt, non aliud esse, nisi Foedus ex variis christianorum
communitatibus compositum, licet aliis aliae doctrinis, vel inter se pugnantibus,
adhaereant. — Ecclesiam vero suam instituit Christus Dominus societatem
perfectam, natura quidem externam obiectamque sensibus, quae humani generis
reparandi opus, unius capitis ductu, per vivae vocis magisterium perque
sacramentorum, caelestis gratiae fontium, dispensationem, in futurum tempus
persequeretur; quamobrem et regno et domui et ovili et gregi eam comparando
similem affirmavit. Quae quidem Ecclesia, tam mirabiliter constituta, Conditore
suo itemque Apostolis eius propagandae principibus morte sublatis, desinere atque
exstingui profecto non poterat, utpote cui mandatum esset, ut universos homines,
nullo temporum locorumque discrimine, ad aeternam salutem perduceret: «euntes
ergo docete omnes gentes». Cuius in perpetua perfunctione muneris num
Ecclesiae aliquid virtutis efficaciaeque defuturum est, quando ei praesens perpetuo
adest Christus ipsemet, sollemniter pollicitus: «Ecce vobiscum sum omnibus
diebus usque ad consummationem saeculi» ? Itaque fieri non potest quin Ecclesia
Christi non modo et hodie et in omne tempus, sed etiam eadem prorsus exsistat,
quae in aevo apostolico fuit, nisi dicere velimus - quod absit - Christum Dominum
aut non suffecisse proposito, aut tum errasse cum asseveravit, portas inferi
adversus eam nunquam fore praevalituras.
Atque hoc loco aperienda occurrit ac tollenda falsa quaedam opinio, unde tota
eiusmodi causa pendere videtur, itemque acatholicorum actio et conspiratio
proficisci illa multiplex, quae ad consociandas christianas ecclesias, ut diximus,
pertinet. Scilicet huius auctores consilii Christum dicentem: «Ut omnes unum
sint ... Fiet unum ovile et unus pastor» paene infinite afferre consueverunt, ita
tamen, ut significari per ea verba velint Christi Iesu votum et precem, quae adhuc
effectu suo careant. Opinantur enim, fidei ac regiminis unitatem - quae verae et
unius Ecelesiae Christi insigne est - nec fere unquam exstitisse antehac nec hodie
exsistere; eandemque optari quidem posse et fortasse per communem voluntatum
inclinationem aliquando effici, sed commenticium quiddam interea habendam
esse. Addunt, Ecclesiam per se, seu natura sua, in partes esse divisam, idest ex
plurimis ecclesiis seu communitatibus peculiaribus constare, quae, disiunctae
adhuc, etsi nonnulla doctrinae capita habent communia, tamen in reliquis
discrepant; iisdem sane iuribus frui singulas; Ecclesiam, ad summum, ab aetate
apostolica ad priora usque Oecumenica Concilia unicam atque unam fuisse.
Oportere igitur aiunt, controversiis vel vetustissimis sententiarumque varietatibus,
quae christianum nomen ad hunc diem distinent, praetermissis ac sepositis, de
ceteris doctrinis communem aliquam credendi legem effici ac proponi, cuius
quidem in professione fidei omnes non tam norint quam sentiant se fratres esse;
multiplices autem ecclesias seu communitates, si universo quodam foedere
coniunctae sint, ea iam condicione fore, ut solide fructuoseque impietatis
progressionibus obsistere queant. Ista quidem, Venerabiles Fratres, communiter.
Verumtamen sunt qui ponant ac concedant, Protestantismum, quem vocant,
quaedam fidei capita nonnullosque esterni cultus ritus, sane gratos atque utiles,
inconsulto nimis abiecisse, quos, contra, Ecclesia Romana adhuc retinet. Mox
tamen subiiciunt, hanc quoque ipsam perperam fecisse, quae priscam religionem
corruperit, aliquibus doctrinis, Evangelio non tam alienis quam repugnantibus,
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additis ad credendumque propositis; quas inter praecipuam illam numerant de
iurisdictionis Primatu, qui Petro eiusque in Sede Romana successoribus
adiudicatur. In quo quidem numero adsunt. Quamquam non ita multi, qui
Romano Pontifici aut primatum honoris aut iurisdictionem seu potestatem
quandam indulgeant, quam nihilominus non a iure divino sed a fidelium consensu
quodammodo proficisci arbitrantur; atque alii vel eo progrediuntur, ut
conventibus illis suis, quos versicolores dixeris, ipsum Pontificem praesidere
cupiant. Quodsi multos, ceteroqui, reperire acatholicos licet fraternam in Christo
Iesu communionem pleno ore praedicantes, at nullos profecto invenias, quorum in
cogitationem cadat, ut Iesu Christi Vicario vel docenti vel gubernanti se subiiciant
ac pareant. Interea affirmant, sese cum Ecclesia Romana, aequo tamen iure, idest
pares cum pari libenter acturos: at agere si possent, non videtur dubitandum quin
ea mente agerent, ut per pactum conventum forte ineundum ab iis opinionibus
recedere ne cogerentur, quae causa adhuc sunt, cur extra unicum Christi ovile
vagentur atque errent.
Quae cum ita se habeant, manifesto patet, nec eorum conventus Apostolicam
Sedem uno pacto participare posse, nec ullo pacto catholicis licere talibus inceptis
vel suftragari vel operam dare suam; quod si facerent falsae cuidam christianae
religioni auctoritatem adiungerent, ab una Christi Ecclesia. admodum alienae.
Num Nos patiemur - quod prorsus iniquum foret - veritatem, eamque divinitus
revelatam, in pactiones deduci ? Etenim de veritate revelata tuenda in praesenti
agitur. Siquidem ad omnes gentes evangelica fide imbuendas misit Christus Iesus
in mundum universum Apostolos, quos, ne quid errarent, per Spiritum Sanctum
doceri ante voluit omnem veritatem: numne haec Apostolorum doctrina, in
Ecclesia, cui rector et custos Deus ipse adest, aut penitus defecit aut perturbata
aliquando est? Quodsi Evangelium suum Redemptor noster non ad apostolica
tantum tempora, sed ad futuras quoque aetates pertinere, significanter edixit,
potuitne obiectum fidei tam obscurum incertumve procedente tempore fieri, ut
opiniones vel inter se contrarias hodie oporteat tolerari ? Hoc si verum esset,
dicendum quoque foret, et Spiritus Paracliti in Apostolos illapsum et eiusdem
Spiritus in Ecclesia permansionem perpetuam et ipsam Iesu Christi
praedicationem abhinc pluribus saeculis efficaciam utilitatemque omnem amisisse:
quod sane affirmare, blasphemum est. Iamvero Unigenitus Dei Filius, cum legatis
suis imperavit ut docerent omnes gentes, tum omnes homines hoc obstrinxit
officio, ut iis rebus fidem adiungerent quae sibi a «testibus praeordinatis a Deo»
nuntiarentur, atque ita iussum sanxit: «Qui crediderit, et baptizatus fuerit, salvus
erit; qui vero non crediderit, condemnabitur»; sed utrumque Christi praeceptum,
quod non impleri non potest, alterum scilicet docendi, alterum credendi ad
aeternae, adeptionem salutis, ne intellegi quidem potest, nisi Ecclesia evangelicam
doctrinam proponat integram ac perspicuam sitque in ea proponenda a quovis
errandi periculo immunis. In quo de via ii quoque declinant, qui censent,
depositum quidem veritatis in terris exsistere, sed tam operoso labore, tam
diuturnis studiis disceptationibusque illud quaeri oportere, ut ad inveniendum ac
potiundum vix hominis vita sufficiat; quasi benignissimus Deus per prophetas et
Unigenitum suum sit idcirco locutus, ut quae per hos revelasset, pauci
tantummodo, iidemque aetate iam graves, perdiscerent, minime vero ut fidei
morumque doctrinam praeciperet, qua homo per totum mortalis vitae curriculum
regeretur.
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Videantur quidem panchristiani isti, qui ad consociandas ecclesias intendunt
animum, nobilissimum persequi consilium caritatis christianos inter omnes
provehendae; at tamen qui fieri potest, ut in fidei detrimentum caritas vergat ?
Nemo sane ignorat, Ioannem ipsum, caritatis Apostolum, qui in evangelio suo
Cordis Iesu, Sacratissimi videtur secreta pandidisse perpetuoque memoriae
suorum praeceptum novum «Diligite alterutrum» inculcare consueverat, omnino
vetuisse ne quid cum iis haberetur commercii, qui Christi doctrinam non integram
incorruptamque profiterentur: «Si quis venit ad vos et hanc doctrinam non affert,
nolite recipere eum in domum, nec ave ei dixeritis».
Quamobrem cum caritas fide integra ac sincera, quasi fundamento, innitatur, tum
unitate fidei, quasi praecipuo vinculo, discipulos Christi copulari opus est. Itaque
fingere animo qui liceat christianum quoddam Foedus, quod qui inierint, vel tum,
cum de fidei obiecto agitur, suam quisque cogitandi sentiendique rationem
retineant, quamvis ea ceterorum opinionibus repugnet ? Et quo pacto, rogamus,
unum idemque fidelium Foedus participent homines qui contrarias in sententias
abeunt? ut, exempli causa, sacram Traditionem genuinum esse divinae
Revelationis fontem, qui affirmant et qui negant ? ut qui ecclesiasticam
hierarchiam, ex episcopis, presbyteris acque ministris constantem, censent
divinitus constitutam, et qui asserunt pro rerum temporumque condicione
pedetemptim inductam ? qui in Sanctissima Eucharistia per mirabilem illam
panis et vini conversionem, quae transsubstantiatio appellatur, praesentem reapse
Christum adorant, et qui ibi corpus Christi tantummodo per fidem vel per signum
ac virtutem Sacramenti adesse affirmant; qui in ea ipsa sacrificii item ac
sacramenti naturam agnoscunt, et qui eam dicunt nihil esse aliud quam Dominicae
Coenae memoriam seu commemorationem qui bonum atque utile esse credunt,
Sanctos una cum Christo regnantes, in primis Deiparam Mariam, suppliciter
invocari eorumque imaginibus venerationem impertiri, et qui contendunt
eiusmodi cultum adhiberi non posse, utpote qui honori «unius mediatoris Dei et
hominum» Iesu Christi adversetur ? Qua quidem tanta opinionum discrepantia
nescimus quomodo ad unitatem Ecclesiae efficiendam muniatur via, quando ea
nisi ex uno magisterio, ex una credendi lege unaque christianorum fide oriri non
potest; at scimus profecto, facile inde gradum fieri ad religionis neglegentiam seu
indifferentismum et ad modernismum, ut aiunt, quo qui misere infecti sunt, tenent
iidem, veritatem dogmaticam non esse absolutam sed relativam, idest variis
temporum locorumque necessitatibus variisque animorum inclinationibus
congruentem, cum ea ipsa non immutabili revelatione contineatur, sed talis sit,
quae hominum vitae accommodetur. Praeterea, quod ad res credendas attinet.
discrimine illo uti nequaquam licet quod inter capita fidei fundamentalia et non
fundamentalia, quae vocant, induci placuit, quasi altera recipi ab omnibus debeant,
libera, contra, fidelium assensioni permitti altera queant; supernaturalis enim
virtus fidei causam formalem habet, Dei revelantis auctoritatem. quae nullam
distinctionem eiusmodi patitur. Quapropter quotquot vere sunt Christi, quam,
exempli gratia, Augustae Trinitatis mysterio fidem praestant, eandem dogmati
Deiparae sine labe originis Conceptae adhibent, pariterque Incarnationi
Dominicae non aliam atque infallibili Romani Pontificis magisterio, eo quidem
sensu quo ab Oecumenica Vaticana Synodo definitum est. Neque enim quod
eiusmodi veritates alias aliis aetatibus, vel proxime superioribus, sollemni Ecclesia
decreto sanxit ac definivit, eaedem idcirco non aeque certae, non aeque credendae;
nonne Deus illas omnes revelavit? Etenim Ecclesiae magisterium - quod divino
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consilio in terris constitutum est ut revelatae doctrinae cum incolumes ad
perpetuitatem consisterent, tum ad cognitionem hominum facile tutoque
traducerentur — quamquam per Romanum Pontificem et Episcopos cum eo
communionem habentes cotidie exercetur, id tamen complectitur muneris, ut, si
quando aut haereticorum erroribus atque oppugnationibus obsisti efficacius aut
clarius subtiliusque esplicata sacrae doctrinae capita in fidelium mentibus imprimi
oporteat, ad aliquid tum sollemnibus ritibus decretisque definiendum opportune
procedat. Quo quidem extraordinario magisterii usu nullum sane inventum
inducitur nec quidquam additur novi ad earum summam veritatum, quae in
deposito Revelationis, Ecclesiae divinitus tradito, saltem implicite continentur,
verum aut ea declarantur quae forte adhuc obscura compluribus videri possint aut
ea tenenda de fide statuuntur quae a nonnullis ante in controversiam vocabantur.
Itaque, Venerabiles Fratres, planum est cur haec Apostolica Sedes numquam
siverit suos acatholicorum interesse conventibus: christianorum enim
coniunctionem haud aliter foveri licet, quam fovendo dissidentium ad unam veram
Christi Ecclesiam reditu, quandoquidem olim ab ea infeliciter descivere. Ad unam
veram Christi Ecclesiam, inquimus, omnibus sane conspicuam et talem, Auctoris
sui voluntate, perpetuo mansuram, qualem ipsemet ad communem salutem
instituit. Neque enim mystica Christi Sponsa, saeculorum decursu, contaminata
est unquam, nec contaminari aliquando potest, teste Cvpriano: «Adulterari non
potest Sponsa Christi: incorrupta est et pudica. Unam domum novit, unius cubiculi
sanctitatem casto pudore custodit». Et sanctus idem Martyr iure meritoque
mirabatur vehementer, quod credere quispiam posset «hanc unitatem de divina
firmitate venientem, sacramentis caelestibus cohaerentem, scindi in ecclesia posse
et voluntatum collidentium divortio separariΠ . Cum enim corpus Christi mysticum,
scilicet Ecclesia, unum sit, compactum et connexum corporis eius physici instar,
inepte stulteque dixeris Mysticum corpus ex membris disiunctis dissipatisque
constare Posse : quisquis igitur cum eo non copulatur, nec eius est membrum nec
cum capite Christo cohaeret.
Iamvero in hac una Christi Ecclesia nemo est, perseverat nemo, nisi Petri,
legitimorumque eius successorum, auctoritatem potestatemque obediendo
agnoscat atque recipiat. Episcopo quidem Romano, summo animarum Pastori,
nonne maiores paruerunt eorum, qui Photii novatorumque erroribus implicantur?
Recesserunt heu filii a paterna domo, quae non idcirco concidit ac periit, perpetuo
ut erat Dei fulta praesidio; ad communem igitur Patrem revertantur, qui, iniurias
Apostolicae Sedi ante inustas oblitus, eos amantissime accepturus est. Nam si,
quemadmodum dictitant, consociari Nobiscum et cum nostris cupiunt, cur non ad
Ecclesiam adire properent, «matrem universorum Christi fidelium et
magistram ?». Lactantium iidem audiant clamitantem : ΟSola ... catholica Ecclesia
est quae verum cultum retinet. Hic est fons veritatis, hoc domicilium Fidei, hoc
templum Dei: quo si quis non intraverit vel a quo si quis exierit, a spe vitae ac
salutis alienus est. Neminem sibi oportet pertinaci concertatione blandiri. Agitur
enim de vita et salute: cui nisi caute ac diligenter consulatur, amissa et extincta
erit».
Ad Apostolicam igitur Sedem, hac in Urbe collocatam quam Petrus et Paulus
Principes Apostolorum suo sanguine consecrarunt, ad Sedem, inquimus,
«Ecclesiae catholicae radicem et matricem, dissidentes accedant filii, non ea
quidem mente ac spe, ut ΟEcclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis Δ
fidei integritatem abiiciat suosque ipsorum toleret errores, sed, contra, ut se illius
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magisterio ac regimini permittant. Utinam, quod tam multis decessoribus Nostris
nondum obtigit, id Nobis auspicato contingat, ut, quos funesto discidio seiunctos a
Nobis filios dolemus, paterno animo amplectamur; utinam Salvator noster Deus «
qui omnes homines vult salvos fieri et ad agnitionem veritatis venire». Nos audiat
enixe exposcentes, ut errantes omnes ad unitatem Ecclesiae vocare dignetur. Quo
quidem in negotio sane gravissimo deprecatricem Beatam Mariam Virginem
Matrem divinae gratiae, omnium victricem haeresum et Auxilium christianorum
adhibemus adhiberique volumus, ut optatissimi illius diei Nobis quamprimum
impetret adventum, quo die universi homines divini eius Filii vocem audient «
servantes unitatem Spiritus in vinculo pacis».
Hoc, Venerabiles Fratres, intellegitis quam Nobis sit in votis, idque sciant cupimus
filii Nostri, non modo quotquot sunt ex orbe catholico, sed etiam quotquot a Nobis
dissident: qui si humili prece caelestia lumina imploraverint, sane non dubium
quin unam Iesu Christi veram Ecclesiam sint agnituri eamque tandem ingressuri,
perfecta nobiscum caritate coniuncti. In huius exspectatione rei, auspicem
divinorum munerum ac testem paternae benevolentiae Nostrae, vobis, Venerabiles
Fratres, et clero populoque vestro apostolicam benedictionem peramanter
impertimus.
Datum Romae apud Sanctum Petrum die VI mensis Ianuarii, in Festo
Epiphaniae Iesu Christi D. N., anno MDCCCCXXVIII, Pontificatus Nostri sexto.
Pius Papa XI.
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