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○ EUROPA (HTTP://WWW.CINAFORUM.NET/CATEGORY/EUROPA-2/)
La malattia del cinismo
e House of Cards, ovvero
l’Occidente, la Cina
e le loro incomprensioni
ANDREA ENRICO PIA
16 Dicembre 2015
17
4
(https://www.flickr.com/photos/number10gov/22206733049/in/photolist
http://www.cinaforum.net/cina-occidente-876-intervista-antropologo-hans-steinmuller/
11/07/2016
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David Cameron and President Xi visit a local pub, The Plough at Cadsden
during his visit to Chequers, Number 10
L’ultimo tentativo di trasformazione della Cina e il suo rapporto con l’Occidente
visti attraverso la lente di un antropologo tedesco. In questa lunga conversazione
Enrico Andrea Pia intervista Hans Steinmüller, antropologo della Cina e autore di
“Irony, Cynicism and the Chinese State” (Routledge Contemporary China Series).
Quello rappresentato in questa prima fotografia è a mio parere un momento
simbolicamente importante: il presidente cinese Xi Jinping che diventa uno
di noi, il classico tipo da pub. Ma la reazione dei media e dell’opinione
pubblica inglese alla visita ufficiale di Xi in Gran Bretagna ci dice qualcosa di
più. Interpellato sulla visita di Xi, Ai Weiwei – dopo che nei giorni della visita
ufficiale i giornali inglesi avevano evitato di parlare delle molte proteste
pubbliche per l’arrivo di Xi verificatesi a Londra – ha sostenuto che la Gran
Bretagna ha definitivamente accantonato qualsiasi interesse per i diritti
umani. Dal canto suo l’Economist recensisce l’ultima frequentatissima
mostra di Ai alla Royal Academy suggerendo, con toni cospiratori, che il
celebre artista starebbe sfruttando a suo vantaggio i preconcetti occidentali
sulla brutalità dello Stato Cinese: “mentre la storia dei grandi progressi fatti
da questa nazione viene taciuta”. Ci chiediamo abitualmente fino a che punto
la Cina si stia occidentalizzando, ma molto spesso evitiamo di porci la
domanda opposta: quale è l’effetto della crescita Cinese su valori occidentali
un tempo reputati inviolabili come i diritti umani? Pensi che la Cina stia in
qualche modo costringendoci a ripensare noi stessi?
La visita di Xi in Gran Bretagna è stato un evento decisamente interessante. Si è
parlato pochissimo ad esempio di diritti umani. Intervistato al pub con Xi, il
premier britannico David Cameron ha fatto una specie di gaffe rispondendo a una
domanda su che birra stesse bevendo: “Sto bevendo quello che beve lei (I’m
having what SHE is having)” confondendo la pronuncia del cognome cinese di Xi
con quella del pronome femminile inglese. Tanto basta per il cinese di David. Il
fatto interessante però è che i tabloid inglesi erano maggiormente interessati a
questo genere di notizie che ad informare i propri lettori delle molte vicende che
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attualmente riguardano il governo cinese come Taiwan, il Tibet, le consistenti
violazioni dei diritti umani e via dicendo. La questione forse più dibattuta dai
media locali è stata il probabile coinvolgimento dei cinesi nella prossima
costruzione di una nuova centrale nucleare nel Somerset. Chi avrebbe mai potuto
prevedere solo dieci anni fa che il governo britannico avrebbe un giorno chiesto
alla Cina di venire in Inghilterra a costruire una centrale nucleare su suolo
britannico? Possiamo partire da queste considerazioni per cercare di capire in che
direzione le relazioni fra Occidente e Cina stanno andando? In certa misura penso
che quella britannica sia una questione a parte. Se pensi che solo quattro anni fa
avevamo il Dalai Lama in visita ufficiale a Londra e che adesso le relazioni fra i due
paesi siano andate decisamente peggiorando, le vicende attuali sembrano
riguardare maggiormente il governo Tory e le sue posizioni di politica estera.
Alla domanda sul ruolo della Cina nel ridefinire cosa siamo in quanto paesi
occidentali, quali valori ci rappresentano e i diritti umani è difficile rispondere. Tra
gli osservatori c’è un certo sospetto che il vago malessere con cui una volta i
governi occidentali si relazionavano alla Cina, “con il naso tappato” diciamo, stia
lentamente venendo rimpiazzato da una mentalità più pragmatica e collaborativa.
Ma non penso che questo slittamento del “gusto” occidentale verso la Cina sia
indice di un cambiamento sostanziale della sfera pubblica occidentale e dei suoi
valori. Questo semplicemente perché i diritti umani rappresentano soltanto una
tra le peculiarità attraverso le quali l’Occidente si pensa ed immagina. Mentre un
aspetto decisamente più importante di questa autorappresentazione occidentale
è sicuramente legato al capitalismo e al suo funzionamento.
Questo tuo ultimo commento ci porta ad affrontare un aspetto della politica
Europea e Britannica che tendiamo spesso a dimenticare ma che è cruciale
per capire le nostre relazioni con la Cina: l’ipocrisia occidentale e i suoi doppi
standard. In una certa misura questa ipocrisia è figlia del colonialismo, ma
mi interessano gli effetti contemporanei di questa attitudine storica verso la
Cina. Viviamo in un’epoca di politiche economiche volte a implementare
regimi di austerità nelle finanze pubbliche. Il discorso politico e mediatico
che sembra conseguirne è che in queste condizioni la nostra
rappresentazione pubblica della Cina debba diventare maggiormente
accomodante e volta a rappresentare questo paese e il suo governo come un
potenziale partner economico. Ma questo è in qualche modo un tradimento di
antichi convincimenti liberali e ci troviamo ora come intrappolati in una
serie di giustificazioni sul perché e in che modo possiamo prendere il soldi
cinesi senza sentirci ipocriti. Pensi che questi “doppi standard” siano una
caratteristica europea o sono forse figli dell’effetto dell’ascesa Cinese sul
teatro mondiale?
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I doppi standard sono una sorta di oggetto elettivo per me. I doppi standard
esistono in tutte le culture, e penso ci siano tradizioni diverse di ipocrisia in Cina
ed in Europa. Quando leggi quotidiani cinesi, guardi la tv di Stato o senti parlare
cittadini cinesi, ti rendi subito conto che una delle rappresentazioni collettive più
comuni riguarda la democrazia occidentale. La vedono come una sorta di teatro
delle marionette. Ricordo vivamente le ultime elezioni americane e il modo in cui i
miei amici e colleghi cinesi ne discutevano. E ricordo la conversazione che
avemmo su un articolo pubblicato dal Nanfang Zhoumo in cui i contendenti alla
presidenza erano rappresentati proprio come pupazzi in un teatro di cartapesta. I
toni di quella conversazione erano molto simili a quelli che oggi vediamo usati in
show americani come “House of Cards”: la politica come l’ennesimo gioco di
potere in cui ideali e valori non contano nulla. L’idea è che la democrazia non
cambi le dinamiche della politica. Gli stessi giochi di potere, lo stesso sprezzo per
gli ideali potrebbero avvenire sotto un regime autocratico o fascista. In Cina è una
metafora molto potente questa, e c’è poco da stupirsi se oggi “House of Cards” è
un best seller in Cina. Dall’altro lato questa è una narrazione estremamente
conveniente al Partito Comunista, perché permette ai suoi membri di dire:
“Democrazia, che intendi? è tutto sempre una lotta feroce per il potere. Stati Uniti?
guarda Guantanamo e le violazioni dei diritti umani che accadono lì”.
Pensa ad alcuni dissidenti Cinesi di oggi. Personalmente apprezzo molto il lavoro
di Hu Ping, un manifestante di Tian’anmen ora residente negli Stati Uniti. Qualche
anno fa Hu scrisse questo articolo intitolato Quanru Bing ovvero “la Malattia del
Cinismo” in cui sostiene che la società cinese moderna e la sua cultura sarebbero
irrimediabilmente infettate da una sorta di cinismo esistenziale, a tal punto che la
politica locale non riesca più a funzionare senza operare in accordo con questo
cinismo. Quello che a noi sembra ironico se non assurdo della Cina moderna, il
fatto ad esempio che sia un partito che si ostina ad appellarsi “comunista” ad avere
accompagnato e guidato la più impressionante e veloce transizione che qualsiasi
società umana abbia mai compiuto verso un sistema capitalistico, appare
comprensibile nel dibattito pubblico cinese in quanto facilmente inquadrabile
all’interno di coordinate culturali e cognitive che presuppongono il cinismo come
la base universale del comportamento umano. O almeno questo è l’argomento
avanzato da Hu. Personalmente penso che questo argomento sia sicuramente
rilevante ma al tempo stesso troppo estremo. Nella vita reale e nella politica di tutti
i giorni è tutto più sfocato e confuso: ideali e valori persistono assieme alla
delegittimazione che di essi ne fa il cinismo, e la politica nello specifico non è mai
solo “sesso, soldi e potere”, come in “House of Cards”.
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(https://www.flickr.com/photos/72236993@N03/8223800703/)
LONDON, Ombeline_v
Vorrei un attimo tornare a Hu e al network di attivisti nati e formati
dall’esperienza di Tianan’men. Attivisti come Chen Guangcheng, Wan
Yanhai e Ai Weiwei stesso, per quanto diversissimi fra loro, sembrano
anch’essi guidati da una sorta di cinismo o doppio standard. In molte
interviste pubbliche o rilasciate a ricercatori che hanno collaborato con loro,
i reduci di Tian’anmen appaiono muoversi su una sorta di doppio binario
politico: da una parte un attivismo di stampo popolare e liberale: estendere
alcuni diritti fondamentali a cittadini cinesi che ne sono attualmente privi o
rendere il welfare cinese più accessibile e funzionale nei confronti di
segmenti marginalizzati della popolazione cinese (migranti, minoranze,
carcerati). Dall’altra un attivismo più “carbonaro” e rivoluzionario, con
l’intento di rendere più popolari in Cina concetti e pratiche politiche
occidentali, come la democrazia dal basso, la “direct action” e la lotta
all’establishment attraverso lo strumento della causa legale civile. Quale è il
tuo punto di vista? È cinismo anche questo?
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È una questione molto complicata e in un certo senso è sicuramente vero. Ci sono
persone negli Stati Uniti e in America che sarebbero molto contente di vedere la
fine del monopartitismo in Cina. Queste persone sono spesso le stesse che hanno
supportato in passato o tutt’oggi supportano – anche economicamente – attivisti
cinesi coinvolti in battaglie politiche riconducibili al progetto più generale di
indurre un cambiamento di regime in Cina. Pensa ad Ai weiwei, in un certo senso è
il dissidente modello, il dissidente che “noi occidentali” vogliamo, uno la cui linea
politica è in perfetta sintonia con la democrazia liberale occidentale. Un dissidente
che dice: “il Partito Comunista è una buona cosa, è solo la sua attuale
composizione che va contestata” è un dissidente che non ci piace, che non ha nulla
da dirci, un dissidente noioso in certa misura. Il fatto che i dissidenti modello siano
organici all’establishment occidentale è un elemento che gioca in favore alla
risposta Cinese ortodossa a questo attivismo di matrice cinese. “Ci sono motivi
ulteriori” dice il partito ai propri cittadini “a muovere le azioni di queste persone.
Non vogliono davvero il bene della nazione cinese, attenti alla mano che li guida”.
Torniamo insomma al teatro delle marionette di cui abbiamo parlato prima.
Questo non vuol dire che il governo cinese non sia mai disposto a vedere
nell’attivismo dei propri cittadini una spalla su cui appoggiarsi. L’ambientalismo
cinese per esempio è un movimento dal basso di natura politica fatto di tante
persone che sono riuscite a rendersi indispensabili al governo e molte delle
politiche più recenti a tutela dell’ambiente possono essere ricondotte a queste
nuove forme di inaspettata collaborazione fra governi locali e cittadini attivi
politicamente. Alle volte penso che sia una questione generazionale: la
generazione che ha vissuto gli eventi dell’89, sia cinesi che stranieri, è in qualche
modo irrimediabilmente segnata da quell’esperienza, mentre la generazione
successiva, la nostra, sembra essere più aperta alla collaborazione con il governo,
per quanto ci sia il riconoscimento che questo sia un regime antidemocratico ed
elitario. Ragioniamo in termini diversi e siamo più disposti al compromesso.
Gli investimenti che la Cina si appresta fare in Europa raccontano una storia
interessante circa l’economia cinese, una storia di riconversione da una
economia basata sulle esportazioni di prodotti a basso costo a una centrata
sulla stimolazione della domanda interna, innovazione, terzo settore e
sull’investimento in infrastrutture all’estero per garantirsi importanti
posizioni di rendita su mercati esteri in futuro. Questo è un modello di
sviluppo moderato che il governo cinese chiama xin chengtai, il “new
normal”. Ma la mia impressione, che deriva in larga parte dal mio lavoro in
Cina come antropologo, è che se un “old normal” è mai esistito, questo non è
stato per nulla “normale” per la gran parte di cittadini cinesi che oggi vive
alla periferia del miracolo cinese. Quale è la tua opinione da esperto su
questa riconversione e sulla Cina sotto il governo di Xi Jinping?
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Penso che per comprendere appieno questa riconversione sia necessario prima di
tutto capire “da cosa” la Cina si stia riconvertendo. Che cosa esisteva prima che
deve ora essere riconvertito? E questo è il ruolo centrale che il settore primario,
l’agricoltura, ha avuto nella società cinese per lungo tempo, sia dal punto di vista
sociale che economico. In un certo senso il “new normal” può essere descritto nei
classici termini dei processi di modernizzazione, il settore agricolo si
rimpicciolisce per diventare più produttivo, la gente migra e entra nell’industria e
nei servizi, si crea una domanda per più servizi e le infrastrutture decollano. Dal
punto di vista sociologico un processo di modernizzazione è sempre
accompagnato da cambiamenti nella percezione e nel senso delle persone
comuni. Uno di questi cambiamenti è un sensibilità maggiore nei confronti
dell’ineguaglianza sociale. Ciò non è semplicemente dovuto al fatto che la
modernizzazione produca maggiore ineguaglianza – lo fa sicuramente e
massivamente ma ogni società rurale e anch’essa ricca di forme di disparità
socioeconomica – ma anche dal fatto che la gente comincia a percepire
quest’ineguaglianza come più significativa per la propria vita. La promessa di
mobilità sociale è accompagnata dal disappunto quando questa viene disattesa.
L’antropologo cinese Liu Xin nella sua bellissima etnografia sul processo di
modernizzazione in Cina (“In One’s own Shadow”) chiama quest’effetto sulla
percezione delle persone “la produzione dell’ineguaglianza”, la situazione in cui lo
sviluppo economico, soprattutto in micro comunità rurali, porta con sé una
divisione di classe più apparente e irritante, dove il ricco e il povero vivono fianco a
fianco e devono confrontarsi nei nuovi termini stabiliti dalla logica
dell’accumulazione capitalistica. È stato questo processo di improvviso
impoverimento materiale e sociale dei lavoratori agricoli cinesi che ha portato il
governo ad abolire la tassa sull’agricoltura nel 2003. Ma in Cina questa abolizione
ha rappresentato un cambiamento radicale nel modo in cui la vita rurale e
l’agricoltura veniva immaginata. È stato come dire: “questo tipo di produzione e la
forma di vita ad essa collegata non è più rappresentativa della nuova Cina”. In un
certo senso questo stesso stravolgimento è avvenuto in Europa con la de
industrializzazione delle nostre economie. Un qualcosa avvenuto dopo la caduta
del Muro di Berlino che la nostra coscienza collettiva non riesce ancora ad
accettare. In termini economici l’agricoltura Cinese non conta più molto, infatti e
da anni che la Cina importa molto riso e soia per esempio dal Sudest asiatico. La
sfida più grande è come hai ben detto tu quella di riconvertire una società che
esportava e risparmiava molto – una società rurale basata su una agricoltura molto
efficiente – in una che consuma e spende di più, dipendente dalle importazioni.
http://www.cinaforum.net/cina-occidente-876-intervista-antropologo-hans-steinmuller/
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(https://www.flickr.com/photos/13476480@N07/8268825666/)
LIFE Magazine March 7, 1949 (2) – SAIGON STILL OFFERS CLUBS,
RACING, OPIUM, manhhai
Ma qui torniamo a quello che sembra essere diventato il tema più rilevante di
questa intervista. Il cinismo, doppio standard o se vuoi schizofrenia della
Cina contemporanea. Fattori che a me appaiono tutti caratterizzare anche il
modo in cui questo “new normal” è stato pensato. Correttamente sottolinei
come l’agricoltura Cinese sia ora in secondo piano, me se dai una scorsa ai
documenti riguardanti i punti centrali e gli obbiettivi da perseguire per
questo nuovo piano quinquennale – io lo ho fatto mentre ero in Yunnan
aiutato da un amico funzionario che aveva accesso a documenti riservati -,
noti subito che quello che la Cina sembra voler perseguire, almeno dal punto
della sua produzione agricola, è una sorta di autarchia o sicurezza
alimentare come viene chiamata, oggi dove all’economia è richiesto di
produrre tutti i cereali essenziali da consumarsi sul territorio cinese. Io lo
leggo come un segno di rinnovato indipendentismo alimentare che tradisce
una certa voglia di supremazia su di una situazione politica nell’estremo
oriente ancora piuttosto incerta su chi nei prossimi anni ne diventerà l’attore
principale.
http://www.cinaforum.net/cina-occidente-876-intervista-antropologo-hans-steinmuller/
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Questo è meraviglioso dal mio punto di vista. Ha sicuramente a che fare con i
doppi standard e la natura intrinsecamente manipolativa del concetto di Stato
nazione […] In Cina c’e’ stato un periodo in cui l’idea stessa di nazione era
strettamente legata a chi ne abitava le campagne. Mao Zedong aveva questo modo
di dire: “La campagna circonda la città’”, intendendo che la rivoluzione in Cina
sarebbe potuta avvenire solo quando i contadini ne avessero condiviso gli
obbiettivi. Questo senso di supremazia della campagna ha ancora forte presa sulla
gente comune oggi: la vera Cina, la Cina profonda, la Cina che agisce
politicamente è quella rurale e i suoi membri sono contadini. Questo era del resto
l’argomento di Fei Xiaotong, il famoso antropologo cinese, che la Chine profonde
è quella che viene dalla terra. Ma il problema è proprio questo, che il discorso
pubblico Cinese contemporaneo sembra essersi dimenticato di questa nozione, e
l’unico modo in cui senti oggi parlare della popolazione rurale cinese è in termini
dispregiativi, gente rozza e senza cultura. Doppio standard, di nuovo. Questa è una
modalità di autorappresentazione tipica degli Stati nazione, non solo della Cina.
Particolarismo e Universalismo: per essere nazioni dobbiamo essere diversi da
tutte le altre nazioni, c’è qualcosa che ci rende diversi dagli altri. Nel caso della
Cina, la sua storia millenaria e rurale. Ma a seguire hai la volontà delle nazioni di
essere luoghi a cui tutti possono pensare di appartenere, luoghi moderni,
sviluppati, stati di diritto e di valori universali. Il punto è che questa idea di
modernità è in conflitto con il concetto di nucleo primigenio e indiviso del
carattere nazionale. Questa contraddizione produce forme di ambiguità cinismo e
ironia che sono parte integrante della Cina di oggi.
http://www.cinaforum.net/cina-occidente-876-intervista-antropologo-hans-steinmuller/
11/07/2016
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(https://www.flickr.com/photos/atoach/2035452828/)
On Yorkshire’s Slavery They Built The Old Empire …, Tim Green
Il Primo Ministro Li Keqiang è recentemente intervenuto sul futuro delle
campagne Cinesi, dichiarando che il governo promuoverà il ripopolamento
delle campagne svuotate da anni di migrazione urbana. L’idea di Li è quella
di ridefinire la campagna non solo come luogo di produzione ma di consumo
e di possibile residenza, dopo anni di crescita delle città cinesi in termini di
estensione e popolazione. Tu sei un antropologo che ha lavorato a lungo nella
Cina rurale, cosa pensi di questa proposta e dello stato delle campagne
cinesi. È ancora importante studiare la campagna per capire la Cina di oggi?
Penso che sia ancora importante. Nonostante quello di cui ho parlato prima, del
fatto che la Cina rurale sia perdendo il suo primato culturale all’interno della
rappresentazione collettiva della nazione cinese, non va dimenticato che metà
della popolazione cinese è ancora registrata come residente in territorio extra
urbano. Tutti gli anni viene pubblicato un documento governativo riguardante la
campagna e questi documenti tendono ad avere alta priorità. Quindi, in un senso
forse ritualistico, si può dire che il governo centrale ritiene la campagna come un
luogo ancora importante per perseguire un concetto di nazione sostenibile. O
http://www.cinaforum.net/cina-occidente-876-intervista-antropologo-hans-steinmuller/
11/07/2016
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meglio un luogo cruciale dove poter ribilianciare i pesanti squilibri dovuti alla
modernizzazione. I sussidi per l’agricoltura sono una, ma non certo l’unica politica
attualmente in vigore specificatamente disegnata per la campagna. Ve ne sono
altre generalmente raggruppate sotto l’etichetta di “nuova campagna socialista”,
un termine ombrello ormai in uso da più di dieci anni. Questa termine usualmente
comprende politiche volte alla promozione del ripopolamento delle campagne,
l’industria rurale e la costituzione di aree semirurali di villaggi modelli collegati
fra loro da infrastrutture ipermoderne che in qualche modo dovrebbero ricordare
la campagna semiurbanizzata a cui siamo così familiari noi europei. Insomma
l’idea è quella di ideare nuovi modi di “ruralità”, di stare in campagna. Una cosa da
notare è che questa nuova ruralità è in una certa misura un modo di andare oltre il
sistema dello hukou, della registrazione di residenza permanente, uno strumento
che anche legalmente certificava la necessità di dividere la campagna e la città
come luoghi socialmente e funzionalmente complementari.Questo è sicuramente
un cambiamento chiave che la società cinese sta attraversando in questo
momento. Abbiamo parlato poco fa di ineguaglianza sociale, e a mio avviso quella
fra campagna e città è la regina delle ineguaglianze cinesi, con tutto il corollario di
lavoratori migranti trattati come cittadini di seconda fascia.
Andrea Enrico Pia è fellow in “Anthropology of China” presso la London School
of Economics
Recentemente ha pubblicato “Storia dell’antropologia cinese”, Seid editore
17
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Commenti
1 commento
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Paolo Marcenaro
"Fellow in 'antropology of china' presso la london school"...cioé vuol dire leccaculo
dell'imperialismo occidentale che ha orrore della Cina moderna e potente e rimpiange i
tempi della spedizione contro i Boxer, delle guerre dell'oppio e dei trattati ineguali...
Mi piace · Rispondi ·
1 · 17 dicembre 2015 22:03
Hans Steinmüller
wow, what a comment! Intellectual rigor, sharpness, and then proper Italian
rhetorics, I mean that turn, 'xxx che ha orrore della China moderna e potente e
rimpiange'! Yes!!! Thank you, mate, thank you for this masterpiece! But for the
facts, it's also a school founded by Fabian Socialists, where Fei Xiaotong
studied anthropology next to Jomo Kenyatta, and where one Bertrand Russell
wrote a book on the Problem of China, which I highly recommend!
Mi piace · Rispondi ·
1 · 18 dicembre 2015 1:20
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