Alife.
L’Anfiteatro romano
Notizie preliminari
a cura di
Gianluca Soricelli
Enrico Angelo Stanco
Alife. L’Anfiteatro romano
Testi di
Cristiana Alfieri (C.A.)
Agata Arenella (A.A.)
Andrea Capozzi (A.C.)
Giuseppe Camodeca (G.C.)
Salvatore Chilardi (S.C.)
Valentina Cosentino (V.C.)
Simone Di Mauro (S.D.M.)
Luciana Jacobelli (L.J.)
Gianluca Soricelli (G.S.)
Enrico Angelo Stanco (E.A.S.)
Silvia Svanera (S.S.)
Roberto Vedovelli (R.V.)
Palma Volpe (P.V.)
Annamaria Zaccaria (A.Z.)
Indice
Presentazione............................................................................................ V
(Roberto Vitelli-Sindaco del Comune di Alife)
(Alessandro Parisi-Assessore al Patrimonio Storico Archeologico del Comune di Alife)
Prefazione ............................................................................................... VII
Mario Pagano
Soprintendenza ai Beni Archeologici delle Province di Napoli e Caserta
1.
Le fasi della scoperta ..................................................................... 1
1.1
1.2
1.2.1
1.2.2
1.2.3
Le fonti documentarie ............................................................................. 2
I ludi gladiatorii nella documentazione epigrafica.................................. 3
Tipo di spettacolo anfiteatrale................................................................. 5
Datazione ................................................................................................ 5
Lucius Fadius Pierus e i Fadii di Allifae ................................................ 6
2.
Lo scavo ....................................................................................... 11
2.1
2.2
2.2.1
2.2.2
2.2.3
2.2.4
2.2.5
2.3
2.4
2.4.1
2.4.1.1
2.4.1.2
2.4.2
2.4.3
2.4.4
2.5.
Periodo 1 ............................................................................................... 11
Periodo 2 ............................................................................................... 13
L’anfiteatro nel mondo romano ............................................................ 13
Il progetto architettonico dell’anfiteatro di Alife.................................. 15
La prima fase (periodo 2A)................................................................... 15
La seconda fase (periodo 2B) ............................................................... 18
Ulteriori interventi (periodi 2C e 2D) ................................................... 21
I frammenti epigrafici ........................................................................... 23
I materiali ceramici del periodo 2 ......................................................... 24
La ceramica fine da mensa.................................................................... 24
Terre Sigillate ....................................................................................... 24
Pareti sottili ........................................................................................... 26
La ceramica comune ............................................................................. 27
La ceramica da fuoco ............................................................................ 28
Le anfore ............................................................................................... 31
Gli intonaci ........................................................................................... 33
3.
Riusi e reimpieghi dell’edificio ................................................... 53
3.1
Il periodo 3: V-VII secolo..................................................................... 53
III
Alife. L’Anfiteatro romano
3.1.1
3.2.
3.2.1
3.2.2
3.3
3.3.1
3.4
3.4.1
Le sepolture........................................................................................... 53
Il periodo 4: IX secolo .......................................................................... 54
L’abitato medievale .............................................................................. 55
La fornace del cuneo VIII ..................................................................... 57
Il periodo 5: X secolo............................................................................ 57
La necropoli del periodo 5A ................................................................. 58
Periodo 6: XI-XII secolo....................................................................... 61
La fornace per calce .............................................................................. 61
4.
Materiali ceramici, lapidei e fauna dei periodi 4-6 ...................... 69
4.1
4.2
4.3
4.4
4.5
4.6
La ceramica dipinta............................................................................... 69
La ceramica invetriata........................................................................... 73
La ceramica comune da mensa e da dispensa ....................................... 74
La ceramica da fuoco ............................................................................ 76
Le macine.............................................................................................. 78
La fauna ................................................................................................ 79
Bibliografia .............................................................................................. 91
Tavole ...................................................................................................... 99
IV
Presentazione
Inauguriamo oggi 25 Aprile 2009 due importanti monumenti che si aggiungono alle imponenti presenze archeologiche della nostra città: l’Anfiteatro, sepolto da mille anni, e il Criptoportico, l’ipogeo utilizzato durante i bombardamenti del 1943 come ricovero degli alifani che lo ricordano ancora con questo
nome. E’ questa una storica primavera sacra per la nostra città che da anni attendeva l’evento; esso fu reso possibile allorché inserimmo monumenti alifani
nel bando della Regione Campania per concorrere ai finanziamenti strutturali
europei, i POR Campania 2000-2006 e delegai l’assessore al Patrimonio Archeologico Alessandro Parisi ai tavoli di concertazione del PIT Trebulani Matese presso l’Ente capofila che fu la Provincia di Caserta.
Oggi dunque completiamo questo iter estenuante iniziato nell’anno 2000
(protratto fino al 2007 quando il 22 Febbraio finalmente iniziò lo scavo dei monumenti).
L’evento pone la nostra Città in primissimo piano tra i centri che hanno
fruito dei sostegni economici europei finalizzati alla valorizzazione dei siti storici per l’incremento del turismo sostenibile e, nel nostro caso, nel comprensorio
territoriale denominato PIT direttrice Monti Trebulani - Matese (l’area compresa tra la piana di Alife e i versanti dei monti circostanti).
I due monumenti Alifani, unici nell’intero comprensorio, furono individuati
come progetto portante dell’intero PIT e per essi fu accreditato il finanziamento
di € 3.578751,58 la cifra più alta conferita.
I progetti sono stati redatti dall’ing. A. P. Ricigliano e dall’arch. G. Venditti,
mentre la ditta CIAP rappresentata dal geom. R. Zoccolillo ha condotto i lavori
di scavo dei monumenti. La direzione tecnico-scientifica sugli scavi è stata condotta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Caserta - Benevento e
l’assistenza scientifica è stata assicurata dalla società ARCHE’ di Napoli per
l’Anfiteatro e dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli per il Criptoportico.
Giovani archeologici, esperti classicisti e medievisti, esperti di strutture anfiteatrali, di pittura romana e di ceramica antica e medievale, epigrafisti, restauratori, topografi, geometri, capomastri, operai scavatori, muratori, carpentieri,
fabbri ed elettricisti hanno restituito l’imponenza delle strutture dell’Anfiteatro
e liberato gli antri del Criptoportico dalle millenarie colmate di detriti e di fango
recuperando abilmente centinaia di reperti significativi.
Per la nostra Città comincia ora una nuova storia che ci accingiamo a trasmettere perché se ne rispetti la dignità recuperandone l’orgoglio ma, soprattutto, perché si proceda con decisione a realizzare con questi scavi, concrete op-
Alife. L’Anfiteatro romano
portunità turistiche. Esse potranno fiorire solamente con le sinergie di tutti i Comuni
del PIT territoriale impegnato già nella sua fase conclusiva (2007-2013).
Dunque, non solo è l’ora di Alife ma di tutti i centri del trebulano-matesino
portatori di inaspettate presenze monumentali che ne raccontano la storia.
Dobbiamo saper essere attori consapevoli dei cambiamenti del nostro futuro
e capaci di offrire accanto ai nostri splendidi scenari verdeggianti, alle nostre
tradizioni folkloristiche e culinarie questo straordinario attrattore turistico rappresentato dalla componente culturale.
Le nostre antiche genti ebbero partners eccezionali, Etruschi, Greci, Sanniti,
Romani. Con essi si levarono i venti della storia degli Allibanon.
Il Sindaco
Avv. Roberto Vitelli
L’Assessore al Patrimonio Storico Archeologico
Alessandro Parisi
VI
Prefazione
Quando nel 2000 si avviò il complesso iter amministrativo della Regione Campania per concorrere ai finanziamenti strutturali europei, i POR Campania 2000-2006, la allora Soprintendenza Beni Archeologici delle province di
Napoli e Caserta attivò una serie di incontri con le Amministrazioni territoriali
al fine di contribuire, per il settore di competenza, all’individuazione di una serie di obiettivi strategici tenendo conto sia dell’indubbio valore scientifico di
quanto si andava prospettando che dei possibili sviluppi inerenti la valorizzazione del patrimonio archeologico, e quindi del territorio, pur nel rispetto degli obblighi di tutela e di conservazione dei beni.
Si inaugurano oggi i due importanti complessi dell’anfiteatro e del criptoportico di Alife (scelti per il particolare interesse come portanti dell’intero PIT
Monti Trebulani – Matese), che furono in tali incontri suggeriti e concordati con
un’Amministrazione Comunale che ha saputo dimostrare nel campo dei Beni
Culturali lungimirante disponibilità e fattiva collaborazione con la Soprintendenza; tale evento, che segue l’apertura della sezione sannitica del Museo Archeologico Alifano effettuata con finanziamento Comunale, trasforma la città di Alife,
già nobilitata da resti monumentali di eccezionale interesse come il complesso
delle mura o i vicini mausolei romani, in un centro di attrazione archeologica
primario nella media valle del Volturno e nella Campania settentrionale. L'intesa
costante e la cooperazione intelligente tra il Comune e la Soprintendenza, ha consentito di restituire alla città e al territorio un patrimonio archeologico di inestimabile valore.
I due monumenti sono stati corredati di un idoneo sussidio didattico fisso, ma
era opportuno mettere a disposizione una guida per accompagnare il visitatore
più esigente ed appassionato. Tale opera, per il complesso dell’anfiteatro, è stata
curata e coordinata dal prof. Gianluca Soricelli dell’Università del Molise e dal dott.
Enrico Angelo Stanco, funzionario della Soprintendenza archeologica incaricato
per il territorio alifano ed ha visto il notevole contributo degli studenti dell'Università e dei collaboratori della Archè S.n.c. che avevano partecipato
alle fasi dello scavo archeologico del complesso.
Mario Pagano
Soprintendenza ai Beni Archeologici
delle Province di Napoli e Caserta
1. Le fasi della scoperta (E.A.S.)
L’esistenza di un anfiteatro ad Alife era stata ipotizzata già in antico sulla
base di due iscrizioni latine1 attualmente scomparse ma note letterariamente già
dal XVI secolo; una prima individuazione del monumento, sia pure a titolo di
“congettura” si deve al Trutta; questi, ricordando che tale tipologia di edificio
veniva localizzata solitamente esternamente all’area abitata per facilitare
afflusso e deflusso di spettatori, concludeva osservando che “…solo
congetturando può dirsi, che tanto esso, quanto il Circo fussero fuori
dell’odierno recinto delle mura Alifane … cioè 1’uno accosto alla diruta Chiesa
de’ Santi sette Frategli, onde si sono scavate innumerabili pietre riquadrate, e
formate ad archi, e cornici…; e l’altro accosto alla Chiesa di S. Gio.
Gerosolimitano, dove si vede un terreno seminato di prodigiosa quantità di
spezzati mattoni”.2 La Chiesa di S. Giovanni Gerosolimitano all’epoca del
Trutta era all’interno del mausoleo cosiddetto degli “Acilii Glabriones” a poche
decine di metri dall’area dell’anfiteatro.3
Solo nel 1976 si giunse alla definitiva individuazione del monumento: alcuni
cittadini avevano infatti notato che in un campo a sud di via Caduti sul Lavoro
(S.S. 158) l’ineguale crescita della vegetazione delineava due ampi archi
concentrici collegati da lunghi setti radiali; a seguito dell’esecuzione di alcune
foto aeree la Tocco Sciarelli giungeva all’incontrovertibile identificazione di tali
tracce con la parte meridionale dell’anfiteatro alifano, riscontrando peraltro che
la parte settentrionale del monumento era stata obliterata dalla via Caduti sul
Lavoro (S.S. 158) e da una serie di edifici sui due lati della strada (figg. 1-2).4
Nel 1987, nell’ambito dei lavori per la rete fognante comunale, in seguito ad
alcuni frettolosi scavi sul marciapiede nord della strada furono individuate una
serie di strutture relative alle fondazioni della cavea e la porta settentrionale
dell’anfiteatro; la Soprintendenza intervenne quindi ripetutamente negli anni
seguenti con una serie di saggi di scavo mirati, al fine di delineare il preciso
1
CIL IX 2350-2351.
Trutta 1776, 36-37. L’autore individua comunque l’anfiteatro presso la chiesa dei santi
Sette Fratelli (cfr. nota successiva), forse per la maggiore monumentalità dei resti visibili, identificando le vestigia presso la Chiesa di S. Giovanni Gerosolimitano con il circo, ipotizzato a torto in base all’errata interpretazione di un frammento epigrafico del
“calendario Alifano” (CIL IX 2320; Trutta 1776, 29).
3
La chiesa dei santi Sette Fratelli sorgeva invece molto più distante, oltre l’attuale stazione ferroviaria; pertanto le membrature architettoniche ricordate in tale area non possono assolutamente essere poste in relazione con l’anfiteatro, a meno che non fossero
reimpiegate nella chiesa medioevale, frutto di una precedente spoliazione.
4
Tocco Sciarelli 1977, 301-302.
2
Alife. L’Anfiteatro romano
andamento dei resti sepolti. I risultati degli scavi vennero sinteticamente
presentati nel corso del ventisettesimo convegno di studi sulla Magna Grecia
(fig. 3).5 Ulteriori rinvenimenti vennero quindi effettuati sul lato sud della strada
in occasione del rifacimento della rete telefonica e delle opere di
metanizzazione nel 1996 (SITE – TELECOM).
I nuovi scavi estensivi,6 in seguito alla redazione di un progetto voluto
dall’Amministrazione Comunale di Alife, sono stati avviati nel 2007 con
finanziamento P.O.R. Campania, Direttrice Monti Trebulani-Matese e si sono
protratti fino al 2009; i lavori sono stati condotti con l’assistenza scientifica
della Archè S.n.c. e con il coordinamento scientifico della Soprintendenza
Archeologica ed hanno integralmente portato in luce la metà meridionale
dell’anfiteatro (fig. 4-7). Purtroppo la metà settentrionale del monumento, che
giace sotto l’odierna viabilità ed alcune palazzine, è rimasta esclusa
dall’intervento (tav. I); tale settore sembrerebbe riservare notevoli sorprese per
il maggior interro, che potrebbe aver preservato alzati murari e stratigrafie, e per
la possibile presenza, presso la viabilità antica ricalcata dall’odierna via dei
Sette Frati, della chiesa di S. Maria de Arena Cavata che, inserita
presumibilmente nei fornici dell’anfiteatro, potrebbe essere stata risparmiata
dalle demolizioni di età normanna mantenendo pertanto importanti elementi
dell’alzato del monumento romano. Si segnala l’insolita presenza di due
colonne nel negozio di fotografia in via Caduti sul Lavoro che insiste sulla
cavea in prossimità della porta settentrionale: lo spesso strato di intonaco
impedisce una diretta autopsia e i capitelli sembrano di rielaborazione moderna,
ma le due colonne sono presumibilmente in posizione originaria, nella chiesa
antica o in un più tardo casale che le avrebbe da questa recuperate.
1.1. Le fonti documentarie (E.A.S.)
Scarsissimi i documenti relativi al monumento antico; l’anfiteatro è
implicitamente ricordato nel II secolo in occasione dei ludi offerti da L(ucio)
Fadio Piero in due successive occasioni: 30 coppie di gladiatori e cacce con
animali africani e, dopo pochi mesi, 21 coppie di gladiatori e cacce complete7;
in tale periodo la struttura doveva essere pertanto pienamente in funzione.
5
Pozzi Paolini 1988, 737-738.
Gli scavi dell’anfiteatro di Alife sono stati sinteticamente presentati dai soprintendenti
M.L. Nava e M. Pagano nell’ambito del XLVII e XLVIII Convegni di Studi sulla Magna Grecia.
7
Cfr. infra, il contributo di G. Camodeca.
6
2
1. Le fasi della scoperta
Pur con tutte le cautele del caso si deve inoltre rammentare la citazione di
una ecclesia Sancte Marie de Arena Cavata alle dipendenze del monastero di S.
Salvatore di Alife nel 1168;8 appare infatti molto suggestivo il collegamento tra
il toponimo e l’arena (anfiteatro) che si presentava come una valletta incavata
nel terreno e che proprio in tale periodo veniva usata come cava di materiali da
costruzione per la vicina città normanna.
1.2. I ludi gladiatorii nella documentazione epigrafica (G.C.)
Grande rilievo assumono per la storia dell’anfiteatro della colonia romana di
Allifae due iscrizioni (CIL IX 2350-2351), entrambe dedicate, con testo quasi
identico, al duoviro cittadino, L. Fadius Pierus, databili con ogni probabilità nel
II secolo d. C.
CIL IX 2350 = ILS 5059 = EAOR III 26. L’iscrizione, da tempo irreperibile,
fu trascritta nel 1558/9 dal celebre umanista spagnolo Antonio Agustín, allora
vescovo della città, che la vide Allifis extra aedem B(eati) Petri; questa chiesa
di S. Pietro sorgeva probabilmente presso l’area del foro di epoca romana. Le
sue schede epigrafiche alifane, da lui inviate nel 1559 ad O. Panvinio, sono ora
riportate nel Cod. Vat. 6035, questa al f. 136.
L(ucio) Fadio Piero IIviro
munificentissimo civi
qui ob honorem decur(ionatus)
eodem anno quo factus est
glad(iatorum) paria XXX et venationem
bestiarum Africanar(um) et post
paucos menses duumviratu
suo, acceptis a re p(ublica) HS XIII [m(ilibus)] n(ummum), venation(es)
plenas et gladiatorum paria XXI dedit
item post annum ludos scaenicos p(ecunia) s(ua) f(ecit).
Augustales
L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum).
8
Bolla di papa Alessandro III del 1168 a favore di San Vittorino di Benevento, in
Gambella 2007, 66-67.
3
Alife. L’Anfiteatro romano
Lin. 8: per errore nel CIL manca l’indicazione dei sesterzi (HS), presente invece nella scheda del Cod. Vat.
CIL IX 2351 = EAOR III 27. L’iscrizione, già molto frammentaria, fu vista e
letta dal Mommsen nel 1845-6 Allifis in aedibus Civitellae; ora irreperibile.
[L(ucio) Fadio Piero IIviro]
[munificentissimo civi]
[qui] ob hono[rem decur(ionatus) eo-]
dem anno [quo factus est]
glad(iatorum) paria [XXX et venationem]
bestiarum A[fricanar(um) et post]
paucos mens[es duumviratu suo, ac-]
ceptis a re p(ublica) H[S XIII m(ilibus) n(ummum), venationes]
plenas et gla[diatorum paria XXI dedit]
item post ann[um ludos scaenicos p(ecunia) s(ua) f(ecit)].
P Ho[ - - -]
ex a[ere collato].
L(ocus) d(atus) [d(ecreto) d(ecurionum)].
Traduzione
A Lucio Fadio Piero, duoviro, cittadino munificentissimo, il quale per
l’onore di essere divenuto decurione, nello stesso anno in cui fu nominato, diede uno spettacolo con 30 coppie di gladiatori e una caccia con fiere dall’Africa
e dopo pochi mesi, per il suo duovirato, avendo ricevuto dalla città 13000 sesterzi, diede uno spettacolo con cacce complete (cioè con ampia scelta di animali) e con 21 coppie di gladiatori; inoltre l’anno dopo a sue spese fece fare
degli spettacoli teatrali. Gli Augustali (gli posero la statua) su luogo pubblico
concesso con decreto dei decurioni.
La seconda base di statua riportava in modo frammentario lo stesso testo, ma
era stata dedicata da un personaggio il cui nome è purtroppo perduto nella lacuna del testo, forse un P. Ho[- - -], o un P. [T]ho[ranius?] (se non un Phoebus,
suo liberto), avendo raccolto con pubblica sottoscrizione il danaro occorrente
(ex aere conlato).
Entrambe le statue sorgevano in luogo pubblico (forse nel foro cittadino).
4
1. Le fasi della scoperta
1.2.1. Tipo di spettacolo anfiteatrale (G.C.)
Dunque L. Fadius Pierus nel giro di meno di due anni, il tempo stesso della
sua rapida carriera politica cittadina dall’ammissione fra i decurioni al duovirato, diede alla cittadinanza tre spettacoli: i primi due nell’anfiteatro e il terzo nel
teatro. Era regola, fissata negli statuti cittadini, che chi otteneva una carica pubblica doveva dare uno spettacolo alla cittadinanza; allo scopo poteva prelevare
dalle casse cittadine un minimo stabilito ma doveva spenderne di tasca sua almeno altrettanti. Ovviamente la grandiosità dello spettacolo offerto dava lustro
maggiore al personaggio e gli assicurava la carriera politica. I giochi offerti da
Fadio nell’anfiteatro la prima volta, per l’onore ricevuto dell’ammissione nel
decurionato, consistettero nel combattimento con 30 coppie di gladiatori, un
numero di tutto rispetto, e in una caccia (venatio) con costose bestiae Africanae,
cioè con i grandi felini d’Africa (leoni, leopardi, pantere ecc.), forniti da impresari specializzati. Il successo dovette essere grande, perché, pochi mesi dopo, il
nostro fu eletto alla suprema magistratura cittadina, il duovirato, e per
l’occasione egli rinnovò i giochi nuovamente nell’anfiteatro, questa volta con
21 coppie di gladiatori e con cacce (venationes) definite plenae, un termine che,
non comparendo altrove, resta di non sicuro significato: probabilmente una caccia completa con ampia scelta di animali. Per questo secondo spettacolo
l’iscrizione ci fornisce un indizio sulla spesa sostenuta: infatti per lo scopo a
Fadio fu concesso di utilizzare 13000 sesterzi, prelevandoli dalla cassa cittadina, un ammontare evidentemente di ampiezza insolita, se non eccezionale, altrimenti non avrebbe avuto senso precisarlo; ma è chiaro secondo quanto sappiamo dalle disposizioni della lex Ursonensis (cap. 70-1), che il nostro Fadio ne
avrà sborsati di suo almeno altrettanti (e probabilmente molti di più) per poter
svolgere uno spettacolo di particolare rilievo degno di essere ricordato. Non
meno aveva già speso per i giochi dell’anno precedente. Se si considera che ancora l’anno seguente egli offrirà alla cittadinanza uno spettacolo nel teatro (ludi
scaenici), si può concludere che Fadius Pierus avrà investito per la sua affermazione nella vita politica cittadina non meno di 50000 sesterzi, sborsati per di
più nel breve giro di neppure due anni.
1.2.2. Datazione (G.C.)
Questa munificenza pubblica consistente in spettacoli, più o meno grandiosi,
offerti alla città nell’anfiteatro e nel teatro era abbastanza frequente per i notabili delle città dell’Italia romana, specie nei primi due secoli dell’impero, ma
continuò seppure in misura ridotta fino al IV secolo. Il nostro caso si può datare
5
Alife. L’Anfiteatro romano
con buona verosimiglianza nel II secolo per diversi motivi: anzitutto il tipo di
iscrizione in onore di Fadius ha precisi confronti nel II secolo; inoltre l’uso raro
dell’appellativo di munificentissimus civis (o anche patronus) si trova solo in
questo periodo; infine le venationes vi sono messe sullo stesso piano dei combattimenti di gladiatori, mentre in origine, e almeno per tutto il I secolo, esse
costituivano uno spettacolo aggiuntivo; tra l’altro la formula ex aere conlato è
molto più frequente nel II secolo. Questa datazione è confermata anche da
quanto sappiamo sulla gens Fadia alifana (v. infra).
1.2.3. Lucius Fadius Pierus e i Fadii di Allifae (G.C.)
Nel II secolo d. C. la gens, che emerge come la principale a livello cittadino,
è certo quella dei Fadii (C. e L.), con una dozzina di personaggi, tutti di questo
periodo, anche inoltrato, fra cui un cavaliere L. Fadius L. f. Caedianus, eques
Romanus morto a soli 25 anni (CIL IX 2349), e un C. Fadius Auctus (CIL IX
2390), forse di status libertino, padre naturale della clarissma femina (per matrimonio o per adozione), Claudia Ti. f. Fadilla, evidentemente adottata da un
Ti. Claudius, la quale è a sua volta onorata ad Allifae come locale sacerdos divarum Augustarum dagli Augustales p(ecunia) p(ublica), ob amorem erga patriam eximium eius (CIL IX 2347), verso la fine del II-inizi III secolo. Il nostro
Pierus, a giudicare cognomen grecanico, portato per lo più in ambito libertino, e
dalla mancanza del patronimico, sembra essere di origine socialmente umile,
seppure libera; era provvisto però di un considerevole patrimonio e con il buon
uso della sua ricchezza realizzò una rapida ascesa sociale, facendosi prima ammettere nel ristretto ordine dei decurioni (il consiglio municipale), raggiungendo la massima carica cittadina del duovirato e ottenendo la dedica di ben due
statue in luogo pubblico in ringraziamento della sua munificenza per gli spettacoli offerti alla cittadinanza nell’anfiteatro e nel teatro.
6
1. Le fasi della scoperta
Fig. 1. Le tracce dell’anfiteatro visibili sul prato (archivio fotografico A. Parisi)
Fig. 2. Le tracce dell’anfiteatro visibili sul prato (archivio fotografico A. Parisi)
Fig. 3. I rinvenimenti durante i lavori per la rete fognante comunale nel 1987
(Archivio Disegni Soprintendenza n. 1599)
7
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 4. I nuovi scavi: foto aerea del 2007 (foto D. Occhibove)
Fig. 5
I nuovi scavi: foto dall’alto del 2007, settore occidentale della cavea in corso di scavo.
8
1. Le fasi della scoperta
Fig. 6. I nuovi scavi: foto dall’alto del 2007; si nota la traccia più scura
del sotterraneo ancora da scavare sotto i resti della calcara medioevale.
Fig. 7. I nuovi scavi: foto aerea del 2008 (foto D. Occhibove)
9
2. Lo scavo (G.S.; E.A.S.)
Lo scavo stratigrafico estensivo (fig. 8) ed il successivo studio dei reperti
hanno permesso di ricostruire la storia complessa di questo settore di territorio
tra le fasi precedenti la costruzione dell’anfiteatro e l’età moderna.
L’edificio viene costruito in un’area che fino a quel momento era stata utilizzata a fini agricoli; il rinvenimento di alcuni elementi residuali potrebbe far
ipotizzare la prossima presenza di un’area sacra frequentata tra la tarda età arcaica ed il III/II sec. a.C. (periodo 1).
Con la deduzione della colonia romana, questo settore, prossimo alla città e
adiacente alla viabilità principale, viene scelto per l’impianto dell’edificio anfiteatrale (periodo 2A). Ristrutturato radicalmente in età claudia (periodo 2B), è
nel pieno della sua funzionalità nel II sec. d.C. e risulta oggetto di ulteriori interventi, fino almeno al III secolo, per regolarizzare il deflusso delle acque pluviali (periodi 2C e 2D).
Verosimilmente tra il IV ed il V secolo, come accade anche altrove in Occidente, l’edificio cessa di funzionare come luogo di spettacoli; inizia così un
nuovo ciclo di vita caratterizzato inizialmente da spoliazioni e da un uso sporadico come area sepolcrale (periodo 3: V-VII secolo).
Nel IX secolo, al più tardi, parti dell’edificio sono riusate a scopo abitativo
(periodo 4). Nel secolo successivo, esauritosi – almeno in questo settore – il fenomeno abitativo, si torna ad utilizzare il settore scavato come area necropolare
(periodo 5: X secolo).
Infine, tra XI e XII secolo, l’edificio viene completamente smantellato, trasformando il calcare dei paramenti e dei nuclei murari degli elevati in calce da
costruzione. Da tale momento in poi l’area sarà utilizzata a scopi agricoli, come
mostrano le buche per albero e i segni lasciati dagli aratri sui resti delle murature antiche (periodo 7).
2.1. Periodo 1 (S.S.)
Lo scavo ha restituito alcuni materiali tanto interessanti quanto problematici
che, seppur rinvenuti in giacitura secondaria, risultano utili a definire una
possibile frequentazione dell’area a partire almeno dalla tarda età arcaica.1
1
Il limite risiede nelle caratteristiche di giacitura dei reperti esaminati. Si tratta, infatti,
per lo più, di oggetti rinvenuti in strati di accumulo, di riempimento o di scarico, relativi
alla fase del primo impianto dell’anfiteatro o dei riusi dell’area tra IX e X secolo.
Alife. L’Anfiteatro romano
Si tratta di un’antefissa fittile, di un frammento di voluta di capitello in tufo
grigio, di una statuina fittile, di un’oinochoe frammentaria a figure rosse, cui si
associano alcuni frammenti ceramici a vernice nera.
Gli oggetti, provenienti tutti da alcuni strati di riempimento o di accumulo
dell’arena o dei cunei, non presentano, dal contesto di rinvenimento, indicazioni
cronologiche certe, ma costituiscono reperti di indubbio interesse in sé e come
probabile indizio di un’area sacra che, ipoteticamente, sarebbe sorta nei pressi
del luogo del futuro anfiteatro romano.
La terracotta architettonica presentata sembra potersi identificare con
un’antefissa (fig. 9), sebbene il retro non sia concavo e lo stato di conservazione
non consenta un’attribuzione stilistica e cronologica puntuali. Si legge, tuttavia,
un volto femminile dall’ovale pieno, con piani piuttosto ben modulati, occhi
leggermente asimmetrici, dei quali si intravede una marginatura plastica,
orecchie poste leggermente di prospetto e ricurve nella parte superiore. Dei
capelli, resi con un cordone, si coglie appena una scriminatura centrale, sopra la
quale si imposta un’ampia fascia liscia, che potrebbe essere interpretata come
un diadema. Le caratteristiche stilistiche rendono possibile, in ogni caso, una
datazione generica ad età tardo-arcaica.2
Del capitello ionico in tufo grigio,3 del quale non risultano leggibili
peculiarità morfologiche e decorative, è possibile proporre una datazione tra V e
IV secolo a.C., soprattutto in considerazione dell’uso del materiale, attestato in
contesti campani a partire da età tardo-arcaica,4 ed anche della voluta, resa più
plasticamente rispetto ai materiali di fine VI – inizi V a.C.; la statuina5
documenta una tipologia piuttosto diffusa in età medio e tardo-repubblicana
nelle stipi votive dell’Italia centrale, riproducendo la tipologia dell’orante.
Tuttavia le caratteristiche tipologiche e stilistiche, se ne rendono probabile la
provenienza da un contesto votivo, non lo riconducono ad alcuna delle
produzioni artigianali note.
Il quarto oggetto è un frammento di un’oinochoe, a figure rosse (fig. 10), di
fabbrica piuttosto grossolana. Si legge una figura femminile seduta verso destra,
che riceve un oggetto, forse un elmo frigio, da un braccio rivolto verso di lei.
2
Sulle terrecotte architettoniche campane di età arcaica Rescigno 1998 con bibl. prec.
Frammento di voluta di capitello ionico in tufo grigio. Il reperto proviene da un
contesto del periodo 5B (X secolo).
4
Ben noti sono i capitelli di parasta in tufo dal santuario di fondo Ruozzo-masseria
Soppegna a Teano, sui quali, da ultimo Sirano 2006, 335-336.
5
Frammento di statuetta fittile raffigurante un personaggio maschile. Si conserva il
busto con braccio destro flesso sull’orecchio destro e mano sinistra poggiata sul fianco
sinistro. Tracce di scialbatura biancastra. Il reperto proviene anch’esso da un livello del
periodo 5B (X secolo).
3
12
2. Lo scavo
Tra le due figure si intravedono due bende.6 La figura femminile reca i capelli
avvolti in un nastro reso in outline, con un lungo ricciolo che ricade sulla
guancia. Il naso piuttosto pronunciato, il nastro e la caratteristica resa del
ricciolo di capelli, avvicinano il frammento alle più tarde produzioni di alcune
officine a figure rosse capuane, collocabili cronologicamente intorno alla fine
del IV secolo a.C., in particolare a quelle riunite sotto il nome di Gruppo del
Nastro, sebbene il prodotto sia di esecuzione piuttosto rozza e sia forse il
risultato di tardi epigoni dello stesso gruppo7.
Quanto alla ceramica a vernice nera, si tratta di un esiguo nucleo di
frammenti, che contano un fondo pertinente a coppa su piede, non meglio
identificabile, uno con stampiglio a losanga ed una modesta quantità di pareti
non attribuibili di tipo per lo più B-oide, attribuibili, assai verosimilmente, alla
prima metà del II secolo a.C.
2.2. Periodo 2 (E.A.S.)
La colonia romana di Allifae viene dedotta nel 42 a.C. e già nei primi decenni di
vita la città si dota di una serie di opere pubbliche tra le quali il complesso forense,
il teatro, le mura. L’anfiteatro è probabilmente l’ultimo dei grandi edifici ed è
realizzato in età augustea. Qualche decennio più tardi, in età claudia, l’edificio viene
radicalmente rinnovato e a tale rifacimento sono ascrivibili una serie di riempimenti
sottopavimentali che hanno restituito materiali ceramici e intonaci.
L’anfiteatro viene utilizzato certamente nel II secolo e plausibilmente ancora
nel secolo successivo; è in questa fase che si procede ad una serie di
ristrutturazioni che comportano la realizzazione ed il successivo rifacimento
dell’impianto per il drenaggio delle acque pluviali.
Un’interessante stratigrafia che ha restituito ceramica di II-III secolo
proviene da una delle cloache dismessa nell’ambito di tali interventi.
2.2.1. L’anfiteatro nel mondo romano (E.A.S.)
L’anfiteatro è un edificio per spettacoli pubblici caratterizzato da una pianta
grossomodo ellittica8 in cui si svolgevano i combattimenti gladiatori (munera) o
le cacce di bestie feroci (venationes).
6
L’oinochoe, come l’antefissa, provengono dagli livelli accumulati nell’arena nel
periodo 4 (IX secolo).
7
Cfr. Trendall 1967, 438, 444; tav. 174.6.
8
In realtà è quasi sempre costruito come un ovale a quattro archi di circonferenza, cfr.
infra e Wilson Jones 1993, 394-422.
13
Alife. L’Anfiteatro romano
Il nome della tipologia dell’edificio, tratto dal greco, non deriva
dall’impressione di trovarsi entro due teatri giustapposti uno di fronte all’altro,
come generalmente ritenuto, ma tradotto correttamente significa “spazio che
corre tutto attorno all'arena destinato agli spettatori”, con la medesima accezione del corrispettivo termine latino (preferito dagli autori latini) “spectacula”,
ossia un insieme di sedili dai quali si assiste alle rappresentazioni.
L’edificio è legato ai combattimenti di uomini e animali; riti cruenti sono
connessi nell’antichità in area italica con le cerimonie funebri; in età tardo repubblicana il tipo di spettacolo, molto gradito alle folle, si sviluppa autonomamente divenendo parte integrante di ogni campagna elettorale di un certo livello. Inizialmente i giochi (ludi) si svolgevano entro spiazzi recintati, quindi per il
grande afflusso di pubblico si cominciarono ad utilizzare le piazze pubbliche
delle città, realizzando di volta in volta tribune smontabili in legno, fino alla
creazione di appositi edifici stabili in muratura.
Il centro dell'anfiteatro è costituito da un'area pianeggiante a forma ovale,
coperta di sabbia, e chiamata arena. Tale area aveva due accessi principali, agli
estremi dell’asse maggiore: la porta da cui entrava la processione inaugurale che
dava inizio ai ludi (porta triumphalis) e quella dalla quale venivano portati fuori
i cadaveri (porta libitinenis). Sotto l’arena vi sono frequentemente ambienti
sotterranei di servizio ai giochi, per la manovra di montacarichi con gladiatori e
belve o di argani per le scenografie.
Tutto attorno all’arena sono delle gradinate in muratura, dove prendevano
posto gli spettatori (cavea). Al fine di evitare incidenti la cavea resta sopraelevata e distinta dall’arena tramite un alto muro (podium); la parte superiore del
podium, protetta verso l’arena da un basso muro di transenna (balteus), è di solito riservata ai maggiorenti della città ed alle loro famiglie e presenta gradini
più larghi e più bassi, in quanto vi venivano utilizzate sedie pieghevoli (sellae).
Al centro di uno o ambedue i lati lunghi nella zona del podium era ricavata una
tribuna speciale riservata alle autorità (suggestum o pulvinar); tale tribuna poggia su un piccolo ambiente aperto verso l’arena, con probabile funzione sacrale
(sacellum).
Il resto della cavea era funzionalmente suddiviso in settori serviti da differenti ingressi (vomitoria), al fine di garantire l’ordinato afflusso e deflusso degli
spettatori che rimanevano distinti a seconda del censo e categoria sociale di appartenenza; i settori orizzontali (maeniana) erano ripartiti da corridoi in piano
(praecinctiones), mentre i settori verticali (cunei) erano delimitati da scalinate
(scalae). La distinzione principale era tra la ima cavea (più bassa e vicina
all’arena) e la media e summa cavea (progressivamente più distanti): i gradini
più bassi erano più ambiti perché vi si godeva meglio lo spettacolo e pertanto le
14
2. Lo scavo
classi sociali erano ripartite nell’edificio con un ordine decrescente andando
verso l’alto.
In cima alla cavea era frequentemente un portico (porticus in summa cavea),
a volte occupato da ulteriori gradinate lignee (fig. 11).
2.2.2. Il progetto architettonico dell’anfiteatro di Alife (E.A.S.)
Nel caso alifano si deve tener conto della presenza di due diversi anfiteatri; il
monumento presenta infatti due principali fasi edilizie e progettuali, con radicali
trasformazioni e differenze.
L’edificio di prima fase si imponeva sul panorama extraurbano con una
maggiore elevazione e presentava un’arena più ampia allo stesso livello del
piano di campagna circostante. Nella seconda fase si decise di ridurre l’altezza
del monumento, compensando tale situazione mediante la sottoscavazione
dell’arena nel piano di campagna; inoltre si aggiunse una tribuna interna
destinata ai cittadini più ragguardevoli (podium), sottraendo lo spazio all’arena.
L’anfiteatro di Alife presenta nel disegno caratteri di arcaicità, in primo
luogo per l’assenza della galleria esterna che si impone nei consimili edifici
costruiti dopo il “colosseo” di Roma; una datazione della fondazione ad età
augustea o primo giulio-claudia sembra confermata da un frammento di
iscrizione marmorea con lettere di grandi dimensioni ascrivibile ai primi
decenni del I secolo9 rinvenuto negli interri medioevali che, pur risultando
troppo esiguo per offrire dati risolutivi, potrebbe costituire parte dell’iscrizione
dedicatoria del monumento.
La semplicità della pianta base venne mantenuta nella seconda fase edilizia
che sembra databile verso la metà del I secolo,10 prima della nuova tipologia che
si diffonderà in seguito alla realizzazione del “colosseo” di Roma.
2.2.3. La prima fase (periodo 2A) (E.A.S.)
La localizzazione urbanistica del monumento costituì la prima operazione
progettuale; come consueto si optò per un’area extraurbana nelle immediate
vicinanze dell’abitato, presso la viabilità principale, al fine di garantire un
comodo afflusso e deflusso degli spettatori senza ripercussioni dirette sulla
viabilità urbana interna (tav. II).
9
Cfr. infra, contributo di G. Camodeca.
Cfr. infra, 2.4.
10
15
Alife. L’Anfiteatro romano
Per le dimensioni progettuali si fece probabilmente riferimento all’anfiteatro
allora in funzione nella vicina Capua; di tale edificio, raso al suolo e sostituito
da un nuovo anfiteatro dopo la metà del I secolo,11 si conosce purtroppo molto
poco, ma in seguito a recenti scavi sono emersi dati12 sufficienti a stabilire che
le misure della pianta (e quindi almeno la prima parte del progetto teorico)
corrispondono a quelle dell’anfiteatro di Alife (fig. 12).
Si deve preliminarmente rammentare che il sistema metrico decimale costituisce
una invenzione recente; fino a tale convenzione in area italica si utilizzavano misure
come il palmo, il braccio, la canna, derivanti con varie mediazioni dal precedente
sistema metrico romano. Quest’ultimo si basava sul piede (pes, piede romano, oltre
nel testo abbreviato p. r.) la cui corrispondenza con il sistema metrico decimale è
stabilita in 29,57 cm., con vari multipli e sottomultipli, tra i quali il palmo (palmus)
pari a cm. 7,4, il dito (digitus) di cm. 1,85.
Per il progetto originario dell’edificio l’architetto utilizzò un sistema
evidentemente già collaudato, riscontrabile in altri anfiteatri; scelto un modulo
di 50 piedi romani (m. 14,78), definì le dimensioni degli assi dell’arena, in
proporzione reciproca canonica di 3:5, in 150 e 250 piedi romani (m. 44,35 e
73,92). A tal punto, proiettata sull’asse maggiore la misura del minore, provvide
a costruire un triangolo con i lati in rapporto 3, 4, 5 (il lato minore del triangolo,
di lunghezza pari alla metà dell’asse minore, insiste sull’asse maggiore); tale
figura permette la costruzione di un angolo retto, sul quale possono essere
disegnati con perfetta ortogonalità i due assi dell’edificio (fig. 13).
Tale figura è vincolata per il cateto più corto alla misura della metà dell’asse
minore dell’anfiteatro, ne deriva quindi un modulo di 25 piedi romani (m. 7,39),
dimezzato rispetto a quello scelto per gli assi dell’arena. Il progettista disegnò
pertanto un triangolo con i lati di 75, 100, 125 piedi romani (m. 22,17; 29,57;
36,96), appoggiato con il cateto minore all’asse maggiore dell’anfiteatro; ribaltando ripetutamente tale figura mantenendo l’angolo retto a contatto con il
punto centrale dell’anfiteatro, individuò i quattro punti di origine (fig. 2 A, A’,
B, B’) per la costruzione degli archi (fig. 14).e, con il prolungamento delle ipotenuse, i limiti dei quattro settori per la costruzione dei quattro archi di circonferenza che disegnano il perimetro dell’arena (fig. 15).
Attorno a tale ovale l’architetto aggiunse l’area delle gradinate (cavea), una
corona ampia 65 piedi romani (m. 19,22); verificato quindi che il perimetro
esterno risultante dell’anfiteatro avrebbe avuto una dimensione non perfetta11
Cfr. Welch 2009, 198-202.
Nava 2006, 586-587. Si ringrazia per la cortesia e le informazioni la dott.ssa Valeria
Sanpaolo, titolare dell’Ufficio Archeologico di Santa Maria Capua Vetere, che ha curato
la realizzazione degli scavi in questione.
12
16
2. Lo scavo
mente consona per il disegno dei cunei e delle arcate, preferì aumentarlo leggermente mediante l’incremento dell’arena di un piede in tutte le direzioni (assi
dell’arena portati a 152 e 252 piedi, m. 44,94 e 74,51) (fig. 16).
Individuata la posizione delle due porte principali (verosimilmente la Triumphalis a nord in direzione della viabilità principale e la Libitinensis a sud verso
la campagna), il ritmo dei muri radiali di sostegno della cavea venne stabilito
sottraendo alla misura del perimetro esterno l’ampiezza teorica delle due porte
principali, e quindi dividendo quanto rimaneva per i 66 cunei progettuali; le
porte maggiori hanno un interasse teorico di 20 piedi, e pertanto per ogni cuneo
restano a disposizione sul perimetro esterno circa 15,3 piedi romani. Quindi il
progettista proseguì ripetendo il procedimento sul perimetro dell’arena, dando
alle porte principali un interasse teorico di 16 piedi e ottenendo 66 intervalli di
9,25 piedi (9 piedi ed un palmo); unendo i reciproci punti individuati sui due perimetri ottenne lo schema della raggiera dei cunei (fig. 17).
Mantenendo gli assi dell’arena ai 150 e 250 piedi progettuali si sarebbe ottenuto un perimetro esterno di 1044,5 piedi ed un perimetro dell’arena di 640 piedi, con un risultato più irregolare nel disegno dei cunei teorici.
Infine si stabilì il disegno degli archi; scelta la misura di 8 piedi per i tratti
murari intermedi, e di 14 piedi per gli archi degli ingressi maggiori, ne risultò la
misura di 7 e 1/3 piedi per i 66 fornici del perimetro esterno.
Date le trasformazioni subite dal monumento risulta attualmente molto difficile una eventuale ricostruzione degli alzati; si può osservare comunque la presenza della fondazione di un vano scala all’interno del muro perimetrale
dell’arena, nel settimo cuneo a destra della porta principale meridionale; tale
vano è lungo circa m. 2,4 (8 p. r.) e, ipotizzando gradini con alzata 24 cm e consimile pedata, si avrebbe un dislivello di circa 2,4 metri (8 p. r.), perfettamente
compatibile con l’altezza di un podium rispetto al piano dell’arena. Si avrebbe
pertanto una prima praecinctio inferiore sul limite del podium per il servizio
della ima cavea.
L’ampiezza della cavea potrebbe suggerire una ripartizione in due maeniana
ciascuno di una decina di sedili, divisi da una praecinctio intermedia verosimilmente raggiungibile per mezzo di rampe di scale interne; la summa cavea
era forse coronata da una porticus colonnata.
Tale struttura rende necessaria la presenza di almeno un secondo piano con
arcuazioni nella facciata esterna, fino ad un’altezza di circa 12 metri dal piano
di campagna, e forse di un sovrastante attico finestrato aperto a porticus in direzione della cavea (fig. 18); con tale ulteriore elemento il monumento avrebbe
potuto raggiungere un’altezza di circa 20 metri (70 p. r.), con un rapporto ap-
17
Alife. L’Anfiteatro romano
prossimato a 2:1 tra l’asse minore dell’arena e l’altezza esterna, come nel caso
di Nîmes13.
2.2.4. La seconda fase (periodo 2B) (E.A.S.)
Poco dopo la metà del I secolo l’edificio venne totalmente ricostruito (fig.
19), probabilmente a seguito di un evento naturale particolarmente grave;14 le
modalità e l’entità del nuovo intervento lasciano intendere che l’anfiteatro della
fase precedente fosse stato di fatto raso al suolo fino al livello delle fondazioni.
L’ima cavea, che nella fase precedente si elevava presumibilmente per 2,4
metri, venne abbassata di più di un metro; davanti a questa, sottraendo lo spazio
all’arena, si aggiunse un settore riservato per i cittadini più ragguardevoli
(podium) ampio circa 4,2 metri (14 p. r.), con almeno una tribuna riservata alle
autorità (suggestum) localizzata al centro del lato lungo occidentale in direzione
della porta della città. Per l’accesso al podium si decise di realizzare una serie di
rampe radiali in discesa che, transitando sotto l’ima cavea, terminavano con
scalette in salita; lo scavo di tali corridoi evidenziò uno stato di possibile rischio
per le limitrofe fondazioni dei setti e pertanto tali strutture vennero demolite e
sostituite con nuovi muri radiali fondati a maggiore profondità (fig. 20).
Al fine di garantire la sicurezza degli spettatori nei confronti dei combattenti
e delle belve si decise di sottoscavare l’arena per una profondità di circa 2,4
metri (8 p. r.); tale scelta compensava la riduzione operata nell’altezza
originaria dell’edificio mantenendo l’inclinazione della cavea e numero di sedili
rispetto alla fase precedente.
Nell’insieme venne rispettata la pianta del periodo precedente, e non venne
realizzata alcuna galleria esterna. Le osservazioni del Trutta in merito alla
grande quantità di laterizi visibili sul terreno15 sono state confermate dai
rinvenimenti effettuati; è plausibile che le cortine dei muri fossero state
realizzate prevalentemente mediante l’uso di paramento laterizio rivestito da
stucchi ed intonaci e l’identificazione di appositi elementi per colonne e
modanature evidenzia che la facciata esterna del monumento doveva presentare
la consueta scansione con semicolonne e cornici modanate in laterizio stuccato.
La fronte del podium era realizzata con una muratura in calce e pietrame
(opus incertum) rivestita da intonaco presumibilmente colorato e, per la
13
Wilson Jones 1993, 428-429; gli altri anfiteatri presi ad esempio presentano altezze
maggiori.
14
Sembra verosimile un importante evento tellurico che avrebbe interessato il territorio
alifano e parte del Sannio poco dopo la metà del I secolo.
15
Trutta 1776, 36-37.
18
2. Lo scavo
protezione dalle intemperie ed una maggiore resistenza, a coronamento del
muro (balteus) erano stati posti grandi blocchi calcarei a bauletto (figg. 21-22);
tra questi si caratterizza l’elemento angolare presso la porta libitinensis che
presenta un caratteristico incasso per l’alloggiamento del montante del cancello
di ingresso all’arena (figg. 22-23).
Il podium era stato organizzato con tre file di gradini in calcare bassi e larghi
(altezza cm. 35, larghezza cm. 80) (figg. 24-26) per ospitare i sedili pieghevoli
(sellae) degli esponenti delle classi superiori urbane (decuriones, augustales
ecc.), ed era separato dal resto della retrostante cavea da una transenna in
lastroni di calcare con parte superiore centinata (figg. 27-28; fig. 29).
Il settore podiale era servito da 20 corridoi dedicati ed era ripartito in 16
settori ampi 30 piedi, ognuno dei quali poteva presumibilmente ospitare 45
spettatori, per una capienza totale di 720 posti.
Al centro del lato occidentale del podium, e forse anche sul lato opposto, in
corrispondenza dell’asse minore dell’anfiteatro, era la loggia per i magistrati e
le eventuali autorità ospiti (pulvinar, suggestum), servita da un apposito
corridoio; con una superficie di circa 20 metri quadrati, forse dotata di tre file di
gradini, poteva ospitare fino una quindicina di persone.
Tale loggia era appoggiata sopra un piccolo ambiente sotterraneo che doveva
originariamente presentare un’apertura sull’arena; si suppone che tali ambienti,
frequentemente realizzati negli anfiteatri, dovessero rivestire una funzione
sacrale (sacellum) in connessione con il culto di Nemesis, dea della vendetta
divina e del castigo fatale, che soprintendeva ai ludi ed era particolarmente
venerata dai gladiatori (fig. 30).
Negli interri medioevali dell’arena sono stati rinvenuti vari elementi relativi
alla zona del podium, caduti o gettati a seguito delle prime demolizioni e poi
ricoperti di terra e dimenticati; nulla invece si è potuto rintracciare della più
distante cavea. L’unico elemento residuo è un gradino in calcare reimpiegato
nella grande calcara dell’arena, che, pur molto calcinato, presenta un profilo
ricostruibile con un’altezza di 45-46 cm. e una seduta di circa 60 cm., misure
consuete negli edifici da spettacolo di epoca romana.
Sembra verosimile che nella seconda fase gli ingressi fossero stati
organizzati secondo un ritmo costante, previsto su gruppi di quattro cunei
consecutivi; il primo cuneo era per i 20 corridoi in discesa di servizio al podium,
quindi due cunei per 16 scalinate a doppia rampa di collegamento con il
maenianum intermedio tra la ima e la summa cavea e il quarto cuneo per i 16
corridoi in lieve ascesa per il maenianum ai piedi dell’ima cavea. La parte
sommitale della summa cavea doveva essere raggiungibile o mediante ulteriori
scale interne o, più probabilmente, mediante scalette radiali nella cavea stessa.
19
Alife. L’Anfiteatro romano
Sembra possibile che la cavea fosse suddivisa in 16 settori (cunei); ipotizzando
la presenza di 24 file di gradini si avrebbe una capienza di circa 800 spettatori
per settore, quasi 13000 posti in totale.
Ai lati delle porte principali sono stati individuati due piccoli e bassi vani, di
poco più di metri 2 x 2 (fig. 31); tali ambienti erano di solito presenti negli
anfiteatri con funzioni di servizio (carceres)16, generalmente per il ricovero
delle attrezzature, degli inservienti dei gladiatori e delle belve, ma di solito si
riscontrano maggiori dimensioni ed un numero più elevato; nel caso alifano si
potrebbe pensare a dei depositi per le armi, piccoli e facilmente controllabili
Si deve presumibilmente a tale fase la realizzazione di un ambiente
sotterraneo al centro dell’arena; la pianta rettangolare allungata è infatti molto
semplice e di solito connessa con gli anfiteatri più antichi (fig. 32).17
La necessità di tale elemento derivava da un lato dalla complessità dei
giochi, che rendevano necessari scenari ed apprestamenti vari che venivano fatti
emergere mediante montacarichi sul piano dell’arena, dall’altro dalla
constatazione che, ad eccezione di due piccolissimi vani ai lati delle porte
principali, l’anfiteatro non disponeva di ambienti per gli inservienti ed i
protagonisti, gladiatori e belve. Le più antiche attestazioni di sotterranei
nell’arena, a Siracusa e Cassino, vengono spiegate con tale motivazione18.
Progettualmente si disegnò al centro dell’arena un ambiente rettangolare
allungato ampio 12 piedi e lungo 120, in rapporto di 1:10 tra i lati; la
realizzazione dei muri, con cortina in ricorsi di pietrame irregolare (opus
incertum) restrinse lievemente lo spazio (larghezza tra gli 11 e i 12 piedi scarsi,
lunghezza circa 117 piedi). Il soffitto era evidentemente realizzato con una serie
di robusti travi traversi sui quali poggiavano gli spessi assiti parzialmente
mobili per far emergere i vari elementi; non essendovi traccia di scale fisse,
queste dovevano essere in legno, accessibili tramite botole nel piano
sovrastante; eventuali macchinari non hanno lasciato tracce nei muri
perimetrali. Il pavimento, con un massetto cementizio rivestito da un piano di
tegole smarginate, era stato posto oltre tre metri sotto il piano dell’arena, pochi
palmi sopra la falda idrica; su ciò che restava del piano pavimentale erano
alcune lucerne abbandonate, evidentemente utilizzate per illuminare l’ambiente,
che potrebbero suggerire una data per gli ultimi utilizzi del sotterraneo
nell’ambito del II secolo (fig. 33).
Lo scavo del piano dell’arena ha rivelato una serie di fori per
l’alloggiamento di pali lignei verticali disposti parallelamente alla fronte del
16
Golvin 1988, 328-330.
Golvin 1988, 331.
18
Golvin 1988, 330-333.
17
20
2. Lo scavo
podium, alla distanza di 12 piedi, con un interasse medio di 8 piedi tra l’uno e
l’altro (fig. 34). Tali incassi, che presentano una profondità dal piano dell’arena
di poco meno di 60 cm. (2 p. r.), presentano misure oscillanti dai 22 ai 30 cm. e
dovevano pertanto alloggiare pali del diametro di base di due terzi di piede (bes,
cm. 19,7).
Sembra possibile che tale apprestamento potesse costituire il sostegno di una
recinzione interna, realizzata con una staccionata lignea o anche con reti, allo
scopo di mantenere gladiatori ed animali al centro dell’arena evitando che parti
dello spettacolo finissero con lo svolgersi troppo accosto al muro del podium, in
un angolo visivo morto per tutte le gradinate direttamente sovrastanti (almeno
un terzo degli spettatori). Si deve però considerare che, data la limitata
profondità degli alloggiamenti, i pali verticali di sostegno avrebbero facilmente
ceduto a sollecitazioni orizzontali di particolare entità, del tipo di quelle che
avrebbe potuto portare ad effetto un toro o un grande felino. Data anche la
dimensione sembra possibile che tali elementi verticali fossero sottoposti ad una
compressione compensativa delle trazioni che avrebbero potuto verificarsi alla
base, fungendo da sostegno centrale per mantenere in tensione le funi tiranti del
velarium, la leggera copertura che veniva stesa per riparare gli spettatori dai
raggi del sole nelle giornate più calde: la posizione dei pali, avanzata rispetto
alla fronte del podium, si giustificherebbe con l’esigenza di garantire l’ombra a
tale settore privilegiato anche nei momenti in cui i raggi del sole giungevano
obliquamente, dalla media mattina al tardo pomeriggio.
Il legname di altissimo fusto per tali elementi, che dovevano superare i 15
metri, era agevolmente reperibile nei vicini boschi di cipressi19 di cui resta un
fossile nella Cipresseta degli Zappini di Fontegreca20; il cipresso è
particolarmente resistente agli agenti atmosferici e a funghi ed insetti; la
particolare compattezza e la possibilità di ottenere dai fusti elementi monossili
di inusitate lunghezze e dimensioni lo rende idoneo per travature portanti in
edilizia e cantieristica navale21.
2.2.5. Ulteriori interventi (periodi 2C e 2D) (tav. III) (E.A.S.)
La scelta di incassare l’arena nel piano di campagna portò l’immediato
vantaggio di risparmiare sugli alzati dell’edificio, ma ben presto dovettero
evidenziarsi le controindicazioni di tale apprestamento. L’anfiteatro costituisce
infatti un gigantesco imbuto, che tende a convogliare al suo centro la massa
19
Il cipresso giunge fino ai 35 metri di fusto: Della Rocca et alii 2007, 119.
Ducci – Vannuccini 2007, 180-181.
21
Berti – Macchioni 2007, 195-197.
20
21
Alife. L’Anfiteatro romano
delle acque pluviali raccolte dai più di 7500 metri quadri di sviluppo del
complesso; inizialmente gli strati inferiori geologici, composti da sabbie e
ghiaie, riuscirono a drenare il passaggio delle acque, finché non furono saturati
dall’infiltrazione di limi argillosi che li resero impermeabili, con il conseguente
ristagno delle acque nell’arena.
Si decise quindi di realizzare un cunicolo anulare, all’interno del muro
frontale del podium, che convogliasse le acque raccolte dalla cavea in due
cloache che, attraverso i corridoi delle porte principali, le scaricavano
all’esterno del complesso (fig. 35). La realizzazione del cunicolo
“circumpodiale” obliterò i sacelli sull’asse minore dell’arena.
Nel cunicolo sfociavano una serie di 16 getti primari che si dipartivano da
altrettanti chiusini forati che dovevano essere situati sul pavimento del primo
maenianum; è probabile che apprestamenti consimili fossero localizzati anche
all’altezza del secondo maenianum. Nel cunicolo confluivano inoltre una serie
di condotti minori, realizzati con coppie di coppi giustapposti, che
raccoglievano le acque alla base delle scalette di servizio al podium.
Tale nuovo sistema aveva però un grave inconveniente: un’idonea cloaca di
deflusso, data la profondità dell’arena ed il moderato pendio naturale, avrebbe
dovuto essere scavata e costruita per più di 400 metri, comportando una spesa
non indifferente. Si preferì pertanto non affrontare tale spesa confidando nel
fatto che gli strati di ghiaie naturali fuori del perimetro delle fondazioni
avrebbero drenato le acque; le cloache (è stata scavata la sola meridionale, si
ipotizzala presenza di una seconda cloaca attraverso il corridoio della porta
settentrionale) attraversano tagliandola la fondazione anulare esterna per
sfociare in un vano a grotti cella (fig. 37).
Ovviamente anche tale apprestamento finì con l’intasarsi e pertanto si giunse
alla realizzazione di un condotto in muratura con copertura in tegole (e
probabilmente un altro speculare) che, dipartendosi dal pozzetto di raccolta
all’imbocco del corridoio della porta meridionale, attraversata l’arena, gettava le
acque raccolte nel sotterraneo (fig. 37); nella parete meridionale di questo venne
realizzata un’apertura ad arco per far filtrare le acque nei livelli geologici
sottostanti (fig. 38). Tale ultimo intervento, che potrebbe datarsi nell’ambito del
IV secolo, presuppone il totale o parziale abbandono dell’uso del sotterraneo.
Dal punto di vista strutturale l’anfiteatro di Alife, derivante da modelli tardo
repubblicani, ed in primo luogo dal primo anfiteatro di Capua, tipo logicamente
si inserisce in ambedue le fasi costruttive in un gruppo di monumenti della prima età imperiale, diffusi sia in Italia che nelle province occidentali, caratterizzati da una cavea appoggiata su muri radiali che si dipartono direttamente dal
muro perimetrale, senza la presenza di un ambulacro esterno. A questa tipologia
22
2. Lo scavo
appartengono, secondo il Gros 19, monumenti di età giulio-claudia: 3 di questi
(Aosta, Lupiae e Pula- I fase) sono databili già in età augustea mentre più numerosi sono gli esempi di età claudia e neroniana (Luca, Arretium, Luna, Terracina, Aquileia,, ecc…) 22.
Il monumento alifano nasce in un periodo in cui la sperimentazione della tipologia non è ancora giunta a soluzioni definitive e preferenziali e, pur presentando elementi in comune con altri consimili edifici, si caratterizza comunque
come un unicum per l’insieme delle soluzioni architettoniche adottate; a titolo
esemplificativo si può osservare che, mentre sembrano derivare dal prototipo
capuano le dimensioni totali, l’ampiezza della cavea, le misure dell’arena e
quindi il modulo di costruzione iniziale, il disegno dei muri radiali di sostegno
della cavea è totalmente differente e sembra invece molto più prossimo a quello
riscontrabile nei più tardi anfiteatri di Nemausus e Arelate.
I dati di scavo sono ancora in fase di riordino e in particolare sono ancora in
fase di studio i numerosissimi frammenti di laterizi sagomati e i più rari frammenti di elementi marmorei, oltre agli oggetti rinvenuti negli scavi precedenti; i
sintetici dati presentati in quest’ambito devono pertanto intendersi come preliminari in previsione di una prossima edizione completa del monumento.
2.3. I frammenti epigrafici (G.C.)
Nei recentissimi scavi dell’anfiteatro è stato rinvenuto nel giugno 2007,
sfuggito alle fornaci medievali, nella zona Nord presso il piccolo vano vicino
all’arena, un frammento epigrafico su una lastra di marmo bianco (fig. 39), che
conserva solo il lato inferiore. Misure: h. +31 x +53 x 3,5 cm; lettere alte +13,5
cm. (in origine ca. 21/22); retro sbozzato; lungo il margine inferiore si nota una
leggera cavità semicircolare, dove verosimilmente doveva essere alloggiata una
grappa metallica per il fissaggio.
Per la notevole altezza delle due lettere conservate VR, per la loro accurata
incisione e grafia, per il supporto di marmo, si può concludere con buona probabilità che si tratta di una iscrizione pertinente ad un monumento pubblico di
età augustea o giulio-claudia. Per quanto il testo sia ridotto a sole due lettere, si
potrebbe dunque pensare alla dedica dell’anfiteatro, sebbene non si possa escludere del tutto che la lastra vi sia stata portata, prelevandola da altro monumento
cittadino, sia in età tardoantica per un reimpiego, sia in epoca postantica per esservi trasformata in calcina nelle fornaci da calcara, che vi si trovavano.
22
Gros 2001, 363. Si noti come già nello stesso periodo facciano la loro comparsa anche gli anfiteatri di tipo “canonico” con un complesso sistema di setti radiali, ambulacri
perimetrali e piloni liberi (Gros 2001, 364-366).
23
Alife. L’Anfiteatro romano
-----[- - - c]ur[avit (-avit)]
2.4. I materiali ceramici del periodo 2 (A.A.)
Lo scavo dei contesti del periodo 2 ha restituito una discreta quantità di materiale ceramico, utile per la definizione cronologica della storia edilizia del
monumento.
I reperti provengono principalmente da due diverse tipologie contestuali, da
connettere alla ricostruzione dell’edificio anfiteatrale (periodo 2B): una prima,
costituita da strati di calce interpretabili come piani di cantiere, e da scarichi di
scaglime di pietra calcarea, formanti materiale di risulta dalla lavorazione dei
blocchi che costituivano l’apparato decorativo; una seconda rappresentata da
butti di materiale eterogeneo (intonaco, malta e calce) con probabili funzioni
drenanti sottoposti ai piani pavimentali dei corridoi. Una terza, infine, è costituita da strati di abbandono all’interno della fossa scenica e del piccolo ambiente di servizio riconosciuto al centro del lato lungo occidentale, sul quale doveva essere impostata una delle due logge per i magistrati.
Come si vedrà, l’analisi crono-tipologica del materiale ceramico,
dell’edificio, mostra nel complesso un orizzonte cronologico omogeneo, compreso tra la seconda metà del II sec. a.C. e la I metà del I sec. d.C., con una decisa predominanza di forme databili alla prima metà del I sec. d.C. e che non
vanno mai oltre l’età claudia.
Scarsi, invece, i materiali ceramici associabili alle fasi di vita del monumento, cronologicamente collocabili tra la seconda metà del II e la metà del IV
secolo. Essi andranno da porre in relazione con gli interventi di ristrutturazione
e manutenzione dell’edificio (periodi 2C e 2D) prima del suo abbandono.
2.4.1. La ceramica fine da mensa
2.4.1.1. Le “terre sigillate” (A.A.)
La “Terra sigillata italica” risulta la classe maggiormente attestata (90 frammenti per un totale di 26 vasi identificati)23. Si tratta esclusivamente di forme
aperte rappresentate da due sole categorie formali: i piatti e le coppe. Ben documentati si rivelano i piatti con orlo tendenzialmente verticale a fascia, ricon23
Sono in corso analisi petrologiche per definire le aree di provenienza di questi prodotti. Ad un
esame macroscopico sembra tuttavia scarso l’apporto delle vicine officine calene i cui prodotti
sono comunque ben documentati nei contesti urbani di I secolo.
24
2. Lo scavo
ducibili alla Forma Pucci IX24. Quest’ultima, presente nelle tre varietà 425, 726
(tav. 1.1) e 1427 (tav. 1.2), rappresentata ciascuna da un solo esemplare, è piuttosto comune e farebbe la sua comparsa nell’ultimo decennio del I sec. a.C. per
essere prodotta almeno fino alla fine dell’età tiberiana28. Di produzione puteolana potrebbe invece essere l’esemplare tav. 1.3.29
Alla diffusissima coppa tronconica Conspectus 2230 è riferibile l’orlo tav.
1.4: la forma è prodotta a partire dal 10 a.C. per poi scomparire già nel secondoterzo decennio del I sec. d.C.
Più tardi sono due esemplari riconducibili alla coppa Conspectus 3231 (tav.
1.5-6), introdotta nella prima età tiberiana e prodotta almeno fino alla seconda
metà del I secolo32. Pressoché coevo è l’orlo tav. 1.7, attribuibile alla coppa carenata Conspectus 27, databile in età tiberiano-neroniana ma ancora ben rappresentata a Pompei nei livelli del 79 d.C. 33
L’orlo tav. 1.8 può essere posto in relazione con la coppa emisferica Conspectus 36, prodotta tra la prima età augustea e la fine del I secolo d.C.34 Infine,
alla forma Pucci XXIX.435, attestata in contesti databili tra il 20-25 e il 45 d.C.36,
è possibile avvicinare un frammento di orlo pertinente a una coppa carenata37.
Scarsamente attestata è invece la “terra sigillata africana” con soli 6338
frammenti, per un totale di 4 vasi identificati, tutti riferibili a forme aperte. Tra
queste si segnala un esemplare (non illustrato) della scodella Hayes 14A, prodotta in sigillata A2 e databile tra la fine del II e gli inizi del III sec.d.C.39, ed un
24
Atlante II, 382-383, tavv. CXVIII.4-16 e CXIX.1-3.
Atlante II, 383, tav. CXVIII.7; Conspectus, 84-85, forma 19.2.
26
Atlante II, 383, tav. CXVIII.10; Schindler – Scheffenegger 1977, tav. 53.14; Conspectus, 8889, forma 21.2.1. Il frammento di Alife trova confronto puntuale in un esemplare da Bolsena proveniente da un contesto databile tra il 15-50/60 d.C. cfr. Santrot – Tassaux 1995, 101, fig. 30.239.
27
Atlante II, 383, tav. CXIX.1; Conspectus, 88-89, forma 21.3.1.
28
Goudineau 1968, 374-376, forma 28.
29
Cfr. Pedroni – Soricelli 1996, 177, fig. 2.14.
30
Conspectus, 90-91.
31
Conspectus, 108-109; cfr. Atlante II, 390, tav. CXXVII.6-10; cfr. anche Atlante II, 198, tav.
LIX.6-10.
32
La forma è presente anche a Pompei: cfr. Pucci 1977, tav. II.12.
33
Conspectus, 100-101; per Pompei vd. Pucci 1977, 15-16, tab. 6.
34
Conspectus, 114-115.
35
Cfr. Atlante II, 393, tav. CXXVIII.7.
36
Schindler – Scheffenegger 1977, tav. 60.13.
37
Il frammento di Alife è simile a esemplari da Luni ( cfr. Luni II, p. 314, tav. 63.23 CM 529/4 e
24 CM 2512/3) e da Ostia (cfr. Ostia II, p. 161, tav. XII, fig. 120 a-b.
38
Di questi 63 frammenti ben 46 sono pertinenti all’esemplare fig. 1.9, quasi interamente ricostruibile.
39
Cfr. Atlante I, 32, tav. XVI.8; Bonifay 2004, 157-159.
25
25
Alife. L’Anfiteatro romano
esemplare della scodella Hayes 50A (tav. 1.9) prodotta in sigillata C3, e databile
tra il 300-360 d.C.40
2.4.1.2. La ceramica a pareti sottili (A.Z.)
La ceramica a “pareti sottili” è presente con un numero alquanto ridotto di
frammenti, pertinenti prevalentemente a coppe e, in numero decisamente inferiore, boccalini collocabili cronologicamente tra l’età augustea ed il II sec. d. C.
L’esame macroscopico delle argille ha permesso l’individuazione di dodici
differenti tipi di impasto che, per composizione e consistenza, possono essere
suddivisi in tre gruppi: 1) impasti molto depurati, molto duri, caratteristici delle
cosiddette pareti sottili a “guscio d’uovo”; 2) impasti depurati, friabili, dove gli
inclusi sono pochi o del tutto assenti; 3) impasti “grezzi”, duri, con inclusi di
diverso genere. In quest’ultimo gruppo (tav. 2.3, 5-7, 11-12) rientrano anche gli
impasti di un consistente deposito di ceramica a “pareti sottili” rinvenuto ad
Alife nel 1981 interpretabile, per la presenza di diversi esemplari stracotti e deformati, come scarico di fornace.41
Per quanto riguarda le coppe, comuni (sia tra i materiali dell’anfiteatro che
tra quelli dei contesti urbani) si rivelano quelle a parete svasata, decorata con
una scanalatura posta circa alla sua metà, vasca più o meno profonda e orlo indistinto, assimilabili alla forma Mayet XXXIII / Marabini XXXVI e cronologicamente collocabili in età augusteo-tiberiana:42 in particolare, l’esemplare tav.
2.1, l’orlo tav. 2.2 (caratterizzati da un leggero rigonfiamento all’interno) ed il
fondo tav. 2.6 sono accostabili al tipo Mayet XXXIII, n. 26343; gli orli tv. 2.3-4
possono essere invece assimilati al tipo Mayet XXXIII, n. 27144; la coppa tav.
2.5 può essere accostata al tipo Mayet XXXIII, n. 27245.
Datazione analoga può essere proposta per l’esemplare tav. 2.7, probabilmente una variante bassa della forma precedente: documentato tra le forme prodotte dall’officina alifana46, può essere accostato ad esemplari da Benghazi (pri40
Cfr. Atlante I, 65, tav. XXVIII.12.
41
L’area dello scavo (via Vessella, prop. Amodeo) è immediatamente alle spalle di
porta Fiume, all’interno dell’area urbana. Sui materiali vd. Soricelli – Zaccaria c.s.
42
Mayet 1975, 67-68; Marabini Moevs 1973, 106-111, 132-133. La forma, ben documentata nello scarico di Porta Fiume, risulta frequente anche a Napoli nei livelli di fine
I a.C. – inizi I d.C., vd. Faga 2008, 648.
43
Mayet 1975, 68, pl. XXXIII; cfr. anche Ricci 1985, 286-287, forma 2/232.
44
Mayet 1975, 68, pl. XXXIV. Vd. anche Ricci 2/412 e Marabini Moevs 1973, 133, n.
227, pl.23, che data questo esemplare al terzo quarto del I sec. a. C.
45
Mayet 1975, 68, pl. XXXIV.
46
Soricelli – Zaccaria c.s.
26
2. Lo scavo
vi però della scanalatura), in argilla probabilmente campana47, e da Cosa (caratterizzati da pareti più marcatamente emisferiche), in contesti tiberianoclaudî48.
Gli esemplari tav. 2.8-9 trovano un confronto puntuale con un esemplare, di
dimensione leggermente più ridotte, da Lipari, rinvenuto in un contesto datato al
I sec. d.C. e attribuito ad una produzione di ambiente campano-laziale.49
Alla produzione cd. a “guscio d’uovo” (per il ridottisimo spessore delle pareti, ca.1-1,5mm), caratteristica dell’area spagnola (regione di Cadice) è riferibile l’orlo tav. 2.10, prodotto ed esportato tra l’età claudia e l’età adrianea50.
I boccalini, in numero esiguo, sono rappresentati dall’esemplare tav. 2.12,
confrontabile con il tipo Marabini LI (= Ricci 1/103), attestato dall’età tiberiana
a tutto il I sec. d.C.51 La forma era tra quelle prodotte dall’officina alifana52.
L’esemplare tav. 2.11 può, invece, essere accostato alla forma Marabini XLVII
(= Ricci 1/117), attestata a Cosa nei livelli di età tiberiano-claudia e frequente a
Pompei nei livelli del 79 d.C. e nelle stratigrafie ostiensi tra l’età flavia ed il II
sec. d.C. (con prodotti attribuiti ad officine centro-italiche, forse campane).53
2.4.2. La ceramica comune da mensa e da dispensa (A.A)
È documentata da 460 frammenti per un totale di soli 41 individui ceramici
identificati. La classe comprende esemplari caratterizzati da un’argilla compatta
e omogenea, più o meno depurata, con tonalità che vanno dall’arancio-rosato al
beige-chiaro, con superficie lisce, generalmente farinose al tatto. Le forme
identificate mostrano di rifarsi al repertorio ceramico delle zone costiere e in
particolare dell’area vesuviana.
Nell’ambito delle forme aperte sono documentati 4 esemplari di bacini/zuppiere (tav. 3.1-2) che trovano puntuali analogie con reperti da Pompei54 e
si datano tra il II sec. a.C. fino al I sec.d.C..
47
Kenrick 1985, 311, B455.1.
Marabini Moevs 1973, 293-294, nn. 316-322, pl. 35. Cfr. anche Ricci 1985, 289-290,
forma 2/315, tav. XCII.12.
49
Denaro 2008, 42, 45, Lp3, tav. XVI.
50
Per la forma Mayet 1975, 69-71, forma XXXIV, pl. XXXV-XXXVI.275-296; Ricci
1985, 293, tipo 2/247, 2/413-419.
51
Marabini Moevs 1973, 154-155, 286-287, nn. 249-258, pls. 26-27, 70-71; Ricci 1985,
264, forma 1/103, tav. LXXXIV.6.
52
Soricelli – Zaccaria c.s.
53
Marabini Moevs 1973, 191, 250, 299, 309, nn. 368, 452-453, pls. 40, 48, 80, 87; Ricci
1985, 271, forma 1/117, tav. LXXXVI.6.
54
Chiaramonte Trerè 1984, 149-151, tav. 91.3-4.
48
27
Alife. L’Anfiteatro romano
Sempre al repertorio morfologico dell’area vesuviana sono da accostare le
anforette55 (tav. 3.3-5) da dispensa con orlo a fascia, ancora da contesti di II sec.
a.C. fino all’età tiberiana56. Accanto a quello dell’anfiteatro un altro contesto
alifano coevo57 mostra tra i suoi materiali, come unici oggetti con precise analogie con il materiale ceramico vesuviano, proprio due anforette da dispensa con
orlo a fascia: il dato avvalora ulteriormente l’ipotesi che tali forme venissero
prodotte su larga scala da officine di Pompei o di territori limitrofi per poi alimentare, in maniera capillare, i mercati più interni.
2.4.3. La ceramica da fuoco (A.A)
I frammenti mostrano un’argilla dura, compatta, sabbiosa, con sfumature
dall’arancio al marrone-nerastro, ricca di inclusioni calcitiche, micacee e vulcaniche di forma e dimensioni variabili. La maggior parte dei vasi presenta sui
fondi e sulle pareti evidenti tracce d’uso lasciate dai fumi e dalle vampate del
focolare sul quale venivano posti.
In base alle caratteristiche morfologiche i materiali sono ripartibili in olle
(numericamente prevalenti), pentole, casseruole e tegami. Con queste sono in
relazione numerosi coperchi anche se, dato lo stato estremamente frammentario
dei reperti, non è possibile individuare associazioni certe e quindi stabilire a
quale delle quattro categorie enucleate fossero pertinenti.
Le olle, presenti con 59 esemplari, sono ripartibili in tre gruppi: il primo è
rappresentato da olle a corpo ovoide e labbro svasato, tra le più diffuse tra il I
sec. a.C. e il I sec. d.C., non solo in contesti vesuviani, ma anche a Cosa e
nell’area costiera tirrenica.58 La morfologia dell’orlo, sempre caratterizzata da
un incavo interno per il fermo del coperchio, distingue tre tipi il cui diametro
varia tra i 14 e i 16 cm: il primo è costituito da olle (tav. 3.6) che si confrontano
con esemplari da Pompei59 e da altri contesti vesuviani,60 databili tra il I sec.a.C.
e il I sec. d.C.; il secondo tipo (tav. 3.7-8) mostra anch’esso forti analogie con
materiali da Pompei61 e Napoli62 databili tra il II sec. a.C. e l’età tiberiana; il ter-
55
Gli esemplari dell’anfiteatro non conservano le anse quindi non è dato sapere quali
fossero le caratteristiche morfologiche.
56
Chiaramonte Trerè 1984, 171-172, tav. 106.18-19, 23; Gasperetti 1996, 38, fig. 5.29.
57
Gasperetti 1996, 54-55, fig. 13.65-66.
58
Duncan 1964, forma 29, 61-62, fig. 12.109-111; Dyson 1976, 79, 124, fig. 47.55.
59
Cfr. Chiaramonte Trerè 1984, 163, tav. 98.10;
60
Scafati: De Spagnolis 2000, 223-224, cat. n. 77; Boscoreale: De Caro 1994, fig.
39.111.
61
Cfr. Chiaramonte Trerè 1994, p. 164, tav. 100.2.
28
2. Lo scavo
zo tipo, infine, attestato da due esemplari con alcune variazioni morfologiche,
trova confronti più puntuali con materiali da contesti vesuviani compresi tra il I
sec. a.C. e il I sec. d.C.63 (tav. 3.9-10).
Un secondo gruppo è costituito da olle, globulari o ovoidi, che si presentano
caratterizzate da un labbro estroflesso con orlo ispessito e variamente sagomato
esternamente. Tra queste si segnalano in particolare, un frammento di olla (tav.
4.2) che trova paralleli a Pompei,64 e un frammento (tav. 4.1) confrontabile con
un reperto da Pontecagnano.65 Entrambi i contesti si datano tra il I sec. a.C. e I
sec. d.C. Allo stesso gruppo si può attribuire un’altra olla (tav. 4.3) che trova
analogie con vasi da Pompei66 e Napoli.67
Ben documentate risultano le pentole, con 40 esemplari, prevalentemente di
medie e grandi dimensioni, caratterizzate da una grande apertura e da vasca abbastanza profonda, spesso carenata, con fondo apodo a profilo convesso. In base
alle caratteristiche morfologiche si sono distinte due tipologie: con orlo a tesa
variamente sagomato; con labbro svasato munito di incavo, parete nel primo
tratto concava e poi bombata.
Il primo tipo (tav. 4.4-7) è quello meglio rappresentato con 24 esemplari e
costituisce una delle forme principali della batteria da cucina di età imperiale,
diffusa nel Mediterraneo occidentale dal II sec. a.C., particolarmente testimoniata con numerosi varianti, tra il I sec. a.C. e il I sec. d. C., ma sopravvissuta,
con caratteristiche leggermente diverse, fino al V sec. d.C.68 I reperti
dell’anfiteatro tuttavia presentano elementi morfologici peculiari che li discostano dal repertorio conosciuto per i contesti laziali e vesuviani:69 si tratta di
pentole che si caratterizzano per la presenza di un’ampia tesa fortemente inclinata verso l’esterno, con solco in alto e attacco con la parete sottolineato
all’interno da una sporgenza a profilo curvo più o meno accentuata. Questi
62
D’Onofrio – D’Agostino 1987, 54, fig. 35.B120; 163, fig. 35.E122. Quest’ultimo tuttavia differisce dall’esemplare alifano per una diversa morfologia dell’ansa che si mostra costolata mentre in quello di Alife è presente una marcata gola mediana.
63
Pompei: Chiaramonte Trerè 1994, 163, tav. 98.7-8; Napoli: D’Onofrio – D’Agostino
1987, 54, fig. 35.B124.
64
Chiaramonte Trerè 1994, 165, tav. 100.9.
65
Andersen – Horsnaes 2007, 97, fig. 95.Z23.
66
Chiaramonte Trerè 1994, 165, tav. 100.6.
67
D’Onofrio – D’Agostino 1987, 163, fig. 35.E124.
68
Per un inquadramento generale della forma, Olcese 2003, 39-40.
69
I materiali dell’area laziale e vesuviana mostrano per lo più una tesa piana solo talvolta
leggermente inclinata e munita di gola interna. Per il repertorio laziale, Olcese 2003, 7477, tavv. II-IV; per il repertorio vesuviano, Di Giovanni 1996, 82-87, fig. 13; Scatozza
Höricht 1996, 136-140, figg. 3-4; Chiaramonte Trerè 1984, 151-152, tav. 92.1-5.
29
Alife. L’Anfiteatro romano
esemplari, di produzione locale come suggeriscono le caratteristiche delle argille e i diversi esemplari ipercotti rinvenuti negli scavi urbani, appaiono ad Alife nei contesti di I sec. d.C. 70
Il secondo tipo, documentato da soli 9 esemplari con diametri compresi tra
24 e 34 cm, mostra invece maggiori analogie con materiale vesuviano: una delle
varianti (tav. 5.1-2), trova paralleli con esemplari pompeiani rinvenuti in contesti databili dall’età ellenistica fino all’età tiberiana.71 Da sottolineare che se a
Pompei tale forma sembra essere stata utilizzata con il precipuo scopo di conservare e portare a tavola generi alimentari,72 ad Alife è utilizzata anche come
recipiente per la cottura dei cibi. Si può dunque ipotizzare una derivazione di
queste pentole dalle pelvis,73 con cambiamento di funzione e conseguente adeguamento morfologico mediante la sostituzione del piede con il fondo concavo
più adatto alla collocazione sul focolare.
Le casseruole, documentate da 16 individui ceramici, con diametri compresi
tra 17 e 28 cm, rientrano in un unico tipo (tav. 5.3-4): si tratta dell’imitazione
locale74 della casseruola Hayes 197,75 prodotta dalle officine della Tunisia settentrionale e largamente diffusa (ed imitata) nel bacino occidentale del Mediterraneo già dagli ultimi decenni del I secolo.76 Oltre che ad Alife, imitazioni della
Hayes 197 sono documentate nell’agro falerno nel II secolo77 e presenti quasi
ovunque in tutta la Campania nei contesti di III-V sec. d.C.78
I tegami, infine, con apertura compresa tra i 20 e i 30 cm, sono documentati
con un numero complessivo di 35 esemplari. Prevalgono tra questi i tegami bassi su fondo piano (9 esemplari) (tav. 5.5-6): tale tipo, che sembra rifarsi alle versioni più tarde della ceramica a vernice rossa interna, è ben documentato ad Ali70
Vd., ad es., Di Giovanni 1996, 70-72, fig. 5.1, 5, 7 per gli esemplari provenienti da un
contesto della metà del I d.C. (scavo propr. Amato – Rea).
71
Chiaramonte Trerè 1984, 149-150, tav. 91.1 (materiali della Regio VI, ins. 5); Gasperetti 1996, 26, fig. 1.7 e 27, fig. 1.9 (materiali dal deposito dei Granai del Foro).
72
Il dato si ricava dalla quasi totale assenza di frammenti con tracce di esposizione a
fondi di calore, e dalla maggiore dffusione di reperti con impasto mediamente depurato,
cfr. Chiaramonte Trerè 1984, 149.
73
Annecchino 1977, 109-110, fig. 2.10-11.
74
Diversi esemplari ipercotti di questa forma provengono dallo scavo di una piccola
fornace immediatamente all’esterno di porta Fiume, cfr. Soricelli et alii c.s..
75
Atlante I, 218-219, tav. CVII.6-7; Bonifay 2004, 225, fig. 120.
76
Cfr. Aguarod Otal 1991, 20-281, fig. 75-81 circa la precoce comparsa della forma, già a
partire dalla seconda metà del I sec. d.C., nell’area tarraconese. Sullo scorcio del I secolo
la forma risulta imitata nella regione di Béziers, cfr. Pellecuer – Pomaredes 1991, 368.
77
Arthur 1987, 60, fig. 2.7.
78
Per Napoli cfr. Carsana 1994, 232, figg. 108-109; per l’ager Calenus cfr. Compatangelo 1985, tav. VIII.13, 21-22.
30
2. Lo scavo
fe nei contesti urbani di I secolo79 e ricorre in area vesuviana.80 È presente,
inoltre, anche se con soli 4 esemplari, il tegame a orlo bifido (tav. 5.7), tra le
forme da cucina più comuni81 nel bacino del Mediterraneo nei contesti databili
tra la seconda metà del II sec.a.C. e l’età tiberiana.82
2.4.4. Le anfore (S.D.M.)
I materiali più antichi sono rappresentati dall’orlo di una Dressel 1A (tav.
6.1, in black sand fabric)83, usata per il trasporto di vino campano e databile alla
prima metà del I secolo a.C., e dal puntale di un’anfora di Brindisi (tav. 6.2), di
origine apula, utilizzata per il trasporto di olio di oliva e databile tra la fine del
II e la fine del I a.C.
Di produzione italica sono anche la gran parte delle Dressel 2/4, che, come
in altri contesti di età alto-imperiale, costituiscono il tipo maggiormente attestato,84 con grande varietà sia tipologica che dimensionale. Alcune di esse, con
diametro dell’orlo tra 10 e 11 cm, sembrano riconducibili ad una serie di piccolo formato e a fondo piatto: queste sembrano prodotte in Campania e destinate a un commercio regionale.85 Lo stato frammentario del materiale non permette ulteriori calcoli dimensionali e volumetrici; tuttavia, è possibile che esse
costituissero una sottomisura dei formati più grandi. A questa serie appartiene
l’esemplare tav. 6.3.
Le varianti più grandi hanno un diametro dell’orlo che varia tra 14 e 16 cm e
mantengono il classico puntale alto e pieno; alcune di queste hanno un impasto
riconducibile all’ambito locale, molto simile a quello usato per la fabbricazione
di un contenitore più tardo affine alla serie delle “campane tarde”,86 testimoniando una produzione di vino e di contenitori idonei al suo trasporto a partire,
79
Cfr. Di Giovanni 1996, 72, fig. 6.9 dal già citato contesto di metà I d.C. (scavo prop.
Amato – Rea). Il rinvenimento di diversi esemplari più o meno deformati tra i materiali
dello scavo della piccola fornace all’esterno di porta Fiume della città ne suggerisce la
produzione locale.
80
Boscoreale: De Caro 1994, 176-177, fig. 45.144-145.
81
Per un inquadramento generale della forma si veda Di Giovanni 1996, 78-80, fig. 9.
82
Chiaramonte Trerè 1984, 147, tav. 90.1.
83
Cfr Peacock – Williams 1986, 87-88.
84
Sulla diffusione delle Dressel 2/4 vd. Panella, 2002, 193-196.
85
Panella 2002, 194.
86
Cfr. nt. 89.
31
Alife. L’Anfiteatro romano
al più tardi, dagli inizi del I sec. d.C. 87
Le produzioni iberiche sono presenti soprattutto con frammenti riferibili
all’area betica. I contenitori rinvenuti erano per la maggior parte utilizzati per il
trasporto di salse di pesce. Tra essi si segnala, rinvenuto associato ad altro materiale ceramico databile entro la metà del I secolo nei livelli pavimentali della seconda fase dell’edificio anfiteatrale, l’orlo di una Dressel 7/11 (tav. 6.4).88
Nei livelli di vita dell’edificio le produzioni italiche sono ben rappresentate,
in particolare con un tipo di contenitore vinario (tav. 6.5) che è possibile accostare alla serie delle “campane tarde”; questo tipo risulta ben documentato ad
Alife nei contesti urbani di età medio imperiale e prodotto in un’argilla pressoché identica, almeno macroscopicamente, a quella utilizzata per la ceramica
comune e da fuoco prodotta localmente.89
I contenitori iberici sono ancora rappresentati da alcuni orli riferibili ai tipi
Dressel 7/11 (tav. 6.6) e Beltràn IIA90 (tav. 6.7), quest’ultima prodotta tra l’età
tiberiano-claudia ed il II sec. d.C. e utilizzata soprattutto per il trasporto di una
particolare qualità di salsa di pesce, la cordula.
Scarse le attestazioni relative alle produzioni africane. Si segnalano in particolare, alcuni esemplari di Dressel 3091 destinati alla commercializzazione del
vino africano e databili tra la fine del II e la fine del III secolo (tav. 6.8).92
Dall’area egea proviene un piccolo contenitore, utilizzato nel trasporto di un
vino di qualità superiore93, datato tra la seconda metà del I secolo e la prima
metà del II; si tratta di una delle varianti della Cretese 4 (tav. 6.9)94, documentata ad Alife anche in altri contesti.
Di produzione orientale è anche il contenitore più tardo attestato, attribuibile
alla serie delle LRA 395 (tav. 6.10), databile tra il IV e il VII sec. d.C.
È da sottolineare l’apparente assenza o comunque la quantità particolarmente
ridotta di contenitori oleari, pressoché assenti all’anfiteatro e scarsamente documentati nei contesti urbani. Ciò potrebbe indicare l’esistenza di una produzio87
Il territorio alifano era celebrato per i suoi vitigni nel I sec. d.C., cfr. Sil. It., Pun.
XII, 526.
88
Sulle Dr. 7/11 vd. Panella 2002, 202-203.
89
Sul tipo vd. Arthur – Williams 1992, ove, sulla base di analisi petrologiche, si distinguono per questo contenitore quattro aree di produzione di cui una (fabric A) localizzabile nel nord della Campania, nell’area di Cales o nelle sue immediate vicinanze.
90
Sulle Beltran IIA vd. Panella 2002, 202-203.
91
Sulle Dr. 30 vd. Panella 2002, 207; Bonifay 2004, 148-151.
92
L’esemplare illustrato si avvicina a Bonifay 2004, 150, fig. 82 n. 18.
93
Cfr. Marangou-Lerat 1995, 89.
94
Marangou-Lerat 1995, 86-87, tipo AC4c, pl. XXX-XXXI.75-76.
95
Keay 1984, 286-289, tipo LIV bis; Panella 1986, 267.
32
2. Lo scavo
ne locale di olio sufficiente al consumo urbano96 o all’importazione di olio dalle
comunità più prossime, in contenitori ceramici (ancora da individuare) o in otri.97
2.5. Gli intonaci (L. J.)
I contesti del periodo 2B hanno restituito una notevole quantità di intonaco
dipinto, usata come materiale di riempimento. Lo stato di estrema frammentarietà dovuta a questo tipo di utilizzo non permette, allo stato attuale, uno studio
di ricomposizione o anche un inquadramento stilistico per la maggior parte dei
pezzi. Nonostante ciò è stato possibile ricavare alcune importanti informazioni.
I frammenti sembrano appartenere a decorazioni provenienti da ambienti diversi, ma alcuni intonaci tipologicamente simili sono stati rinvenuti in unità
stratigrafiche differenti, a riprova che il materiale fu ributtato a casaccio dove
era necessario. L’estrema frammentarietà e lacunosità dell’insieme rende inoltre
evidente che molti intonaci furono buttati via assieme alla parte dello scarico
ritenuta superflua, una volta colmate le parti dell’anfiteatro interessate. Con il
prosieguo dello scavo si potranno forse recuperare altri frammenti appartenenti
alle stesse decorazioni e chiarire un contesto oggi estremamente incompleto.
Tra i frammenti raccolti alcuni conservano tracce di temi figurati. Si è riconosciuto un piede umano calzato su fondo nero; una parte di figura umana maschile su fondo celestino; un braccio femminile con armille ai polsi e con resti
di un velo svolazzante bianco alle spalle su un fondo nero (tav. IV.1); una mano
femminile inanellata, e forse con armilla al polso su un fondo celeste a scacchiera a cui segue un fondo nero (tav. IV.2); un frammento di velo svolazzante
su fondo nero. Tra i frammenti dipinti vanno inoltre segnalati un intonaco a
fondo azzurrino con tracce di ali di uccello (?); un frammento con zampe equine
(?); un braccio maschile e parte di figura non meglio identificabile su fondo
bianco. Tutti questi intonaci facevano parte di uno, ma più probabilmente di due
o più quadri, che decoravano la parte centrale della zona mediana della parete.
Altri frammenti monocromi neri e celestini, ritrovati negli stessi strati, sono
probabilmente da ritenersi pertinenti alle stesse decorazioni. La finezza
dell’esecuzione dei frammenti ed i toni cromatici chiari, pallidi, sfumati, sembrano collocare questi quadri nella fase del cd. III stile. D’altronde altri frammenti decorati con delicati bordi di tappeto con ornati vegetali, festoni, cande96
Una produzione olearia locale è suggerita dalla menzione epigrafica di un collegium
capulatorum in età severiana, CIL IX 2336.
97
La vicina Venafro era nota ancora nel I sec. d.C. come centro di produzione ed
esportazione di un olio particolarmente rinomato, cfr. Plin., NH, 15.1.8 e 17.4.31; Mart.,
Ep., 13.101; Iuv., Sat., 1. 5.85.
33
Alife. L’Anfiteatro romano
labra e tralci sviluppati a girali, appartengono sicuramente al III stile, ed in particolare alla fase III, IIb secondo la classificazione di Bastet-De Vos, periodo
che si inquadra approssimativamente tra il 35 ed il 45 d.C.98 In particolare si segnalano diversi frammenti decorati con un motivo a rettangoli con il lato corto
spezzato verso l’interno e campiti di colore verde su fondo giallo (tav. IV.3),
posti al di sotto di rosette a tre e cinque petali su fondo rosso. Gli elementi rettangolari ricordano motivi ornamentali presenti nella Casa di M. Lucretius
Fronto (V, 4, a), nella casa dei Quattro Stili (I, 8, 17) a Pompei99 e nella Villa di
Livia a Roma100. Sempre alla fase finale del III stile va ricondotto il motivo a
foglie d’edera alternate a puntini viola posti nella specchiatura bianca che separa un fondo nero da uno giallo101. Dallo stesso riempimento proviene anche una
mascherina gorgonica gialla su fondo nero (tav. IV.4), due frammenti decorati
con loti e boccioli su fondo chiaro, bordi di tappeto a palmette stilizzate, tutti
motivi riconducibili alla fase finale del III stile. A questa stessa fase o al IV stile, va ascritto un frammento a fondo rosso con candelabro (o cuspide) floreale
da cui si dipartono due volute bianche.
Numerosi sono i frammenti monocromi gialli, neri e rossi, o anche frammenti che combinano il colore rosso brillante al nero, che potrebbero appartenere al IV stile. Alcuni frammenti rossi e neri presentano tralci e racemi vegetali.
Tra i frammenti a motivi vegetali sono da menzionare due intonaci uno a
fondo rosso vivo, l’altro a fondo nero decorati con ghirlande, la prima costituita
da foglioline ovali a diverse gradazioni di verde, la seconda a foglie verdi con
bacche gialle, che potrebbero rientrare nel repertorio del III stile maturo.
È da notare inoltre che in alcuni frammenti all’originaria decorazione è stata
sovrapposta una seconda mano d’intonaco (o di calcite) bianco.
Nei rari frammenti pertinenti al soffitto la stesura dell’intonaco è avvenuta
direttamente su incannucciate sospese su solai lignei, come denotano le chiare
tracce conservate sul retro.
Un numero considerevole di intonaci a fondo chiaro presenta delle linee irregolari e schematiche di colore rosso, che avevano lo scopo di imitare le venature del marmo. Spesso tali decorazioni “a finto marmo” erano relative alla
parte della zoccolatura e sono attestate per un periodo di tempo molto ampio.102
I frammenti ritrovati presentano una certa omogeneità negli strati preparatori, che hanno uno spessore variabile dai 2 ai 4 cm ed in cui si registra una buona
98
Bastet – De Vos 1979.
Rispettivamente PPM III, 1991, 966 ssg. e PPM I, 1990, 847 ssg.
100
Messineo 2001, 127.
101
PPM I, 1990, 359 e 732; De Vos – De Vos 1975, 82 e nt. 81.
102
Eristov 1991; Salvadori 1997.
99
34
2. Lo scavo
percentuale di sabbia. La superficie che funge da pellicola pittorica si presenta
invece molto varia, con frammenti opachi, non molto levigati e con tracce visibili di pennellate ed altri frammenti invece con colori (prevalentemente rosso,
giallo, grigio-azzurro e nero) estremamente vivaci, ben stesi e di ottima qualità.
35
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 8. Scavi POR Campania 2007-2009, planimetria
Fig. 9
Frammento di antefissa tardo-arcaica
Fig. 10. Oinochoe a figure rosse
36
2. Lo scavo
Fig. 11. Nomenclatura antica delle varie parti di un anfiteatro
(Disegni dell’Anfiteatro Flavio di Roma e dell’anfiteatro di Mérida, rielaborati)
Fig. 12
Pianta schematica della prima fase dell’anfiteatro, in grigio le parti non scavate
Fig. 13. Schema della prima fase di costruzione progettuale (rielaborato da Wilson Jones 1993, 402). Si stabiliscono i rapporti tra i punti focali. Si disegna un triangolo
con i lati in rapporto 3:4:5; in tal modo si ottiene un angolo retto O. Quindi si prolungano l’asse maggiore (x-x’) ed il minore (y-y’)
37
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 14. Schema della seconda fase di costruzione progettuale (rielaborato da Wilson
Jones 1993, 402). Si sviluppano i quattro settori. Si riflette il punto A sull’asse minore
in A’ e si ripete l’operazione per B in B’; si tracciano linee da B e B’ attraverso ed oltre
A ed A’; tali linee definiranno i quattro settori, ovvero i limiti degli archi di
circonferenza del disegno finale.
Fig. 15. Schema della terza fase di costruzione progettuale (rielaborato da Wilson Jones
1993, 402). Si traccia il perimetro dell’arena. Per ottenere un’arena dell’ampiezza di
A-A’, mediante la costruzione di una circonferenza iscritta si posizionano i nuovi punti
C e C’ a marcare le intersezioni di questa con l’asse y-y’. Con il compasso in B si
traccia un arco di cerchio attraverso C’ per tutta l’ampiezza del settore individuato in
precedenza; si ripete l’operazione da B’ per C. Puntando il compasso in A si uniscono
con un nuovo arco di cerchio gli estremi dei due archi precedenti (d1 e d2) e si ripete la
stessa operazione in A’. Il rapporto dimensionale tra gli assi dell’arena così ottenuta
sarà di 5:3.
38
2. Lo scavo
Fig. 16. Schema della quarta fase di
costruzione progettuale (rielaborato da
Wilson Jones 1993, 402).
Si costruisce il perimetro della cavea. Dopo aver stabilito l’ampiezza
della cavea in proporzione con le dimensioni dell’arena, si procede nello
stesso modo che nel passaggio precedente tracciando i relativi archi di cerchio nei quattro settori, mantenendo gli
stessi punti di origine.
Fig. 17. Schema della quinta fase di
costruzione progettuale (disegno A.
Visone).
Si costruisce il ritmo dei muri
radiali di sostegno della cavea. Dopo
aver stabilito l’ampiezza delle porte
principali sul perimetro esterno e su
quello dell’arena, si ripartisce il resto
per i 66 moduli dei cunei progettuali;
unendo i rispettivi punti individuati sui
due perimetri si ottengono gli assi dei
muri radiali.
Fig. 18
Assonometria ricostruttiva ideale della prima fase edilizia dell’anfiteatro
(disegno A. Visone)
39
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 19
Pianta schematica della seconda fase
dell’anfiteatro in grigio le parti non scavate
Fig. 20
Pianta schematica degli interventi edilizi
nella seconda fase dell’anfiteatro;in grigio le
strutture residue della fase precedente, in
nero gli interventi di seconda fase
Fig. 21
Parti del coronamento del balteus in blocchi calcarei sagomati
40
2. Lo scavo
Fig. 22
Parti del coronamento del balteus in
blocchi calcarei sagomati, in primo piano il pezzo angolare presso l’ingresso
meridionale
Fig. 23
Il pezzo angolare del coronamento
del balteus presso l’ingresso meridionale (disegno G. Montali)
Fig. 24
Gradini del podium in calcare (disegni G. Montali)
41
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 25
Gradini del podium in calcare
Fig. 26
Gradini del podium in calcare
Fig. 27
Transenne del podium in lastroni di calcare sagomati
42
2. Lo scavo
Fig. 28
Transenne del podium in lastroni
di calcare sagomati (disegno G.
Montali)
Fig. 29
Sezione ideale del podium
Fig. 30
Veduta della cavea in
corso di scavo, al centro le strutture del sacellum
seminterrato
(originariamente sormontato dal suggestum)
43
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 31
Veduta della cavea in corso di scavo,
al centro i due carceres ai lati dell’ingresso meridionale
Fig. 32
Il sotterraneo al centro dell’arena in corso di
scavo
Fig. 33
Assonometria ricostruttiva ideale della seconda fase edilizia dell’anfiteatro
(disegno A. Visone)
44
2. Lo scavo
Fig. 34
I fori di palo nell’arena
Fig. 35
Il cunicolo circumpodiale in corso di scavo
Fig. 36
La cloaca meridionale
45
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 37
La seconda cloaca con copertura in tegole
Fig. 38
L’apertura praticata nel muro sud del
sotterraneo per lo sfogo delle acque
raccolte
Fig. 39
Frammento epigrafico
46
2. Lo scavo
Tavola 1
1
2
3
4
6
5
7
8
9
47
Alife. L’Anfiteatro romano
Tavola 2
2
3
1
4
6
5
8
7
9
11
10
12
48
2. Lo scavo
Tavola 3
1
2
4
3
6
5
7
8
9
10
49
Alife. L’Anfiteatro romano
Tavola 4
1
2
3
4
5
6
7
50
2. Lo scavo
Tavola 5
1
2
3
4
5
6
7
51
Alife. L’Anfiteatro romano
Tavola 6
1
2
3
4
5
8
6
7
10
9
52
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio (G.S.)
Cessato l’uso come luogo di spettacoli, per l’anfiteatro alifano inizia una fase, altrettanto lunga (tra il V-VII e l’XI-XII secolo)1, caratterizzata da riusi e
reimpieghi, intendendo per riuso l’attribuzione all’edificio (o a sue parti) di funzioni diverse da quelle originarie, per reimpiego lo spoglio – sistematico o casuale – degli elementi lapidei fino alla sua completa “destrutturazione”, con il
radicale abbattimento delle strutture murarie per trasformare in calce il pietrame
calcareo che le componeva.2
3.1. Periodo 3: V-VII secolo (G.S.)
L’edificio, ormai defunzionalizzato3, viene sottoposto ad un primo spoglio
degli elementi lapidei, alcuni dei quali rinvenuti ai piedi del podio, adagiati direttamente sul piano dell’arena; lo spoglio dovette interessare anche i rivestimenti pavimentali dei corridoi di accesso all’ima cavea.
Con questa attività di spoliazione potrebbero essere in relazione alcuni livelli
che hanno restituito ceramica dipinta a bande del tipo a “tratto sottile”, per la quale
è stato suggerito un arco cronologico di produzione compreso tra V e VII secolo.4
Contestualmente, la cavea è utilizzata occasionalmente come area cimiteriale; a questo momento possono essere riferite, infatti, due sepolture a fossa terragna caratterizzate dalla presenza di elementi di corredo personale.
3.1.1. Le sepolture (G.S.)
Le relazioni stratigrafiche, il diverso orientamento, la presenza di elementi
di corredo, permettono di distinguere dal gruppo delle tombe del periodo 5A
1
Sono state assegnate ai singoli periodi cronologie relativamente ampie che andranno
ad essere meglio precisate con il completamento dello studio dei materiali ceramici, al
momento ancora in corso.
2
A riguardo vd. Dattolo 2008, 482-483.
3
Difficile dire quando siano venuti a cessare gli spettacoli gladiatori e le venationes
nell’anfiteatro alifano. In Italia, infatti, è solo a Roma che gli spettacoli gladiatori sono
sicuramente ancora documentati nella seconda metà del IV e nella prima metà del V,
almeno fino al 435 quando si ha l’ultima allusione a tale genere di spettacoli (cfr. Jiménez - Sánchez 2004); le venationes, invece, sono documentate ancora nel 523, quando Cassiodoro (Var. 5.42) scrive ad un console responsabile dell’organizzazione di cacce nel Colosseo, raccomandando generosità e osservando la popolarità di tali spettacoli
(cfr. Hopkins – Beard 2006, 178-179).
4
Sulla ceramica dipinta “a tratto sottile”, di produzione venafrana, vd. Genito 1998.
Alife. L’Anfiteatro romano
(vd. infra) due sepolture certamente più antiche, la T16 e la T24. La prima, riferibile ad un bambino disposto con il capo a nord-ovest, ha restituito, all’altezza
del torace, una fibula del tipo ad anello circolare aperto, dalle estremità desinenti in due volutine, decorato sulla superficie esterna con serie di tratti incisi
(fig. 40); per quanto ampiamente distribuito in Italia, il tipo sembra essere caratteristico dei contesti funerari dell’Italia meridionale tra la seconda metà del
VI e la metà del VII secolo5; esemplari di questo tipo, già documentato ad Alife6, sono attestati sul versante opposto del Matese a Campochiaro – Vicenne.7
La T. 24 è riferibile ad un adulto, disposto con il capo a ovest poggiato su un
frammento di dolio utilizzato come cuscino; il defunto era accompagnato da due
elementi di bronzo – un frammento di ansa a sezione circolare ed una lamina
ritagliata di forma pressoché circolare (fig. 41) – che, rinvenuti l’uno sull’altro
all’altezza della spalla destra del defunto, dovevano evidentemente essere contenuti all’interno di un sacchetto di pelle o di stoffa. Circa la funzione di questi
oggetti si potrebbe pensare ad una sorta di obolo viatico o, comunque, ad un
valore talismanico.
3.2. Periodo 4: IX secolo (G.S.)
Mentre procede lo spoglio dei materiali lapidei (si può immaginare il monumento ridotto ormai per ampie parti al solo scheletro murario), si producono i
primi crolli degli elevati e nell’arena si deposita uno spesso strato limoso (che
oblitera i blocchi giacenti alla base del podio), l’edificio viene occupato a scopo
abitativo. Alcuni degli ambienti voltati esterni di sostegno della cavea sono infatti occupati come ambienti di abitazione o per il ricovero di animali e merci,
come suggeriscono i piani in semplice battuto di terra, le aree di focolare, le diverse fosse circolari ed un pozzetto rettangolare per l’alloggiamento di contenitori per derrate; strutture in legno (indiziate dalla presenza di buche di palo)
potevano chiudere verso l’esterno tali ambienti.
Difficile dire se ciascun ambiente abbia rappresentato una singola unità abitativa o se, invece, costituissero i vani interni di case costruite in appoggio al
5
Cfr. De Santis – Giuliani 1998, 229 con ntt. 38-39 per la distribuzione del tipo.
Scavo in Loc. Ponte di Meola, saggio 13, tomba 7; per la diffusione in Campania del
tipo cfr. Ebanista 1998, 169.
7
Genito 1988, 65; Capini – Di Niro 1991, 347, f5, tav. 1f; 353, f63-65, tav. 8f; altri
esemplari dal Molise a Vastogirardi (Capini 1989, 121, n. 1, fig. 19) e Casalpiano (Capini – Di Niro 1991, 354, f71, 9f; Terzani 2004, 167, fig. 4).
6
54
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
perimetro esterno del monumento.8 In ogni caso, tale abitato bene si inserisce
nel più ampio fenomeno del riutilizzo degli edifici anfiteatrali9 esterni ai centri
urbani (come spazi abitativi e/o come fortezze), l’esempio più evidente del
quale, in area campana, è rappresentato dall’anfiteatro di Capua, occupato dai
Longobardi che da esso controllavano l’adiacente città.10
La ceramica rinvenuta negli strati di riempimento delle fosse circolari e del
pozzetto rettangolare destinati allo stoccaggio di derrate colloca la defunzionalizzazione – e verosimilmente l’abbandono di questi spazi – al più tardi
nell’avanzato IX secolo.
A questo abitato sembra possibile collegare anche due fornaci, forse per la
produzione di laterizi; la defunzionalizzazione di quella meglio conservata è
datata dal rinvenimento di ceramica dipinta negli strati di riempimento della
camera di combustione.
3.2.1. L’abitato medievale (A.A.; P.V)
Diversi focolari, piani di laterizi e pozzi (rivestiti e non) indicano il riutilizzo
di alcuni settori dei cunei come ambienti abitativi e di deposito.
Tra i primi, oltre a diversi strati di concotto sparsi senza logiche precise in
tutta l’area occupata dalla cavea dell’anfiteatro, appaiono particolarmente interessanti alcuni insiemi maggiormente articolati, individuati nella metà nordoccidentale dell’edificio, nei vani dei due corridoi che servivano una delle due
logge per i magistrati (figg. 42-43), e in quelli del corridoio posto a Ovest della
“Porta Sud”. Si tratta di piani realizzati con frammenti laterizi (tegole e mattoni), le cui superfici si presentano visibilmente annerite dal fumo, associati a piastre di concotto.
La concentrazione di frammenti di ceramica da cucina e resti faunistici suggerisce che questi focolari, oltre che per il riscaldamento degli ambienti, dovessero essere usati anche per la preparazione dei cibi.11
A giudicare dalla distribuzione di tali evidenze, appare chiaro come siano
stati scelti i cunei dell’edificio che fungevano da corridoi di accesso all’ima cavea, la cui inerzia e massa avranno consentito una migliore conservazione degli
alzati, a differenza dei cunei che fungevano da vani scala che, per morfologia e
8
Una risposta in tal senso potrà essere fornita dal prosieguo delle indagini di scavo
nell’area antistante il monumento, ancora non indagata
9
Su tale fenomeno si veda l’ampia sintesi condotta per l’area meridionale in Dattolo
2008.
10
Vd. Arslan 2007, 395-397 (con indicazione di altri analoghi casi).
11
Cfr. Santangeli Valenzani 2004, 54 per la situazione romana.
55
Alife. L’Anfiteatro romano
funzione, possono essere stati interessati da crolli e cedimenti più immediati.
All’interno del corridoio stesso, viene preferita come area dove collocare il focolare quella più prossima all’arena. L’accesso avveniva quasi sicuramente dai
fornici aperti sulla facciata esterna che possiamo immaginare chiusi da tramezzi
in legno su cui doveva aprirsi una porta; una serie di tre buche di palo collocate
immediatamente a ridosso del muro anulare esterno potrebbero essere in relazione con una di tali sistemazioni (fig. 44).
Con questi livelli di abitato sono in relazione sei pozzi, cinque dei quali a
pianta circolare, rinvenuti all’interno della struttura romana, e uno a pianta quadrangolare, individuato lungo il perimetro esterno dell’edificio, immediatamente a ridosso della fondazione del muro anulare perimetrale. I primi presentano pressappoco le stesse caratteristiche morfologiche: scavati direttamente nel
terreno, hanno tutti un diametro compreso tra m 1 e m 1,40 circa e una profondità massima conservata compresa tra m 0,60 e m 0,80; mostrano pareti verticali ad andamento rettilineo e fondo piatto o leggermente concavo (fig. 45). Gli
strati di riempimento sono costituiti generalmente da una matrice terrosa alquanto friabile che restituisce frammenti laterizi di diversa forma e dimensione,
pietre calcaree appena sbozzate e talvolta grumi di malta cementizia, il tutto associato a scarsi frammenti ceramici e resti faunistici. Solo in un caso, quello del
pozzo rinvenuto lungo la fascia SE del cuneo XXIX, il fondo si presenta completamente rivestito di frammenti di tegole e mattoni posti di piatto in maniera
regolare (fig. 46). Si tratta, probabilmente, di strutture per il deposito di derrate.
Tra i materiali restituiti dai riempimenti12 sono da segnalare, per la peculiarità del rinvenimento, alcuni frammenti di ceramica invetriata (del tipo cd.
“Forum Ware”) e di ceramica ingubbiata e graffita ascrivibili alla seconda metà
del IX sec.d.C. (rispettivamente tav. V.1 e tav. 9.1)13, rinvenuti associati.
Più complessa si presenta invece la struttura del pozzetto a pianta quadrangolare (m 1,45 x 1,30), costituito da una camicia di frammenti di pietra calcarea,
appena sbozzati, accuratamente incastrati a secco con l’aiuto di zeppe di frammenti di tegole e mattoni, in modo da creare una costruzione solida. Il fondo si
presenta in terra con una piccola controfossa circolare, dal diametro di circa
0,40 m, che doveva forse servire per l’alloggiamento di un grande contenitore
(fig. 47). Oltre a diversi frammenti di ceramica da fuoco (tav. 11.3-5) è da segnalare il rinvenimento nel suo riempimento di un corno di capriolo.
12
Sui quali infra, 4.1-4.4.
I materiali provengono dal riempimento (US 237) del pozzo rinvenuto nel cuneo X
(US 236); vd. infra 4.1 e 4.2.
13
56
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
3.2.2. La fornace del cuneo VIII (P.V.)
Nel corso di questo periodo, nel cuneo VIII viene sistemata una fornace per
la produzione di laterizi; una seconda fornace, di cui restano scarsissimi resti, è
sistemata nel cuneo XXI.
La fornace del cuneo VIII (m 3,30 x 2,66) è del tipo verticale (ovvero è costituita da due parti sovrapposte, la camera di combustione e la camera di cottura, separate da un piano forato, la suola), a pianta rettangolare, con corridoio
centrale14. Della struttura si conserva la camera combustione, ricavata sottoscavando il piano di calpestio del cuneo e appoggiando i muri perimetrali, realizzati con frammenti laterizi, ai muri di fondazione del cuneo medesimo. Degli
archetti interni (su cui poggiava la suola) si conservano le coppie di pilastri
(cinque) su cui essi si impostavano; i pilastri (ca. m 0,40 x 0,70) sono realizzati
anch’essi con spezzoni laterizi (fig. 48).
La camera di combustione era alimentata da un prefurnio aperto sul lato
corto meridionale, in parte ricavato incidendo il muro anulare esterno
dell’edificio anfiteatrale, in parte sottoscavando il piano di calpestio del cuneo.
Lo scavo del riempimento non ha restituito resti strutturali della camera di
cottura; è probabile, dunque, tenuto anche conto delle dimensioni modeste della
fornace, che la copertura fosse temporanea, ovvero realizzata di volta in volta
all’inizio del processo di cottura e rimossa al termine per consentire lo scarico
dei manufatti.
3.3. Periodo 5: X secolo (G.S.)
L’area della cavea, nuovamente utilizzata come spazio sepolcrale, ospita una
piccola necropoli suddivisa, probabilmente, per gruppi familiari e, forse, di non
lunga durata (periodo 5A); contestualmente, continua lo spoglio dell’edificio (il
materiale cavato è impiegato anche per costruire le sepolture) e ancora si registrano crolli degli elevati.
L’assenza di elementi di corredo non consente un inquadramento cronologico puntuale dell’uso di tale necropoli tuttavia, nei casi in cui le sepolture hanno
relazioni stratigrafiche con i livelli dell’abitato del periodo 4, sono sempre le
prime a risultare posteriori; allo stesso modo, si è potuto osservare che alcune
delle trincee di spoliazione del successivo periodo 6 incidono alcune delle sepolture che, pertanto, devono essere necessariamente anteriori.
14
Cuomo di Caprio 1985, 140-142, figg. 18-19, tipo IIb.
57
Alife. L’Anfiteatro romano
Ad un certo punto l’uso del sepolcreto sembra interrompersi e al di sopra
delle sepolture si stendono nuovi accumuli di terreno e rifiuti (periodo 5B).
Questi ultimi, si depositano soprattutto all’interno dell’arena e, a meno di non
immaginare che l’edificio sia stato volutamente trasformato in discarica per i
rifiuti della vicina città, si può ipotizzare la presenza di abitazioni nella metà
non ancora indagata della struttura anfiteatrale. Continua, anche in questa
fase, sia pure in maniera sporadica, l’uso sepolcrale della cavea o, quanto meno,
del cuneo XXI dove, tagliando lo strato che aveva obliterato – più o meno completamente – le tombe anteriori, sono ricavate due sepolture di infanti.
3.3.1. La necropoli del periodo 5A (C.A.)
Nel corso del X secolo l’area dell’anfiteatro è nuovamente utilizzata come sepolcreto. A questo periodo sono infatti riferibili 33 tombe a inumazione per 35 deposizioni15, distribuite tra i cunei della cavea, nessuna delle quali ha restituito oggetti di corredo (assenza che sembra caratterizzare le sepolture nei secoli centrali
del Medioevo) 16. Dei 35 individui inumati, 14 sembrano essere infanti o bambini17.
Le deposizioni, poiché ricavate a ridosso dei muri radiali della cavea (che ne
costituiscono uno dei lati lunghi), non presentano orientamenti privilegiati; fanno eccezione due sepolture di bambini (T. 18 e T. 19), entrambe perpendicolari
ai muri del cuneo XXI e dunque orientate grosso modo est/ovest, da porre in
relazione con un successivo e sporadico uso sepolcrale di tale spazio. Per
quanto riguarda la posizione dei defunti all’interno delle sepolture, lo scheletro
giace sempre in posizione supina con le braccia per lo più flesse sul torace o
lunghe sui fianchi con mani convergenti sul bacino18 mentre le gambe sono stese parallele tra di loro o strette con i piedi tangenti19.
15
Una delle sepolture, T. 27, è bisoma e ospitava due adulti; una seconda, T. 31, di
adulto, è stata ridotta per allocarvi un bambino.
16
Gelichi 1997, 164.
17
L’attribuzione dello scheletro a individui adulti o infanti/bambini è stata operata in
sede di scavo, tenendo conto della lunghezza dello scheletro e di alcune delle ossa lunghe o, ancora, delle dimensioni della fossa.
18
In 11 casi le braccia risultavano compostamente piegate parallele sul torace o, in alternativa, lo era uno dei 2 avambracci l’altro era piegato più all’interno; in 13 casi le braccia
sono risultate larghe lungo i fianchi con i gomiti all’infuori e le mani poggiate sul bacino;
per le rimanenti 11 deposizioni, infine, la posizione della braccia non era determinabile.
19
In un caso, T. 1, le ginocchia risultano tangenti ed i piedi incrociati: ciò potrebbe far
pensare che il corpo sia stato avvolto in un sudario, legato alle estremità. La presenza di
sudari in cui erano avvolti i defunti è ipotizzabile anche nei casi in cui le caviglie (e le
ginocchia) risultino tangenti, come nel caso di T. 3.
58
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
La tipologia delle sepolture
Per quanto le sepolture si presentino molto semplici, è possibile una loro ripartizione tipologica sulla base del diverso impegno profuso per realizzarle.
Uno studio più approfondito della necropoli, accompagnato dalla necessaria
analisi antropologica dei resti scheletrici potrà chiarire se i diversi tipi tombali
riflettano (o meno) differenze di stato e/o genere all’interno della comunità che
ha fatto uso del sepolcreto.
Tipo 1: tomba a fossa rivestita su tre lati con elementi provenienti dallo spoglio del monumento (tegole e laterizi, lacerti murari o pavimentali, conci calcarei), disposti per lo più a secco (in due casi, tuttavia, è presente come legante,
dell’argilla); da segnalare la T. 33 per la quale risultano messi in opera alcuni
blocchi di calcare lavorato. La copertura può essere in terra o in tegole (per lo
più poste in piano, in un caso a semi-spiovente). Questo tipo è rappresentato da
otto sepolture (fig. 49).
Tipo 2: tomba a fossa; sono rivestite le sole testate con tegole (integre o
frammenti), mattoni laterizi, blocchetti di tufo o calcarei. La copertura, in genere in terra, è costituita in un caso da tegole disposte in piano, in un altro da tegole disposte a semi-spiovente. È presente con tredici sepolture (fig. 50).
Tipo 3: tomba a fossa, più o meno profonda, di forma rettangolare o subrettangolare; la copertura è in terra. È presente con dieci sepolture (fig. 51).
La distribuzione delle sepolture
La distribuzione delle sepolture all’interno dell’area indagata mostra il loro
addensarsi in tre nuclei apparentemente distinti; sebbene non sia da escludere
che tale conformazione possa essere dipesa dallo stato di conservazione del monumento20, sembra più probabile che essa rifletta una ripartizione degli spazi tra
differenti gruppi familiari che utilizzavano l’area come sepolcreto.
Il primo nucleo (cunei VI-XV), il più numeroso, è costituito da quindici sepolture21 a maggioranza in fossa terragna (tipo 3); i defunti sono stati tutti deposti con il capo verso l’esterno dell’edificio, ad ovest. Alcune di queste sepolture
paiono avere relazioni più strette: ad esempio T. 8 e T. 9 (che presentano i tagli
adiacenti e stessa tipologia tombale) e, ancora, l’insieme composto da T. 2, T. 3,
20
Potrebbe non essere da escludere la possibilità che gli spazi vuoti tra i nuclei sepolcrali riflettano la difficoltà a fruirne per la presenza di macerie, crolli o strutture.
21
L’insieme è costituito da 11 adulti e 4 infanti; delle tombe quattro sono del tipo 1,
quattro del tipo 2, sette del tipo 3.
59
Alife. L’Anfiteatro romano
T.4 e T. 5, concentrate all’estremità di questo gruppo e simili sia per tipologia
tombale che per la posizione dei defunti22.
Il secondo nucleo occupa il cuneo XXI, immediatamente ad Est della porta
Sud (fig. 52). È costituito da sei deposizioni , quattro delle quali pressoché coeve;23 le due altre – T. 18 e T. 19 – di infanti, del tipo 3, sono stratigraficamente
più tarde. I defunti anche in questo caso sono stati deposti con il capo rivolto
verso l’esterno dell’edificio, a sud, ad eccezione delle due più tarde sepolture di
infanti (T. 18 e T19), adiacenti ed orientate perpendicolarmente alle altre sepolture di questo nucleo; il capo di costoro è risultato deposto a ovest.
Apparentemente isolata da questo insieme risulta la T. 17, al cui interno è
stato inumato un adulto con il capo disposto verso l’esterno dell’edificio.
Il terzo nucleo è costituito da dieci sepolture24 distribuite molto fittamente tra
i cunei XXVIII-XXXI; diversamente dai gruppi precedenti, i defunti sono tutti
deposti con il capo verso l’interno dell’edificio.
Discosta e isolata da questo gruppo è la T. 26, di adulto, posta nel cuneo
XXIV, che – come le precedenti – ha il capo del defunto a nord.
Nella composizione dei singoli nuclei di sepolture non sembra cogliersi alcun rapporto significativo tra tipologia tombale ed età dei defunti né sembra ricavarsi, dalla distribuzione topografica dei tipi tombali, alcuna indicazione di
ripartizione per status sociale o per fascia di età.
Un forte legame, di tipo familiare, sembra invece unire T. 20 e T. 21, la prima relativa ad un bambino, la seconda ad un adulto: quest’ultima, cronologicamente precedente, è stata parzialmente e ordinatamente riaperta in un secondo
momento per consentire la deposizione del bambino, pur non mancando lo spazio per una sepoltura autonoma. È altresì possibile che un rapporto familiare
unisse anche l’adulto e il bambino tumulati nella T. 31. Ciò lascia anche pensare
che durante il periodo d’uso del sepolcreto le sepolture fossero visibili e riconoscibili attraverso tumuli o segnacoli: oltre, infatti, al “riuso” delle T. 21 e T. 31,
è da rilevare come non siano stati riscontrati fenomeni di sovrapposizione e/o
intersezione tra le fosse tombali.
22
Tre sepolture sono del tipo 2 e una del tipo 1; gli scheletri giacciono in posizione supina con le braccia piegate parallele sul torace; la tangenza di ginocchia e caviglie lascia
ipotizzare, almeno per T. 3 e T. 4 (in T. 2 e T. 5 le gambe sono solo parzialmente conservate), che i corpi fossero stati avvolti in sudari.
23
L’insieme è costituito da 1 adulto (T. 21) e 3 infanti (T. 20, T. 22 e T. 23); la tipologia
è sempre la 2 con copertura in terra. Da notare che la T. 21 è stata parzialmente riaperta
per consentire la deposizione di T. 20.
24
Sono 10 tombe di cui 1 bisoma, T. 27, e una riutilizzata con riduzione del primo
scheletro, T. 31, per un totale quindi di 12 individui: 7 adulti e 5 infanti; per le tipologie
tombali si contano 4 del tipo 1, 3 del tipo 2 e 3 del tipo 3.
60
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
3.4. Periodo 6: XI-XII secolo (G.S.)
L’edificio viene completamente smantellato, i muri sistematicamente
demoliti fino agli spiccati di fondazione e “smontati” per recuperare la
pietra calcarea impiegata nei paramenti e nei nuclei murari; nel contempo
si impianta al centro dell’arena una fornace per la trasformazione della
pietra calcarea in calce. Con questa attività di spoglio sono in relazione
alcuni piani di focolare (fig. 53), utilizzati verosimilmente dal personale
impegnato nei lavori. Al termine di questa attività la fornace viene dismessa e al suo interno si depositano strati di terra che hanno restituito
ceramica invetriata e acroma collocabile nell’XI-XII secolo.
Tali attività, di recupero della pietra calcarea e di produzione di calce,
suggeriscono una fase di intensa attività edilizia, verosimilmente da porre
in relazione con la rinascita urbana sotto i conti Normanni (negli anni
immediatamente successivi al 1060) e, ancora, con la ricostruzione della
città dopo il disastroso incendio del 1138.
Un terminus ante quem per questa attività potrebbe essere offerto dalla
menzione, in un documento del 1168, di una chiesa di S. Maria de arena cavata25 che, se effettivamente collocabile nei pressi dell’edificio anfiteatrale,
ne documenterebbe il già avviato uso come cava per materiali da costruzione.
3.4.1. La fornace per calce (A.A.)
Della fornace rinvenuta all’interno dell’arena si conservava solo il piano
della camera di combustione e i quattro prefurni (di forma ovoidale e profondi
circa m. 1) posti alle estremità della struttura (fig. 54). Ciascuno di essi presenta
una doppia imboccatura:26 quella superiore per il carico del combustibile, quella
inferiore (comunicante con un canale di ventilazione il cui piano di fondo presenta una marcata inclinazione in direzione della camera di combustione) per
l’areazione e la rimozione delle ceneri27.
25
Bolla di papa Alessandro III del 1168 a favore di San Vittorino di Benevento, in
Gambella 2007, 66-67; cfr. Stanco, supra, 1.1.
26
Realizzata con blocchi di calcare spoliati dall’apparato architettonico dell’edificio
romano disposti per taglio e di testa. Per la maggior parte di questi lo stato di conservazione, fortemente compromesso dall’azione del fuoco, non ha consentito di stabilire la
loro originaria collocazione; fa eccezione un elemento posto nella camera di combustione ovest che si interpreta come sedile della cavea.
27
I tre canali scavati (il quarto, non indagato, si sviluppa oltre l’area oggetto
dell’indagine archeologica) presentano una lunghezza media di ca. 4,20 m ed una larghezza di ca. 0,75 cm.
61
Alife. L’Anfiteatro romano
Per realizzare la fornace furono tagliati gli strati che colmavano l’arena fino
a raggiungerne il piano di calpestio, sottoscavandolo laddove erano previsti i
prefurni e i relativi canali di ventilazione.
Gli elementi superstiti non consentono di avanzare ipotesi ricostruttive: tuttavia la parte inferiore, parzialmente interrata rispetto a quello che doveva essere il piano di calpestio nell’XI-XII secolo, doveva avere una pianta grosso modo
quadrangolare ed un rivestimento in muratura;28 la parte superiore, pure in muratura, doveva avere invece forma tronco-conica (per facilitare l’irraggiamento
del calore) o tronco-piramidale.29 La presenza di quattro prefurni sembra suggerire una volontà di razionalizzazione del processo produttivo.
Nei pressi del forno dovevano anche essere collocate le aree per il deposito
del pietrame destinato alla cottura e del legname usato come combustile e forse
la vasca riservata allo spegnimento della calce viva (se tale operazione era
svolta dal fornaciaio e non sui cantieri di costruzione); è verosimile credere che
tali aree si sviluppassero nella porzione dell’edificio non esplorata.
La documentazione archeologica di età romana e altomedievale mostra per i
forni da calce strutture meno complesse di quella rinvenuta all’interno
dell’anfiteatro. Si tratta per lo più di forni di forma cilindrica, di circa 3 metri di
diametro, con una camera di combustione scavata nel terreno o addossata ad un
pendio ed una porzione superiore, costruita in parte fuori terra, in mattoni o
pietra legate da malta, rivestita esternamente. Nella parte più bassa, immediatamente all’esterno della fornace e comunicante con essa, si trova il prefurnio, che
può essere delimitato da due bassi muretti o da strutture più complesse.30
L’articolazione strutturale del forno alifano, invece, sembra suggerire una
datazione ai primi decenni del basso medioevo, quando sono ormai documentati
forni realizzati completamente in elevato.31
Al momento dello scavo le quattro camere di combustione risultavano obliterate da un sottile strato di calce che, insieme agli spessi livelli di carbone e
agli strati di calce disciolta rinvenuti sul fondo, sono da leggersi come residui
dell’ultima infornata prima del definitivo abbandono e disuso della struttura. Un
28
Gli strati residuali costituiti da lenti di concotto, carbone e cenere rinvenuti sull’originario
piano della fornace presentano nell’insieme una forma pressoché quadrangolare.
29
Sulla diversa tipologia strutturale della parte superiore dei forni da calce si veda
Adam 1989, 71.
30
Per i forni da calce di età romana, inquadrabili tutti nel periodo imperiale si veda:
Gran Bretagna: Jackson 1973; JRS 1943, 75; Germania: Sölter 1970; Francia: Coudray
1951; Piganiol 1961, 291; Algeria: Baradez 1957. Per i forni da calce di epoca altomedievale si veda: Roma: Saguì 1986; Astolfi et alii 1978, 83-84; Montella: Gatto 1999;
Firenze: Maetzke 1977; Pistoia: Vannini 1985; Bologna: Gelichi 1990.
31
Cfr. Saguì 1986, 352-353, nt. 18.
62
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
termine cronologico è offerto a riguardo dai pochi frammenti ceramici restituiti
da uno degli strati di riempimento del prefurnio occidentale, rappresentati da un
unico frammento di parete in ceramica invetriata e da un orlo in ceramica comune acroma, riferibile a una brocca trilobata, databili – ad una prima analisi –
all’XI-XII secolo.
63
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 40
Fibula ad anello circolare aperto da T.
16
Fig. 41
Ritagli di bronzo da T. 24
Fig. 42
Focolare (US 56).
64
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
Fig. 43
Focolare (US 26)
Fig. 44
Buche di palo lungo il muro
anulare esterno
Fig. 45
Pozzetto circolare (US 710)
65
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 46
Pozzetto circolare con il fondo
rivestito da frammenti laterizi
(US 651)
Fig. 47
Pozzetto a pianta quadrangolare (US 1002)
Fig. 48
Fornace per laterizi (cuneo
VIII)
66
3. Riusi e reimpieghi dell’edificio
Fig. 49
Tomba a fossa rivestita
su tre lati (T. 1)
Fig. 50
Tomba a fossa con le
sole testate rivestite
(T. 22)
Fig. 51
Tomba a fossa (T. 26)
67
Alife. L’Anfiteatro romano
Fig. 52
T. 21, T. 22, T. 23 (cuneo XXI)
Fig. 53
Piano di concotto
(US 403, 406)
Fig. 54
La fornace per calce dell’arena (vista
dall’alto)
68
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna dei periodi 4-6
4.1. La ceramica dipinta (V.C.)
La ceramica dipinta di Alife costituisce un nucleo importante e di particolare
interesse ai fini della ricostruzione della cultura materiale per le fasi della città
in età altomedievale e permette di colmare un vuoto nell’ambito delle conoscenze di questa classe ceramica per l’alto casertano, di cui, allo stato attuale,
non sono editi in maniera sistematica contesti di scavo.
La provenienza di queste ceramiche da contesti stratigraficamente chiusi rende
possibile ricostruire una sequenza cronologica relativa discretamente precisa, mentre più difficile risulta la definizione di una cronologia assoluta in quanto la maggior
parte dei confronti per questi materiali proviene, spesso, da contesti e siti con cronologie talora piuttosto ampie, il che rende più problematica la riflessione sulla cronologia, l’evoluzione delle forme e delle decorazioni di questa classe.
La presenza di tale tipo di ceramica nell’anfiteatro di Alife caratterizza i periodi IV e VB; si rivela molto scarsa nel periodo VI, così come risulta limitata a
pochi frammenti nel periodo 3.1 È dunque possibile circoscrivere in un arco
cronologico abbastanza limitato la presenza e l’uso di questo tipo di ceramica
ad Alife. Per ciascuna fase si cercherà di evidenziarne le forme principali e le
cronologie basandosi sui confronti provenienti da contesti editi2 e su studi
d’insieme3.
In tutti i periodi in cui è attestata questa produzione gli impasti sono abbastanza ben depurati e caratterizzati da un grana piuttosto fine, con l’eccezione di
piccoli e sporadici inclusi di calce. Un cospicuo numero di frammenti risulta
anch’esso caratterizzato da una grana sottile, ma appare ricco di calce finissima
e mica. La maggior parte dei frammenti è attribuibile a tali impasti.4
La manifattura dei prodotti è in generale abbastanza accurata, la superficie è uniforme e ben lisciata al tornio, solo raramente per difetti di cottura assume colorazio1
Si tratta di alcuni frammenti caratterizzati da una decorazione con motivi fitomorfi o
geometrici, dipinti con vernice rossa, pertinenti per lo più a forme chiuse, che possono
essere attribuiti al gruppo della cosiddetta ceramica a tratto minuto di Venafro (sulla
quale vd. Genito 1998).
2
Citiamo da ultimi Lupia 1998 e Carsana 2004 con bibl. prec.
3
Cfr. Iannelli D’Andria 1985, con bibliografia preedente., che fissava come discrimine
cronologico la maggiore o minore definizione della decorazione a bande sulla superficie
interna ed esterna dei vasi, e gli studi successivi che mettono parzialmente in discussione i termini della questione, cfr. Arthur – Patterson 1994.
4
In relazione alla classificazione degli impasti è importante sottolineare che è basata
esclusivamente su un esame autoptico macroscopico dei frammenti.
Alife. L’Anfiteatro romano
ni diverse sullo stesso esemplare. La stessa disomogeneità di cottura ricorre talora
anche nelle decorazioni, che sullo stesso vaso passano dal rosso al bruno.
Durante il periodo IV tra le forme aperte si segnalano alcuni bacini con labbro a tesa più o meno inclinata e parete svasata, che trovano confronto con alcuni esemplari rinvenuti a Benevento datati tra la fine del VI e l’VIII secolo. 5
Tra le forme chiuse compaiono alcuni esemplari di vasi con collo modanato6
riconducibili ad un tipo di anfora diffuso a Napoli7 e Benevento8 e noto anche
dai contesti Romani della Crypta Balbi9. Questo tipo è attestato dal VI secolo a
Benevento, a partire dal VII, e fino all’VIII secolo, negli altri contesti.
Particolarmente interessante risulta inoltre un gruppo di frammenti incisi e
dipinti distinti da una ricca decorazione con uccelli e nodi di Salomone associati
a motivi geometrici e fitomorfi (tav. V.1-3). Tale decorazione sembra ricorrere,
in base ai pochi frammenti rinvenuti, esclusivamente su forme chiuse (brocche
o piccole anforette), di cui tuttavia non si riesce a cogliere lo sviluppo morfologico; non sono stati infatti rinvenuti frammenti di parti diagnostiche, ma esclusivamente pareti. Questo tipo di decorazione non trova per ora confronti precisi,
ad Alife è pertinente ai contesti del periodo IV e in maniera apparentemente più
ridotta nei contesti del periodo VB.10
Nell’ambito del periodo VB si arricchisce il patrimonio morfologico soprattutto delle forme aperte. In primo luogo proseguono dal periodo precedente i
bacini con labbro a tesa e parete svasata (tav. 7.1-2). Sono poi documentati pochi esemplari di vasi con labbro articolato e listello triangolare e orlo squadrato
(tav. 7.3-4), che trovano confronto generico con produzioni neapolitane e beneventane.11 Caratteristici di questo periodo sono, inoltre, anche pochi bacini con
5
Lupia 1998, 146, fig. 84.54-57.
Passando ad esaminare le forme chiuse è doveroso fare una premessa. La definizione
di una cronologia risulta complicata dalla difficoltà di stabilire nella maggior parte dei
casi se si tratti di forme mono o biansate. Per questo motivo, tranne che in pochi casi
accertati, piuttosto che quello di brocca/anfora preferiamo utilizzare il termine generico
di “forma chiusa”.
7
Arthur 1994, tav. 95-96, 100.1-2
8
Lupia 1998, 133, fig. 71.27-29.
9
Ricci 1998, figg. 10.9-10, 12; Lupia 1998, 133, fig. 71.27-29.
10
Qualche esempio è forse da ricercare in alcuni esemplari incisi da Benevento, che
tuttavia non raggiungono lo stesso grado di articolazione degli esemplari alifani.
11
Cfr. Lupia 1998, 130, fig. 68.4-5, con bibl. prec. San Lorenzo, 43, fig. 4.11. Gli
esemplari di Benevento sono ingobbiati, parzialmente verniciati, di contro quelli alifani
sono decorati a bande e differiscono da questi, da cui tuttavia sembrano derivare, anche
per una forma leggermente diversa della vasca, più bombata e profonda, ed un diametro
minore. Tutte queste differenze fanno propendere per una datazione leggermente più
bassa degli esemplari dell’anfiteatro.
6
70
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
labbro articolato, ingrossato e ripiegato all’interno della vasca (tav. 7.5-6), simili ad alcuni vasi documentati a Benevento, Carminiello ai Mannesi di Napoli
e San Giovanni Pratola di Serra.12
Un altro tipo di bacino con parete tesa, labbro indistinto ed ingrossato
all’interno della vasca, (già attestato nel periodo 4), è documentato da diversi
esemplari (tav. 7.7); si tratta di un tipo diffuso in diversi centri della Campania
con cronologie piuttosto differenti che abbracciano un periodo che va dal VI al
IX secolo con l’eccezione di un esemplare di Capaccio proveniente da un contesto di X-XI secolo.13
Si diffonde, ancora nel periodo VB, un gruppo di vasi caratterizzato da labbro distinto ingrossato all’esterno e ripiegato all’interno della parete (tav. 7.8)14
databile in base ai confronti nel corso del IX e X secolo.
Ancora tra le forme aperte si devono citare due gruppi di grossi bacini, che
non trovano per ora confronti precisi; il primo gruppo (non illustrato) è caratterizzato da vasi con una parete piuttosto spessa, leggermente svasata, labbro distinto ed estroflesso ingrossato, talora leggermente pendulo. La decorazione, in
vernice per lo più rosso bruna, è caratterizzata da larghi tratti ben definiti. I bacini del secondo gruppo (tav. 8.1) presentano un labbro distinto e ingrossato di
forma squadrata.
Un altro gruppo, anch’esso per ora privo di confronti precisi e caratteristico
solo della US 4, è composto da vasi, probabilmente dei piatti, con parete molto
svasata, caratterizzati da un labbro distinto e ingrossato all’interno della parete
(tav. 8.2-3), si tratta di una forma, almeno allo stato attuale degli studi, da considerarsi di pertinenza della sola Alife.
Tra le forme chiuse, oltre alla presenza consistente di esemplari con collo
modanato (tav. 8.4-7), si segnala la presenza piuttosto cospicua di grosse anfore/brocche, con labbro dritto e indistinto che, in base all’attacco dell’ansa (per
lo più a nastro più o meno ingrossata) possono essere distinte in due gruppi: un
primo insieme che presenta l’attacco dell’ansa immediatamente sotto l’orlo, il
secondo con attacco sul collo, 1 cm o poco più sotto l’orlo (tav. 8.8-10).
L’estrema frammentarietà dei pezzi rende difficile ricostruire lo sviluppo morfologico di tali vasi e di conseguenza individuarne confronti precisi.
Si devono considerare caratteristiche di questa fase, pur presenti in maniera
sporadica anche nella fase precedente, un cospicuo gruppo di ceramiche caratterizzate da una decorazione incisa a pettine sulla parete esterna del vaso, costituita da piccoli festoni e solchi orizzontali, talora intervallati da punti di vernice
12
Cfr. Lupia 1998, 132, fig. 69.13, con bibliografia precedente.
Da ultimo su questa forma cfr. Lupia 1998, 142, fig. 76.26.
14
Lupia 1998, 145, fig. 83.48.
13
71
Alife. L’Anfiteatro romano
rossa o bruna (tav. VI.1-2). La maggior parte dei frammenti non è diagnostica,
ed è stato possibile individuare solo alcune forme, tra cui una coppa con labbro
distinto ed estroflesso e parete leggermente carenata, una forma chiusa con parete a profilo continuo e labbro leggermente ingrossato all’esterno della parte ed
un’altra con collo dritto. Difficile, in assenza di confronti specifici, proporre una
cronologia per questi esemplari, tuttavia si sottolinea che la decorazione a pettine ricorre in modo particolare su forme di VII secolo.15
Un solo esemplare è attualmente ascrivibile al periodo VI, si tratta di un
frammento di una fiasca del pellegrino.
L’analisi tipologica finora condotta permette di notare l’estrema originalità
dei manufatti alifani rispetto a quelli editi dal resto della Campania. Invece ad
una prima osservazione il gruppo con decorazioni a bande sembra presentare
tutte le caratteristiche definite per questa classe: la maggior parte dei frammenti
presenta delle bande di vernice piuttosto diluita di colore bruno e rosso bruno,
stesa con un pennello sulla superficie esterna ed interna del vaso fino ad arrivare
a delle bande più sottili (circa un 1/1,5 cm di spessore), che descrivono archi,
talora spirali abbastanza definite e punti. Spesso una banda decora l’orlo esterno
dei bacini a tesa. Particolarmente interessante è un esemplare di bacino con una
M dipinta sull’esterno della parete. Le forme chiuse sono spesso caratterizzate
dalla presenza sull’ansa di una striscia longitudinale rettilinea o leggermente
ondulata; si distingue da questo gruppo un esemplare che associa alla banda alcuni punti incisi. È importante sottolineare che l’analisi delle decorazioni per i
manufatti alifani presenta il grave limite dell’impossibilità di ricostruire precisi
schemi decorativi, nonché di coglierne a pieno l’evoluzione, in considerazione
dell’elevato livello di frammentarietà dei vasi.
L’assenza di confronti precisi, la quantità consistente di esemplari riconducibili ad un numero esiguo di impasti, le decorazioni ricorrenti e la limitata varietà morfologica, portano ad ipotizzare l’esistenza di una produzione locale da
collocare nella stessa Alife o nei centri immediatamente vicini, ipotesi per ora
non supportata dal rinvenimento di luoghi di produzione o di residui di officine
(fornaci, scarti, distanziatori).
I prodotti alifani dunque, per forme, decorazioni e modi di produzione, si inseriscono in una sorta di koinè morfologica e decorativa diffusa tra il Lazio, la
Campania e, in parte, il Molise, caratterizzata da vasi molto simili tra loro per
l’impianto generale, ma che non possono però essere considerati pertinenti ad
un’unica produzione. Questa similarità dei prodotti potrebbe essere attribuita
15
Gli esemplari più vicini per decorazione sono documentati a Roma nello scavo della
Crypta Balbi, Ricci 1998, tav. 8.14-15.
16
Arthur – Patterson 1994, 420-421.
72
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
alla derivazione delle forme da modelli unici poi rielaborati in maniera originale
dalle singole officine. Occasionalmente alcuni manufatti rielaborati potevano
viaggiare come contenitori di prodotti legati alla tavola, diventando a loro volta
modelli per le locali officine. Questa ipotesi è plausibile soprattutto per le brocche/anfore che sembrano in parte sostituire o piuttosto affiancare le anfore da
trasporto nelle loro funzione di contenitori destinati alla commercializzazione di
prodotti, dato che, qualora verificato, permetterebbe di spiegare anche la dimensione spesso considerevole di questi vasi che più che per la tavola sembrano essere destinati alla conservazione di derrate.
È interessante notare che anche ad Alife mancano vasi destinati alla consumazione dei cibi, come piatti, coppe, calici ecc…, fenomeno ricorrente anche
nelle forme di ceramica comune non decorata. Le ipotesi finora proposte per
giustificare questa assenza prendono in considerazione sia la possibilità di un
cambiamento delle abitudini alimentari, sia quella di una sostituzione delle ceramiche da mensa con vasellame in legno.17 Quest’ultima ipotesi, in particolare
per Alife, sembra avvalorata da una notizia dei registri della cancelleria angioina che riporta una commissione del re Carlo I agli artigiani di Alife di 40.000
scodelle di legno.18 La notizia si riferisce ad una fase cronologica più avanzata
(1272), ma la commessa regia lascia presupporre un’elevata specializzazione in
questo campo delle officine alifane19 che dovrebbe trovare le sue radici nei secoli precedenti.
4.2. La ceramica invetriata (G.S.)
La ceramica a vetrina pesante (o del tipo “Forum Ware”) è presente con un
numero esiguo di frammenti (2: periodo 4; 51 periodo 5), tutti pertinenti a forme chiuse (per un numero minimo di 12 esemplari). Caratteristiche di questo
vasellame sono l’invetriatura applicata in monocottura e le decorazioni a file di
petali applicati; nel complesso sono collocabili tra IX e X secolo.
I prodotti rinvenuti ad Alife presentano impasti poco depurati, che nel colore
variano dal rosso (Mus 2.5YR 5/6) al grigio scuro (Mus 2.5Y 4/1), con colorazioni intermedie anche nei medesimi esemplari. Le vetrine variano in tonalità
dal marrone (Mus 7.5YR 5/6) al verde oliva (Mus 5Y 4/4), più o meno intenso e
brillante.
Dai livelli del periodo 4 proviene un unico esemplare, la brocca con corpo
globulare e cannello versatoio pressato al collo (tav. 9.1); la forma è riferibile ad
17
Cfr. Saporito 1992, 207.
Gambella 2007, 190-191.
19
E, soprattutto, la presenza di boschi di idonee essenze di alto fusto.
18
73
Alife. L’Anfiteatro romano
un tipo ben documentato a Roma e a Napoli nei contesti di IX e della prima
parte del X secolo20.
Nei livelli del periodo 5 (fase B) questi prodotti risultano più frequenti pur
registrando sempre indici percentuali molto ridotti. Ritorna la brocca con cannello pressato al collo, presente con almeno un esemplare; allo stesso tipo potrebbe appartenere un secondo frammento che conserva il cannello anche se, a
giudicare dalla curvatura della parete, non sembra da escludersi una forma più
ovoidale21. Ad una brocca globulare sono anche riferibili l’orlo tav. 9.2 e
l’esemplare tav. 9.3, forse pertinente al fondo tav. 9.4.
Si segnalano, infine, una quindicina di frammenti, pertinenti ad un unico
esemplare (una brocca non decorata), caratterizzati da una vetrina non uniforme
(del tipo “a vetrina sparsa”)22.
4.3. La ceramica comune da mensa e da dispensa (A.Z.)
Si fanno rientrare nella ceramica acroma da mensa e da dispensa quei contenitori utilizzati in cucina per contenere e/o conservare cibi e liquidi, distinguendo da essa i recipienti da fuoco e quelli da trasporto (anfore).
Tra le forme documentate, prevalgono quelle chiuse, rappresentate soprattutto
da brocche, sulle forme aperte, presenti prevalentemente con bacini e catini.
L’esame macroscopico delle argille ha permesso di distinguere per questi
prodotti 19 differenti tipi di impasto, diversi sia nella composizione mineralogica che granulometrica. La porosità dell’argilla è variabile e il colore va dal beige - rosato al marrone chiaro. Essi possono essere raggruppati in due grandi insiemi, ovvero quelli “depurati”, dove gli inclusi sono pochi o del tutto assenti, e
quelli “grezzi”, ricchi di inclusi di diversa natura e dimensione: al primo insieme appartengono gli impasti più utilizzati nel gruppo ceramico analizzato
(CC01, CC05, CC11), molto vicini a quelli (se non gli stessi) impiegati per la
ceramica dipinta, al punto che, considerata anche la sostanziale uniformità morfologica tra le due classi, non è da escludere che una parte dei frammenti e dei
fondi inseriti tra la acroma perché privi di dipintura possano in realtà derivare
da vasi dipinti a bande.23
20
Roma: Romei 1992, 383, n. 32, fig. 29; 2004, 297-298; Napoli: Arthur – Capece 1992
(in part. per la forma cfr. fig. 1.8, fuori contesto); Carsana 2004, 24.
21
Cfr. Romei 2004, 298, fig. 67.
22
Cfr. Romei 2004, 299.
23
Cfr. a riguardo Laganara Fabiano 2004, 9-13, ove si sottolinea, causa la frammentarietà dei vasi, la difficoltà a distinguere i frammenti appartenuti alla ceramica “senza
rivestimento” da quelli con “decorazione incisa e plastica” , o “con decorazione dipinta”
74
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
Il grado di depurazione degli impasti riflette la destinazione funzionale del
prodotto finito: impasti molto depurati potevano essere impiegati per il vasellame destinato alla tavola (brocche, bottiglie, piatti), mentre per i contenitori destinati alla conservazione di derrate o quelli usati in cucina (olle, scodelle mortai), invece, erano impiegati impasti “grezzi”.
Per i livelli del periodo 4 si segnalano, in particolare, due forme chiuse: la
prima (tav. 10.1) può essere accostata ad esemplari da Benevento (da contesto
datato tra la fine dell’VIII e gli inizi dell’XI secolo) e da Montella (da strato di
VIII-IX secolo).24 La seconda (tav. 10.2) può essere accostata ancora ad esemplari da Benevento e da S. Vincenzo al Volturno.25
Nei livelli del periodo 5B le forme aperte sono presenti innanzitutto con una
serie di bacini caratterizzati dall’orlo a tesa con decorazione incisa, che sembrerebbero essere stati prodotti in tre diversi moduli (diam. cm 24/30, 32/36,
40/46); 26 l’esemplare tav. 10.3 trova un confronto puntuale in un esemplare da
Benevento datato tra la fine dell’XI sec. e il XII secolo d.C.27
Per quanto riguarda i catini (tav. 10.4-5), che presentano diametri compresi
tra 32 e 39 cm, essi sono stati quasi tutti realizzati in un unico impasto. Il primo
(tav. 10.4) trova confronto puntuale in un esemplare da Benevento databile al
VIII-IX secolo, in ceramica dipinta a bande,28 a ulteriore conferma della sostanziale uniformità morfologica tra ceramica acroma e ceramica dipinta; l’altro
(tav. 10.5) in un esemplare da Marettimo (Tp), in livelli datati all’XI-XII secolo.29
Le forme chiuse sono rappresentate prevalentemente da brocche e tra queste
(tav. 11.1) ritorna il tipo già presente nel periodo 4.
o anche “con rivestimento vetroso”, in quanto gli elementi distintivi potrebbero non essersi conservati. Inoltre, si sottolinea anche come lo stato frammentario rende in più casi
dubbia l’identificazione morfologica. Vd. anche Lupia 1998 e Sogliani 2000.
24
Benevento: Lupia 1998, 175, fig. 99.47; Montella: Gatto 2004, 276, fig. 1.5.
25
Benevento: Lupia 1998, 178, fig. 100.51; S. Vincenzo al Volturno: Patterson 2001,
312, fig. 10.67.
26
Ricci 1998, non esclude che questi contenitori venissero utilizzati per il trasporto di solidi (carni o pesci sotto sale), piuttosto che come recipienti di uso domestico, anche se è
probabile che una volta svuotati venissero riutilizzati come contenitori da dispensa, e ciò
perché alcuni esemplari provenienti dalla Crypta Balbi sono certamente di importazione;
poiché recipienti con diametro tra i 36 cm e i 45 cm non sono di agevole stivaggio, il trasporto sembrerebbe giustificabile soltanto qualora essi avessero viaggiato pieni.
27
Lupia 1998, 171, fig. 97.14.
28
Lupia 1998, 141, fig. 76.25, datato tra la fine dell’VIII e gli inizi dell’XI secolo.
29
Ardizzone et alii 1998.
75
Alife. L’Anfiteatro romano
Frequenti si rivelano anche le anfore da tavola: il tipo tav. 11.2, in particolare, trova confronti a Benevento nei livelli del periodo IV (fine VIII-XI secolo)30
e a S. Vincenzo al Volturno in contesti della fine del IX secolo.31
Per le olle, infine, si segnalano gli esemplari tav. 11.3, che trova confronti a
Benevento in contesti della seconda metà del VII secolo,32 e tav. 11.4.
Quest’ultimo risulta essere un tipo abbastanza diffuso nei contesti altomedievali
della Campania,33 e a S. Vincenzo al Volturno nei livelli di IX secolo.34
4.4. La ceramica da fuoco (P.V.)
I materiali rinvenuti documentano un repertorio morfologicamente ridotto,
caratterizzato dal predominio delle forme chiuse (olle, destinate alla preparazione di cibi semiliquidi o minestre), sulle forme aperte (casseruole e tegami, destinate probabilmente alla cottura di cibi semisolidi e carni; pentole, per cibi liquidi e semiliquidi) e dalla presenza costante di clibani e testi da pane. L’argilla
impiegata nella fattura di questi prodotti presenta impasti ricchi di inclusi per
impedire la rottura del vaso durante l’esposizione alla fiamma.
Nella sua composizione, la ceramica da fuoco rinvenuta riflette il fenomeno,
già evidenziato altrove, del progressivo mutamento delle abitudini alimentari e
dell’adeguarsi ad esse delle forme ceramiche utilizzate in cucina, con il passaggio, a partire dall’VIII secolo, dall’uso della pentola a quello esclusivo dell’olla,
di capienza minore, che affiancando i recipienti in metallo utilizzati per cuocere
il pasto vero e proprio dell’intera famiglia, doveva servire alla cottura ed al riscaldamento di cibi aggiuntivi35.
I materiali illustrati alla tav. 12.1-5 esemplificano le olle maggiormente diffuse
nei livelli del periodo 4. Gli esemplari tav. 12.1-2 richiamano forme ben documentate in Campania nei contesti di età altomedievale (a Benevento tra la fine del VI ed
il XII sec.; a Mondragone in un pozzo probabilmente posteriore al VII ma anteriore
all’XI-XII secolo);36 gli esemplari tav. 12.3-4 trovano ugualmente confronto a Be-
30
Lupia 1998, 157, fig. 88.75.
Hodges – Patterson 1986, 19, fig. 4.2..
32
Lupia 1998, 174, fig. 98.31.
33
Per la diffusione in Campania, in contesti datati tra il VII ed il IX secolo cfr. Lupia
1998, 173-175, fig. 99.
34
Patterson 2001, 311, fig. 10.42 (= Arthur - Patterson 1994, 431, fig. 11.7), in ceramica
da fuoco.
35
Lupia 1998, 169, 201-202.
36
Benevento: Lupia 1998, 176, nn. 38-41, fig. 99; Arthur 1989, 588-591, nn. 14-16,
figg. 6-7.
31
76
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
nevento e Mondragone37 e, ancora, a Napoli in contesti di VIII-IX secolo e a S.
Vincenzo al Volturno in contesti di IX secolo38. L’olla tav. 12.5, infine, trova confronto puntuale in esemplari dai livelli di metà-fine IX secolo di S. Vincenzo al
Volturno39 e a Benevento (da livelli della seconda metà del VII secolo).40
Tra i tegami si segnala un tipo ad orlo indistinto (tav. 12.6), che trova confronto a Benevento in contesti di VIII-IX secolo41.
Comuni si rivelano i testi (tav. 12.7) e i clibani: i testi da forno, eseguiti al
tornio o in ceramica d’impasto, erano contenitori utilizzati per cuocere focacce,
pane o dolci, mentre i clibani, a forma di campana, fungevano da coperchi che,
nella fase di cottura del contenuto, venivano cosparsi di brace. Questi contenitori si diffondono in Campania a partire dal VII secolo, come dimostra il loro rinvenimento a Napoli in contesti di VII e VIII secolo42, a Mondragone43, a Benevento, in contesti di VIII – XII secolo44, ad Altavilla Silentina.45
Nei livelli del periodo 5B continuano ad essere molto ben rappresentati i clibani (tav. 12.8) e i testi (tavv. 12.9; 13.1). Notevole è il testo tav. 13.2 decorato, in
prossimità del fondo, da impressioni digitate. Tra le olle è possibile segnalare gli
esemplari tav. 13.3-4: entrambi trovano confronto a Benevento in contesti rispettivamente della seconda metà del VII secolo e dell’VIII-XI secolo.46
Nel periodo successivo il repertorio tipologico è nell’insieme analogo a
quello dei due periodi precedenti, tuttavia le variazioni morfologiche e i confronti con il materiale ceramico da altri contesti campani suggeriscono per queste forme ceramiche un orizzonte cronologico che va dall’XI al XIII secolo. Si
segnalano, in particolare un boccaletto monoansato che ricorda esemplari analoghi rinvenuti a Benevento e ad Altavilla Silentina47, una pentola che trova
confronto ancora ad Altavilla Silentina48 ed un’olla monoansata con orlo estro-
37
Benevento: Lupia 1998, 173-176, nn. 35-37, fig. 99 (in part. il n. 38, da un contesto di
VIII-IX secolo); Mondragone: Arthur 1989, 588, n. 13, fig. 6.
38
Napoli: Patterson 2001, 310; S. Vincenzo al Volturno: Patterson 2001, 312, n. 54, fig.
10.54.
39
Patterson 2004, 254, fig. 3.1-2.
40
Lupia 1998, 182, n. 76, fig. 102.
41
Lupia 1998, 173, n. 26, fig. 98.
42
Carminiello ai Mannesi: Carsana, 1994, 243, tipo 68, fig. 115 (da contesti di fine Ve
VII secolo); S. Patrizia: Arthur 1989, 588; Carsana 1994, 243.
43
Arthur 1989, 588, nn. 9-10, fig. 4.
44
Lupia 1998, 180, fig. 101, 68. Datazione proposta dalla fine dell’VIII e al XII secolo.
45
Iannelli 1984, tav. XII. Datazione proposta XI-XII secolo.
46
Rispettivamente Lupia 1998, 173, n. 31, fig. 98 e 176, n. 40, fig. 99.
47
Lupia 1998, 176, fig. 99.45; Iannelli, 1984, tav. 9.1.
48
Iannelli 1984, 27, tav. 6.1.
77
Alife. L’Anfiteatro romano
flesso che trova confronti in contesti bassomedievali a Benevento, a Napoli, ad
Altavilla Silentina ed a Capaccio49.
4.5. Le macine (A.C)
Dai livelli dei periodi 4 e 5B provengono alcuni frammenti in pietra vulcanica relativi a sei macine rotatorie manuali per cereali.
I frammenti rinvenuti sono tutti pertinenti al disco superiore: presentano le
estremità arrotondate, la faccia superiore lievemente convessa al centro e più
ruvida rispetto alla superficie di molitura che, invece, è sempre piatta e levigata
dall’uso. Sulla base della differente pietra utilizzata, della diversa finitura della
faccia superiore e del differente diametro è possibile distinguere due tipi:
Il primo, rappresentato da un unico esemplare (tav. 14.1), è realizzato in una
pietra vulcanica molto compatta, a grana più fine, ricca di inclusi neri di medie
e grandi dimensioni; ha un diametro di 50 cm e la faccia superiore risulta essere
stata bocciardata. Pur non conservato, è da presumere la presenza di un foro laterale per la leva di rotazione.
Il secondo (tav. 14.2), ricavato da una pietra vulcanica di colore grigio scuro,
ricca di inclusi neri e molto compatta, è caratterizzato da diametri compresi tra
33 e 39 cm e presenta sempre la superficie superiore grezza; il foro centrale passante ha un diametro di 5/7 cm mentre il foro per alloggiare la leva di rotazione,
non passante, dove conservato, ha un diametro di 3/4cm.
Confronti per questo secondo tipo sono offerti da alcuni esemplari da Montella (Av), rinvenuti in livelli di IX-X secolo50, e da Olevano sul Tusciano (Sa),
da un contesto di fine XII-inizi XIII secolo 51. Per il primo tipo è possibile indicare confronti con materiali dalla Sicilia52 (ad es., Entella, Monte Iato) e, ancora, da Olevano sul Tusciano53.
49
Lupia 1998, 178, n. 59, fig. 100; Arthur 1986, 551, fig. 6.28; Iannelli 1984, 26, tav.
3.2; Caputaquis I, tav. 31. 9; Caputaquis II, tavv. 28; 31.1; 38.1-3.
50
Ebanista 1998, 173, fig. 2.3-5 con ulteriori confronti.
51
Di Muro – La Manna 2004, 252, fig. 8 (a sn.).
52
Per Entella vd. Canzanella 1997, 273-274, nn. 32-33, tavv. XLIV.6 (a ds.), XLV.1 (a
ds.); Monte Iato: Isler 1988, fig. 44 (si tratta si quattro macine circolari, di grosse dimensioni, reimpiegate per realizzare un piano pavimentale in una casa di età medievale;
almeno la seconda dal basso presenta anche un foro laterale).
53
Di Muro – La Manna 2004, 252, fig. 8 (a ds.). Per questi esemplari non è comunque
esclusa, dagli editori, la possibilità di un impiego per la frangitura delle olive.
78
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
Resta al momento incerto l’ambito geografico di provenienza di questi prodotti54; tuttavia, considerata la vicinanza di Alife al complesso vulcanico di
Roccamonfina, dove la produzione di macine è documentata per l’età antica e
medievale55, è probabile che tale possa essere la loro l’area di origine56.
4.6 La fauna (S.C. – R.V.)
Gli strati depositati nell’arena nel corso del periodo 5B hanno restituito una
cospicua quantità di resti animali che sono stati oggetto di uno studio archeozoologico. Tale studio ha permesso di riconoscerne le specie o i gruppi animali
di appartenenza, le parti anatomiche rappresentate, le tracce di attività umana
come la combustione o i tagli derivanti dalla macellazione degli animali ed alcune caratteristiche fisiche utili a comprendere l’economia e la società del gruppo umano che popolava Alife in età altomedievale, nonché a ricostruire il paesaggio naturale delle aree limitrofe all’abitato.
Sono stati identificati 1065 resti ossei, di cui 775 sia per quel che concerne la
parte anatomica di provenienza, sia l’animale di appartenenza, mentre per 290
di essi è stato possibile definirne soltanto le caratteristiche anatomiche senza
poterli attribuire ad una specie precisa.
Quasi tutti i reperti appartengono a mammiferi, dal momento che le ossa di
uccelli sono solo 3, tutti appartenenti a pollame domestico. La composizione
della fauna ha evidenziato alcuni aspetti sorprendenti, legati, soprattutto, alla
presenza in quantità considerevoli di animali selvatici, rappresentati da cervi,
cinghiali e da almeno un individuo d’orso, di lepre e di lupo.
La forte incidenza della fauna selvatica appare sorprendente dal momento
che studi condotti su resti analoghi di età imperiale romana e tardo-antica hanno evidenziato come Alife vivesse, per quanto riguarda le risorse animali, in
modo perfettamente integrato con l’economia dell’epoca, essenzialmente basata
sull’allevamento delle specie domestiche e dei maiali in particolare. Per i reperti
presi in considerazione, la fauna selvatica rappresenta più di un quarto del totale
dei reperti identificati, quantità stimata per difetto, dal momento che una buona
parte dei resti di suini identificati (e che da soli rappresentano più della metà dei
reperti) è attribuibile al cinghiale (tav. VII.1). Da un punto di vista generale, i
suini sono, percentualmente, il gruppo animale più frequente, con più del 53%
54
Sulle aree di estrazione e produzione e la circolazione di questi prodotti nel bacino del
Mediterraneo vd. Arthur 2000.
55
Arthur 2000, 486.
56
Sono comunque in corso analisi petrografiche per precisare le provenienze.
79
Alife. L’Anfiteatro romano
della totalità dei resti identificati, seguiti dai bovini con il 18% e dai cervi con
più del 15%.
L’analisi delle superfici ossee ha messo in evidenza come il 40% delle ossa
presenti tracce di combustione, anche se la maggior parte di esse ha assunto una
colorazione marrone-rossastra che indica l’esposizione a basse temperature, mentre pochi reperti presentano superfici carbonizzate di colore nero. Ciò potrebbe
essere compatibile con lo sfruttamento alimentare degli animali e interessa non
solo gli animali domestici, ma anche selvatici come il cervo ed il cinghiale.
Lo sfruttamento degli animali è leggibile sui reperti anche attraverso
l’osservazione delle tracce di macellazione, tagli distribuiti sulle varie parti
dello scheletro, la cui localizzazione varia in funzione dell’azione che si voleva
compiere (tav. VII.2).
Le diverse fasi di elaborazione delle carcasse degli animali sono state, in
questo modo, ricostruite: tagli presenti nei pressi delle articolazioni delle ossa
lunghe (ad esempio femori, omeri e tibie) testimoniano le fasi di disarticolazione dell’animale, così come quelli evidenziati in corrispondenza della mandibola
rappresentano la traccia, ancora oggi visibile, del distacco di questa porzione
anatomica dal resto del cranio, operazione considerata preliminare alle successive fasi di macellazione.
Tracce localizzate, invece, in corrispondenza delle estremità degli arti, soprattutto delle falangi, dei metacarpi e dei metatarsi, testimoniano le fasi di
scuoiatura dell’animale, effettuata non solo allo scopo di accedere alle carni
sottostanti (come nel caso dei suini), ma anche allo scopo di ottenere pellame
(come testimoniato da tracce di scuoiatura presenti sullo scheletro dei bovini).
Alcuni reperti mostrano invece tracce iniziali di una lavorazione artigianale:
esempi di ciò sono alcune corna segate di ovino (tav. VIII) ed un frammento di
palco di cervo parzialmente levigato.
Lo studio di dettaglio delle età di morte degli animali, condotto sulla dentatura e sullo stadio di sviluppo delle ossa, ha ulteriormente approfondito la nostra
conoscenza sullo sfruttamento delle diverse specie presenti sul sito. I cervi, ad
esempio, sono rappresentati, in maggioranza, da individui adulti e, in piccola
parte da sub-adulti, a dimostrazione che la loro caccia avveniva in modo molto
mirato, preservando gli individui più giovani dei branchi, in modo da non impoverirli numericamente stagione dopo stagione. I suini sono anch’essi massicciamente rappresentati da individui adulti, a differenza di quanto avviene ad Alife in
epoche precedenti, quando il consumo e la produzione di carne suina privilegiava
l’abbattimento di individui giovani ed infantili, sia per la richiesta di lattonzoli da
parte delle classi privilegiate, sia per accelerare il più possibile il ciclo produttivo,
probabilmente in conseguenza di una maggiore densità di popolazione.
80
4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
I dati così ricavati permettono di trarre alcune conclusioni interessanti sullo
stato dell’abitato di Alife, sulla sua popolazione e sull’ecologia del paesaggio
circostante.
La forte incidenza degli animali selvatici testimonia l’estensione delle aree
boschive negli immediati dintorni dell’abitato, dal momento che, essendo rappresentate quasi tutte le parti scheletriche dei cinghiali e dei cervi, è impensabile
che carcasse anche piuttosto pesanti venissero trasportate in città da distanze
considerevoli. Anche i pochi resti d’orso confermano questo dato: non si
tratta infatti solo di parti terminali delle zampe (che potrebbero essere state introdotte in città ancora collegate ad una pelliccia scuoiata), ma anche di un omero che testimonia l’introduzione ed il trasporto dell’intera carcassa o, almeno, di
porzioni considerevoli di essa. Il ritrovamento di un canino superiore ha permesso di accertare che si trattava di una femmina di età adulta.
L’economia della cittadina appare in declino rispetto alle epoche precedenti,
dato testimoniato dalla variazione della qualità del consumo già segnalato dalle
età di macellazione dei suini, ma anche dallo stesso ricorso agli animali selvatici
come risorsa non più soltanto sporadica, ma piuttosto sistematica. La stessa
estensione dei boschi nelle aree circostanti Alife indica un abbandono di zone
un tempo coltivate o tenute a pascolo che vengono rioccupate dalla vegetazione
spontanea.
Il dato ecologico appare confermato da almeno una fonte scritta in nostro
possesso, poiché nel Chronicon Volturnense scritto dal monaco Giovanni nel
XII secolo si afferma che nel X secolo per le strade di Alife erano presenti uccelli ed animali selvatici. Anche alcuni toponimi relativi ad aree prossime
all’abitato, ancora oggi in uso, quali Boscariello e Selva, testimoniano la presenza, in passato, di vaste aree boschive ormai del tutto inesistenti.
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Alife. L’Anfiteatro romano
Tavola 7
1
2
4
3
5
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7
8
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4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
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4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
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Tavola 13
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4. Materiali ceramici, lapidei e fauna del Periodo 4-6
Tavola 14
a
a
1
a
a
b
b
2
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97
Tav. I
Foto aerea del 2008
(foto D. Occhibove); in
rosso la parte dell’anfiteatro non scavata
Tav. II
Carta archeologica della città romana di Alife con il settore del suburbio interessato
dall’anfiteatro
Alife. L’Anfiteatro romano
Tav. III
Il sistema primario di raccolta delle acque, in azzurro e celeste scuro la prima fase, in
celeste scuro il settore dismesso nella seconda fase, in celeste chiaro il nuovo settore
realizzato nella seconda fase
2
1
3
Tav. IV Intonaci dipinti dal periodo 2
100
4
Tavole
2
1
3
Tav. V
Ceramica con ingobbio e decorazione incisa
1
2
Tav. VI
Ceramica con decorazione incisa e dipinta
101
Alife. L’Anfiteatro romano
Tav. VII – 1. Composizione percentuale dell’insieme faunistico.
Tav. VII – 2. Localizzazione delle tracce di macellazione sullo scheletro dei suini e dei bovini.
Tav. VIII. Frammento di corno di Ovis/Capra con tracce di lavorazione
102