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CRISTOFORO RONCALLI, IL “POMARANCIO” (Pomarance, 1552 - Roma, 1626) Santa Cecilia Santa Margherita Olio su tela, 119 x 84 ciascuna Inghilterra, collezione privata Bibliografia: E. Schleier, Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio: due dipinti inediti ed i loro relativi disegni, in “Studi di Storia dell’arte”, 4, 1993, pp. 295-302 (per la Santa Cecilia). Nato a Pomarance vicino a Volterra e cresciuto nel solco della migliore cultura pittorica toscana in chiave senese, Cristoforo Roncalli seppe, grazie allo studio di Raffaello e dei grandi testi pittorici che poté studiare in seguito al suo trasferimento a Roma, forgiare uno stile proprio e riconoscibile e ritagliarsi un ruolo importante nell’ambiente artistico dell’Urbe a cavallo tra Cinquecento e Seicento. La Santa Cecilia e la Santa Margherita di Antiochia del Pomarancio e un modello particolare di pala d’altare in età di Controriforma Accomunate dalla medesima invenzione, le due tele dedicate a Santa Cecilia e Santa Margherita di Antiochia mostrano in posizione precipua ed esaltata da un leggero sottinsù la figura della santa che incede con eleganza su di un gradino (in un caso si tratta in realtà della zampa di un drago), coronata in alto da due angeli e connotata dalla palma simbolo del martirio. Saranno poi gli elementi di contorno a permettere di riconoscere in colei affiancata dall’organo Santa Cecilia, in Santa Margherita, che sconfisse grazie all’ausilio della croce il maligno apparso sotto forma di drago, quella che si vede ora trionfare sulla creatura mostruosa. Nel Rinascimento non è poi tanto raro imbattersi in artisti pronti a replicare le proprie composizioni più fortunate, ma in questo caso la questione sottintende ulteriori implicazioni che saranno esplicitate in seguito e a sorprendere sarà più che altro il fatto che entrambe sono state acquistate, in momenti diversi, dallo stesso scaltro collezionista. La Santa Cecilia è stata pubblicata come opera di Cristoforo Roncalli da Erich Schleier 1, mentre la Santa Margherita di Antiochia, finora inedita, è stata presentata come opera del “Pomarancio” al momento del suo passaggio in un’asta londinese poco più di tre lustri fa. D’altra parte l’alta qualità dei due dipinti e la loro stretta correlazione con alcune delle opere più celebri dell’artista di origine toscana lasciano poco spazio a dubbi. Basterà infatti confrontare l’immagine con la Santa Domitilla (Fig. 1) protagonista, assieme a Nereo e Achilleo, della pala commissionata dall’oratoriano Cesare Baronio per la chiesa dedicata a quei due santi e di cui pretese, nonostante fosse in condizioni fatiscenti, di essere nominato titolare allorché Clemente VIII lo costrinse a vestire la porpora in seguito al concistoro del 5 giugno 1596 e nella quale, dopo averla fatta restaurare a proprie spese, fece traslare le reliquie della santa. A parte 2 infatti il contrapposto alternato, la corona già indossata, e la palma del martirio sorretta un poco più in alto, sono poche le differenze tra la figure di Domitilla e le Cecilia e Margherita nelle due tele qui presentate. Con questo genere di rappresentazione, cui si dovrà obbligatoriamente aggiungere la Santa Caterina d’Alessandria del monastero di San Bernardo a Nepi in provincia di Viterbo (Fig. 2), il “Pomarancio” si inserisce in un importante filone figurativo, quello della pala d’altare a figura unica che, sebbene abbia il suo padre nobile in Raffaello e la sua Santa Caterina d’Alessandria oggi a Londra, godette di intensa, ma effimera fortuna in età di Controriforma 2. Il modello aulico della Santa Domitilla si rivelava essere ancora sì un Raffaello ma la Santa Cecilia di Bologna, che continuava a rivelarsi un testo imprescindibile per un numero impressionante di pittori, permettendo ad esempio negli stessi anni a Guido Reni di farsi apprezzare dal cardinale Paolo Emilio Sfondrato e divenire celebre a Roma nel corso del revival del culto dei protomartiri che, promosso dall’oratorio di San Filippo Neri, avrebbe avuto ulteriore slancio in occasione del rinvenimento delle spoglie della Santa (1599). Con la sua semplicità didascalica, la pala d’altare con una santa a figura unica si prestava con agilità all’adorazione del fedele il quale poteva così concentrarsi sulla sua immagine estatica e contemplarne le virtù e la bellezza, lasciando che le vicende agiografiche fossero riassunte da un solo elemento iconografico e si può dire, da un certo punto di vista, che si tornava indietro nella composizione alla schietta semplicità delle ‘santine’ dei polittici medievali. È in tal modo che una Santa Cecilia e una Santa Margherita, entrambe vergini e martiri della Chiesa delle origini, potevano essere raffigurate da “Pomarancio” facendo ricorso ad uno stesso modello figurativo e poi distinte dall’aggiunta dell’organo o del drago. Si tratta di un procedimento che, sebbene completamente rovesciato nel suo intimo significato, caratterizzava negli stessi anni la rivoluzione caravaggesca, in quanto il Merisi prendeva modelli di vita quotidiana per poi tramutarli nei suoi quadri, mediante i consueti attributi iconografici, in personaggi letterari, della mitologia o delle Sacre Scritture, si porta qui ad esempio, il più celebre, quella Maddalena Doria Pamphilij che Bellori definì una fanciulla “finta per Maddalena” 3. Se questo modo di procedere poteva sembrare poco consueto e decoroso, tanto da attirare al pittore lombardo ben più di una critica, lo stesso non accadeva al “Pomarancio” che servendosi di un modello idealizzato e basato sui migliori esempi disponibili 1. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Domitilla tra i Santi Nereo e Achilleo (1596-1599 ca.). Roma, Santi Nereo e Achilleo. 2. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Caterina d’Alessandria. Nepi, Monastero di San Bernardo (particolare). 3 Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Cecilia (1600 ca.). Inghilterra, collezione privata. 4 Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Margherita di Antiochia (1600 ca.). Inghilterra, collezione privata. 5 per un pittore di cultura manierista, poteva poi tramutarlo, ora in Domitilla, ora in Cecilia o Margherita o Caterina d’Alessandria senza che questo potesse destare la stessa sorpresa che invece oggi può suscitare in noi l’ammirare dipinti così simili. 3. Giuseppe Cesari, Il Cavalier d’Arpino, Santa Caterina d’Alessandria (1589-91 ca.). Già Roma, Gesù Nazareno. 4. Già attribuito a Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Sant’Elena. Roma, Gesù Nazareno. 6 Il primo esempio di questo genere compositivo sembra essere stato opera di un altro pittore “cavaliere”, quello per antonomasia, Giuseppe Cesari, che intorno al 1591 dipinse una pregevole Santa Caterina d’Alessandria per Sant’Elena dei Credenzieri, chiesa distrutta nel 1888 e dunque ricoverata nella sagrestia di Gesù Nazareno a Roma (Fig. 3) 4, ove si ammira anche la pala proveniente dall’altare maggiore di Sant’Elena, a lei dedicata. Tradizionalmente riferita al “Pomarancio” sulla base di una citazione del Titi (cm 240 x 180, Fig. 4) e con una datazione che non si discosta molto da quella proposta per il Cavalier d’Arpino (15941596) 5, è probabile che in seguito alla visita pastorale del 1626 quando la tela fu trovata in condizioni non soddisfacenti essa fu restaurata pesantemente se non addirittura sostituita 6. È per questo che si è sempre faticato a riscontrare elementi roncalleschi nella pala, raffermata da una volontà arcaicizzante che non ha eguali nel resto della produzione nota del pittore, e ad inserirla in precise coordinate storico/stilistiche. Se infatti il supporto delle fonti è abbastanza incoraggiante, è stato preferibile riferire il dipinto all’ambito del “Pomarancio” e, nel caso dei due suoi principali studiosi, Kirwin e Chiappini di Sorio, a espungerlo dal catalogo dell’artista 7. È probabile che il dipinto faccia riferimento ad un originale del “Pomarancio”, poiché la composizione non si distacca molto da altri esempi del periodo e sembra tenere in considerazione anche la pala dell’arpinate: accanto alla figura della santa protagonista assoluta dell’opera assieme alla Sacra Croce ed al titolo che la madre di Costantino rinvenne in Gerusalemme, appaiono sullo sfondo alcune figurine allungate a raffigurare il miracolo del Sacro Legno, sì di chiara impronta toscana, ma che sembrano portarci ad una datazione più inoltrata nel Seicento. Sono ancora i due pittori ‘cavalieri di Cristo’ a rimpallarsi sul tema della santa a figura unica, Giuseppe Cesari con la Santa Barbara in Santa Maria in Traspontina (Fig. 5; 15961597), il “Pomarancio” in maniera personale con la Santa Domitilla. Incurante della sua celebre pudicizia, Santa Barbara mette in mostra tutte le grazie che le avevano procurato numerosi pretendenti, rifiutati allo stesso modo in nome del giuramento di fedeltà a Cristo, portando all’irrefrenabile ira del padre: il tutto viene accompagnato dal preciso ductus e dai freschi colori che resero celebre il Cavalier d’Arpino negli anni di Clemente VIII, gli stessi che videro la nascita della Santa Domitilla, la cui figura, sebbene costretta a dividere la scena con Nereo e Achilleo, li relega ad un ruolo di comprimari tanto da poter essere accolta in questa sede. La composizione del dipinto, lo scorcio e il lume simbolo di grazia divina orientato come se si fosse su un palcoscenico esaltano e quasi monumentalizzano e rendono iconica l’immagine della santa Domitilla, modellata secondo i migliori esempi della tradizione pittorica toscana. Pomarancio disegnatore In ossequio alla sua cultura senese, Roncalli faceva precedere le proprie opere da numerosi studi in cui sfoggiare una capacità grafica notevolmente sopra la media in anni in cui il disegno si identificava ancora con l’essenza stessa dell’idea dell’arte. Con mano estremamente felice, con tratti morbidi e ravvicinati il “Pomarancio” riesce a restituire nei suoi fogli la plasticità e la tornitura delle figure con una piacevole freschezza d’invenzione che mette assieme elementi raffaelleschi con la fisicità michelangiolesca: in tal modo è solitamente agevole riconoscerne l’autografia. La pala licenziata per la chiesa del Baronio non ha di certo fatto eccezione e una lunga serie di esercitazioni ha preceduto l’opera finita: la più nota di queste fu pubblicata da Philip Pouncey più di cinquant’anni fa (Fig. 6) 8: si tratta di un disegno quadrettato che è dunque molto vicino al dipinto dal quale si differenzia solo in piccoli particolari come la posizione del volto di Achilleo e della corona di fiori destinata a Domitilla, che risulta ancor più enfatizzata nella tela. Meno noto è invece un foglio conservato presso il museo di Basilea focalizzato sulla sola figura di Domitilla (Fig. 7) 9, studiata in maniera autonoma e di certo propedeutica all’ideazione delle nostre sante, destinate a un culto privato, date le dimensioni inferiori, una sorta di santini ante litteram da accordare alla devozione del committente con l’aggiunta, probabilmente in un secondo tempo, dell’elemento iconografico. Nel disegno si può notare la peculiare attenzione riservata allo studio delle morbide pieghe del panneggio, che rivestiva un ruolo di grande importanza per un pittore tardomanierista dovendo costituirne una 5. Giuseppe Cesari, Il Cavalier d’Arpino, Santa Barbara. Roma, Santa Maria in Traspontina. 7 6. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Domitilla tra i Santi Nereo e Achilleo (1596-1599 ca.). Londra, Courtald Institute. specie di sigla facilmente riconoscibile. Pur partendo da una base compositiva solida, anche in questo caso una lunga serie di studi può essere messa in relazione con le Sante Cecilia e Margherita, a cominciare da quelli resi noti da Schleier, relativi al volto e ai putti (Figg. 8, 9, 10). Mentre qui è difficile specificare a quale delle due tele i disegni facciano riferimento, un foglio al Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi si rivela essere uno studio ultimo e quadrettato per la Santa Margherita (Fig. 11), con poco significative differenze rispetto al quadro finito. Il pittore si deve essere soffermato parecchio sul problema della posizione delle braccia dell’angelo di sinistra, che regge la corona con la destra nel disegno quadrettato, con la sinistra nel disegno specifico per l’angelo e nel dipinto, il che potrebbe far propendere per una precedenza esecutiva della Santa Margherita rispetto alla Santa Cecilia e dunque far considerare il foglio pubblicato da Schleier (Fig. 8) uno studio in corso d’opera. Il disegno quadrettato è stato riferito nel catalogo del museo ad un altro “Pomarancio”, Niccolò Circignani, mentre una scritta autografa di Pouncey lo restituiva correttamente al Roncalli e un appunto della Petrioli Tofani ne chiamava in causa l’allievo Alessandro Casolani 10. Se il percorso filologico qui seguito è corretto, siamo giunti al volger del secolo e ad una datazione sul 1600 che è anche quella correttamente proposta da Schleier per la Santa Cecilia. Cristoforo Roncalli nella Roma del Seicento 7. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Domitilla (1596-1599 ca.). Basilea, Öffentliche Kunstsammlung, Kupferkabinett, n. Bi.382.10. 8 La cifra tonda è piena di implicazioni storiche e artistiche, essa coincide infatti con il giubileo di Clemente VIII ma anche con la Cappella Contarelli, quando per la prima volta Caravaggio espresse pubblicamente il proprio rivoluzionario linguaggio, con cui anche i pittori cavalieri dovettero, volenti o nolenti, confrontarsi. Tra i primi ad accorgersi della portata della novità caravaggesca bisogna ricordare un pittore straniero che svolse in Italia un’importante parte della sua formazione: Rubens. Nel suo breve soggiorno romano egli favorì l’acquisto da parte del duca di Mantova della Morte della Vergine dopo il suo rifiuto da parte dei Carmelitani Scalzi di Santa Maria della Scala, ma si accorse anche del “Pomarancio” che omaggiò, anche su segnalazione del Baronio, nelle celebri pale di Santa Maria in Vallicella, quando si dovette confrontare col soggetto di Santa Domitilla tra Nereo e Achilleo nella decorazione dell’altar 8. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Studio per un angelo (1600 ca.). Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, n. 10003 F. 9. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Studio per un angelo (1600 ca.). Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, n. 10004 F. maggiore della chiesa in cui, scrollandosi di dosso il peso della maniera, diede un impulso decisivo verso il barocco. Con la sua arte Roncalli si guadagnò la piena stima dell’ambiente artistico romano – oltre che l’invidia di alcuni se è vero che il Cavalier d’Arpino nel 1607 pagò dei sicari per farlo sfregiare – per poi lasciare Roma alla volta di Loreto, alla corte del protettore della Santa Casa Antonio Maria Gallo. Sintomo di apprezzamento è la citazione da parte del Caravaggio nel corso del processo intentatogli da Giovanni Baglione nell’agosto del 1603, in seguito alla diffusione di scritti diffamatori all’indirizzo del pittore biografo. In parole ormai celebri, Merisi definiva un ‘valent’huomo’ in questi termini: “appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo, che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali” e inoltre non si peritava di fare nomi in modo da continuare a denigrare Baglione: “Li valent’huomini sono quelli che si intendono della pittura et giudicaranno buoni pittori quelli che ho giudicato io buoni et cattivi; ma quelli che sono cattivi pittori et ignoranti giudicaranno per buoni pittori gl’ignoranti come sono loro. Delli pictori che ho nominati per buoni pittori Gioseffe, il Zuccaro, il “Pomarancio”, et Annibale Caraccio, et gl’altri non li tengo per valent’huomini. M’è ben scordato de dirvi che Antonio Tempesta ancora quello è valent’huomo” 11. Questa scelta che può apparire un po’ sorprendente, mirava anche 10. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Studio per una testa (1600 ca.). Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, n. 17111 F. 9 11. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Santa Margherita (1600 ca.). Firenze, Uffizi, Gabinetto dei disegni e delle stampe, n. 690 F. 13. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Madonna col Bambino con i Santi Antonio Abate, Agata e Giovannino (1576). Siena, Museo dell’opera del duomo. 10 12. Giuseppe Puglia, il “Bastaro”, Santa Barbara (1625 ca.). Poggio Mirteto, San Valentino. 14. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Madonna col Bambino (1580 ca.). Colleferro, Collezione Maffucci. a citare tutti i principali competitor del querelante confermando ancora una volta l’arroganza ostentata dal pittore milanese che continuava a ribadire apertamente e tra le righe ciò di cui era stato imputato. Con l’aprirsi del nuovo secolo la fortuna della pala d’altare con la santa a figura unica si andrà riducendo e rarefacendosi nei numeri ma senza però esaurirsi: un omaggio alla Santa Domitilla verrà licenziato, sotto forma di Sant’Orsola, dal suo allievo Bartolomeo Cavarozzi per San Marco a Roma (1608). Si citano poi una Santa Margherita di Annibale Carracci in Santa Caterina dei Funari a Roma, di Guido Reni a Münster, una del Guercino a San Pietro in Vincoli, una Santa Barbara di Giuseppe Puglia a Poggio Mirteto (Fig. 12) 12, ancora una Sant’Orsola di Cerrini a San Carlino alle Quattro Fontane e una molto importante di Giovanni Lanfranco per Santa Marta, oggi a Palazzo Barberini, per fare solo alcuni esempi volti a testimoniare come questo schema compositivo si addicesse alla perfezione alle martiri cristiane delle origini in ossequio alle disposizioni di Controriforma. 15. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Madonna col Bambino (1585 ca.). Urbino, Galleria Nazionale delle Marche. Altre novità sul Pomarancio Nel testamento pubblicato da Maria Giulia Aurigemma 13 il pittore dichiara di essere nato a Pomarance l’8 settembre 1552 e sebbene il paese si trovi oggi in provincia di Pisa, ricadeva all’epoca, assieme alla vicina Volterra, sotto l’influenza di Siena dove infatti si trova la prima opera documentata del “Pomarancio”. Destinata all’altare di Sant’Antonio Abate nel tempio principale della città, e oggi conservata nel Museo dell’opera del Duomo, la Madonna col Bambino con i Santi Antonio Abate, Agata e Giovannino (1576, Fig. 13), pagata dal suo illuminato committente Ippolito Agostini ben 420 scudi, mostra di condividere le scelte che nella stessa città del Palio andava proponendo in scultura Prospero Bresciano, ossia Prospero Antichi 14 e cioè di recuperare la tradizione manierista del Beccafumi, non tramite un apprendistato diretto – impossibile nel 1576 quando il pittore era già morto da venticinque anni – ma mettendo a frutto lo studio attento e partecipato delle sue opere abbondantemente presenti a Siena e nel suo territorio. Si veda il segno morbido ma deciso con cui Roncalli modella nel solco della tradizione il panneggio deciso del Sant’Antonio e riesce ad infondere linfa vitale al manierato schema 16. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, San Pietro e Anania e Saffira (1603). Roma, Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. 11 17. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Il giudizio di Salomone (1614). Osimo, Palazzo Gallo. usato per la lunga barba del santo, e come il sorrisetto beffardo del San Giovannino e il suo capello crespo, in seguito una vera e propria sigla del pittore, mostri qualche ricordo del Rosso Fiorentino, che a Volterra non poteva certo passare inosservato, data la presenza fin dal 1521 della pala della Deposizione. Di lì a poco il pittore si porterà a Roma, qui viene registrato con certezza nel 1582, in quegli anni centro artistico senza paragone rispetto a Siena, ancora ingessata nella celebrazione degli allori del passato, mentre nell’Urbe grazie a papi, nobili e cardinali cantieri si aprivano ogni giorno e occasioni di lavoro non mancavano nemmeno ai forestieri. Di questi primi anni restano opere notevoli nell’Oratorio del Gonfalone e in Santa Maria in Ara Coeli, con le celebrate cappelle Mattei e Della Valle. Il definitivo ingresso nell’ambiente artistico romano sarà infine certificato nel 1588 quando il pittore risulta tra gli accademici di San Luca, mentre il suo ruolo importante nella società romana sarà invece attestato dalla frequentazione dell’oratorio di Filippo Neri, santo di cui sarà una sorta di ritrattista ufficiale e un testimone importante al momento del processo di canoniz12 zazione, del circolo del monsignor Crescenzi e del cardinal Baronio. Fu così che alla fine del secolo, negli anni della Santa Domitilla e delle tele con Santa Cecilia e Margherita, Roncalli fu accolto nella rosa dei candidati alla carica di Principe dell’accademia romana, cui seguirà di lì a poco, la nomina a Cavaliere di Cristo. All’attività giovanile del pittore posso ora aggiungere un nuovo dipinto, di cui purtroppo posseggo solo una foto non professionale, ma a mio parere sufficiente a riconoscere i tratti caratteristici del pittore toscano in anni non lontani dall’attività senese. Si tratta di una Madonna col Bambino in collezione Maffucci a Colleferro (Fig. 14) in cui la Vergine veglia sul Bambino addormentato nei modi che prefigurano il tema della Passione. Il confronto più diretto per questo quadro è la tela della Galleria Nazionale delle Marche (Fig. 15) 15, che mostra l’identico soggetto in maniera sostanzialmente diversa: qui Gesù è sveglio, in posizione quasi ieratica, conscio di trionfare sulla morte, mentre benedice e regge e domina il globo. Nonostante queste differenze i modi sono sostanzialmente gli stessi, sia nel Bambino, sia nei lineamenti della Vergine e nelle sue dita affusolate nonché nei panneggi perfettamente confrontabili. Il dipinto urbinate entrò nelle raccolte di palazzo ducale solo nel 1918 come opera di Taddeo Zuccari, a causa di una scritta fuorviante, ma ben presto Venturi e Zeri la ricondussero alla giusta paternità del pittore di Pomarance. Non di un autore marchigiano dunque, ma neppure del periodo lauretano di Roncalli, se è vero che la tela è stata solitamente collocata nell’ultimo decennio del Cinquecento, ma non a torto Ileana Chiappini di Sorio era tentata di anticiparne la datazione agli inizi del periodo romano se non agli anni senesi a causa della “semplicità compositiva” e di taluni richiami ancora tutti toscani che caratterizzano anche la tela inedita. Le scelte cromatiche, poi, rispecchiano perfettamente le preferenze del “Pomarancio” con i tipici rapporti tra i delicati rossi e gli azzurri avvolgenti che appagano l’occhio e rendono agevole la contemplazione prolungata dei suoi dipinti. 18. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, Sacra Famiglia (1610 ca.). Collezione privata. Il vecchio secolo si chiude all’insegna dei cantieri giubilari, suo il Battesimo di Costantino in San Giovanni in Laterano, mentre il nuovo si apre nel segno di antichi committenti per il pittore all’opera per Palazzo Mattei e per il cardinal Baronio per il quale realizza nel 1602 la Madonna col Bambino e i santi Gregorio e Andrea in San Gregorio al 13 Celio. Quando l’anno seguente otteneva l’incarico di una pala su lavagna per San Pietro in Vaticano dedicata alla Morte di Anania e Safira (Fig. 16) il pittore poteva dirsi all’apice del successo. Il dipinto, come molti altri provenienti dalla basilica petrina, fu in seguito sostituito da una copia in mosaico e destinato a Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, dove purtroppo nel presbiterio non gode della dovuta visibilità. 19. Cristoforo Roncalli, il “Pomarancio”, L’educazione della Vergine (1610-1611 ca.). Stanford, Iris and B. Gerald Cantor Center for Visual Arts. 14 Ormai appagato il pittore si vedeva nella difficoltà di ottenere nuove possibilità di ascesa artistica e sociale nell’Urbe, e quando nel 1605 gli si balenò la possibilità di legare il suo nome ad uno dei santuari più importanti della cristianità, la Santa Casa di Loreto, non ebbe dubbi. Avendo la meglio su altri pretendenti agguerriti il pittore si conquistò il favore di Antonio Maria Gallo che era in cerca di un fedele interprete del suo ideale di pittura, ancora legato al gusto per l’emblema e l’allegoria, pronto ad accettare un ruolo di artista di corte. In cambio Roncalli otteneva una piena libertà di spesa e di espressione e perfino la possibilità di lasciare il cantiere per seguire Vincenzo Giustiniani nel suo viaggio in Europa 16. Del lungo soggiorno lauretano restano gli eleganti affreschi della Sala del tesoro ovviamente a tema mariano, e un imponente Giudizio di Salomone nella sala del piano nobile del palazzo del cardinale ad Osimo (1614, Fig. 17), mentre perduta è la decorazione della cupola, di cui per fortuna possediamo numerosi studi grafici 17. Al decennio marchigiano posso aggiungere una Madonna col Bambino e San Giuseppe in collezione privata (Fig. 18), ringrazio Daniele Benati per la segnalazione, che presenta il padre putativo di Gesù in una posizione persino più defilata del solito. Gli affetti più cari sono espressi dal tenero abbraccio di madre e figlio, l’eleganza delle figure e l’andamento sinuoso e studiato delle linee rende merito alla capacità di monumentalizzare l’ideale dettato raffaellesco, aggiornandolo ai modi della pittura di tardo Cinquecento, che rese celebre il “Pomarancio”. Precisi confronti andranno cercati con la Sacra Famiglia e San Giovannino di Jesi, del 1609, e con la tela di identico soggetto in collezione privata a Reggio Emilia, degli stessi anni 18, in cui analoghi sono i giochi d’ombra ricercati per modellare i corpi e i lineamenti dei visi, ma anche con dipinti dall’aspetto più fantasmagorico, come la Comunione di San Silvestro Guzzolini a Osimo 19 e con la curiosa e divertente Educazione della Vergine dell’Iris and B. Gerald Cantor Center for Visual Arts di Stanford, in California (Fig. 19) 20, in cui la protagonista, ancora bambina, è alle prese con una lezione di cucito e in cui gli ambienti e le stoffe sono analiticamente descritti a contrasto della visione paradisiaca che si apre in alto. Il 30 marzo 1620 Antonio Maria Gallo moriva lasciando il “Pomarancio” orfano del suo grande protettore: il pittore si trovava già a Roma, ma un po’ spaesato in un ambiente artistico ormai mutato rispetto a quello che aveva lasciato e dove un artista della sua cultura poteva trovare sempre meno spazio, mentre gli acciacchi dell’età si facevano sempre più pressanti, così come le richieste da parte della Santa Casa ora pronta a rinegoziare il generoso compenso di 16.775 scudi che senza controperizia il cardinale gli aveva garantito per gli affreschi della cupola lauretana. In questa società così cambiata Cristofo Roncalli continuerà comunque a lavorare pur conscio di aver tristemente lasciato alle spalle il proprio tempo migliore. Massimo Francucci 20. Ottavio Leoni, Ritratto di Cristoforo Roncalli (1623). Firenze, Biblioteca Marucelliana. 15 E. Schleier, Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio: due dipinti inediti ed i loro relativi disegni, in “Studi di Storia dell’arte”, 4, 1993, pp. 295-302. 2 Sull’argomento si veda anche S. Russell, Annibale Carracci’s St. Margaret and the single-figure altarpiece in Rome around 1600, in The ”Italians” in Australia, “Melbourne Art Journal”, 7, 2004, pp. 145-152 e B. Treffers, Arti e mestieri della santità. Nuovi ordini, nuovi santi, nuove pale d’altare, in Il genio di Roma 1592-1623, catalogo della mostra (Londra) a cura di B. L. Brown, Milano, 2001, pp. 338-371. 3 Illuminanti a tal proposito i passi di Giovanni Pietro Bellori e di Roberto Longhi: “Dipinse una fanciulla a sedere sopra una seggiola, con le mani in seno in atto di asciugarsi li capelli, la ritrasse in una camera, ed aggiungendovi in terra un vasello di unguenti, con monili e gemme, la finse per Maddalena”. G. P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori e architetti moderni, Roma, 1672, ed. Torino, 1976, p. 215. “Quanto alla «Maddalena», non so s’egli si lasciasse suggerire dai motti proverbiali del popolino sulle ragazze traviate e ravvedute («Mo’ fai la Maddalena pentita», o simili), ma pur certo che, in confronto alle cortigiane di lusso fattesi pinzochere, preferite dai manieristi, questo pensiero di dipingere un po’ dall’alto, a specchio inclinato, questa povera ciociarella tradita, mentre, lagrimuccia sulla gota, profitta della inutile attesa per farsi asciugare i capelli dal sole che entra nella stanzuccia smobiliata (e l’ombra cresce sul muro), fu uno dei più alti del giovane artista; e dei più scandalosi, quando si avverta la stupefazione con cui un biografo, dopo aver descritto l’opera, esclama: «e la finse per Maddalena»…”. R. Longhi, Il Caravaggio (1952) in Studi Caravaggeschi. Opere complete di Roberto Longhi, XI, I, Firenze, 1999, p. 172. 4 Il dipinto fu rintracciato da Harold Wethey. Si veda H. Röttgen, Il cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino. Un grande pittore nello splendore della fama e nell’incostanza della fortuna, Roma, 2002, pp. 246-247, che un po’ sorprendentemente non ne accoglie la piena autografia proponendo l’intervento del fratello del pittore Bernardino Cesari. In un recente intervento sull’argomento Marco Gallo mette in dubbio l’identificazione del committente con Tiberio Cavalieri ed allo stesso modo la datazione che dovrebbe precedere il 1589. M. Gallo, Le formiche di Roma. Cronache della chiesa di S. Elena ai Cesarini (1594-1888): dalla confraternita dei Credenzieri all’Arciconfraternita di Gesù Nazareno. Appendice. La pala di S. Caterina d’Alessandria, in I cardinali di Santa Romana Chiesa. Collezionisti e mecenati, II, a cura di H. Economopoulos, Roma, 2003, pp. 217-220. 5 F. Titi, Ammaestramento utile e curioso di pittura scoltura ed architettura nelle chiese di Roma, Roma, 1686, p. 116: “il Quadro dell’Altar maggiore: dov’è figurata S. Elena, è della Scuola del Pomarancio”. G. Roisecco, Roma Antica e Moderna o sia nuova descrizione di tutti gli edifici antichi e moderni, tanto sagri, quanto profani della città di Roma, Roma, 1745, (ed 1750), p. 579: “Il quadro della santa titolare nell’altar maggiore è del Pomaranci; l’altro di S. Caterina del Cavalier d’Arpino; e quello con Maria Vergine Assunta in cielo, di Orazio Borgiani”.. 6 Si veda sull’argomento Marco Gallo, Le formiche di Roma… cit., pp. 151-152; pp. 181-182, nota 25. 7 W. Kirwin, Cristoforo Roncalli, an exponent of the Protobaroque: his activity through 1605, tesi di laurea, Stanford University, 1972, p. 492 nota 283; I. Chiappini di Sorio, Cri1 16 stoforo Roncalli detto il Pomarancio, Bergamo, 1975, p. 136 n. 111. 8 P. Pouncey, Two Drawings by Cristofano Roncalli, in “The Burlington Magazine”, No. 597, 1952, pp. 356-359. 9 Cm 44,8 x 28,7 Basel, Öffentliche Kunstsammlung, Kupferkabinett, n. Bi.382.10. 10 Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi. Inventario. Disegni di figura 1, a cura di A. M. Petrioli Tofani, Firenze, 1991, pp. 292-293, n. 690 F. 11 Roma, Archivio di Stato, Processo intentato da G. Baglione contro i pittori Longhi, Caravaggio etc. (agosto-settembre 1603). 12 M. Francucci, Giuseppe Puglia Il Bastaro. Il naturalismo classicizzato nella Roma di Urbano VIII, San Casciano Val di Pesa, 2014, pp. 130-132 n. 2. 13 M. G. Aurigemma, Documenti per Cristoforo Roncalli, in “Paragone”, 539, 1995, pp. 74-88. 14 Su questi argomenti e sul bel pittore Alessandro Casolani, omaggiato da una recente mostra (A. Bagnoli, Il piacere del colorire. Percorso artistico di Alessandro Casolani 1552-53 1607, Firenze, 2002), si rinvia all’importante articolo di Roberto Bartalini, Su Alessandro Casolani e ancora sull’”accademia” di Ippolito Agostini, in “Prospettiva”, 87/88, 1997, pp. 146-156. 15 Chiappini di Sorio, 1975, p. 130 n. 66. 16 B. Bizoni, Diario di viaggio di Vincenzo Giustiniani, a cura di B. Agosti, Porretta Terme, 1995. 17 Sul rapporto con il cardinale Gallo si rinvia a M. Francucci, Tra Guido Reni e il Pomarancio: la committenza del cardinale Antonio Maria Gallo a Osimo e Loreto, in Le Meraviglie del Barocco nelle Marche. 2 Da Rubens a Maratta, catalogo della mostra (Osimo) a cura di V. Sgarbi, S. Papetti, Milano, 2013, pp. 39-45. Sui disegni per la cupola lauretana: Ianua Coeli, disegni di Cristoforo Roncalli e Cesare Maccari per la cupola della Basilica di Loreto, catalogo della mostra (Roma, Loreto) a cura di M. L. Polichetti, Roma, 2001. 18 M. Francucci, in Le Meraviglie del Barocco… 2013, pp. 190-193. 19 S. Papetti, in Le Meraviglie del Barocco… 2013, pp. 196197. 20 D. C. Miller, An education of the Virgin, in “The Stanford Museum”, 1, p. 9, 1971; Chiappini, 1975, pp. 129-131, n. 63.